Rassegna stampa 14 maggio

 

Giustizia: sì finale della Camera a ddl-sicurezza; punti-chiave

 

Il Velino, 14 maggio 2009

 

Immigrazione, criminalità, sicurezza pubblica: sono i tre filoni del disegno di legge sulla sicurezza approvato oggi dalla Camera. Il provvedimento - che torna all’esame del Senato - è passato con 297 voti favorevoli, 255 contrari e 3 astenuti. Ieri sul ddl governo e maggioranza avevano ottenuto una triplice fiducia. Le dichiarazioni di voto, trasmesse in diretta tv, si sono svolte in un clima acceso. L’assemblea si è scaldata soprattutto quando il segretario Pd Dario Franceschini ha puntato l’indice sul caso dei "bambini invisibili" - tali diventerebbero, secondo i critici del provvedimento, i figli degli immigrati irregolari che non potrebbero essere registrati all’anagrafe. Una tesi ripetutamente smentita dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che ha reagito anche in aula. Incassando poco dopo la solidarietà del capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto. Ecco i punti principali del ddl approvato oggi a Montecitorio.

 

Sicurezza: le principali norme sull’immigrazione

 

Reato di clandestinità: è punito con un’ammenda che va dai 5mila ai 10mila euro lo straniero che, violando la legge, "fa ingresso o si trattiene nel territorio dello stato".

Carcere per chi affitta a clandestini: "Chiunque, a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio ovvero cede, anche in locazione, un immobile ad uno straniero che sia privo di titolo di soggiorno al momento della stipula o del rinnovo del contratto di locazione, è punito con la reclusione da 6 mesi a tre anni".

Cie: "Salta" il tetto previsto dalla Bossi Fini dei 60 giorni di permanenza dei clandestini nei centri di identificazione ed espulsione In caso di mancata cooperazione al rimpatrio da parte del Paese terzo interessato o nel caso di ritardi per ottenere la documentazione necessaria il questore può chiedere una prima proroga di 60 giorni di questo periodo, cui se ne può aggiungere una seconda. Fino ad un massimo di 180 giorni.

Fondo rimpatri: Viene istituito presso il ministero dell’interno un fondo rimpatri per finanziare le spese per il rimpatrio degli stranieri verso i paesi di origine.

Obolo per il permesso di soggiorno: La richiesta di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno è sottoposta al versamento di un contributo il cui importo è fissato da un minimo di 80 a un massimo di 200 euro con decreto del ministro dell’Economia di concerto con il ministro dell’Interno che stabilirà anche le modalità del versamento.

Il rinnovo del permesso deve essere chiesto dallo straniero al questore della provincia in cui dimora, almeno 60 giorni prima della scadenza. Per l’acquisto della cittadinanza il contributo da versare allo Stato è di 200 euro. Il coniuge straniero di un cittadino italiano può acquisire la cittadinanza quando, dopo il matrimonio, risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se risiede all’estero.

Accordo di integrazione: Entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge vengono stabiliti con regolamento - su proposta del presidente del consiglio e del ministro dell’interno, di concerto con il ministro dell’istruzione e del welfare - i criteri e le modalità per la sottoscrizione, da parte dello straniero, contestualmente alla presentazione della domanda di rilascio del premesso di soggiorno, di un accordo di integrazione, articolato per crediti, con l’impegno a sottoscrivere specifici obiettivi di integrazione, da conseguire nel periodo di validità del permesso di soggiorno. La firma dell’accordo è condizione necessaria per il rilascio, la perdita totale dei crediti determina la revoca del soggiorno e l’espulsione dello straniero; per integrazione si intende "quel processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, con il reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società" nel rispetto dei valori della Costituzione.

Money transfer: Si intensificano i controlli sul trasferimento di valuta per contrastare il riciclaggio anche ai fini di finanziamento al terrorismo. Gli agenti di attività finanziaria che prestano servizi di pagamento nella forma dell’incasso e del trasferimento fondi acquisiscono e conservano per 10 anni copia del titolo di soggiorno se il soggetto che ordina l’operazione è cittadino extracomunitario. La cancellazione dall’elenco degli agenti è la sanzione per chi non ottempera a quest’obbligo.

Carcere per chi rifiuta espulsione: Lo straniero che, raggiunto da provvedimento di espulsione, continua a rimanere illegalmente in Italia, nonostante il provvedimento del questore, viene sanzionato con la reclusione. La pena va da sei mesi a un anno se l’espulsione è stata disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di 60 giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo o se la domanda di titolo di soggiorno è stata rifiutata.

La pena va da uno a quattro anni se lo straniero è raggiunto da un provvedimento di espulsione perché è entrato in Italia illegalmente o non ha chiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, in assenza di cause di forza maggiore. La pena aumenta da uno a cinque anni se lo straniero destinatario dell’ordine di espulsione e di un nuovo ordine di allontanamento continua a rimanere illegalmente in Italia.

 

Sicurezza: le principali norme contro la criminalità

 

41-bis: aumenta a quattro anni la durata del carcere duro per chi è accusato di mafia e si sposta la competenza funzionale per i ricorsi al tribunale di sorveglianza di Roma in modo da garantire omogeneità di giudizio su tutto il territorio nazionale. I detenuti sottoposti a regime speciale saranno ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, per lo più sulle isole. I colloqui con i familiari saranno sempre registrati; quelli telefonici saranno possibili solo se non vi saranno colloqui personali. Saranno ridotti a tre gli incontri settimanali con i difensori e a maggiori restrizioni sarà sottoposta anche la permanenza all’aperto. Infine, viene punito con il carcere da uno a quattro anni chiunque consenta ad un detenuto sottoposto al 41 bis di comunicare con altri.

Obbligo di denuncia del pizzo: gli imprenditori devono denunciare le richieste di pizzo che subiscono. Se non lo fanno vengono esclusi dalla possibilità di partecipare alle gare di appalto (a meno che non ricorrano le cause di esclusione di responsabilità previste dalla legge del 1981). La responsabilità dell’imprenditore omertoso "deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell’imputato nei tre anni antecedenti alla pubblicazione del bando e deve esser comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente all’autorità" per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che deve curare la pubblicazione della comunicazione sul sito dell’osservatorio.

Poteri procuratore antimafia: il procuratore nazionale antimafia manterrà i poteri di intervento nei procedimenti, che la legge attualmente gli attribuisce. Dal ddl è stata soppressa la norma (comma 2 articolo 2) che di fatto ne prevedeva una sorta di limitazione e che lo stesso procuratore nazionale antimafia aveva criticato durante la sua audizione in commissione giustizia.

Enti locali e infiltrazioni mafiose: a fianco della responsabilità degli organi elettivi si introduce quella degli organi amministrativi e si stabilisce anche che con decreto del ministro dell’Interno, su proposta del prefetto, può essere sospeso dall’incarico chiunque, direttore generale, segretario comunale o provinciale, funzionario o dipendente a qualsiasi titolo dell’ente locale abbia collegamenti con la criminalità organizzata, anche quando non si proceda allo scioglimento del consiglio comunale o provinciale.

Appalti. Accesso del prefetto ai cantieri: per prevenire infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti il prefetto può disporre accessi e accertamenti nei cantieri delle imprese interessate.

Amministratori giudiziari: nasce l’albo nazionale degli amministratori giudiziari per l’amministrazione dei beni sequestrati alla criminalità.

Norme antiterrorismo: Si estende la legge Mancino ai centri sospettati di fare attività o propaganda terroristica. Associazioni, gruppi, organizzazioni o movimenti sospettati potranno essere sciolte in via cautelativa con l’ok previo della magistratura. Se i reati saranno accertati il ministro dell’interno disporrà lo scioglimento definitivo.

 

Le principali norme sulla sicurezza urbana

 

Via libera alle ronde. Il provvedimento scomparso al Senato "riappare" come promesso dal ministro Maroni nel ddl alla Camera. Gli enti locali possono avvalersi della collaborazione delle associazioni di cittadini al fine di segnalare agli organi di polizia locale eventi che possono arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale.

Oltraggio a pubblico ufficiale. Il ddl reintroduce il reato abrogato con la legge 25 giugno 1999. La pena è la reclusione fino a tre anni.

Bombolette spray. Sì all’uso delle bombolette spray al peperoncino da utilizzare per autodifesa. Un regolamento del ministro dell’interno di concerto con il ministro del lavoro, salute e politiche sociali disciplina le caratteristiche tecniche e il contenuto dei dispositivi di autodifesa.

Albo dei buttafuori. Nasce l’albo degli addetti alla sicurezza dei locali pubblici che dovranno rispondere ai requisiti stabiliti da un decreto del ministro dell’Interno. L’elenco è tenuto dal prefetto competente per territorio.

Registro dei clochard. Nasce il registro dei senza fissa dimora presso il ministero dell’interno.

Stragi del sabato sera. Più rigore per chi si mette alla guida ubriaco o drogato. Viene istituito un fondo contro l’incidentalità notturna che servirà all’acquisto di materiali, attrezzature e mezzi per le forze di polizia e per campagne di sensibilizzazione e formazione degli utenti della strada.

Autisti di mezzi pubblici drogati. Scatta la revoca della patente e la sospensione del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli, per un periodo fino a tre anni.

Giustizia: il ddl-sicurezza passa; nuovo duello tra Fini e Lega

 

Corriere della Sera, 14 maggio 2009

 

Nessun intoppo. La Camera ha votato la fiducia ai tre maxiemendamenti del governo al disegno di legge in materia di sicurezza (quello che rende reato la clandestinità, che introduce le ronde e che prolunga a sei mesi la permanenza degli irregolari nei Cie. Continua però a tenere banco la polemica sui respingimenti di immigrati. Secondo Silvio Berlusconi, le politiche adottate dal governo italiano "sono in linea con le direttive Ue, col diritto internazionale, con la legge italiana". Ma all’esecutivo sono indirizzate le critiche della Cei: "Di fatto il grande tema che viene tenuto sotto silenzio di questo ddl - sostiene il direttore dell’Ufficio per la pastorale degli immigrati, padre Gianromano Gnesotto, - è proprio l’importante tema dell’integrazione, dell’inserimento nella società per ottenere il quale sono prioritarie le strategie della tutela dell’unità familiare, dei ricongiungimenti familiari, dei minori tutelati".

Maroni - Secondo Roberto Maroni, il problema è che "l’Italia, la Spagna e Malta sono stati lasciati praticamente soli a fronteggiare un fenomeno che riguarda tutta l’Europa". Nella registrazione della puntata di Matrix, il ministro dell’Interno afferma che "gli strumenti di contrasto che abbiamo sono importanti ma a mancare è un’azione incisiva della Comunità europea". Maroni afferma poi che la linea del governo non cambia. Tuttavia il titolare del Viminale incontrerà i vertici nazionali dell’agenzia Onu per i rifugiati per spiegare la posizione dell’esecutivo. "La proposta che facciamo non è quella che hanno avanzato loro di accoglierli tutti e poi valutare, ma quella di creare una struttura in Libia per valutare là se qualcuno ha i requisiti per lo status". Maroni ha poi parlato della norma, su cui le opposizioni hanno lanciato l’allarme, che creerebbe dei "bambini-fantasma" per quel che riguarda i figli dei clandestini: "È un’altra panzana - ha tagliato corto il ministro - inventata da non so chi". Infine, il ministro dell’Interno, ha anche detto che il racket del traffico di clandestini dalla Libia è gestito anche da cittadini italiani. "In questi mesi - ha spiegato Maroni - abbiamo notato un maggiore impegno delle autorità libiche. Decine di barconi sono stati presi e riportati in Libia senza che ne fossimo informati. I libici stanno sviluppando autonomamente azioni di contrasto contro il racket del traffico di clandestini, gestito anche purtroppo da cittadini italiani".

Fini-Lega - Il dibattito fa registrare ancora tensioni tra Fini e la Lega. "Chi la dura la vince" dice Bossi nel commentare il voto di fiducia. E replica a Gianfranco Fini, che in mattinata invita nuovamente "a non fare propaganda elettorale su questi temi": "Se la propaganda non la fai quando ci sono le elezioni, quando la fai?" chiede il Senatùr. Successivamente però Bossi chiede un’incontro a Fini e i due si parlano per circa mezz’ora. Al termine dell’incontro il leader della Lega spiega: "Con Fini il rapporto è facile, se ti dà la parola la mantiene". "Ci eravamo già chiariti", dice ancora Bossi ai giornalisti che gli chiedono i motivi dell’incontro. Il leader della Lega esclude però che si sia parlato di immigrazione: "Non abbiamo parlato di questo - dice Bossi - ma di cose alte, di come ci si comporta da alleati, di come ci si comporta reciprocamente". "Quando uno dà la parola, deve mantenerla - ribadisce il ministro - Fini è uno che la mantiene".

Fini: "basta propaganda" - Secondo Fini, che ha a sua volta scambiato qualche battuta con i cronisti a margine dei lavori dell’Aula a Montecitorio, "bisogna evitare eccessi propagandistici". A Fini i giornalisti hanno fatto notare come siano state condivise anche dall’Onu alcune sue riflessioni sul respingimento dei migranti. E sull’argomento il presidente della Camera ha continuato a pungere la Lega: il dibattito che si è aperto tra l’Onu il ministro Maroni - gli è stato chiesto - ha un fondamento, forse si potevano evitare gli eccessi polemici? "Bisognerebbe evitare eccessi propagandistici" è stata la risposta del presidente della Camera. Da tutte due le parti in causa? "Beh, non mi pare che l’Onu sia in campagna elettorale..." ha aggiunto Fini.

"Verifiche al diritto d’asilo" - "Non è un problema di punti di vista - ha precisato il presidente della Camera - ci sono le norme di diritto internazionale. Esiste il problema del respingimento dei migranti ed esiste il diritto all’asilo. Solo che va verificato. Se si verifica sul territorio nazionale esistono i Cie, se si verifica durante il trasferimento deve essere certo che sia fatto in modo esaustivo e completo. Forse bisognerebbe pensare a istituire dei centri anche nei paesi notoriamente di transito, coinvolgendo le organizzazioni internazionali come l’Onu e la Ue". Quanto alla proposta di Maroni di far verificare le richieste di asilo in Libia, Fini non ha dubbi: "È una ipotesi tra le tante, non peregrina".

Partito democratico - Decisamente contrario al ddl sicurezza è invece il Partito democratico. "Io penso che la politica sull’immigrazione che sta facendo il governo è una politica sbagliata, che cavalca la paura, cavalca le fobie provocando effetti opposti di quelli che si prevedono", afferma Piero Fassino. Per il responsabile degli Esteri per il Pd, "ad esempio prevedere che l’immigrazione clandestina diventi reato penale significa riempire le carceri, favorire il rapporto tra immigrati e criminalità e rendere più difficile il rimpatrio di questi clandestini". "È una sciocchezza il reato di immigrazione clandestina, come è inaccettabile che medici ed insegnanti debbano denunciare, così come è ancora più assurdo che un bambino immigrato clandestino non possa essere iscritto all’anagrafe". Tuttavia, Fassino tiene a sottolineare che altra cosa rispetto a queste forme repressive sono il respingimento ed il diritto di asilo, che sono convenzioni internazionali. Secondo l’esponente Pd "mischiare tutte le carte assieme è proprio il sistema con cui la destra rende irrazionale l’agenda sicurezza".

Il capogruppo del Pd, Antonello Soro, ha invece promesso ancora battaglia in Parlamento: "Continueremo a batterci in tutti i modi possibili per rendere consapevoli gli italiani della bruttura di queste norme". E per Marco Minniti "questa non è la solita fiducia: è una fiducia che viene posta dalla stessa maggioranza perché si ha paura che i suoi deputati possano esprimersi liberamente. È singolare - osserva l’esponente del Pd - che un partito che si chiama Popolo delle libertà abbia paura della libertà di coscienza dei propri parlamentari", e ha aggiunto che il pacchetto sicurezza non è altro che un "mostruoso sonno della ragione", che non contrasterà efficacemente il problema dell’immigrazione clandestina. "Ho appreso dalla stampa - ha sottolineato poi ironicamente Minniti - che Maroni è stato anche capo della guardie padane. Niente di grave, sono cose passate, ma pensare che il sogno della gioventù politica del ministro dell’Interno possa essere realizzato oggi con una legge dello Stato e per giunta con una fiducia a me sembra incredibile".

 

Fassino: il ddl cavalca la paura

 

"Penso che la politica sull’immigrazione che sta facendo il governo sia una politica sbagliata, che cavalca la paura, cavalca le fobie provocando effetti opposti di quelli che si prevedono", ha spiegato responsabile degli Esteri per il Pd intervistato da Youdem Tv, riferisce una nota. Per esempio, "prevedere che l’immigrazione clandestina diventi reato penale significa riempire le carceri, favorire il rapporto tra immigrati e criminalità e rendere più difficile il rimpatrio di questi clandestini". Per Fassino, "è una sciocchezza il reato di immigrazione clandestina, come è inaccettabile che medici e insegnanti debbano denunciare, così come è ancora più assurdo che un bambino immigrato clandestino non possa essere iscritto all’anagrafe".

 

Di Pietro: un pacchetto-propaganda

 

Antonio di Pietro rispolvera il "signor presidente del Consiglio che non c’è" per criticare l’assenza del premier da Montecitorio e, nel dichiarare il voto contrario di Idv al pacchetto sicurezza in discussione alla Camera, sottolinea che quello in Aula "non è un pacchetto sicurezza, ma un pacchetto propaganda".

Per il leader di Idv, infatti, nelle norme varate oggi, "non ci sono ne fondi, né risorse né mezzi per garantire la sicurezza, solo chiacchiere e spot elettorali. Dove sono i fondi per le forze di sicurezza, le carceri, i magistrati nelle aree scoperte, gli aumenti di organico, i provvedimenti per i tempi certi nei processi?".

Per di Pietro, infatti, con il pacchetto sicurezza "bisognava mandare un messaggio al paese: c’è certezza della pena e chi sbaglia paga". Invece in questo pacchetto "non c’è nulla". Secondo Di Pietro con una misura come le ronde "si torna al far west, già mi immagino chi saranno i veri e reali reclutatori delle ronde a Casal di Principe...". Poi, "la caccia al barcone africano è l’ennesima dimostrazione della xenofobia di questo governo".

 

La Fiopsd lista a lutto i propri siti e convoca il direttivo

 

"Pacchetto sicurezza: il residente è in lutto": è quello che si legge connettendosi al sito della campagna nazionale per la difesa del diritto alla residenza delle persone senza dimora della Fiopsd (Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora). Stessa protesta simbolica per il sito dell’associazione, listato a lutto, per protestare contro il provvedimenti che, dopo i tre voti di fiducia sui tre maxiemendamenti, oggi sarà licenziato dalla Camera dei deputati. "Uccidere il diritto alla residenza è uccidere parte di ciascuno di noi" commenta il presidente Paolo Pezzana che stamattina ha convocato d"urgenza il direttivo a Genova per concordare le azioni. La Fiopsd già nei mesi scorsi aveva parlato di un provvedimento "discriminatorio quando non addirittura persecutorio" nei confronti soprattutto degli immigrati, ma più in generale delle persone in stato di grave emarginazione compresi molti italiani. Due i punti critici contestati fin qui: la residenza anagrafica, "resa di fatto praticamente inaccessibile per le persone senza dimora" e l’istituzione di un registro degli homeless.

Giustizia: con il ddl sicurezza l’Italia ora è davvero più sicura?

di Ida Rotano

 

Aprile on-line, 14 maggio 2009

 

Tra le proteste delle opposizioni dentro e fuori Montecitorio, con il voto di fiducia di oggi alla Camera sul disegno di legge sulla sicurezza si sancisce una brutta pagina della democrazia in Italia. Il via libera finale al provvedimento, che dovrà poi tornare al Senato, è atteso domani. Il governo punta ora ad una rapida approvazione da parte del Senato "entro 2 settimane". Bossi commenta in Transatlantico: "Chi la dura la vince". In sintesi, le principali norme su immigrazione, criminalità e sicurezza urbana (con l’introduzione delle ronde) approvate oggi con i tre maxiemendamenti

Malgrado i richiami da parte dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e di Thomas Hammarberg, commissario del Consiglio d’Europa sui diritti umani, a rispettare il diritto d’asilo sui respingimenti dei clandestini provenienti dalle coste libiche (un invito a differenziare tra immigrazione clandestina e altri tipi di immigrazione), il governo conferma la linea della fermezza.

Da qui i tre maxi-emendamenti, approvati oggi a maggioranza, nei quali è stato racchiuso il provvedimento sulla sicurezza e sul quale ci sono stati altrettanti pronunciamenti di fiducia da parte dell’Aula di Montecitorio.

Rispetto alla versione originale del disegno di legge sono state cancellate solo le norme che il presidente della Camera Gianfranco Fini aveva ritenuto incostituzionali (l’obbligo per medici e presidi della scuola dell’obbligo di denunciare gli immigrati clandestini). Norme che però rientrano dalla finestra, avendo lasciato l’obbligo di denuncia per i pubblici ufficiali ed essendo i medici dei presidi sanitari e i presidi scolastici, nello svolgimento delle loro funzioni, in tutto e per tutto equiparati a pubblici ufficiali.

Farhan Haq, portavoce del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, ha intanto confermato che le Nazioni Unite sono d’accordo con le preoccupazioni espresse dall’Unhcr: "I rapporti con Roma su questo tema saranno gestiti dallo stesso commissariato, nella persona del suo alto rappresentante Antonio Guterres".

La posizione del governo era stata confermata da Silvio Berlusconi, a margine del vertice italo-egiziano: "Su questi barconi, come dicono le statistiche, persone che hanno diritto d’asilo non ce n’è praticamente nessuna. Solo casi eccezionalissimi". Per il premier, sulle imbarcazioni di fortuna che cercano di approdare in Italia "ci sono persone che hanno pagato un biglietto, non sono persone spinte da una loro speciale situazione all’interno di paesi dove sarebbero vittime di ingiustizie, ma sono reclutate dal mondo del lavoro o del non lavoro in maniera scientifica dalle organizzazioni criminali". Berlusconi viene però smentito, coi numeri, dal direttore del Comitato italiano per i rifugiati, Cristopher Hein: "Delle 37 mila persone arrivate in Italia nel 2008 sui barconi, il 70 per cento ha chiesto asilo politico, e un terzo del totale ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato, essendone stati verificati i requisiti".

Hein ha poi denunciato il sistema europeo di accesso: "Il fatto che tanti africani paghino organizzazioni criminali per venire in Europa - ha osservato - è la conseguenza di una politica non solo italiana ma dell’Unione europea, anche attraverso il sistema di Schengen, che fa sì che nessun cittadino di un paese terzo, in particolare africano, riesca ad entrare sul territorio italiano o comunitario in modo regolare perché nessuno gli dà il visto".

Il Pd punta l’indice contro alcuni contenuti del disegno di legge e sulla scelta procedurale del governo. "Questi tre voti di fiducia disattendono le sollecitazioni del capo dello Stato e del presidente della Camera e violano la logica su cui si basa il voto segreto", dice Antonello Soro, capogruppo a Montecitorio. Il riferimento è all’uso eccessivo del voto di fiducia a cui farebbe ricorso l’esecutivo.

Il Pd aveva chiesto in particolare al presidente della Camera uno stralcio delle norme più contestate del provvedimento, quelle sul reato di immigrazione clandestina e sulle ronde.

Donatella Ferranti, capogruppo piddino nella Commissione Giustizia, ha rivolto ieri un inusuale attacco a Fini che ha respinto la richiesta del suo partito: "Privando il Parlamento della possibilità di votare separatamente e con voto segreto quelle parti del provvedimento che incidono sulle libertà e sui diritti fondamentali, Fini ha di fatto avallato norme razziste e contribuito a mettere in sicurezza la maggioranza". Infine Marco Minniti ha parlato di "un sonno mostruoso della ragione", e di "una fiducia posta contro la libertà della stessa maggioranza".

Il capogruppo dell’Idv Massimo Donadi afferma che "non c’è un briciolo di sicurezza in questo testo, solo demagogia. Si finanziano le ronde, che sono l’anticamera della polizia di partito, e si tolgono soldi - aggiunge Donadi - alle forze di polizia, le uniche in grado di garantire davvero il controllo delle nostre città e di agire efficacemente contro i criminali. L’introduzione del reato di clandestinità, poi, è controproducente e pericoloso perché paralizzerebbe l’attività dei tribunali".

Molto critica anche la posizione di Udc, mentre Sinistra e libertà - la formazione guidata da Nichi Vendola che si presenta per la prima volta alle elezioni europee - ha organizzato oggi pomeriggio una manifestazione ‘no stop’ in piazza Montecitorio contro il pacchetto sicurezza. Stessa piazza, ma questa volta in tarda mattinata, presa d’assalto da Prc - Pdci. Per Paolo Ferrero, il ddl sicurezza blindato dal governo con una triplice fiducia, è "incivile e razzista" e non risolverà ma accentuerà il problema dell’immigrazione clandestina: "Aumenterà di decine di migliaia il numero degli ingressi irregolari e a renderli più invisibili".

Bossi commenta in Transatlantico: "chi la dura la vince", e replica a Gianfranco Fini che oggi ha invitato nuovamente "a non fare propaganda elettorale su questi temi": "se la propaganda non la fai quando ci sono le elezioni, quando la fai?" ha commentato il Senatur.

Intanto il ministro dell’Interno Maroni definisce "destituita di fondamento" una norma del pacchetto che prevede di "strappare" i bambini ai loro genitori naturali solo perché clandestini. "È una "panzana", taglia corto il ministro leghista. Ma il Pd non demorde e presenta un ordine del giorno in cui si chiede un impegno scritto del governo per fare chiarezza sulla questione della registrazione all’anagrafe dei neonati degli immigrati sprovvisti di permesso di soggiorno.

Sul fronte delle polemiche internazionali che non si placano certo dopo l’approvazione del pacchetto, c’è da segnalare che il ministro degli Interni, Roberto Maroni, ha annunciato una sua visita a Tripoli la prossima settimana: "La Libia fa parte dell’Onu, in Libia è presente l’alto commissariato per i rifugiati della nazione Unite (Unhcr) che può fare gli accertamenti delle persone che chiedono asilo".

Per quanto riguarda gli eventuali immigrati che hanno diritto all’asilo, Maroni ha chiesto a Jacques Barrot, commissario europeo sui temi della giustizia, di affrontare la questione con gli altri paesi dell’Unione europea e di non fare gravare tale responsabilità solo sull’Italia. L’obiettivo del ministro degli Interni è quello di internazionalizzare le misure da adottare nei confronti delle imbarcazioni di fortuna che cercano di approdare in Italia.

Giustizia: la "mutazione autoritaria" del nostro diritto penale

di Nicola Pisani (Professore di Diritto penale Università di Teramo)

 

www.radiocarcere.com, 14 maggio 2009

 

Tra le "mutazioni) del diritto penale attuale, quella che suscita le maggiori preoccupazioni si lega al manifestarsi di una chiara tendenza autoritaria.

Anzitutto, rispetto al volto del diritto penale liberale, classico, orientato alla tutela di beni giuridici (nullum crimen sine iniuria), va consolidandosi l’immagine di un "diritto penale procedurale", impegnato a punire sempre più la semplice disobbedienza a regole modali di comportamento, anziché l’effettiva, e concreta offesa di beni giuridici.

Si pensi all’incriminazione del rifiuto di sottoporsi al test alcolimetrico, che cela un’implicita presunzione di pericolosità soggettiva, senza possibilità di prova contraria. Questa marcata attenzione del legislatore penale alle tipologie di autore si registra anche nelle riscoperta dell’armamentario delle "terribili" fattispecie di sospetto. Nel delitto di detenzione di materiale pedo-pornografico, la condotta è degradata a semplice osservatorio dell’autore, a dato sintomatico di un modo di essere del reo, punito perché difforme rispetto ad un modello etico, autoritariamente imposto.

Si moltiplicano, così, le fattispecie penali che reprimono le tendenze soggettive dei cittadini, le loro cattive intenzioni, per quanto moralmente riprovevoli. Con la conseguenza che il superamento della soglia di guardia tra diritto penale del fatto, e diritto penale dell’autore, stravolge la stessa funzione della pena, piegata a mero strumento di prevenzione soggettiva e, non di rado, di moderno terrore.

Accanto a tali vistose flessioni dal principio di offensività, si colloca l’altro, preoccupante fenomeno di crisi della legalità penale che produce un diritto penale "incerto ed efficace", caratterizzato da un offuscamento dei valori sottesi alla tutela penale.

Frutto di tale deriva è la norma sullo stalking, affetta da un’evidente indeterminatezza. L’art. 612 bis c.p. descrive un fatto, non suscettibile di verifica empirica, per la mancanza di un rapporto di corrispondenza univoca tra fattispecie astratta e fattispecie concreta: l’accertamento se l’autore abbia cagionato "con molestie un perdurante e grave stato di ansia o di paura" nella vittima, non potrà che essere del tutto incerto e affidato all’arbitrio del giudice. Al contempo, accade che nella norma in questione siano tipizzate condotte inidonee ad esprimere il requisito dell’offesa, col rischio di assoggettare a pena comportamenti del tutto inoffensivi.

Si pensi all’alterazione delle abitudini di vita del "perseguitato", che dovrebbe costituire l’evento "dannoso" del reato: un padre severo che metta paura al figlio minore scapestrato, costringendolo a mutare le sue condizioni di vita allegre, e a recarsi in un collegio di studio, rischia la pena più grave tra quelle contemplate dall’art. 612 bis c.p.

È da auspicare, pertanto, che la Consulta, opportunamente investita, sul solco della sentenza n. 96 del 1981 in tema di plagio, dichiari l’art. 612 bis c.p., incostituzionale per contrasto con gli articoli 3, 25, comma 2 e 24 della Costituzione: l’indeterminatezza del precetto si traduce, in un vulnus al diritto di difesa nel processo e, cioè, al diritto di difendersi provando l’insussistenza del fatto oggetto di accusa.

Giustizia: 30 anni dalla Basaglia ma l’altro fa ancora più paura

di Donatella Poretti (Radicali-Pd segretaria della Commissione Sanità)

 

Aprile on-line, 14 maggio 2009

 

Trent’anni dalla 180, più nota come Basaglia, e l’altro fa ancora più paura. Negli anni Settanta erano i malati al centro del dibattito politico, soggetti a cui restituire dignità e diritti, oggi nelle proposte di legge depositate in Parlamento dalla maggioranza, difendersi da chi ci fa paura diventa l’imperativo e si traduce in leggi disumane: il clandestino si respinge alla frontiera, non importa se chi ci aiuta dall’altra parte è un regime totalitario, non importa se il respinto aveva diritto all’asilo; il rom è uno stupratore da carcerazione preventiva; il matto, perché non diventi un assassino, occorre segregarlo in casa o in un istituto, ben legato o stordito da farmaci per non turbare o disturbare.

Era il 13 maggio del 1978 quando il presidente della Repubblica Giovanni Leone firmava la legge 180, più nota come Basaglia. Finiva un’era, si chiudevano i manicomi. La legge manicomiale del 1904 aveva segregato in lager persone con disagi psichici, messe dietro le sbarre, legate nei letti di contenzione e sottoposte all’elettroshock. Dal 1962 Franco Basaglia avviò una rivoluzione. Gli internati vengono così trattati come pazienti, eliminate le contenzioni, aperti i cancelli dei reparti, il dialogo diventa via d’uscita dal disagio psichico. Da quel momento parte una riflessione sociopolitica sul trattamento della follia, sul rispetto della dignità della persona e sui diritti dei malati.

Una legge rivoluzionaria, approvata dal Parlamento con tempi sospetti: il 19 aprile è varata dal Consiglio dei Ministri, le due commissioni Igiene e Sanità approvano il testo in sede deliberante alla Camera il 2 e al Senato il 10 maggio. Una corsa contro il tempo per evitare il referendum convocato dai radicali. E la fretta non è mai una buona consigliera, basti ricordare l’intervento contrario di Marco Pannella nella Commissione della Camera: la mancanza di copertura economica sviliva la legge. Era il primo monito per i problemi che si sarebbero creati in seguito. A disconoscerla in parte fu anche lo stesso Franco Basaglia, che criticò i trattamenti sanitari obbligatori. Il fallimento di qualsiasi terapia è l’imposizione al paziente di una cura con la forza.

La paura di una campagna referendaria fece approvare una norma rivoluzionaria nello spirito ma senza gambe per camminare. La fine dell’istituzionalizzazione dei matti, i folli come malati da curare, il riconoscimento dei loro diritti, come quello di rifiutare trattamenti nel rispetto della Costituzione, non riesce ancora oggi ad essere applicata completamente e in maniera omogenea.

Negli anni Settanta erano i malati al centro del dibattito politico, soggetti a cui restituire dignità e diritti, oggi nelle proposte di legge depositate in Parlamento dalla maggioranza, l’attenzione è rivolta al "normale", a chi deve difendersi dall’altro, dal diverso, dal soggetto presunto malato.

Il compromesso dei trattamenti sanitari obbligatori, dall’eccezione che erano diventano, o peggio tornano ad essere, la norma. Rischia perfino di essere comprensibile che il disagio mentale è notizia solo quando è oggetto di cronaca nera. Difendersi da chi ci fa paura diventa l’imperativo e si traduce in leggi disumane: il clandestino si respinge alla frontiera, non importa se chi ci aiuta dall’altra parte è un regime totalitario, non importa se il respinto aveva diritto all’asilo; il rom è uno stupratore da carcerazione preventiva; il matto, perché non diventi un assassino, occorre segregarlo in casa o in un istituto, ben legato o stordito da farmaci per non turbare o disturbare.

Prima di ripetere l’imposizione di una legge al Parlamento, proviamo a capire come e dove ha funzionato la legge 180. Conoscere dati e riferimenti precisi dal numero delle persone prese in carico ai Trattamenti Sanitari Obbligatori, dai ricoveri alle prescrizioni di psicofarmaci. Potrebbe sembrare velleitario parlare dell’articolo 32 della Costituzione dopo il dibattito sul testamento biologico: per il legislatore l’individuo nella sua complessità va sempre protetto, anche da se stesso, anche se non vuole; lo Stato lo fa in alcuni casi con il medico, in altri con le forze dell’ordine, in altri con entrambi. È lo Stato etico. Una scommessa: ripartiamo dai matti per riportare il Paese alla normalità?

Giustizia: piano Ionta; carceri sulle navi e manodopera detenuti

 

Ansa, 14 maggio 2009

 

Carceri "galleggianti", vale a dire piattaforme o navi ormeggiate a Genova, Livorno o in uno qualsiasi dei numerosi porti italiani, dove trasferire i detenuti così da risolvere l’emergenza sovraffollamento arrivata oggi a 62.473 posti occupati contro un limite regolamentare di 43.201 e una tollerabilità di 63.702. L’ipotesi - una delle tante, oltre alla costruzione di 46 padiglioni e di 22 nuovi istituti, di cui 9 già finanziati, per arrivare a un incremento complessivo di 17.129 posti - è contenuta nel piano straordinario che il capo del Dipartimento dell’ amministrazione penitenziaria (Dap), Franco Ionta, ha consegnato all’inizio del mese al ministro della Giustizia Angelino Alfano.

Nelle 19 pagine di relazione si sottolinea che la nuova edilizia penitenziaria terrà conto di "soluzioni alternative" a quelle fino ad ora adottate, anche attraverso "strutture modulari", più economiche nella manutenzione-gestione oltre che più rapide da costruire, nonché "la previsione di strutture penitenziarie galleggianti". Se il piano di Ionta avrà il placet del governo, l’Italia adotterà una soluzione già messa in pratica negli ultimi 20 anni in Paesi come Stati Uniti (la prima chiatta-prigione fu ormeggiata a New York nell’89, lungo il fiume Hudson), la Gran Bretagna (la nave-prigione "Weare" è stata ancorata dal 1997 al 2005 nella baia di Porland, in Dorset), e più recentemente l’Olanda.

 

Utilizzo manodopera dei detenuti

 

Per costruire nuove carceri, oltre che per ampliare o ristrutturare quelle vecchie, saranno impiegati i detenuti, seppure soltanto per "interventi edilizi complementari". Lo prevede il piano straordinario che il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), Franco Ionta, ha consegnato al mese al ministro della Giustizia Angelino Alfano per far fronte all’emergenza sovraffollamento detenuti.

Il piano ipotizza la realizzazione complessiva, al massimo entro dicembre 2012, di 46 nuovi padiglioni in altrettanti carceri già esistenti e la costruzione di 22 nuove carceri (di cui 9 già in costruzione) per un totale di 1 miliardo e 590 milioni di euro, così da arrivare a creare 17.129 posti letto. Di questi ultimi, 4.605 saranno pronti entro un paio di attraverso l’ampliamento di carceri esistenti con nuovi padiglioni o ristrutturazioni, e la realizzazione di nuovi penitenziari già finanziati (costo complessivo 205.730.000 di euro); altri 6.201 posti, per un costo di 405milioni di euro, con fondi già individuati nella Cassa delle ammende (circa 120-130milioni di euro ai quale il commissario straordinario Ionta può ora attingere, mentre fino a due mesi fa la Cassa era solo per il reinserimento dei detenuti), o nei fondi Fas per le aree sottosviluppate; infine 6.323 posti che costeranno 980milioni di euro con fondi ancora da individuare.

 

Soldi "in prestito" dai privati

 

I soldi sono senza dubbio un problema non secondario se - come si legge nella relazione di Ionta - il Dap, "considerate le limitate risorse finanziarie disponibili", punta a "soluzioni alternative", anche con l’apertura ai privati grazie a strumenti quali "la locazione finanziaria, la finanza di progetto e la permuta". La permuta prevede che le vecchie carceri nel centro delle città vengano trasformate in alberghi o in centri commerciali dai privati che, in cambio, costruiscono nuovi penitenziari in periferia: l’idea era stata un cavallo di battaglia dell’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli, fautore nel 2001-2002 della Dike Aedifica Spa, la società interamente partecipata dal ministero dell’Economia che avrebbe dovuto gestire l’operazione. Nel 2006, divenuto Guardasigilli Clemente Mastella, la società è stata sciolta senza realizzare alcunché.

Oggi il piano Ionta, oltre a fare affidamento sui fondi della Cassa delle Ammende, sui fondi di bilancio ("che si auspica - scrive il capo del Dap - possano ottenere un incremento in sede di predisposizione del bilancio 2010"), e sui fondi Fas, cita pure il "recupero dei fondi della Patrimonio Spa provenienti dallo scioglimento dell’ex Dike Aedifica Spa".

E ancora: oltre alla permuta di "immobili non adeguati alle esigenze" del Dap (il 20% delle carceri esistenti è stato realizzato tra il Duecento e il Cinquecento, mentre il 60% tra il Seicento e l’Ottocento), il piano fa leva sul project financing (la ditta privata mette i soldi ma chiede di rientrare con un canone pagato dal Dap) e sui fondi della Cassa depositi e prestiti attraverso l’erogazione di mutui pluriennali.

Giustizia: la "gestazione" del Piano carceri, che non vede fine

di Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 14 maggio 2009

 

23 gennaio 2009. Il Consiglio dei ministri annuncia il parto. A marzo nascerà il piano straordinario per le carceri. A via Arenula c’è grande aspettativa per il nascituro. Il Ministro della Giustizia Alfano spiega che sarà un piano innovativo. Non solo si realizzeranno nuove carceri in tempi brevi, ma sarà anche introdotta una nuova prospettiva nell’intendere la detenzione. Fine dell’annuncio.

Passano i mesi e il parto tarda ad arrivare. A marzo il piano carceri non accenna a voler vedere la luce. Idem ad aprile. Qualche contrazione si è registrata i primi di maggio, ma ora pare che il parto sia rinviato a fine mese. Nel frattempo aumenta il sovraffollamento nelle vecchie carceri italiane. 62.057 sono i detenuti presenti e solo 39.452 i posti disponibili. Morale: nelle italiche galere ci sono 22.605 persone detenute in più. Un po’ troppe. Non a caso oggi nel carcere di Torino ci sono 29 persone che dormono in palestra. E nel carcere di Modena molti detenuti sono costretti a dormire per terra in cella.

Pazienza! Dobbiamo aspettare ed avere fiducia. Perché il piano carceri nascerà e, come dice il Ministro Alfano, sarà "la madre di tutte le soluzioni". Tutto sarà risolto. È certo, infatti, che costruiranno entro pochi mesi, e non entro anni, nuove strutture. Di sicuro realizzeranno 22 mila posti in più. Ovvio. Nessuno, ma proprio nessuno, dubita di questo. D’altra parte l’estate è alle porte, e il Governo è ben consapevole di quanto il caldo incida sulla disperazione di chi è costretto a stare in celle affollate e fatiscenti. Auguri.

Giustizia: Dap; mafiosi e terroristi, mai più nelle stesse sezioni

di Roberto Galullo

 

Il Sole 24 Ore, 14 maggio 2009

 

Mafiosi, terroristi e affiliati o organici mai più detenuti nelle stesse sezioni. Facile a dirsi, difficile da realizzare, nonostante il ministero di Giustizia ci riprovi con una Circolare che la quarantina di carceri italiane del circuito ad elevato indice di vigilanza (destinato a sparire) e di alta sicurezza (l’unico che sopravvivrà) stanno ricevendo in questi giorni.

Lo scopo di questa riforma che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) ha cominciato a diffondere a fine aprile è quello di evitare contatti tra le diverse organizzazioni criminali e tra queste e le reti terroristiche nazionali e internazionali. "La criminalità terroristica - si legge nella circolare - evidenzia una tendenziale, irriducibile adesione a valori contrapposti a quelli di uno stato di diritto, con una marcata propensione al proselitismo".

Il timore del "contagio" verso i detenuti che oggi convivono in una stessa sezione con un boss di Cosa Nostra e magari con il capo di una cellula terroristica di matrice islamica è il primo motivo che ha portato il Dipartimento ad avviare questa riforma che interesserà (prudenzialmente) almeno 6mila reclusi (i reati per associazione mafiosa ascritti a detenuti erano 5.558 a fine 2008). Nonostante l’ordinamento penitenziario garantisca che la popolazione carceraria sia suddivisa per categorie omogenee, questo di fatto non avviene a causa del sovraffollamento degli istituti, del loro grado di sicurezza e della formazione del personale.

Ma c’è un altro motivo che spinge alla rigida separazione, spiegato da Roberto Alfonso, Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia. "Spesso i terroristi - dichiara - riescono a mutuare strategie dalle mafie. Il contatto tra i capi è letale. Benvenuta sia dunque questa netta divisione, soprattutto se accompagnata da un carcere duro di più lunga durata e rigoroso come prevede il pacchetto sicurezza approvato ieri".

Rigore che è anche al centro dei pensieri di Roberto Scarpinato, procuratore aggiunto a Palermo. "Ogni passo in avanti va bene - dichiara al Sole 24 Ore - anche se purtroppo siamo abituati a continue comunicazioni tra boss e mondo esterno".

L’incomunicabilità assoluta è il fine che questa circolare intende perseguire, dettando regole ferree per le singole consorterie criminali. Quando la ricognizione avviata in tutte le carceri sarà completata, contemporaneamente all’isolamento dei terroristi per singola matrice, partirà la fase che prevede sezioni isolate per isoli appartenenti a Cosa Nostra, per i membri della ndrangheta e così via per Camorra e Sacra Corona Unita.

Del resto in questi anni i boss detenuti delle diverse mafie hanno avuto modo di stringere alleanze o rompere amicizie già strette e hanno sempre trovato il modo di comunicare decisioni e strategie all’esterno nonostante il più o meno duro regime di isolamento al quale dovrebbero essere sottoposti.

La Circolare la cui applicazione comporterà massicci trasferimenti da un istituto all’altro, ingenti risorse finanziarie e contemporaneamente la riqualificazione o la formazione di personale prevede due altre linee guida. I detenuti che hanno avuto ruoli marginali nelle compagini mafiose o terroristiche e che non siano dunque capi, promotori, dirigenti, organizzatori e finanziatori saranno inseriti nel circuito di "media sicurezza" (la declassificazione, verosimilmente giocata sui capi di imputazione, non sarà agevole).

I detenuti, infine, che hanno mostrato nel tempo una naturale propensione alla violenza all’interno degli istituti o che hanno una spiccata tendenza all’evasione, dovranno essere reclusi in sezioni protette e celle singole.

Giustizia: Coordinamento Penitenziari; reintegrare gli organici

 

Il Velino, 14 maggio 2009

 

Sono diversi i problemi che attanagliano le carceri italiane. Dal sovraffollamento alla mancata costruzione di nuove carceri passando per il personale civile in sotto organico e poco pagato. Il capo del dipartimento amministrazione penitenziaria Franco Ionta ha presentato al ministro della Giustizia Alfano un piano da un miliardo e mezzo di euro per portare un aumento di 18mila posti letto.

Il piano prevede la ristrutturazione di sezioni carcerarie esistenti e costruzione di nuovi padiglioni in diversi istituti già individuati. È prevista inoltre la costruzione di altri diciotto nuovi penitenziari con la collaborazione del settore privato. Ad oggi preoccupa l’eccessiva presenza di detenuti nelle carceri che è arrivata ad oltre 62mila unità. Cifra vicinissima alla soglia di tollerabilità che potrebbe essere raggiunta entro poco tempo.

Il Coordinamento Nazionale Penitenziari della Federazione Intesa ha espresso apprezzamento per l’impegno del presidente Ionta volto a migliorare la vivibilità e la ricezione delle carceri. Al contempo però esprime la preoccupazione riguardo il personale del comparto ministeri che lavora in condizioni di forte carenza di organico e scarsa organizzazione. Il Coordinamento dei penitenziari ritiene che sia nell’interesse della comunità riorganizzare il personale penitenziario civile per raggiungere i livelli auspicati di efficienza, efficacia ed economicità. Il riordino del personale, suddivido in troppi comparti, è indispensabile.

Migliaia di operatori penitenziari, inoltre, lamentano da tempo la forte disparità di trattamento giuridico-economico rispetto agli appartenenti al Comparto Sicurezza ed ai dirigenti. Per focalizzare l’attenzione sulle attuali problematiche è stata lanciata l’iniziativa "Tutti nella polizia penitenziaria", sviluppata in due fasi. La prima inviando domande di transito nel corpo di polizia penitenziaria e la seconda con la petizione al ministro Alfano.

"Crediamo" - sostiene il segretario nazionale del Coordinamento Nazionale Penitenziari Quirino Catalano - "che l’unico comparto che possa riuscire a garantire la tutela economico-giuridica e la professionalità del personale civile penitenziario sia quello della sicurezza. In questo modo si colmerebbe di fatto il divario esistente rispetto al personale di polizia penitenziaria e dirigenti penitenziari".

"Per questo" - conclude Catalano - "chiediamo al ministro Alfano e al capo del Dap Ionta un impegno per riformare il personale civile in modo da rafforzare l’efficienza di tutta l’amministrazione e procedere ad un aumento di organico".

Giustizia; Osapp; e saranno le "ronde" a sorvegliare i detenuti?

 

Il Velino, 14 maggio 2009

 

"In Francia, è notizia del 4 maggio, 10.000 detenuti in più sono la causa di uno scontro duro in tutto il Paese, in Italia 20.000 detenuti in più, rispetto alla capacità regolamentare, non significano proprio niente. Ionta, insomma, sembra aver staccato la spina ai problemi: il modo peggiore per fronteggiare una condizione che condannerà 43 mila uomini e donne della Polizia penitenziaria". Lo afferma in una nota Leo Beneduci, il segretario generale sindacato di polizia penitenziaria Osapp, reduce da un giro negli istituti penitenziari pugliesi. "Anche da noi i numeri hanno un significato ben preciso - continua il segretario generale -mancano trecento reclusi per arrivare al fatidico numero delle 63 mila presenze, rispetto una capacità che al momento può solo offrire 43 mila posti letto".

"Questo nonostante il fatto che il capo del Dap nonché capo della Polizia penitenziaria, e ancorché commissario incaricato all’edilizia delle carceri, si cimenti inutilmente nel promuovere un piano edilizio inadeguato e nonostante lui stesso venga contestato in ogni tappa del suo tour e invitato a dimettersi da quasi tutte le più importanti realtà sindacali di categoria. Nonostante inoltre i rappresentanti del governo, il sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati questa mattina a Radio Anch’io, si ostinino nella costante attività di propaganda di un modello carcerario soltanto annunciato".

"Ammesso e non concesso che riescano a realizzare tutti quei posti che dicono, che qualche privato sia interessato, che reperiscano le risorse necessarie, - conclude Beneduci - il personale dove lo trovano? Possibile che oltre che per l’ordine pubblico esterno il governo stia pensando di utilizzare le ronde anche per le nuove carceri?

Giustizia: Tenaglia (Pd); le carceri al collasso, il Governo inerte

 

Redattore Sociale - Dire, 14 maggio 2009

 

"La situazione di sovraffollamento nelle carceri italiane è arrivata ad un punto di non ritorno. Da ieri nel carcere "Due Palazzi" di Padova celle singole sono occupate invece da tre detenuti. A fronte di questa situazione, che si accompagna al grande disagio lavorativo dell’amministrazione penitenziaria, il ministero è completamente inerte".

Lo dichiara il deputato Pd, Lanfranco Tenaglia, responsabile Giustizia del Pd, che aggiunge: "Il tanto annunciato piano carceri rimarrà un libro dei sogni, mentre sono necessari interventi immediati con stanziamenti di risorse e aumento dei mezzi a disposizione dell’amministrazione che consentano di migliorare la situazione nelle carceri e alla polizia penitenziaria di svolgere con efficacia e dignità la propria funzione".

Tenaglia - Interrogazione a risposta in Commissione. Al Ministro delle giustizia. Per sapere; premesso che: la Casa di Reclusione "Due palazzi" di Padova è un istituto penitenziario pensato e strutturato per la detenzione di condannati a pene lunghissime e per ergastolani, è stata costruita per accogliere circa 350 detenuti, e attualmente ne ospita stabilmente oltre 700;

l’istituto è dotato, dunque, solo di celle singole (di 8 metri quadri), che avrebbero dovuto consentire una detenzione adatta a questa particolare tipologia di detenuti nonché una migliore gestione della sicurezza da parte degli agenti;

in realtà, però, le celle le celle "pensate" per ospitare un unico detenuto sono state, da subito occupate da due persone, e notizie di questi giorni ci dicono che è stata aggiunta in ogni cella una terza branda;

in una lettera indirizzata al Ministero della Giustizia, al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e alla Direzione del carcere, i detenuti delle Casa di reclusione di Padova hanno denunciato la situazione di gravissimo sovraffollamento che sta sopportando l’istituto, nonché la gravissime condizioni di disagio che l’aggiunta di una terza persona in celle di pochissimi metri quadri potrà comportare, in particolare in previsione delle alte temperature estive;

il parere del Dirigente Sanitario del carcere, citato dai detenuti nella lettera, avrebbe certificato che celle di 8 metri quadri sarebbero totalmente inadatte "ad una normale convivenza di tre persone, specialmente in prossimità di temperature che in estate raggiungeranno facilmente i 40 gradi";

la situazione del sovraffollamento delle carceri italiane è al collasso: solo nel Veneto i detenuti sono oltre 3.100, mentre i posti-branda sono appena 1.900: per ogni 100 posti ci sono dunque circa 162 detenuti a cui trovare una sistemazione;

al fine di attirare l’attenzione sulla loro situazione e per denunciare i gravissimi disagi a cui verranno esposti i detenuti del carcere di Padova hanno deciso una serie di "azioni dimostrative", come rifiuto del vitto dell’amministrazione, sciopero della fame e "battitura" delle porte blindate.

Quali misure il Ministro intenda adottare al fine di intervenire sulla grave situazione di sovraffollamento della casa di reclusione "Due Palazzi di Padova", situazione che rischia di pregiudicare in modo gravissimo sia le condizioni di vita dei detenuti che la sicurezza dell’istituto, nonché le condizioni lavorative del personale dell’amministrazione e della polizia penitenziaria.

Se il Governo non ritenga di predisporre per i necessari interventi immediati adeguati stanziamenti di risorse e un aumento dei mezzi a disposizione dell’amministrazione che consentano di migliorare la situazione nelle carceri e alla polizia penitenziaria di svolgere con efficacia e dignità la propria funzione.

Lettere: i detenuti, da varie carceri, scrivono a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 14 maggio 2009

 

La nostra vita a Poggioreale. Cara Radiocarcere, la situazione qui a Poggioreale è arrivata davvero al limite. Pensa che io mi trovo in una cella con altri 10 detenuti. Qui dentro è un gran macello, letti a castello a 3 piani, gente che urla, la mancanza di uno spazio minimo per muoverci dentro al cella. E poi manca di tutto. Qualche giorno fa un nostro compagno ha dovuto dormire senza materasso, senza cuscino e senza lenzuola. Lo hanno fatto sdraiare sulla branda di ferro con solo una coperta, ma siamo uomini o bestie?

Qui a Poggioreale siamo arrivati ad essere 2.700 detenuti, quando il carcere ne potrebbe ospitare al massimo 1.300. La conseguenza è che a Poggioreale nelle celle fatte per 5 o 6 detenuti ce ne stanno 10, 11 e anche 12! Immagina tu come siamo costretti a vivere! Insomma un caos non solo per noi detenuti, ma anche per la polizia penitenziaria che non riesce a gestirci per quanti siamo.

Qui la disperazione di respira ogni secondo e c’è chi tra di noi cede e si lascia andare. Così come è successo a un nostro compagno che si è gettato nel vuoto un paio di settimane fa e l’ha fatta finita. Io spero di resistere anche se non mi danno le medicine per le mie patologie. Medicine che mi sono detto disposto a comprare con i miei soldi ma che mi vengono negate lo stesso. Vi sembra giusto? Vi saluto con stima e rispetto

 

Antonio, dal carcere Poggioreale di Napoli

 

In cella senza acqua ad Agrigento. Caro Arena, la situazione qui nel carcere di Agrigento si fa sempre più insopportabile. Il sovraffollamento è sempre più alto, tanto che ora siamo costretti a vivere in tre detenuti dentro una celletta di pochissimi metri quadri. Ma ci sentiamo abbandonati anche sotto il profilo dell’assistenza sanitaria. Ti dico solo che dalle 13 alle 18 qui non c’è nessun medico e nessun infermiere! Roba che se qualcuno di noi sta male in quell’orario lo lasciano anche morire.

Come se non bastasse abbiamo il problema dell’acqua che ci viene razionata, o dell’acqua che non ci viene data per nulla. Ora che ti scrivo dal rubinetto della nostra cella non esce neanche una goccia, non a caso negli ultimi tempi non ci danno la pasta da mangiare proprio perché non hanno l’acqua con cui bollirla, ma ti rendi conto?

Anche la televisione in cella si rompe spesso. Già la televisione, ovvero l’unica nostra distrazione, l’unico aiuto che non ci fa impazzire dovendo restare chiusi in cella per 22 ore al giorno. Caro Arena siamo davvero esasperati e chi ci governa dovrebbe vergognarsi per il modo in cui lasciano che veniamo trattati. Con me ti salutano i miei compagni di detenzione che si chiamano: Alfio, Davide, Roberto, Salvuccio, Guido e Maurizio

 

Giuseppe, dal carcere di Agrigento

 

Ecco l’inferno di San Vittore. Cara Radiocarcere, mi trovo detenuto nel carcere di San Vittore per detenzione di marijuana. Appena arrestato mi hanno messo dentro un locale che non era una cella. Lì ho dovuto dormire su un materasso messo per terra e in un angolo, a pochi centimetri, il cesso maleodorante. Ti assicuro che è stato davvero un incubo. Poi mi hanno spostato in una cella del IV raggio, la cella numero B 14. Una stalla! Dentro eravamo in 5 detenuti. 5 detenuti dentro uno spazio non più grande di 8 mq. Era tutto sporco, per giorni abbiamo chiesto del sapone per lavare, ma è stato inutile. I muri erano talmente sudici che abbiamo dovuto tappezzarli con la carta di giornale. Anche il bagno era in pessime condizioni. Un lavandino e un cesso alla turca che quando tiravi lo scarico si inondava tutto il pavimento. Insomma è come stare in una cella di 50 anni fa. Ti dico solo che per accedere la luce dovevamo collegare i fili elettrici. Dopo un po' di mesi passati in quella cella mi hanno spostato in un’altra. Praticamente non è cambiato nulla, stessa struttura, stessa sporcizia e stesso degrado. In tutto questo sto lottando per essere curato al cuore, ma non è una lotta facile. Infatti qui nel carcere di San Vittore le uniche medicine che hanno sono le gocce, ovvero i sonniferi. Alla prossima!

 

Massimo, dal carcere S. Vittore di Milano

 

Io ergastolano e malato di tumore. Caro Arena, ti scrivo da una cella del carcere Pagliarelli di Palermo, una cella dove siamo rinchiusi in 8 detenuti. È difficile raccontarti come riusciamo a sopravvivere rimanendo chiusi qui dentro per 22 ore al giorno, veramente difficile. La verità è che si perde tutto: il senso del tempo, quello della dignità, quello della pena… tutto.

Considera che io ho una pena molto alta, anzi altissima, nel senso che sono condannato all’ergastolo. Il mio fine pena è mai! E questo non mi rende più facile sopportare una vita così. Inoltre da una settimana la caldaia è rotta e noi non possiamo neanche farci la doccia. Insomma è più facile dire che siamo trattati peggio delle bestie.

Come se non bastasse sono gravemente malato. Ho infatti un tumore al polmone, una grave malattia che in carcere non mi viene curata, o meglio il cui avanzamento non viene rallentato.

Ho chiesto la detenzione domiciliare, ma mi è stata rigettata. Ho fatto ricorso in cassazione e ora non mi rimane che aspettare. Chiedo solo di non morire in carcere! Io capisco, visto la mia condanna, che i magistrati non mi vogliono dare la detenzione a casa o in ospedale, ma che almeno mi trasferiscano nel Centro Clinico del carcere di Pisa, che è un centro attrezzato. Ora ti saluto, perché mi mancano le forze.

 

Gaetano, dal carcere Pagliarelli di Palermo

Lombardia: Radicali; carceri regionali in "emergenza legalità"

 

Agenzia Radicale, 14 maggio 2009

 

In seguito a visite ispettive in luoghi di detenzione lombardi effettuate lo scorso 11 maggio da Elisabetta Zamparutti, deputata radicale, Alessandro Litta Modignani, membro della Direzione di Radicali Italiani e candidato della Lista Bonino-Pannella nel collegio Nord-Occidentale, e altri militanti radicali, la delegazione radicale alla Camera dei Deputati ha presentato tre interrogazioni parlamentari rivolte al Ministro della Giustizia e al Ministro dell’Interno.

Le visite sono state effettuate nella casa Circondariale di Lecco (con Liliana Lillia, Coordinatrice del Circolo Nessuno tocchi Caino), nella casa circondariale di San Vittore a Milano (con Francesco Poirè dell’Associazione EnzoTortora di Milano) e nel Centro di Identificazione ed Espulsione di via Corelli (con Valerio Federico, candidato radicale nella lista Sinistra per la Provincia di Milano, e Chiara Oggioni, Medico Chirurgo specialista in Igiene e Medicina Preventiva).

Elisabetta Zamparutti, ha in proposito dichiarato: "L’emergenza del nostro Paese non è l’immigrazione o la sicurezza ma la legalità, e le condizioni dei nostri luoghi di detenzione ne sono la testimonianza. A San Vittore vi sono celle di circa 10 metri quadrati con 9 detenuti. Il piccolo lavandino, che serve contemporaneamente per la pulizia personale, il lavaggio di strofinacci del pavimento, piatti personali, bicchieri, pentole ed indumenti, è posto tra un tavolino che funge da cucina con fornelli da campo e il water. Sono condizioni che confliggono con la dignità della persona oltre che con il principio costituzionale per cui la pena deve tendere alla rieducazione del reo.

Anche in un carcere "modello" come quello di Lecco, i drastici tagli ai vari capitoli di bilancio manifestano una volontà di impedire a questa struttura, ormai già sulla soglia del sovraffollamento, di poter garantire condizioni di detenzione dignitose.

Quanto al CIE di via Corelli vi è, contrariamente a quanto prevede la legge, promiscuità tra immigrati che hanno già espiato delle condanne, altri che semplicemente non sono in regola con il permesso di soggiorno e che pertanto non hanno commesso alcun reato, altri ancora che risultano essere richiedenti asilo politico.

In particolare, due ragazzi hanno detto di avere le famiglie residenti in Italia e, pochi mesi dopo il compimento del 18mo anno di età, allo scadere di un primo permesso di soggiorno, di essere stati fermati e portati al Centro di via Corelli dove rischiano l’espulsione verso i Paesi di origine coi quali però non hanno più alcun legame. Si tratta di Dieng Khadime, nato il 15 agosto 1987 in Senegal e dal 1989 in Italia con la sua famiglia che risulterebbe risedere regolarmente a Lecco e Soulah Hoosni di origine maghrebina la cui famiglia risiederebbe regolarmente in Toscana a San Martino sul Fiora. Ai Ministri competenti abbiamo chiesto di intervenire per ripristinare la legalità e tutelare la dignità del detenuto

Lodi: 16 detenuti escono dal carcere, per pulire rive dell’Adda

di Fabrizio Lucidi

 

Il Giorno, 14 maggio 2009

 

Guanti e ramazza come strumento di riscatto sociale. I detenuti del carcere di Lodi, domenica dalle 9 alle 15, ripuliranno la zona Valgrassa, a due passi dall’Adda, dall’immondizia scaricata per anni dai soliti incivili.

È l’ultimo progetto pensato dalla Provincia e dalla direttrice della Casa Circondariale, Stefania Mussio (a destra, con il cantante Gianmaria Testa). Hanno presentato l’iniziativa l’assessore provinciale all’Ambiente, Antonio Bagnaschi, l’assessore alla Cultura Mauro Soldati, l’educatrice Elena Zeni.

"Dopo l’iniziativa "Puliamo il mondo", fatta in collaborazione con i Comuni per ripulire le zone degradate, e le "1000 ore per l’ambiente" con gli straordinari della Polizia provinciale, siamo al terzo tempo", dice Bagnaschi.

Perché c’è tanto da fare nella zone prescelta, all’interno del Parco Adda Sud: è stata usata spesso come discarica abusiva dai "turisti dei rifiuti", come li bolla l’assessore. "Un’area recintata di recente, con gran fatica - ricorda il presidente del Parco Adda Sud, Silverio Gori - ma che soffre dell’accumularsi dei rifiuti scaricati nel tempo. Dato che non abbiamo strumenti per tenere pulito l’intero parco, sia benvenuto ogni aiuto".

L’Astem Lodi fornirà guanti anti-taglio, pettorine e scope. I detenuti dovranno metterci la buona volontà. Assieme a loro ci saranno due squadre delle Guardie ecologiche e una pattuglia della Polizia provinciale. La direttrice della casa circondariale spiega il perché dell’iniziativa: "Ogni anno cerchiamo di darci una progettualità, sui due binari di cultura e senso della legalità".

I detenuti prescelti in un primo momento erano 22. Alla fine, le porte del carcere si schiuderanno solo per 16, perché agli altri i magistrati hanno negato l’autorizzazione a uscire. Due volontari arriveranno "da fuori", perché stanno scontando pene alternative al carcere. La scelta dei fortunati è stata molto accurata: "Certo non potevamo far uscire i 90 detenuti (che sono al momento nel carcere di Lodi malgrado la capienza massima sia di circa 50 persone, ndr). I 16 detenuti saranno scortati dalla Polizia penitenziaria. "Anche perché sono tutti in attesa di essere giudicati dal Tribunale", spiega Mussio.

Il capo delle guardie, Raffaele Ciaramella, scherza: "Da quando è arrivata la nuova direttrice non abbiamo più pace". Poi aggiunge, serio: "Io e i miei colleghi siamo entusiasti del progetto. È un impegno in più, faticoso ma stimolante. Perché la sicurezza passa anche attraverso l’offerta di nuove opportunità ai carcerati. Bisogna dirgli: "Guardate, si può vivere diversamente" ma anche mostrargli come". Senza dimenticare l’umanità: domenica all’ora di pranzo i carcerati potranno infatti mangiare con i familiari.

L’educatrice Elena Zeni racconta: "Il nostro scopo è la condivisione e lo scambio di idee. Tanto che da mesi facciamo incontrare alcuni detenuti e studentesse del liceo Maffeo Vegio. D’altronde, le età degli uni e degli altri spesso non sono poi così distanti". L’assessore provinciale Soldati aggiunge: "Al di là delle polemiche sollevate sui giornali ogni volta che si fanno iniziative come questa, invito la gente a guardare i risultati". La sicurezza - secondo l’ex leader dei giovani Ds - "è un tema che si garantisce in tanti modi. Il tema è delicato, non ci si può muovere solo per slogan".

 

La direttrice: la sicurezza non si ottiene solo con la forza

 

"È il primo esperimento all’esterno del carcere, speriamo bene". La direttrice della Casa Circondariale, Stefania Musso, è felice del progetto. "In un primo momento avevamo pensato al servizio di volontariato in un ospizio", confessa. Poi è arrivata l’idea "di ripulire dai rifiuti una incantevole zona del Lodigiano, per restituire qualcosa alla città e alle istituzioni, che ci hanno dato tanto". La direttrice è a Lodi da un anno e mezzo.

"Riflettiamo ogni volta che ci troviamo di fronte a un progetto, purché trasmetta etica e senso della legalità". Progetto ed etica: le due parole più care a Mussio. "Anche le serate musicali all’interno del carcere rispondono a questa logica: concerti di jazz, reggae, tango, ora stiamo cercando i ingaggiare un giovane cantautore impegnato su temi sociali".

 

Altri progetti all’orizzonte?

"Siamo ancora in una fase preliminare, ma ci siamo resi disponibili ad adottare due cani, con la collaborazione del Lions club e di un ente di Milano. I detenuti dovranno curare gli animali fino al compimento di un anno, per poi restituirli all’ente, che li addestrerà da cani-guida per i non vedenti. Ora stiamo attrezzando l’area del canile nel solo fazzoletto di terra che abbiamo. Poi ci servirà una mano dai cittadini volontari, che dovranno portare fuori i cani".

 

Non è la prima volta che lo fa...

"Quando dirigevo il "supercarcere" di Voghera avevamo creato un canile attrezzato in un’ampia zona verde, con quattro gabbie. Ci hanno dato una mano il Ministero e una fondazione bancaria. Un vero successo. Poi abbiamo fatto uscire quattro detenuti per vendere, in un banchetto piazzato nella strada centrale della cittadina, mele e dolci di mele. Alcuni carcerati avevano dipinto una gigantografia della famosa mela del pittore Magritte. Una cosa bellissima, come è stato emozionante vedere detenuti a "elevato indice di sorveglianza" preparare dolci in cucina. I soldi incassati hanno finanziato altre iniziative culturali nel carcere. Quando dirigevo la sezione femminile di Opera abbiamo aperto le porte a tre fotografi che hanno raccontato la vita delle carcerate: quel lavoro è diventato una mostra e un libro".

 

Il suo obiettivo?

"Cerchiamo strumenti eticamente sostenibili per educare i detenuti. La sicurezza non passa solo attraverso l’uso della forza".

Cagliari: all’Ipm di Quartucciu attivata lavanderia industriale

 

Agi, 14 maggio 2009

 

Per la prima volta in Sardegna un’impresa privata collaborerà con un istituto di pena per minori per favorire il reinserimento sociale e lavorativo dei ragazzi. A Quartucciu, nel Cagliaritano, è stato attivato il progetto "Mitico" (Misure trattamentali inserimento e creazione occupazione) promosso dal ministero della Giustizia, da Confcooperative, Provincia di Cagliari, Comune di Quartucciu e Fondazione Banco di Sardegna. Da lunedì prossimo cinque ragazzi dell’istituto, che ospita 18 minori accusati di gravi reati, saranno impiegati nella lavanderia industriale realizzata nella struttura con un investimento di circa 200 mila euro stanziati dal promotori del progetto.

Per almeno un anno i cinque detenuti lavoreranno per conto della Nivea SpA, impresa del settore con sede nell’area industriale cagliaritana di Macchiareddu. I ragazzi riceveranno una regolare busta paga di circa 400 euro al mese. Una volta rilasciati, tre di loro firmeranno un contratto di lavoro per un anno con la Nivea SpA.

"Ritengo che il lavoro sia il primo strumento per educare i ragazzi", ha detto stamane a Quartucciu illustrando il progetto il direttore del Centro di giustizia minorile della Sardegna Sandro Marilotti, "e in quest’ottica, l’obiettivo principale di questa iniziativa è quello di garantire un futuro ai giovani ospitati dall’istituto". Nella struttura di Quartucciu sono già attivi un laboratorio di giardinaggio specializzato in erbe officinali, una pelletteria e una falegnameria.

Napoli: delegazione europea visita l’Opg ne chiede la chiusura

 

Ansa, 14 maggio 2009

 

L’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Napoli va chiuso: è la conclusione cui giunge una delegazione guidata dall’europarlamentare Giusto Catania (Rifondazione Comunista - Sinistra Europea), vice-presidente della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento Europeo, dopo una visita ispettiva all’Opg del capoluogo partenopeo.

"Registro con preoccupazione - dice Catania in una nota - che, a oltre un anno dalla riforma della sanità penitenziaria, le condizioni di reclusione dei sofferenti psichiatrici internati siano lontane dal senso di umanità previsto dalla Costituzione". Dopo la chiusura - per problemi strutturali - del vecchio complesso di Sant’Eframo, la struttura è ospitata oggi nel complesso penitenziario di Secondigliano e registra la presenza di circa 120 internati. Si tratta di persone con disagio psichico che hanno commesso un reato e che sono condannate a una misura di sicurezza prorogabile.

"Abbiamo verificato di persona - continua Catania - la presenza di decine di internati in celle spoglie e in condizioni di degrado, senza nemmeno un tavolo o una sedia per mangiare. Le celle non hanno la doccia e in molte non vi sono nemmeno i televisori. In altre celle sono presenti anche sino a cinque internati. In diversi casi abbiamo notato internati vestiti con abiti dismessi, scalzi, stesi immobili nei loro letti. Sono condizioni di detenzione improprie sia per un carcere che per una struttura che ha anche un compito di presa in carico sanitaria del sofferente psichico".

"Dal registro abbiamo verificato come nella struttura si faccia ancora ricorso al letto di coercizione: un internato ha trascorso persino la vigilia di Natale in queste condizioni, con mani e piedi legate al letto. Significa che qui il tempo si è fermato, come se non fossero trascorsi trenta anni dalla legge Basaglia. Ci sono internati che sono entrati per un semplice furto è sono detenuti da decine di anni. Alcuni di loro sono ormai anziani e potrebbero essere tranquillamente accolti in strutture residenziali protette se solo vi fosse la disponibilità di presa in carico dei servizi di salute mentale. Voglio riconoscere che, da parte degli operatori della Asl ci sia stato uno sforzo, ma è evidente che, allo stato delle cose, l’Opg di Napoli non ha perso nessuno dei suoi requisiti manicomiali. Per questo - conclude Catania - è un modello che va al più presto superato, così come prevede la riforma della sanità penitenziaria e come impongono le raccomandazioni dell’Ue in materia di assistenza psichiatrica".

Modena: presidente della Provincia visita la Casa Circondariale

 

Asca, 14 maggio 2009

 

"È urgente garantire alla Casa Circondariale Sant’Anna gli adeguati livelli di sicurezza, a tutela di chi vi lavora e dell’intero territorio. È un dovere al quale nessuno può sottrarsi, anche se devono essere chiari i livelli di responsabilità. E la responsabilità prima spetta allo Stato". L’ha detto il presidente della Provincia di Modena Emilio Sabattini il quale, dopo aver incontrato nei giorni scorsi una rappresentanza del sindacato degli agenti di polizia penitenziaria, ha effettuato nella mattinata di mercoledì 13 maggio una visita alla struttura.

"La situazione drammatica denunciata dagli agenti corrisponde purtroppo alla realtà - spiega Sabattini - A fronte di una popolazione carceraria in forte sovrannumero c’è una vistosa carenza di personale, e questo crea oggettivamente un problema di sicurezza per gli agenti. Come se non bastasse, c’è una assoluta inadeguatezza delle dotazioni tecnologiche di videosorveglianza, che rendono la struttura estremamente vulnerabile.

Questo è il modo in cui lo Stato, al quale compete la programmazione e la gestione degli istituti di pena, provvede al carcere modenese. Stupisce e indigna - aggiunge il presidente della Provincia - che rappresentanti dello Stato si limitino a prendere atto di questa situazione, com’è avvenuto l’altro giorno con la visita del presidente della Commissione Giustizia del Senato. Non basta lanciare l’allarme: si deve trovare subito una soluzione, perché non è sostenibile una situazione del genere".

Secondo Sabattini "l’emergenza del carcere Sant’Anna riguarda tutti, non solo i detenuti. Una struttura penitenziaria efficiente rappresenta un elemento di garanzia per la sicurezza dell’intero territorio. Dal canto suo la Provincia - assicura il presidente - continuerà a fare la propria parte, come ha sempre fatto, attraverso il finanziamento di corsi di formazione mirati al reinserimento lavorativo dei detenuti.

Proprio perché la situazione è grave, pur non essendo una nostra competenza ci attiveremo per valutare ogni soluzione utile a risolvere il problema delle dotazioni tecnologiche di videosorveglianza e sicurezza. Ma il segnale forte - conclude Sabattini - deve arrivare dal ministero di Giustizia, in termini di numero complessivo dei detenuti e di potenziamento del numero di agenti, che qui scarseggiano e in altre carceri o al ministero stesso abbondano. Il governo ha investito risorse molto rilevanti sulla Casa di lavoro di Castelfranco, ma ha dimenticato l’emergenza del carcere circondariale. È ora di porre rimedio".

Agrigento: essere detenuti omosessuali, una "pena nella pena"

di Francesco Di Mare

 

La Sicilia, 14 maggio 2009

 

Sono due, rinchiusi nella sezione cosiddetta "protetti", ovvero in quella che "ospita" collaboratori di giustizia, ex rappresentanti delle forze dell’ordine che hanno tradito il loro giuramento di fedeltà allo Stato, pedofili. Di certo non un luogo ideale per trascorrere un periodo più o meno lungo di detenzione per scontare la pena inflitta per il reato compiuti nel passato.

Un reato che di certo non è stato ed è essere gay, omosessuali, persone che hanno deciso di cambiare gusti e esigenze sessuali durante il cammino della loro esistenza. L’essere omosex però non vieta allo stesso di essere delinquente e di finire, com’è accaduto a questi due detenuti, nelle patrie galere. La coppia di reclusi si trova nel penitenziario al confine tra i territori di Agrigento e Favara per reati tutto sommato non gravi, ma che pur sempre reati sono. Alla luce della loro particolare situazione, come accade in tutte le carceri italiane, non possono essere considerati detenuti comuni. Per questo non fanno vita sociale con gli altri, non svolgono attività di altro genere per evitare d’innescare qualsiasi tipo di circostanza sgradevole all’interno del penitenziario. E, ovviamente, i due gay rinchiusi nel Petrusa non possono condividere la stessa cella con gli uomini e le donne che tali sono a tutti gli effetti. A svolgere un ruolo particolarmente delicato in questa situazione sono i rappresentanti della Polizia Penitenziaria, chiamati a prestare grande attenzione alla condotta dei detenuti, quando è ora di mangiare o andare a lavarsi. Come delicato è il compito che devono assolvere tutti gli altri che lavorano con altre mansioni nella casa circondariale. Il tutto, per cercare di far scontare una pena in condizioni di "normalità" a persone che nella vita hanno fatto scelte diverse, sia dal punto di vista sessuale, sia da quello dello stile di vita, inteso come rispetto della legalità.

Ma come si fa a stabilire al momento dell’ingresso in carcere se uno è gay? In questo caso l’esperienza degli agenti della polizia penitenziaria è decisiva. È facile sistemare tra i "protetti" coloro i quali manifestano palesi atteggiamenti omosessuali, mentre in altri casi sono le stesse persone con diverse tendenze a comunicare il tutto alla direzione, per prendere gli opportuni accorgimenti.

Stare in galera non è facile per alcun essere umano, e chi opera al Petrusa cerca di non far diventare ancor più insopportabile tale reclusione a chi viva la propria esistenza da un punto di vista diverso. Limitandone cioè al massimo la convivenza con gli eterosessuali, eccetto ex collaboratori di giustizia che comunque rischiano la pelle uscendo di cella o ex uomini dello Stato.

Varese: le Acli promuovono l'esperienza dei volontari carcerari

 

Varese News, 14 maggio 2009

 

Le Acli promuovono un incontro per raccontare l’esperienza dei volontari tra le mura degli istituti di pena. Con la partecipazione di Miriam Ballerini, autrice del libro "Fiori di serra". Il carcere è una realtà dura e chi è costretto a viverci ha bisogno di mantenere un confronto con quel che accade fuori dalle mura: per rimanere vivo e per potersi un giorno reinserire nella comunità.

A questo bisogno rispondono i "carcerati per scelta", le persone che hanno deciso di varcare le pesanti porte degli istituti di pena per fare volontariato assistendo i detenuti e promuovendo progetti di vario genere. La loro esperienza sarà al centro dell’incontro promosso dal coordinamento dei Circoli Acli di Cairate, Bolladello, Peveranza, Cassano Magnago e Santo Stefano.

L’appuntamento è giovedì 14 maggio alle ore 20.45 alla biblioteca comunale di via Ungaretti 2 a Cassano Magnago: intervengono Miriam Ballerini, autrice del libro "Fiori di serra", e Pietro Roncari, giornalista del quotidiano La Prealpina e presidente dell’Associazione assistenza carcerati e famiglie di Gallarate.

Terni: le opere artistiche dei detenuti all’asta, per beneficenza

 

www.terninrete.it, 14 maggio 2009

 

Da diversi anni l’esperienza dell’arte in carcere, promossa dalla Caritas diocesana e dall’Associazione di volontariato "San Martino" all’interno della Casa Circondariale di Terni, è divenuta un’importante forma espressiva che i detenuti apprezzano e alla quale partecipano con sempre maggiore interesse, tanto che ha permesso di organizzare una mostra mercato di beneficenza.

Trenta opere prodotte durante le attività di laboratorio dai detenuti reclusi nell’area protetta della Casa Circondariale, saranno in mostra il 21-22-23 maggio presso il Museo diocesano di Terni. La mostra sarà inaugurata giovedì 21 maggio alle ore 10 e resterà aperta nei giorni successivi dalle 16 alle 19.

Sabato 23 maggio alle ore 16, a chiusura della mostra, le opere saranno vendute in un’asta di beneficenza il cui ricavato sarà destinato al Fondo di solidarietà delle chiese umbre per le famiglie disagiate. Nei giorni della mostra saranno in vendita anche prodotti agro alimentari e manufatti realizzati dai detenuti di vocabolo Sabbione.

"In piccoli spazi di tempo", questo il tema della mostra, raccoglie emozioni dei detenuti, vissute nel laboratorio artistico durante la socializzazione e l’evoluzione relazionale mentre si apprendono le tecniche del disegno e del colore. Rispettarsi, smussare alcune parti spigolose del proprio carattere, superare i pregiudizi e antipatie, sostenersi scambiarsi informazioni e pareri, a volte, per loro è difficile ma i colori, i pennelli, le tele i fogli di carta aiutano tanto e tante volte in questi "piccoli spazi di tempo".

I colori sono coinvolgenti, arrivano alla loro coscienza e accendono la luce delle emozioni positive, della gratificazione e dei sani proponimenti. Da questo processo, è nato anche il loro desiderio di sentirsi utili nel sociale, proponendo di mettere in vendita alcuni loro lavori pittorici per un fine benefico.

Genova: 71esse ruba 5 scatolette per gatti… 1 mese di carcere

 

Ansa, 14 maggio 2009

 

Anziana condannata per furto al supermercato dal tribunale di Genova. La donna, una 71enne residente nel capoluogo, è stata sorpresa dalla vigilanza di un supermarket Coop di Genova, con alcuni generi alimentari occultati nella borsa. Strana la refurtiva ritrovata: 5 scatolette di cibo per gatti e un pezzo di formaggio. La donna, assistita dall’avvocato Stefano Corsini, è stata condannata dal giudice Giuseppe Cascini, a un mese di reclusione.

Libri: "Camosci e girachiavi"... ovvero sul carcere insostenibile

di Davide Pelanda

 

Megachip, 14 maggio 2009

 

È un fiume in piena Christian G. De Vito quando gli si chiede del carcere. Per lungo tempo volontario nelle carceri di Firenze e Prato, De Vito ha appena dato alle stampe, per Laterza, il libro "Camosci e girachiavi - Storia del carcere in Italia" con prefazione di Guido Neppi Modona. Sull’argomento lo abbiamo intervistato.

 

De Vito cosa pensa delle strutture carcerarie che stanno scoppiando?

"Sono il prodotto delle scelte compiute degli ultimi venti anni a livello politico, in particolare con riferimento all’immigrazione e alle tossicodipendenze. Se non si torna indietro su quelle scelte, non si potranno avere carceri meno piene. Si penserà invece di costruire più carceri, come sembra voler fare il governo con il "piano carceri" di cui si parla in questi giorni; ben sapendo che, anche ammesso che saranno costruiti, i diciassettemila nuovi posti letto si riempiranno prestissimo e serviranno solo a stimolare un ulteriore incremento della repressione e delle retoriche della sicurezza.

Quella delle carceri che scoppiano del resto è una vicenda non solo italiana, ma mondiale, che rimanda all’affermarsi a livello globale di politiche neoliberiste: basti pensare agli Stati Uniti, passati in trenta anni da 300.000 a oltre 2.000.000 di detenuti. Una tendenza che riguarda anche paesi tradizionalmente riformatori in ambito penitenziario, come quelli scandinavi o i Paesi Bassi.

Del resto, il problema delle carceri che scoppiano non è solo una questione di numeri. Il sovraffollamento, che ne è la principale traduzione concreta, vuol dire vivere per ore e ore in pochi metri quadrati con tre, quattro e talvolta anche otto o nove persone. È una situazione inumana e del tutto illegale, che pone con urgenza la questione di fare qualcosa, di una strategia alternativa a quella repressiva che domina"

 

Eppure c’è chi dice che in carcere si sta bene, che "stanno come in albergo". È veramente così?

"Assolutamente no. I cittadini e le cittadine, e anche tantissimi uomini e donne politici, dovrebbero vedere le carceri prima di fare affermazioni del genere. Dovrebbero vedere le celle con i letti a castello a quattro piani, dove si mangia seduti sui letti perché perfino gli sgabelli di legno sono spesso insufficienti rispetto al numero dei detenuti presenti. Dovrebbe vedere anche questi famosi televisori nelle celle, che così spesso vengono dipinti come il simbolo stesso del "carcere albergo" e che invece nella realtà del carcere sono una trappola infernale, perché avere come unica attività per ore e ore e per molti mesi quella di stare davanti a un televisore è un supplemento di condanna, non certo un lusso.

No, le carceri non sono degli alberghi. Sono istituzioni dove mancano le cose anche più semplici, dove ogni detenuto vede negati anche diritti fondamentali come quello alla salute. Sono anche luoghi di violenze, sia nella forma dei continui arbitri e ricatti, sia in quella delle vere e proprie violenze fisiche, molto meno rare di quanto si pensi".

 

Nella situazione che lei descrive il carcere, si può ancora parlare di struttura rieducativa per chi ha commesso reati?

"La logica della rieducazione è vecchia come il carcere stesso. L’idea della punizione si è sempre accompagnata con quella di riempire il tempo trascorso in carcere di attività che modificassero la personalità e lo stile di vita dei detenuti. È da questo che derivano già nell’Ottocento i principi dell’individualizzazione del trattamento e della specializzazione delle carceri; questo è il senso anche della pena "rieducativa" definita nell’art.27 comma 3 della Costituzione italiana.

Tali principi a seconda dei casi sono stati tradotti in termini strettamente clinici (dalla scuola della "difesa sociale" negli anni Cinquanta e Sessanta) o in termini morali-religiosi (come "redenzione" del condannato). Dalla metà degli anni Settanta, la riforma del 1975 e poi la legge Gozzini del 1986 hanno dato un’interpretazione più legata all’idea del reinserimento sociale, ma ciò si è anche coniugato con meccanismi premiali all’interno del carcere: in sostanza, la massa dei detenuti è stata divisa in tanti settori o "circuiti" (massima sicurezza, media sicurezza, custodie attenuate, sezioni per tossicodipendenti, reparti di osservazione psichiatrica), mentre ogni detenuto è stato spinto a mantenere comportamenti conformi alle regole penitenziarie, per evitare di perdere la possibilità di ottenere vari "benefici", come il lavoro interno e poi esterno, la semilibertà, l’affidamento in prova al servizio sociale. Ciò che era stato concepito come uno strumento di decongestionamento del carcere è tuttavia diventato sempre più uno strumento di controllo di una popolazione carceraria in costante aumento; parallelamente, le misure alternative hanno perso ogni loro "alter natività" rispetto alla detenzione, divenendo complementari all’aumento della popolazione carceraria.

Nel frattempo, è mutata radicalmente la composizione della popolazione detenuta. Le riforme degli anni Settanta e Ottanta erano rivolte a un detenuto-tipo di nazionalità italiana, con la possibilità di reinserirsi a livello abitativo e lavorativo in un tessuto sociale preesistente. Fino a un certo punto questa configurazione si è potuta adattare alla realtà dei detenuti tossicodipendenti, per i quali tuttavia vi erano delle esigenze anche sanitarie alle quali lo sviluppo delle comunità, dei Ser.T. e delle sezioni a custodia attenuata ha risposto in maniera sempre solo parziale. Oggi la realtà è ulteriormente mutata: se si pensa che nelle maggiori carceri ormai gli immigrati sono oltre il 50% dei detenuti, si può capire quanto questo modello di intervento sia superato, o quantomeno marginale, rispetto a un carcere che svolge una funzione puramente contenitiva e repressiva.

Analizzando le cose in questi termini secondo me si può capire la crisi permanente nella quale si dibattono sempre più tutte le attività trattamentali e i progetti ad esse ispirate: sono strutturalmente condannati ad una marginalità sia numerica che simbolica, ad inseguire inutilmente una vera e propria alluvione di detenuti e di disuguaglianza sociale. Sono processi che provengono dall’esterno del carcere e che hanno molto a che fare con le trasformazioni del mercato del lavoro e con il progressivo smantellamento anche di quel poco di welfare che era stato edificato a partire dagli anni Settanta. A questo va aggiunto un altro elemento: alla prospettiva del "reinserimento" dei detenuti, in Italia, le autorità politiche non hanno mai veramente creduto. Lo dimostra il fatto che le risorse per queste attività sono da sempre incomparabilmente inferiori rispetto a quelle riferite alla funzione custodiale del carcere. Si può trovare prova di questo in ogni carcere, basta comparare il numero degli agenti di polizia penitenziaria a quello degli educatori: nel carcere di Firenze, per esempio, dove ci sono in questo momento 940 detenuti a fronte di una capienza di 470 posti, ci sono 420 agenti e 5 educatori".

 

Cosa si può pensare in alternativa al carcere in Italia oggi?

"La mia ricerca storica sul sistema penitenziario dal 1943 ad oggi credo metta in luce, tra le altre cose, il fallimento del riformismo penitenziario. La crisi della ideologia della "rieducazione" è infatti solo un aspetto di una marginalizzazione complessiva della prospettiva di trasformazione dell’istituzione penitenziaria. Di fatto, attraverso i decenni, il carcere ha continuato sempre a funzionare come una discarica sociale nella quale sono stati sistematicamente riversati i rifiuti dei processi socio-economici che avvenivano al di fuori delle mura di cinta. Per altro verso, tutta l’idea che il periodo trascorso in carcere potesse favorire un successivo reinserimento dei detenuti si è scontrata, oltre che con i limiti già detti dell’area "trattamentale", con un sistema di assistenza sociale del tutto insufficiente e con il permanere di radicati pregiudizi nella popolazione. Basta vedere cosa è successo quando c’è stato l’indulto del 2006: gli indultati uscivano dalle carceri con sulle spalle i sacchi neri dell’immondizia dove avevano i loro vestiti e fuori trovavano qualche volontario, nel disinteresse pressoché totale delle istituzioni. Anche il tanto sbandierato rientro in carcere degli indultati - rimasto in verità su tassi straordinariamente bassi - è derivato da questo processo di abbandono sociale piuttosto che da una presunta "tendenza criminale" di quelle persone.

Bisogna quindi ripensare le strategie di trasformazione del carcere, tenendo presente il collegamento tra il carcere e la società. Occorre dunque innanzitutto smantellare l’apparato securitario messo in campo negli ultimi due decenni: dalla legislazione speciale su tossicodipendenti (legge Fini-Giovanardi) e immigrati (legge Bossi-Fini), alle tante ordinanze comunali dal chiaro impasto razzista; dalle norme che hanno rafforzato i sindaci e le prefetture a quelle che hanno equiparato di fatto le polizie locali alle forze dell’ordine. Su questa base mutata, occorre finalmente procedere all’approvazione di un nuovo codice penale che depenalizzi una serie di reati minori, favorisca sistematicamente la concessione di misure alternative sin dalla fase del giudizio e proceda all’abolizione di quella autentica tortura che è l’ergastolo. L’ulteriore potenziamento di misure alternative in fase di esecuzione penale dovrà poi andare di pari passo con la strutturazione di politiche sociali non più frammentate per settori assistenziali, ma integrate a livello di enti locali e di aree metropolitane. È da questo nuovo protagonismo della politica, che per troppo tempo e tuttora delega ai tecnici gli assetti dell’universo carcerario, che possono scaturire le condizioni per processi di abolizione di alcune parti del sistema penitenziario. Ne indico come esempio alcune per le quali l’abolizione appare tanto urgente quanto rapidamente praticabile: gli ospedali psichiatrici giudiziari e le sezioni psichiatriche, attraverso la presa in carico di quanti sono internati da parte dei servizi di salute mentale territoriali; le carceri minorili, estendendo le strutture di accoglienza in modo da poter estendere i benefici previsti dalle leggi attuali anche ai minori immigrati, che sono di fatto gli unici "ospiti" di tali strutture; le sezioni "nido" delle carceri femminili, dove bambini al di sotto dei tre anni sono incarcerati insieme alle loro mamme detenute.

 

È realistica questa strategia?

Io credo di sì, a patto che non solo ci sia una attenzione maggiore della politica e dell’opinione pubblica attorno alla "questione carcere", ma che anche i detenuti facciano sentire la loro voce, prendendo coscienza del loro ruolo fondamentale nel cambiare il carcere. La mobilitazione dei detenuti è un fattore determinante. Non dimentichiamoci infatti che l’unico momento di effettiva rottura e di cambiamento nella storia del carcere nell’Italia repubblicana si è avuto a seguito delle grandi rivolte e proteste dei detenuti, in particolare tra il 1969 e il 1973. Senza quei movimenti, che sono costati anche vittime tra i detenuti, non ci sarebbero state probabilmente neppure le limitate riforme del carcere del 1975 e del 1986".

 

Gli edifici carcerari sono generalmente molto obsoleti (ex-conventi ecc....). È necessario secondo lei costruirne degli altri? Quali investimenti si stanno facendo per le strutture carcerarie?

"Questo problema riguarda a mio avviso tre livelli. In primo luogo, l’esistenza ancora oggi di carceri del tutto inadeguate sul piano igienico e funzionale: sono appunto gli ex-conventi, le fortezze, ecc. C’è tuttavia un problema non meno rilevante per quanto riguarda le carceri "nuove", ossia quelle costruite a partire dagli anni Settanta: sono edifici costruiti in base ad una logica tutta improntata alla sicurezza, inumani nel loro grigiore, nei loro cortili dell’ "aria" di cemento armato. Ho incontrato tanti detenuti in questi anni e nessuno di loro mi ha mai detto di preferire le carceri "nuove" a quelle "vecchie".

Il terzo livello di problema è relativo ai numeri: la capienza complessiva delle carceri è oggi di 46.000 detenuti, mentre i detenuti sono ormai oltre 62.000.

 

Dunque, cosa si fa? La risposta più ovvia sembrerebbe essere quella della necessità di costruire nuove carceri, magari secondo criteri migliori che in passato.

Ma le carceri non sono abitazioni, scuole, strutture di servizi sociali, per i quali vale un ragionamento meccanico del tipo: ce ne sono poche, costruiamone di nuove. La scelta di costruire un carcere non è neutrale, dipende dalle scelte politiche di fondo e comporta gravi conseguenze per la politica penitenziaria, tra l’altro vincolando ingenti risorse alle strutture penitenziarie e distraendole ad esempio dal settore delle misure alternative.

La decisione del governo Berlusconi di costruire nuove carceri è coerente con un’impostazione fondata sulla repressione e sulla negazione dei diritti di cittadinanza per interi gruppi sociali. Del resto, se introdurranno il reato di immigrazione clandestina [scrivo il 10 maggio, prima dell’approvazione del provvedimento ndr], potenzialmente dovranno costruire un carcere in ogni quartiere e forse neppure gli basterà.

È questo che vogliamo? Io credo - e non sono il solo naturalmente - che sia necessario aprire una grande discussione sulle politiche sociali, sulle politiche della "sicurezza" e sulla politica carceraria. Se si invertisse la direzione delle politiche sull’immigrazione e sulle tossicodipendenze - nel senso di un maggiore impegno sociale e di una minore impronta repressiva - senza dubbio le presenze in carcere scenderebbero con la stessa rapidità con cui sono aumentate nel corso dei due ultimi decenni. Dunque, non avremmo più alcun bisogno di costruire nuove carceri.

Con più coraggio, anzi, il ragionamento politico potrebbe essere rovesciato: si potrebbe cioè affermare la volontà politica di non costruire nuove carceri e si dovrebbe allora mettere in campo quella strategia politica alternativa alla quale ho accennato in una precedente risposta. A quel punto, anche il problema dell’edilizia penitenziaria si porrebbe in un modo completamente diverso. Ad esempio, si porrebbe la necessità di costruire case di semilibertà, che attualmente sono quasi tutte ospitate in sezioni dentro le carceri stesse; si dovrebbero sviluppare le strutture di accoglienza per le persone in misure alternative, che ad oggi sono del tutto insufficienti e per di più gestite in termini paternalistici e di controllo.

Mi rendo conto che tutto ciò sembra irrealistico rispetto alle tendenze politiche attuali. Ma è da questa capacità di non agire solo in senso difensivo che dipende, credo, la possibilità di tornare ad affrontare i problemi sociali in termini non repressivi e non carcerari. Inoltre, non si tratta di una prospettiva così irrealizzabile: è una strategia che in gran parte ricalca il percorso attraversato dall’assistenza psichiatrica, con la chiusura degli ospedali psichiatrici e la strutturazione di servizi di salute mentale sul territorio. Diventa possibile se c’è la volontà politica di portarla avanti".

 

Che progettualità esiste secondo lei al Ministero di Grazia e Giustizia per ciò che riguarda carceri e detenzione?

"Attualmente la progettualità sembra essere quella di uno Stato di polizia: incremento della repressione rivolta agli strati sociali subalterni; forte accento sulla retorica populista e securitaria; attenzione massima ad evitare ogni forma di repressione sui colletti bianchi e il ceto politico, parallela ad una legiferazione che amplia ogni giorno le possibilità di illeciti da parte di queste categorie (basti pensare ai condoni e al "piano casa"). Se davvero costruiranno altre carceri le riempiranno molto rapidamente, ma più probabilmente si limiteranno a riempire ancor più le celle esistenti, perché di quelle persone che sono lì dentro, e di quelle che stanno fuori provenienti dagli stessi gruppi sociali, davvero le autorità governative non sembrano minimamente interessarsi".

Droghe: la Relazione Annuale della Polizia; 502 morti nel 2008

 

Notiziario Aduc, 14 maggio 2009

 

Sono stati 502 i morti per droga in Italia nel 2008, un numero in calo (-17,16%) rispetto ai 606 del 2007 ma comunque tragico, che contribuisce al drammatico bilancio di circa 22mila morti dal 1973. A fornire il dato è la relazione annuale della Direzione dei servizi antidroga della Polizia. L’eroina resta la droga più pericolosa, responsabile nel 208 di ben 209 morti, contro le 37 riferite alla cocaina, le 9 legate al metadone e le 3 di cui è stata responsabile la metilendiossianfetamina. Dal conteggio restano fuori 242 casi in cui non è stata indicata la sostanza responsabile del decesso.

Ben l’89,64% delle vittime sono uomini contro il 10,36% di donne. In una suddivisione per fasce d’età poi, il maggior numero di morti si registra a partire dai 25 anni, con i massimi picchi oltre i 40 anni. Nel 2008 vi sono stati però anche 14 vittime tra i 15 e i 19 anni e un adolescente con meno di 15 anni. La regione dove si è verificato il maggior numero di decessi è il Lazio, con 87 vittime, e Roma, con 69 morti, è la città più colpita. Nella triste classifica seguono, nell’ordine la Campania (71 morti), la Lombardia (39) e il Veneto (35). Per le città seguono Roma, nell’ordine, Napoli (37 morti), Perugia (24) e Torino (16).

Dal fronte del consumo a quello dello spaccio, aumenta il numero dei minori coinvolti nel traffico di droga: Nel 2008 i minorenni segnalati all’autorità giudiziaria stati 1.124, ovvero il 2,19% del totale dei segnalati, in crescita dell’8,29% rispetto al 2007. I minorenni coinvolti nello spaccio di droga sono in maggioranza, il 46,44%, al nord, segue il sud con le isole al 30,34% e il centro al 23,22%. Ben 209 tra i minorenni denunciati sono stranieri, con le quote più alte per marocchini e albanesi. Aumentano le denunce relative al traffico ed allo spaccio di hashish, eroina e cocaina, mentre calano sensibilmente (-11,94) quelle riferite la marijuana. Quanto al ruolo delle donne nel traffico, le segnalate all’autorità giudiziaria sono state 3.054, il 4,74% in meno rispetto al 2007.

Fra le ‘novità del traffico e dello spaccio di droga in Italia da segnalare la tendenza delle organizzazioni criminali a produrre il più possibile in proprio, come testimonia la maxi piantagione di marijuana trovata, e sequestrata, dalle forze di polizia nella Valle dello Jato, vicino Palermo. Una tendenza comunque diffusa, per motivi di clima e di controllo del territorio, anche in Calabria e Puglia. Centrale poi si conferma, anche in questa branca criminale, la ‘ndrangheta, che è stata capace di rendere l’Italia centro strategico del mercato della coca, grazie a contatti diretti con i narcotrafficanti colombiani e al controllo del traffico all’interno dell’Europa.

Diminuiti i sequestri di droghe sintetiche - Diminuiscono nel 2008 i sequestri di droghe sintetiche in Italia: il decremento rispetto al 2007 è stato dell’85,43%). Di segno negativo anche le operazioni (-20,64%) e le denunce (-19,42%) connesse a queste sostanze. Nel complesso, le operazioni rivolte al contrasto delle droghe sintetiche sono state 296 e le denunce 448, mentre le dosi sequestrate ammontano a 57.333.

Delle 448 persone denunciate per droghe sintetiche, 42 (9,37%) erano donne e 33 (7,37%) minori. I cittadini stranieri coinvolti sono risultati 79, corrispondenti al 17,63% del totale dei denunciati per questo tipo di sostanze. Relativamente al tipo di reato, le denunce hanno riguardato per il 96,87% il traffico illecito e per il 3,13% il reato più grave di associazione finalizzata al traffico.

Le etnie maggiormente coinvolte nel traffico di questa sostanza sono quelle marocchina (24), cinese (11) e albanese (4). Non è stata inoltrata per questo tipo di sostanza alcuna denuncia per associazione finalizzata al traffico nei confronti di stranieri, segno di un minore interesse dei gruppi non nazionali per le droghe sintetiche. Le regioni nelle quali si sono avuti i maggiori quantitativi di droghe sintetiche sequestrate sono state la Lombardia con (17.521) dosi, seguita dalla Campania (8.071), Toscana (7.016), Veneto (5.021) e dall`Emilia Romagna (4.807). L`Emilia Romagna è al primo posto per numero di persone segnalate (88 casi), seguita da Lombardia (79), Veneto (49), Toscana (48) e Piemonte (34).

Le droghe sintetiche sequestrate nel corso delle operazioni antidroga erano, per lo più, occultate all`interno di abitazioni e autovetture. Le rotte delle droghe sintetiche, nascoste per lo più in abitazioni e autovetture, partono generalmente dall`Olanda e le più sequestrate sono quelle del gruppo dell`ecstasy.

Cresciute del 37,14% le denunce di romeni - È cresciuto nel 2008 del 37,14% rispetto al 2007 il numero di cittadini romeni segnalati in Italia per violazioni alla legge sugli stupefacenti: sono stati 240 e il numero delle denunce a loro carico rappresenta il 2,10% del totale degli stranieri segnalati all`autorità giudiziaria, percentuale che li colloca al primo posto della graduatoria fra i gruppi europei coinvolti nei traffici di droga.

Anche per quanto riguarda il traffico della droga questi gruppi criminali stanno assumendo sempre maggiore importanza, anche in considerazione del fatto che la Romania diventa sempre più strategica lungo le rotte dell`eroina che interessano il Mar Mediterraneo orientale e il Mar Nero. La cocaina, l`eroina e l`hashish sono state le droghe maggiormente trattate dai soggetti criminali romeni e le regioni dove principalmente hanno operato sono state il Lazio, l`Emilia Romagna e la Lombardia.

Giovanardi, importante l’aumento delle operazioni di contrasto - "Dalla relazione annuale 2008 della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga emergono tre dati particolarmente interessanti. Il primo è l’aumento delle operazioni antidroga da parte delle forze dell’ordine, il più alto negli ultimi dieci anni, a testimonianza del costante impegno degli organi investigativi". Lo afferma il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Carlo Giovanardi, con delega alle tossicodipendenze.

"Il secondo importante elemento è il calo del 17,16 dei decessi per overdose, diminuiti da 606 a 502 casi, anche se - sottolinea Giovanardi - si parla soltanto di morti attribuite in via diretta all’assunzione di droga; non sono infatti inclusi in tale numero i casi di morte riconducibili in direttamente all’assunzione di droga come i decessi connessi agli incidenti stradali o a complicazioni patologiche. Il terzo è che uno spacciatore arrestato su tre è straniero, a riprova di quanto questo fenomeno sia alimentato dalla clandestinità o dalla manovalanza reclutata dalle organizzazioni criminali, in particolare tra gli extracomunitari di origine nord africana e albanese".

"Come dipartimento antidroga - conclude Giovanardi - ringraziamo le forze dell’ordine per l’impegno nell’azione di contrasto e di repressione che si affianca efficacemente alla nostra azione di prevenzione, informazione e di coordinamento delle attività di recupero, cura e reinserimento sociale e lavorativo".

Birmania: la leader dell’opposizione al regime torna in carcere

 

Ansa, 14 maggio 2009

 

Il termine per gli arresti domiciliari di Aung San Suu Kyi scade il 27 maggio, ma la leader dell’opposizione birmana presto sarà nuovamente condannata. Il premio Nobel per la pace è stata condotta oggi in carcere e sarà processata per aver violato i termini della detenzione.

Il regime militare di Myanmar metterà alla sbarra anche il cittadino americano, John Yettaw, che la settimana scorsa si sarebbe introdotto nel domicilio di Rangoon del Premio Nobel per la pace, traversando a nuoto il lago che lo circonda. Suu Kyi rischia fino a cinque anni di carcere, ha precisato il suo avvocato. Con lei sono state portate nella prigione di Insein a Rangoon (oggi Yangon, ex capitale della Birmania) anche le sue due collaboratrici domestiche. Secondo i militanti del partito di Suu Kyi, la Lega nazionale per la Democrazia (Lnd), il processo non è altro che uno stratagemma per prolungare la sua detenzione e per impedire agli esponenti del partito di partecipare alle elezioni promesse per l’anno prossimo dalla giunta militare.

Sessantatré anni, Aung San Suu Kyi, è stata sottoposta a cure mediche la settimana scorsa per disidratazione e ipotensione. Ha trascorso 13 degli ultimi 19 anni agli arresti o confinata nella sua abitazione. Il 6 maggio, secondo quanto riportato dai media birmani ma non confermato da alcuna fonte indipendente, un americano, poi arrestato, si sarebbe introdotto nella casa di Suu Kyi traversando a nuoto il lago che la circonda. Secondo l’avvocato del premio Nobel, Hla Myo Myint, l’americano aveva già tentato di contattarla l’anno scorso, ma lei gli aveva ingiunto di andarsene e l’incidente era stato segnalato alle autorità di Myanmar. Anche questa volta Aung San Suu Kyi "gli ha detto di andare via, ma lui non l’ha fatto", ha dichiarato l’avvocato alla Voce democratica della Birmania, una radio che emette dalla Norvegia. La Lnd aveva vinto le elezioni del 1990 ma la giunta militare che guida il Paese da oltre quarant’anni aveva annullato il voto.

Nella sua abitazione Aung San Suu Kyi è tagliata completamente fuori dal resto dal mondo: non può telefonare, la posta viene controllata e può ricevere visite solo di rado. L’avvocato ha dichiarato alla radio - scrive l’edizione online di Le Monde - che la salute di Suu Kyi sta migliorando dopo le cure ricevute la scorsa settimana. In Birmania, secondo le stime delle Nazioni unite, vi sono oltre 1200 detenuti politici.

Usa: Obama blocca la pubblicazione foto di abusi sui detenuti

 

Ansa, 14 maggio 2009

 

Il presidente degli Stati Uniti ha bloccato la pubblicazione delle foto dei detenuti torturati dagli agenti Usa in Iraq e Afghanistan. Barack Obama lo ha deciso opponendo il veto presidenziale al verdetto di un giudice che aveva ordinato al Pentagono di diffondere le immagini. Malgrado Obama "sia l’ultima persona a giustificare le azioni immortalate dalle foto", teme che la loro divulgazione possa mettere a rischio l’incolumità dei militari Usa.

Il tutto, ha sottolineato Obama, senza gettare nuova luce sugli abusi commessi durante l’amministrazione di George W. Bush. Obama ha dunque ribadito "qualsiasi abuso sui prigionieri è inaccettabile" e in futuro non sarà più tollerato alcun altro abuso.

Le foto dovevano essere diffuse dal Pentagono il prossimo 28 maggio secondo quanto stabilito da una sentenza di un tribunale che aveva accettato il ricorso presentato in tal senso dall’associazione per i diritti umani American Civil Liberties Union (Aclu). Obama aveva inizialmente accettato la sentenza ma ora ha cambiato idea e ha ordinato ai legali della Casa Bianca di fare ricorso per bloccare la pubblicazione delle foto.

 

 

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