Rassegna stampa 23 giugno

 

Giustizia: il ddl contro la prostituzione, una legge da cestinare

di Franco Bechis

 

Italia Oggi, 23 giugno 2009

 

C’è un disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri guidato da Silvio Berlusconi nel settembre 2008 e trasmesso in senato dal primo firmatario, il ministro delle pari opportunità, Mara Carfagna, che rischia di dover essere cestinato. Porta il numero 1079 e il titolo "Misure contro la prostituzione".

È molto duro e punisce anche i clienti delle belle di notte. Spiegando: "Se la prostituzione come tale deve considerarsi fenomeno di allarme sociale, non può ammettersi un distinto trattamento fra chi la eserciti e chi se ne avvalga (il cliente)". Per entrambi quindi, in casi dettagliati dalla norma, si rischia l’arresto da 5 a 15 giorni. Norme ancora più dure per chi "compie atti sessuali con minori".

Secondo le norme in vigore - salvo rari casi specificati - un minore sopra i 16 anni (e con una casistica più ristretta sopra i 14 anni) può decidere liberamente di avere una relazione sessuale con un adulto maggiorenne, indipendentemente dalla sua età. Secondo il ddl Berlusconi - Carfagna invece "Chi compie atti sessuali con minori in cambio di denaro o qualunque tipo di utilità (anche non economica), anche solo promessi, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da 1.500 a 6 mila euro".

Norme assai dure proposte dal legislatore, allo scopo di punire severamente la tratta delle ragazzine - quasi sempre straniere - costrette spesso con la violenza a prostituirsi in Italia. È proprio per questo disegno di legge e per i suoi contenuti particolarmente cogenti e limitanti la libertà dei cittadini che nessun membro del governo in carica ha diritto ad invocare la privacy sulle proprie abitudini sessuati. Chi avendo nelle mani il potere legislativo restringe anche in questo campo limitandola (per ottime ragioni) la libertà di tutti, è tenuto poi a rendere conto anche dei suoi comportamenti privati nello stesso campo.

Questa- che nessuno invoca - è la vera questione politica che emerge dalla inchiesta di Bari nata sugli appalti nella Sanità pugliese e poi deviata sulle feste, le cene e i ricevimenti del premier Silvio Berlusconi nelle sue residenza private. L’unico tema politico in un paese liberale è che chi ha il potere legislativo non vieti ad altri quello che invece concede a se stesso. Per questo oggi quel disegno di legge, che il governo peraltro ha abbastanza abbandonato nel suo iter legislativo, stride con quanto sembrerebbe emergere dalle deposizioni di alcune ragazze davanti alla procura di Bari. Lo dico perché non è uno scandalo, anzi, è legittimo che la vicenda Bari si trasformi in polemica politica. E non è invocabile la privacy sullo stesso tema su cui il premier legifera oltretutto in modo assai restrittivo della libertà altrui.

Detto questo, appare evidente come la vicenda barese sia stata utilizzata dagli avversari politici esclusivamente come clava da bandire in campagna elettorale, e non per sventolare un vessillo liberale. È una vicenda da prendere assai con le molle, fratto di dichiarazioni di una ragazza che si reca dal presidente del Consiglio italiano allo scopo confessato di vendicarsi di un presunto torto subito e poi provare a ricattarlo, vicenda cui una fuga di notizie che non si sa se provenga dalla magistratura inquirente o dalla forze di polizia giudiziaria offre il detonatore, e alcuni quotidiani e uomini politici la cassa di risonanza buona per consentirle di fare il giro del mondo.

Curioso tanto scandalo in un paese che ha concesso la massima onorificenza pubblica, il seggio da senatore a vita a Emilio Colombo, e lo ha fatto per il suo ruolo politico, mettendo giustamente in secondo piano ogni aspetto della sua vita privata o sanitaria. Il paese che oggi dedica tanta attenzione alle foto-ricordo di due ragazze in un bagno di palazzo Grazioli è lo stesso che due anni fa linciò in ogni modo Maurizio Belpietro, reo di avere pubblicato una foto che era stata sequestrata: quella di Silvio Sircana, portavoce del premier Romano Prodi, in auto fermo a parlare con un travestito.

Molti di quelli che oggi si scandalizzano per la vita privata di Berlusconi, allora si indignarono per il "fango" gettato su Sircana e sull’utilizzo di alcuni media per fare solo "gossip senza rilevanza penale". Walter Veltroni chiese di "rispettare le persone ed evitare che finiscano nel frullatore. Non si può rovinare la vita delle persone per vendere mille copie in più". Berlusconi prese le parti di Sircana e perfino delle veline intercettate da un pm di Potenza. Fu coerente e liberale, anche se oggi non ha par condicio. Ma è proprio per quella coerenza che dovrebbe riporre nel cassetto quel ddl sulla prostituzione. O rivederne alcune norme, che rischiano di essere assai illiberali.

Giustizia: ddl su sicurezza; 120 emendamenti dall’opposizione

 

Corriere della Sera, 23 giugno 2009

 

Sono 122 gli emendamenti e quattro gli ordini del giorno presentati nelle commissioni congiunte Affari costituzionali e giustizia del Senato al Ddl sicurezza. Il termine per la presentazione degli emendamenti è scaduto ieri. Novantasei sono le proposte di modifica che vengono dal Pd, 24 dall’Idv, due dal Pdl mentre dal capogruppo dell’Udc-Svp-Autonomie, Giampiero D’Alia vengono i quattro ordini del giorno.

Le commissioni si riuniranno oggi pomeriggio per proseguire l’esame del provvedimento. L’approdo nell’aula di palazzo Madama per il voto in terza lettura è previsto per dopodomani. Tra gli emendamenti proposti dal Pd c’è quello presentato dalla senatrice Emanuela Baio che prevede la regolarizzazione delle badanti e delle colf straniere che sono in grado di dimostrare di lavorare nelle famiglie italiane. "Il ruolo svolto dalle cosiddette badanti - ha spiegato la Baio - è di primaria importanza in quanto sono parte integrante della famiglia in cui prestano la propria attività e rientrano a tutti gli effetti nella rete di politica familiare che uno Stato civile dovrebbe garantire e tutelare".

Giustizia: ddl intercettazioni; il Pdl accelera sulla nuova legge

di Dino Martirano

 

Corriere della Sera, 23 giugno 2009

 

Mobilitazione dei senatori del Pdl per l’ultimo miglio del ddl Alfano che limita i poteri della magistratura in materia di intercettazioni e inasprisce le pene (compreso il carcere per i cronisti e multe salatissime per gli editori) per gli organi di informazione che violano il segreto d’indagine.

Oggi, dunque, in commissione Giustizia sarà battaglia perché il centrodestra e il sottosegretario Giacomo Caliendo puntano tutto sull’accelerazione dell’iter del provvedimento, con l’obiettivo di un voto definitivo in aula a Palazzo Madama prima della pausa estiva, mentre Felice Casson (Pd) annuncia le barricate sul parere al Testo unico per la sicurezza sui luoghi di lavoro che precede il testo Alfano nell’ordine del giorno concordato. Le norme previste dal ddl intercettazioni, già approvato dalla Camera con il ricorso alla fiducia, "non si applicano ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore" della legge.

Il regime transitorio - non riguarda la tutela della privacy che, dunque, subirà un giro di vite anche per i procedimenti in corso - è oggetto in queste ore di un approfondimento nella maggioranza anche alla luce dell’inchiesta di Bari che potrebbe riservare sorprese pure se il premier rimane formalmente non toccato dalle indagini.

Ma cambiare ora la norma transitoria - magari sostituendo "procedimenti in corso" con "processi in corso" - risulterebbe un’operazione ad alto rischio che nel Pdl molti, almeno per ora, escludono: la mossa verrebbe letta come l’ennesima legge ad personam. Ma, così facendo, il ddl dovrebbe tornare alla Camera che ha impiegato un anno per approvarlo.

Sulla possibilità di modifica, spiega il relatore Roberto Centaro (ex Fi), "trovo che la norma transitoria vada bene così come è. In ogni caso, sul testo, vediamo quale sarà l’atteggiamento dell’opposizione". Ma sul ddl Alfano pesa anche l’incognita delle diverse sensibilità all’interno del Pdl. Il presidente della commissione Giustizia, Filippo Berselli (ex An), chiederà al ministro Elio Vito (Rapporti con il Parlamento) di districare l’ingorgo che assedia Palazzo Madama: "C’è il ddl sul processo penale, quello sulla sicurezza, quello sulla prostituzione e ora quello sulle intercettazioni. Sono tutti testi di iniziativa del governo che, ora, ci deve dire come andare avanti".

Centaro, tuttavia, una risposta già ce l’ha: "Il processo penale avrà un cammino più lento rispetto al ddl Alfano". Antonio Di Pietro (Idv) sceglie il giorno del fallimento del referendum elettorale per rilanciare un quesito abrogativo sulle intercettazioni. Mentre continua la mobilitazione di editori e giornalisti: l’associazione europea degli editori di quotidiani (Enpa) sostiene che il testo prevede "sanzioni abnormi e sproporzionate". Il sindacato (Fnsi) e l’Ordine dei giornalisti organizzano per stasera una manifestazione-spettacolo all’Ambra Jovinelli di Roma. Titolo: "In galera! Gli articoli che potremmo non leggere più".

Giustizia: Desi Bruno; il carcere sia davvero "l’extrema ratio"

 

Ristretti Orizzonti, 23 giugno 2009

 

Il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Bologna: sovraffollamento in carcere; la custodia cautelare come extrema ratio; maggiore ricorso alle misure alternative.

I dati di questi giorni, 1.168 persone ristrette presso la Casa Circondariale di Bologna, parlano in maniera netta di un carcere i cui numeri sono ormai insostenibili (già si parla di collocare materassi per terra per fare posto ai nuovi entrati). La misura è colma anche a livello nazionale infatti, secondo gli ultimi dati rilevati dal Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), le carceri italiane hanno superato la soglia cd. tollerabile pari al numero di 63.702 posti letto.

A Bologna, se da una parte i numeri delle persone ristrette continuano a crescere in modo progressivo e inarrestabile, dall’altra perdura la cronica carenza di personale di Polizia penitenziaria, delineando uno scenario tanto desolante quanto di una difficoltà senza precedenti. L’esiguità del numero del personale addetto alla sicurezza, mancante di oltre duecento unità, comporta la compressione delle attività trattamentali che non possono più essere garantite, e la persona detenuta viene lasciata sempre più tempo in celle troppo affollate.

In questi giorni si è svolta una civilissima protesta dei detenuti, che hanno prodotto un documento con il quale hanno inteso sensibilizzare le autorità preposte circa le precarie condizioni di vita all’interno della Casa Circondariale di Bologna, il sovraffollamento, la carenza di educatori, la necessità di interventi igienico-sanitari, a cui la nuova Direzione sta cercando di rispondere laddove è possibile un intervento immediato (rifacimento delle cabine per telefonare, pulizia delle docce, sostituzione dei materassi, incremento di attività trattamentali), mentre da settembre dovrebbero prendere servizio tre nuovi educatori.

Il Provveditore regionale ha assicurato l’invio temporaneo di personale di polizia penitenziaria per lo smaltimento dell’arretrato presso gli Uffici di Sorveglianza costituito dalle richieste di liberazione anticipata inevase, la cui decisione, oltre che dovuta, può costituire un utile strumento deflattivo delle presenze in carcere.

L’Ufficio del Garante chiederà alle autorità giudiziarie competenti che le udienze con persone detenute si svolgano presso il carcere, come previsto dal codice di rito per le convalide degli arresti e dei fermi, e come già avveniva in parte, fino a poco tempo fa, per le udienze del Tribunale di Sorveglianza, in modo da recuperare agenti di polizia penitenziaria per lo svolgimento di altre attività, come il trasporto delle persone detenute all’esterno per visite od esami clinici di particolare complessità, a volte non effettuati per carenza di organico, per non intaccare le attività trattamentali e per evitare trasporti e permanenze negli uffici giudiziari delle persone in condizioni poco dignitose stante anche il periodo estivo.

L’Ufficio del Garante delle persone private della libertà personale di Bologna, nell’esprimere una profonda preoccupazione per l’aumento intollerabile delle presenze in carcere, e nel sottolineare ancora una volta la maturità delle persone ristrette, auspica un utilizzo delle misure cautelari (in specie della custodia cautelare in carcere) da parte dell’autorità giudiziaria davvero come extrema ratio e per un tempo strettamente necessario, valorizzando appena possibile collocazioni esterne in regime di arresti domiciliari; auspica inoltre un ricorso alle misure alternative alla detenzione, che al momento attuale hanno subito una contrazione, soprattutto in presenza di pene brevi, in modo da produrre effetti deflattivi sul sovraffollamento, valorizzando la finalità rieducativa della pena, che nella situazione attuale appare difficile ritenere esistente.

 

Avv. Desi Bruno

Garante dei diritti delle persone private della libertà personale

Giustizia: sanità penitenziaria; mancano norme di attuazione

di Donatella Poretti (Senatore Radicale - Pd)

 

www.imgpress.it, 23 giugno 2009

 

Un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 aprile 2008, pubblicato nella G.U. n. 126 del 30 maggio 2008, ha stabilito i criteri e le modalità del trasferimento delle competenze alle regioni in materia di servizio sanitario penitenziario. Il Dpcm stabiliva che tale trasferimento sarebbe avvenuto automaticamente solo per le regioni a statuto ordinario mentre per quelle a statuto speciale solo a seguito dell’emanazione delle apposite norme di attuazione.

Di conseguenza, il servizio sanitario penitenziario, e quindi l’assistenza medica ai detenuti nelle regioni a statuto speciale, è rimasto in carico, ma sostanzialmente abbandonato dal Ministero della giustizia, in attesa di essere preso in carico da un’altra Amministrazione. Il trasferimento ad altra amministrazione può avvenire solamente a seguito dell’emanazione di apposite norme di attuazione che possono essere emanate solo dalla Commissione Paritetica che ancora non è stata ricostituita nella XVI legislatura.

Lo scorso 3 dicembre 2008 il Ministro dei rapporti con il parlamento rispondendo in Aula a un’interrogazione su quest’argomento presentata dall’on. Siegfried Brugger dichiarava che la responsabilità di questa situazione era delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, che non avevano ancora adottato le deliberazioni conseguenti al trasferimento delle funzioni dei compiti in materia di sanità penitenziaria.

Sempre l’on Brugger fece notare al Governo che: al contrario la responsabilità era proprio di quest’ultimo perché le commissioni paritetiche che dovevano deliberare non potevano farlo. I membri della commissione paritetica delle province autonome di Trento e Bolzano non sono ancora costituite dall’inizio della legislatura perché il Ministro Raffaele Fitto non ha ancora nominato i membri del Governo che dovrebbero farne parte, mentre quelli spettanti come nomina a Trento e Bolzano in numero di sei, sono già stati nominati. Per queste ragioni, insieme al senatore Marco Perduca, ho rivolto un’interrogazione al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro per i rapporti con le regioni, per sapere: quali impedimenti blocchino il Ministro per la nomina dei membri governativi della Commissione paritetica di Trento e Bolzano; se i Ministri non ritengano che sia passato un tempo troppo lungo per una decisione che avrebbe dovuto essere presa all’inizio della XVI legislatura, tempo che ha contribuito a paralizzare pressoché totalmente la già precaria situazione della sanità nelle carceri.

Giustizia: Progetto Indulto; 2.158 tirocini, solo il 15% assunti

 

Redattore Sociale - Dire, 23 giugno 2009

 

Bilancio del progetto dell’agenzia governativa Italia Lavoro: il 71% ha portato a termine la formazione, mentre il restante 29% si è "perso per strada". Chi ce l’ha fatta è diventato giardiniere, manovale, commesso

Dopo l’indulto, l’offerta di un tirocinio di lavoro per ripartire. Sono stati 2.158 gli ex detenuti avviati a percorsi di formazione professionale grazie al progetto sperimentale, promosso dai ministeri del Lavoro e della Giustizia e attuato dall’agenzia governativa Italia Lavoro. E sono 325 quelli che alla fine hanno ottenuto un’assunzione. Chi ce l’ha fatta è diventato giardiniere, manovale, commesso, addetto a servizi di pulizia e di segreteria. Sono questi i numeri del primo bilancio del progetto, pensato per accompagnare il reinserimento sociale degli ex detenuti, per non lasciare il vuoto e la facile tentazione della recidiva dopo il carcere. Celle svuotate di colpo - tornava in libertà circa un terzo della popolazione carceraria, 21 mila usciti nel corso dell’estate 2006 - grazie appunto all’indulto approvato il 29 maggio 2006 con una larga maggioranza trasversale dal Parlamento allora in carica, contrari solo Idv, Lega e An.

I risultati di quell’esperimento, sul fronte della transizione dalla pena al lavoro, sono oggi sotto osservazione nel corso di un seminario che si tiene a Roma. I 2.158 ex detenuti avviati a percorsi di formazione professionale di 4-6 mesi hanno fatto esperienza in aziende, negozi, alberghi, cooperative sociali di servizi pubblici, assistenza e sanità. Il 71% di essi ha portato a termine il tirocinio, mentre il restante 29% - circa uno su tre - si è "perso per strada". Sono poi 325 le persone che alla fine del periodo di formazione hanno ottenuto un’assunzione: il 15% (circa uno su sette) degli avviati al tirocinio, e il 21% (uno su cinque) tra quelli che l’avevano terminato. I contratti di lavoro sono stati a tempo indeterminato per 121 ex carcerati (37,2%), a tempo determinato per 89 (27,4%) e senza contributi per 115 (35,4%).

Di questo "trampolino di lancio" per rifarsi una vita hanno beneficiato soprattutto uomini (91% dei tirocinanti), di età fra i 35 e i 44 anni (il 37,5% del gruppo), con la licenza media (il 56%). Un terzo di loro ha trovato apprendistato e impiego nel settore delle pulizie, il 16% circa come giardinieri, il 10,5% come manovali in edilizia, il 9,4% in negozi e attività commerciali, gli altri via via come addetti alla logistica, impiegati, operai, artigiani, corrieri e autisti. Quasi tutti italiani (92%) gli ex detenuti coinvolti nel progetto di recupero, mentre solo l’8% è di nazionalità straniera. Ad accoglierli e dare loro una chance sono state in gran parte le piccole imprese e le cooperative con meno di 15 addetti (64%), mentre solo il 5% delle aziende ospitanti ha più di 250 dipendenti.

Giustizia: Progetto Indulto; ogni contratto "costato" 35 mila €

 

Redattore Sociale - Dire, 23 giugno 2009

 

Undici milioni e 400 mila euro stanziati dal ministero del Welfare per il progetto di reinserimento degli ex detenuti che ha avviato 2.158 tirocini. 325 quelli che si sono conclusi con l’assunzione.

Undici milioni e 400 mila euro: a tanto ammonta lo stanziamento totale del ministero del Welfare per il progetto di "Lavoro nell’inclusione sociale dei detenuti beneficiari dell’indulto" nel triennio 2006-2009. Come dire che in media, per ognuno dei 2.158 tirocinanti, sono stati spesi circa 5.300 euro. Durante i percorsi di formazione, da 4 a 6 mesi, gli ex carcerati hanno percepito borse lavoro da 450 euro mensili, mentre al "tutor" aziendale andavano 1.300 euro. Inoltre nel 65% dei casi di assunzione le aziende hanno ricevuto incentivi ad hoc. Considerando il risultato finale di 325 ex detenuti assunti, si può dire che il traguardo di ogni contratto di lavoro sia "costato" allo Stato poco più di 35 mila euro. Il passaggio dal carcere all’azienda - per detenuti nella condizione di fine pena, misura alternativa, beneficiari dell’indulto liberati o in fine pena o in misura alternativa e minori in età adulta - si è sviluppato in 46 province di 12 regioni: Sicilia in testa, con 182 imprese e coop coinvolte.

Di questi risultati si discute oggi nel seminario promosso dal ministero del Lavoro a Roma (sala La Pira di Palazzo Valentini), con la partecipazione di funzionari ministeriali ed esponenti degli enti locali (comune e provincia di Roma e Regione Lazio). Al centro del dibattito la possibilità di proseguire in modo stabile il progetto di "transizione pena-lavoro", nato per far fronte all’emergenza successiva all’indulto del 2006. "Si tratta - spiega Mario Conclave dell’agenzia Italia Lavoro, responsabile del progetto - di qualificare i centri per l’impiego, attivare reti integrate di servizi, mettere in campo proposte quali i tirocini assistiti da presa in carico sociale e professionalizzante. Il tutto in un’ottica di sistema nazionale e regionale".

Giustizia: Progetto Indulto; nel Lazio assunzioni più frequenti

 

Redattore Sociale - Dire, 23 giugno 2009

 

Progetto Italia-Lavoro: 265 i tirocini avviati, 180 quelli portati a termine, 64 assunzioni. Nella regione la percentuale di contratti è più alta della media nazionale: il 36% contro il 21%.

Duecentosessantacinque i tirocini avviati, 180 quelli portati a termine, 64 i casi - il 36%, più di uno su tre - in cui il percorso è sfociato nell’assunzione di un ex detenuto. Sono i numeri del "Progetto indulto" nel Lazio, dove le aziende e le coop sociali hanno aperto le porte e hanno creduto nel reinserimento degli ex carcerati dopo il provvedimento varato dal Parlamento nell’estate 2006: il 36% di assunti è infatti un dato più alto della media nazionale del progetto, ferma al 21%. Tra i 64 assunti, 29 hanno ottenuto un contratto a tempo determinato (45%), 23 a tempo indeterminato (il 36%) e 12 un’assunzione senza contributi (19%). Le imprese ospitanti sono state 119, distribuite fra Roma (la maggior parte), Frosinone, Latina e Viterbo, pari al 95% delle aziende contattate.

Anche nel Lazio, come a livello nazionale, il percorso di inclusione socio-lavorativa ha riguardato per la quasi totalità gli uomini: sono stati 245 gli ex detenuti coinvolti (92%), contro 20 donne (8%). A completare l’identikit, si tratta in prevalenza di italiani (94%), di età tra i 35 e i 44 anni (36%), con titolo di studio di licenza media inferiore (64%). Un detenuto su quattro ha svolto apprendistato e lavoro nel campo dei servizi di pulizie (27,9%): seguono gli addetti alla manutenzione del verde e giardini (19,6%), gli impiegati in mansioni di segreteria (10,6%), baristi, camerieri e addetti alla ristorazione (6,1%), e poi ancora commessi di negozi, falegnami e manovali, autisti.

Giustizia: Sappe; tv e videogiochi ai detenuti, tagli ai poliziotti

 

Il Velino, 23 giugno 2009

 

"In Italia si fa un gran parlare di sicurezza sociale, certezza ed effettività della pena. Ma la realtà è che alle dichiarazioni di principio seguono fatti che vanno in tutt’altra strada. Altro che pensare alle vittime dei reati! Ai detenuti della Casa di Lavoro di Saliceta San Giuliano, ad esempio, direttore e magistrato di sorveglianza hanno autorizzato l’abbonamento a Sky (privilegio che non possono permettersi milioni di italiani onesti e soprattutto incensurati) mentre a quelli dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo Fiorentino dal prossimo autunno sarà permesso usare le consolle Wii di Nintendo - un videogame, in sostanza - per garantire una maggiore attività sportiva anche nei giorni di pioggia quando non si può uscire e per offrire agli internati un’agenda di impegni per tenersi in forma fisicamente.

Saranno contenti gli italiani che ogni giorno subiscono un reato. In compenso, alle Forze di Polizia, ed in particolare al Corpo di Polizia Penitenziaria, si tagliano i fondi in Finanziaria e non si prevedono assunzioni, pur avendo carenze di organico quantificabili in circa 5mila unità". Dura presa di posizione di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria.

La notizia che ai detenuti di Saliceta San Giuliano è stato stipulato un abbonamento a Sky è stata confermata al Sappe da una nota del Provveditore penitenziario dell’Emilia Romagna Nello Cesari, al quale il Sindacato aveva chiesto provvedimenti a seguito dell’aggressione di alcuni Agenti di Polizia in servizio nel penitenziario modenese. "Tutto questo ci sembra francamente sconcertante. Anziché prevedere l’impiego obbligatorio dei detenuti in lavori socialmente utili per ripagare la società dai reati da loro commessi e quindi favorire concretamente la rieducazione dei detenuti attraverso il lavoro, si attivano abbonamenti Sky nelle celle e le si dota pure di consolle wireless di Wii. C’è da rimanere allibiti. È questa la tanto sbandierata certezza della pena?

Noi ci appelliamo al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, al Ministro della Giustizia Angelino Alfano ed al Ministro dell’Interno Roberto Maroni perché facciano quanto è in loro potere-dovere per tutelare di più da un lato le vittime dei reati e dall’altro le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria, sotto organico e in servizio con quotidiane criticità operative e strutturali".

Giustizia: Sappe; no trasferimento agenti dall’Aquila a Parma

 

Ansa, 23 giugno 2009

 

Il Sappe dice no al progetto del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria che vuole trasferire gli agenti del carcere dell’Aquila nelle carceri con carenze d’organico. L’istituto penitenziario abruzzese è inagibile e per questo la maggior parte detenuti sono stati evacuati dopo il terremoto del 23 dicembre. Ora si pensa di ricorrere agli agenti in servizio all’Aquila per andare a colmare le carenze di organico nei penitenziari del nord Italia, tra i quali quello di Parma.

Il Sappe annuncia così che, se venisse messo in atto il progetto, gli agenti si mobiliterebbero con una manifestazione indetta dal sindacato e programmata in occasione del G8. Il segretario del Sappe, Donato Capece, ha così inviato una lettera al ministro della Giustizia Angelino Alfano e al Capo del Dap, Franco Ionta.

"Dopo la paura e la tragedia all’Aquila sono arrivati ora gli incredibili provvedimenti dall’amministrazione penitenziaria, che ritiene di poter utilizzare del personale del corpo in forza ala casa circondariale dell’Aquila - 87 unità - distribuendolo in missione per numerose sedi dell’Italia settentrionale, dal 15 luglio al 15 settembre 2009" spiega Capece. "Si vorrebbero mandare gli agenti in numero variabile, da un minimo di 6 a 14 poliziotti, nelle carceri di Parma, Rimini, Bologna, Genova, Padova, Asti, Torino e Milano".

"Ma il personale - continua - intende intraprendere la sua attività istituzionale nella sede abruzzese, perché si sente ancora servitore dello Stato e non vacanzieri estivi, tanto che è pronto ad accettare di nuovo i detenuti sottoposti al regime penitenziario del 41 bis con la conseguente riapertura degli appositi reparti".

Lettere: una "autocertificazione d’innocenza", la vera riforma

 

Corriere della Sera, 23 giugno 2009

 

Siamo seri: un privato cittadino che lavora e ha una famiglia non può impiegare anni della propria vita e buttare dalla finestra montagne di denaro per difendersi in tribunale da eventuali accuse che gli dovessero essere rivolte. A maggior ragione non si può pretendere che un simile sacrificio venga chiesto a chi si occupa giorno e notte della cosa pubblica e ha sulle spalle immense responsabilità e impegni gravosi. Senza contare che i giudici sbagliano quasi sempre, e quando non sbagliano decidono, essendo uomini, in base a pregiudizi, convinzioni politiche o rancori personali.

Per questo motivo propongo una riforma di grande buon senso: chiunque verrà accusato di reati di non estrema gravità sarà chiamato a dichiararsi, sotto giuramento, colpevole o innocente e ad autocertificare il suo stato: una firmetta sotto la frase "non ho commesso il fatto" e potrà dimenticarsi di tutto, sarà in pratica auto-assolto nel giro di un’oretta. Un po’ come già avviene oggi, quando si deve firmare la ricetta per dichiarare che si è esenti per reddito, o autocertificare il proprio reddito per pagare meno tasse universitarie.

Ogni anno si farebbero solo i processi per reati gravissimi, la giustizia tornerebbe a essere veloce e i tribunali decongestionati. L’alternativa sarebbe potenziare i mezzi a disposizione dei magistrati, eliminare le leggi ad personam e le inefficienze, garantire l’indipendenza della magistratura e nel contempo punire i cattivi magistrati, velocizzare i processi, costruire carceri, rendere certa la pena, dimenticarsi di immunità, lodi, indulti, prescrizioni, cavilli e patteggiamenti, insomma far funzionare la giustizia come si deve.

 

Mauro Ottonello

Benevento: polemiche sulle cure al detenuto palestinese morto

 

Ansa, 23 giugno 2009

 

Soffriva da anni di problemi al cuore non si era potuto curare Khalid Husayn, uno dei componenti del commando terroristico palestinese che sequestrò la motonave Achille Lauro nel 1985, morto la notte scorsa nel carcere di Benevento, dove stava scontando l’ergastolo.

Lo sostiene Francesco Caruso, ex deputato Prc, secondo il quale "il torrido caldo di questi giorni deve essere stato fatale per il cuore già malandato di Khaled: da anni sofferente, come certificato clinicamente, di disturbi cardiaci, non gli è mai stato permesso di curarsi adeguatamente". "Per questo - continua Caruso che aveva incontrato Husayn in carcere qualche mese fa - è opportuno parlare di un assassinio di stato, perché Khaled è morto per la lentezza della burocrazia penitenziaria e la cecità del Tribunale di Sorveglianza: da mesi il suo legale aveva chiesto un permesso di pochi giorni per motivi di salute, per permettergli di poter usufruire delle cure mediche di cui necessitava. È morto in attesa di questo permesso".

Secondo Caruso, il braccio del carcere di Benevento in cui si trovava la cella di Husayn è "una sorta di piccola Guantanamo nella quale sono reclusi tutti i detenuti in Italia per il reati di matrice islamica. In questo reparto Eiv (Elevato Indice di Vigilanza), i detenuti hanno le finestre sigillate da lastre di plexiglass che impediscono non solo di guardare all’esterno, ma anche il necessario ricambio di aria".

 

Sarno (Uil-Pa): da Caruso falsità, Husayn assistito

 

Sono "incomprensibili e inopportune le polemiche che Francesco Caruso ha voluto sollevare parlando di assassinio di Stato" dopo la morte di Khalid Husayn. Così Eugenio Sarno, segretario della Uil-penitenziari, replica all’ex parlamentare del Prc, sottolineando che il decesso del terrorista che partecipò al dirottamento della nave Achille Lauro è avvenuto per cause naturali.

"D’altro canto Caruso ben dovrebbe sapere che Husayn non poteva essere operato per espresso parere dei medici che avevano in cura il detenuto di origine yemenita. Intanto, per essere precisi - aggiunge Sarno - l’operazione riguardava la schiena e non il cuore. Dire che non è mai stato permesso al detenuto di essere curato, quindi, è affermare il falso sapendo di farlo"

La Uil rileva invece che Husayn "ha avuto puntuale assistenza sanitaria nel carcere beneventano. Non solo. Caruso si è attivato, insieme alla Direzione del carcere sannita, per l’acquisto di un busto. Per questo - continua Sarno - è quanto meno ingeneroso, oltre che non veritiero, additare anche a presunte lentezze burocratiche le ragioni del decesso. D’altro canto non abbiamo traccia nell’ attività parlamentare di Francesco Caruso di proposte atte a migliorare il sistema penitenziario e le condizioni di detenzione. Tantomeno di proposte atte a velocizzare l’iter burocratico dalle istanze presentate dai detenuti".

Il sindacato giudica infine una "gratuita esagerazione" l’aver paragonato il carcere di Benevento a una piccola Guantanamo: "Certamente alcune misure di sicurezza di tale sezione possono definirsi estreme, come i plexiglass alle finestre. Ma Guantanamo è un esempio non proponibile".

Lanciano (Ch): detenuto nigeriano morto per attacco epilessia

 

Ansa, 23 giugno 2009

 

Sarebbe morto in conseguenza di un edema polmonare acuto da soffocamento a seguito di epilessia il detenuto nigeriano Charles Omofowan, A questa conclusione è arrivato il medico legale, Ivan Melasessa, che ha effettuato l’autopsia su incarico del procuratore Moffa. Il detenuto era solo in cella quando è stato male, con irrigidimento degli arti e viso sul cuscino. Nell’esame necroscopico l’anatomopatologo ha escluso l’infarto e responsabilità di terzi.

Ma nonostante questo, gli altri detenuti hanno inviato una lettera di protesta al magistrato di sorveglianza, nella quale si denunciano una serie di situazioni "stressanti" di cui l’extracomunitario sarebbe stato vittima. Se e in che misura la morte è correlabile alle condizioni di vita all’interno del carcere dovrà essere accertato dall’inchiesta avviata dalla Procura. Il fatto, tra l’altro, è stato reso noto quasi in contemporanea con la diffusione di voci sull’ampliamento del carcere e la dichiarazione dello stato di agitazione da parte del personale del carcere. La decisione è stata assunta dopo l’ennesimo fallimento del tentativo di aprire un confronto con la direzione, spiega una nota del sindacato. "Non è possibile che un agente che lavora a stretto contatto con persone private della libertà", si afferma nel documento dei sindacati della polizia penitenziaria, "debba lavorare sotto stress aggiuntivo imposto da un’amministrazione sorda a ogni sollecitazione sulle problematiche di lavoro". Tra le problematiche, "il piano ferie a rischio e l’organizzazione del lavoro, peraltro di fronte alla paventata apertura di una nuova sezione".

Milano: Consorzio "Novaspes" in crisi e detenuti senza lavoro

 

La Repubblica, 23 giugno 2009

 

Dovrebbero essere reinseriti nella società attraverso il lavoro ma da mesi sono senza stipendio. Il paradosso riguarda i detenuti delle carceri lombarde impiegati nel Consorzio Novaspes, nato nel 1998 per dare un futuro diverso a chi sta regolando i conti con la giustizia su iniziativa di Caritas, Exodus e Compagnia delle opere.

Per anni in 220 si sono occupati dell’informatizzazione delle ricette sanitarie per la Asl o delle multe per il Comune. La società, però, è in profonda crisi economica: le commesse, che arrivavano per lo più da enti pubblici, sono saltate o sono state del tutto ridimensionate. Il Consorzio è andato in liquidazione, il vecchio presidente, Riccardo Rebuzzini, non c’è più, mentre è stato assunto il figlio Paolo. Anche il liquidatore ha dato forfait, dimettendosi pochi giorni fa. La prospettiva è il baratro e i dipendenti, tra i quali anche operatori sociali, stanno cominciando a farsi sentire: un detenuto è in sciopero della fame a Opera, altri stanno protestando a Peschiera Borromeo e a Pavia.

E martedì ci sarà un’assemblea sindacale per chiedere l’intervento delle autorità, a cominciare dal prefetto. La Caritas si è sfilata già diversi anni fa dal progetto, ritenendo tradite le finalità con cui era partito, e così la Compagnia delle opere. Don Roberto D’Avanzo, responsabile della Caritas diocesana, assicura che i detenuti non saranno lasciati al loro destino: "Si sta cercando un’uscita dignitosa dalla crisi, ci stiamo impegnando per soluzioni positive".

Anche da fonti interne al consorzio si parla di trattative con una grande azienda alla quale è stato chiesto di rilevare le parti sane del consorzio. Ma gli imprenditori dovranno fare i conti con un buco da 1,8 milioni lasciato dalla precedente gestione. E con alcune stranezze, come i pacchi di ricette abbandonati in un magazzino, la cui informatizzazione è stata pagata ma in realtà mai eseguita.

Genova: Marassi; rumorosa protesta contro sovraffollamento

 

Secolo XIX, 23 giugno 2009

 

Gamelle e posate contro le inferriate delle celle. Fischi. E nella notte, pure qualche straccio acceso con l’accendino e gettato fuori dalle finestre. I detenuti del carcere di Marassi hanno fatto sentire - anche agli abitanti del quartiere - la solidarietà espressa a chi è in carcere a Rebibbia. Da Roma, ieri sera, è partita la protesta contro il sovraffollamento delle carceri. E l’intenzione è estenderla in tutta Italia. Da Genova la risposta è arrivata in tempo quasi reale.

Le prime gamelle hanno iniziato a sbattere verso le 22.30, contro le sbarre delle finestre che si affacciano su via Clavarezza. Proprio all’ingresso della Gradinata Nord, a causa dell’effetto canyon rumore e fischi erano notevolmente amplificati. Dando l’impressione, - come denunciavano parecchi genovesi che hanno chiamato le forze dell’ordine e il centralino del Secolo XIX - che all’interno di Marassi fosse in corso una rivolta. In realtà - nonostante le condizioni anche all’interno del carcere genovese siano quasi invivibili, a causa del sovraffollamento - la protesta era in solidarietà. In risposta all’appello di Rebibbia. E l’unico sistema che c’è dentro un penitenziario per far sentire la propria voce all’esterno è la "protesta delle gamelle".

Anni fa, un’analoga protesta partita dalla capitale e poi estesa a tutto il resto d’Italia, era stata ribattezzata "la rivolta dei caceroleros", nome preso in prestito dall’Argentina dove durante il crack finanziario del 2001 a chi aveva perso tutto non restava che la protesta a suon di pentole, le cacerolas, appunto.

Difficile sapere se la protesta di ieri notte proseguirà, con buona pace dei residenti del quartiere, o se si tratti di una manifestazione sporadica. Inizialmente, le guardie penitenziarie di Marassi erano convinte che i "caceroleros" protestassero per il caldo. Come avviene puntualmente a ogni inizio d’estate. Dopo una quarantina di minuti, però, è emerso il vero motivo. Solidarietà a Rebibbia, contro il sovraffollamento, questione mai risolta e che continua ad affliggere tutti i penitenziari italiani, dove l’effetto indulto è stato vanificato da tempo.

Empoli: carcere per transessuali sarà in funzione a settembre

 

Corriere di Firenze, 23 giugno 2009

 

A fine estate potrebbero già trasferirsi al carcere del Pozzale i primi trans, visto che si sta concludendo adesso il trasferimento delle detenute che erano ospitate lì. L’amministrazione penitenziaria sta infatti portando avanti da mesi il percorso per creare il primo istituto italiano specializzato in transgender.

Fino ad ora il Pozzale era un carcere femminile. ma adesso diventerà una struttura di pena specializzata per ospitare detenuti transgender ed entro settembre dovrebbe essere attivate le attività all’interno del carcere empolese.

Ora che si è concluso il trasferimento delle ultime tre detenute infatti, il carcere avrà un periodo di chiusura temporanea per poter mettere in atto alcuni lavori di adeguamento e riparazioni in vista del futuro uso, visto che fino ad ora era una struttura di detenzione attenuata, mentre adesso diventerà un carcere vero e proprio, con esigenze di sicurezza maggiori. A presidiare la struttura però, per tutto il tempo dei lavori, rimarranno degli agenti della polizia penitenziaria.

"In generale la popolazione transgender ha difficoltà ad essere collocata nei carceri -spiegano dall’Ordine degli Psicologi della Toscana -. sono in sezioni isolate o in infermeria. L’idea dell’istituto apposito può non essere affatto negativa. Ma occorre una politica sul territorio con dei percorsi attivi che consentano dì avere una gestione complessiva della situazione. Se lasciata al caso può anche portare ad una degenerazione verso lo stigma. Poco si sa infatti dì queste persone, del dolore e della fatica di chi nasce con un’identità di genere che non è la sua".

Mario Iannucci, responsabile di presidio per le sezioni ordinari del carcere di Sollicciano ha commenta: "È vero che i transessuali hanno delle sezioni speciali perché potrebbero verificarsi dei problemi. Tre o quattro anni fa a Firenze erano in una sezione nell’infermeria centrale. Poi furono spostati in una sezione femminile isolata. Ma partecipavano senza problemi a tutte le attività con gli altri detenuti"- "L’ipotesi di un carcere specifico - prosegue Iannucci - una separazione in più la configura. Ma non ne farei una questione di pregiudizio, se l’istituto prevede tutti quei trattamenti che vengono svolti in un grande istituto di pena. C’è infine da sottolineare che nelle sezioni transessuali c’è un forte disagio psicologico. Noi a Firenze, su 20 persone transgender che sono detenute, ne abbiamo in psicoterapia più della metà".

Reggio Emilia: carcere in difficoltà, interrogazione della Lega

 

Il Domani, 23 giugno 2009

 

L’onorevole Angelo Alessandri (Lega Nord) ha presentato un’interrogazione al Ministro della giustizia Alfano circa il sovraffollamento delle carceri reggiane e la penuria di personale presente nella struttura.

Alessandri ha fatto presente come "il decreto ministeriale 8 febbraio 2001 prevedeva un organico di personale di polizia penitenziaria operante presso la casa circondariale di Reggio Emilia pari a 144 unità. L’effettiva entità di quelle amministrate è di 127 unità,da cui si devono espungere 17 unità distaccate presso altre sedi. La carenza di personale sale così a circa 39 unità".

Alessandri punta l’attenzione sul fatto che tale decreto ora non corrisponda più alle reali esigenze della struttura penitenziaria reggiana,sia per via dell’aumento dei posti di servizio, sia per l’incremento della popolazione. "Il sovraffollamento - prosegue - è uno dei fattori più critici della struttura penitenziaria. A fronte di una capienza regolamentare di 161 detenuti e di una capienza tollerabile di 279,la popolazione effettivamente presente è di 352 soggetti, di cui 217 sono stranieri e quasi tutti irregolari. Questa situazione ha comportato l’incremento del carico di lavoro per tutti i settori dell’istituto penitenziario. Il turnover ingresso/uscite è pari a circa 100 soggetti che vengono posti in stato di fermo o di arresto per motivi lievi e che con l’udienza direttissima vengono poi rimessi in libertà".

L’onorevole fa quindi presente che,dal momento che il tribunale di Reggio non garantisce le udienze al sabato, il Procuratore della Repubblica dispone l’accompagnamento dei detenuti in carcere e comunque fino al lunedì per essere sottoposti alle udienze direttissime. Ecco quindi che, per evitare il citato incremento dell’attività lavorativa e la forza presente di detenuti in carcere, Alessandri chiede che le persone detenute siano ristrette nelle camere di sicurezza della Forza di Polizia procedente (Carabinieri, Polizia) oppure che il tribunale fissi direttissime anche al sabato.

Inoltre, per motivi di opportunità e sicurezza degli istituti penitenziari, stante anche alla drastica riduzione di risorse umane nella fascia oraria dalle 24 alle 8, sarebbe opportuno che fosse disposta la chiusura del carcere durante l’orario sopra citato".

Viterbo: stesso giorno, festa e protesta polizia penitenziaria

 

www.ontuscia.it, 23 giugno 2009

 

Le organizzazioni sindacali comunicano che il 26 giugno, giorno individuato dalla direzione del carcere di Viterbo per espletare la festa del corpo della polizia penitenziaria, sarà lo stesso giorno in cui effettueranno una manifestazione di protesta davanti all’istituto.

Ribadiamo "con molto rammarico", perché il giorno che deve essere una festa per gli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria, debba essere utilizzato per dare maggiore risonanza alle nostre rivendicazioni e avvertimenti, sino ad ora disattesi a tutti i livelli amministrativi. Ci scusiamo anticipatamente come appartenenti al corpo, ma non come sindacalisti, sperando che nell’elencazione delle problematiche l’opinione pubblica, il sindaco di Viterbo, la Prefettura e tutti quelli che hanno a cuore le problematiche del mondo penitenziario, ne individuino facilmente le motivazioni, che ci spingono a tanto e che rendono ormai l’istituto viterbese non più una bomba ad orologeria, ma una bomba alla quale è stata tolta la spoletta di innesco: "sta esplodendo".

Area sicurezza: oltre 140 unità di polizia penitenziaria mancanti dall’organico; circa trenta distaccati in altra sede; è necessario ricoprire quattro posti di servizio con un solo agente (e punte di 200 detenuti da sorvegliare) contemporaneamente per andare avanti; evidente è l’indebolimento della sicurezza di chi opera e dell’intero istituto; pensate cosa succederà a luglio e agosto (piano ferie in corso e calura che aumenta i casi di insofferenza alla detenzione), mesi già altamente critici negli istituti penitenziari in condizioni normali (è del 20 giugno, sabato, un grave episodio di aggressione da parte di un detenuto nei confronti di ben cinque agenti che hanno faticato non poco per riportare tutto alla calma ed evitare che la situazione degenerasse).

Il sovraffollamento detenuti è superiore a prima dell’indulto, oggi oltre 670 (capienza mai raggiunta dall’apertura del carcere di Mammagialla) detenuti prevalentemente extracomunitari e tossicodipendenti, con problemi psichiatrici, da gestire con personale e struttura inadeguati. Inoltre una cospicua parte di detenuti è a regime penitenziario 41 bis e 416 bis "associazioni mafiose". Ogni fine settimana assegnano almeno 10 detenuti provenienti da tutta Italia, a una delle prossime "retate" locali si dovrà ricorrere ai materassi buttati in terra, non ci sono più posti a livello materiale (tutte le sezioni sono occupate da 50 unità e l’escamotage con cui si sopravvive è quello di ubicare detenuti appena arrivati nelle stanze destinate all’isolamento disciplinare).

Crisi area sanitaria: il passaggio dal Ministero della Giustizia alla Ausl della medicina penitenziaria ha indebolito le professionalità acquisite nel settore e ridotto le prestazioni sanitarie rivolte alla popolazione detenuta.

Area trattamentale: endemica carenza di figure istituzionali quali educatori; la distensione degli animi e lo stemperare le tensioni è per quanto possibile in mano ai volontari e alle associazioni di volontariato che operano dentro gli istituti penitenziari. Ci preme sottolineare, inoltre, che le ultime due criticità espresse si tramutano inevitabilmente in situazioni che mettono a rischio l’ordine e la sicurezza dell’istituto e per le quali gli appartenenti al corpo della polizia penitenziaria sono si preposti, ma con i numeri dell’organico di Viterbo non ci sono più neanche le condizioni sub minime per operare.

Per questi motivi, i prioritari ma non tutti, chiediamo da subito un intervento da parte di tutte le autorità affinché: vengano da subito e per tutta l’estate (fino al rientro nei normali livelli di sicurezza) bloccate le assegnazioni, ministeriali e provveditoriali, di detenuti; vengano inviati agenti ad aumentare il penoso stato dell’organico; vengano bloccati i provvedimenti di distacco in uscita dall’istituto se non per ragioni di assoluta necessità personale (es. gravi motivi familiari) del dipendente; venga costituito un tavolo di confronto a cui parteciperanno tutte le organizzazioni sindacali, con la direzione presso il provveditorato di Roma alla presenza del provveditore.

Busto: il "ritorno a casa", nel nuovo numero di Mezzo Busto

 

Varese News, 23 giugno 2009

 

Pronto il nuovo numero del giornale del carcere di Busto Arsizio in cui si parla anche di crisi economica, teatro e beneficenza. Un ringraziamento anche all’Insubria che ha concesso il patrocinio.

Un gradito "ritorno" e una novità nel nuovo numero di Mezzo Busto. È pronta la seconda uscita del 2009 del giornale del carcere di Busto Arsizio che si apre con un articolo a firma Marco che, per chi si ricorderà, la redazione aveva salutato nei mesi scorsi quando era finalmente tornato a casa. Ora, con non poca emozione, Mezzo Busto propone un suo articolo scritto lontano dalla realtà del carcere che racconta le sensazioni provate una volta "uscito" e l’emozione di tornare alla vita di tutti i giorni. Con parole semplici e sincere Marco scrive dell’importanza delle piccole abitudini quotidiane, come portare a spasso il cane, ma anche dell’emozione di tornare a vivere con la propria famiglia, stringere la propria compagna e giocare con i figli.

Di quotidianità, ma stavolta "dentro", scrivono anche Daniel e Millo che spiegano come anche le persone detenute devono fare ogni giorno i conti per arrivare alla fine del mese. La spesa infatti, anche per i detenuti, incide non poco sul budget mensile e la crisi economica ha colpito anche questa realtà. Cristian, Daniel e Andrea invece ci raccontano di tre belle iniziative che si sono svolte nei mesi scorsi nell’istituto bustocco ovvero l’incontro, in occasione della giornata della memoria, con Angioletto Castiglioni, il battesimo e la cresima impartiti ad alcuni detenuti e lo spettacolo teatrale organizzato per la festa del papà. Sul palco sono saliti una decina di detenuti - attori, mentre fra il pubblico sedevano alcuni compagni con le famiglie riunite per un giorno di festa. Come nei numeri scorsi, Luis ci porta invece in giro per il mondo per conoscere nuove culture: questa volta andiamo in Albania! Chiude il numero un’iniziativa benefica: dopo il terremoto che ha colpito l’Abruzzo alcune delle persone detenute hanno deciso di raccogliere offerte per le persone colpite dal sisma.

A completare gli articoli ci sono i disegni di David e Leonardo. Spazio infine come sempre ai ringraziamenti che anche in questo numero sono davvero speciali. Dopo l’abbonamento sottoscritto dall’Università Liuc, anche l’Università dell’Insubria è entrata a far parte del "mondo" di Mezzo Busto. Il rettore Renzo Dionigi ha infatti concesso il patrocinio al giornale del carcere di Busto. È possibile contattare la redazione di Mezzo Busto all’indirizzo: mezzo_busto@libero.it

Roma: "Le figure della mente", la mostra con i quadri dall’Opg

 

Asca, 23 giugno 2009

 

Il Sanit, 6° Forum Internazionale della Salute, che comincia oggi al Palazzo dei Congressi di Roma, ospita "Le figure della Mente", mostra fortemente voluta dalla giornalista Adriana Pannitteri di quadri con opere provenienti dall’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere.

La mostra, curata da Silvana Crescini, fondatrice e conduttrice dell’Atelier di pittura attivo nella struttura, presenterà una quarantina di dipinti eseguiti da Cleo, Giacomo, Giuliana, Mario, Nabila, Muka, alcuni degli artisti già conosciuti nel panorama dell’arte outsider. Le loro opere, di forte impatto emotivo, inviteranno lo spettatore ad esplorare il confine che divide la realtà dall’immaginazione, la ragione dalla follia, alla scoperta di nuovi e misteriosi mondi.

Anche se ancora oggi vengono ignorati dal sistema "tradizionale" dell’arte contemporanea, gli artisti irregolari intuiscono la contemporaneità in modo bruciante, proprio perché irrazionale; essi sentono il mondo e il suo rumore e lo restituiscono amplificato nelle loro opere, sono sulla cresta del tempo che stanno vivendo: ogni istante, per loro, è il primo e insieme l’ultimo. Questi artisti non si aspettano neppure che qualcuno parli del loro lavoro, o tenti di leggerlo e di inserirlo nella storia, sanno perfettamente di averlo creato nel profondo dell’anima, senza riferimenti culturali. L’ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere è una struttura del S.S.N.

In convenzione con il D.A.P. Del Ministero della Giustizia che gestisce pazienti psichiatrici autori di reato. Finalizzato alla cura, al recupero e al reinserimento del paziente, l’istituto è suddiviso in quattro unità operative (due maschili e due femminili), più una struttura polifunzionale per la riabilitazione.

A differenza degli altri O.P.G. Italiani, la struttura di Castiglione delle Stiviere ha una organizzazione esclusivamente sanitaria, senza agenti di polizia penitenziaria ed è l’unica dotata di una sezione femminile (configurata come Osservatorio Nazionale per le pazienti psichiatriche autrici di reato). L’atelier di pittura dell’O.P.G. È nato nel 1990 sotto la guida artistica di Silvana Crescini. Istituito nell’ambito delle attività riabilitative della struttura, il laboratorio si presenta come una bottega d’arte, con tutti i materiali a disposizione per il disegno e la pittura.

"La mostra - ha spiegato il professor Vincenzo Mastronardi, titolare della cattedra di Psicopatologia Forense all’Università La Sapienza - è la concretizzazione delle attività riabilitative degli internati dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, l’unico Opg che si interessa della riabilitazione attraverso l’arte terapeutica e da due anni a questa parte anche della film-terapia. Questo tipo di riabilitazione ha già dato attestazione di validità terapeutica anche sotto il profilo scientifico comportando percorsi di integrazione sociale più rapidi e migliori".

Immigrazione: Centro di Ponte Galeria; immigrati tra i rifiuti

 

Corriere della Sera, 23 giugno 2009

 

Yuri, un ragazzo russo, si aggira nel reparto uomini stringendo un certificato medico. "Sono malato, ho la tbc. Ho bisogno di una visita urgente...", sussurra nel corridoio all’aperto che divide le camerate dei suoi compagni, africani, nomadi e dell’est europeo (ci sono anche giovani nigeriani appena giunti da Castelvolturno), protette da sbarre metalliche alte tre metri.

Le porte sono aperte, tranne quella centrale che conduce agli uffici del Cie, il Centro di identificazione ed espulsione a Ponte Galeria, ma chi sta dentro si sente comunque un recluso. Detenuti alle prese con sporcizia e rifiuti, che a volte non capiscono perché si trovano in un posto dove dovranno restare due mesi. Il degrado degli alloggi è uno dei problemi del centro emersi ieri pomeriggio durante la visita del presidente della Regione, Piero Marrazzo, accompagnato dagli assessori al Bilancio e alle Politiche sociali, Luigi Nieri e Anna Coppotelli, e dal garante dei detenuti, Angiolo Marroni.

Cartacce, bicchieri usati e gettati a terra. Qualcuno degli ospiti ripete che "qui è peggio del carcere ". "Non so se sia meglio o peggio - spiega Claudio Iocchi, direttore del comitato provinciale della Croce Rossa, l’organismo che gestisce il centro - le pulizie sono costanti, ma il fatto è che qui l’igiene non è mai sufficiente. Nel reparto donne la situazione è accettabile, ma in quello uomini purtroppo non è così, e siamo alle prese anche con danneggiamenti frequenti degli arredi. È un problema di abitudini".

Qualche settimana fa, dopo il suicidio di un’ospite tunisina, il prefetto Giuseppe Pecoraro ordinò un’ispezione e poi, al termine del sopralluogo, una serie di interventi per migliorare gli ambienti: tinteggiare i locali delle camerate, installare contenitori di rifiuti e panchine, riparare i climatizzatori rotti, creare una lavanderia, montare le zanzariere. E anche coprire il campo di basket con erba sintetica, riaprire il bar, ampliare la biblioteca.

Fino a oggi nulla di questo è stato fatto. Ed è evidente il contrasto fra gli alloggi e le vicine stanze dell’Ufficio immigrazione, diretto da Maurizio Improta, dove ci sono anche le due nuove aule dove si tengono le udienze di convalida delle espulsione del giudice di pace per gli extracomunitari e di quello ordinario per i comunitari. I poliziotti assistono gli ospiti, li tranquillizzano quando gli animi si surriscaldano.

"Ma il problema vero sono le condizioni di vita e sociali dei detenuti aggiunge Marroni - chiediamo alla Regione un intervento per far migliorare una situazione non tollerabile". "C’è molto lavoro da fare - risponde Marrazzo - non bisogna mai dimenticare la dignità della persona: valuterò le forme di sostegno per dare segnali di umanità dove non ci sono. Anche perché il rischio di un aumento dei tempi di permanenza è molto alto". Mentre l’assessore Nieri parla del Cie come di una "prigione senza regole".

Droghe: porta moglie morta di overdose in ospedale, arrestato

 

Notiziario Aduc, 23 giugno 2009

 

Un operaio romano di 44 anni è stato arrestato dai carabinieri di Bracciano dopo aver trasportato la moglie morta per overdose da Roma sino all’ospedale di Bracciano. Era circa mezzanotte e mezza quando il personale dell’ospedale ha visto arrivare l’uomo con il cadavere della donna, un’impiegata di 43 anni, e ha potuto solo constatarne il decesso e chiamare i carabinieri. Gli accertamenti hanno consentito di ricondurre la causa della morte, avvenuta a Roma a Casetta Mattei nel pomeriggio precedente, ad una overdose di eroina. Le indagini dei militari hanno dimostrato la falsità di alcune dichiarazioni del marito, anch’egli tossicodipendente, che per questo è stato arrestato. Nel corso di una perquisizione domiciliare, inoltre, a casa della coppia è stata ritrovata e sequestrata una siringa contenente 1,5 ml di eroina. L’appartamento di Bracciano dei coniugi e l’autovettura utilizzata per il trasporto della donna in ospedale sono stati sequestrati.

Israele: corso "sopravvivenza in cella" per i condannati ricchi

di Francesco Battistini

 

Corriere della Sera, 23 giugno 2009

 

"Primo: portarsi dentro il minimo indispensabile. Secondo: non cercare l’amicizia delle guardie, che tanto amiche non sono. Terzo: conoscere i diritti, sapere i doveri, non chiedere favori. Quarto: avere sempre un credito di soldi al bar interno. Quinto: occhio ai furti, specie le prime notti. Sesto: appena si può, dare una mano all’organizzazione del carcere. Settimo: l’ultimo entrato è quello che ha meno diritti. Ottavo: non lamentarsi mai. Nono: non accettare droghe. Decimo: volare basso, ma senza farsi calpestare".

Dieci comandamenti non bastano, a trovare in prigione la retta via per cavarsela. Yitzakh Nir, secondino israeliano di lunga esperienza, ne ha elencati almeno altri cinquanta. Di più: li ha messi per iscritto in un "Manuale di sopravvivenza alla cella per chi non ci è mai stato", ha organizzato fulminei (e costosi) corsi di dieci ore e s’è inventato un affare - educare i ricchi e famosi finiti al gabbio - che prima non esisteva. "Funziona", assicura lui: "I miei clienti imparano subito e non dimenticano più, perché non hanno altra scelta. Devono capire soprattutto una cosa: una volta dentro, chi si è stati non conta più nulla. E bisogna ripartire da zero".

Le guardie che inseguono i ladri? Aggiornatevi: ora insegnano, ai ladri. Perché una volta c’era Omri Sharon, il figlio del primo ministro, reo confesso di finanziamenti illeciti al partito di papà. Oppure Aryeh Dery, il fondatore del partito religioso Shas, ammanettato per bustarelle prese quand’era ministro dell’Interno. Ma negli ultimi anni Israele ha finito per somigliare sempre più al resto del mondo e a processare, ormai senza troppo scandalo, vip della politica, dello spettacolo, dell’economia. Fra un Moshe Katzav (unico capo di Stato al mondo costretto alle dimissioni per un sexy-gate) in attesa di sentenza e un Dudu Topaz (showman accusato d’aver fatto picchiare i manager tv che non gli affidavano un programma) arrestato con gran clamore, fra poche ore le porte della prigione si potrebbero aprire anche a due ex ministri del governo Olmert, Shlomo Ben-Izri e Avraham Hirshzon, alla sbarra in questi giorni per corruzione.

Proprio a loro due si sono rivolti gli organizzatori del corso, offrendo una full immersion e preparandoli a un destino che pare segnato: "Nonostante i numerosi casi illustri", spiega Nir, "ancora non esiste un carcere a cinque stelle. E la condanna supplementare, per qualcuno, è passare i mesi con gente che non ha proprio il colletto bianco. Noi lavoriamo su tutti: anche studenti, padri di famiglia, piccoli imprenditori finiti nei pasticci. E incapaci di stare in un ambiente così diverso".

Adattarsi non è da tutti. E così gl’insegnanti - che hanno smesso la divisa e stretto un accordo con l’amministrazione penitenziaria, per seguire gli allievi anche nelle prime settimane di detenzione - cercano di lavorare su esempi, buonsenso, piccoli trucchi. "Nelle celle può capitare che ci siano dieci brande e dodici detenuti. La regola è che l’ultimo arrivato dorma sul materasso per terra. Ma spesso accade che il vip chiami il medico, accampi motivi di salute, chieda ai compagni di prigione di lasciargli il posto-letto, magari offrendo favori una volta fuori. Ecco, questo è il modo peggiore d’entrare: la legge della galera non consente certe scorciatoie ed è lì che cominciano i guai".

Lo choc del sole a scacchi non può diventare un alibi, dice Nir, e allora per qualche migliaio di euro vale la pena d’ "imparare a nuotare, per non affogare". Sapendo subito che: non piace chi si fa troppa toilette; agli altri carcerati è meglio non dare immediata confidenza; non si deve raccontare troppo sul perché si è dentro; non è bello rievocare i fasti perduti; si è soli con se stessi.

"Il carcere moltiplica per dieci le difficoltà della vita. Una volta, un cliente voleva cambiare cella. Contattò un capetto, gli offrì dei soldi. Riuscì a traslocare. Ma da quel giorno, il capetto cominciò a ricattarlo. Voleva sempre più denaro, altrimenti l’avrebbe rimesso da dov’era scappato: in mezzo a detenuti che l’aspettavano per fargli la festa". Il colmo, per un ricco e famoso: pagare una pigione per restare in prigione.

 

 

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