Rassegna stampa 26 maggio

 

Giustizia: la sicurezza dei cittadini? interessa di più la sinistra

di Agostino Spataro

 

Aprile on-line, 26 maggio 2009

 

Il bisogno di sicurezza è venuto crescendo nella società, soprattutto nei settori meno abbienti e perciò meno protetti. Talvolta questo bisogno è gonfiato ad arte per mezzo di campagne mediatiche mirate ed allarmistiche, ma si basa sempre su un nucleo di verità. Perciò è utile rifletterci sopra, tentando di rispondere ad alcuni interrogativi che frullano, insoluti, nella mente un po’ frastornata della gente.

Di questi tempi, si fa un gran parlare di riforma della "sicurezza" anche se non si capisce quale e a che cosa dovrà servire tutta questa sbandierata sicurezza. In realtà, più che una riforma sembra un’invocazione generica, demagogica, nel bel mezzo di una campagna elettorale. Tuttavia, sarebbe da stolti non vedere che per quanto populista sia l’approccio i suoi promotori fanno leva su problemi reali. Il bisogno di sicurezza, infatti, è venuto crescendo nella società, soprattutto nei settori meno abbienti e perciò meno protetti. Talvolta questo bisogno è gonfiato ad arte per mezzo di campagne mediatiche mirate ed allarmistiche, ma si basa sempre su un nucleo di verità. Perciò è utile rifletterci sopra, tentando di rispondere ad alcuni interrogativi che frullano, insoluti, nella mente un po’ frastornata della gente.

 

Sicurezza o ordine pubblico democratico?

Già il termine stesso di "sicurezza" suscita qualche perplessità, specie se non è accompagnata da un’aggettivazione che la definisca nel suo valore politico e in sintonia col dettato costituzionale e col diritto internazionale. Solitamente, si usa tale termine in riferimento ad un edificio, ad un’infrastruttura, ad un lavoratore, all’integrità territoriale di un Paese, ecc. Insomma, il concetto di sicurezza più s’addice a qualcosa di specifico meno ad un sistema complesso e in evoluzione di relazioni umane, sociali, ambientali.

A scanso di equivoci, meglio sarebbe dire "ordine pubblico democratico" che sembra una dizione più idonea per definire il sistema e più consona con lo spirito e con la lettera della Costituzione repubblicana e antifascista. Per essere veramente democratico quest’ordine deve essere concepito, organizzato e partecipato come risultante di uno sforzo coordinato e congiunto di tutte le forze sociali e politiche che affidano allo Stato la responsabilità di farlo funzionare, secondo giustizia, efficienza ed uguaglianza. Ovviamente, i cittadini possono / debbono collaborare con lo Stato in questa delicata opera di salvaguardia del bene comune.

Possono farlo, senza bisogno di ronde e di compagnie di ventura che creano confusione sul terreno operativo e possono debordare in una gestione partigiana, arbitraria della sicurezza.

Parliamoci chiaro, le milizie, i volontari con le divise o con le camice nere, rosse, verdi, ecc sono sempre stati al servizio di un progetto politico o di uno Stato autoritari.

In Italia, per altro, questa esperienza è stata amaramente vissuta con la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale fortissimamente voluta dal fascismo il quale, con la scusa di combattere la delinquenza, se ne servì per soffocare la democrazia politica e la libertà dei cittadini. Se una riforma c’è da fare è la riorganizzazione delle forze dell’ordine che devono essere strutturate e dotate dei mezzi necessari per adempiere al meglio ai compiti istituzionali, senza essere distolte per incombenze di tipo amministrativo o, peggio, per garantire una scorta, sovente solo uno status-symbol, ad una pletora di esponenti politici e di governo.

 

La riforma governativa corrisponde al bisogno reale di sicurezza?

A parte talune norme antimafia (non disprezzabili), il provvedimento Lega - Berlusconi, oltre che discutibile nel merito, appare inadeguato al bisogno poiché offre una risposta parziale e pasticciata ad un problema complesso e vasto qual è quello della "sicurezza globale" che, certo, non può essere ridotta all’immigrazione clandestina. Se per sicurezza deve intendersi, in primo luogo, la tutela della vita e della salute umane, questo provvedimento trascura la gran parte dei fattori d’insicurezza che ogni anno, in Italia, provocano diverse migliaia di vittime e feriti. Più di una guerra mediorientale. Penso all’elevato numero di vittime per incidenti stradali o sul lavoro, ai casi di malasanità, alle aggressioni della microcriminalità, alle violenze di quella organizzata, al bullismo, alla pedofilia, alla sfruttamento della prostituzione, al mercato nero del lavoro, al contrabbando, alle sempre più frequenti esplosioni di follia, di gelosia, ecc.

Una sequenza impressionante di eventi tragici che chiamano in causa l’organizzazione della società e le responsabilità dello Stato e dei vari organismi preposti alla prevenzione dei reati e al controllo del territorio.

 

Garantismo o permissivismo?

In realtà, la tanto sbandierata "sicurezza" leghista e governativa, concentrandosi ossessivamente sull’immigrazione clandestina, non interviene sui diversi fronti dell’insicurezza diffusa, soprattutto nei grandi centri urbani e nelle periferie dove si registrano i più gravi allarmi sociali.

Rispetto a tali fenomeni c’è un groviglio di cause che vanno chiarite e rimosse, richiamando la responsabilità della classe dirigente che sembra avere abbandonato la società alla deriva, in balia di un permissivismo eccessivo contrabbandato per garantismo.

Tale "equivoco" ha creato uno squilibrio fra la giusta esigenza del recupero dei soggetti deviati e la tutela dei diritti dei cittadini vittime delle varie devianze.

Insomma, si è capovolto il senso vero dello Stato democratico che, in primo luogo, deve tutelare la sicurezza, i diritti dei cittadini onesti e dopo, se compatibili con tale priorità, anche quelli di chi, in vario modo, vi attenta. Questo a me pare un punto chiaro da riaffermare anche da parte di una sinistra che, se vuole aspirare ad un ruolo di governo, non può regalare al centrodestra il monopolio della sicurezza, per altro esercitato in chiave propagandistica e populista.

 

Ma la sicurezza è di destra o di sinistra?

Penso che dovrebbe essere un valore fondante della convivenza civile, condiviso da tutte le forze democratiche. Tuttavia, se proprio le si vuol dare una connotazione politica credo che tutelare la sicurezza dei cittadini sia più interesse della sinistra e delle forze progressiste e meno della destra. Se non altro per il fatto che la domanda di sicurezza proviene, prevalentemente, dai ceti medi e meno abbienti i quali si rivolgono allo Stato perché, a differenza delle classi agiate, non dispongono di mezzi propri per tutelarsi.

Ecco perché dovrebbero essere le forze di sinistra, progressiste a farsi carico del problema, con politiche basate sulla prevenzione e sul recupero, ma anche, se è necessario, sulla giusta repressione dei reati, come vuole la legge. Lasciare tale compito al centro-destra è un grave errore politico poiché - come si vede - non risolve il problema della sicurezza vera e ne fa solo una bandiera da agitare per fini elettorali. Senza dimenticare che, storicamente, la destra ha sempre strumentalizzato il bisogno di sicurezza per imporre un ordine autoritario, talvolta illiberale.

Giustizia: il sovraffollamento delle carceri, dramma umanitario

di Gennaro Santoro e Giovanni Russo Spena

 

Liberazione, 26 maggio 2009

 

Carceri galleggianti, ormeggiate in prossimità dei grandi porti italiani, ecco l’ultimo spot del governo.

Sono 62.473 i detenuti al 14 maggio, per una capienza regolamentare di 43.201 posti. Il piano carceri, presentato dal capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Ionta al ministro Alfano, prevede un incremento complessivo di 17.129 posti, dei quali 4.605 pronti entro due anni.

Una trovata inefficace e demagogica del governo per risolvere il dramma del sovraffollamento carcerario in quanto i tassi d’ingresso sono ormai di mille unità al mese.

Ciò vuol dire che a fine anno servirebbero 30 mila nuovi posti letto, 48 mila tra 2 anni. Quindi, i 4.605 posti in più che avranno le nostre patrie galere nel giro di due anni rappresentano una goccia nell’oceano, non risolveranno l’emergenza sovraffollamento. Ma il piano, si sa, è utile in vista delle imminenti elezioni europee, e per aprire le porte alla privatizzazione della pena. Non a caso, già vi è stata una riunione del ministro Alfano con Confindustria.

Il ministro però trascura che l’esperienza delle carceri galleggianti e della privatizzazione degli istituti di pena è oggi abbandonata da quei pochi paesi che avevano adottato tali misure. In Inghilterra la nave prigione "Weare" è stata chiusa e tra non molto incontrerà lo stesso destino la nave prigione americana "Use Lewis and Clark".

In America, dove le carceri private sono già una realtà, gli imprenditori fanno lobby sui giudici per aumentare il numero delle condanne e quindi dei detenuti, per aumentare i profitti. Non è un caso che l’America sia tra i primi tre paesi al mondo per tasso di carcerazione. Eppure il tasso di criminalità non è diminuito. La tolleranza zero non ha mai pagato in termini di efficacia. Ha ripagato e paga, nell’immediato, sul piano dei consensi elettorali.

Intanto i detenuti (il 60% è in attesa di giudizio, presunti innocenti) si preparano a vivere in celle sovraffollate l’imminente e calda estate. L’Italia continua a detenere il 156° posto al mondo per il funzionamento della giustizia, con i suoi tre milioni e mezzo di processi penali pendenti (cinque milioni quelli civili) e un organico dei magistrati pensato negli anni sessanta e mai più rivisto. Ma l’importante è gettare fumo negli occhi negli italiani-elettori, illudere che vi sarà maggiore certezza della pena, maggiore sicurezza.

Qualcuno diceva "la pace è guerra" e l’attuale governo sembra averlo preso sul serio. Così dolosamente si trascura il fatto che l’ecatombe della giustizia italiana e il dramma del sovraffollamento sono dovuti in grandissima parte alle leggi razziste e proibizioniste sull’immigrazione e sugli stupefacenti e dalla c.d. ex Cirielli, quella legge che accorcia la prescrizione per i ricchi e aumenta le pene soprattutto per la microcriminalità. Così si preferisce continuare ad intervenire con provvedimenti inutili e populisti.

Creare l’emergenza, per poi tirare la soluzione dal cilindro. Istituire le ronde e tagliare i fondi alle forze dell’ordine. Creare nuovi posti letto nelle patrie galere (e nei Cie) e creare nuove figure di crimine (vedi pacchetto sicurezza). Respingere barche di donne incinte, bambini e rifugiati, mentre il numero degli sbarchi continua ad aumentare.

Eppure non è da trascurare la reazione forte che anche il mondo cattolico ha intrapreso contro gli ultimi provvedimenti forcaioli, come anche Papa Giovanni II fece nel 2000 per chiedere in Parlamento con vigore un provvedimento di amnistia. Il tramonto dello Stato di diritto in Italia è ormai una triste realtà. L’unione delle forze di sinistra e del mondo cattolico contro l’arroganza e il dispotismo dell’attuale governo deve prendere forma come avvenne nei giorni della Liberazione contro le forze nazi-fasciste. Oggi come allora c’è bisogno di un progetto unitario di tutti coloro che contrastano il razzismo di Stato.

Giustizia: catastrofisti smentiti.... dopo l’indulto città più sicure

di Davide Varì

 

L’Altro, 26 maggio 2009

 

A tre anni di distanza dal provvedimento i dati dimostrano un crollo di reati. I migranti sono i più virtuosi. Le città italiane saranno invase da criminali, stupratori e spacciatori". Ricordate? Era l’accusa brandita dal fronte anti-indulto, il provvedimento svuota carceri approvato dal Parlamento nel luglio 2006, cui seguì una lunga scia di polemiche dall’inconfondibile sapore giustizialista.

Su tutti la Lega di Umberto Bossi e l’Italia dei Valori di Antonio di Pietro. Quest’ultimo stilò addirittura una sorta di lista nera con tanto di nomi e cognomi dei parlamentari - "quegli sciagurati" - che votarono il famigerato provvedimento. Insomma, una campagna intimidatoria che fece breccia nel Paese rilanciando la successiva "emergenza sicurezza".

A quasi tre anni di distanza da quel provvedimento, escono però i primi dati che mostrano una situazione molto diversa. L’indulto, non solo ha dato respiro alle stracolme carceri italiane ma, e soprattutto, ha quasi annullato la "famigerata" e temutissima recidiva. Di fatto, delle persone uscite dal carcere, 9 su 10 non hanno più commesso reati.

Insomma, l’indulto ha funzionato e oggi, proprio grazie a quel provvedimento, le nostre città sono più sicure. L’indulto ha funzionato pelle carceri, che sono tornate a una situazione di vivibilità - anche se oggi sono di nuovo stracolme - e ha funzionato per migliaia di persone che invece di passare due o tre anni in galera hanno avuto l’opportunità di iniziare percorsi alternativi al carcere. Percorsi inclusivi, gli unici in grado di stroncare davvero il rischio di recidiva.

Del resto che le prigioni italiane siano un moltiplicatore di illegalità non è certo una novità. Come non è una novità l’effetto virtuoso delle pene alternative che non solo andrebbero difese ma. dove possibile, moltiplicate. Questi i dati, presentati da Giovanni Torrente, sociologo del diritto all’Università della Valle d’Aosta e di Torino che nei giorni scorsi ha illustrato i risultati di una ricerca dal titolo emblematico: "Indulto, La verità, tutta la verità, nient’altro che la verità".

L’indagine ha preso in considerazione i dati relativi ai 27.607 detenuti che hanno beneficiato dell’indulto e un campione di 7.615 persone che hanno usufruito di misure alternative. Bene, nei 26 mesi successivi alla legge sull’indulto, la recidiva nel primo caso si è fermata al 26,9%, mentre nel secondo caso è risultata al 18,57%.

"Questi dati - ha poi spiegato Torrente -significano che nove persone su dieci non sono tornate a delinquere. La media degli indultati tornati in carcere risulta dunque inferiore rispetto a quella del dato complessivo sulla recidiva che tocca quota 68%".

"La televisione e i giornali ci dicevano che molte persone uscite in questo modo dal carcere vi erano rientrate a distanza di pochi giorni. Ma spesso i media - ha Concluso Torrente - dicono le cose senza porsi il problema di verificarle, per questo è nata la mia ricerca che ha smentito questo luogo comune". Insomma, nel momento in cui la maggioranza degli italiani era convinta che l’indulto fosse un fallimento, lo studio dei tassi di recidiva dei "liberati" mostra l’esatto contrario. Eppure, nessuno ne parla. Nessuno si è alzato in Parlamento per sventolare questi dati. Nessuno ne ha chiesto conto ai Torquemada di casa nostra.

I problemi derivati dall’indulto, dunque, sono stai altri. Il primo, relativo al buon funzionamento della giustizia per il fatto che all’indulto non è seguita l’amnistia. La qual cosa ha congestionato le già affaticate procure italiane costrette a celebrare processi inutili visto che le pene sarebbero state indultate.

II secondo problema è derivato dalla mancata riforma del Codice Penale. Uno strumento indispensabile che l’allora presidente della commissione per la riforma del Codice, Giuliano Pisapia, provò a presentare dopo una lavoro lungo e serio. E quella riforma, affossata come quasi tutte le buone riforme di questo Paese, poggiava proprio sulla depenalizzazione di alcuni reati e sul rafforzamento delle misure alternative al carcere.

Tornando alla ricerca del professor Torrente, un altro dato salta agli occhi. Un dato che scardina il luogo comune anzi, la simmetria migrante-criminale. Rispetto alla media del 27 per cento gli stranieri hanno infatti mostrato un tasso di recidiva decisamente minore (18,8%) rispetto a quello degli italiani. "È un dato da prendere con le pinze - ammette il sociologo - perché la rilevazione degli stranieri è più complicata, ma ci dice molto sulla nostra tendenza a identificare lo straniero con il delinquente".

E in tutto questo le carceri continuano di nuovo a riempirsi. Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, parla di situazione al limite. Tre, sempre secondo Gonnella, le cause principali di questa esplosione: la Bossi-Fini sull’immigrazione, la Fini-Giovanardi sulle droghe e la ex Cirielli sulla recidiva. Toni allarmati arrivano anche dal Sindacato della polizia penitenziaria: "Sono settimane, mesi, anni che denunciamo come la mancanza di una strategia d’intervento sul sistema penitenziario nazionale avrebbe riportato in poco tempo le carceri italiane a livello allarmanti di affollamento. Con la costante media di circa 1.000 ingressi al mese, tra poche settimane avremo nei nostri penitenziari 60mila detenuti". Anche secondo il sindacato la soluzione è una e una soltanto: "Affidare a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale, potenziando quindi l’area penale esterna e prevedendo per coloro che hanno pene brevi da scontare l’impiego in lavori socialmente utili all’esterno del carcere).

Giustizia: Cgil; il Dap sta "scherzando" con la salute dei detenuti

 

Agi, 26 maggio 2009

 

"Si sta scherzando con il fuoco, anzi, con la salute dei detenuti. Sono ormai troppi e ripetuti gli episodi che vedono il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria mettersi letteralmente di traverso nel rapporto con il servizio sanitario nazionale sul tema dell’assistenza sanitaria in carcere".

Lo sostiene in una nota Rossana Dettori, segretaria nazionale Fp Cgil Sanità, che sottolinea come (nonostante la legge di riforma che ha trasferito le funzioni di assistenza sanitaria in carcere obblighi il Dap ad osservare un principio di lealtà e collaborazione istituzionale con il Servizio Sanitario Nazionale) l’amministrazione penitenziaria continui "nella sua decennale opera di contrasto a qualsivoglia avanzamento sul tema del diritto alla salute in carcere per i cittadini momentaneamente privati della libertà personale".

La Dettori ricorda come qualche settimana fa abbia chiesto "al ministro Alfano di sospendere il progetto di ampliamento dei posti letto dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto. Una richiesta - aggiunge - che non ha ricevuto nemmeno una risposta di cortesia". La Dettori ricorda altri due episodi recenti: "Qualche giorno fa la direttrice del carcere di Roma Rebibbia - III Casa - ha disposto il divieto di ingresso in istituto del responsabile del Sert (servizio per le tossicodipendenze), gestito dalla Asl competente. Oggi la notizia che il Capo del Dap, Presidente Franco Ionta, sta per attivare processi formativi per il personale di Polizia penitenziaria da impiegare in attività connesse alle funzioni di assistenza sanitaria".

Questi ultimi due, insieme alla mancata sospensione del progetto di ampliamento dei posti letto dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, secondo la segretaria nazionale Fp Cgil Sanità sono solo alcuni "esempi di come l’istituzione carceraria sta continuando nella sua opera di contrasto all’applicazione di una legge dello Stato".

"Invece di disperdere energie e di impiegare "intelligenze" per questi scopi, illegittimi e contro la legge - accusa la Dettori - il Dap farebbe bene ad operare, con lealtà e collaborazione appunto, insieme alle Regioni ed alle Asl, per fare in modo che in questa delicatissima fase che stanno vivendo le nostre carceri italiane, al sovraffollamento, alla mancanza di prospettive, alla perdita di dignità delle persone detenute (costrette a dormire per terra), non si aggiunga anche il danno di un’amministrazione che si preoccupa di fare ‘murò nei confronti del servizio sanitario nazionale".

Giustizia: Coordinatore Garanti; le carceri? in assoluto degrado

 

Ansa, 26 maggio 2009

 

"Le carceri italiane sono in condizioni di assoluto degrado, si dorme per terra, e la detenzione avviene in palese violazione delle previsioni costituzionali e della convenzione sui Diritti dell’uomo". Lo afferma Salvo Fleres, coordinatore nazionale dei Garanti regionali dei diritti dei detenuti. "Il silenzio dell’amministrazione penitenziaria o, peggio, certe soluzioni, a dir poco fantasiose - aggiunge Fleres - rischiano di aggravare il già pesante clima che si respira nelle carceri, creando condizioni di pericolo sia per i reclusi, sia per il personale e per i direttori. Questi ultimi, nei prossimi giorni, attiveranno forme di denuncia che non possono rimanere inascoltate, senza creare palesi violazioni di legge".

"Negli istituti italiani - osserva Fleres - sono detenute 1.000 persone in più rispetto alla data antecedente l’indulto, ciò a conferma della inefficacia di un tale strumento, soprattutto se non collegato ad un piano di recupero e reinserimento. È necessario immediatamente pensare a forme alternative di detenzione, soprattutto per i tossicodipendenti ed alla definizione di appositi accordi internazionali per gli stranieri".

"Particolare attenzione - rileva il senatore del Pdl - deve essere posta circa la situazione sanitaria del tutto insostenibile anche a causa dell’insorgere di gravi patologie, importate dai paesi extracomunitari, nei confronti delle quali sono maggiori le difficoltà da affrontare. In tal senso i rischi di epidemie sono fortissimi e strutture penitenziarie del tutto impreparate ad affrontarli. Se la civiltà di un Paese si misura dalla qualità delle carceri - sottolinea Fleres - il nostro è abbondantemente al di sotto di quelli consentiti, dato che i reclusi, oltre che della libertà, sono privati anche della salute e della dignità".

"Sono convinto - conclude Fleres - che il ministro Alfano sia consapevole delle condizioni penitenziarie ma è urgente approntare idonee e straordinarie, ma non fantasiose, soluzioni prima che la situazione possa irrimediabilmente degenerare".

Giustizia: 100 mln € per 2.875 nuovi agenti, solo 297 penitenziari

 

Sesto Potere, 26 maggio 2009

 

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il decreto del Presidente della Repubblica 21 aprile 2009 con il quale viene autorizzata l’assunzione nell’anno 2009 di un contingente di personale a tempo indeterminato pari a complessive 2.875 unità, per le esigenze connesse alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione ed al contrasto del crimine, alla repressione delle frodi e delle violazioni degli obblighi fiscali ed alla tutela del patrimonio agroforestale.

La spesa complessiva, che non sarà superiore a 99.969.341,73 euro, consente di implementare gli organici di: Vigili del Fuoco - 297 unità; Guardia di Finanza - 383 unità; Carabinieri - 900 unità; Polizia di Stato - 906 unità; Polizia penitenziaria - 299 unità; Corpo forestale - 90 unità.

Giustizia: Cassazione; la revoca dell'indulto diventa più difficile

di Giovanni Negri

 

Il Sole 24 Ore, 26 maggio 2009

 

La Cassazione rende più ardua la revoca dell’indulto. Con la sentenza delle Sezioni Unite n. 21501 del 22 maggio, la Corte ha precisato che, in caso di condanna per vari illeciti continuati, alcuni consumati prima di usufruire dell’indulto, e altri successivamente, nei 5 anni dall’entrata in vigore del provvedimento di clemenza, l’autorità giudiziaria dovrà considerare la pena in concreto inflitta a titolo di aumento di ogni reato e non quella minima prevista dalla norma incriminatrice. In materia di revoca, osserva la Corte,l’obiettivo è quello di controllare la meritevolezza del benefici oda parte del singolo condannato. Va infine respinta la tesi della disparità del trattamento tra chi commette un reato legato da continuazione e chi commette un delitto al di fuori di un disegno. È infatti lo stesso Codice penale ad attribuire a una condanna rilevante ma attenuata in continuazione, un disvalore attenuato.

Giustizia: Gasparri; Governo deve ascoltare polizia penitenziaria

 

Apcom, 26 maggio 2009

 

Il presidente del gruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, ha incontrato una delegazione del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che ha esposto alcune problematiche riguardante il riordino delle carriere e la gestione del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. "È intenzione del governo e della maggioranza procedere al riordino delle carriere - ha dichiarato Gasparri - utilizzando le risorse accantonate per venire incontro alle esigenze che tutto il mondo della sicurezza da tempo rappresenta.

Per quanto riguarda la gestione del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, non c’è dubbio che l’attuale vertice sta mostrando un’insufficiente esperienza specifica in materia. Ho ascoltato con attenzione le critiche espresse dal Sappe e mi auguro che anche le autorità competenti di governo ne tengano conto. L’amministrazione penitenziaria è una realtà vitale nella vita dello Stato e il suo buon funzionamento assume un significato prioritario. Sono certo che saranno valutate scelte diverse tenendo anche conto delle considerazioni espresse da quanti vivono quotidianamente la vita del carcere al servizio dello Stato".

Giustizia: Osapp; Pannella in sciopero di sete, a nostro sostegno

 

Ansa, 26 maggio 2009

 

"Marco Pannella riprende lo sciopero della sete a favore del personale della Polizia penitenziaria e di tutto il personale dell’amministrazione carceraria". A renderlo noto è Leo Beneduci, segretario generale, nonché leader ispiratore dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria), il secondo sindacato di categoria. "È una promessa - spiega Beneduci - che il leader radicale ha fatto di sua spontanea volontà nel corso della puntata straordinaria di Radio Carcere, trasmessa la scorsa settimana sulle frequenze di Radio Radicale".

Consapevole delle difficili condizioni in cui versa l’esponente radicale, per Beneduci queste "esprimono perfettamente qual è la situazione che sta patendo tutto il mondo che si raccoglie attorno all’istituzione del carcere". "Come forza rappresentativa e autorevole - continua il segretario generale - raccomandiamo la massima cautela e testimoniamo vicinanza a un superesponente politico, che come da anni avviene e sin dalla riforma penitenziaria, è il solo ad esprimere l’unica voce politica a tutela di un corpo agenti da sempre dimenticato, quando invece - conclude il leader sindacale - e chissà perché, le altre forze di partito si ricordano di noi solo durante le campagne elettorali".

Giustizia: Saraceni (Ugl); giù le mani... dalla Giustizia Minorile

 

Iris, 26 maggio 2009

 

Giustizia minorile, affidarla al Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria equivale ad affossare la struttura più efficiente dell’intero panorama della giustizia. Lo afferma il Segretario Nazionale Ugl Ministeri, Paola Saraceni nel corso di un vertice sindacale sui problemi della giustizia, la Saraceni sottolinea anche l’improponibilità di interventi a compartimenti stagno come tra il settore penitenziario e quello giudiziario dove i ritardi dell’uno agiscono sull’altro. Il vero nodo cruciale - secondo il sindacato - è rappresentato dai tagli alle piante organiche che direttamente e indirettamente agisce sulla funzionalità degli uffici e, quindi, sulla lunghezza dei processi e sull’affollamento delle carceri come un vero e proprio effetto a catena.

Le soluzioni? Secondo la Ugl Ministeri da un lato serve reperire nuove strutture adattando, magari, le caserme dismesse o le vecchie case mandamentali; dall’altro agire su accordi internazionali finalizzate a far scontare le pene agli extracomunitari ( sono il 37,20% dei detenuti ) nei loro paesi di origine. Resta però il fatto - conclude la Saraceni - che se la necessità di tagliare i costi della P.A. bisogna trovare anche un limite naturale per garantire l’efficienza dei servizi.

Giustizia: scrivere dietro le sbarre, giornali carcerari sono circa 60

 

Italia Oggi, 26 maggio 2009

 

Il modo migliore per sapere qualcosa sul mondo del carcere è leggere uno dei giornali scritti dagli stessi detenuti. In Italia ce ne sono una sessantina, in tutte le regioni. Qualche esempio? Limitandoci alla Lombardia, ci sono Il due (Milano-San Vittore), Cartebollate (Milano-Bollate), Sosta forzata (Piacenza), Zona 508 (Verziano-Brescia), Liberi di scrivere (Varese) e L’interlocutore (Pavia). Poesie, testimonianze, ma anche commenti e opinioni su fatti di cronaca e novità legislative: con risultati sorprendenti, se si pensa che le redazioni nelle carceri non possono accedere a internet.

Nonostante questo, uno dei servizi giornalistici più completi e autorevoli è proprio il portale www.ristretti.it, curato dalla redazione di Ristretti Orizzonti, il mensile dei detenuti del carcere Due Palazzi di Padova e della Giudecca di Venezia: un grande archivio elettronico con documenti, testi di legge, notizie da e sul carcere, in grado di produrre una rassegna stampa quotidiana inviata via mail agli iscritti.

"Il primo numero di Ristretti è uscito nel 1998, ora ci lavorano 32 detenuti, più altri quattro tra ex carcerati e detenuti con pene alternative", dice Ornella Favero, giornalista e direttore della testata, impegnata anche in progetti di sensibilizzazione nelle scuole. "Siamo riusciti a portare in carcere 2 mila studenti delle medie e delle superiori", racconta Favero. "Quando questo non è possibile andiamo direttamente noi nelle scuole". I giornalisti di Ristretti, che anni fa erano riusciti persino a realizzare un telegiornale a uso interno, il Tg 2 Palazzi, ogni lunedì hanno anche una pagina sul quotidiano Il Mattino di Padova e, insieme ai colleghi delle redazioni di Bollate e Piacenza, scrivono una rubrica sul mensile Terre di mezzo (www.terre.it).

Giustizia: Uil Polizia Penitenziaria; le carceri, stanno scoppiando

 

Affari Italiani, 26 maggio 2009

 

Parte la protesta della polizia penitenziaria, per l’attuale situazione delle carceri, anche in Lombardia: le Segreterie Regionali di Cgil-Cisl-Uil-Sappe e Osapp, le organizzazioni sindacali che rappresentano la stragrande maggioranza della polizia penitenziaria - si legge in una nota diramata dall’Uil Pa Penitenziari - hanno inviato una durissima lettera di protesta al Ministro Alfano e ai vertici dell’Amministrazione Penitenziaria per denunciare ancora una volta, "l’ennesima, l’insostenibile situazione che attiene ai penitenziari lombardi".

"I problemi all’interno degli istituti sono riscontrabili su tutto il territorio nazionale, ma quelli presenti in Lombardia - dice Angelo Urso segretario nazionale Uil Pa Penitenziari - sono senza dubbio i più gravi. Il riferimento è alla disattenzione verso la regione che ospita il più alto numero di detenuti ed impiega il più alto numero di agenti penitenziari.

Al riguardo, Urso cita il numero dei detenuti nella regione che, afferma, supera quota 8.200 a fronte della capienza massima di 5.000, mentre il servizio traduzioni è svolto "costantemente con scorte sottodimensionate e in situazione di pericolo evidente per l’incolumità del personale e per la pubblica sicurezza". Per altro verso "le vacanze organiche, per ammissione della stessa Amministrazione, ammontano a circa 800 unità di polizia penitenziaria a cui si debbono aggiungere le circa 600 unità impiegate fuori regione. Un deficit complessivo e insostenibile di circa 1.400 unità, ovvero circa il 25% delle vacanze organiche su base nazionale.

E se vogliamo considerare anche le circa 200 unità impiegate a surroga degli impiegati amministrativi (che mancano) il quadro è davvero completo nella sua drammaticità. Sono anni che segnaliamo, inutilmente, le difficoltà operative che caratterizzano, anzi condizionano, il lavoro della Polizia Penitenziaria in Lombardia - si legge nella nota unitaria - e sostenere le difficoltà in verità è un eufemismo, poiché la precarietà rende ormai insopportabile l’attività quotidiana di ognuno".

Ad alimentare ulteriori polemiche, proseguono i sindacati, la recente decisone del Dap di trasferire in Sardegna una decina di unità di polizia penitenziaria a seguito delle vibranti protesta in atto nell’isola. "Intanto, il 4 giugno aderiremo in massa al polpen day indetto dalle segreterie nazionali".

Nel corso degli anni, denunciano i sindacati sempre sulla Lombardia, l’Amministrazione Penitenziaria ha notevolmente contribuito ad acuire le difficoltà con l’apertura di istituti ( Bollate) e sezioni (Monza, Voghera, Opera) senza garantire alcun incremento di organico. "La situazione è veramente esplosiva - aggiunge il sindacalista della Uil -.

Basta vedere quello che è successo a Bergamo sabato scorso, dove il sovraffollamento ha determinato una rivolta da parte dei detenuti, per fortuna sedata dal personale di Polizia Penitenziaria. Ma non sempre si potrà far fronte". "Dalla crisi e dalle tensioni non si salva nemmeno l’istituto simbolo di Bollate, dove la settimana scorsa un detenuto ha letteralmente tagliato, sfregiato, la faccia ad un compagno di reclusione. Questa volta è toccato a un detenuto - conclude Urso - ma qualche mese fa a Bollate è toccato a un ispettore.

Se non si colgono nella giusta dimensione questi segnali, rischiamo di trovarci davanti a vere tragedie. Anche la mancanza di risorse economiche contribuisce ad alimentare tensioni e rabbia. Non solo per quanto riguarda il personale, cui non sono pagate le missioni e lo straordinario, ma anche per le strutture che sono in decadenza. Non si fa più la manutenzione ordinaria, non si fa derattizzazione e disinfestazione. Insomma gli istituti sono messi davvero male. Quindi aspettiamoci il peggio. Facciamo appello ai politici lombardi, anche autorevoli membri del Governo, per un immediato intervento per deflazionare la bomba ad orologeria che sono oggi le carceri, e non solo in Lombardia".

Giustizia: "l'Uomo Ombra", un incontro con Carmelo Musumeci

di Nadia Bizzotto

 

www.linkontro.info, 26 maggio 2009

 

Della campagna Mai dire mai per l’abolizione dell’ergastolo abbiamo parlato a lungo su Linkontro. Una campagna pacifica e organizzata, portata avanti da persone per le quali organizzarsi collettivamente non è cosa facile: i detenuti nelle carceri italiane. Soprattutto gli ergastolani. Una campagna alla quale vogliamo continuare a dare voce attraverso uno dei suoi principali promotori Carmelo Musumeci, condannato all’ergastolo e detenuto nel carcere di Spoleto. Ha scontato finora venti anni. Entrato con la licenza elementare, quando era all’Asinara in regime di 41 bis ha ripreso gli studi e da autodidatta ha terminato le scuole superiori. Nel 2005 si è laureato in giurisprudenza con una tesi in sociologia del diritto dal titolo "Vivere l’ergastolo".

Attualmente è iscritto all’Università di Perugia al Corso di Laurea specialistica, per terminare il quale gli mancano sei esami. Autore di parecchi racconti scrive i propri diari, attraverso l’associazione Liberarsi di Firenze, sul sito www.informacarcere.it. Musumeci è tra i firmatari dell’appello a votare Mauro Palma alle prossime elezioni europee. Ci ha chiesto di pubblicare anche su Linkontro.info un articolo-intervista uscito sull’ultimo numero del Sempre, il mensile della Comunità Papa Giovanni XXIIII. Chiede a tutti voi lettori di esprimere un parere, di far sapere il vostro pensiero a proposito della pena dell’ergastolo. Linkontro.info lo ha già fatto: ci auspichiamo di vedere un giorno un nuovo codice penale in Italia che non contenga più la previsione del carcere a vita. Ecco l’articolo pubblicato dal Sempre.

Sabato 7 marzo 2009. Siamo a Reggello, nelle colline intorno a Firenze, per ritirare un premio ad un Concorso Letterario Nazionale di Poesia. Ma il premio non è per noi, è di Carmelo Musumeci. Noi siamo qui con sua figlia a rappresentarlo perché lui non c’è e non ci potrebbe essere. "Sbarre sull’anima, la strappano, la calpestano, la umiliano, ci camminano sopra. Sbarre sulla speranza, anni senza giorni, giorni senza anni, tempo fermo e morto…" scrive nella poesia "Sbarre" per la quale è stato premiato.

Carmelo avrebbe desiderato ritirare il premio personalmente ma, come spiega in una lettera che ha scritto per questa serata, "…sono un uomo ombra, un uomo senza futuro, un ergastolano con il reato ostativo, condannato ad essere colpevole per sempre. L’ergastolo senza benefici, senza mai un giorno di permesso, senza una speranza, è la morte che ti leva la vita. Mentre si parla molto di certezza della pena, si fa assoluto silenzio su noi, sepolti vivi, che è più conveniente dimenticare: per tanto clamore per chi in galera non ci va, si tace, invece, per noi destinati a restarci tutti i giorni della nostra vita".

Carmelo è in carcere da venti anni, condannato all’ergastolo senza benefici. Nato in terra di Sicilia, dove il contesto sociale unito alle vicissitudini familiari lo hanno portato presto a vivere fuori dalla legalità, attualmente si trova nel carcere di Spoleto e porta avanti la battaglia Mai dire mai per l’abolizione della pena senza fine. "Applicare la pena dell’ergastolo è il più grande male che un uomo possa commettere nei confronti di un altro uomo. L’Italia è l’unico paese in Europa dove l’ergastolano non ha veramente mai un fine pena. Non c’è mai un giorno di permesso, mai un Natale in famiglia. Non ho potuto esserci mai ad un compleanno dei miei figli, dei miei nipoti, della donna che amo. Non c’ero alla laurea di mia figlia, né al matrimonio di mio figlio, non c’ero quando nascevano i miei nipoti e neanche ora posso dare loro una carezza, non posso sperare di andare a riprenderli quando escono da scuola, non ho diritto di sperare di giocare con loro nel parco: sono un fantasma, un uomo ombra. Vorrei dedicarmi alla mia famiglia, agli studi, a far del bene agli altri, ma non ho possibilità di dimostrare che sono diventato un’altra persona: penso che non me lo permetteranno mai, che mi terranno sempre chiuso dentro questa cella. Come può lo Stato utilizzare leggi per permettere l’annullamento di tante vite? Come può non riconoscere i cambiamenti che venti, trenta anni di detenzione hanno avuto sulle persone?".

Mentre la funzionaria del Comune continua a leggere la lettera, un bambino seduto dietro di noi sussurra alla mamma: "Da grande voglio fare l’avvocato". Sorrido. Nella sua semplicità questo bimbo ha colto nel segno: Carmelo forse voleva proprio questo, far comprendere che c’è una causa da difendere".

L’art. 5 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo dichiara che: "Nessuno dovrà essere soggetto a torture, o a trattamento o a pena crudele, inumana o degradante". L’ergastolo che non finisce mai non è solo tortura e pena crudele: è un dolore all’infinito, un dolore infinito dell’anima. L’Art. 27 della Costituzione Italiana, sancisce: "Le pene devono avere fini riabilitativi". Come può essere rieducante un carcere che non farà mai uscire una persona? I media fanno apparire che in Italia l’ergastolo non esiste, che nessuno sconta davvero la pena, tra premi, condizionale, ecc.. ma non è così. Da qui noi non usciremo, è una morte civile a tutti gli effetti".

Carmelo termina la sua lettera citando Don Oreste, a lui molto caro. "Chi mi rappresenta stasera è la mia famiglia e alcuni amici della Comunità Papa Giovanni XXIII di Don Oreste Benzi, che qualche giorno prima della sua morte, nel 2007, ha detto: "Adesso inizia lo sciopero della fame nel carcere di Spoleto, per l’abolizione dell’ergastolo. Hanno ragione. Che senso ha dire che le carceri sono uno spazio dove si recupera la persona se è scritta la data di entrata e la data di uscita mai? È una contraddizione in termini. Perché non devono aver il diritto di dare prova che sono cambiati? Non è giusto questo".

Carmelo ha conosciuto Don Oreste nel 2007 e da due anni segue con noi il progetto Oltre le Sbarre, programma della Comunità Papa Giovanni XXIII di condivisione di vita con i detenuti. Lo incontriamo nel carcere di Spoleto: si sta laureando in giurisprudenza, ha appena superato un altro esame universitario e ha subito ricominciato a scrivere. Oltre a poesie e racconti, scrive fiabe. L’ultima è il seguito del suo libro Zanna Blu, dove Carmelo è nelle vesti di un lupo in continua fuga dagli uomini che lo tengono prigioniero.

 

A proposito di lupi, perché ti definisci un lupo cattivo?

Perché spesso i cattivi sono più buoni che i bravi.

 

Qual è stato il percorso che ti ha portato all’illegalità?

La povertà della terra e della famiglia dove sono nato, il degrado del contesto sociale in cui sono vissuto, la separazione dei genitori, la cultura e la mentalità dell’ambiente in cui sono cresciuto.

 

Perché si finisce condannati con l’ergastolo ostativo-senza benefici?

Non sempre quando un ergastolano non diventa "collaboratore di giustizia" è per omertà, ma per ignoranza, paura, perché è innocente o semplicemente perché, giusta o sbagliata che sia, vuole scontare la sua pena senza usare la giustizia per uscire dal carcere, senza mettere qualcun altro al suo posto.

 

Raccontaci brevemente se, come e perché il carcere ti ha cambiato.

Solo i sassi non cambiano, ma col tempo e le intemperie cambiano anche loro. Si cambia giorno per giorno sia fuori che dentro...ma in carcere non si può cambiare in meglio. Il carcere non fa altro che aggiungere male al male e così com’è ora non rieduca nessuno.

 

Cosa faresti se fossi il Ministro della giustizia?

Abolirei il carcere. Farei come ha fatto Don Oreste, aprirei delle comunità affinché chi ha commesso il male venga condannato a fare del bene. Una condanna d’amore. Con il bene si rieduca, non con la punizione. Quello che ti fa cambiare è il senso di colpa, ma se il sistema dimostra di essere più cattivo di me, io non scoprirò mai il senso di colpa per quello che ho fatto di male.

 

Di che cosa ha paura un lupo cattivo?

Della solitudine, della carenza d’amore, di essere abbandonato e di essere rinchiuso, di non riuscire a diventare un lupo bravo.

 

Vivere l’ergastolo: si può sperare dietro le sbarre?

Io non posso sperare, ma lotto ugualmente. Sono condannato ad essere colpevole per sempre. Quando ero sottoposto al regime di tortura del 41 bis non ho mai potuto dare una carezza ai miei figli nell’età in cui ne avevano più bisogno, anche se li ho lasciati all’età di sette e nove anni e non ho mai più passato un giorno con loro. Non posso avere la speranza che vada meglio con i miei due nipoti, di tre anni e di 15 mesi. La mancanza di speranza è il meccanismo di sofferenza più struggente che il Diritto potesse escogitare per un condannato all’ergastolo.

 

Cosa dà la forza di andare avanti a chi non può sperare?

L’amore per la famiglia, gli amici, ma anche l’Amore universale: vuol dire guardare i sorrisi dei bambini, cercare di far parte del mondo esterno, dei vivi: in carcere ti senti un morto.

 

Una laurea e la scrittura come atto di..?

Rivincita per chi mi ha considerato solo un ragazzo e un uomo irrecuperabile, condannato a essere cattivo per sempre.

 

Un messaggio per chi sta dentro?

Quello che dico sempre ai miei compagni: non smettere di lottare. La nostra libertà, almeno quella interiore, dipende da noi. Per cambiare le cose fuori da noi bisogna cambiare prima dentro di noi.

 

E a chi sta fuori?

Siate la nostra voce. Il Cardinale Tettamanzi quest’anno alla Messa di Natale al carcere di Opera a Milano ha detto: è proprio vero che l’ergastolo toglie la speranza. Anche noi abbiamo diritto alla speranza, al futuro. Diritto di avere un calendario nella cella per contare i giorni e gli anni che ci separano dalle nostre famiglie, dai nostri affetti, dal nostro futuro. Spero che voi possiate dare voce alla nostra speranza, perché non sia solo un inganno: c’è gente che ha la certezza di morire qui dentro, vogliamo almeno che la società lo sappia.

Lazio: Nieri; continua impegno di regione a favore dei detenuti

 

Il Velino, 26 maggio 2009

 

Luigi Nieri, Assessore al Bilancio della Regione Lazio (Sinistra e Libertà), Mauro Palma, Presidente del Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa e candidato alle prossime elezioni europee per Sinistra e Libertà e Angiolo Marroni, Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio, si sono recati questa mattina alla Casa di Reclusione di Rebibbia penale. Nell’occasione i detenuti hanno avanzato, ai tre rappresentanti istituzionali, una serie di proposte per favorire le attività finalizzate al reinserimento nella società.

"Nella maggior parte dei casi si richiede una particolare attenzione per le attività culturali e professionali che si svolgono in carcere - spiega Mauro Palma - Il tempo della detenzione deve contenere almeno un’opportunità se il fine deve essere la rieducazione e non la punizione. Purtroppo, come gli stessi operatori sostengono, non si rispettano alcuni principi fondamentali come la territorialità della pena. A causa del sovraffollamento e dei continui spostamenti a cui sono soggetti i detenuti, il diritto all’istruzione e alla formazione vengono messi a rischio nonostante la qualità del lavoro svolto dagli operatori. Oggi, a Rebibbia Penale, i detenuti presenti sono più di 350, un numero superiore a quello pre-indulto".

"La Regione Lazio sta continuando a lavorare per mantenere gli impegni previsti dalla legge regionale 7/2007 a sostegno della popolazione detenuta - ha dichiarato l’assessore al Bilancio Luigi Nieri - Fino ad oggi, in questa legislatura, abbiamo prestato moltissima attenzione alle condizioni dei detenuti intervenendo concretamente, anche con il Garante dei Detenuti del Lazio e in collaborazione con le associazioni competenti, in quei casi in cui vi erano in atto gravi violazioni della dignità umana. È ciò che faremo anche in futuro. È importante sottolineare, inoltre, che grandi questioni come l’immigrazione e la tossicodipendenza non dovrebbero essere più affrontate con lo strumento della detenzione".

Taranto: Sappe; nelle celle di 1,5 X 3 metri, "almeno" 4 detenuti

 

Ansa, 26 maggio 2009

 

"Si fa sempre più preoccupante la situazione del carcere di Taranto perché svanito ormai da mesi l’effetto dell’indulto, il sovraffollamento dei detenuti ha superato qualsiasi record attestandosi ad oltre 500 unità, a fronte di una capienza di 200 detenuti, considerato che il 35% della struttura è inagibile". È quanto denuncia in una nota Vito Ferrara, segretario provinciale del Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria.

"In questo contesto - aggiunge Ferrara un agente deve vigilare su oltre ottanta detenuti stipati in stanze grandi 1,5 metri per tre che ospitano almeno quattro reclusi. Una situazione che, secondo il rappresentante sindacale, "sta creando reali problemi alla sicurezza della struttura, oltre ad aggravare la situazione igienico-sanitaria". Ferrara denuncia un eccessivo carico di lavoro del personale.

"Se non saranno presi con urgenza seri provvedimenti, a partire dallo sfollamento di almeno un centinaio di detenuti - conclude il sindacalista - il Sappe preannuncia una serie di manifestazioni anche eclatanti da parte dei poliziotti penitenziari di Taranto, stanchi di subire sulla loro pelle le inefficienze di una amministrazione penitenziaria centrale, quali l’astensione del consumo dei pasti o la rigida applicazione delle disposizioni che regolano la vita del carcere, con il risultato che si bloccherebbero tutte le attività del penitenziario".

Como: la direttrice; troppi detenuti e manca 30% degli agenti

 

Corriere di Como, 26 maggio 2009

 

Pochi agenti e troppi carcerati: il Bassone conta 530 detenuti, 60 in più rispetto alla capienza ottimale, e la polizia penitenziaria è sotto organico del 30%.

Se una simile denuncia arrivasse dai sindacati di polizia, la notizia non sarebbe certo inedita. Gli agenti lamentano da anni una situazione difficile al carcere di Como. Per la prima volta, però, gli stessi problemi vengono confermati e sottoscritti dall’amministrazione carceraria.

Teresa Mazzotta, direttrice del carcere lariano, conferma che il Bassone soffre principalmente di due "malattie": celle sovraffollate e corridoi deserti. Troppi detenuti, mentre il corpo di polizia penitenziaria è sotto organico. Non manca però qualche nota positiva, come la ristrutturazione delle sezioni detentive e la notizia che, probabilmente, a breve i detenuti protetti (quelli la cui incolumità all’interno del carcere è a rischio) non staranno più a Como.

Teresa Mazzotta è, tecnicamente, il direttore "in missione" di Como, ossia reggente: dal novembre scorso è stata assegnata per tre giorni alla settimana al Bassone, mentre per i restanti due giorni lavorativi ricopre l’incarico di vicedirettrice nello storico carcere milanese di San Vittore.

Interrogata sui problemi riscontrati a Como, la Mazzotta risponde che "le criticità lariane sono in linea con quelle italiane: parliamo principalmente di sovraffollamento delle strutture. Al ministero, comunque, esiste un piano per la creazione di nuovi istituti penitenziari e nuovi padiglioni detentivi, al fine di dare respiro e sollievo alle carceri sovraffollate. Il problema di Como si risolverebbe dunque con l’apertura di nuove strutture. Ad ogni modo per il Bassone è già stata avviata una riqualificazione delle sezioni detentive, per migliorare la qualità degli alloggi. Una sezione è già stata rinnovata, un’altra è in via di sistemazione".

"A Como - aggiunge la direttrice Mazzotta - non sono previsti allargamenti, ma l’apertura di nuovi padiglioni in Lombardia potrebbe dare respiro alla situazione del Bassone. Attualmente ospitiamo 530 detenuti, mentre la capienza ottimale con tutte le sezioni aperte (una ora è chiusa, ndr) è pari a 470 unità. La carenza di agenti è stimabile nell’ordine del 30%. Il nuovo padiglione di Bollate ospiterà i detenuti protetti e ciò ci consentirà di dedicare 8 celle di Como all’accoglienza dei "nuovi giunti"".

"L’apertura di nuovi padiglioni in Lombardia è una notizia positiva - replica Massimo Corti, agente di polizia penitenziaria, segretario provinciale e regionale della Fns Cisl - ma il problema è che manca il personale per gestirli. Al Bassone di Como la situazione della sezione femminile continua a essere disastrosa: le colleghe sono così poche che spesso si vedono costrette a rinunciare ai riposi. Mancano le risorse, anche economiche: la ristrutturazione, a opera dei detenuti che lavorano, è possibile grazie alla donazione di materiale da parte di aziende esterne".

Insomma, secondo gli agenti il Bassone è ancora in pessime condizioni. Corti, però, riconosce che dall’arrivo del nuovo vertice qualcosa si è mosso: "Dopo l’avvicendamento di diversi direttori, dall’arrivo della dottoressa Mazzotta stiamo iniziando a vedere qualche lento miglioramento. È già qualcosa".

Bergamo: dopo la protesta, 20 i detenuti trasferiti in Sardegna

 

L’Eco di Bergamo, 26 maggio 2009

 

Dopo le tensioni del fine settimana, quando i detenuti hanno protestato per il sovraffollamento facendo lo sciopero della fame, incendiando pezzi di carta e battendo sulle sbarre delle celle, scattano i primi trasferimenti dal carcere di via Gleno. Dodici detenuti sono stati assegnati ad altri istituti lombardi: si tratta di quelli ritenuti maggiormente responsabili dei disordini avvenuti sabato sera, durante i quali alcuni agenti della polizia penitenziaria, intervenuti per calmare gli animi, sono rimasti contusi.

E per altri 20 detenuti è stato già disposto il trasferimento in carceri della Sardegna: quest’ultimo provvedimento è stato preso direttamente dal Dipartimento di Roma e non sarebbe connesso con le tensioni dello scorso fine settimana, bensì servirà ad alleviare le condizioni di estremo sovraffollamento (in via Gleno ci sono circa 550 persone, contro una capienza di nemmeno 250).

Nel frattempo la situazione è tornata alla calma e la protesta è rientrata. A confermarlo è il provveditore delle carceri lombarde, Luigi Pagano. "La situazione - ha detto Pagano - è tornata alla calma già nel pomeriggio di domenica. Il sovraffollamento - ha spiegato il provveditore delle carceri lombarde - è un tema che non tocca solo Bergamo, ma è diffuso a livello nazionale. Certo, a Bergamo si sono toccati livelli molto alti, ma altri istituti non stanno meglio. Gli ingressi sono sempre molti, le uscite poche. Il tema merita certamente una riflessione. Ma il problema non si risolve solo pensando a nuove strutture, pur necessarie: la società civile si deve interrogare e individuare misure alternative al carcere. E a questo proposito la realtà bergamasca è già una delle migliori: la casa circondariale di Bergamo è infatti all’avanguardia nell’osmosi con il territorio".

Sul sovraffollamento interviene anche un medico che effettua turni in carcere, il dottor Sayed Ahmady, del sindacato medici penitenziari: "Va tenuto presente - ha dichiarato - anche l’aspetto igienico-sanitario: alcune sezioni sono molto sovraffollate e col caldo la situazione non migliora. Il personale sanitario andrebbe aumentato, in particolare il monte ore di psichiatri e psicologi per il sostegno".

Agrigento: a Sciacca arriverà un nuovo carcere... entro 30 mesi

 

La Sicilia, 26 maggio 2009

 

La nuova casa circondariale di Sciacca costerà 65 milioni di euro, ospiterà 400 detenuti e sarà pronta in 30 mesi lavorativi. Sono i numeri contenuti nel programma ufficiale del ministero della Giustizia, dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, finalizzato alla costruzione di nuovi edifici penitenziari e l’aumento della capienza di quelli esistenti.

Il piano contiene anche le modalità di esecuzione, i tempi dell’intervento, i costi e la disponibilità dei finanziamenti. Purtroppo, a fronte di una volontà politica di realizzare il nuovo carcere di Sciacca, alla voce fonte di finanziamento, c’è scritto "finanziamento da individuare", confermando quindi le perplessità manifestate in diverse occasione dai sindacati dei lavoratori di polizia penitenziaria.

Quella di Sciacca è comunque una delle due nuove case circondariali che si dovranno realizzare in Sicilia, l’altra è a Catania ed anche in quel caso non c’è ancora una disponibilità finanziaria. Il carcere saccense passerebbe così dagli attuali 92 detenuti, ai 400 previsti dal piano, un incremento sostanziale che comporterà un netto aumento del personale di polizia penitenziaria.

Confermati, inoltre, i 10 milioni di euro per il potenziamento della casa circondariale di Agrigento, i cui fondi sono disponibili e prelevati dai residui del 2008. Nella relazione illustrativa del piano, si fa riferimento alla carenza di fondi da parte dello Stato, ma si individua la possibilità di ricorrere a vari istituti normativi come la finanza di locazione, la finanza progetto e la permuta. L’atto è un’ulteriore conferma delle scelte adottate dal ministero della Giustizia circa la realizzazione di un nuovo carcere a Sciacca. L’area è quella individuata da tempo in contrada Santa Maria, oggi ci sono le condizioni riguardante la non trascurabile volontà politica, l’ostacolo da superare è quello della ricerca dei finanziamenti, che non è cosa da poco.

La struttura saccense non è in un elenco speciale di priorità, ma è quella che in Sicilia, insieme alla nuova casa circondariale di Catania ed alla realizzazione di nuovi padiglioni a Petrusa ed al Pagliarelli di Palermo, deve contribuire ad aumentare il numero dei posti ed evitare situazioni di particolare e pericoloso affollamento. Da rilevare ancora una volta che l’attuale carcere ospita 93 detenuti e continuano ad essere precarie le condizioni strutturali e di conseguenza quelle igienico sanitaria.

Como: "Libere di creare", riparte il corso per le detenute stiliste

 

Ansa, 26 maggio 2009

 

Il corso era già stato organizzato tra il 2005 e il 2007. Poi, però, l’indulto aveva "svuotato" la sezione femminile del Bassone e l’iniziativa era stata interrotta. Visto che oggi le detenute non mancano, due club di servizi - uno prettamente maschile, il Lions Como Host, e uno femminile, il Soroptimist International - hanno riavviato il progetto "Libere di creare", tramite il quale le detenute del carcere del Bassone impareranno a confezionare capi d’abbigliamento.

Grazie alla collaborazione dell’istituto professionale "Ripamonti" è stato possibile organizzare un corso di 140 ore, tra teoria e pratica. Venerdì 4 dicembre a Villa Olmo andrà in scena una sfilata di moda, durante la quale le modelle indosseranno i capi realizzati dalle detenute. Il ricavato della vendita servirà a finanziare nuovamente il progetto, che gode del patrocinio di ministero per le Pari opportunità, Regione Lombardia, Provincia, Comune e Camera di commercio di Como.

Napoli: Simspe; convegno su disagio psichico e sociale in carceri

 

Ansa, 26 maggio 2009

 

Il Convegno, che si svolgerà a Napoli nella prestigiosa sede della Biblioteca Nazionale di Palazzo Reale nei giorni 4, 5 e 6 giugno 2009, è dedicato ai medici di Medicina Penitenziaria e a quanti, infermieri e psicologi, operano nei reparti clinici dell’Amministrazione Penitenziaria.

Da quest’anno la Medicina Penitenziaria, già di competenza del Ministero della Giustizia, è sotto l’egida del Ministero del Welfare e, di fatto, delle Regioni. Il convegno si articolerà in tre sezioni ed avrà come titolo: "La salute quale presupposto del recupero sociale". Questo tema nasce dal convincimento che il "detenuto" nel momento della malattia "può" iniziare un percorso di riflessione del proprio vissuto ed il medico sarà pronto con sapienza, disponibilità e saggezza a "curare" nel significato più autentico del verbo.

Particolare attenzione sarà rivolta anche ai problemi complessi e difficili della immigrazione, del disagio psichico, della devianza giovanile e del possibile recupero e della tossicodipendenza. Infine, durante la conferenza stampa, la Simspe, in collaborazione con Cd Pharma Group, presenterà, in anteprima nazionale, l’importante Progetto ProTest, dedicato alla prevenzione delle malattie trasmissibili nel contesto carcerario.

Alla conferenza stampa interverranno Raffaele Pempinello, presidente del Congresso e primario della V divisione del Reparto Detentivo dell’Ospedale Cotugno, Andrea Franceschini Presidente Nazionale della Simspe e direttore sanitario di Regina Coeli, Sergio Babudieri docente di malattie infettive presso Università di Sassari, Roberto Monarca coordinatore nazionale Progetto Protest, Giulio Starnini responsabile unità operativa protetta di malattie infettive dell’ospedale di Viterbo, Fabio Giordano General Manager Cd Pharma Group.

Immigrazione: la Toscana, i migranti e il primato della persona

di Adriano Sofri

 

La Repubblica, 26 maggio 2009

 

Il governo pensa che l’immigrazione sia il Problema - e gli immigrati siano solo un trucco per eluderlo. Gli immigrati hanno occhi, bambini, salutano, implorano, annegano.

Il governo vigila: la compassione rende deboli. Dice una maestra di Prato: "Quasi tutti i piccoli cinesi lavorano nei laboratori fino a sera e la mattina si addormentano con la testa appoggiata sul banco". Ma è il libro Cuore: "Coretti che si leva alle cinque per aiutare suo padre a portar legna!" - e poi a scuola si addormenta di un sonno di piombo. Ieri Coretti, oggi i piccoli cinesi, domani chissà chi altri: il governo chiude il libro Cuore e richiama al Problema. In quella Prato, per dire, più di un’impresa su quattro (il 27,4%) ha un titolare immigrato! E se gli italiani hanno il cuore debole, non parliamo dei toscani. "Con la più grande soddisfazione del nostro paterno cuore abbiamo finalmente riconosciuto che la mitigazione delle pene... invece di accrescere il numero dei delitti ha considerabilmente diminuiti i più comuni, e resi quasi inauditi gli atroci, e quindi siamo venuti nella determinazione di non più differire la riforma della Legislazione Criminale, con la quale /viene/ abolita la pena di morte... ed eliminato affatto l’uso della tortura...

Una ben diversa Legislazione può più convenire alla maggior dolcezza e docilità di costumi del presente secolo, e specialmente nel popolo Toscano...". Così il granduca Pietro Leopoldo, in Pisa, il 30 novembre 1786, prima abolizione della pena di morte in uno Stato. La Regione Toscana festeggia quella data lì. Ed era uscita a Livorno, 1764, la prima edizione di Dei delitti e delle pene.

"In Toscana non faremo morire nessuno di fame, né per mancanza di cure o di un tetto sotto cui dormire d’inverno". Questo non è Beccaria, né Pietro Leopoldo: è il governo della Toscana d’oggi, che ha raccolto leggi e proposte regionali sugli immigrati in un testo unico, sollevando le furie del centrodestra. "La Toscana diventerà l’Eldorado dei criminali, il Bengodi dei clandestini". Non so se gli oppositori del codice leopoldino profetizzassero una Toscana fatta rifugio dei peggiori tagliagole: e lì non si prometteva solo un pasto o un tetto di dormitorio allo straniero senza carte in una notte di gelo, ma l’inaudito divieto di torturare e di giustiziare.

La campagna d’allarme d’oggi spinge sui tasti più spregiudicati. La legge - dice - abolisce la differenza fra immigrati regolari e clandestini. Lascia intendere che i secondi avranno diritto alle graduatorie per le case popolari e gli asili alla stregua dei cittadini italiani. È falso. Ai "clandestini" la Regione non riserva se non i diritti elementari che la Carta dell’Onu e la nostra riconoscono a qualunque essere umano: l’accesso temporaneo a mense e dormitori in condizioni d’urgenza, l’assistenza sanitaria per vaccinazioni, o malattie gravi, che oltretutto (come per la tbc) non curate, esporrebbero a rischi il resto della cittadinanza.

La Regione invita a chiamarli "stranieri temporaneamente presenti", che può sembrare un eufemismo di maniera (del resto "clandestino", prima di essere deformato fino a combaciare con "delinquente", era un nome simpatico, da traversata navale) ma serve anche a ricordare le differenze. In Toscana nel 2007 le richieste di regolarizzazione furono 46.984 a fronte della quota di 13.030. Sicché 34.000 persone restarono escluse, dunque "irregolari", benché siano certificate e anzi autodenunciate, e continuino a lavorare come badanti, edili, conciari ecc. Sono "clandestine"?

Sabato un articolo di Amato e D’Alema immaginava un’Italia improvvisamente svuotata dei suoi stranieri. Senza andare così lontano, basta immaginare - sognare, forse - un’Italia in cui si convochi un giorno di sciopero generale di tutti i lavoratori stranieri, nelle case, nelle campagne, nelle fabbriche, negli ospedali.

Succederà: cresce già fra loro qualche piccolo Di Vittorio umiliato e offeso. Dice Claudio Martini, presidente della Toscana: "Se tutti insieme decidessero di fermarsi, questo paese si fermerebbe". Dal 2008 la Toscana ha inoltrato al Parlamento il suo progetto di legge per il voto amministrativo agli stranieri con permesso di soggiorno, residenti da almeno 5 anni. Principio basilare - no taxation without representation - di cui si ama disquisire piuttosto che passare al fatto. Il centrodestra che fa il viso - e le mani - dell’armi dovrebbe essere il primo a saperlo.

Grida allo scandalo degli stranieri ammessi alla graduatoria per le case popolari, e non dice che la legge toscana coincide con quella nazionale, e vi ammette solo gli stranieri regolari residenti da almeno cinque anni. È la leva dell’odio fra poveri carezzato dai demagoghi. Famiglie italiane aspettano da troppo una casa popolare, o l’iscrizione al nido, e temono di essere scavalcate da nuovi arrivati (nuovi di almeno 5 anni) che hanno una famiglia più numerosa.

Il mero criterio del carico famigliare (quello del reddito non è mai stato equo, nel Bengodi, questo sì, degli evasori fiscali) non basta alla nuova demografia. Qualcuno propone che le graduatorie assegnino ad autoctoni e stranieri una quota equivalente alla proporzione numerica: ma così si sancirebbe una discriminazione etnica, ignorando oltretutto che in Toscana per gli stranieri il rapporto fra partecipazione al Pil e uso dei servizi sociali è di 8 a 2. La legge potrà promuovere criteri limpidi e aggiornati. Nei tagli ai posti di lavoro, per esempio, si valutano assieme il carico di famiglia, la funzionalità professionale ma anche l’anzianità di servizio.

C’è un’altra faccia della medaglia. La crisi sta spingendo nel lavoro sommerso un gran numero di imprese e lavoratori. Le iscrizioni alla Cassa edile, il termometro più nitido, sono già cadute del 20 per cento. Questo significa una perdita secca delle risorse attraverso cui le amministrazioni provvedono ai servizi sociali, case popolari e asili compresi. Proteggere la regolarità è un interesse vitale dei cittadini italiani, e dei più poveri fra loro.

La legge, protestano i suoi nemici, è incostituzionale, e va contro l’opera del governo. La Corte ha sancito quello che è chiaro nella Carta, che l’immigrazione nel territorio compete al Parlamento e al governo nazionale, ma le politiche sociali spettano alle Regioni. Il federalismo passa in cavalleria, quando contraddica il cattivismo. Martini ha replicato che, discorsi cattivissimi a parte, le misure dei servizi sociali rinfacciate alla Toscana sono praticate efficacemente a Treviso e a Verona. Il centrodestra vede un’occasione per attizzare i fuochi della guerra dei penultimi contro gli ultimi: e non esita ad accantonare come impertinente la posizione di Chiesa e parrocchie.

"Discorsi buoni da fare da un pulpito, non dalla politica". Questo centrodestra è molto zelante con la Chiesa sul concepimento, sulla morte, e pochissimo sul periodo che va dall’una all’altra. Le lascia la predica, si tiene la pratica. "Non nominare il nome di cristiano invano" ammonisce Tettamanzi. E già Matteo: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli". La differenza non passa fra chi vuole impedire (e come? con la messinscena brutale e irrilevante dei respingimenti?) l’invasione straniera, e una quinta colonna che la vuole favorire. La differenza concreta riguarda la decisione di impegnarsi con le persone che vengono a integrare e rinnovare la nostra convivenza.

La legge toscana si ispira al "primato della persona" e all’uguaglianza. All’uguaglianza, non a un privilegio rovesciato. Si propone di tutelare l’intera cittadinanza facilitando la vita quotidiana e famigliare degli stranieri che vivono e lavorano regolarmente in Toscana, che sono già 350 mila circa, e si avvicinano al 10 per cento della popolazione.

Promuovere l’insegnamento della lingua e l’educazione civica. Tenere in conto i titoli professionali acquisiti nei paesi di provenienza. Riservare un’attenzione ai richiedenti asilo, ai minori e alle donne incinte, alle vittime di tratta e sfruttamento, ai detenuti. Prevenire le mutilazioni genitali femminili. Aiutare nelle pratiche per il soggiorno, la cittadinanza, i servizi sociali. La Toscana è accusata per simili spropositi di voler essere "la prima della classe". Quando fosse, sarebbe un bel primato.

Thailandia: progetto per dare cure mediche, a detenute incinte

 

Ansa, 26 maggio 2009

 

Promuovere la dignità della donna in Thailandia, arginare le violenze contro il mondo femminile, garantire migliori condizioni di vita in carcere partendo dall’assistenza sanitaria per le prigioniere incinte. Sono solo alcune fra le numerose attività sostenute dalla principessa Bajrakitiyabha Mahidol - meglio conosciuta come Principessa Pa - una laurea in legge, 30 anni, parte dei quali spesi a denunciare la situazione delle donne nel Paese.

La principessa Pa è ambasciatrice per il fondo Onu dedicato allo sviluppo delle donne (Unifem) e ha raccolto più di 3 milioni di firme a favore della campagna "Diciamo no alla violenza contro le donne". Il suo impegno a favore della condizione femminile risale ai tempi dell’università: durante una visita a un carcere, nel 2001, una prigioniera le si è gettata ai piedi chiedendo aiuto. La principessa Pa, colpita dalla disperazione della donna, promette di "tornare non appena ultimati gli studi". Saranno altre tre - una nel 2006 e due nel 2007 - le visite della prima nipote di Re Bhumibol al penitenziario femminile di Bangkok.

Nel 2006 nasce il progetto Kamlangjai, mediante il quale avvia una serie di iniziative per le donne detenute nelle carceri della capitale e nelle diverse province del Paese. Fra queste vi sono visite oculistiche gratuite, cure mediche, raccolta di reggiseno, progetti di assistenza per le donne incinte e corsi di preparazione al parto. "I figli delle prigioniere - afferma la principessa Pa - sono innocenti e alle gestanti vanno garantite cure mediche". Rattana, una detenuta che deve scontare una pena detentiva che scade nel 2013, esprime "profonda gratitudine" per la "benevolenza dimostrata da Sua altezza reale" e si augura che "continuerà a seguire la condizione delle carcerate, per fornire assistenza e sostegno morale".

Francia: 200 detenuti per la prima "versione penale" del "Tour"

di Daniela Domenici

 

Ansa, 26 maggio 2009

 

Quasi 200 detenuti pedaleranno in giro per la Francia il mese prossimo, guardati a vista da gruppi di guardie in bicicletta, nella prima versione penale del Tour de France. I 196 detenuti pedaleranno in un unico gruppo e non saranno permesse volate di fuga. Saranno accompagnati da 124 tra guardie e istruttori sportivi della prigione. Non ci sarà una classifica, essendo l’idea di fondo quella di incoraggiare valori come il lavoro di squadra e lo sforzo.

Un detenuto di 48 anni di nome Daniele, e di cui non è stato reso noto il cognome, ha dichiarato che per loro è una specie di fuga, un’occasione per interrompere la realtà quotidiana della prigione e che se si comporteranno bene potrebbero essere in grado di essere rilasciati prima del previsto.

Il Tour de France dei detenuti sarà lungo 2.300 km lungo tutta la nazione, iniziando dalla città settentrionale di Lille il 4 giugno e fermandosi in 17 città, ognuna delle quali ha una prigione; comunque i partecipanti dormiranno in hotel. La linea del traguardo sarà a Parigi seguendo la tradizione del Tour de France. Una delle direttrici penitenziarie ha dichiarato che questo progetto tende ad aiutare questi uomini a reintegrarsi nella società incoraggiando valori come lo sforzo, il lavoro di squadra e l’autostima e mostrando loro che con un po’ di allenamento si possono ottenere i propri scopi e iniziare una nuova vita.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

Precedente Home Su Successiva