Rassegna stampa 8 maggio

 

Giustizia: le crudeltà elettorali ed i "vanti" del ministro Maroni

di Raffaele Ferraro

 

Aprile on-line, 8 maggio 2009

 

Il ministro Maroni definisce "risultato storico" il respingimento di 227 stranieri, ricondotti in Libia senza far loro toccare terra. Ma finge di dimenticare le numerose regole violate. Due su tutte: la Convenzione internazionale in materia di ricerca e salvataggio marittimo detta anche Sar (Search and Rescue) stipulata ad Amburgo nel 1979, e perfino gli accordi bilaterali con la Libia. Qualcuno, tuttavia, sembra più interessato a marcare la propria identità

In questi giorni emergono le prime terribili testimonianze dei reduci del mercantile turco Pinar (sul quale si è scatenato un caso con le autorità maltesi) che raccontano di una permanenza in Libia - prima di affidare le proprie vite ad una carretta del mare - fatta di violenze inaudite, torture continue, reiterati stupri di gruppo anche nei confronti di uomini e donne incinte; parlano poi di compagni di viaggio morti di stenti e gettati in mare come zavorra durante la traversata.

È in questo scenario che il ministro Maroni parla di "risultato storico" e di "svolta nella lotta all’immigrazione clandestina" dinnanzi a quella che altro non è che una violazione di norme internazionali ed italiane attuata ieri mediante il respingimento di 227 stranieri ricondotti dalle motovedette italiane da Lampedusa alla Libia.

Per elencare ogni singola normativa violata servirebbero centinaia di righe, quindi mi limiterò alle più macroscopiche; bisogna preliminarmente rilevare che per un comportamento simile l’Italia subì già, nel 2004, una condanna da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo (a causa di respingimenti collettivi in seguito a sbarchi a Lampedusa). Rimpatriare senza identificare, infatti, significa non consentire ai richiedenti asilo politico di inoltrare le domande e quindi, di fatto, respingerle pregiudizialmente e sommariamente in blocco. Ma di questo non si tiene conto.

In secondo luogo non si tiene conto dell’immediata preoccupazione espressa dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati che parla di forte probabilità "che fra le persone respinte ci siano individui bisognosi di protezione internazionale", chiede che "il principio internazionale di Non -refoulement (non - respingimento) continui ad essere integralmente rispettato" e rileva che la Libia non ha aderito alla Convenzione sui rifugiati di Ginevra del 1951 e non dispone di un sistema nazionale d’asilo efficiente (soprattutto in vista del fatto che tale diritto è preso in esame unicamente laddove i richiedenti siano di fede musulmana).

C’è poi la Convenzione internazionale in materia di ricerca e salvataggio marittimo detta anche Sar (Search and Rescue) stipulata ad Amburgo nel 1979, la quale impone un obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare senza distinzione alcuna a seconda della nazionalità o dello stato giuridico, stabilendo altresì, oltre l’obbligo della prima assistenza, anche il dovere di sbarcare i naufraghi in un "luogo sicuro" (che non è necessariamente individuato in base alla vicinanza). Tale convenzione trova il suo campo di applicazione non solo in acque territoriali, ma anche in acque internazionali adiacenti. Questo non può essere ignorato - quindi viene mistificato - e Maroni chiede un’ "interpretazione autentica" da parte della Commissione Europea sulla natura degli obblighi italiani sostenendo che tali acque sarebbero di competenza della zona Sar di Malta. Inutile dire che la Commissione Europea non può fornire interpretazioni autentiche in merito a norme che non sono di fonte comunitaria ma internazionale.

Si rileva infine che nemmeno gli accordi bilaterali oggi vigenti con la Libia prevedono comunque il respingimento o la riammissione in quel paese di migranti irregolari giunti in Italia o, peggio, di naufraghi salvati in acque internazionali. Solo un anno fa la Marina italiana salvava migliaia di vite nelle acque nei pressi di Lampedusa mentre oggi, in seguito allo Maroniana metamorfosi del centro di prima accoglienza in Cie (Centro di identificazione ed espulsione vale a dire il nuovo nome dei Cpt) tutto è cambiato. E non certo in meglio.

Proprio ieri il Presidente della Camera Gianfranco Fini, tornando sulle proprie dichiarazioni di contrarietà all’istituzione dei presidi - spia, ha aggiunto che "sbaglia chi dice che gli elettori di destra non capiscono. Rifiuto questa etichetta perché, se così fosse, vorrebbe dire che la destra ha una totale insensibilità’ rispetto al più elementare rispetto dei diritti umani e non è vero".

Ma qualcuno sembra non crederci o essere più interessato a marcare la propria identità e non posso che chiedermi quante vite umane, quanti stupri, quante violenze e torture dovremo tollerare ancora -essendo nel contempo etichettati come buonisti - affinché la Lega possa segnare il territorio ed occupare una nicchia elettorale sguarnita a fini elettoralistici.

Giustizia: se non sono "leggi razziali" queste, cosa altro sono

di Luigi Manconi e Federica Resta

 

www.innocentievasioni.net, 8 maggio 2009

 

La definizione di Dario Franceschini ("leggi razziali") a proposito di alcune norme, già approvate o contemplate dal disegno di legge sulla sicurezza, ha suscitato scandalo. Alle reazioni furibonde del centrodestra ("vaneggiamenti") si è accompagnato un qualche imbarazzo nel centrosinistra: forse si esagera un po’, signora mia.

E invece, se l’evocazione storica può risultare problematica, le implicazioni giuridiche e sociali di quelle norme non lo sono affatto. Sì, siamo in presenza di "leggi razziali". Nel senso che si tratta di norme che discriminano tra i cittadini in base alla loro identità etnica. Basti pensare alla cosiddetta "aggravante di clandestinità".

Essa si applica a qualunque reato, per il solo fatto di venire commesso da un migrante irregolare, anche in assenza di alcuna relazione con la condotta a lui contestata e con il bene giuridico protetto leso da quel reato. Non meno discriminatoria la norma che qualifica come fattispecie penale quello che oggi è un mero illecito amministrativo, ovvero il soggiorno e l’ingresso irregolari nel territorio dello Stato.

Si tratta di una norma in primo luogo inefficace (perché non fa che gravare i tribunali di processi destinati a concludersi con la prescrizione o con l’espulsione): e, soprattutto, dotata di una fortissima valenza culturale e simbolica. Ciò che viene punito, infatti, non è un comportamento, ma la circostanza tutta soggettiva di essere straniero e non in regola: responsabile soltanto, magari, di non aver rinnovato il permesso di soggiorno in tempo utile. Si consideri poi che la norma si applica anche ai minori ultraquattordicenni imputabili, che peraltro - non potendo essere espulsi - saranno tra i pochi a subire un processo. Come si vede queste due norme hanno un tratto comune.

In spregio al principio garantista e liberale che concepisce il diritto penale come diritto del fatto e non dell’autore, si incrimina non un (o si aggrava la pena non per un) comportamento ma si sanziona uno status amministrativo, quale appunto la condizione di regolarità. Se non sono "leggi razziali", queste, cos’altro sono? Né più né meno che altrettanti meccanismi di produzione di intolleranza per via istituzionale.

P.S. A proposito: ma perché mai tutti, proprio tutti (dal Tg1 ad Anno Zero) utilizzano il termine "clandestino" per definire chi, almeno finora, è semplicemente non regolare? A furia di stigmatizzare il "politicamente corretto", è fatale che si caschi nella trivialità dei concetti, oltre che delle parole.

Giustizia: oltre la cattiveria, Maroni passibile di denuncia all’Ue

di Fulvio Vassallo Paleologo (Università di Palermo)

 

Carta, 8 maggio 2009

 

Il ministro Maroni è riuscito a deportare in Libia, da dove erano partiti, i migranti soccorsi ieri nel Canale di Sicilia. Anche se tra loro c’erano 40 donne e un numero imprecisato di minori, già vittime di abusi in quel paese. È il prezzo della "sicurezza". Si è quindi riusciti a "forzare" il protocollo di intesa tra Italia e Libia del dicembre 2007, con Prodi al governo, poi ripreso dagli accordi sottoscritti a Tripoli nell’agosto del 2008 da Gheddafi e Berlusconi e ratificati dal Parlamento a febbraio scorso con il voto favorevole del Pd. Siamo arrivati ai respingimenti "sommari" in mare, vietati dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra e dall’art.3 della Convenzione europea dei diritti umani. È irrilevante per il governo che ad attraversare la Libia siano soprattutto potenziali rifugiati.

Maroni sbaglia quando dice che questa operazione non ha precedenti. Nel 2005 l’Italia era stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo proprio perché aveva effettuato respingimenti collettivi, con voli militari e charter da Lampedusa a Tripoli e Misurata, dei migranti sbarcati a Lampedusa dall’ottobre del 2004. Nei mesi successivi l’Italia aveva finanziato voli di deportazione dalla Libia verso i paesi di origine. Con questa nuova operazione di "rimpatrio", ci sono tutti gli estremi per una nuova denuncia alla Commissione europea. Occorre fare presto. Perché le partenze continuano e continueranno, come è confermato anche oggi dallo sbarco sulle coste siciliane di un elevato numero di migranti, fuggiti prima dell’arrivo della polizia. Proprio mentre le motovedette della Guardia costiera della Finanza riconsegnavano alla polizia libica i 224 naufraghi "recuperati".

Giustizia: il carcere lascia il segno sul 30% dei figli di detenuti

 

Redattore Sociale, 8 maggio 2009

 

Ogni anno sono 75 mila i bambini italiani che entrano in carcere per far visita ai genitori. Il 30% dei figli di detenuti rischia di diventare un futuro detenuto. Liz Ayre: "Bambini devono sapere che incarcerazione non è sinonimo di abbandono".

Ogni anno sono almeno 75 mila i bambini italiani che entrano in carcere per far visita al proprio genitore (o a entrambi), 45mila solo in Lombardia. E se si estende lo sguardo ai 27 Paesi membri dell’Unione europea la cifra arriva a toccare quota 750 mila. Sono i dati (riferiti al 2005) resi noti oggi dalla rete Eurochips (European network for children of imprisoned parents). "Per quanto riguarda l’Italia è verosimile pensare che questi numeri siano più elevati", commenta Lia Sacerdote, presidente dell’associazione Bambini senza sbarre e membro della rete Eurochips.

Le ricadute sociali di questa situazione possono essere molto gravi se si pensa che il 30% dei figli di detenuti, in mancanza di interventi e di risposte adatte ai suoi bisogni, rischia di diventare un futuro detenuto. "Il fatto che i bambini possano incontrare regolarmente i genitori è fondamentale per costruire una relazione con il genitore che forse non è ideale, ma la migliore possibile - spiega Liz Ayre, direttrice di Eurochips -. I bambini devono sapere che l’incarcerazione non è sinonimo di abbandono".

E anche i genitori detenuti hanno dei benefici. Il rischio di problemi disciplinari, ad esempio, si riduce del 40% e anche la recidiva (come ha dimostrato uno studio americano) si abbassa: un padre che può incontrare regolarmente il figlio ha cinque possibilità in più di non avere problemi con la legge dopo la scarcerazione.

 

Mantenere il rapporto genitore-figlio per una relazione sana

 

Se è vero che il carcere lascia il segno sul 30% dei figli dei detenuti (vedi lancio precedente), può essere utile anche concentrarsi sul fatto che il restante 70% non replica il modello del genitore. "L’esperienza ci dimostra che i bambini sono molto forti - spiega Susanna Mantovani, preside della facoltà di scienze della formazione dell’università Bicocca -. Ci sono fattori protettivi, che occorre indagare, anche in chiave preventiva". L’aspetto educativo del rapporto genitore-figlio è al centro della riflessione di Alain Bouregba, psicologo e direttore di "Relais enfants Parents" (la rete francese da cui poi è nata Eurochips, ndr): "È una profilassi efficace per evitare problemi futuri nei bambini - ha spiegato -. Evitare al piccolo l’angoscia dell’abbandono equivale ad assicurargli buone condizioni di sviluppo psichico e sociale".

Ogni settimana sono circa 150 i bambini che entrano nel carcere di San Vittore di Milano (statisticamente una delle carceri più affollate) per andare a colloquio con il genitore detenuto. Un momento difficile, che spesso viene gestito in maniera burocratica e sbrigativa. Per comprensibili ragioni di sovraffollamento. Per aiutare i più piccoli in questo particolare momento, l’associazione Bambini senza sbarre ha dato vita allo "Spazio giallo": uno spazio in cui i piccoli in attesa del colloquio possono giocare e disegnare, assistiti da operatori preparati, psicologi e pedagogisti. "È importante mantenere il rapporto con il genitore detenuto per evitare che il bambino lo idealizzi - conclude Lia Sacerdoti di Bambini senza sbarre -. Se invece, nel limite del possibile, si riesce a mantenere il legame si costruisce una relazione sana".

Roma: detenuta tunisina si è suicidata nel Cie di Ponte Galeria

 

Ansa, 8 maggio 2009

 

Si chiamava Nabruka Mimuni e aveva 44 anni. Ieri sera le hanno comunicato che sarebbe stata espulsa e questa mattina le sue compagne di cella l’hanno trovata impiccata in bagno. Da quel momento le recluse e i reclusi di Ponte Galeria sono in sciopero della fame per protestare contro questa morte, contro le condizioni disumane di detenzione, contro i maltrattamenti e contro i rimpatri. Nabruka lascia un marito, e un figlio. Era in Italia da più di 20 anni. È stata catturata due settimane fa dalla polizia mentre era in coda in Questura per rinnovare il permesso di soggiorno. Se dobbiamo dare un nome a chi l’ha uccisa, non basterebbero le poche righe che abbiamo a disposizione.

 

Non voleva tornare nel suo paese

 

Una cittadina tunisina di 49 anni, rinchiusa nel Cie di Ponte Galeria dallo scorso 24 aprile, sì è suicidata nelle prime ore di questa mattina. "Purtroppo alle ore 06.45 il medico della Cri in servizio presso il Centro, chiamato d’urgenza dalle nostre operatrici, non ha potuto far altro che constatarne la morte", afferma Claudio Iocchi, direttore del Comitato provinciale di Roma della Croce Rossa Italiana. "Il vero problema è che i Cie come quello di Ponte Galeria - ha aggiunto il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - sono sempre meno centri di accoglienza e sempre più centri di reclusione mascherata che, con la possibilità di protrarre la permanenza degli immigrati fino a 180 giorni, oggi sono molto peggiori delle carceri". Le 140 donne rinchiuse nel centro hanno cominciato uno sciopero della fame. E la protesta sta arrivando anche al padiglione maschile, dove molti uomini hanno smesso di mangiare.

"Ho appreso la notizia drammatica del suicidio della donna di origine tunisina nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, nel quale era detenuta dal 24 aprile scorso, in attesa di espulsione". È quanto afferma la consigliera di Sinistra e Libertà alla Regione Lazio, Anna Pizzo."Tale episodio - continua - è la riprova di quanto ho sempre sostenuto sui Cie, anche a seguito di numerose visite effettuate presso la struttura di Ponte Galeria: si tratta di luoghi della sospensione del diritto, dove le persone immigrate vengono recluse pur non avendo colpe, se non quella di non avere i documenti".

"Il gesto estremo commesso da una persone che, a quanto sembra, non aveva mai dato segnali in tal senso, dimostra con tutta evidenza lo stato di sconforto e di disperazione in cui cadono gli immigrati una volta all’interno dei Centri. Questa donna - conclude Anna Pizzo - ha dovuto compiere un doppio salto nel buio: il primo quando è stata rinchiusa nel Cie, dove i diritti umani vengono negati; il secondo quando ha ricevuto l’obbligo di espulsione in un paese, la Tunisia, che ormai da tempo sentiva estraneo e quindi ostile".

È in arrivo una "immediata verifica sulle condizioni di vita nel Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Ponte Galeria". La annuncia Peppe Mariani, presidente della commissione Politiche Sociali della Regione Lazio in una nota. "Apprendo con sgomento - scrive - la notizia del suicidio verificatosi questa mattina presso il Cie di Ponte Galeria ed ho prontamente recepito l’invito del vicepresidente Battaglia di convocare quanto prima una seduta di commissione. Sarà mio compito effettuare una verifica immediata - prosegue Mariani - sulle reali condizioni di vita del soggiorno obbligato e l’effettiva capacità di ricezione in rapporto al numero della gente ospitata, nonché l’adeguatezza dei servizi sanitari e psicologici". "Ci recheremo direttamente sul posto - aggiunge Mariani - per accertare in loco la situazione di malessere e tensione derivante dal confermato dilatamento del periodo di permanenza disposto dal nuovo pacchetto sicurezza. Alla presenza della Croce rossa convocheremo i dirigenti responsabili del centro di identificazione ed espulsione per chiedere conto sulle condizioni degli stranieri condotti in tale struttura. Questo episodio - conclude - rischia di rappresentare il punto di non ritorno all’interno di un contesto di estrema frustrazione".

Roma: il Provveditore; carceri regione sempre più sovraffollate

 

Ansa, 8 maggio 2009

 

"Le criticità degli istituti penitenziari laziali sono relative al sovraffollamento delle strutture: ad oggi i detenuti sono circa 5.500 in tutto il Lazio, a fronte di una capienza regolamentare di 4.700-4.800 posti. Il sovraffollamento è circa del 20%". È quanto ha affermato il Provveditore regionale del Lazio Angelo Zaccagnino che oggi, al Caffè letterario di viale Ostiense, ha partecipato all’incontro "Ri-uscire fuori" organizzato dall’associazione "Il ponte magico".

Napoli: consiglieri comunali intervengono sui suicidi in carcere

 

Ansa, 8 maggio 2009

 

I dati allarmanti denunciati dal presidente dell’associazione Antigone, Dario Dell’Aquila, sul preoccupante numero di suicidi di detenuti nel carcere di Poggioreale e della Campania, chiamano tutte le istituzioni all’assunzione di responsabilità. Così, in una nota, i consiglieri comunali Francesco Nicodemo (Pd) e Francesco Minisci (Mps).

Oltre duemilacinquecento detenuti per 1387 posti disponibili sono di per sé un segnale immediato della drammaticità delle condizioni di detenzione nella casa circondariale di Poggioreale - spiegano - Di fronte a tale situazione già da alcuni mesi il Consiglio comunale, su proposta dell’assessore Giulio Riccio, ha votato l’istituzione della figura del garante dei diritti delle persone detenute, che nelle sue funzioni avesse innanzitutto il compito di segnalare alle autorità competenti le violazioni di diritti, garanzie e prerogative dei detenuti con particolare attenzione alle condizioni dei luoghi di detenzione. Chiediamo ora all’Amministrazione comunale e all’assessore Giulio Riccio di accelerare la definizione e la chiusura delle procedure amministrative - concludono - affinché il Consiglio Comunale possa eleggere quanto prima il Garante dei diritti dei detenuti.

Perugia: Bocci (Pd); in carceri umbre, si conferma emergenza

 

Ansa, 8 maggio 2009

 

Ricorda di aver ripetutamente denunciato, anche con un’interrogazione del 22 aprile scorso al ministro della Giustizia, la situazione di emergenza nelle carceri umbre, il deputato del Pd Gianpiero Bocci, emergenza secondo lui confermata dal fatto che la polizia penitenziaria è in stato di agitazione dopo quanto avvenuto il 23 aprile scorso nel carcere di Spoleto.

È lo stesso Bocci - in un comunicato - a riferire l’episodio in questione, nel corso del quale un agente sarebbe stato ferito da un detenuto. È evidente - per Bocci - che la situazione è ormai al limite della gestibilità, la carenza di organico della polizia e il sovraffollamento di detenuti crea forti rischi per l’ordine e la sicurezza interna alle carceri. Anche il direttore del carcere di Terni afferma oggi in un’intervista che c’è bisogno di più personale di polizia penitenziaria: nel carcere da lui diretto il rapporto tra agenti e detenuti è di uno a due, una media preoccupante. Questa difficile situazione è stata ripetutamente denunciata, ora non si può più tergiversare, è necessario un intervento immediato delle autorità locali competenti e del ministro Alfano, già da me sollecitato con un’interrogazione il 22 aprile scorso, per riportare la situazione sotto controllo.

Cagliari: malessere delle carceri, sabato visita di Capo del Dap

 

Ansa, 8 maggio 2009

 

Il malessere delle carceri e la possibilità che il sistema penitenziario sardo possa avere uno sviluppo, in particolare con le colonie all’aperto, sono state al centro di diverse iniziative di queste ultime settimane. Lo stesso Consiglio regionale si è interessato al problema con l’audizione in Commissione Diritti Civili e l’incontro che lo stesso presidente Claudia Lombardo ha avuto con le Organizzazioni sindacali.

È questo il motivo che sabato 9 maggio vedrà la presenza in Sardegna del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta. Il presidente delle carceri italiane effettuerà alcune visite negli istituti, incontrerà i soggetti interessati e al pomeriggio, nei locali del Provveditorato regionale, incontrerà i sindacati della Polizia e quelli del personale civile.

Un cartello sindacale unitario le settimane scorse aveva effettuato un sit-in di protesta per evidenziare le gravi carenze di personale e lo stato di disagio attraversato dai 12 istituti carcerari sardi.

Bollate: un reportage dal carcere che recupera i sex-offender

di Riccardo Bocca

 

L’Espresso, 8 maggio 2009

 

Nel carcere di Bollate opera un centro specializzato per il recupero gli aggressori. Lo abbiamo visitato Eccoli gli stupratori, gli italiani e stranieri che hanno violentato donne sconosciute o le loro stesse compagne. Eccoli i pedofili, gli esibizionisti, i molestatori che i detenuti comuni chiamano infami, schifosi, feccia, gente da sbattere in galera e gettare la chiave. Galleggiano in un silenzio artificiale, camminano su e giù per il corridoio su cui si affacciano le loro celle, in una palazzina a due piani del carcere di Bollate, hinterland milanese. A piccoli gruppi chiacchierano del più e del meno, qualcuno legge seduto sul letto, altri guardano il cielo oltre le sbarre. Tutti e 20, questi detenuti per reati sessuali, hanno la stessa aria cordiale. Così lontana dal disgusto che automaticamente evocano le loro violenze, così mite da farli apparire finti, lunari.

È mezzogiorno, quando un agente della polizia penitenziaria spalanca il portone blindato dei sex offender, e sono mesi che i giornali lanciano a ripetizione titoli su di loro. Basta tornare alla giovane aggredita su un prato il 1 maggio a Milano dopo il corteo dei sindacati di base o al 24 aprile e spostarsi di pochi chilometri, a Sesto San Giovanni, per incrociare l’incubo della giovane violentata dal branco mentre era in automobile con il fidanzato. A metà aprile, a Roma, una ventunenne romena è stata rinchiusa in un appartamento e stuprata da due connazionali. L’11 aprile, un napoletano di 61 anni è stato arrestato per abusi sulla nipote minorenne. E l’elenco potrebbe continuare a lungo. "Tutto questo", commenta Lucia Castellano, direttore del carcere di Bollate, "scatena la paura e l’indignazione della gente. Ma il problema non si esaurisce con l’arresto dei sex offender. Bisogna curarli, invece, farli riflettere sulle violenze che hanno commesso, e sul dolore che hanno causato alle vittime. Solo così, tornati liberi, si può sperare che non diventino recidivi".

Concetti che gli stupratori passati in questi anni dall’istituto di Bollate conoscono bene. Qui, infatti, è operativo dal settembre 2005 il cosiddetto Trattamento intensificato per autori di reati sessuali. Un progetto impostato e gestito dal Centro italiano per la promozione della mediazione (Cipm), un pool di psicologi finanziato dalla Regione Lombardia e dalla Provincia di Milano. "I passaggi essenziali sono tre", spiega il responsabile scientifico Paolo Giulini, docente alla facoltà di Psicologia della Cattolica: "Il primo è ospitare i sex offender in una struttura isolata dal resto del carcere, creando il clima ottimale per l’avvio della terapia. Il secondo è utilizzare il gruppo come uno strumento di confronto e introspezione. Il terzo è puntare al progressivo reinserimento di queste persone tra gli altri detenuti, preparandoli gradualmente alla scarcerazione".

Fondamentale, va aggiunto, è anche il modo in cui si accede alla terapia, lontano anni luce da qualsiasi imposizione. "Al contrario", testimonia Alessandro, 38 anni, dei quali 16 in cella per stupro aggravato: "Per entrare nel progetto devi superare un test sulla tua effettiva disponibilità al dialogo. Poi firmi un contratto dove sono indicati i metodi e gli obiettivi previsti nei successivi tre mesi. Infine sottoscrivi un secondo accordo, in cui è specificato che in qualunque momento potrai essere escluso".

In totale, un percorso che dura 14 mesi. Il periodo in cui Alessandro ha dovuto rivivere la sua storia violenta: da quando il padre e la madre litigavano in casa, tirandosi addosso piatti e sedie, fino al diploma da perito meccanico e al legame fisso con una ragazza del suo paese. "Lei mi adorava, non sospettava niente", dice: "Io invece mi appostavo nelle campagne per aggredire le donne che facevano jogging". Peggio ancora: Alessandro, in seguito, ha partecipato a violenze di gruppo con ragazzi conosciuti in club di scambisti, "mascherandoci e violentando con la minaccia di coltelli e pistole". "Alla fine", interviene Luigi Colombo, collaboratore di Giulini con altri nove psicologi, "Alessandro è stato arrestato. Ed è entrato nei nostri gruppi carcerari, dove lo abbiamo sottoposto alla tecnica dell’Emdr (Eye movement desensitization and reprocessing): una particolare forma di ipnosi, con cui le immagini degli stupri riemergono nella mente di chi li ha compiuti".

Modena: al Sant’Anna detenuti dormono anche sui pavimenti

 

Redattore Sociale - Dire, 8 maggio 2009

 

Sono soprattutto i numeri a dare l’idea dell’attuale situazione del carcere S. Anna di Modena. Numeri contenuti nel documento che il Sappe provinciale ha consegnato al presidente della Commissione giustizia Filippo Berselli accolto questa mattina per una visita all’interno della casa circondariale. Risulta così che lo stabilimento penitenziario modenese potrebbe contenere, di norma, 212 detenuti, con una tollerabilità massima di circa 400 ristretti. Ad oggi, nelle celle, e gli ingressi sono in perenne crescita, vivono 550 persone.

Conseguentemente in spazi da due detenuti si arriva a metterne fino a cinque con alcuni costretti a dormire sul pavimento. "Il sovraffollamento delle carceri è un problema che riscontriamo in tutta l’Emilia Romagna - commenta Berselli -, l’ho personalmente accertato a Reggio Emilia, Bologna e Parma; mentre presto sarò a Rimini, poi Ferrara e Ravenna". Però il caso di Modena "arriva ad estremi che sono assolutamente fuori dalla norma".

Proprio quelle situazioni contenute nel documento del Sappe in cui si denunciano "ripetuti casi di violenza nei confronti delle guardie penitenziarie che al S. Anna sono, in attività, 114 e non possono così garantire nemmeno i livelli minimi di sicurezza". Livelli che infatti richiederebbero "una copertura costante di 75 unità nel turno diurno, 20 in quello pomeridiano e 18 in quello notturno".

A Modena invece siamo a "52 unità nel turno mattutino, 14 al pomeriggio e 10 di notte". Uno dei nodi che si dovrebbero presto sciogliere, spiega Berselli, "è il fatto che due terzi dei detenuti delle carceri italiane è ancora in attesa di giudizio mentre crescono costantemente i reati punibili". Dopo la visita, sempre il presidente della Commissione giustizia non nasconde agli organi di informazione che "vedendo la situazione del carcere di Modena viene da pensare che per molti extracomunitari converrebbe di più vivere nelle carceri dei loro paesi di origine, questo un paese civile non se lo può permettere". Berselli non nasconde nemmeno che "se ipoteticamente togliessimo gli extracomunitari da questo complesso, sono il 75%, allora i detenuti starebbero più che bene".

Da un lato, poi, il Sappe modenese chiede "almeno 15-20 unità di polizia penitenziaria e la chiusura della sezione detentiva femminile al fine di recuperare nove unità di personale". Inoltre "essendo previsti nel corrente anno due corsi di formazione per il reclutamento di personale nelle scuole di Parma e Catania, chiediamo 30 unità di personale". Dall’altro lato Berselli replica che "qualcosa bisogna assolutamente fare e cercheremo tutti i modi possibili, magari alleggerendo il numero dei detenuti portandone alcuni da altre parti".

Sempre questa mattina è intervenuta anche la coordinatrice provinciale del Pdl, Isabella Bertolini accompagnata dal vice, Enrico Aimi, e dal consigliere regionale dello stesso partito, Andrea Leoni: "Posso garantire che il ministro Alfano conosce molto bene questa situazione ed è molto attento al suo evolversi" ma "anche a livello locale bisogna assolutamente impegnarsi di più sia amministrativamente che a livello privato". Da qui, infine, l’appello di Bertolini "alle fondazioni ma anche agli istituti bancari, che già si impegnano in tante opere, a pensare anche alla situazione di questo carcere, a - termina la coordinatrice - stanziare fondi".

Bari: l’Ipm è chiuso... ma ci lavorano 28 operatori penitenziari

 

Comunicato Sappe, 8 maggio 2009

 

Finora lo scandalo aveva investito le strutture penitenziarie costruite e mai aperte, ora invece si è arrivati ad avere una struttura chiusa dal 2007 per ristrutturazione(non ci risulta che nel periodo trascorso siano iniziati dei lavori)ma che a tutt’oggi continua ad impiegare degli operatori che si presentano a lavorare presso la struttura chiusa.

Il Sindacato autonomo polizia penitenziaria denuncia quanto sta accadendo al Carcere per Minori di Lecce ormai senza detenuti dall’agosto 2007, ma in cui sembrerebbe che giornalmente circa 28 operatori di cui 18 Poliziotti Penitenziari si recano per timbrare il cartellino. Ciò mentre a 150 kilometri di distanza, nell’altra struttura per minori di Bari si vive in un clima completamente diverso con un sovraffollamento di detenuti che ha superato i posti disponibili ed con una grave carenza di Poliziotti Penitenziari che devono sopperire alla vari problematiche, rinunciando a diritti sanciti dai contratti di lavoro e dagli accordi con i sindacati.

Senza dimenticare la situazione che si vive nelle carceri per adulti pugliesi a partire proprio da Lecce ove la popolazione detenuta ha superato le 1300 unità a fronte di circa 650 posti disponibili, a cui fa da contraltare la grave carenza di Polizia Penitenziaria.

Non può essere certamente un appiglio giustificare l’enorme spreco di risorse con l’apertura del solo Centro di Prima Accoglienza Leccese, che in tutto il 2008 ha registrato n. 26 presenze di ragazzi che hanno sostato nella struttura per un tempo non superiore alle 48 ore.

Abbiamo poi notizia che proprio in questi giorni un altro poliziotto penitenziario è stato distaccato da Bari a Lecce rendendo più paradossale lo scandalo.

Stesso discorso può essere fatto per il Centro di Prima Accoglienza di Taranto che nell’intero 2008, ha registrato l’ingresso ci circa 8 ragazzi(con le modalità di soggiorno di cui sopra) ma che impegnerebbe in maniera continuativa, circa 13 operatori di cui 6 Poliziotti Penitenziari.

Si vuole premettere che quanto avviene non è certo per colpa dei lavoratori, ma di un Amministrazione della Giustizia Minorile che dovrebbe essere commissariata poiché in maniera incredibile nonostante le varie sollecitazioni dei Sindacati, non ha preso nessun provvedimenti per mettere fine a questo scandalo tutto italiano.

Incommentabile poi è stata l’ultima comunicazione del Dipartimento della Giustizia Minorile di Roma, (a seguito di ulteriori denunce della nostra organizzazione sindacale), che invece di intervenire per riportare la situazione nella legalità, ha promesso che avrebbe eventualmente sfoltito i detenuti presso il minorile di Bari, lasciando le situazioni di Lecce e Taranto immutate. Il Sappe - sindacato autonomo polizia penitenziaria - poiché ritiene irresponsabili tali comportamenti, denuncerà il tutto alla Corte dei Conti, nonché chiederà al Ministro della Giustizia Alfano di intervenire per verificare le responsabilità.

In un momento così particolare per l’intera Nazione in cui si parla di risparmi, di razionalizzazione delle spese, di interventi per evitare sprechi, quello che sta accadendo a Lecce e Taranto è uno schiaffo per le Istituzioni e per chi ogni giorno con grande sacrificio, impegno, caparbia, professionalità fa il proprio dovere.

 

Segretario Regionale Sappe

Federico Pilagatti

Piacenza: "Oltre il Muro" apre lo sportello ascolto, in carcere

 

Ansa, 8 maggio 2009

 

L’associazione di volontariato penitenziario "Oltre il Muro" apre uno sportello di ascolto all’interno della Casa Circondariale di Piacenza. Valeria Viganò, presidente, esprime viva soddisfazione per il raggiungimento di questo obiettivo: - Grazie alla sensibilità del direttore della Casa Circondariale, Caterina Zurlo, e grazie alla motivazione e alla serietà dei nostri volontari siamo finalmente riusciti a far partire questa attività di sostegno alle persone detenute che era obiettivo primario della nostra associazione. Dopo i primi tre anni di rodaggio e formazione ci sentiamo pronti a intraprendere un’attività certamente più impegnativa ma di maggior aiuto alle persone in difficoltà che incontriamo in carcere". "Lo sportello sarà operativo tutti i giovedì mattina e di fatto - viene precisato - sarà il primo progetto non temporaneo dentro alle mura carcerarie della nostra associazione. Per i detenuti ci sarà la possibilità di trovare un ascolto, ci aspettiamo suggerimenti e richieste che proveremo a soddisfare nella cornice delle regole della vita carceraria".

Bologna: il Garante su esercizio del diritto di voto dei detenuti

 

Comunicato stampa, 8 maggio 2009

 

Oggetto: Esercizio del diritto di voto delle detenute e dei detenuti ristretti presso la Casa Circondariale di Bologna - elezioni amministrative ed europee 2009.

Con l’avvicinarsi della scadenza elettorale delle elezioni politiche che si terranno nel giugno c.a., in considerazione della presenza all’interno della locale Casa Circondariale di persone detenute, sia in esecuzione pena che in custodia cautelare, che hanno mantenuto il diritto di voto, sono a richiedere che venga tempestivamente predisposto un sistema capillare di comunicazione alle persone detenute, esteso anche a quelle che faranno successivamente ingresso, con le informazioni indispensabili all’esercizio del diritto di voto.

Come è noto, le persone detenute al momento della consultazione elettorale possono esercitare il diritto di voto nel luogo di reclusione, ai sensi degli artt. 8 e 9 legge 23 aprile 1976, tramite la costituzione di un seggio speciale.

L’esercizio di tale diritto è però subordinato ad alcuni adempimenti, che richiedono tempo e che non possono essere utilmente espletati se non attraverso una anticipata conoscenza degli stessi. In particolare mi riferisco alla necessità per il detenuto di far pervenire al Sindaco del Comune nelle cui liste elettorali è iscritto una dichiarazione della propria volontà di esprimere il voto nel luogo in cui si trova, con in calce l’attestazione del Direttore dell’Istituto comprovante la sua detenzione, al fine di consentire al Sindaco l’iscrizione del richiedente nell’apposito elenco, e di essere altresì munito della propria tessera elettorale.

Se è vero che tale richiesta può pervenire al Sindaco non oltre il terzo giorno antecedente la votazione, sarebbe opportuno, come già detto, informare i detenuti della necessità di questi adempimenti, in modo che possano attivarsi.

La tempestiva informazione può favorire l’esercizio di un diritto fondamentale per la partecipazione alla vita politica del nostro paese delle persone detenute, che mai come in questo momento, hanno bisogno di sentire riconosciuto il loro diritto di cittadinanza. A disposizione per ogni possibile contributo porgo cordiali saluti.

 

Avv. Desi Bruno

Garante dei diritti delle persone private della libertà personale

Saluzzo: inaugurato il "micro-birrificio" del carcere Morandi

 

Targato CN, 8 maggio 2009

 

"La pietra scartata dai costruttori è diventata pietra d’angolo". Migliore metafora non poteva trovare il dottor Tiziano Gaia della cooperativa sociale "Pausa cafè" per presentare il nuovo microbirrificio inaugurato oggi che sorge all’interno del carcere "Morandi" di Saluzzo. Fuori di metafora è evidente che la pietra scartata sono i detenuti, non solo quelli che si occuperanno di produrre birra che, assicurano dalla cooperativa, "sarà un prodotto di nicchia, ma di sicura eccellenza". Sono i detenuti in generale ai quali "è doveroso concedere una prova d’appello". C’era davvero un parterre de roi, con tutte le autorità presenti, dalla Presidente della Regione Mercedes Bresso, a Mino Taricco nella sua veste di assessore regionale, a monsignor Giuseppe Guerrini, vescovo di Saluzzo, al sindaco Paolo Allemano, alla sua Giunta e ancora il presidente della provincia Raffaele Costa, il consigliere regionale Elio Rostagno, al magistrato Caterina Centola e via via la migliore rappresentanza del saluzzese e non solo.

Il direttore della struttura penitenziaria di Saluzzo, il dottor Giorgio Leggieri, ha presentato il progetto, seguito e condotto dalla cooperativa "Pausa Cafè", con il determinante contributo della Fondazione della Cassa di Risparmio di Torino, parlando di un’opportunità importante di reinserimento dei detenuti una volta scontata la loro pena. "Mi fa piacere - ha sostenuto il dottor Leggieri - che oggi qui sia presente la città in tutte le sue espressioni. È importante poter mettere sul piatto della bilancia un’opportunità a persone che hanno commesso sbagli e questo è lo scopo dell’iniziativa che andiamo oggi ad inaugurare". Mercedes Bresso si è detta contenta di essere presente e si è augurata che la buona birra che sarà prodotta tra le mura del carcere di Saluzzo diventi per davvero un’eccellenza del territorio. Paolo Allemano: "Oggi il territorio è entrato nel carcere e questa è la dimostrazione migliore di come la città crede in questi progetti e di come c’è sempre stata integrazione tra queste due realtà".

È stato ancora ricordato che il microbirrificio rappresenta per alcuni detenuti un luogo di "libertà" all’interno di un posto di detenzione. Poi, la visita alla piccola struttura produttiva con i maestri birrai della cooperativa a spiegare il ciclo di produzione. Infine un assaggio del nettare biondo, assaggio al quale hanno partecipato volentieri anche la presidente Bresso, l’assessore Taricco e il sindaco Allemano. La visita in città di Mercedes Bresso è proseguita poi alla Castiglia, l’ex carcere cittadino, per la visita alla mostra "Energie sottili della materia". La giornata saluzzese della Presidente si è conclusa con la visita alla cappella Cavassa nel chiostro di San Giovanni.

Aosta: due detenuti danno fuoco alla cella, 3 agenti intossicati

 

Ansa, 8 maggio 2009

 

Un principio di incendio, provocato per protesta da due detenuti in una cella del carcere di Brissogne, ha causato questa mattina l’intossicazione di tre agenti di polizia penitenziaria.

Le fiamme sono state accese su un materasso utilizzando un fornello a gas. L’incidente si è verificato alle 10, nella sezione 1 del primo piano dell’istituto penitenziario valdostano. Sul posto è intervenuto il personale in servizio alla casa circondariale che ha sgomberato la sezione e spento le fiamme. Tre agenti sono rimasti intossicati e sono stati trasportati all’Ospedale Parini di Aosta per accertamenti. Il gesto - secondo quanto ha riferito la direzione carceraria - è stato compiuto da due cittadini extracomunitari che hanno voluto così protestare per il loro recente trasferimento a Brissogne dal carcere torinese Le Vallette. Attualmente i detenuti presenti a Brissogne sono 349, di cui 31 vi sono stati trasferiti tra ieri e mercoledì, nell’ambito di uno sfollamento dell’istituto torinese.

Informazione: la televisione-spazzatura e "Ristretti Orizzonti"

di Guariente Guarienti (Avvocato penalista)

 

Il Verona, 8 maggio 2009

 

Voglio allora raccontare un normale pomeriggio davanti alla televisione, perché mi pare che, se davvero vogliamo capire in che ambienti possono "nascere" i reati, e cosa fare per contrastarli, forse ima riflessione dobbiamo farla sui modelli, gli stili di vita, i desideri degli italiani, così come ci vengono raccontati dalle trasmissioni televisive. Allora, su un canale va in onda una trasmissione. "Uomini e donne", con sullo sfondo una scritta. "Federico e Jonathan sceglieranno la donna che potrà essere la compagna della loro vita" cioè maschi bellocci che stanno su un trono e si fanno corteggiare da una serie di donne, che fra di loro si mangiano vive con espressioni eleganti del tipo "Ma che dici, cretina!".

E dovrebbero scegliere la "compagna della loro vita", non quella con cui andare a ballare domani. Intanto su Internet scorrono i titoli "Grande Fratello: Vanessa provoca Marco con un messaggio erotico", ma tutto é rimandato alla trasmissione di questa sera. Parte un’altra trasmissione, dove si mescolano pettegolezzi, Grande fratello e "informazione", e in mezzo si parla anche dello stupro di Guidonia, ospite ormai fissa in questi casi l’onorevole Santanchè, la cui opinione é che colpevoli di tutto sono i magistrati "che tengono in carcere solo quelli che non la pensano come loro".

Traggo questa riflessione, che condivido pienamente, da un articolo di Ornella Favero, direttore responsabile di una straordinaria rivista, Ristretti Orizzonti, periodico di informazione e cultura che esce dal carcere Due Palazzi di Padova al quale mi sono recentemente abbonato.

È una rivista che, con la piena partecipazione di molti detenuti, affronta i temi della giustizia, del carcere, della pena con grande apertura mentale, realismo, spirito critico e sensibilità sociale, organizza dibattiti e convegni e fa una preziosa controinformazione. Alla rivista si affianca "Ristretti News" notiziario quotidiano dal e sul carcere che viene inviato gratuitamente a chi lo chieda via e-mail. È un’iniziativa utilissima a chi opera nel mondo giudiziario giacché comprende, in tempo reale, notizie su ogni proposta parlamentare, articoli dai quotidiani e notizie su incontri, convegni, corsi, mostre. L’indirizzo e-mail di "Ristretti News" é: redazione@ristretti.it.

Diritti: il "Pacchetto-sicurezza" minaccia i diritti fondamentali

 

Comunicato stampa, 8 maggio 2009

 

Domenica 10 maggio, nel Parco Caserme Rosse a Bologna, si svolgerà per il quarto anno consecutivo la Giornata per i Diritti e la Libertà dei Migranti, promossa dal Coordinamento Migranti di Bologna e Provincia. Le associazioni firmatarie, che a vario titolo si occupano di migrazione in ambito socio-sanitario nel territorio bolognese, aderiscono all’iniziativa e saranno presenti con banchetti informativi. Rappresentanti delle associazioni prenderanno inoltre parte all’assemblea pubblica prevista per le ore 18.00.

Medici, studenti e operatori socio-sanitari, che volontariamente si occupano di fasce marginalizzate e deboli della società, saranno presenti per portare nuovamente all’attenzione quanto gli attuali provvedimenti in discussione in Parlamento, unitamente alla difficile congiuntura economica, costituiscano serie minacce per la salute e i diritti dei migranti e della popolazione tutta. È noto infatti quanto le condizioni di marginalità, precarietà economica e discriminazione sociale - nelle quali sempre più si trovano confinati gli immigrati nel nostro paese - costituiscano fondamentali determinanti di salute.

Pur accogliendo con sollievo l’abrogazione del "divieto di segnalazione", avvenuta pochi giorni fa in sede di discussione alla Camera del cosiddetto "pacchetto sicurezza" (ddl 2180), non possiamo non rilevare la diffusa riduzione degli accessi alle strutture sanitarie da parte degli immigrati senza permesso di soggiorno, legata al clima di intolleranza certamente aumentato ed all’incertezza riguardo alle conseguenze che l’introduzione in via definitiva della norma relativa al reato di ingresso e soggiorno illegale potrebbe comportare nei confronti dell’accesso ai servizi pubblici. Come rilevato infatti in un recente comunicato da Amnesty International, Medici Senza Frontiere, Società Italiana di Medicina delle Migrazioni e altri, tale reato porterebbe all’insorgere di gravi barriere all’esercizio di alcuni diritti fondamentali da parte dei migranti: la denuncia obbligatoria da parte di ogni pubblico ufficiale (art. 361 c.p.) o incaricato di pubblico servizio (art. 362 c.p.) spingerà infatti gli immigrati privi di permesso di soggiorno a sottrarsi al contatto con funzionari dei servizi pubblici, in qualunque ambito. Unitamente alle associazioni citate, esprimiamo pertanto pieno dissenso all’introduzione di tale provvedimento, auspicando che un dibattito aperto e approfondito sull’articolo 21 non sia impedito dal ricorso al voto di fiducia e appellandoci ai deputati di tutti gli schieramenti affinché chiedano lo stralcio dell’art. 21 dal disegno di legge, o esprimano voto contrario sugli articoli rilevanti, se posti in votazione.

In un senso più ampio, inoltre, è necessario rilevare che l’attuale crisi economica avrà indubbie ripercussioni in termini di salute, soprattutto sulle fasce deboli della società. Come operatori socio-sanitari abbiamo dunque il dovere di segnalare quanto un mancato intervento, o peggio un intervento errato, possa andare ad aggravare i rischi per la salute e le loro prevedibili conseguenze.

Per questo chiediamo al Governo e ai Parlamentari che venga seriamente rivalutato l’impianto normativo vigente relativo alle norme per la regolarizzazione che - soprattutto in un momento di crisi - rischia di "creare" un numero importante di immigrati irregolari a causa della perdita del posto di lavoro e conseguentemente del permesso di soggiorno. Immigrati irregolari per i quali, lo ricordiamo, sussistono tuttora gravi barriere di accesso ai servizi di prevenzione e cura (mancanza di accesso ad una medicina di base pubblica e diffusa sul territorio, costo delle prestazioni di secondo livello, competenza culturale del sistema sanitario nazionale ecc.).

Ci rivolgiamo anche alle istituzioni locali e regionali, affinché facciano quanto in loro potere al fine di sensibilizzare i rappresentanti politici nazionali alle tematiche sopra descritte, e si adoperino per intraprendere azioni a livello territoriale volte a tutelare la popolazione tutta nell’interesse della stabilità sociale e della salute individuale e collettiva.

La salute, al pari dei diritti fondamentali, è un bene collettivo e va promossa e tutelata a livello di ogni individuo affinché tutti ne possiamo effettivamente fruire: questo - come operatori socio-sanitari - siamo chiamati a portare avanti, nelle parole e nei fatti, e per questo saremo domenica al fianco dei migranti e di tutti i cittadini che vorranno partecipare ad una giornata di festa e di civiltà.

 

Associazione SokosGruppo Prometeo (Facoltà di Medicina e Chirurgia)

Salute Senza Margini

Fisioterapisti Senza Frontiere

Amiss (Associazione Mediatrici Interculturali in ambito Sociale e Sanitario)

Fiori di Strada Onlus

 

 

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