Rassegna stampa 21 novembre

 

Giustizia: siamo passati da detenzione penale a quella sociale

 

Redattore Sociale, 21 novembre 2009

 

Il direttore del Lorusso-Cotugno di Torino al convegno Seac: "Nel 2007 su 94 mila ingressi, circa 70 mila uscite nei 9 mesi successivi, 35 mila entro 11 giorni, 29 mila entro 3 giorni". Questa situazione ingolfa il sistema penitenziario.

Nel 2007 su 94 mila ingressi in carcere ci sono state circa 70 mila uscite nei nove mesi successivi, 35 mila entro 11 giorni, 29 mila entro 3 giorni, pari al 32% del totale. Nello stesso anno a Torino il 52% degli otto mila ingressi, pari a quattro mila detenuti, è uscito entro tre giorni. Sono i dati forniti da Pietro Buffa, direttore del carcere Lorusso-Cotugno di Torino, intervenuto alla Tavola rotonda sul sistema sanzionatorio del Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario-Seac "la detenzione in carcere di queste persone ingolfa il sistema penitenziario", ha detto Buffa, spiegando che se i conti del sistema penitenziario non tornano più, le cause vanno cercate al di là del solo problema quantitativo. "Se abbiamo uno dei più grandi tassi di sovraffollamento d’Europa è a causa di una politica che preme sul carcere con varie ondate emergenziali - ha continuato - , a Torino che è un grande carcere metropolitano ho dovuto autorizzare l’apertura di palestre, corridoi e sgabuzzini per la mancanza di spazi". Attualmente ci sono circa 1600 detenuti, ma la struttura è arrivata a contenerne anche più di 1.700, su una capienza massima di 1.100 persone.

A Torino il 52% di detenuti è straniero, in genere non in regola con il permesso di soggiorno. In alcuni penitenziari italiani si arriva anche al 70% "i due terzi della popolazione carceraria italiana non possiede più i requisiti per chiedere le misure alternative, ci sono larghe fette di persone recidive e straniere irregolari che non entrano più nella logica delle misure alternative". È questo l’allarme lanciato dal direttore del carcere del capoluogo piemontese, che ha affermato: "siamo passati dalla detenzione penale alla detenzione sociale, al carcere vengono demandati compiti per i quali non siamo attrezzati, come l’accertamento dei familiari irregolari in visita all’interno di una struttura". Esiste una circolare ministeriale molto recente in cui in questi casi il diritto al colloquio prevale sull’accertamento dell’irregolarità, per cui il direttore del carcere può limitarsi ad accertare il grado di parentela e dare il permesso al colloquio.

Giustizia: altissimo numero di persone in carcere 2 o 3 giorni

 

Redattore Sociale, 21 novembre 2009

 

Canevelli: "Lo scandalo della giustizia penale è l’altissimo numero di persone in carcere per 2, 3 giorni". Il presidente del tribunale di Sorveglianza di Perugia al convegno Seac: "Sulle pene brevi c’è un’emergenza, il sistema penitenziario non le regge".

"Il vero scandalo della giustizia penale è l’altissimo numero di persone in carcere per 2, 3, 10 giorni. In carcere c’è il 50% di persone in custodia cautelare" è quanto ha affermato al 42° Convegno nazionale del Seac il presidente del tribunale di Sorveglianza di Perugia, Paolo Canevelli. Intervenuto su misure alternative, carcere e giustizia penale, Canevelli ha detto: "il sistema non è in grado di gestire le pene detentive e brevi, che vengono scontate in carcere. Sulle pene brevi c’è un’emergenza, il sistema penitenziario non le regge perché è stata sconvolta con le successive modifiche la legge Simeoni per l’ammissione del condannato alle misure alternative prima dell’ingresso in carcere".

Secondo Canevelli c’è una discriminazione tra i reati dei colletti bianchi e i reati di strada, aggravata dalle nuove proposte di legge. "Sono punite in carcere le pene brevi legate ai reati di strada, non a quelli di criminalità economica - ha spiegato il giudice - c’è una discriminazione sulla base dell’aurore del reato, i colletti bianchi sono privilegiati. Il nuovo testo di legge che privilegia di nuovo le persone incensurate sui recidivi, rafforza questo principio, perché addirittura non si celebrerà più il processo".

Secondo Canevelli, "serve un anticipo di riforma del Codice penale, la soluzione al sovraffollamento non è né nelle misure alternative, né nel piano carceri". "È necessario passare da 100 mila condanne a sei mesi di carcere, a 100 mila condanne a sei mesi di lavori socialmente utili".

È l’esempio portato da magistrato per invertire la rotta sulle pene detentive brevi. "C’è un difetto strutturale nel nostro Codice penale - ha detto ancora Canevelli - che mette sullo stesso piano comportamenti enormemente diversi, dal furto alla ricettazione al terrorismo, uniti tutti solo con la detenzione e cambia solo la durata della pena". Il presidente del tribunale di sorveglianza di Perugia lancia una proposta sulla custodia cautelare in carcere: "di 43 mila posti in carcere destiniamone solo una quota alla custodia cautelare. Si tratta di persone presunte innocenti. Per i reati meno gravi vanno istituiti subito dei circuiti alternativi per scontare la custodia cautelare in carcere". Zero alternative al carcere per gli immigrati irregolari, che affollano i penitenziari italiani. " La presenza illegale sul territorio dello stato aggrava qualunque reato l’immigrato abbia commesso , per cui queste persone prendono la via del carcere senza alternative" ha concluso Canevelli.

Giustizia: Realacci (Pd); mancano fondi per sanità carceraria

 

Il Velino, 21 novembre 2009

 

"Da una inchiesta partita dal Don Bosco di Pisa, che dispone di un centro di medicina penitenziaria fra i migliori d’Italia, è scaturita una interrogazione parlamentare firmata da Ermete Realacci per denunciare il grave stato di emergenza in versano le carceri italiane, fra cui il Don Bosco, soprattutto a causa del sovraffollamento oltre che alla carenza di personale".

Lo si legge in una nota del parlamentare del PD Ermete Realacci che ha dichiarato: "Problemi aggravati dal fatto che i centri clinici come quello del Don Bosco di Pisa ancora non vedono assicurate dal governo le risorse minime per farli funzionare: quello di Pisa riesce a mantenere la sua funzionalità grazie all’impegno della Asl5 che fornisce il materiale, oltre che ovviamente alla competenza e all’impegno degli addetti. Ma c’è ancora incertezza non solo sul personale ma anche sul resto dei fondi indispensabili al mantenimento del centro e alle cure riservate ai pazienti.

Non possiamo abbandonarli, il governo deve stanziare i fondi necessari a questi servizi e finanziare le Regioni. Anche i drammi delle ultime settimane devono farci riflettere: quante tragedie non solo fra detenuti ma anche per il personale di guardia che vede tassi molto elevati di suicidi, avrebbero potuto essere evitate se non ci fossero questi problemi?".

"Fra l’altro - prosegue - la Regione Toscana è fra quelle più virtuose visto che già sono attivi canali di collaborazione. Sono inoltre assolutamente da condividere e da sostenere le proposte dell’assessore alla Sanità Enrico Rossi affinché possano esserci dei percorsi alternativi al carcere per madri con figli e tossicodipendenti, in modo da dare una risposta al sovraffollamento". Realacci chiede pertanto al governo "quali azioni intendano intraprendere i ministri interrogati per dare effettiva attuazione alla Riforma della Medicina penitenziaria e quali provvedimenti possano essere messi in campo affinché il ministero dell’Economia e delle Finanze trasferisca alle Regioni deputate le risorse spettanti al servizio sanitario penitenziario specificatamente per l’ultimo trimestre 2008 e per l’anno 2009".

Nell’interrogazione a risposta scritta, al ministro della Giustizia, al ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e al ministro dell’ Economia e delle Finanze Realacci scrive anche, fra le premesse che "la Costituzione della Repubblica stabilisce chiaramente che la pena detentiva non possa consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debba tendere alla rieducazione del condannato; i detenuti e gli internati hanno diritto al pari dei cittadini in stato di libertà all’erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci e appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale,nei piani sanitari regionali e in quelli locali; l’affermazione di principio della parità di accesso alle cure per i detenuti è contenuta nel d.lgs. 22/6/1999 n. 230, riguardante il riordino della medicina penitenziaria.

Il suindicato Decreto ha previsto, in particolare: il trasferimento al SSN, a decorrere dal 1° Gennaio 2000, delle funzioni sanitarie svolte dall’Amministrazione penitenziaria con riferimento ai settori della prevenzione e della assistenza ai detenuti e agli internati tossicodipendenti, nonché la individuazione, con successivo Decreto Interministeriale, di almeno tre Regioni nelle quali realizzare il graduale trasferimento, in forma sperimentale, delle restanti funzioni sanitarie; la Regione Toscana ad esempio è stata inserita tra le Regioni cui affidare la sperimentazione e ha svolto proficuamente tale compito, avviando una pluralità di iniziative in una costante ottica di collaborazione e confronto con il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria; la medicina penitenziaria versa in condizioni di assoluta precarietà per mancanza di mezzi e risorse e che i medici e gli infermieri che lavorano nei 206 istituti penitenziari italiani continuano a portare avanti con difficoltà un’opera particolarmente importante e delicata a tutela della salute della popolazione detenuta, sebbene impossibilitati a provvedere al rinnovamento delle strutture e all’adeguamento del personale in sotto organico; ad oggi i detenuti reclusi nelle carceri italiane ammontano a più di 65 mila detenuti ben al di sopra delle capacità in regime di umana civiltà".

Giustizia: dal Sappe un nuovo appello a Berlusconi ed Alfano

 

Ansa, 21 novembre 2009

 

Il Sindacato Autonomo Polizia penitenziaria (Sappe) ha rivolto oggi un appello, l’ennesimo, al presidente del Consiglio, ai presidenti di Senato e Camera e al ministro della Giustizia perché sia risolta al più presto la "sempre più critica e drammatica situazione degli organici della Polizia penitenziaria, che in particolare nel Nord Italia registra carenze davvero allarmanti".

"La popolazione detenuta è oggi arriva a toccare quota 66mila presenze, la cifra più alta mai registrata nel Dopoguerra, e continua a crescere, con tutte le relative valenze di pericolo e di trattamento". Al contrario - fa osservare Donato Capece, segretario generale del Sappe - "gli appartenenti al Corpo diminuiscono ogni anno di 800-1.000 unità, per ragioni fisiologiche, senza essere adeguatamente sostituiti. Ne deriva che, negli ultimi cinque anni, sono state perse di forza circa 5.000 unità, assolutamente non compensate dall’immissione in servizio degli agenti già volontari nelle Forze Armate, certamente inferiori nel numero alle effettive esigenze". In un "affanno incredibile" - aggiunge Capece - "sono anche gli organici del personale femminile".

Il sindacato più rappresentativo della categoria ritiene imprescindibile per il Governo l’assunzione concreta di impegni in materia di aumento di organico del Corpo di Polizia Penitenziaria. Si dovrebbero bandire concorsi pubblici nazionali a livello regionale, cioè con i posti nelle sedi del Nord in cui più marcate sono le carenze di organico, e prevedere un incentivo economico per chi va a prestare servizio al Nord". Il nostro ennesimo appello rivolto alle istituzioni - conclude Capece - "è un grido di dolore" che dovrebbe essere storicamente raccolto, perché al crollo fisico e professionale ci manca davvero poco".

Giustizia: Pedica (Idv); governo non abbandoni settore carceri

 

Il Velino, 21 novembre 2009

 

"Oggi nel corso del congresso della Uil sindacato di polizia penitenziaria, a cui ho avuto l’onore di partecipare, sono state messe sul tavolo una serie di problematiche non più rinviabili che riguardano il sistema carcerario nel suo complesso e le gravi inefficienze che inevitabilmente ricadono sul lavoro della polizia penitenziaria. Si è partiti dal caso Cucchi, per arrivare ad una serie di considerazioni che mettono in luce non solo le gravi carenze di organico della polizia ma anche il necessario rafforzamento delle strutture di sostegno come quelle che riguardano gli uffici dei garanti dei detenuti".

Lo afferma il senatore e segretario regionale del Lazio dell’Idv, Stefano Pedica. "Nel Lazio, per esempio - continua Pedica - il garante dei diritti dei detenuti si trova ad affrontare una mole enorme di lavoro per un territorio molto ampio. A mio avviso è necessario ed urgente prevedere figure che si possano affiancare in questa ardua missione, come di una direzione centrale che possa al meglio coordinare gli sforzi dei diversi garanti regionali e locali.

Non credo di sbagliarmi quando dico che anche e proprio in campi come questo si rileverebbe essenziale l’apporto di una nuova cultura, di giovani professionisti che diano una diversa spinta su queste tematiche che necessitano in molti casi di quel cambiamento che può arrivare attraverso l’impiego di nuove e preparate forze. Nei prossimi giorni parlerò al vicepresidente della Regione Montino e al presidente del Consiglio Astorre di questo e dell’attenzione che occorre dedicare oggi al settore penitenziario".

Lettere: sulla morte di Yassine e sui ragazzi che restano dentro

del Gruppo Ipm dell’Associazione "L’altro Diritto Onlus"

 

Ristretti Orizzonti, 21 novembre 2009

 

In questi giorni, dopo la terribile morte di Yassine, i riflettori dei media sono stati improvvisamente puntati sull’Istituto penale per i minorenni di Firenze, e molti sono stati i commenti di politici e rappresentanti delle istituzioni. Le volontarie e i volontari del gruppo IPM dell’Altro diritto onlus, che entrano nell’istituto da dieci anni, svolgendovi una serie di attività di informazione e sostegno per i ragazzi detenuti, hanno finora taciuto perché troppo colpiti da questo lutto. Solo oggi, dopo molte riflessioni, desideriamo esprimere la nostra profonda tristezza per la morte di Yassine, che per noi non è uno dei tanti, ma è il ragazzo conosciuto in questi mesi e al quale abbiamo sperato di poter fornire un po’ di sostegno e di leggerezza, invano. Chi è entrato costantemente nel carcere minorile in questi mesi, non può dimenticare il suo volto. Vogliamo però non limitarci a una espressione di cordoglio, perché siamo consapevoli del fatto che la storia di Yassine non rappresenta un’eccezione. È sì raro che un ragazzo si uccida in un Istituto penale per i minorenni, ma non è rara la sofferenza che Yassine si portava dentro.

Oggi nell’Istituto penale minorile di Firenze sono rimasti altri 21 ragazzi, che portano dentro di sé un dolore immenso per quel che è accaduto, un dolore che si è andato ad aggiungere alla già difficile esperienza di chi vive in stato di detenzione. Per alcuni di loro questo non è il primo suicidio cui assistono, per molti questo lutto si somma ad altri già vissuti nonostante la giovane età. I compagni di cella di Yassine ne hanno raccolto l’ultimo respiro, uno di loro lo ha vegliato pregando. Tutti ieri hanno voluto incontrare l’imam di Firenze, forse una delle poche figure pubbliche che sia davvero riuscita a portare loro conforto.

Oggi, prima che i riflettori si spengano di nuovo (qualcuno ci ha già detto che è tardi per questa riflessione perché la notizia non è più fresca!), vorremmo segnalare alcune cose che riteniamo importantissime: la prima è che, contrariamente a quanto si pensa, le carceri minorili non sono giardini d’infanzia. Sono luoghi per lo più migliori delle carceri per adulti, sono luoghi - come il "Meucci" - dove gli operatori sono profondamente dediti al loro lavoro, ma sono pur sempre dei luoghi di reclusione.

L’art. 37 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, di cui proprio in questi giorni si celebra il ventennale, stabilisce chiaramente che: "L’arresto, la detenzione o l’imprigionamento di un fanciullo devono essere effettuati in conformità con la legge, costituire un provvedimento di ultima risorsa e avere la durata più breve possibile". Il Consiglio d’Europa non ha fatto altro che ribadire questo principio a più riprese, affermando che la carcerazione non è uno strumento adatto alla risocializzazione dei minori autori di reato, e che essa deve essere inflitta loro solo quando non sia possibile ricorrere a un diverso sistema di controllo o di sanzione.

Nella stessa direzione va, lo sanno tutti, la normativa italiana sul processo penale minorile, considerata come una delle punte più avanzate del mondo occidentale in tema di tutela dei diritti dei minori. Non possiamo allora accettare che persino di fronte al suicidio di un ragazzo detenuto per mesi in attesa di giudizio per un tentato furto si dica che "spesso il carcere è la soluzione migliore per questi ragazzi". Nonostante la buona volontà degli operatori, il carcere non è un luogo di presa in carico: si fa il possibile, ma il possibile è troppo poco e le buone intenzioni sono costantemente frenate dalla burocrazia e dalle esigenze di controllo tipiche di ogni situazione carceraria, quel che è accaduto a Yassine ne è la tragica dimostrazione.

Gli operatori della giustizia e i servizi sociali non possono arrendersi a una simile constatazione, che fa ancora più scalpore se pronunciata non caso per caso, ma come massima generale. Noi vorremmo ricordare che, sebbene autori di reato - la maggioranza dei ragazzi ne ha commessi soltanto di lievi -, questi minori hanno diritto a poter costruire il proprio futuro e a vivere un presente conforme alle esigenze proprie di tutti gli adolescenti.

La seconda cosa, urgente, che vorremmo segnalare è che oggi nell’Ipm di Firenze, come negli altri sparsi per l’Italia, restano molti ragazzi e che per loro non solo non viene fatto niente di speciale, ma neppure niente di ordinario. Nell’Istituto fiorentino la scuola non è mai stata organizzata in modo stabile dal Provveditorato. La presenza degli insegnanti dipende dalla buona volontà di chi si fa assegnare una classe in carcere e dall’organizzazione della Scuola città Pestalozzi di Firenze, che si occupa dei corsi di formazione serale per adulti.

Quest’anno non sono riusciti, come altri anni, a incaricarsi anche di questo compito extra, nella situazione già difficile che gli enti preposti alla formazione attraversano, e così la scuola media non è ripartita con l’inizio dell’anno scolastico. Le volontarie e i volontari dell’altro diritto si stanno affannando a collaborare con l’unica insegnante elementare presente per supplire a questa mancanza, e non è la prima volta che questo avviene.

Le istituzioni della giustizia minorile sono state sollecitate dall’istituto stesso, ma invano. Si dà per scontato che in un periodo come questo, dove la scuola è in sofferenza, l’ultimo problema sia quello della scolarizzazione dei minori detenuti. Eppure, la scuola non è per loro solo un diritto, ma è anche una delle poche finestre che essi hanno sull’esterno, un modo per impiegare le mattinate altrimenti vuote, tutte passate - a 15,16,17, 18 anni - entro la cinta di un solo squallido cortile.

Infine, che cosa facciamo per i ragazzi rimasti, come li aiutiamo di fronte al trauma subito? Accettiamo che sia uno dei tanti? Consideriamo sufficiente l’organizzazione ordinaria presente negli Istituti penitenziari? O pensiamo che sia l’ora che la città si prenda cura di questi suoi giovani? Che le carceri minorili diventino davvero luoghi aperti e trasparenti e soprattutto spopolati, in cui sia possibile seguire pochi ragazzi facendo prevalere quelli che Alessandro Margara chiama "gli spiriti della casa" sugli "spiriti del carcere"? L’Ipm Meucci è dietro la stazione centrale. Quanti fiorentini conoscono la sua esistenza?

I ragazzi detenuti nell’Ipm di Firenze, come nel resto d’Italia, appartengono quasi esclusivamente ai seguenti gruppi sociali: sono stranieri, rom, sinti, o minori originari del sud Italia. Se si confrontano i dati relativi alla popolazione detenuta con quelli dei minori autori di reato si scopre facilmente come questi gruppi sociali sono sovra rappresentati in carcere. Il sistema della giustizia penale minorile opera una selezione sociale, individuando come suoi "utenti" privilegiati i minori appartenenti alle categorie più disagiate. Un simile processo di selezione smentisce gli intenti professati dalla riforma del 1988 e dal sistema penitenziario trattamentale nel suo complesso.

Se Yassine fosse stato italiano e avesse avuto alle spalle una "normale famiglia italiana" non sarebbe mai finito in carcere e, certamente, oggi nessuno considererebbe "scaduta" la notizia del suo suicidio. Insieme ai ragazzi reclusi in Ipm, siamo addolorati e indignati. Vorremmo che anche la società nella quale viviamo e lavoriamo continuasse ad esserlo e decidesse di muoversi per evitare che queste tragedie continuino a ripetersi.

Velletri: ombrelloni abusivi in spiaggia; in carcere un 76enne

 

Adnkronos, 21 novembre 2009

 

Arrestato due giorni fa dai carabinieri di Anzio per scontare una condanna di dieci mesi per aver occupato una spiaggia con degli ombrelloni abusivi, Romeo M., un 76enne invalido al 100%, analfabeta, impossibilitato a parlare per via di una tracheotomia e per questo a gravissimo rischio di infezione, è costretto a restare in carcere a Velletri perché l’attività in Tribunale è rallentata fino a martedì prossimo per la festa patronale.

La vicenda è stata denunciata dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, secondo il quale "tutto ciò è l’emblema di come, nelle vicende di carcere, si sia davvero persa ogni misura. A causa delle festa patronale corriamo il rischio di dover commentare, nei prossimi giorni, l’ennesima tragedia consumata dietro le sbarre.

Per altro quest’uomo è padre di un servitore dello Stato decorato con medaglia d’argento in una missione di Pace in Somalia, e la figlia di ha espresso tutta la sua amarezza per il trattamento riservato dallo Stato al padre di un eroe".

Secondo i collaboratori del Garante, Romeo, classe 1933, residente ad Anzio, è invalido al 100% con accompagno, con diverse patologie cardiache e tumorali e, soprattutto, bisogno di aspirazione continua attraverso una tracheotomia che, per altro, non gli consente di parlare. L’uomo, dopo la condanna definitiva aveva avuto trenta giorni per dichiarare di voler convertire il carcere in arresti domiciliari ma, poiché analfabeta, non ha capito l’importanza dei documenti che gli erano arrivati e li ha gettati senza informare nessuno. Questa mattina il suo legale si è recato in Tribunale per chiederne la scarcerazione previa presentazione della documentazione medica, ma ha trovato gli uffici giudiziari semideserti per la festa del Santo Patrono di Velletri, San Clemente.

"Non credo che un ultrasettantenne che pianta abusivamente ombrelloni su una spiaggia costituisca un pericolo reale per la società - ha detto Marroni - Lo è, invece, un sistema che sembra accanirsi su casi di questo genere. Lo scorso luglio denunciammo la vicenda di un barbone arrestato in ospedale perché doveva scontare tre mesi di carcere per il furto di un pezzo di pane da un supermercato. Entrambi casi emblematici di come non sia pensabile punire col carcere ogni tipo di condotta difforme dalla legge, con conseguenze drammatiche in termini di sovraffollamento e di recupero dei reclusi".

Sassari: Commissione consiglio regionale visita San Sebastiano

 

Adnkronos, 21 novembre 2009

 

Pesante carenza di personale di polizia e civile, sovraffollamento di detenuti e mancanza di occasioni di lavoro per i detenuti. A San Sebastiano abbiamo rilevato le medesime problematiche degli altri istituti di pena che abbiamo visitato precedentemente. Silvestro Ladu (Pdl), Presidente della Commissione Diritti civili del Consiglio regionale sardo, commenta così le quattro ore trascorse con la Commissione all’interno del carcere di San Sebastiano di Sassari.

Abbiamo verificato come il secondo piano del carcere, dove dovrebbero svolgersi le attività ricreative non è utilizzato perché necessita di una importante ristrutturazione - prosegue Ladu - per cui i 215 detenuti sono concentrati in poco spazio e anche le attività primarie risultano penalizzate. Gli altri numeri sono allarmanti - continua -. Gli agenti penitenziari sono ridotti della metà rispetto all’organico previsto. Sono 80 gli agenti mentre ne servirebbero almeno 160, così pure il personale civile che, come verificato nelle altre strutture penitenziarie, è ridotto al cinquanta per cento.

Per far fronte alla carenza di personale civile - dichiara il Presidente della Commissione - nella relazione che proporremo agli organi competenti e al Ministero, vi sarà anche la richiesta di far svolgere i concorsi in Sardegna e non solo a Roma. Questo per evitare che i vincitori del concorso - spiega Ladu - che per la stragrande maggioranza vivono nella penisola, chiedano il trasferimento vicino a casa dopo pochi mesi di lavoro in Sardegna, lasciando buchi paurosi in organico che non vengono mai colmata.

Anche a San Sebastiano come in altre carceri che non siano colonie penali - afferma - abbiamo verificato la mancanza di occasioni di lavoro per i reclusi. Una attività che, invece, si rende necessaria per consentire loro di trascorrere con un impegno quotidiano le ore della giornata e nel contempo poter guadagnare qualche euro.

Al ministero, infine, presenteremo anche le problematiche relative ai direttori delle carceri isolane. Infatti - dice - circa la metà di questi risulta essere precario nel ruolo o a scavalco con altre strutture, mentre gli istituti di pena della Sardegna hanno bisogno di direttori stabili e con un’unica sede così da poter programmare attività e interventi a lungo termine.

L’ultimazione del nuovo carcere di Sassari e la realizzazione di quelli già previsti - conclude Silvestro Ladu - potrebbe consentire a tanti agenti di custodia che lavorano nella penisola di poter chiedere il trasferimento in Sardegna, così pure per riavvicinare alle famiglie i numerosi detenuti in carceri oltremare, senza pensare di portare in Sardegna detenuti speciali di cui, davvero, non abbiamo bisogno.

Genova: Sappe; Marassi sovraffollato, la protesta dei detenuti

 

Agi, 21 novembre 2009

 

"È vero che questa notte, nel carcere di Marassi, c’è stata qualche protesta da parte di alcuni detenuti, che hanno sbattuto suppellettili sulle grate, ma si è trattato di una manifestazione - benché rumorosa - assolutamente isolata, contenuta nel numero dei manifestanti, limitata nel tempo e pacifica. Certo la situazione penitenziaria a Marassi è allarmate per il forte sovraffollamento; registriamo infatti la presenza di circa 780 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 430 posti".

Lo dice il Sappe Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, per il tramite del segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria Roberto Martinelli, in relazione alle proteste di alcuni detenuti la notte scorsa nel carcere genovese di Marassi.

"Questo grave sovraffollamento - aggiunge - ricade principalmente sulle già gravose condizioni di lavoro di chi lavora nella prima linea delle sezioni detentive, e cioè le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria che in Liguria hanno carenze quantificate in circa 300 unità. La situazione, già estremamente precaria, rischia di implodere definitivamente anche per colpa di strategie di intervento sbagliate, quali l’ipotesi di aprire - con questo sovraffollamento e con la grave carenza di Personale - un Centro clinico nel carcere della Valbisagno, rispetto al quale c’è il completo dissenso del Sappe e di tutte le altre Sigle sindacali della Polizia penitenziaria".

"La grave e critica situazione delle carceri genovesi e liguri - osserva ancora Martinelli - emerge chiaramente esaminando le presenze degli organici del Corpo di Polizia e dei detenuti nelle sette Case Circondariali della Regione".

L’emergenza sovraffollamento in Liguria, sostiene Martinelli, ha raggiunto cifre allarmanti: a fronte di una ricettività regolamentare per 1.140 posti, oggi ci sono nelle celle dei carceri regionali più di 1.700 detenuti, il 55% dei quali stranieri. Non solo. Sul fronte Personale le criticità sono ancora più evidenti. La Liguria è la Regione in Italia con la percentuale minore di poliziotti penitenziari in servizio rispetto a quelli previsti, con poco più di 850 agenti in servizio invece che i necessari 1.264 previsti. Mancano più di 400 unità di Polizia penitenziaria: a Chiavari ne mancano 17, a Genova Marassi ben 165, a Pontedecimo 59, a Imperia 22, a La Spezia 54, a Sanremo 77 ed a Savona 13! Ed anche per quanto concerne il Personale dirigenziale e tecnico amministrativo la situazione ligure è davvero allarmante. Mancano, complessivamente, ben 3 Dirigenti, 23 Educatori, 21 Assistenti Sociali, 68 Collaboratori, 80 tra collaboratori d’area direttiva, tecnici, impiegati, informatici. Fino ad oggi la drammatica situazione è stata contenuta grazie principalmente al senso di responsabilità, allo spirito di sacrificio ed alla grande professionalità del Corpo di Polizia Penitenziaria.

Ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi e continueranno a pesare sulle donne e gli uomini della Polizia penitenziaria in servizio negli Istituti di Pena della Liguria per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia. Servono provvedimenti concreti e nel tempo più breve da parte del Ministero della Giustizia e del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. E certo non assurdi come quello dell’Amministrazione penitenziaria regionale che, in questo grave contesto di sovraffollamento e di carenza di personale, vuole a tutti i costi aprire il Centro clinico nel carcere di Marassi".

Alessandria: il Pdl lancia l’allarme; carceri cittadine al tracollo

di Silvana Fossati

 

Secolo XIX, 21 novembre 2009

 

Quasi 300 agenti, compreso il "nucleo traduzioni", per circa 800 detenuti. Questi numeri sintetizzano la realtà dei due carceri cittadini, il circondariale Don Soria e il San Michele. Una situazione "a serio rischio di tracollo", analoga alle altre strutture italiane, ieri al centro di un dibattito organizzato dai gruppi consiliari An-Pdl in Regione e in Comune e dal Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) nella sede della Circoscrizione Nord, con l’intervento di Mario Bocchio, Maurizio Sciaudone e del vice sindaco Paolo Bonadeo.

Il sovraffollamento delle carceri, già segnalato ripetutamente, è dovuto ad una costante crescita dei reclusi: in un mese, tra ottobre e novembre, nell’istituto San Michele si sono registrati 50 ingressi portando il numero complessivo a 383, di cui 168 extracomunitari. E il Don Soria, situato in città a pochi metri dall’ospedale "è uno dei carceri con maggiore presenza di stranieri in Italia, il 72 per cento". Occorre arrivare ad accordi bilaterali con i vari paesi per "utilizzare la misura alternativa dell’espulsione anche quando i detenuti devono scontare pene inferiore ai due anni", ha detto Bocchio mentre Bonadeo, riferendosi alla figura del "garante dei detenuti" in discussione in consiglio regionale, ha sottolineato che "c’è già. È l’agente di polizia penitenziaria che opera per il recupero del recluso".

Alla crescita esponenziale dei detenuti si contrappone la diminuzione degli agenti, già ampiamente sotto gli organici fermi al 1992. Nei due istituti ne mancano circa 150, con conseguenze sui turni e sulle difficili condizioni in cui si trovano ad operare. Poche settimane fa il personale di San Michele ha sventato il tentativo di evasione di un condannato a trent’anni per omicidio. L’uomo, in cortile per l’ora d’aria, stava scalando un muro interno con una corda rudimentale ed è caduto fratturandosi una gamba. Ma i poliziotti, che si erano accorti di quanto stava accadendo, avevano già fatto scattare la procedura di rito.

Nonostante le difficoltà "il personale sta dimostrando enorme professionalità - ha aggiunto Enrico D’Ambola, vice segretario regionale del Sappe - garantendo sicurezza dentro e fuori le strutture carcerarie". Con tanti stranieri aumentano i problemi anche di comunicazione, i mediatori culturali sono volontari. "Ci tocca fare da assistenti sociali e psicologi. Gli spazi ristretti aumentano le tensioni, noi dobbiamo compensare le carenze del sistema - ha spiegato un agente -. Ma sino a quando riusciremo?".

In due sezioni del San Michele, le celle progettate per una persona ne ospitano tre e al Don Soria cinque-sei invece di tre. "In ospedale dobbiamo fare i piantonamenti in corsia, al pronto soccorso la celletta non viene aperta per mancanza di personale e in tribunale aspettare nei corridoi o in qualche aula libera perché la stanza riservata è senza finestra, in contrasto con la legge 626", ha ricordato il vice segretario provinciale Salvatore Casula. Lavoro pesante in condizioni critiche, straordinari e missioni non pagati, molti agenti dovranno rinunciare alle feste natalizie in famiglia.

Però "qualunque cosa accade all’interno delle carceri la colpa è della polizia penitenziaria. Chiediamo rispetto", ha aggiunto Nicola Sette, segretario regionale del sindacato. E ancora: "Si parla di costruire nuove strutture quando non ci sono i soldi per mettere le tettoie sui passeggi". Sul "problema carceri" venerdì prossimo, giornata nazionale di astensione degli avvocati, e il giorno successivo, a Napoli, convegno dell’Unione Camere penali.

Bolzano: il monito del Vescovo; rispetto e dignità per detenuti

 

Alto Adige, 21 novembre 2009

 

Si fa sempre più acceso in Italia il dibattito sul sistema penitenziario e le sue strutture, da molto tempo sono al centro di forti polemiche, esplose di recente dopo la morte di Stefano Cucchi. Un confronto sul tema si è ormai fatto urgente non solo per quanto riguarda il rispetto integrale della persona, ma anche per la dignità che una società civile deve riconoscere ai suoi cittadini, chiunque essi siano. E ieri è intervenuto il vescovo.

La riflessione complessiva sulla tematica ha spinto il Progetto Odòs (un servizio della fondazione Odar Caritas) a promuovere una serie di iniziative, tra le quali il convegno del 19 e 20 novembre sul tema "Carcere, comunità civile e cristiana". L’evento è stato organizzato per attirare sempre più attenzione verso questo problema, ed in particolar modo, per dare un segnale alla promozione di nuove riforme, come sottolineato dal vescovo della diocesi di Bolzano monsignor Karl Golser: "La morte di Stefano Cucchi deve essere una motivazione per la spinta ad un netto ripensamento del nostro sistema carcerario.

Chi infrange una legge deve pagare, ma questo non deve costare ad un essere umano la perdita della propria dignità. La pena non deve equivalere ad una sopraffazione dell’individuo, bensì ad una sua rinascita civile e spirituale. Solo se il carcere sa coniugare pena e cura possono essere garantiti il cammino di fede ed il recupero della persona". Presenti al convegno anche Peter Brugger, cappellano del carcere di Bolzano, e Anna Rita Nuzzaci, direttrice della casa circondariale di Bolzano, che ha sottolineato come siano numerosi i problemi della struttura del capoluogo: "Sono 150 i detenuti a fronte di 68 posti disponibili.

La costruzione risale ormai all’800, non rispetta i principi base del sistema carcerario e sono poco numerosi gli spazi da dedicare alle attività. La pena non deve ridursi alla restrizione della libertà,per questo abbiamo bisogno di luoghi da dedicare alle cosidette "attività trattamentali", come il lavoro, l’istruzione, la ricreazione, lo sport e la religione, in particolare. Nonostante l’Italia sia uno stato laico, infatti l’importanza della religione nelle carceri e fondamentale poiché portatrice di quei valori che sono alla base dell’animo umano e del cammino che un detenuto deve intraprendere". Il convegno prosegue anche nella giornata odierna presso il centro pastorale accanto al duomo. Una serie di interventi previsti soprattutto per gli addetti ai lavori.

Mantova: la Procura; limitiamo arresti, perché mancano posti

 

Ansa, 21 novembre 2009

 

"Dobbiamo limitare gli arresti perché in carcere non c’è più posto". Ad affermarlo è stato oggi il sostituto procuratore di Mantova Marco Martani conversando con i giornalisti. Il carcere di Mantova attualmente ospita oltre duecento detenuti, nonostante una capienza di circa 120 posti: un sovraffollamento che rischia di creare una situazione esplosiva. Per questo, ha spiegato il pm, "la Procura è costretta ad emettere ordini di custodia cautelare in carcere solo in casi eccezionali, privilegiando le misure alternative".

Giappone: pena morte; gruppo parlamentari vuole moratoria

 

Ansa, 21 novembre 2009

 

La campagna contro la pena di morte in Giappone fa un altro passo in avanti. I parlamentari della Lega per l’abolizione hanno consegnato ufficialmente oggi al ministro della Giustizia, Keiko Chiba, la richiesta di moratoria della pena capitale, proprio all’indomani della decisione della Corte costituzionale russa di provvedere a un suo nuovo congelamento facendo salire le chance di abolizione.

"Crediamo si debba affrontare l’argomento con decisione - ha spiegato all’Ansa Hirotami Murakoshi, segretario della Lega di cui la stessa Chiba era una delle principali promotrici prima di divenire Guardasigilli nel governo di Yukio Hatoyama - avviando una discussione tra la popolazione perché è giusto se ne parli in modo franco senza confondere la democrazia con la demagogia".

Murakoshi, esponente del partito Democratico (DpJ) come il ministro della Giustizia, ha formalmente chiesto passi sulla moratoria da compiere durante il mandato della Chiba, facendosi portatore dei desiderata di 70 parlamentari (il numero è in aumento e già il prossimo mese saremo 6-7 in più) di ogni schieramenti che hanno aderito al gruppo contro la pena di morte. Anche se oltre l’80% della popolazione nipponica, secondo i più recenti sondaggi, è favorevole a che il boia continui ad agire, dobbiamo parlarne fino a ottenere l’abolizione (ci sono un centinaio di detenuti ospitati nel braccio della morte, ndr).

Capisco le resistenze in Giappone. Faccio un esempio, anche mia moglie mi dice: "se succedesse qualcosa di orrendo a tua figlia, come reagiresti?". Ecco, dobbiamo andare necessariamente oltre. Il parlamentare anticipa anche che a giorni avrà un incontro con la delegazione della Comunità di Sant’Egidio - che ha avuto un peso di rilievo nell’approvazione della mozione dell’Onu per la moratoria della pena di morte presentata dall’Italia - a Tokyo dove il 2 dicembre si terrà un importante evento.

Si tratta della conferenza (Riflessioni di vita: prospettive europee e asiatiche sulla pena capitale) promossa dalla Task Force Death Penalty, gruppo lanciato a ottobre 2008 da Francia, Gran Bretagna, Germania, Olanda, Italia e dalle presidenze della Commissione Ceca e Svedese. Parteciperanno Ong attive nel settore e, in base alle ultime indicazioni, anche il ministro dei Servizi finanziari, Shizuka Kamei, altro iscritto alla Lega.

Lavoriamo a un incontro tra la delegazione della Comunità di Sant’Egidio e il ministro Chiba, conclude Murakoshi che non nasconde la soddisfazione per gli ultimi sviluppi. A metà dicembre, inoltre, ci sarà un altro ciclo di iniziative volute da Amnesty International, per alimentare le attese di abolizione generate dalla salita al potere del partito Democratico.

 

 

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