Rassegna stampa 23 marzo

 

Giustizia: paure metropolitane; la precarietà prima del crimine

di Gianfranco Quaglia

 

La Stampa, 23 marzo 2009

 

È la precarietà lavorativa ed economica la "grande paura" che assale gli italiani. Lo confessa il 32 per cento dei connazionali, mentre un altro 18% teme per la caduta del tenore di vita. I due fattori, sommati, totalizzano un 50 per cento di cittadini che collocano al primo posto della classifica della negatività la condizione finanziario-sociale. La crisi economica orienta così in maniera decisiva il diagramma del sondaggio che vede poi un 30% che teme la microcriminalità, il 12% l’angoscia della solitudine, l’8% altri fattori.

 

Il fortino assediato

 

Questi dati emergono da un’indagine promossa dall’Anci (Associazione nazionale Comuni d’Italia) e Fondazione Cittalia in materia di sicurezza urbana. Al setaccio migliaia di cittadini, con un "focus" su undici aree metropolitane (Napoli, Palermo, Bari, Roma, Torino, Bologna, Milano, Genova, Firenze, Cagliari, Venezia) riferito al senso di sicurezza e alla percezione di insicurezza urbana. Ne esce un’Italia che per certi aspetti sembra vivere "nel fortino", assediata da paure metropolitane come microcriminalità e immigrazione clandestina. I risultati saranno presentati questa mattina a Novara, con il ministro Roberto Maroni, nel primo confronto tra sindaci e Governo durante il convegno organizzato da Anci nazionale e Anci Piemonte, a otto mesi dall’entrata in vigore del "pacchetto sicurezza" che ha ampliato i poteri di ordinanza dei primi cittadini. La "mappa della paura" ha colori diversi a seconda delle città di appartenenza, e le risposte elaborate da Cittalia su dati Swg riflettono gli effetti psicologici legati alla frequenza e alla ripetitività degli episodi accaduti. Così Bologna e Roma sono ai vertici per l’ossessione delle molestie e violenze sessuali. A Torino, Milano e Genova sono l’immigrazione clandestina e lo spaccio di stupefacenti i reati che creano maggior allarme sociale. A Napoli la criminalità organizzata.

 

La percezione

 

Ed è proprio il capoluogo campano il centro metropolitano ritenuto più insicuro dai suoi residenti, con una percentuale (91%) che non lascia spazio a contestazioni. Al secondo posto Palermo e al terzo Bari; a Roma oltre la metà della popolazione ha la percezione che la vita nella capitale non sia delle più sicure. Scendono sotto il 50% Torino, Bologna, Milano, Genova. A Venezia (dove i furti in appartamento sono il primo fattore d’insicurezza) soltanto il 19% nutre sensazioni di paura. Quasi ovunque lo spaccio di stupefacenti genera maggior senso di insicurezza. Ma la preoccupazione per gli scippi è fra i primi problemi indicati a Bari, Genova, Napoli e Palermo.

In questo filone s’inserisce il pacchetto di ordinanze che i sindaci (non solo delle grandi città) hanno adottato per fronteggiare il crimine o aumentare il senso della sicurezza urbana. Sono state emanate soprattutto al Nord (66,7%), di cui il 40,3% dai primi cittadini del Nordovest e il 26,4% da quelli del Nordest. Il tema maggiormente trattato riguarda il divieto di prostituzione (16%), seguito da quello di somministrazione di alcol (13,6%), vandalismo (10%) e dall’accattonaggio molesto (8,4%). E poi ordinanze specifiche: passate alla cronaca quelle del sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi, contro il divieto di consumare panini accanto ai monumenti; oppure quella del collega di Novara, Massimo Giordano (sempre del Carroccio) che vieta di fermarsi in tre o più persone di notte nei parchi pubblici.

I cittadini apprezzano? Il 37% degli intervistati giudica che questi regolamenti hanno avuto il pregio di cogliere il problema ma "sono poco efficaci" e un 29 per cento dice che da soli non bastano. La percentuale dei favorevoli è del 17 per cento, mentre 10 residenti su cento hanno risposto che lo strumento è sbagliato. In salvo Sul grado di efficacia e sulla necessità di rafforzarla si parlerà oggi a Novara, mettendo a confronto esperienze e ricette dei sindaci. Tenendo conto anche dei risultati dell’indagine a tutto campo, da cui emergono indicazioni di comportamento dei cittadini. Una sorpresa arriva dal capitolo dedicato ai luoghi in cui la gente si sente più sicura: i centri commerciali in prima posizione, seguiti dal camminare in centro, in auto fermi al semaforo, in luoghi affollati. Al convegno, che sarà chiuso dal sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, partecipano anche Marta Vincenzi di Genova, che ha denunciato le infiltrazioni mafiose nel suo territorio, Roberto Cota capogruppo Lega Nord alla Camera, l’onorevole Giorgio Merlo del Pd.

Giustizia: Camere Penali; il Governo promulga leggi "eversive"

 

www.inviatospeciale.com, 23 marzo 2009

 

La Giunta dell’Unione camere penali ha diffuso nel mese di febbraio un documento in cui si criticavano le decisioni del governo in materia di sicurezza. Naturalmente quasi del tutto ignorato dai media.

I dati contenuti nel documento smentivano l’intera filosofia delle scelte del ministero dell’Interno. Si leggeva nel documento; "I dati ufficiali diffusi dal Ministero dell’Interno danno conto di una costante e progressiva diminuzione del fenomeno criminale sin dal secondo semestre dell’anno 2007. Nell’anno 2008 gli omicidi volontari sono al minimo storico, i furti sono diminuiti del 39,72 per cento rispetto all’anno precedente, le rapine del 28,8, l’usura del 10,4, la ricettazione del 31,6, il riciclaggio del 5,8, le minacce del 22,1.

Diminuiti anche estorsioni e danneggiamenti. Sempre gli stessi dati ci dicono che anche i reati di violenza sessuale sono diminuiti: meno 8,4 per cento. Non solo, la maggior parte degli "stupri" si consuma entro le mura domestiche: i dati relativi al 2007 ci dicono che il 69,7 per cento è opera di partner, il 17,4 di un conoscente e solo il 6,2 è opera di estranei. La sicurezza delle persone è dunque oggi maggiormente assicurata rispetto al passato e se un bisogno di sicurezza emerge esso sta nell’assicurare la tutela delle donne dalle offese delle persone a loro più vicine".

Questi dati già noti e diffusi anche da Inviato Speciale non sembrano tuttavia interessare i media ed i telegiornali in particolare, che insistono nell’offrire ai cittadini un immagine dell’Italia coincidente con quella di un luogo pericoloso ed in balia di bande di delinquenti (perlopiù stranieri).

Continuava la Giunta: "Dalla primavera scorsa l’"emergenza sicurezza" occupa pressoché interamente l’agenda del Parlamento ed in nome della sicurezza si sono varate, spesso con il beneplacito dell’opposizione, norme, quali l’"aggravante di clandestinità", di intollerabile eccezionalità rispetto al sistema dei valori costituzionali. Dalle pagine della stampa uomini politici di più parti, cogliendo a pretesto dolorosi fatti di cronaca, si lanciano in scriteriati attacchi all’indipendenza dei giudici, invocano di sostituirsi ad essi per comminare solo carcere per legge agli indagati, e per legittimare le proprie istanze confondono le carte e deliberatamente promuovono per "certezza" della pena ciò che altro non è che "certezza della anticipazione di una pena" ancora tutta da decidere, sacrificando il valore costituzionale della presunzione di non colpevolezza".

L’Unione delle camere penali non rappresenta un gruppo di "sovversivi comunisti", com’è per Berlusconi chiunque lo critichi, ma gli avvocati italiani. Nel documento si insisteva: "In nome della sicurezza il governo approva un decreto che rischia di agevolare l’istinto dei cittadini a dar sfogo ad insane voglie di ritorsioni, sminuendo l’operato delle forze dell’ordine, impone la totale privazione della libertà personale degli indagati per pericolosità presunta senza che nessun giudice l’abbia realmente accertata, invoca l’eliminazione delle misure alternative al carcere laddove è noto che esse "disincentivano" la recidiva in misura di gran lunga superiore alla detenzione. In nome della sicurezza, il governo chiede oggi ai medici di violare il "giuramento di Ippocrate"; sollecita le vittime di reato a divenire delatori pena la perdita di legittime facoltà; impone ai detenuti il sacrificio di diritti umani elementari; introduce una sorta di schedatura in ragione della "diversità" di chi, per scelta o per necessità, non ha stabile dimora; utilizza norme di dubbia legittimità costituzionale, quali i delitti di apologia e di istigazione, come pericoloso strumento di limitazione del diritto di libera associazione e di libera manifestazione del pensiero".

La rappresentanza degli avvocati, quindi suggeriva una riflessione: "Se i dati del Ministero dell’interno non dicono il falso, le pretese misure sulla sicurezza dei cittadini, talune delle quali avallate dalla stessa opposizione (che in passato ha "cavalcato" secondo modalità analoghe l’esigenza sicurezza), costituiscono un inganno ai danni dei cittadini medesimi e, lungi dal garantire più sicurezza celano, soltanto una forte voglia di "ordine pubblico" a tutti i costi".

La valutazione secondo la quale in Italia il governo Berlusconi stia costruendo un regime autoritario sembra essere almeno in parte condivisa dall’associazione dei legali: "A fronte di una simile impennata autoritaria, cui fa da emblema la proposta reintroduzione del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, la Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane sottolinea come sia compito dello Stato farsi carico della sicurezza dei cittadini, ma come sia per converso contrario all’etica della politica strumentalizzare lo strepito suscitato da pur odiosi fatti di cronaca per ragioni di sola propaganda".

Senza fraintendimenti gli avvocati hanno descritto la politica del governo, fatta di annunci ed uso strumentale dell’informazione. Attraverso la diffusione di messaggi che inducono paura si permette il varo di provvedimenti gravi per la libertà dei cittadini.

Nel documento si ricordava "che lo Stato forte non è quello che viene meno al rispetto dei valori costituzionali del processo penale, ma è tout court lo stato di diritto", nel quale si applicano "le regole esistenti", mentre come sembra ormai abituale nella cronaca dei media "processi di piazza e processi esemplari (concetti che per molti versi coincidono) sono fenomeni che rischiano di sfuggire di mano".

Sulle azioni del governo le Camere penali esprimevano "tutto lo sconcerto e lo sdegno dei penalisti italiani per le norme regressive ed illiberali adottate dal Governo e per quelle attualmente in discussione in Parlamento" e ribadendo l’assoluta indisponibilità degli avvocati verso qualunque limitazione dei diritti costituzionali dei cittadini denunciavano "la sistematica opera di devastazione del sistema penale e la crescente compromissione delle garanzie nel processo ad opera di interventi legislativi estemporanei ed emotivi, dettati dal clamore assunto da isolati, seppure gravi, fatti di cronaca e privi di qualsivoglia utilità e di garanzia in termini di certezza della pena".

Le conclusioni della Giunta erano drammatiche, perché definivano i provvedimenti del governo "eversivi" del sistema dei valori costituzionali e destinati a determinare "una profonda regressione del livello di civiltà e un’intollerabile svolta autoritaria del nostro ordinamento".

Giustizia: sicurezza-politica-media, un cortocircuito sugli stupri

di Claudia Fusani

 

L’Unità, 23 marzo 2009

 

Un’isteria collettiva che sta provocando molti errori. La politica preme, lancia slogan, chi indaga corre e cerca risultati immediati. I ruoli di vittime e colpevoli si confondono. Ormai è un cortocircuito.

Un’isteria collettiva. Dove la catena degli errori si allunga fino a non ritrovare più il punto di inizio. Dove la politica preme con la propaganda e gli slogan; gli investigatori si sentono in dovere di dimostrare subito e di indagare dopo; le procure, a loro volta, inseguono nuove norme e decreti. Dove, infine, vittime e colpevoli vedono confondere i propri ruoli prolungando sofferenze e umiliazioni. Un’isteria collettiva, appunto. Dove a fare cortocircuito sono la politica, la comunicazione e le indagini.

I primi giorni dell’anno cominciano con lo stupro della festa di Capodanno alla Nuova Fiera di Roma. Una ragazza di 25 anni denuncia la violenza, la curano con venti punti di sutura, si era appartata con un ragazzo conosciuto sulla pista da ballo, racconta, poi la cosa è degenerata. Il giovane viene rintracciato e arrestato il 21 gennaio, si chiama Davide Franceschini, ha 22 anni e fa il fornaio a Fiumicino. Confessa tutto, ha vergogna, chiede perdono, colpa di un mix di droga e alcol. Alla fine gli credono e il 24 gennaio il gip gli concede gli arresti domiciliari. La vittima grida allo scandalo: "Lo hanno liberato perché ricco". La maggioranza cavalca: "Basta giudici tolleranti", "più certezza della pena" confondendo misure cautelari e condanne.

Occhio alle date che, in una sequenza diabolica, giocano un ruolo importante nel cortocircuito. Il 21 gennaio, infatti, rimbalza un’altra storia di violenza: una donna di 41 anni viene assalita e violentata alle dieci e mezzo di sera da due stranieri a pochi metri dal capolinea del bus 916 a Primavalle, periferia nord-ovest della capitale.

Il sindaco Alemanno annuncia misure. Il 22 gennaio, la sera dopo, due giovani in macchina a scambiarsi effusioni in un parco di Guidonia vengono immobilizzati, derubati e violentati da cinque persone incappucciate. Pochi giorni dopo, il 27, i carabinieri arrestano sei romeni, contro quattro di loro prove schiaccianti e una fedina penale lunga un lenzuolo che si portano dietro dalla Romania. Altri due sono favoreggiatori, il gip li scarcera, Berlusconi e Alemanno accusano "la faciloneria di alcuni togati". Alla fine Guidonia resterà l’unico caso risolto. Ma tra Montecitorio e palazzo Chigi si fa largo l’idea di un decreto e di una stretta, contro le violenze sessuali e gli stranieri.

E arriviamo allo stupro della Caffarella, in un’improbabile classifica il più odioso di tutti perché la vittima ha 15 anni e il pomeriggio di San Valentino andava al parco col fidanzatino. È il via libera definitivo a propaganda e allarmi, paura e odio invece che freddezza e lucidità. Le scintille fanno scattare il cortocircuito.

La polizia che ha in carico il caso della Caffarella ha fretta, deve consegnare i colpevoli alla politica e all’opinione pubblica. Il 18 febbraio trova Loyos e Racz, "il biondino" e "faccia da pugile". Nella fretta riconoscimenti fotografici incerti diventano certi e una confessione, nata nel segreto di una stanza alla presenza di poliziotti romeni, diventa la prova regina.

Si dimentica, la polizia, che dna e impronte non sono ancora disponibili. "Il caso è risolto" annunciano in eurovisione. In questo clima il 20 febbraio palazzo Chigi ha gioco facile nell’approvare il decreto. C’è dentro di tutto, le ronde, il fermo fino a sei mesi per identificare i clandestini, soprattutto l’obbligo di tenere in carcere gli indagati per l’articolo 609 fino alla sua decima variabile (violenza sessuale e dintorni). Un "assurdo", secondo i magistrati, contro la Costituzione e la giurisprudenza.

Poi arriva il cazzotto, l’inevitabile shock: Loyos e Racz non sono gli stupratori della Caffarella, lo dicono Dna e impronte. Ma è troppo tardi per fermare gli effetti del cortocircuito. Che provoca i danni che tutti abbiamo sotto gli occhi. Loyos e Racz restano in carcere inseguiti da accuse che non reggono, per calunnia il primo, per un’altra violenza, quella di Primavalle il secondo, ancora una volta senza prove. In pratica solo perché romeni.

Il decreto fa tornare in carcere Davide Franceschini (stupro di Capodanno) che però due giorni fa torna libero perché le indagini raccontano che quella alla Fiera di Roma non è una violenza sessuale ma un caso di lesioni. La donna di 41 anni violentata a Primavalle a sua volta sembra un’altra storia, una vendetta, un regolamento di conti, il suo racconto vacilla, non è neppure scesa dal bus quella sera. Racz resta dentro, accusato, anche se il Dna lo scagiona. Venerdì, un’indagine vecchio stile e la prova del Dna, porta in carcere altri due romeni. Stavolta sembrano quelli giusti.

Macerie del diritto. Risultato di propaganda e paure agitate. Il buonsenso consiglierebbe di togliere di mezzo quel decreto. Il resto non è cancellabile.

Giustizia: un'odiosa strumentalizzazione della violenza sessuale

di Francesca Koch

 

Aprile on-line, 23 marzo 2009

 

L’emendamento leghista al decreto stupri per la castrazione dei violentatori è una nuova pericolosa forma di determinismo biologico che ha sostenuto già la legge 40 e gli attacchi alla 194, oltre al ddl sul testamento biologico. Conferma un pregiudizio per cui lo stupro è nella sessualità maschile, quando invece si tratta dell’esito perverso di una costruzione sociale e culturale.

Il decreto su ronde e stupri, che dovrà essere convertito in legge entro il 20 aprile, rappresenta un’odiosa strumentalizzazione della violenza sulle donne per legittimare politiche razziste e xenofobe, per smantellare le garanzie democratiche e il rispetto che la Costituzione impone alla dignità e alla libertà di ognuno/a.

Molte donne e associazioni da anni indicano la radice della violenza maschile proprio nella mancanza di consapevolezza della propria sessualità da parte degli uomini, e ne contestano quindi la riduzione al solo aspetto penale e repressivo. Esse hanno già autorevolmente denunciato l’attuale uso strumentale e ipocrita di un tema così complesso, e hanno dichiarato inaccettabile e violento il modo in cui i politici si sono impadroniti della questione, imponendo al discorso pubblico un carattere semplificatorio e banalizzante.

Ora l’emendamento leghista sulla possibilità di una castrazione chimica per gli stupratori "consenzienti", insieme al suggerimento di moltiplicare le foto segnaletiche dei ricercati per reati sessuali (come nel Far West, si è detto), rappresenta un altro tassello del processo di sconquasso democratico e culturale in atto nel nostro paese.

La discussione sulla castrazione chimica è l’ennesima forma di biologismo e determinismo biologico, una tendenza drammaticamente vincente nella legge 40, negli attacchi alla legge 194, nella discussione sul testamento biologico; in questi processi l’incapacità di articolare seriamente pensieri sulla vita e sulla morte si accompagna all’ignoranza e alla volontà repressiva; la banalizzazione e la costruzione di nemici esterni (lo straniero, lo stupratore, il pedofilo...) permette di allontanare lo sguardo da se stessi e dalle proprie responsabilità. Il ricorso al potenziale simbolico dell’azione penale è certo inadeguato a favorire la conoscenza delle complessità sociali e la formazione di soggettività politiche ma è, soprattutto, del tutto inefficace rispetto alla domanda di punizione e /o di soluzione del problema stupro.

La soluzione chimica come pena per lo stupratore conferma infatti la prepotenza di un pregiudizio gravissimo e antico, lo stesso che vede lo stupro inserito nella natura sessuale maschile e impedisce quindi di leggerlo, realisticamente, come esito perverso di una costruzione sociale e culturale che identifica la sessualità maschile nel possesso del corpo delle donne.

Scrive lucidamente Joanna Bourke in un importante saggio sullo stupro (ora disponibile anche in Italia: Stupro. Storia della violenza sessuale, Laterza 2009) che "non c’è niente di naturale e permanente nel corpo e nella sua sessualizzazione", giacché il corpo è costruito come sessuato da una serie di discorsi, fra cui quello legale, penale, medico e psicologico. Sono infatti le pratiche linguistiche e culturali a dare significato ai corpi e normare i comportamenti; lo stupro non è un fenomeno astorico ("tutti gli uomini sono stupratori per natura", allude complice la battuta del presidente del Consiglio) ma, al contrario, stupro e violenza sessuale sono profondamente radicati in specifici ambienti politici, economici, culturali che variano nella storia: non sono quindi obbligatori né inevitabili.

Le riforme degli anni settanta (a cominciare dalla legge 180, non a caso ora sotto il fuoco dei parlamentari) avevano introdotto una considerazione della devianza e della sofferenza mentale legata alle biografie personali e alle costruzioni sociali; studi ed esperienze importanti avevano messo in luce che la pedofilia è da considerarsi un disturbo mentale, per lo più indotto da violenze subite nell’infanzia; in molti paesi (ad esempio negli Usa) esistono centri di cura in cui gli autori delle violenze sono accompagnati in una rielaborazione delle proprie biografie.

Nulla di tutto questo si affaccia nel dibattito parlamentare di questi giorni, dove l’ignoranza becera e la violenza ideologica si alleano, in una reciproca legittimazione, con la volontà repressiva e la richiesta di ordine di alcuni settori - spesso i più deprivati di strumenti culturali - della società italiana.

Giustizia: a Napoli; la marcia dei 150mila, contro tutte le mafie

di Dario Del Porto

 

La Repubblica, 23 marzo 2009

 

Arriva sul palco di nascosto, protetto dalla scorta che non lo perde di vista neppure per un istante. Resta per qualche minuto confuso fra don Luigi Ciotti e il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, chiacchiera con il comandante provinciale dei carabinieri, Gaetano Maruccia. Ma quando Roberto Saviano si avvicina al microfono, piazza del Plebiscito si scioglie in un applauso convinto per l’autore di Gomorra, giunto a sorpresa a chiudere l’imponente manifestazione organizzata da Libera in ricordo delle vittime delle mafie.

Lo scrittore legge l’ultimo elenco di 900 nomi di uomini, donne, bambini assassinati dalla criminalità organizzata. Tocca a lui citare gli innocenti assassinati durante la faida tra i clan di Scampia, gli extracomunitari massacrati dalla camorra a Castel Volturno, ma anche Anna Politkovskaja, la giornalista russa che ha pagato con la vita i suoi reportage sulla guerra cecena. C’è anche il figlio di Anna, Ilja, in piazza del Plebiscito. "A chi ha paura dico che non deve averne - dice Ilja a Repubblica - può essere pericoloso, duro. Ma alla fine stare contro la mafia è la decisione giusta".

Prima erano state le parole di Alessandra, vent’anni, ad emozionare la piazza riempita da 150mila persone provenienti da tutto il mondo. "Sono la figlia di Silvia Ruotolo, aveva 39 anni, quando nel 1997 è stata uccisa in un quartiere di questa città - racconta - tanta violenza ci ha travolto, senza alcuna logica, e senza alcuna spiegazione".

Dice Alessandra che ricordare fa male ma "sarebbe più doloroso non farlo, non ricordarli, non raccontarveli, non arrabbiarci. La rabbia è incancellabile, non si può eliminare, ma si può trasformare in qualcosa di positivo, nel nostro impegno, nel nostro essere qui oggi. Ciò che noi abbiamo vissuto non deve colpire più nessuno. È assurdo - continua - che una madre non possa tornare a casa. È assurdo essere chiamati a essere eroi, a resistere a pressioni, a minacce, alle estorsioni".

E allora, esorta Alessandra, "arrabbiamoci per il modo ingiusto in cui a persone oneste e coraggiose è stato negato il diritto di vivere. La memoria è un impegno: non è né stupido, né inutile impegnarsi in questo, abbiamo il diritto di credere e il dovere di pretendere che possano cambiare le cose". In silenzio, sin dalle prime ore del mattino, si erano messi in marcia sul lungomare, volti e storie delle vittime della criminalità. Genitori, vedove, figli, in cammino con, al collo, le foto e i ricordi dei loro cari strappati alla vita dalla violenza. Attilio Romano, ucciso per errore durante la faida nel quartiere napoletano di Scampia.

Gaetano Marchitelli, assassinato a 15 anni dalla criminalità pugliese; e Gianluca Congiusta, ammazzato a Siderno e oggi ricordato dal padre con un paio di guanti bianchi con su scritto "Certezza della pena". Come una Spoon River che invece di rimanere sulla collina raccontata da Edgar Lee Masters e cantata da Fabrizio De Andrè è scesa nelle strade per non dimenticare. "Alla mafia, alla camorra, al crimine dico: fermatevi, ma che vita è la vostra - è l’accorato appello di don Luigi Ciotti - vi aspettano il carcere, la clandestinità, tanti morti. La vostra è una condanna a vita. E non può essere questa, la vita".

Giustizia: Zanonato; perché le ronde "fai da te" sono un pericolo

di Fulvio Milone

 

La Stampa, 23 marzo 2009

 

Fu bersaglio dì critiche furiose e si guadagnò l’appellativo di "uomo del muro", quando nell’estate del 2006 fece costruire una recinzione per proteggere un quartiere invaso dagli spacciatori. Ma oggi Flavio Zanonato, Pd, primo cittadino di Padova e responsabile per l’Anci (Associazione dei Comuni) delle politiche della sicurezza urbana, smentisce la sua fama di "sceriffo". "No alle ronde fai da te e con il marchio politico. Insomma, non quelle che voleva la Lega solo per raccogliere consensi".

 

Sindaco, neanche a lei piacciono? Eppure c’è chi dice che potrebbero aiutare morto le forze dell’ordine.

"Dobbiamo trovare un punto di equilibrio fra due estremi. Che i cittadini possano dare una mano nella lotta contro il crimine, è fuori discussione. La collaborazione, la denuncia, tutto giusto. Altro paio di maniche, però, è immaginare il fai da te, magari con una connotazione politica. Non è giusto che la gente nelle città si arrangi, come non è giusto che si formino delle squadre politicizzate. Io ad esempio adopero il volontariato: ho i nonni vigili che sorvegliano i parchi e le scuole. Grazie a loro si riduce l’impegno della polizia municipale che può fare dell’altro. Ma non si può pensare che questa collaborazione sia sostitutiva o, ripeto, politicizzata. Sicuramente le risorse per la polizia e i carabinieri sono diminuite, quindi i Comuni devono dare una mano. Ma guai a organizzare strutture che si sostituiscano alle forze dell’ordine".

 

Parliamo dei poteri conferiti ai sindaci grazie alle norme sulla sicurezza varate dal Governo Berlusconi. Secondo lo studio dell’Anci, il 37% degli intervistati ritiene che le ordinanze colgano il problema ma siano poco efficaci. Non le pare un dato scarsamente incoraggiante?

"Le ordinanze sono strumenti che non possono rimuovere le cause dei problemi, come quei farmaci che alleviano i sintomi ma non curano la malattia. Un esempio? Se un sindaco vieta la prostituzione in un quartiere popolare, il cittadino ne trae sicuramente un sollievo: sente meno il problema, perché le prostitute si spostano in zone poco abitate. Ma il fenomeno non viene eliminato".

 

Cosa potrebbe fare, di più, il Comune?

"Il degrado urbano è legato a problematiche troppo complesse per essere affrontate da un ente locale. Perché, ad esempio, in Italia è consentita la prostituzione lungo le strade, al contrario di altri Paesi? Il mercato del sesso sulle strade determina un degrado molto sofferto dalla popolazione".

Giustizia: Bernardini; visite a detenuti solo per verifica condizioni

 

Adnkronos, 23 marzo 2009

 

"Da ieri pomeriggio, il mio cellulare è raggiunto da telefonate di giornalisti di quotidiani grandi e piccoli che mi chiedono di fare visita, nel carcere di Regina Coeli, ai due ultimi rumeni arrestati per lo stupro della Caffarella".

È quanto informa la parlamentare radicale eletta nelle liste del Pd Rita Bernardini, che commenta: "Comprendo la frenesia dei giornalisti che le tentano tutte pur di avere notizie e particolari su un fatto di cronaca così grave, ma tengo a precisare che questo tipo di visite da parte dei parlamentari non rientrano in quelle previste dall’ordinamento penitenziario e dal suo regolamento".

Infatti, ricorda, "il regolamento stabilisce che le visite devono essere rivolte alla verifica delle condizioni di vita dei detenuti e che non è consentito trattare con imputati argomenti relativi al processo penale in corso. Ribadisco che la visita ispettiva che ho fatto insieme a Sergio D’Elia agli imputati dello stupro di Guidonia fu doverosa verifica perché ricevemmo, dall’interno del carcere, segnalazioni di pestaggi degli arrestati; segnalazioni che non sono arrivate né per i primi due imputati della Caffarella poi scagionati dalla prova del dna né per i due ultimi rumeni arrestati".

La Bernardini coglie l’occasione per "constatare con rammarico che, invece, poca attenzione è prestata dalle testate giornalistiche alle visite ispettive di carattere generale che come radicali facciamo di continuo nelle carceri italiane ormai giunte al collasso per sovraffollamento, tanto che lo stesso ministro della Giustizia Angelino Alfano ha affermato, ed è la prima volta che avviene nella storia italiana, che sono incostituzionali".

Teramo: arrivano 100 detenuti da Pescara, carcere è strapieno

 

Il Centro, 23 marzo 2009

 

Carcere più sovraffollato e sempre meno agenti. Si profila una vera e propria emergenza a Castrogno: da domani, infatti, giungeranno circa cento detenuti provenienti dal carcere San Donato di Pescara, dove la sezione penale sarà chiusa per lavori di ristrutturazione.

Con questi nuovi arrivi i reclusi nella Casa Circondariale teramana diventeranno quasi quattrocento a fronte di 185 agenti di polizia penitenziaria attualmente in servizio, un numero molto al di sotto di quello previsto dalla pianta organica che, nonostante risalga al 2001, stabilisce la presenza di 200 poliziotti.

Gli agenti, che ormai da tempo denunciano la grave carenza di personale, sono sul piede di guerra: con questi numeri, infatti, il rapporto sarà di un agente a turno per cinquanta detenuti. Un numero che sicuramente non depone a favore della sicurezza in una struttura che ha il record di avere una delle popolazioni carcerarie più numerose della regione.

I sindacati, sia quelli di categoria che quelli autonomi, schierati insieme, annunciano sit-in di protesta e proclamano lo sciopero bianco: da oggi gli agenti rifiuteranno il cibo della mensa. L’allarme è stato lanciato ieri nel corso di una conferenza stampa a cui hanno partecipato Roberto Cerquitelli, della Cgil-Fp, Amedeo Marcattili, della Cgil, Paolo Chiarini , della Cisl Fps, Paolo Pezzi, della Uil Fp, Giuseppe Pallini, del Sappe, Giampiero Cordone del Sinappe, Quintino Pringiotto, dell’Osapp e Quirino Perini, dell’Ugl.

"Si tratta di una situazione difficile", hanno detto i sindacalisti, "che mette a rischio la sicurezza del carcere. Da anni chiediamo un aumento del personale, ma le nostre richieste sono sempre cadute nel vuoto. Oggi a questa carenza si aggiunge il fatto che il carcere dovrà ospitare nuovi detenuti e questo per gli agenti significherà triplicare la mole di lavoro".

Attualmente, infatti, proprio per far fronte alla carenza di personale che si trascina da tempo, la polizia penitenziaria è costretta a saltare ferie e turni di riposo per garantire i servizi. Basti pensare che ci sono poliziotti che devono ancora usufruire delle ferie del 2007.

"A Castrogno ospitiamo detenuti mafiosi, pedofili e tante altre tipologie", hanno detto ancora i sindacalisti, "diverse tipologie di detenuti che richiedono vari tipi di assistenza. Ma di questo passo la sicurezza sarà sempre meno garantita. Noi sindacati ormai da anni abbiamo posto il problema. Di promesse ne hanno fatte davvero tante, ma niente è stato fatto. I vari politici che di volta in volta abbiamo incontrato per chiedere interventi hanno sempre garantito il massimo impegno per la soluzione dei problemi, ma poi al di là delle promesse nulla è stato fatto. Oggi ci ritroviamo con una vera e propria emergenza, tra l’altro destinata a peggiorare, senza che nessuno sia in grado di darci delle risposte". Intanto da domani nel carcere di Castrogno inizia il pienone.

Teramo: l’assistenza sanitaria, con il Servizio autonomo dell’Asl

 

Il Centro, 23 marzo 2009

 

Le Asl al fianco dei detenuti. Se n’è parlato l’altro ieri alla Asl di Teramo, alla presenza dell’assessore regionale alla sanità Lanfranco Venturoni, alla presentazione della sezione abruzzese della società italiana di medicina e sanità penitenziaria.

Dal giugno 2008 è entrato in vigore un decreto del presidente del consiglio che trasferisce dall’amministrazione penitenziaria al servizio sanitario nazionale la tutela della salute di chi è in carcere. Si tratta di una svolta per la sanità penitenziaria, visto che prima dell’entrata in vigore della legge le risorse finanziarie erano iscritte nel bilancio del Ministero della giustizia e venivano erogate a livello periferico in base alle varie tipologie dell’istituto penitenziario a cui erano destinate.

Adesso, invece, grazie ai finanziamenti del fondo sanitario nazionale (167 milioni di euro per il 2009), ogni azienda sanitaria dispone di una unità operativa di medicina penitenziaria che sarà indipendente dagli altri dipartimenti e opererà all’interno delle carceri. La Asl di Teramo, lo scorso giugno, si è subito equiparata alla nuova legge sotto la supervisione di Massimo Forlini, responsabile dell’unità operativa di medicina penitenziaria.

Nell’incontro di ieri, insieme all’assessore regionale Venturoni è intervenuto il direttore generale della Asl di Teramo, Mario Molinari. Presenti all’incontro, tra gli altri, anche i dottori Francesco Paolo Saraceni, Alfredo De Risio e Marcello Marcellini oltre a Giovanni Battista Giammaria e Franco Pettinelli, rispettivamente direttori delle carceri di Teramo e Pescara.

Venezia: agente indagato per il suicidio di detenuto marocchino

 

La Nuova Venezia, 23 marzo 2009

 

Per la morte di Mohamed, il giovane detenuto marocchino suicidatosi il 6 marzo scorso a Santa Maria Maggiore, c’è un indagato per omicidio colposo: è un ispettore della Polizia penitenziaria. Un atto dovuto del pubblico ministero Massimo Michelozzi che sta conducendo le indagini: gli accertamenti devono stabilire se gli agenti in servizio quel giorno abbiamo messo in atto tutti i controlli necessari per evitare episodi simili. L’ispettore, il 6 marzo, comandava e coordinava gli uomini in servizio all’interno del carcere veneziano.

L’autopsia ha stabilito che il decesso del detenuto è avvenuto per soffocamento, a sua volta causato dallo strangolamento provocato dal laccio che si era costruito. Nessun mistero, quindi, sulla causa della morte, ma i dubbi esisterebbero su quello che è accaduto prima, per questo il pm ha ricostruito attimo per attimo quello che è accaduto quella mattina, interrogando detenuti e agenti di custodia.

Non era la prima volta che Mohamed cercava di farla finita impiccandosi, quello stesso giorno aveva tentato di suicidarsi, poco più di due ore prima. Il giovane era arrivato a Santa Maria Maggiore da pochi giorni, trasferito da Reggio Emilia dove era stato condannato per spaccio di sostanze stupefacenti.

Non era stato accettato bene dai detenuti del carcere veneziano, neppure dai suoi connazionali perché soffriva di turbe psichiche e in cella si comportava in modo piuttosto strano. Nonostante questo era stato sistemato in una cella con altri detenuti e quella mattina si era chiuso in bagno. Solo per caso, aveva bisogno di lavarsi, un altro detenuto si è accorto che Mohamed si era appeso ai tubi del bagno e lo ha salvato, sollevandolo e facendo in modo che il nodo si stringesse intorno al collo.

Sono immediatamente intervenuti gli agenti della Polizia penitenziaria che dopo aver controllato lo stato di salute del marocchino, lo hanno trasferito in una cella da solo, più che una cella una camera di sicurezza dove vengono trattenuti i detenuti pericolosi o in stato di agitazione. Si tratterebbe di una stanza senza tubi, maniglie, appigli, nella quale è difficile trovare un sistema per impiccarsi.

Non solo: a Mohamed sono stati sottratti cinghie, lacci, lenzuola, tutto ciò che lui poteva trasformare in una corda. Gli hanno lasciato solo una coperta. Lui, con pazienza e strappando con i denti ha ridotto quella coperta in striscioline di lana, le ha intrecciate e ha costruito una corda. È riuscito ad impiccarsi agganciandola alla cerniera della finestra, che stranamente ha retto i sui settanta chili.

Dopo il primo tentativo avrebbe probabilmente dovuto essere controllato a vista, ma la situazione dell’organico della Polizia penitenziaria nel carcere veneziano, come del resto in molte altre, non lo avrebbe certo permesso. Spesso, soprattutto durante il giorno quando sono decine gli agenti costretti a girare il Veneto per accompagnare i detenuti nei Tribunali per processi o interrogatori, all’interno delle 2 sezioni di Santa Maria Maggiore che ospitano anche 300 detenuti ci sono appena una mezza dozzina di agenti.

Verona: presentata l'edizione 2009 Progetto "Carcere e scuola"

 

Veneto Sociale, 23 marzo 2009

 

"Oggi si parla tanto di sicurezza, ma credo davvero che la prima forma di sicurezza sia innanzitutto l’educazione al rispetto dell’altro. Ci sarebbe meno bisogno di ronde se ci fosse più attenzione preventiva alla situazione del carcere, alla condizione dei detenuti, se ci fosse più possibilità di inserimento nel lavoro una volta scontata la pena, perché è il lavoro la prima chance di inclusione sociale".

Lo ha detto lunedì 17 marzo Stefano Valdegamberi, assessore regionale alle politiche sociali, intervenendo nella sede del Carcere Montorio di Verona alla presentazione dell’iniziativa "Carcere e Scuola 2009" promossa dall’Associazione di volontariato "Progetto Carcere 663".

Erano presenti tra gli altri il direttore dell’istituto Salvatore Erminio, il Presidente dell’Associazione Maurizio Ruzzenenti, Enrichetta Ribezzi responsabile dell’area tratta mentale e educativa del carcere veronese.

Alla ventunesima edizione di questa iniziativa, che mette in contatto il mondo della scuola con il mondo del carcere, in particolare attraverso lo sport, hanno chiesto di partecipare 706 studenti, 546 studentesse, 233 insegnanti di 58 istituti superori di Verona e provincia. Si terranno pertanto fino a giugno 50 incontri di calcio nella sezione maschile e 56 incontri di pallavolo nella sezione femminile. Inoltre quest’anno è stata avviata anche un’opera di formazione nelle scuole con i corsi di educazione alla legalità.

Valdegamberi ha affermato che "non bisogna mai dimenticare che la costituzione prevede che il carcere debba avere anche una valenza educativa e, nel caso di questa bella iniziativa, ciò vale sia per i detenuti che per gli studenti che vengono messi a contatto con un mondo sconosciuto e imparano che i detenuti sono persone, con una loro dignità, e che può forse succedere a tutti, disgraziatamente, di finire in carcere.

Ho constatato personalmente sia a Verona sia a Padova - ha aggiunto l’assessore veneto - che i percorsi di riabilitazione, di inserimento lavorativo e accompagnamento sociale delle persone che hanno scontato la pena possono funzionare egregiamente e risparmiano alla società il verificarsi, purtroppo frequente, dei casi in cui gli ex detenuti ritornano a delinquere proprio perché, in qualche modo, abbandonati dal contesto sociale".

Il Presidente dell’Associazione "Progetto Carcere 663" ha annunciato che un’iniziativa analoga a "Carcere e Scuola" svoltasi a Verona in questi anni partirà prossimamente nel carcere di Vicenza. Il Direttore Erminio dal canto suo ha ricordato che in Italia su 84 mila persone entrate in carcere nel 2008 il 34% ha scontato una pena inferiore ai 10 giorni. Per quanto concerne il carcere circondariale di Verona-Montorio i detenuti stanziali sono circa 800 con 2.000 passaggi temporanei nel 2008.

Napoli: Università Parthenope si parla di "incertezza della pena"

di Alessandra Giordano

 

www.napoli.com, 23 marzo 2009

 

Nell’aula magna dell’Università Parthenope, messa a disposizione dal Magnifico Rettore Gennaro Ferrara, sabato 21 marzo, rispondendo all’appello del Governatore del Distretto Rotary Guido Parlato, si sono alternati sul podio magistrati e avvocati, docenti e presidenti di Tribunale per fare il punto della situazione della Giustizia in Italia.

Gli emeriti relatori hanno parlato tutti col cuore in mano, grande onestà e trasparenza. Il Rotary, anche in quest’occasione, ha cercato di mettere al servizio della società civile le proprie professionalità e proporre risoluzioni al problema.

La volontà era quella di far conoscere ai non addetti ai lavori il senso di frustrazioni in cui a volte vengono a trovarsi, da una decina di anni a questa parte, i magistrati. "Le situazioni in cui far sentire la nostra voce sono poche, ma le rifuggiamo - ha detto, infatti, Claudio d’Isa, consigliere della Corte di Cassazione nel suo intervento introduttivo dopo l’onore alla bandiere e il saluto del Governatore - perché c’è una critica nei nostri confronti di difendere a tutti i costi la casta".

Li hanno chiamati disorganizzati, fannulloni, strapagati, gli attacchi sono stati molti e partiti da svariate parti. "Ma davanti ad affermazioni, confusioni e discredito sull’apparato giudiziario, noi sappiamo fare autocritica", ha ribadito d’Isa.

La frase che negli ultimi tempi è stata più ricorrente è "la certezza della pena", poiché i cittadini sono preoccupati per l’attacco martellante della criminalità, nel meridione soprattutto, sconcertati davanti a scarcerazioni facili ed anticipate. La cosa che lascia perplessi anche i politici lo dicono tutti, da destra a sinistra passando per il centro!

"Noi magistrati - ha affermato il Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, Luigi Riello - ci stiamo giocando la credibilità: dobbiamo partire dal fatto che l’attuale legge è l’incertezza della pena, una scelta rispettabilissima però opinabile".

"L’aspetto fondamentale è la lealtà istituzionale - ha continuato Riello - il legislatore deve condividere questa scelta, questa negatività, con chi ha l’obbligo di eseguirla, cioè i magistrati".

E questa scelta non è esente da rischi: il pentitismo esploso nel campo del terrorismo e poi in quello mafioso, ha cominciato a smantellare questi sistemi. È stato affermato che i giudici hanno le loro responsabilità, ma se una legge viene interpretata nello stesso modo da Bolzano a Mazara del Vallo, c’è qualcosa da rivedere nel nostro Codice!

Per esempio, nell’attuale sistema penitenziario, mai la pena che viene data dal giudice viene scontata per intero: si sceglie sempre o il rito abbreviato o il patteggiamento o quant’altro e questo fa si che l’anno carcerario duri, in pratica, come l’anno scolastico, non più 12 mesi, ma nove. Altro argomento della tavola rotonda è stato l’indulto, di cui tutti i cittadini si sono scandalizzati. "Ma se guardiamo con più attenzione - hanno detto i conferenzieri - l’indulto è n fenomeno permanente nella legislazione".

Il legislatore costituente vuole un carcere nel quale sia rispettata la dignità umana e si possa percepire la differenziazione reale di trattamento tra chi è in attesa di giudizio e chi sconta la pena? Ebbene il grande problema, per l’attuazione di questa regola, è la sovrappopolazione delle carceri che non permette trattamenti mirati e benefici, anche se, "per una vera democrazia, il carcere non deve essere senza speranze e senza finestre".

Il prof. Gustavo Pansini, già ordinario di Procedura Penale a Tor Vergata, ha dissertato sulla ragionevole durata del processo penale, ribadendo che ciò che conta è funzionalità del processo stesso che sia esso celere o giusto. E ancora una volta è stato ricordato che non c’è certezza della pena in Italia.

"Il legislatore ha operato una scelta che è dipesa dalla corrente politica del momento - ha detto il professore - e la collettività vuol sapere che chi ha commesso un reato è andato in galera. Invece, nel momento in cui la sentenza diventa definitiva si cerca di rieducare il condannato o di farlo pentire, per cui quella pena non viene eseguita".

"Abbiamo finito con lo spostare il baricentro del processo a quello che viene prima del processo, alla custodia cautelare", ha quindi concluso Pansini. Dobbiamo depenalizzare, ma poi introduciamo altre specie di reato e ritorniamo daccapo. Il tempo di permanenza dei detenuti nelle carceri è abbastanza breve. Infatti, se fotografiamo la situazione oggi e poi di nuovo tra dieci giorni ci accorgiamo che è diversa: "c’è un transito veloce tra quelle porte girevoli!".

Evasione fiscale, abusi edilizi: qui si riscontra un certo opportunismo politico. Poi invece si vuole più severità davanti agli stupri. È di fatto una "legislazione schizofrenica" e non si ha una visione d’insieme poiché alcune scelte hanno peso sul piano emotivo. Il pirata della strada che viene imputato di omicidio volontario è un segnale negativo: l’effetto indotto di un garantismo non intelligente ha eletto la custodia cautelare a unica pena che si sconta. Di qui lo stravolgimento di tutto. Interessanti e seguite anche le relazione del vice capo Vicario del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Emilio Di Somma, sulla pena nell’ordinamento vigente e del presidente dell’Ordine degli avvocati Francesco Caia che ha parlato del diritto di difesa e delle lungaggini processuali.

Molto attesa la conversazione del Presidente del Tribunale di Sorveglianza Angelica Di Giovanni che ha fatto il punto sulle esecuzioni della pena e le misure premiali.

Hanno partecipato altresì Vincenzo Carbone, Primo Presidente della Corte di Cassazione e Vitaliano Esposito, Procuratore Generale presso la Corte Suprema di Cassazione. Soddisfatto alla fine il Governatore Parlato che, dopo un dibattito, ha tirato le conclusioni.

Pisa: i "Liberi racconti...", un’opera dei detenuti del Don Bosco

 

Il Tirreno, 23 marzo 2009

 

Stamattina nella sala consiliare della Provincia di Pisa, in piazza Vittorio Emanuele 14, si è svolta la presentazione del libro dal titolo "Liberi racconti. Percorsi di scrittura autobiografica dei detenuti della casa circondariale di Pisa".

"Il volume - spiega per la stessa amministrazione provinciale, che promuove l’iniziativa, l’assessore al sociale Manola Guazzini - raccoglie i racconti di quattro detenuti del carcere Don Bosco che hanno partecipato a un laboratorio appunto di scrittura autobiografica, esperienza che ha rappresentato per ciascuna di queste persone un’importante opportunità per rileggere e ripensare il cammino della propria vita".

"Infatti - prosegue l’assessore Guazzini - dalla lettura dei testi emerge una forte consapevolezza riguardo alle circostanze, agli atteggiamenti, alla consequenzialità degli eventi che hanno poi condotto al compimento del reato e alla caduta nel doloroso stato di reclusione".

Alla presentazione del libro, oltre all’assessore Guazzini, sono intervenuti il direttore del carcere Vittorio Cerri, con il responsabile dell’area pedagogica Orlando Olmo e la mediatrice culturale Josipa Hadzitoseva; Luisa Prodi dell’associazione Controluce; un gruppo di studenti del liceo scientifico Buonarroti che hanno svolto un percorso sul tema "Conoscere il carcere". Nell’occasione è stato allestito un banchetto con lavori di falegnameria che sono stati realizzati dai detenuti, con la collaborazione dell’associazione Prometeo, che lavora all’interno del carcere Don Bosco.

Udine: domani la tavola rotonda su "detenzione e reinserimento"

 

Messaggero Veneto, 23 marzo 2009

 

Martedì per iniziativa del CSS Udine. Incontro pubblico, sul tema Percorsi di reinserimento tra sicurezza e trattamento , in programma martedì, alle 17, nella sala Astra del Visionario di Udine. L’evento è promosso dalla Casa Circondariale di Udine e dal CSS Teatro Stabile di Innovazione del Fvg nell’ambito del Progetto pilota in tema di disadattamento, devianza e criminalità in corso, con il coordinamento dello stesso CSS, nelle carceri di Udine, Pordenone, Tolmezzo e Gorizia.

Apriranno i lavori della tavola rotonda Furio Honsell, sindaco di Udine, e Adriano Piuzzi, assessore alle politiche sociali della Provincia. Seguiranno gli interventi di Francesco Macrì, direttore della Casa Circondariale di Udine, Massimo Pavarini, ordinario di diritto penitenziario all’ateneo di Bologna, Alberto Bevilacqua e Rita Maffei, rispettivamente presidente e co-direttore artistico del CSS.

Coordinerà l’incontro il giornalista Daniele Damele. "Per lungo tempo il trattamento penitenziario risocializzante si iscriveva all’interno di prassi volte a colmare i deficit e a garantire politiche inclusive nei confronti dell’universo criminale - dice Massimo Pavarini, il cui intervento sarà al centro dei lavori -. Con la crisi progressiva dello stato sociale sono venuti a mancare i presupposti materiali che consentivano di illudersi di poter ridurre la recidiva educando i condannati e inserendoli poi nella società civile.

Eppure, in questo orizzonte sempre più cupo e pessimista, incapace di immaginare e quindi praticare qualsiasi politica volta alla inclusione sociale dei condannati e carcerizzati, si aprono spazi nuovi e originali, capaci di concepire l’aiuto e la presa in carico anche di chi ha sbagliato e che per questo è all’origine del diffuso panico sociale, non più in una facile prospettiva di inclusione sociale attraverso il lavoro, ma offrendo alla popolazione penalmente ristretta alcune opportunità di educarsi all’autodeterminazione".

Al termine dell’incontro verrà presentato il video Evasioni! , un cortometraggio realizzato dalla regista Rita Maffei durante il suo laboratorio video-teatrale nella Casa Circondariale di Udine. "Un laboratorio - dice la stessa Maffei - non voleva essere un corso di formazione per attori o video-makers, ma è stato un luogo dove poter allenare l’immaginario, uno spazio di evasione della fantasia, un tempo per esprimere le proprie idee, raccontare se stessi e ascoltare gli altri".

Napoli: contro la pena di morte, Corso su legalità e diritti umani

 

www.notiziarioitaliano.it, 23 marzo 2009

 

All’inizio del 3° millennio, la pena capitale non è più una realtà in Europa. Quando la Risoluzione del 1998 venne presentata, in aprile, per la prima volta venne raggiunta un’assoluta maggioranza all’interno della Commissione per i Diritti Umani per la lotta contro la pena capitale nel mondo. La stessa Commissione stabilì anche successivamente che "l’abolizione della pena capitale contribuisce all’accrescimento della dignità umana e al progressivo sviluppo dei diritti umani" chiedendo ai Paesi mantenitori di "dichiarare una moratoria sulle esecuzioni in vista della totale abolizione della pena di morte".

Dato l’alto numero di moratorie in atto nel mondo e di abolizioni de facto, sappiamo che le cose si stanno muovendo nella giusta direzione. La posizione chiara presa dagli organismi più importanti che si occupano di diritti umani all’interno delle Nazioni Unite non può essere ignorata.

Nell’appello indirizzato alle Nazioni Unite, presentato nel 1999, per una moratoria sulle esecuzioni si legge: "Dopo l’abolizione della schiavitù e della tortura, il diritto a non essere uccisi in seguito ad una sentenza legale potrebbe rappresentare un altro comune denominatore, un nuovo inalienabile aspetto dell’essere umano che ci rende una famiglia". Anche se questo problema è stato affrontato dalle Nazioni Unite, molti stati utilizzano ancora la pena di morte come metodo per affrontare la criminalità. Negli Stati Uniti, che si considerano civili e democratici, la pena di morte è ancora in vigore, ed è per questo che sono sorte numerose associazioni che promuovono l’abolizione di tale pena.

Tra queste ricordiamo la Coalizione Italiana contro la pena di morte di cui fa parte la dottoressa Michela Mancini che dal 94’ svolge un’attività di corrispondenza con i detenuti del Texas. Non solo sostiene con la sua presenza le famiglie dei detenuti con i quali ha rapporti di corrispondenza e spesso ha assistito personalmente ad esecuzioni di detenuti.

L’esperienza che ha maggiormente ferito la sua coscienza di donna libera è stata quella di un suo corrispondente: Richard Jonse che per non far si che la sorella, colpevole di omicidio, fosse giustiziata, si è dichiarato colpevole, si è auto denunciato subendo la relativa esecuzione. Sei mesi dopo è stata riconosciuta la sua innocenza.

Di casi simili a quelli di Richard Jonse se ne possono raccontare tanti. Ogni uomo ha diritto a difendersi o a essere difeso e nessuno, in nome della giustizia, può togliere la vita a un suo simile. In nome di questo principio la Coalizione Italiana contro la pena di morte si prefigge un’opera di prevenzione del crimine lavorando sul territorio e un’opera di sensibilizzazione.

Per tali motivi è nato un corso di formazione gratuito rivolto a cittadini e volontari che operano o intendono operare all’interno di molteplici e diversificati settori del volontariato o che vogliono semplicemente saperne di più sulla legalità, sui diritti umani e sulla coscienza civica. Il corso mira a sviluppare la coscienza civica di cittadini e volontari, per prepararli al volontariato nella vita sociale, intendendo per volontariato un percorso di formazione utile anche ai fini della costruzione di un cammino personale di legalità e di rispetto altrui nella vita di ogni giorno, svolta nel proprio territorio di appartenenza.

Il corso prevede un percorso teorico e uno pratico e si terrà a Pozzuoli presso il centro "Città Dell’Essere", meglio conosciuto come Open Center, situata in via Celio Rufo 20, avrà inizio il 20 marzo e sarà diretto dalla dottoressa Mancini con la collaborazione di docenti esperti, provenienti dal mondo del volontariato. A fine corso gli allievi riceveranno un attestato di frequenza, valido per l’ottenimento di crediti formativi e per il rafforzamento delle competenze nel proprio curriculum vitae. Inoltre, entro la fine del corso si terrà un convegno dove interverranno le istituzioni.

Prato: un murales di detenuti e studenti, per ricordare De Andrè

 

Ansa, 23 marzo 2009

 

All’interno della Casa Circondariale della Dogaia di Prato è stato realizzato un murales dedicato a Fabrizio De Andrè in occasione del decennale della sua scomparsa. Il murales, progettato dagli studenti delle scuole medie De Andrè e Il Campino e realizzato dai detenuti del carcere del capoluogo toscano, è lungo circa 15 metri di lunghezza e rappresenta simbolicamente il passaggio verso la libertà, il viaggio dal buio verso la speranza. In occasione della presentazione dell’iniziativa verranno eseguite alcune canzoni del cantautore genovese da parte del coro degli alunni di entrambe le scuole.

Iraq: i 13mila detenuti dalle "forze di occupazione" presto liberati

 

Ansa, 23 marzo 2009

 

Il responsabile statunitense per i detenuti iracheni generale David Quantock ha affermato che per la metà dell’anno migliaia di iracheni, attualmente incarcerati dalle forze di occupazione, torneranno liberi o verranno processati davanti a un tribunale iracheno. Attualmente sono 13 mila le persone rinchiuse nelle carceri gestite dalle forze di occupazione, molte di loro si trovano in prigione da cinque-sei anni senza un solo capo d’accusa, soltanto perché considerate potenzialmente pericolose.

 

 

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