Rassegna stampa 3 gennaio

 

Giustizia: Onida; problema principale è riorganizzazione uffici

di Valerio Onida (Presidente emerito della Corte Costituzionale)

 

Il Sole 24 Ore, 3 gennaio 2009

 

Le indagini non vanno sottratte ai Pm e affidate alla polizia - Le intercettazioni sono necessarie, la loro pubblicazione no.

Il 2009, a sentire gli annunci delle forze politiche, dovrebbe essere un anno di "riforme" nel campo della giustizia. La parola stessa "riforma", peraltro è così generica, e così abusata nel nostro Paese, che la prima necessità è di intendersi su che cosa si voglia. Migliorare l’efficienza degli apparati giudiziari? Migliorare la qualità dell’attività giudiziaria? E in che senso? Intervenire sugli equilibri fra poteri politici e poteri giudiziari? E in che senso?

Occorre quindi abbandonare il ritornello sulla generica necessità di "riforme", ed entrare nel merito. Così pure, occorre smetterla di contrapporre semplicisticamente "giustizialisti" a "garantisti", schierandosi polemicamente contro gli uni o contro gli altri. Non è "giustizialismo" chiedere che la giustizia faccia sempre il suo corso, nel rispetto dei diritti di tutti e della legge, senza esserne impedita da impropri "scudi" legislativi o parlamentari e senza strategie abusive di difesa "dal processo" anziché "nel processo".

Non è "iper-garantismo" esigere che le attività di giudici e di inquirenti rispettino sempre i diritti e la dignità delle persone, e che lo strumento penale non venga piegato a improprio strumento di lotta politica. Non è "giustizialismo" denunciare e combattere la corruzione e il lassismo nelle pubbliche amministrazioni. Non è "iper-garantismo" o manifestazione di ostilità ai giudici denunciare e combattere, con la medesima determinazione, le degenerazioni e gli errori nell’attività giudiziaria e inquirente.

Nel merito, la prima cosa da osservare è che molti, se non la maggior parte, dei problemi e dei difetti che si riscontrano nel funzionamento della giustizia richiedono, per essere affrontati, soprattutto misure e interventi di tipo organizzativo e amministrativo, non disgiunti da eventuali correzioni legislative per lo più marginali e da appropriata disponibilità di risorse.

Come ha detto il procuratore capo di Bolzano Cuno Tarfusser (sul Corriere della Sera del 31 dicembre), "dobbiamo partire dall’organizzazione". L’organizzazione è decisiva per affrontare efficacemente il problema cruciale dei tempi dei procedimenti. E richiama la responsabilità soprattutto di capi degli uffici, Consiglio superiore della magistratura e ministero.

È largamente un problema di organizzazione anche quello - giustamente sottolineato dall’ex procuratore capo di Torino Marcello Maddalena (sul Corriere della Sera del 30 dicembre) -del necessario rafforzamento del principio gerarchico all’interno delle Procure, per non lasciare l’attività inquirente affidata ad iniziative troppo individualistiche di ogni sostituto procuratore (e per evitare di trasformarla in spettacolo per i media: fra l’altro, che senso ha battezzare le indagini con nomi di fantasia come se fossero episodi di un serial televisivo?).

Naturalmente i capi delle Procure vanno a loro volta controllati e responsabilizzati nella loro attività direttiva. Più in generale, nella giurisdizione, e anche nell’attività giudicante, e anche se è noto come vi siano magistrati che prediligono lavorare da soli, la collegialità è un valore importante, perché significa confronto, possibilità di dialettica e di temperamento di eccessi (mentre i giornali tendono spesso, invece, a favorire o enfatizzare i protagonismi individuali). Dove è in gioco la libertà personale - come nell’uso della custodia cautelare - l’esigenza di garanzie efficaci, e di massima prudenza da parte di chi decide, è poi preminente: ma il nostro ordinamento già prevede una serie di condizioni, di cautele e di termini, nonché il necessario intervento del giudice.

Eventuali ritocchi legislativi in materia non potrebbero che muoversi in queste stesse linee. Piuttosto sarebbe forse da rivedere la disciplina circa la durata delle indagini preliminari, fase del procedimento penale che oggi spesso appare eccessivamente protratta a scapito delle fasi propriamente processuali, in cui il contraddittorio è pieno e c’è la garanzia del giudicante.

Non gioverebbe invece affatto alla giustizia sottrarre ai magistrati del pubblico ministero la direzione delle indagini a favore della polizia, assai più influenzabile dall’esecutivo. È vero che le indagini dei Pm non dovrebbero mai trasformarsi in strumento di ricerca a tappeto di eventuali reati in assenza di precise notitiae criminis.

Ma contro queste possibili deviazioni dovrebbero bastare i controlli dei capi degli uffici ed eventualmente quelli esterni (analogamente, per esempio, la Corte costituzionale ha censurato come lesive delle attribuzioni di amministrazioni regionali iniziative dirette ad attivare generici controlli sulla attività di queste da parte della Corte dei Conti e di una Procura della Repubblica: sentenze n. 104 del 1989, n. 511 del 2000). Togliere sostanzialmente ai Pm poteri autonomi di indagine in presenza di notizie di reato significherebbe invece ridurre drasticamente l’area dei controlli di legalità.

Parimenti, sottrarre alla magistratura lo strumento di indagine costituito dalle intercettazioni telefoniche significherebbe rendere più difficile l’accertamento dei reati. Il proposito si spiega in chi voglia puntare a "tagliare le unghie" alla magistratura, vissuta come un avversario, non da chi voglia una giustizia migliore.

Altra cosa è l’esigenza di impedire la pubblicazione di intercettazioni prive di rilevanza penale, ma lesive della riservatezza delle persone: questo è un problema da affrontare, che però riguarda non tanto o non solo la magistratura, quanto soprattutto la stampa (se si leggessero meno frammenti di conversazioni registrate, e più sentenze!).

In tutto ciò, come appare evidente, non vi è spazio né motivo per modifiche della Costituzione. Non che di queste non si possa parlare in assoluto (per esempio, una nuova disciplina della responsabilità disciplinare dei magistrati, per sottrarla al rischio di derive corporative, potrebbe essere utile).

Ma il proposito della separazione radicale fra magistratura giudicante e magistratura inquirente, da assoggettare a diversi organismi di governo (altro è la disciplina dei passaggi di carriera dall’una all’altra) è sicuramente da respingere. Infatti, la creazione di un ipotetico "ordine" della magistratura inquirente, staccata dalla magistratura giudicante, rischierebbe di compromettere il carattere di "parte imparziale" del pubblico ministero, cioè di difensore della legge prima che di "avvocato dell’accusa".

E soprattutto esso non sfuggirebbe alla seguente alternativa: o è del tutto indipendente dall’Esecutivo e dal Parlamento, e allora il suo potere e la sua influenza, anche nei confronti dei giudici, nonché la sua "autoreferenzialità", non diminuirebbero, e anzi quest’ultima si accrescerebbe; ovvero finisce per essere controllato o controllabile anche indirettamente dal potere politico (per esempio attraverso la nomina di un organo di vertice), e allora sarebbe solo un altro modo per condizionare, "proteggendo" il ceto politico e amministrativo, il controllo di legalità garantito dal potere giudiziario.

L’attuale stato dei dibattiti e dei propositi espressi, e anche del "confronto" auspicato o avversato fra le forze politiche, non fa presagire nulla di buono. Se fossimo in un paese serio, probabilmente si procederebbe come in varie occasioni si è proceduto in altri paesi, per esempio in Gran Bretagna, incaricando una Royal Commission composta da persone competenti e affidabili (come si è visto, le voci sagge e autorevoli non mancano, ma oggi si perdono nel mare delle esternazioni), di elaborare un insieme di proposte da sottoporre al Governo e al Parlamento. Naturalmente bisognerebbe poi darvi seguito.

Da noi, invece, ad esempio, anche la pregevole relazione sui problemi di efficienza della giustizia che un’apposita Commissione di studio elaborò un anno fa per incarico del Guardasigilli Mastella è rimasta finora nei cassetti, suscitando meno interesse ed eco nei mezzi di comunicazione dell’ultimo scambio di battute polemiche fra "giustizialisti" e "garantisti".

Giustizia: nel Partito Democratico avanza l'ala della trattativa

di Amedeo La Mattina

 

La Stampa, 3 gennaio 2009

 

Qualcosa si muove nel Pd sul nervo scoperto della giustizia. Qualcosa si è rotto tra i Democratici e la magistratura. E senza dubbio le recenti inchieste giudiziarie hanno avuto un effetto rilevante nel nuovo atteggiamento che sembra emergere nel maggiore partito d’opposizione finora considerato il braccio politico delle procure. È ancora troppo presto per dire se Veltroni troverà un’intesa con Berlusconi.

"Anche perché - dicono nel quartier generale dei Democratici - il Cavaliere ha il vizio di mandare tutto a gambe all’aria, richiudendo nella gabbia le colombe del dialogo". Eppure gli stessi falchi del Pdl giudicano "interessante" la proposta del ministro ombra Lanfranco Tenaglia, che è pronto a spuntare le unghie dei magistrati in tema di carcere. "È arrivata l’ora - ha detto Tenaglia a Corriere della Sera - di affidare le decisioni sulla custodia cautelare a un collegio di magistrati e non più a un solo giudice".

"Interessante", appunto, dice il deputato e avvocato del premier Niccolò Ghedini, anche se da sola non risolve nulla. Tuttavia non è sul merito della proposta che nella maggioranza si soffermano: è la disponibilità del Pd a ragionare sul potere dei magistrati. Lo stesso ministro della Giustizia, Angelino Alfano, fa sapere che "c’è un approccio diverso e questo è un grosso passo avanti".

E il suo sottosegretario Elisabetta Casellati giudica "molto positivo" tutto ciò che va nella direzione di allargare le libertà personali. "Evidentemente - è la maliziosa osservazione degli uomini del premier - le inchieste giudiziarie sul Pd sta facendo maturare una nuova consapevolezza". Un’osservazione che irrita tantissimo i Democratici. Il capogruppo del Pd Antonello Soro ricorda che ben prima delle inchieste giudiziarie il suo partito ha presentato numerose proposte sulla giustizia.

"Il problema semmai è che finora il governo non ha messo nero su bianco gli annunci di Berlusconi. Non ci si venga a dire che dobbiamo liberarci dal condizionamento di Di Pietro, anzi Di Pietro dovrebbe chiedere scusa per il caso Margiotta".

Già, il caso di Salvatore Margiotta, il deputato Pd per il quale la Giunta delle autorizzazioni a procedere ha negato la richiesta di arresti domiciliari. Anche il Tribunale del riesame ha annullato ogni accusa nei suoi confronti.

Ma il 18 dicembre in quella riunione della Giunta c’era chi, come Donatella Ferranti, aveva espresso molti dubbi sull’opportunità di respingere la richiesta del pm di Potenza: aveva chiesto che le motivazioni non stroncassero le prove portate da Woodcock. E invece il presidente della Giunta Castagnetti, anche lui del Pd come il magistrato-deputato Ferranti, era stato il primo a definire "fragili" quelle prove.

"I magistrati - avverte Castagnetti - devono rendersi conto dei danni che possono provocare quando chiedono la restrizione della libertà personale. In Abruzzo dicevano che avevano prove schiaccianti contro Del Turco, ma ancora non se ne ha notizia. Intanto ci sono state le

elezioni regionali e gli effetti sono stati devastanti per noi. Sono convinto che si possa trovare un’intesa con la maggioranza per evitare l’uso disinvolto degli arresti".

Qualcosa è cambiato nel Pd. L’ala "giustizialista" è sulla difensiva. Ed è forte la voglia di dare un calcio a Di Pietro, che ieri ha liquidato la proposta di Tenaglia come una "sparata che non risolve i problemi". Anche il presidente dell’Anm Luca Palamara boccia l’ipotesi Tenaglia: è "impraticabile" perché porterebbe alla "paralisi dei tanti uffici giudiziari".

Ma il Pd "respira", scriveva ieri "Europa" facendo riferimento alla revoca degli arresti dell’ex sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso e alle novità su Margiotta. Il quale, in un’intervista al "Riformista", ammette che il suo partito ha ora un atteggiamento "più laico" e che deve sedersi al tavolo di Berlusconi.

"La proposta di Tenaglia forse è un piccolo e timido passo - spiega Pierluigi Mantini che in commissione Giustizia della Camera rappresenta l’ala più garantista del Pd - verso una nuova consapevolezza. Dobbiamo riconoscere che in Italia c’è un problema di cultura democratica. Non possiamo più sopportare che un avviso di garanzia possa eliminare politicamente, e a volte anche fisicamente, un cittadino".

Giustizia: nel ddl "responsabilità" per magistrati che sbagliano

di Mario Coffaro

 

Il Messaggero, 3 gennaio 2009

 

Nel pacchetto di riforme sulla giustizia che il governo si appresta a varare su proposta del ministro Guardasigilli Angelino Alfano a metà gennaio c’è anche un intervento per sanzionare la responsabilità dei magistrati che sbagliano. È questa la novità allo studio tra i pochi "esperti" della maggioranza già tornati al lavoro, come l’avvocato e consigliere giuridico del premier Nicolò Ghedini e il presidente dei deputati della Lega Nord, Roberto Cota.

Più volte il premier Silvio Berlusconi ha ribadito che il federalismo e la giustizia sono le priorità dell’agenda del governo. E sulla giustizia è noto che il presidente del Consiglio vorrebbe limitare le intercettazioni ai reati più gravi come mafia e terrorismo. Ma per ora il ddl sulle intercettazioni va avanti così com’è presso la commissione Giustizia della Camera, presieduta da Giulia Bongiorno.

An e Lega infatti restano contrarie alla esclusione dei reati contro la pubblica amministrazione (come corruzione e concussione). Tuttavia, nel corso del dibattito parlamentare, si vedrà se ci sono degli emendamenti migliorativi oppure se, in mancanza, effettivamente il governo stesso intenderà presentare degli emendamenti migliorativi. Entro gennaio la Camera dovrebbe vararne comunque il testo in prima lettura.

Sulla separazione delle carriere e sulla conseguente riforma del Csm, uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri, non si prevedono tempi stretti. Probabilmente queste riforme, che implicano delle modifiche alla Costituzione, saranno all’ordine del giorno ad aprile. A metà gennaio, invece, si arriverà al varo delle modifiche al codice di procedura penale. Con una "prima ricognizione" anticipata nel Consiglio dei ministri del 9, il venerdì dopo la Befana.

Quanto ai contenuti, non circolano testi, sono quelli noti. Le nuove norme dovranno incidere sulla velocità del processo eliminando alcuni passaggi di eccessivo garantismo formale nella fase che caratterizza la fine delle indagini preliminari e l’inizio del dibattimento.

Il progetto, spiega l’avvocato Ghedini, è quello di procedere: "Ad una semplificazione di alcune fasi, alla introduzione delle notifiche telematiche, ad una digitalizzazione del processo, ad un rafforzamento del diritto alla prova, dando maggiore spazio alle indagini difensive, maggiore autonomia di indagine per la polizia giudiziaria".

La proposta di Lanfranco Tenaglia, ministro della giustizia nel governo ombra, che intervistato dal Corriere della Sera si è detto favorevole "a una riforma che affidi a un collegio di tre magistrati la decisione sulle misure di custodia cautelare", secondo Ghedini è "da studiare e valutare". Tuttavia, aggiunge: "È vero che un collegio dà maggiori garanzie di un singolo, ma non basta: bisogna ridurre i casi in cui è possibile la custodia cautelare.

Quella in carcere va consentita solo per i reati più gravi, mentre per i reati di minore allarme sociale andrebbero previsti solo arresti domiciliari o misure interdittive. Soprattutto - spiega Ghedini - bisognerebbe che i magistrati che incarcerano i cittadini ingiustamente poi paghino.

Attualmente abbiamo un elevatissimo numero di cause per ingiusta detenzione e quindi soggetti che per legge sono stati detenuti ingiustamente e non trovano mai corrispondenti sanzioni nei confronti dei magistrati che le hanno disposte".

Dunque, oltre a "rivedere la responsabilità civile" delle toghe, l’avvocato-parlamentare del Pdl propone "procedimenti disciplinari in tutti i casi di ingiusta detenzione. Perché i contribuenti pagano, mentre i magistrati non pagano per gli errori commessi".

Quanto alla proposta di Tenaglia è bocciata sia dall’Anm ("impraticabile" con gli attuali organici, pena la paralisi di "tanti uffici giudiziari") che dagli avvocati penalisti ("un palliativo, occorre separare le carriere. Il giudice partecipa a una funzione generale comune a quella dell’accusa, la persecuzione penale. Ed è questo che impedisce un forte controllo giurisdizionale sulla funzione di accusa").

Nello stesso pacchetto di riforme saranno inseriti anche i lavori socialmente utili, come pena accessoria, subito dopo la sentenza. Si tratta di lavori non retribuiti da svolgere presso la pubblica amministrazione o enti di volontariato per una durata settimanale non inferiore alle 8 ore e non superiore alle 24, per non meno di 10 giorni e non più di 2 anni. Lavori di pubblica utilità in cambio del carcere per gli incensurati.

Per quanto riguarda la giustizia civile c’è in avanzato stato di approvazione il provvedimento del ministro Alfano che entro gennaio, con l’approvazione del Senato, diventerà legge dello Stato. "Dopo si potranno fare ulteriori correttivi", dice Ghedini. Ma le notifiche per via telematica e la digitalizzazione del processo saranno già anticipate nel pacchetto di riforme di metà gennaio. Le cancellerie della Suprema Corte di Cassazione, potranno inoltre essere alleggerite da migliaia di procedimenti grazie ad un filtro che eliminerà a monte i ricorsi palesemente inammissibili.

Giustizia: Anm; proposta di Tenaglia è un'ipotesi impraticabile

 

Ansa, 3 gennaio 2009

 

Toghe perplesse sulla proposta del ministro ombra del Pd per la Giustizia Lanfranco Tenaglia di affidare a un organo collegiale le decisioni sulle misure di custodia cautelare.

Se l’Associazione nazionale magistrati la boccia come "impraticabile" con gli attuali organici, pena la paralisi di "tanti uffici giudiziari", i penalisti la giudicano un "palliativo" rispetto all’unico rimedio possibile per evitare l’appiattimento dei giudici sulle richieste dei pubblici ministeri: la separazione delle carriere.

Così come è ora la situazione degli uffici giudiziari italiani sotto il profilo degli organici, è "un’ipotesi non praticabile" dice senza mezzi termini il leader del sindacato delle toghe Luca Palamara. E spiega: "prevedere un collegio di tre giudici per le misure cautelari porterebbe, per il sistema delle incompatibilità, alla paralisi dell’attività dei piccoli tribunali"; con il risultato che i giudici di quegli uffici finirebbero con l’esprimersi solo sulle misure cautelare "ma non sui giudizi di merito".

Un problema non di poco conto, considerato che - secondo le stime del sindacato delle toghe - i piccoli tribunali sono un centinaio circa dei 166 complessivi uffici giudiziari italiani, e 67 hanno organici inferiori alle venti unità.

Per questo "prima di pensare a un organo collegiale - sostiene il presidente dell’Anm - vanno affrontate altre questioni, a cominciare da quella degli organici".

Critica sulla proposta Tenaglia anche l’Unione delle Camere penali. "Perché si sente oggi la necessità di trasferire a un organo collegiale una decisione sinora rimessa a un giudice singolo? perché si avverte che c’é un forte allineamento del gip sulle richieste del pm, come è accaduto ad esempio nella vicenda di Pescara. Ma non è affatto detto - afferma il suo presidente Oreste Dominioni - che le cose andrebbero diversamente con un organo collegiale. Perché il difetto è nel manico: nel nostro ordinamento il giudice partecipa a una funzione generale comune a quella dell’accusa, la persecuzione penale. Ed è questo che impedisce un forte controllo giurisdizionale sulla funzione di accusa". Proprio per "recuperare" questo controllo bisogna allora "separare le carriere di giudici e pm": "é questa la strada, le altre soluzioni sono palliativi".

Pecorella: condivisibile proposta Tenaglia - "La proposta dell’onorevole Tenaglia di affidare ai tre giudici la decisione sulla libertà personale é più che condivisibile: è la stessa soluzione contenuta nel disegno di legge per la riforma del codice di procedura penale dell’ex ministro della Giustizia Castelli e ripresentata da Forza Italia nella scorsa legislatura. Ma è insufficiente". Lo afferma Gaetano Pecorella. "Bisogna prevedere, come in Francia, anche il contraddittorio avanti ai tre giudici prima della decisione e dopo l’arresto provvisorio. Lo impone l’articolo 111 della Costituzione secondo cui nessun provvedimento del giudice è giusto se non è preceduto dal contraddittorio. Se c’é davvero la volontà di fare si può fare".

Nania: apprezzo metodo dell’on. Tenaglia - "Apprezzo il metodo di procedere cercando una convergenza su una riforma importante come quella della giustizia": così il vice presidente del Senato, Domenico Nania, commenta la proposta dell’on. Lanfranco Tenaglia, su opportuni miglioramenti normativi da apportare in tema di custodia cautelare affidando a tre magistrati la decisione, "perché l’obbiettivo comune deve essere quello di limitare il rischio di errori giudiziari". "Condivido appieno - aggiunge Nania - la puntualizzazione dell’on. Gaetano Pecorella, che auspica, come in Francia, una decisione collegiale, davanti a tre giudici prima della decisione e dopo l’arresto provvisorio, questo perché è inaccettabile che persone, spesso incensurate, vengano private senza contraddittorio della libertà, e dell’onorabilità per poi essere assolte, magari, a distanza di anni". Il vice presidente Nania conclude auspicando che il confronto ed il dialogo siano sempre il metodo per arrivare ad una convergenza sui contenuti.

Giustizia: Rotondi; ok Tenaglia, ora confronto con i magistrati

 

Apcom, 3 gennaio 2009

 

Un incoraggiamento al dialogo tra gli schieramenti politici: questo è, secondo il segretario nazionale della Dc, Gianfranco Rotondi, la proposta avanzata ieri dal ministro ombra del Pd, Lanfranco Tenaglia, di una modifica del regime di decisione sulla custodia cautelare, da affidare, secondo l’esponente democratico, a un collegio di tre magistrati invece che al Gip unico. "Trovo interessante e positiva - dice Rotondi in una nota - l’apertura di un colloquio tra maggioranza e opposizione sulla giustizia con la proposta avanzata dall’onorevole Tenaglia".

"Nel merito - aggiunge - se essa sia la soluzione migliore o quella più diretta si può discuterne, l’importante è aver sfaldato il muro della incomunicabilità tra le forze politiche, come auspicato anche dal presidente Napolitano. Certo, è necessario che non si passi da un eccesso all’altro, trasmettendo l’idea di una giustizia tutta da rifare.

Ci sono nodi importanti e ben noti, ma la stragrande maggioranza dei giudici non è di parte e fa il proprio mestiere anche tra difficoltà ambientali e di organizzazione". "Ed è con i magistrati - conclude l’esponente del centrodestra - che la politica deve confrontarsi, sforzandosi di arrivare a soluzioni che migliorino il sistema giudiziario".

Giustizia: Ceccanti (Pd); clima favorevole su riforme condivise

 

Apcom, 3 gennaio 2009

 

Il Pd nel mirino dei giudici? Nessuna manovra politica dall’interno della magistratura, garantisce Stefano Ceccanti, senatore e costituzionalista considerato vicino al leader del partito Walter Veltroni. "No, non credo al complotto", confida al Corriere della sera. "Anzi - aggiunge - il clima è ancora più favorevole a un accordo con la maggioranza sulla giustizia. Ma il partito deve tirare le sue conclusioni e fare pulizia interna".

Quanto alle conseguenze politiche delle ultime vicende giudiziarie, "certo, ora - avverte Ceccanti - di fronte a ciò che è accaduto, si è puntualizzato con più forza che la magistratura non è infallibile. In altre parole, si è svelato in modo più evidente che il sistema non funziona. Quindi oggi sentiamo, con maggiore convinzione, la necessità di riforme condivise".

Giustizia: Di Pietro; da Tenaglia una sparata, che non risolve

 

Apcom, 3 gennaio 2009

 

Il leader dell’Idv Antonio Di Pietro dice "basta" alle riforme della giustizia annunciate sui giornali e sottolinea la necessità di assicurare, al settore, più mezzi e risorse.

"Invitiamo ad occuparsi delle risposte da dare alla giustizia e non di fare quotidiani annunci sui giornali", dice Di Pietro in riferimento all’ultima proposta di Lanfranco Tenaglia, del Pd. "Ogni giorno - aggiunge - c’è qualcuno che lancia un’idea nuova, ma nessuno si preoccupa di come deve essere attuata e soprattutto, di come dare più risorse". Di Pietro vede solo una politica degli annunci perché "non si vogliono prendere decisioni concrete".

Sottolineando che l’Idv ha presentato 21 disegni di legge sulla materia, il leader dell’Italia dei Valori ribadisce: "Per far funzionare la giustizia ci vuole il doppio delle risorse, il doppio del personale e metà dei tempi processuali". L’idea di Tenaglia di portare da uno a tre il numero dei giudici che decidono sui provvedimenti cautelari, Di Pietro la considera una "sparata che non risolve i problemi". "Dove sono - si chiede - questi tre giudici, in ogni tribunale, pronti e disponibili ad affrontare la situazione?".

Giustizia: Orlando (Idv); no a riforma basata sul risentimento

 

Apcom, 3 gennaio 2009

 

La riforma della giustizia non si deve fare per assecondare i sentimenti della "casta": a lanciare l’avvertimento è Leoluca Orlando. "Italia dei Valori - afferma in una nota il portavoce del partito - ritiene che interventi legislativi in materia di giustizia non possono basarsi su umori e stati d’animo del momento o su strumentali polemiche indifferenti alla reale ampiezza e delicatezza del suo funzionamento".

"Riteniamo disastroso - aggiunge Orlando - stravolgere quei principi costituzionali che regolano l’amministrazione della giustizia, riteniamo invece necessario attuare pienamente quei principi e consideriamo un riferimento non negoziabile l’autonomia e l’indipendenza della magistratura".

Secondo Orlando "ciò di cui la giustizia ha bisogno è invece la garanzia di poter svolgere processi più rapidi, la garanzia dell’applicazione della pena e migliori garanzie per l’accusa e la difesa. A tal proposito Italia dei Valori ha presentato concrete e articolate proposte di legge, e su di esse chiediamo di conoscere opinioni e valutazioni nelle sedi istituzionali; ci rifiutiamo, e ci rifiuteremo sempre, di partecipare a incontri e riunioni fuori dalle suddette sedi istituzionali e meno che mai - conclude - accetteremo di affrontare il delicato tema della riforma della giustizia penale, civile e del lavoro facendoci condizionare da irritazioni di casta e da sentimenti di rivalsa".

Giustizia: Rao (Udc); su proposta Tenaglia iniziare il confronto

 

Apcom, 3 gennaio 2009

 

"La proposta Tenaglia è indubbiamente meritevole di attenzione, ma, soprattutto, segna una novità positiva nell’approccio del Pd al tema più ampio della riforma della Giustizia e al rapporto con i magistrati". Lo sottolinea Roberto Rao dell’Udc, componente della Commissione Giustizia della Camera. "Le forze politiche - afferma Rao - ora devono farsi carico delle proprie responsabilità nell’interesse dei cittadini e passare quindi rapidamente dalle parole ai fatti nelle sedi politiche e parlamentari che saranno incaricate di sciogliere il nodo della urgente riforma della giustizia".

Giustizia: Verdi; sì a maggiori garanzie per misure cautelari

 

Apcom, 3 gennaio 2009

 

"Sarebbe sicuramente un fatto positivo che per le misure cautelari venissero aumentate le garanzie per i cittadini e che a valutare fosse un collegio". Lo ha dichiarato Paola Balducci dei Verdi commentando la proposta lanciata oggi dal ministro ombra della giustizia del Pd Lanfranco Tenaglia. "L’ipotesi di Tenaglia è assolutamente condivisibile ed anzi riprende quanto ho sostenuto anche nella scorsa legislatura - ha concluso la Balducci -. Sicuramente è un terreno su cui si può aprire un confronto che coinvolga tutti gli operatori del diritto e le forze politiche".

Giustizia: cosa deve succedere, per capire che riforma serve?

 

Il Foglio, 3 gennaio 2009

 

Che cosa deve ancora succedere per capire che serve una vera riforma? La decisione del Tribunale del riesame di Potenza, dopo il ripensamento del giudice delle indagini preliminari di Pescara, che ha annullato precedenti decreti di custodia cautelare basati su fumose accuse di reati associativi, dimostra, ancora una volta, come questo tipo di imputazioni, impiegato dalle procure per alimentare la caciara mediatica, poi non regge quasi mai all’esame di merito.

Più in generale è il sistema dell’irrogazione delle misure cautelari che fa acqua da tutte le parti, come riconosce il ministro ombra del Pd per la Giustizia, Lanfranco Tenaglia. Già che c’è, dovrebbe domandarsi anche se si può sentire garantito un imputato che sa che della sua libertà sarà chiamato a decidere Luigi De Magistris, trasferito dal Csm a Napoli per il modo con il quale aveva gestito la sua funzione nell’ambito della procura e che oggi si trova, visto che non c’è separazione delle carriere, a esercitare una funzione giudicante proprio sul campo delicatissimo delle misure di custodia preventiva.

Anche questi episodi confermano l’urgenza di una riforma della giustizia, che Giorgio Napolitano vorrebbe fosse condivisa. Quasi tutti hanno elogiato il suo discorso di fine anno, ma faticano a trarne le logiche conseguenze. Un po’ meno ipocrita degli altri è Carlo Federico Grosso, che in oggettiva contrapposizione con il Quirinale invita l’opposizione a non accettare neppure di discutere di separazione delle carriere o di ruolo della polizia giudiziaria. Cioè di non riformare nulla di rilevante.

Giustizia: Manconi; un errore annullare il dibattito con Morucci

 

Agi, 3 gennaio 2009

 

È stato un errore annullare il dibattito con Valerio Morucci: l’Università è il luogo più adatto, pure se non il solo, al confronto su quei temi, sugli anni di piombo con chi, scontata la pena e fatta un’aspra autocritica sul suo passato, ha avuto responsabilità in fatti di terrorismo.

È l’opinione del sociologo e docente universitario, Luigi Manconi, per il quale "l’Università luogo scientifico, di ricerca e conoscenza ha bisogno di testimoni di quegli anni e di quel fenomeno proprio per la sua missione di conoscenza". Senza entrare nel merito delle affermazioni del Rettore dell’Ateneo romano, Luigi Frati, "lo facciano a via Fani" e "parteciperò al dibattito con Morucci", il sociologo del Pd precisa, "non è una ‘lezionè, come erroneamente si pensa, ma un dibattito a più voci per cui l’opinione di Morucci si confronta con l’opinione di altri e poi - conclude l’ex-sottosegretario alla Giustizia - gli studenti sono maggiorenni, in grado di comprendere: è stato per questo un errore annullare un confronto sulla memoria storica del nostro Paese".

Giustizia: Sappe; riforma organica si occupi anche delle carceri

 

Il Velino, 3 gennaio 2009

 

Condividiamo l’assunto secondo il quale una riforma organica del sistema giustizia del Paese ormai non più rinviabile. In tale contesto, un ruolo fondamentale dovrà essere dedicato alla rivisitazione delle politiche penitenziarie italiane, che necessitano di riforme strutturali non più rinviabili. Il nostro auspicio è che una riforma della giustizia e del sistema penitenziario nazionale avvenga con il contributo sinergico di maggioranza ed opposizione parlamentare, atteso che su queste priorità le formazioni politiche devono far prevalere gli interessi del Paese agli schematismi ideologici di parte.

È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria.

Svanito l’effetto insulto, le carceri italiane sono tornate a riempirsi. Il fallimento delle politiche penitenziarie del Paese è ben evidente nei numeri attuali. Sono infatti ormai 58mila i detenuti presenti nei 205 penitenziari italiani (Case Circondariali, di Reclusione, Istituti per le misure di sicurezza) a fronte di una capienza regolamentare di circa 43mila posti.

Ben 8.101 sono i detenuti presenti in Lombardia (capienza regolamentare 7.677 posti), 7.172 in Campania (6.720 i posti regolamentari), 6.843 in Sicilia, 5.341 nel Lazio, 4.544 in Piemonte, 3.456 in Puglia, 2.254 in Calabria, 3.742 in Toscana, 2.968 in Veneto. In Liguria, poi, i dati parlano da soli: nei sette penitenziari della Regione sono oggi presenti 1.375 detenuti (1.298 uomini e 77 donne) rispetto ad una capienza regolamentare di 1.140 posti.

Anche sul fronte Personale che lavora nelle carceri i dati sono altrettanto allarmanti. La differenza tra il Personale di Polizia Penitenziaria effettivamente in forza e quello previsto registra una carenza di 4.425 Agenti uomini e 335 Agenti donne. Le carenze di Baschi Azzurri più consistenti si registrano in Lombardia (circa 1.200 unità), Piemonte (900) Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Liguria. Anche il Personale amministrativo e tecnico è fortemente sotto organico di ben 2.300 unita. È quindi evidente come la mancata adozione di provvedimenti strutturali da parte di Governo e Parlamento per modificare il sistema penitenziario contestualmente all’approvazione dell’indulto abbia riportato le carceri italiane a livelli di sovraffollamento insostenibili.

Il Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione sindacale della Polizia Penitenziaria, auspica quindi che la questione penitenziaria sia posta tra le priorità d’intervento della riforma della giustizia annunciate dal premier Berlusconi, prevedendo in particolare le necessarie modifiche del sistema penale - sostanziale e processuale - che rendano stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi affidando a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale. Che si trovino soluzioni concrete al problema degli stranieri detenuti (che rappresentano oggi circa il 40% della popolazione carceraria) mediante accordi internazionali che consentano concretamente l’espiazione delle pene nei Paesi di origine. Ma soprattutto che si impegnino ad assumere almeno 3.000 nuovi poliziotti penitenziari, stante la grave carenza di Personale che si registra nel Paese.

Capece sottolinea che se la strada del Governo in materia di deflazione dei penitenziari è quella di costruire nuovi carceri, questo vuol dire necessariamente assumere nuovo Personale, di Polizia e del Comparto Ministeri (oggi entrambi nettamente sotto organico), vuol dire stanziare fondi e risorse. Vorremmo sapere come il Governo intende muoversi, visto che è addirittura previsto, nella Finanziaria approvata quest’estate, una netta riduzione ai fondi riservati all’Amministrazione penitenziaria. La questione generale del sovraffollamento, infatti, non può trovare esclusiva risposta nello sviluppo dell’edilizia penitenziaria.

Ciò non solo per la mancanza di risorse economiche proporzionate alle esigenze e per i tempi lunghi di esecuzione dei lavori, ma anche per la carenza di risorse umane, specificamente Polizia penitenziaria e personale del Comparto ministeri, necessarie per la gestione delle nuove strutture. Se, quindi, le attuali dotazioni organiche sono già insufficienti per le esigenze relative all’epoca della loro individuazione, non vi è dubbio che la situazione sia andata ancor di più aggravandosi a seguito dell’apertura, dopo il 2000, di nuove strutture penitenziarie, della realizzazione dei nuovi padiglioni detentivi e della ristrutturazione di sezioni detentive inutilizzate.

L’auspicio del Sappe conclude Capece è una espansione dell’esecuzione penale esterna, ossia il sistema delle misure alternative, che può essere incentivata offrendo garanzie di sicurezza credibili sia dal giudice che le dispone, sia dalla stessa collettività. Sto parlando di un controllo permanente, cioè di una verifica puntuale di dove il condannato si trovi e di che cosa faccia coinvolgendo sempre di più la Polizia penitenziaria. Altro impulso allo sviluppo dell’area dell’esecuzione penale esterna potrebbe essere dato anche avvalendosi di sistemi di controllo tecnologici come, ad esempio, il braccialetto elettronico.

Liguria: carceri a rischio sicurezza, il ministro venga a vedere

 

Il Velino, 3 gennaio 2009

 

Il Sen. Giorgio Bornacin (Pdl) ed il Capogruppo An Regione Liguria Gianni Plinio hanno scritto al Ministro della Giustizia Angelino Alfano invitandolo ad effettuare una visita agli Istituti di pena liguri e chiedendogli di sanare le gravi carenze di personale di Polizia Penitenziaria in modo tale da garantire un servizio adeguato e sicuro.

"È necessario affrontare l’emergenza carceraria ligure - hanno detto Bornacin e Plinio. Siamo certi che il Guardasigilli saprà recepire lo spirito della nostra richiesta e siamo fiduciosi in una sua prossima presenza in Liguria. Con questa iniziativa intendiamo corrispondere alle sollecitazioni degli agenti di custodia ed in particolare del Sappe ligure.

Stiamo assistendo, infatti, ad un progressivo depauperamento degli organici della Polizia Penitenziaria nei sette istituti di pena della Liguria. La situazione numerica del personale - sulla base di dati fornitici dal Sappe - risulta essere, in oggi, di 791 uomini e 93 donne con una carenza di ben 373 uomini e 7 donne. Tutto ciò a fronte di una popolazione carceraria ligure di 1.400 unità rispetto ad una capienza di 1.140 posti letto disponibili.

Più della metà dei detenuti liguri è straniero. Dal punto di vista sanitario, invece, risulta che il 40% dei reclusi abbia l’epatite C e che più della metà siano tossicodipendenti ed alcuni con Aids conclamato oltre a quelli con problemi psichiatrici. Con questi numeri e con queste tipologie non soltanto si abbassano i livelli di sicurezza ed aumentano i carichi di lavoro per gli agenti di custodia ma si riducono anche le condizioni di vivibilità all’interno delle carceri.

Facciamo presente che nell’ultimo anno si sono verificati numerosi eventi critici che vanno dalle aggressioni al personale, alle risse e fino alle tentate evasioni. Ad essere particolarmente grave è la situazione delle poliziotte cui spettano incombenze di servizio particolari: emblematico è il caso del carcere femminile di Pontedecimo ove operano soltanto 39 agenti rispetto ai 70 previsti e con una unica poliziotta che deve sorvegliare tre piani detentivi".

Milano: appello; regalate vecchi libri a chi sta dietro le sbarre

di Stefania Culurgioni

 

L’Espresso, 3 gennaio 2009

 

L’iniziativa dell’associazione "Cuminetti": raccoglie, seleziona e invia alle carceri milanesi romanzi, saggi e volumi di poesia.

Nella classifica dei più letti Gomorra, Stephen King, ma anche i versi d’amore di Prévert Da Gomorra alle raccolte di poesie d’amore, dai best seller di Stephen King ai saggi sul terrorismo italiano. Decine di libri bellissimi che però, una volta letti, si impilano sulla scrivania. "Il rimedio per chi vuole disfarsene senza buttarli? Regalarli all’associazione Mario Cuminetti" dice l’avvocato Nicola de Rienzo. Destinazione finale: le prigioni di Milano. Dove i gialli e le storie di malavita, gli intrecci d’amore e i versetti sdolcinati sono nella top ten dei libri preferiti dai detenuti.

Via Tadino, alle spalle di corso Buenos Aires. È proprio lì, nel retro del passeggio di luci e vetrine, che si trova l’omonima libreria (promossa dalla Cisl) dove ha sede il gruppo carcere Cuminetti, dal nome del volontario e saggista che la fondò nel 1985. Sono decine le persone che ogni mese ci portano i libri che hanno già letto e di cui vogliono liberarsi. Ma buttarli fa sempre un po’ male, "e allora in tanti li lasciano qui - continua de Rienzo, presidente dell’associazione - il titolare del negozio ce li tiene in magazzino, e noi volontari li selezioniamo e li portiamo negli istituti".

San Vittore, Opera ma soprattutto Bollate. Sono questi i tre centri dove il gruppo rimpolpa gli scaffali delle biblioteche interne. Che, spesso, sono gestite dagli stessi detenuti. "Lo facciamo da vent’anni - spiega - oggi abbiamo 40 volontari che ci vanno tre volte alla settimana". Aggiungono i libri appena arrivati, girano per le celle con il catalogo dei titoli. E soprattutto danno consigli di lettura.

Come fanno Camilla e Luciana, due signore di 68 e 70 anni, una architetto e l’altra ex insegnante di italiano. "Solo a Bollate ci sono ormai 20mila volumi, 800 detenuti e 400 libri letti ogni mese - raccontano - ma le cose non sono sempre state così. Una ventina di anni fa, quando Cuminetti cominciò per primo a usufruire dell’articolo 17 dell’ordinamento penitenziario (partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa), sugli scaffali c’era roba illeggibile. Tipo volumi che parlavano della vita segreta delle termiti".

Oggi, invece, la scelta è molto più varia e attuale. Anche se i gusti, confidano le due volontarie, rimangono sempre ancorati a libri che raccontano di vite in carcere. Forse per identificazione.

"La top ten dei detenuti? Il primo in assoluto è sempre Gomorra, il bestseller di Roberto Saviano sulla camorra, ma anche Io uccido di Faletti o Stephen King che ha scritto Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank, il cui protagonista è un banchiere che uccide sua moglie. Poi il romanzo Papillon di Henri Charrière, che racconta di un ragazzo di 25 anni condannato all’ergastolo. Oppure Allan Sillitoe e La solitudine del maratoneta, la vicenda di un giovane che finisce in riformatorio ma ha un grande talento sportivo. E anche i libri che parlano della banda della Magliana e di quella di via Osoppo".

Ma tra i preferiti ci sono anche raccolte di poesie d’amore, Prévert o Hikmet, per chi cerca ispirazione nelle lettere alla fidanzata. "Sempre più richiesti, però, sono il Corano - aggiunge Giovanni, un volontario di 21 anni che studia Scienze dell’educazione - e romanzi in arabo, albanese e rumeno". La popolazione carceraria cambia, ma la lettura rimane un’evasione irrinunciabile.

Milano: picchiata nel Cie, trans brasiliana rischia l’espulsione

di Paola Bonatelli

 

Il Manifesto, 3 gennaio 2009

 

Chissà se la lettera inviata in questi giorni al prefetto e al questore di Milano - una richiesta di attenzione e di intervento ma anche di rispetto della legalità e dei diritti delle persone - da Luciano Muhlbauer, consigliere regionale della Lombardia (Prc), e dal consigliere provinciale Piero Maestri, di Sinistra Critica, porterà a Preziosa come regalo per l’anno nuovo un permesso di soggiorno "per ragioni di giustizia".

Lei, 29 anni, brasiliana, transessuale, ex detenuta al Cpt (ora Cie) di via Corelli, rilasciata con un decreto di espulsione dopo essere stata picchiata e non adeguatamente soccorsa - i fatti si svolsero nella notte tra il 10 e l’11 luglio scorsi - ha denunciato sia l’aggressione con condimento di insulti razzisti, autori alcuni agenti della questura in servizio a via Corelli, che la Croce Rossa per "omissione di soccorso".

Per farsi portare in ospedale la notte del pestaggio fu necessaria una mezza rivolta delle sue compagne detenute con lenzuola e materassi incendiati e la protesta di un presidio esterno organizzato dal Comitato antirazzista milanese. E per avere una prognosi dignitosa che mettesse in relazione le lesioni riportate con le botte, Preziosa dovette recarsi al pronto soccorso dopo il suo rilascio, accompagnata dagli attivisti antirazzisti. Più che abbastanza per sporgere una circostanziata querela per ingiurie, lesioni personali, abuso d’ufficio, abuso d’autorità contro arrestati o detenuti e omissione di soccorso, con la conseguente apertura di un’inchiesta da parte della procura milanese: "La querela contro ignoti - spiega l’avvocato Eugenio Losco, che assiste Preziosa - è stata depositata il 31 luglio scorso.

A metà ottobre Preziosa è stata convocata dal pm che ha raccolto la sua testimonianza e in quella sede è stato richiesto il permesso di soggiorno per motivi di giustizia. Inizialmente la risposta è stata positiva, poi però il permesso non è stato rilasciato con la motivazione che la normativa non prevede esplicitamente il rilascio per il tipo di fatto denunciato. In sintesi è a discrezione dell’autorità preposta e la questura non ha nessun interesse a farglielo avere".

Nel frattempo Preziosa, clandestina con decreto di espulsione, viene fermata a Piacenza e portata in questura; solo il pronto intervento del suo avvocato, che avvisa il magistrato che segue l’inchiesta, permette a Preziosa, previa dichiarazione del pm sull’indispensabilità della sua presenza, di essere lasciata andare. Invisibile per tutti ma non per il giudice, che prima di Natale l’ha sottoposta ad un nuovo interrogatorio per il riconoscimento dei suoi aggressori: "Lei ne ha riconosciuto alcuni - riferisce l’avvocato Losco - ed il procedimento a questo punto non sarà più contro ignoti.

Tra l’altro vorremmo sapere il motivo della presenza degli agenti all’interno della struttura, dal momento che le direttive del ministero prevedono la vigilanza esterna e l’intervento solo in caso di necessità. Ora il problema più urgente è comunque il suo stato di clandestinità, per cui rischia sempre di essere fermata e mandata via, il che, ovviamente, non le consentirebbe di essere presente all’eventuale processo".

Del caso di Preziosa, che ha sempre avuto accanto gli antirazzisti milanesi, s’è parlato anche dal palco della manifestazione nazionale del 13 dicembre scorso contro il ddl Carfagna, che di fatto rende la prostituzione un reato. Mixato alla Bossi-Fini, se fosse approvato, il decreto farebbe delle prostitute/transessuali migranti un doppio bersaglio. Una situazione in cui l’unico dilemma da risolvere sarebbe: chiuderle in galera o nei centri di espulsione e identificazione? O in tutt’e due?

Stati Uniti: Australia rifiuta accogliere detenuti Guantanamo

 

Asca, 3 gennaio 2009

 

L’Australia ha formalmente respinto la richiesta degli Stati Uniti di accogliere una parte dei detenuti del carcere di Guantanamo, in via di chiusura. È stata la stessa primo ministro Julia Gillard ad annunciarlo, adducendo motivi di sicurezza nazionale. La chiusura della controversa prigione sull’isola di Cuba, dove sono detenute circa 250 persone, è uno degli obiettivi dichiarati del presidente eletto Barack Obama.

L’Australia non vuole i detenuti del carcere di Guantanamo, creato nell’isola di Cuba dal governo americano per accogliere i prigionieri iracheni. Lo ha reso noto oggi il governo australiano, respingendo la richiesta delle autorità statunitensi. Come gesto di buona volontà nei confronti di Barack Obama, vari Paesi europei e anche l’Australia si erano dichiarati pronti ad accogliere i prigionieri dopo la chiusura di Camp X-Ray, annunciata dal presidente eletto. La disponibilità voleva essere un segno di buona volontà verso la nascente amministrazione, e anche puntava ad evitare che i prigionieri, rimpatriati nei Paesi d’origine, rischiassero la tortura o la pena di morte. Olanda, Spagna, Gran Bretagna le ultime a fare marcia indietro prima dell’Australia.

 

 

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