Rassegna stampa 25 marzo

 

Giustizia: 61 mila cittadini detenuti, ma importa a qualcuno?

di Pierluigi Sullo

 

Carta, 25 marzo 2009

 

Un sindacato della polizia penitenziaria annuncia che entro questo fine settimana i detenuti nelle carceri italiane raggiungeranno la cifra di 61 mila. E fanno un esempio: nella casa circondariale di Torino i detenuti effettivi sono 1600, contro una capienza massima teorica di 900. Così, l’ultimo indulto è andato in fumo e le forze politiche che lo avevano votato per poi insultare chi l’aveva votato, cioè quasi tutte, potranno tranquillamente dire agli elettori che la sicurezza del loro quartiere è garantita: oltre alle ronde, e a leggi sempre più feroci, vigila sui bravi cittadini un macchinario poliziesco-giudiziario che spedisce in carcere sempre più gente. Non solo: il sindacato della polizia penitenziaria non mette nel conto i migranti reclusi nei Centri di identificazione ed espulsione, dove possono stare adesso fino a sei mesi senza altra colpa che l’essere senza documenti.

Gli agenti di custodia si arrabbiano perché loro invece sono pochi e fanno troppa fatica: è giusto, a nessun lavoratore di può chiedere di non tutelare le sue condizioni di lavoro. Ma il fatto è che di quanti siano i detenuti, come stanno in carcere, quanti si suicidano [abbiamo un record europeo, in proposito], quanti siano dentro in attesa di essere giudicati o sulla base di colpe minime o dubbie, e spesso solo per il reato di povertà, ecco, di questo non frega niente a nessuno. O quasi. Certo non alle istituzioni e ai partiti politici.

Quale "leader" oserebbe alzare la voce in difesa di questi 61 mila cittadini? Ma nessuno, è ovvio. Adesso anche la crisi, che impoverisce la società, esige la ricerca di un nemico. Vanno bene gli stupratori rumeni, i rom ladri e i delinquenti in genere, in questo ruolo.

Giustizia: a proposito di certi romeni… colpevoli "per forza"

di Stefano Anastasia (Associazione Antigone)

 

www.innocentievasioni.net, 25 marzo 2009

 

Dopo 35 giorni di carcere K. R. è finalmente libero. Già da venti giorni la prova del Dna lo aveva scagionato dall'accusa infamante di essere uno degli autori della violenza sessuale compiuta ai danni di una ragazzina nel parco romano della Caffarella, ma quella evidenza scientifica non era bastata, a chiedergli scusa e a rimetterlo in libertà. Si è inseguito, fino alla nuova sconfessione, il miraggio di un'altra accusa, di una pezza a colori che potesse giustificare la prigionia e la pubblica gogna alla quale era stato sottoposto. Ora, finalmente, il Signor K. è un uomo libero, nonostante quella faccia un po' così, nonostante sia rumeno.

Resta in carcere, invece, almeno per ora, A. L. I., da due settimane in custodia cautelare perché accusato di aver calunniato gli agenti che ne avrebbero raccolto la confessione: in custodia cautelare per una calunnia! Non sappiamo se A. ha veramente calunniato i poliziotti, se non è vero che è stato minacciato e picchiato, se si è inventato tutto, come il primo giorno, quando si sarebbe inventato la calunnia ai danni di K.. Ma se pure fosse: è un motivo per tenere in carcere una persona? da presunto innocente? in attesa di giudizio? Neanche se la calunnia in via di punizione fosse stata - ben più grave! - quella ai danni di K. (quella che è costata a l'uno e all'altro 35 giorni di galera) una simile ritorsione sarebbe stata giustificabile, al di fuori delle equivalenze della legge del taglione. Ma, vi pare, per una calunnia nei confronti della polizia? Neanche all'ultimo dei tossici sarebbe stato riservato un simile trattamento. Ci voleva un pastore rumeno perché il nostro sistema giudiziario raggiungesse questo abisso.

Giustizia: Consolo (Pdl); servono più risorse per nuove carceri

 

Il Tempo, 25 marzo 2009

 

"Se una nomade fermata per furto viene rimessa in libertà non è colpa dei magistrati. Loro applicano le norme. I problemi della giustizia sono altri". Per Giuseppe Consolo, avvocato, deputato del Popolo della Libertà e docente universitario di Istituzioni di diritto Pubblico, i problemi sono fondamentalmente due: "Il primo legato alla nostra legislazione, il secondo alla mancanza di fondi".

 

Dove s’inceppa il sistema?

"S’inceppa tra la prima fase e il giudizio. È un insieme di cose che compromettono la celerità del processo arrivando in alcuni casi a 8, 10 anni".

 

Chi deve rimediare?

"Devono farlo i legislatori utilizzando tutti i rimedi possibili affinché il tempo tra la fase investigativa e giudicante sia sempre più breve. Ed è necessario che sia tutelato sia il diritto dei cittadini ad avere giustizia, sia ad avere un giusto processo".

 

Veniamo a cose più pratiche. Perché le forze dell’ordine spesso e volentieri sono costrette a fermare persone che hanno arrestato pochi giorni prima, magari per lo stesso reato?

"Bisogna intanto premettere che la carcerazione preventiva, nel nostro codice, è un’eccezione. Quindi se non c’è pericolo di reiterazione del reato, inquinamento delle prove e pericolo di fuga, non si va in carcere".

 

I cittadini avvertono molto questo aspetto, e spesso s’indignano.

"C’è poco da indignarsi. I dati ci dicono che nel nostro Paese per il 70 per cento degli imputati i processi si concludono con una sentenza di non colpevolezza. I diritti dei cittadini vanno tutelati. L’esempio di Racz, il romeno che era stato fermato per lo stupro della Caffarella è un esempio eloquente dei rischi che si correrebbero abusando della carcerazione preventiva".

 

In che situazione sono ora le carceri?

"Sono piene. Il numero dei detenuti è arrivato a quota 60mila. Se per tutte le persone fermate per reati di lieve entità i giudici applicassero la custodia cautelare in carcere gli istituti scoppierebbero".

 

Il numero dei rimpatri di clandestini è ancora basso, perché?

"Ove ricorrano le condizioni per il rimpatrio dovrebbero essere assolutamente rispettate. Ma il problema è a livello internazionale. I paesi d’origine non se li riprendono. Spesso hanno commesso reati di cui la giustizia italiana non è a conoscenza. Del resto è già così difficile riuscire a identificarli". In che direzione bisogna muoversi per risolvere quest’impasse? "Bisogna stipulare trattati internazionali".

 

Per accorciare i processi servono soldi. Ci sono?

"Se si pensa ai 200milioni di euro l’anno che lo Stato spende per le intercettazioni viene da rispondere sì. Ma il ministro Alfano non ha la bacchetta magica". Ma servono anche per costruire nuove carceri. "Non solo. Bisogna creare strutture adeguate alla funzione rieducativa della pena. Mi viene in mente l’incremento del numero degli psicologi e degli asili nido per le detenute che hanno dei bambini". Un problema reale, se si pensa, per esempio, alle donne che compiono reati lievi. Non c’è il rischio che i giudici, vista la situazione, tendano a non complicare le cose allo Stato e ad essere più clementi? "È quello che bisogna evitare. La certezza della pena dipende anche dalla capacità del sistema giudiziario di affrontare esigenze di questo tipo".

Giustizia: Ronchi; per i violentatori, l’ergastolo e l’espulsione

 

Il Tempo, 25 marzo 2009

 

Stop ai latitanti romeni in Italia. Seduto nel salotto dell’aereo che lo sta portando in missione a Bucarest, Andrea Ronchi studia e ristudia i suoi appunti. Stavolta serve trovare un accordo concreto. Bisogna passare dalle parole ai fatti. "Voglio un impegno preciso - dice il ministro per le Politiche europee accavallando le gambe - La cooperazione con la Romania deve passare dalla teoria alla pratica, perché è arrivato il momento di dimostrare che si lavora per la sicurezza dei nostri cittadini".

Si ferma. Poi riparte, stuzzicandosi con le dita il braccialetto tricolore che tiene sempre al polso destro, e ribadisce: "Dei nostri cittadini". Non è un caso se il motivo principale del viaggio è convincere Bucarest che i suoi abitanti condannati in via definitiva in Italia devono scontare la pena a casa loro.

"Ho fatto approvare un emendamento che mette nero su bianco proprio questo concetto. E domani (oggi, ndr) voglio dei tempi, delle risposte. Voglio che a quelli della Caffarella, quelli dello stupro, sia data la massima pena. E l’ergastolo lo dovranno scontare in Romania".

Sembra deciso ad andare in fondo Ronchi. Parla sbattendo il palmo della mano sul tavolo dell’Airbus. Si stringe il nodo della sua cravatta blu a pois rossi. Poi di nuovo si sfrega le mani. "Noi dobbiamo garantire la legalità. E per fare questo bisogna intensificare la collaborazione tra i due Stati.

A breve verrà anche Roberto Maroni qui. Prima che qualcosa di grosso esploda dobbiamo lavorare su due fronti: reprimere gli atti criminali e collaborare, collaborare, collaborare". Ci si mette anche una breve turbolenza a rendere ancora più seriosa la conversazione. Oggi Ronchi, che sarà il primo dei rappresentanti del governo italiano a far visita al nuovo esecutivo romeno, starà attento anche a rafforzare i legami economici.

Ci sono dodici miliardi di euro in interscambi da salvaguardare. In Romania l’Italia ha 26.800 imprese, dà lavoro a ottocentomila romeni. "Ma oltre a questo, e prima di questo, dobbiamo scardinare il sistema di illegalità", spiega. Sono infatti 2.700 i romeni detenuti nella Penisola. Si accende la spia delle cinture di sicurezza, Bucarest è a un passo.

Stamani Ronchi vedrà il suo omologo Vasile Puscas, il ministro degli Esteri Cristian Diaconescu e quello dell’Ambiente Nicolae Nemirschi. Si parlerà di questo e di numeri, troppo a sfavore dell’Italia. Il quaranta per cento dei latitanti romeni è nel nostro Paese. "Devono scontare la pena a casa loro - ripete senza sosta - Io me ne vado solo quando avrò delle risposte". Ronchi atterra in Romania.

Giustizia: operatori di sanità penitenziaria, solo il 10% assunti

 

Redattore Sociale - Dire, 25 marzo 2009

 

Assunti a tempo indeterminato solo 500 operatori su 5 mila in tutta Italia. Cgil Lombardia: "Gli altri sono precari a tutti gli effetti. Serve un segnale di cambiamento".

Solo il 10% degli operatori coinvolti nell’assistenza sanitaria in carcere (medici, infermieri e psicologi) ha un contratto a tempo indeterminato: solo 500 operatori su 5 mila in tutta Italia. "Gli altri sono precari a tutti gli effetti - spiega Alberto Villa, segretario per la Funzione pubblica della Cgil Lombardia -.

Serve un segnale di cambiamento, i rapporti di lavoro devono essere strutturati per avere una migliore qualità delle prestazioni". Una situazione che le Regioni hanno ereditato dal ministero della Giustizia a seguito del trasferimento delle competenze relative all’assistenza sanitaria nelle carceri al Servizio sanitario nazionale.

"Il ministero - spiega Alberto Villa - ha fatto delle scelte di non investimento, mantenendo queste tipologie di lavoro attraverso incarichi e consulenze. Chiederemo alla Regione Lombardia di affrontare il problema, per una politica occupazionale adeguata".

Il problema del precariato sarà uno dei temi al centro del convegno organizzato dalla Funzione pubblica della Cgil Lombardia "Salute e diritti negli istituti di pena in Lombardia" durante il quale verrà presentata la "Carta dei diritti" della Fp Cgil sulle tematiche della sanità nei penitenziari. "Vogliamo mettere al centro del dibattito temi quali la sicurezza sul luogo di lavoro, ma anche garantire il diritto costituzionale alla salute per le persone che si trovano in carcere", aggiunge Alberto Villa. Il convegno si svolgerà domani, mercoledì 25 marzo (ore 9-13) presso la sala Auditorium del Consiglio regionale della Lombardia (via Fabio Filzi, 29).

Giustizia: Maroni; a Roma reati in calo, ma c’è allarme usura

di Davide Desario

 

Il Messaggero, 25 marzo 2009

 

A Roma e provincia i furti e le rapine sono diminuite del 28% soprattutto grazie al potenziamento dei sistemi di difesa passiva. Uno su tutti l’utilizzo delle telecamere a protezione di case, negozi e sedi istituzionali. Il dato, relativo al 2008 rispetto al 2007, è stato fornito direttamente dal Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che ieri pomeriggio ha partecipato, insieme al prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, alla giunta dell’Unione Industriali e delle Imprese di Roma al termine della quale la Uir ha presentato un imponente progetto che prevede lo sviluppo della fibra ottica per migliorare la qualità della vita, la competitività delle imprese e in particolar modo la sicurezza della città. Ma alla buona notizia sulla diminuzione dei reati si contrappone l’allarme usura nella Capitale che ha portato il Viminale a estendere anche al Lazio la possibilità di accedere al fondo di prevenzione per le vittime dell’usura.

Roma più digitale e più sicura. Cinque anni di lavori al termine dei quali Roma sarà l’unica città italiana ad essere provvista di una cablatura integrale del territorio cittadino grazie all’estensione della rete della banda larga. Punta sullo sviluppo delle infrastrutture tecnologiche l’Unione degli Industriali e delle Imprese di Roma per il rilancio dell’economia della capitale, le aziende che compongono l’associazione infatti hanno deciso di mettere sul piatto un investimento da circa 600 milioni di euro in 5 anni (300 nei primi tre anni e 300 nei due successivi) per dare vita al progetto "Roma Digitale". I lavori per l’installazione delle fibre ottiche finalizzati ad estendere banda larga e larghissima della capitale partiranno a giugno e in tre anni si dovrebbe arrivare a coprire tutta la superficie cittadina all’interno del Grande Raccordo Anulare.

Un imponente infrastruttura che permetterà numerose applicazioni dai servizi di infomobilità, alla scuola, alla sanità ma soprattutto, alla sicurezza.

In chiave sicurezza, infatti, il progetto creerà le condizioni per l’installazione di un maggior numero di strumenti di sicurezza passiva, con il probabile raddoppio del numero di telecamere per il controllo del territorio. "Inizialmente il progetto riguarderà 10 aree nel centro storico della capitale - ha spiegato il vicepresidente della Uir, Stefano Pileri - come le piazze principali, le sedi istituzionali, i luoghi ad alta concentrazione di persone e quelli in prossimità degli impianti sportivi".

E il presidente Aurelio Regina ha sottolineato: "La questione sicurezza è entrata a pieno titolo nelle esigenze dei cittadini e degli imprenditori. Il mondo delle infrastrutture digitali è uno dei temi portanti dello sviluppo futuro di Roma. Vogliamo limitare al minimo i disagi per i cittadini, al Comune abbiamo chiesto solamente la concessione per fare scavi ecologici per realizzare le tracce in cui far passare le fibre ottiche".

L’ok di Maroni. "Un’iniziativa coerente con il piano del governo". Questo il primo commento del ministro dell’Interno Roberto Maroni al piano di videosorveglianza che gli è stato presentato dalla Uir. Maroni ha espresso apprezzamento per l’iniziativa ritenendola, "importante per l’investimento e per le ricadute sulla sicurezza". Un giudizio che il ministro ha spiegato con i numeri: "Le statistiche hanno provato che dove vi sono sistemi di sicurezza passiva i reati diminuiscono.

Nel 2008, rispetto all’anno precedente, a Roma e provincia si è registrata una flessione dei reati del 27% e in particolare, per quanto riguarda furti e rapine di un -28%, grazie a investimenti sulla sicurezza passiva, all’impiego dei militari e a un maggiore controllo del territorio". Per il ministro dell’Interno, dunque, "l’investimento tecnologico per la sicurezza del territorio è uno dei pilastri dell’azione di governo" e un progetto come quello presentato oggi dall’Unione degli industriali romani, "viene visto dal ministro e dal prefetto con grandissimo interesse".

Allarme usura. Il rischio usura, si sa, cresca con l’aggravarsi delle crisi economiche quando aumentano le difficoltà di famiglie e imprenditori e diminuisce la possibilità di accedere al credito regolare. Tanto più in realtà grandi e complesse. "Purtroppo a fronte di indicazioni di un crescente numero di casi di usura - ha detto Maroni - registriamo un basso numero di denunce e di richieste di accesso delle vittime al fondo di prevenzione".

E ha concluso: "A Roma e nel Lazio si concentrano gli interessi di tutte le organizzazioni criminali italiane e abbiamo quindi deciso di estendere al Lazio la possibilità di accedere al fondo di prevenzione per le vittime di usura, destinato alle quattro regioni tradizionalmente più interessate dal fenomeno (Campania, Sicilia, Calabria e Puglia ndr)".

Giustizia: Amnesty; pena di morte, il fine è sempre l’abolizione

di Virginia Solazzo (Ufficio Comunicazione Amnesty International)

 

Aprile on-line, 25 marzo 2009

 

Con l’adozione da parte dell’Onu di una seconda risoluzione, nel dicembre 2008, per una moratoria, il mondo ha fatto importanti passi avanti. Ma l’obiettivo resta sempre quello di fermare la mano del boia in modo definitivo. Lo ricorda Amnesty nella presentazione del suo dossier

Con l’adozione da parte dell’Assemblea generale dell’Onu di una seconda risoluzione, nel dicembre 2008, per una moratoria sulla pena capitale, il mondo ha fatto importanti passi avanti verso l’abolizione della pena capitale.

Oggi in due terzi del pianeta non vi si ricorre più e questo dimostra l’accresciuta consapevolezza che è una punizione estrema e inconciliabile con il rispetto dei diritti umani.

Nonostante questi sviluppi positivi, il traguardo di un mondo libero dalla pena capitale è ancora lontano. Nel suo rapporto "Condanne a morte ed esecuzioni nel 2008", Amnesty International ha sì documentato che solo 25 dei 59 paesi mantenitori hanno eseguito condanne nello scorso anno, ma ha anche denunciato che tra gennaio e dicembre sono state messe a morte almeno 2390 persone ed emesse almeno 8864 condanne alla pena capitale in 52 paesi.

Amnesty International ha riscontrato in Asia il maggior numero di esecuzioni: nella sola Cina, che insieme ad Afghanistan, Bangladesh, Corea del Nord, Giappone, Indonesia, Malaysia, Mongolia, Pakistan, Singapore e Vietnam ricorrere alla pena di morte, hanno avuto luogo 1718 esecuzioni.

Il secondo maggior numero, 508, è stato registrato nell’area Africa del Nord - Medio Oriente: tra le 346 persone messe a morte in Iran, con metodi quali l’impiccagione e la lapidazione, anche otto minorenni al momento del reato. In Arabia Saudita, le esecuzioni sono state almeno 102, solitamente tramite decapitazione pubblica seguita, in alcuni casi, dalla crocifissione.

Nel continente americano solo gli Usa sono ricorsi con regolarità alla pena di morte, con 37 esecuzioni; l’unico altro paese in cui sono state eseguite condanne a morte è stato Saint Christopher e Nevis, il primo dell’area caraibica ad aver ripreso le esecuzioni dal 2003.

L’Europa sarebbe una zona libera dalla pena di morte se non fosse per la Bielorussia, dove le condanne vengono eseguite con un colpo di pistola alla nuca.

Passi positivi ha fatto registrare l’Africa sub-sahariana, dove sono state eseguite solo due condanne a morte, anche se le sentenze capitali emesse sono state almeno 362, e la Liberia ha reintrodotto la pena capitale per i reati di rapina, terrorismo e dirottamento.

In linea con gli anni precedenti, numerose condanne a morte sono state emesse al termine di processi iniqui, spesso basati su confessioni estorte con la tortura.

In alcuni stati, quali Bielorussia, Mongolia e Corea del Nord, le condanne sono eseguite in assoluta segretezza e senza alcuna trasparenza; in altri, come il Giappone, i detenuti sono sottoposti a condizioni di detenzione particolarmente dure e vengono informati dell’esecuzione poche ore prima di essere messi a morte.

Il Rapporto di Amnesty International dimostra ancora una volta che la pena di morte è una punizione crudele, inumana e degradante, che viola il diritto alla vita, che comporta l’elevato rischio di mettere a morte degli innocenti. È una violazione dei diritti umani, non ha alcun effetto deterrente e il suo sproporzionato contro persone povere, emarginate e oppositori politici costituisce un grave atto di discriminazione.

Amnesty International chiede ancora una volta al mondo di combattere la pena capitale, di fare pressioni su Cina, Iran, Arabia Saudita, Pakistan e Stati Uniti d’America, i cinque paesi che hanno fatto registrare il 93 per cento delle esecuzioni su scala mondiale nel 2008, affinché si possa finalmente non dover più parlare di decapitazioni, sedie elettriche, impiccagioni, iniezioni letali, fucilazioni e lapidazioni.

Giustizia: Corte Strasburgo; no ad espulsioni tunisini da Italia

 

Apcom, 25 marzo 2009

 

Secondo la Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo, l’espulsione dall’Italia di cittadini tunisini sospetti di attività terroristiche comporterebbe il rischio per gli espulsi di essere torturati al loro ritorno in patria, e violerebbe dunque il diritto internazionale applicabile. Una tale espulsione sarebbe infatti contraria all’art.3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti, hanno concluso oggi all’unanimità di giudici di Strasburgo.

La decisione riguarda otto cittadini tunisini che, dopo la notifica dell’espulsione, avevano inoltrato due ricorsi nel 2006 e nel 2007, paventando il rischio di tortura nel caso che la fosse stata eseguito l’ordine giudiziario nei loro confronti. La Corte di Strasburgo ha evocato numerose fonti internazionali che hanno documentato molteplici casi di tortura e di maltrattamenti inflitti in Tunisia ai sospetti di attività terroristiche. Una tesi, questa, confermata dal rapporto 2008 di Amnesty International sulla Tunisia, che non è stata smentita neanche dalle visite del Comitato internazionale della Croce rossa nei luoghi di detenzione del Paese nordafricano.

Quanto alle rassicurazioni italiane sul trattamento dei detenuti in Tunisia, i giudici della Corte di Strasburgo le hanno respinte notando che provenivano da fonti diplomatiche tunisine. L’Italia era già stata condannata dalla Corte per aver espulso verso questo paese nordafricano un cittadino tunisino vicino agli estremisti islamici, Essid Sami Ben Khemais, dopo che i giudici di Strasburgo avevano chiesto a Roma di rinunciare a dare esecuzione al provvedimento, nel 2007. E nel dicembre 2008, l’Italia ha rimpatriato un altro tunisino, l’ex imam Mourad Trabelsi, malgrado un’ordinanza contraria della stessa Corte.

Giustizia: il 25% dei detenuti è positivo al test della tubercolosi

 

Apcom, 25 marzo 2009

 

La tubercolosi, insieme all’Hiv e alle epatiti virali è tra le malattie più diffuse in carcere. Gli ultimi dati sulla presenza di questa e delle altre patologie dietro le sbarre sono della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria. La Società ha stimato che sulla popolazione presente nelle carceri a settembre scorso (55.960 persone), erano circa 3mila i detenuti affetti ha Hiv e ben il 15% erano in fase di Aids conclamata; il 38 per cento dell’intera popolazione detenuta era colpita dall’epatite virale da Hcv e il 25 % era positivo al test per l’infezione da tubercolosi.

Giustizia: Luigi Pagano verso la nomina a Vice Capo del Dap

 

Ansa, 25 marzo 2009

 

Il provveditore regionale alle carceri della Lombardia, Luigi Pagano, potrebbe affiancare Franco Ionta nella gestione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. È quanto appreso dalla Voce da ambienti del dicastero di via Arenula vicini al Guardasigilli Angelino Alfano. L’ex direttore di San Vittore, informato della notizia, si è limitato a dirsi "onorato" per la proposta.

Velletri: muore suicida detenuto 24enne, con disagio psichico

 

Ansa, 25 marzo 2009

 

Si è ucciso impiccandosi all’interno di una cella del carcere di Velletri. È morto così un detenuto 24enne con disagio psichico, Giuliano D. L’episodio - avvenuto lo scorso 8 marzo - è stato riferito dal Garante regionale dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni.

A quanto appreso dal collaboratori del Garante il giovane aveva già tentato a più riprese di togliersi la vita utilizzando lamette da barba e lacci di scarpe sequestrati dalle Autorità carcerarie. Nato a Colleferro nel 1985 Giuliano D. aveva problemi con la giustizia e viveva in un profondo stato di depressione.

In carcere per furto, inizialmente era stato sottoposto ad attenta osservazione in una "cella liscia" priva di ogni oggetto che potesse ferirlo. Successivamente era stato trasferito in isolamento in una cella con un altro recluso che aveva iniziato a prendersi cura di lui. Due giorni prima del decesso Giuliano aveva avuto un colloquio con un collaboratore del Garante.

L’8 marzo, si è ucciso impiccandosi nella sua cella. Per mettere in atto il suo gesto non aveva lasciato nulla di intentato, nascondendo anche alcune lamette nel sapone per aggirare i controlli giornalieri e impedendo agli altri detenuti di intervenire chiudendosi all’interno della sua cella.

"Questa morte ripropone, con drammatica forza, il problema dei detenuti con problemi psichici in carcere - ha detto il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni - Il carcere è una realtà complessa che, soprattutto per i più deboli, può rendere insormontabili i piccoli problemi di ogni giorno.

In questo caso, poi, è chiaro che le patologie psichiatriche non possono essere gestite solo con il carcere e con il massiccio uso di farmaci. Non vorrei che, parlando sempre più di sovraffollamento, passasse in secondo piano che chi è in carcere è titolare di diritti, come quello alla salute, che non possono essere sospesi".

Trapani: intervista a don Stefano, cappellano alla Favignana

di Roberto Puglisi

 

www.livesicilia.it, 25 marzo 2009

 

"Un inferno? Non so, dal punto di vista della struttura, certo, le perplessità non mancano".

Don Stefano Vesentini, veneto, quarant’anni, è cappellano del carcere di Favignana da un anno e mezzo. È un valoroso religioso veneto dell’ordine dei Canossiani. Sull’isola si occupa di pastorale giovanile e delle anime che finiscono dietro le sbarre. Il sacerdote di una prigione con le celle a un passo dall’acqua di mare non può occuparsi soltanto di anime immortali e di Ave Maria. Nel suo mandato ci sono anche i corpi. I corpi che urlano, bestemmiano e si dimenano in un cimitero isolato da sepolti vivi. È stato l’ufficio del garante per i diritti dei detenuti a inserire Favignana nel circuito degli istituti "carogna", da chiudere immediatamente. Si parla di corridoi all’aperto che accolgono uomini nudi in attesa della doccia, col caldo e col freddo. Claudio, un ex ospite 35 enne, ha raccontato in una lettera gli orrori della prigione. Un luogo che sembra costruito apposta per spingere alla disperazione. E, come accade in ogni inferno, il cartello che invita a lasciare la speranza, come un cappotto all’ingresso, è la prima cosa che si intuisce. Anche se non si vede.

 

Padre Stefano, ci parli dell’inferno di Favignana.

"La struttura è quella che è. Inutile negarlo, lascia perplessi. È vecchia ed è impossibile stare bene lì sotto".

 

E poi?

"Però la gestione dei rapporti è corretta. Mi pare il vero elemento di recupero della situazione. In un anno e mezzo ho registrato in clima di attenzione e di accompagnamento che, magari, in altri posti non c’è".

 

Ci descriva le condizioni degli ospiti.

"Su circa novanta detenuti, cinquanta sono stranieri. La maggior parte degli stranieri è lì per spaccio. Non mancano i reati gravi, come l’omicidio".

 

E lei che fa?

"Io devo dimenticare che parlo con persone che hanno commesso reati. Ascolto. Si crea una buona affinità umana".

 

Cosa le dicono?

"Esprimono bisogni elementari, la telefonata, i rapporti familiari. Ci sono i momenti di crisi".

 

Quando capitano?

"Soprattutto quando arriva la sentenza".

Milano: accordo con il Comune; detenuti al lavoro per l'Expo

 

Redattore Sociale - Dire, 25 marzo 2009

 

L’assessore Moioli: "Prima c’erano solo singoli progetti. Da oggi un rapporto costante fra le istituzioni per ampliare le occasioni di lavoro, anche in previsione dell’Expo".

Accordo fra comune e carceri milanesi di San Vittore, Bollate e Opera per l’inserimento lavorativo dei detenuti. "Prima c’erano solo singoli progetti - spiega Mariolina Moioli, assessore alle politiche sociali -. Da oggi un rapporto costante fra le istituzioni per ampliare le occasioni di lavoro, anche in previsione dell’Expo". L’accordo è stato firmato questa mattina, oltre che dall’assessore Moioli, da Luigi Pagano, provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, e da Giovanni Terzi, assessore alle Attività produttive e alle politiche del lavoro. Nel 2008 il comune di Milano ha erogato 110 borse lavoro per l’inserimento dei detenuti in aziende milanesi. Sono 24 inoltre quelli che hanno lavorato come per l’Amsa (l’azienda municipalizzata per la raccolta dei rifiuti) e dal panificio del carcere di Opera ogni giorno vengono sfornati 700 chili di pane destinate alle mense scolastiche e a quelle delle case di riposo gestite dal comune. "Vogliamo aumentare il numero di detenuti che lavorano, perché questo permette un loro reinserimento sociale e quindi un vantaggio per tutta la collettività".

Monza: nuova stamperia del carcere farà manifesti elettorali

di Simona Elli

 

Mb News, 25 marzo 2009

 

Una stamperia all’avanguardia nel carcere di Monza per offrire un percorso di formazione e una possibilità di lavoro sia all’interno, sia una volta conclusa la pena. L’hanno voluta e inaugurata ieri mattina il sindaco di Albiate Filippo Viganò, presidente dell’assemblea dei sindaci dell’Asl Mi3, gli assessori di Monza Stefano Carugo (Servizi sociali) e Pierfranco Maffè (Scuola e formazione). Insieme, il direttore del carcere Massimo Parisi, la cooperativa Monza 2000 e i volontari attivi in carcere. Si tratta di un nuovo laboratorio aperto all’interno delle mura di San Quirico dove è già attiva una falegnameria che realizza mobili per alcuni enti e imprese della zona.

La stamperia ha richiesto un investimento di 15mila euro per l’acquisto della strumentazione tecnologicamente avanzata in grado sia di produrre materiale in quantità e di ottima qualità, sia di risultare economicamente vantaggiosa.

"La nuova stamperia - precisa l’Assessore Carugo - l’unica in Lombardia all’interno di un carcere, ha una doppia valenza: imprenditoriale e sociale. Per questo invitiamo, come primi clienti, i prossimi candidati, in particolari quelli della provincia di Monza e Brianza ad avvalersi dell’impianto e del personale del carcere per la stampa del materiale promozionale". Il Comune di Monza, assicura Pierfranco Maffè "si avvarrà di questa stamperia per produrre parte del materiale utilizzato nelle campagne di comunicazione. Stiamo pensando di far produrre ai detenuti anche il materiale per gli istituti scolastici". Con un corso di formazione di tre settimane i detenuti, per ora quattro, saranno capaci di offrire anche una consulenza grafica ai futuri clienti.

Resta però aperta la questione del sovraffollamento della struttura che può contenere un massimo di 650 persone e che ha raggiunto invece gli attuali 830 detenuti, di cui il 57% extracomunitari. Un boom registrato negli ultimi mesi."Ci sono tre persone per cella - spiega il direttore Massimo Parisi - Per questo abbiamo acquistato brande pieghevoli e tolto gli sgabelli bullonati in modo che di giorno ci sia più spazio". Pare che il maggior numero di detenuti arrivati in via San Quirico sia da addebitarsi al giro di vite sulle violenze contro le donne sull’aumento dei controlli della clandestinità.

 

I candidati alle elezioni usino la stamperia del carcere

 

I politici diano lavoro alla stamperia del carcere. Inaugurata stamattina nel carcere di via Sanquirico potrebbe essere utilizzata dai candidati alle prossime elezioni per manifesti e volantini. L’appello viene dall’Assessore alle Politiche Sociali Stefano Carugo. "La nuova stamperia - precisa Carugo - l’unica in Lombardia all’interno di un carcere, ha una doppia valenza: imprenditoriale e sociale. Invitiamo quindi i candidati alle prossime elezioni ad avvalersi dell’impianto e del personale del carcere per la stampa del materiale promozionale. Potrebbe essere un buon esempio che giunge dal mondo politico, senza dimenticare che i costi sono certamente competitivi". "Il Comune di Monza - dice l’Assessore alla Comunicazione Pierfranco Maffè - potrebbe avvalersi della stamperia per produrre parte del materiale utilizzato nelle campagne di comunicazione dell’Amministrazione, in particolare per volantini e locandine. Possiamo anche pensare di far produrre dai detenuti il materiale informativo degli istituti scolastici di ogni ordine e grado". L’attività lavorativa durante il periodo di reclusione è considerata una modalità vera e concreta di recupero dei detenuti. I dati parlano chiaro: il tasso di recidività degli ex detenuti del carcere di Monza che hanno lavorato presso la falegnameria dell’istituto è, infatti, pari a zero. Attualmente le persone recluse nella casa circondariale di via Sanquirico sono 830, il 57% dei quali stranieri. Quelle che dovrebbero lavorare nella stamperia sono un paio.

Milano: da San Vittore e Opera cento detenuti verso Bollate

 

Ansa, 25 marzo 2009

 

"La settimana prossima apriamo Bollate bis". Lo ha annunciato il provveditore alle carceri lombarde, Luigi Pagano, a margine della presentazione a palazzo Marino del protocollo d’intesa con il Comune per la promozione del lavoro dei detenuti delle carceri milanesi nella realizzazione dell’Expo. Dopo i problemi di apertura della nuova sezione a Bergamo e al nuovo penitenziario di Bollate per mancanza di personale, denunciati nelle scorse settimane, Pagano ha spiegato che "riusciamo ad aprire Bollate. La prossima settimana arriveranno un centinaio di detenuti da San Vittore e da Opera, e a regime saranno 400". Restano invece i problemi per l’apertura della struttura a Bergamo: "Abbiamo dovuto fare una scelta", ha spiegato Pagano.

Porto Azzurro: incontri con i detenuti sul diritto previdenziale

 

Il Tirreno, 25 marzo 2009

 

Nell’ambito del progetto "Processi riabilitativi e prevenzione del disagio sociale" ideato dal Circolo Interculturale Samarcanda e finanziato dal Cesvot nella Casa di Reclusione di Porto Azzurro si sono svolti alcuni incontri con gruppi di detenuti sul "Diritto previdenziale".

Il progetto iniziato a gennaio prevede una serie di incontri su Diritto penitenziario, Diritto previdenziale, Previdenza assistenziale, preparazione al fine pena, Credito e servizi bancari, cinema e comunicazione Visiva) e andrà avanti, con cadenza settimanale, per tutto il 2009. Si articola in una serie di iniziative con vari gruppi di detenuti, obiettivo raggiungere un arricchimento culturale su argomenti specifici e una maggiore relazione tra struttura penitenziaria e società civile esterna.

Protagonista degli incontri di Diritto previdenziale Renzo Fabiani, un veterano in questo settore per l’attività svolta per circa 35 anni nel patronato Cgil. Fabiani, oggi in pensione, non è nuovo a questi incontri. Già in passato infatti nella struttura carceraria ha avuto compiti di patrocinio per particolari situazioni di singoli detenuti. Fabiani, questa volta in veste di volontario del circolo interculturale Samarcanda, ha suscitato notevole interesse per i temi trattati: previdenza e sua funzione, contribuzione, pensione, disoccupazione, malattia, infortunio.

Ci sono state molte richieste e chiarimenti dei partecipanti, titolari di problemi di complessa particolarità. Ad alcuni quesiti personali, Fabiani ha dato subito delle risposte, per altri si è riservato di accertarne la situazione agli enti pubblici competenti programmando altri incontri. Questa nuova esperienza ha evidenziato la necessità di creare un servizio continuativo all’interno della struttura carceraria per far conoscere e garantire i diritti previdenziali spettanti.

Padova: Albert Adrià incontrerà i pasticceri del "Due Palazzi"

 

Redattore Sociale - Dire, 25 marzo 2009

 

Il pasticcere più famoso del mondo entra in carcere per degustare la Colomba prodotta nel laboratorio della casa di reclusione. L’appuntamento è per venerdì 27.

Il pasticcere più famoso del mondo entra in carcere. Succede a Padova, all’interno delle mura del Due Palazzi che, dopo i Blues Brothers a dicembre, si preparano ad accogliere ora un altro personaggio celebre. L"appuntamento è per venerdì 27, quando Albert Adrià incontrerà i maestri pasticceri e degusterà la famosa Colomba prodotta dai detenuti del laboratorio di pasticceria della casa di reclusione.

"Quello che avverrà in carcere è l’incontro di due innovazioni - commenta Nicola Boscoletto, presidente della cooperativa Giotto che da sempre gestisce il laboratorio del Due Palazzi -, quella inarrivabile del maestro spagnolo in campo enograstronomico e quella dei detenuti in campo sociale attraverso percorsi lavorativi estremamente efficaci. È l’incontro tra due esperienze cariche di passione, quella del pasticcere sperimentatore noto in tutto il mondo, sempre teso a nuovi traguardi, e la passione dei pasticceri per caso e quasi sconosciuti di via Due Palazzi, che attraverso quel lavoro sperano di riprendere in mano il filo della loro vita e di un nuovo rapporto con i familiari e il mondo esterno".

Albert Adrià è un pasticcere di fama mondiale e direttore creativo accanto al fratello Ferran del ristorante più famoso del mondo, lo spagnolo el Bulli. Il programma completo della sua visita padovana prevede alle 10 una Lectio magistralis dedicata agli studenti delle scuole alberghiere di Padova e provincia nella cornice del Pedrocchi, trasferimento poi alle 12 nel carcere con degustazione della colomba e di nuovo al Pedrocchi per l’anteprima mondiale "La colomba di Giotto 2009" e la presentazione del libro "Natura". Sono oltre quaranta ricette della tradizione del ristorante più accreditato al mondo contenute nella pubblicazione, oltre ad alcune nuove proposte frutto della ricerca costante dei fratelli Adrià.

Immigrazione: bimba rom ha tubercolosi, a scuola una rivolta

di Bianca De Fazio

 

La Repubblica, 25 marzo 2009

 

Una bambina rom di nove anni finisce in ospedale perché colpita dalla tubercolosi. Un caso lieve e, secondo i medici, con scarse possibilità di contagio, ma nella sua scuola scoppia la psicosi. I genitori degli altri alunni, preoccupati, si lasciano prendere la mano dalla paura. E si scagliano contro la scuola, colpevole, secondo loro, di accogliere i rom. Sono quattro o cinque, in tutto l’istituto: tra loro c’è la piccola colpita dalla tbc.

Una manifestazione di razzismo contro i nomadi accaduta nel pieno centro di Napoli, a Mergellina, dove ha sede la succursale dell’Istituto comprensivo Fiorelli, che ospita materna, elementari e medie. Diagnosticato il caso di tubercolosi, l’ospedale pediatrico Santobono ha allertato l’Asl, e sono partiti i controlli. Su 21 scolari di quarta elementare - i compagni di classe della bimba malata - è stato avviato uno screening. Un test, al quale sono state sottoposte anche le insegnanti della classe, i cui risultati saranno resi noti oggi. E ieri, saputa la notizia, decine di genitori delle altre classi hanno preso d’assalto la scuola per portare via i loro figli. Su 200 alunni delle elementari e 50 della materna, nelle aule non è rimasto quasi nessuno.

"Le mamme e i papà sono entrati spintonando i bidelli che cercavano di fermarli - racconta il personale dell’istituto - Si sono precipitati nelle aule, seminando il panico anche tra i bambini. E hanno portato via i figli". Anche la dirigente della Fiorelli, Maria Cristina Palmiero, che si era precipitata nella succursale per riportare la calma, è stata aggredita. Contro di lei, e contro la scuola, le grida di quanti temono per la salute dei propri ragazzi. "Molti genitori - raccontano bidelli e insegnanti - non si sono fatti scrupolo di usare espressioni razziste e di chiedere l’allontanamento dei nomadi".

Nella scuola è accorsa anche l’assessore comunale all’Educazione, Gioia Rispoli. Ma non è servito a placare gli animi. Alcuni genitori hanno fatto rotta sull’Asl. "Si tratta di un allarme ingiustificato" ha spiegato loro Giorgio Napoletano, responsabile della Pneumologia della Asl Napoli 1. La bambina colpita dalla tubercolosi non è infettiva né contagiosa, hanno ribadito i medici, che hanno già sottoposto al test i familiari della piccola, e non hanno riscontrato altri casi di tbc. "Episodi del genere - commenta il direttore scolastico regionale, Alberto Bottino - sono il segno di una degenerazione civile: salute e istruzione non si negano a nessuno. E non è questione di passaporti".

Gran Bretagna: troppa droga nelle carceri scozzesi, è allarme

 

Ansa, 25 marzo 2009

 

Dati ufficiali rivelano che i sequestri di droghe nelle carceri scozzesi è cinque volte superiore alla media. Tra gennaio 2008 e marzo 2009 ci sono stati 2.122 sequestri.

Per Annabel Goldie, del partito Conservatore, il problema è peggiorato negli ultimi cinque anni, e le carceri sono adesso "inondate" dalle droghe.

I dati sono stati pubblicati su richiesta della parlamentare, che ha commentato: "È incredibile la quantità di droga trovata nelle carceri negli ultimi cinque anni. I numeri sono raddoppiati. Nel 2003 i sequestri erano 2,3 al giorno, negli ultimi anni sono stati più del doppio. È inaccettabile che nelle nostre prigioni ci sia così tanta droga".

I Conservatori hanno proposto che all’interno degli istituti penitenziari ci siano delle aree in cui i detenuti possano andare se intenzionati a disintossicarsi.

"Dobbiamo aiutarli a disintossicarsi, invece di farli stare in luoghi dove non solo c’è droga, ma anche in abbondanza", ha aggiunto la Goldie, che chiede pene più severe per gli spacciatori all’interno delle strutture. "I colloqui dovrebbero avvenire dietro schermi di vetro, così da impedire ogni contatto tra i detenuti e i visitatori".

Il portavoce del Governo ha dichiarato che nelle prigioni è già stato dimezzato l’uso dei cellulari, usati spesso per gestire i traffici all’interno. "Il Governo è impegnato nella lotta alle droghe con la politica della tolleranza zero per i consumatori e gli spacciatori. Investimenti sono stati fatti per nuove tecnologie in grado di individuare lo spaccio di droghe".

 

 

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