Rassegna stampa 24 gennaio

 

Giustizia: la destra "fa società" colla paura, la sinistra non c’è

di Massimo Ilardi

 

Liberazione, 24 gennaio 2009

 

"Saremo inflessibili nei confronti di chi non rispetta le regole": lo hanno gridato continuamente sia Rutelli che Alemanno durante la campagna elettorale dello scorso anno per l’elezione del nuovo sindaco di Roma. Su questo l’inciucio è stato perfetto. E seguita ad esserlo.

Divieti, controlli, ossessione sulla sicurezza, demonizzazione del conflitto: oggi è solo così che si tenta di ricreare quei legami sociali spezzati da una società del consumo e da un paese diviso atavicamente in fazioni e che ha nel suo Dna l’assenza di senso dello Stato. Eppure il vecchio sistema dei partiti e la sua classe dirigente, nati dentro una guerra civile, avevano trovato gli antidoti per combattere la frantumazione sociale: producevano politica, organizzavano opposizioni reali, sapevano rappresentare il conflitto.

Il fatto è che all’avvento del primato del mercato non ha corrisposto una generazione politica all’altezza della prova: mantenere la politica al suo posto di comando. Qui e solo qui sta il declino italiano. Il "fare società" attraverso la scorciatoia del proibizionismo delle norme, che si pretende tra l’altro di erigere a comportamento morale, è l’ultimo ritrovato di una classe politica che ha drammaticamente fallito nel suo compito di governare il paese perché non possiede né autorità, né prestigio. Da qui il primato dell’economia e del diritto sulla politica che tende a scomparire: dove tutto è normalizzabile tutto è governabile.

E così mentre, a livello nazionale, si cerca il modo di tornare a proibire o a ridimensionare la legalità dell’aborto, a fare ancora qualche pensierino sulla cancellazione del divorzio, a ripristinare nelle scuole il primato del voto di condotta, a prendere le impronte digitali alla popolazione Rom, a organizzare ronde militari per la città e a vietare di fumare, andare liberamente allo stadio, farsi gli spinelli, prendere la residenza senza un lavoro, praticare il nomadismo e il commercio di strada; a Roma, oltre a tutto questo, si impedisce agli immigrati di lavare i vetri delle macchina, si nega di vendere la sera alcolici da asporto, si propone di mettere telecamere nelle scuole e sui mezzi pubblici, si studia come organizzare una centrale di vigilanza e di controllo su tutta la città.

È una apoteosi di regole, norme, balzelli, tributi, pedaggi, controlli di ogni genere che neanche nei secoli bui del Medioevo ne troviamo così tanti. Ma qualcuno di questi nuovi sceriffi metropolitani dovrà pur spiegarci prima o poi perché la casa e la famiglia siano diventati i luoghi di massimo pericolo proprio nel momento in cui consentono di mettere all’opera gli strumenti per costruire il massimo di sicurezza.

J. G. Ballard, ad esempio, ne dà una ragione: scrive che la comunità sicura e protetta e una famiglia chiusa e normale, dove i ruoli siano rispettati scrupolosamente, come vorrebbero gli amministratori severi dei nostri corpi e delle nostre anime, inchiodano i loro abitanti a un mondo sempre uguale e senza eventi trasformando quei luoghi che riteniamo più sicuri in socialmente più pericolosi proprio perché nella vita di uomini e donne sicurezza e libertà non vanno d’accordo. In un universo che vuole essere perfetto, in una famiglia che vuole essere totalmente sana, l’unica libertà per coloro che si sentono imprigionati diventa allora la devianza. Molto spesso la follia.

A livello politico, la verità è che senza più una teoria di governo e un pensiero forte che la produce, la elabora, la trasforma in guida per l’azione è solo l’idea di ordine che muove questo pensiero angoscioso del controllo e della sicurezza che diventa così pura articolazione della macchina istituzionale e del suo potere. Se non si stabilisce un ordine non c’è potere che tenga: ma il potere solo come ordine diventa amministrazione, burocrazia che si organizza in macchina autoritaria che percorre il territorio e pretende di strutturarlo.

Eppure, sembra incredibile, ma i dati del Viminale, nel raffronto tra il 2006 e il 2007, evidenziano in Italia una diminuzione degli omicidi e degli stupri e confermano Roma come una delle città più sicure del nostro paese. Non solo. Nel secondo semestre del 2007 rispetto al primo diminuiscono nella città omicidi, violenze sessuali e rapine. Ora se è vero che la sicurezza è soprattutto una questione di percezione più che di statistiche, è anche vero che questa percezione viene ancora di più sollecitata e ingigantita dai mezzi di comunicazione che non perdono occasione per creare un clima di paura e di allarme sociale.

Ed è proprio sullo sfruttamento di questo panico che ha fatto perno a Roma la campagna elettorale sia del centrodestra che del centrosinistra. Ma mentre la destra non faceva che nuotare nel suo mare fatto da sempre di tolleranza zero e di esclusione del diverso, la sinistra, quella moderata, che proviene da una cultura dove invece rimane centrale la Dichiarazione dei diritti universali della persona, nel momento in cui l’abiura per meschini calcoli elettorali non può che risultare alla fine meno credibile del suo avversario.

Invece di contrapporsi alla falsità di questa emergenza che la stessa Chiesa ha negato e che serve solo a un ceto politico incapace di governare altrimenti, si è messa a rimorchio della destra; invece di produrre con decisione un immaginario e un simbolico diverso da quello costruito dagli spettri della paura con una proposta politica fortemente alternativa a quella della semplice militarizzazione del territorio, partorisce i soliti e beceri luoghi comuni sulla sicurezza. Forse avrebbe perso lo stesso ma almeno la sua sbandierata diversità sarebbe risultata meno opaca.

Che si combatta, ad esempio, con tutti i mezzi legali a disposizione e si punisca la violenza dei bulli, degli aggressori e degli stupratori è ovviamente cosa sacrosanta. Ma altrettanto cosa sacrosanta è avere il coraggio di dire con forza che non tutti gli immigrati sono aggressori e stupratori. Che si ribadisca in tutte le sedi che la lotta politica va situata dentro la democrazia, è anch’essa cosa sacrosanta.

Ma altrettanto cosa sacrosanta è saper indicare finalmente un "nemico" per organizzarsi come "parte", per restituire forza, orgoglio e rispetto a chi si sente diverso dal razzismo rozzo e superstizioso della casalinga frustrata, del bottegaio ingordo, del piccolo borghese ottuso, e da chi non frequenta quei terrificanti salotti televisivi, dove tra veline, gnomi e ballerine la conoscenza si ferma al pettegolezzo, al piagnisteo o a qualche culetto svolazzante. Ma, come ha scritto Enzo Scandurra su questo giornale, con spot pubblicitari come "I care" e "We can" al massimo ci puoi dirigere un supermercato non organizzare un’opposizione.

Il dramma della sinistra, soprattutto di quella moderata, è che non riesce più a prendere terra, a produrre conoscenza del territorio, delle culture e delle mentalità che lo attraversano, a fare analisi dei movimenti, a individuare nei mutamenti della stratificazione sociale il livello a cui dovrebbe far riferimento. Una carenza di una gravità inaudita soprattutto in una società del consumo che produce appartenenze e differenze proiettandole direttamente sul territorio che diventa così un contenitore esplosivo di particolarismi in continua lotta tra loro.

È il territorio e non la nuda vita a entrare a pieno titolo nel campo della decisione politica. E mentre scompare una pur sia minima pratica di intervento nei conflitti sociali, torna prepotentemente alla superficie il vecchio e mai sopito vizio statalista della sua cultura che vede tutto ciò che fuoriesce dalle istituzioni come qualcosa di perverso e di diabolico e di conseguenza la porta a non riuscire mai a sintonizzarsi con la irregolarità delle forme di lotta e con la collera sociale anti-sistema che le fomenta. Anzi, proprio perché non le conosce, ne ha paura e le criminalizza.

Giustizia: il "Piano carceri" del ministro Alfano, nel dettaglio

 

La Repubblica, 24 gennaio 2009

 

Il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera al Piano carceri. Tra i punti centrali, i poteri straordinari per il capo del Dap, Franco Ionta, e iter più veloci per l’edilizia carceraria. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano oggi ha spiegato che il problema del sovraffollamento non sarà affrontato come in passato, ricorrendo a indulti e amnistie, ma con la costruzione di nuovi istituti. I tempi indicati sono ridotti, il piano deve essere presentato entro 60 giorni, gli edifici dovranno essere "ecocompatibili" e per la loro costruzione il governo ha previsto anche il ricorso ai privati. Il provvedimento, ha spiegato poi il Guardasigilli, sarà inserito come emendamento nel decreto "milleproroghe".

L’edilizia. "Fino ad ora l’emergenza carceraria è stata affrontata solo con le amnistie e gli indulti. Con la realizzazione di nuove carceri abbiamo scelto di seguire un’altra strada", ha detto il ministro. L’obiettivo segnalato dal Guardasigilli è quello di accogliere in modo regolare oltre 60mila detenuti, mentre attualmente i posti regolari sono 43mila ( il limite tollerabile invece è di 63mila). "I criminali - ha argomentato Alfano - non possono smettere di andare in galera, perché non ci sono galere che possano ospitarli. Noi dobbiamo costruirne di nuove facendo sì che chi ci finisce sia trattato da uomo con piena dignità e con la possibilità di scontare la pena sperando nella rieducazione del detenuto".

Circuiti differenziati. La maggior parte dei penitenziari italiani, è stato ricordato, "sono stati realizzati tra il 1400 e il 1800" e dal 1944 al 2006 ci sono stati oltre quaranta provvedimenti di indulto e amnistia. Il titolare della Giustizia ha specificato che l’obiettivo è anche di creare "circuiti differenziati". "Non c’è motivo - ha detto Alfano - che i detenuti a bassa pericolosità siano ristretti come quelli ad alta pericolosità. Con le attuali strutture tutto ciò non è possibile".

Forme di finanziamento. Secondo quanto indicato dal piano, i nuovi edifici dovranno essere "eco-compatibili e ad emissioni zero". Le risorse per l’edilizia potranno seguire tre canali: "La cassa delle ammende, la corsia preferenziale che consente l’accesso ai fondi previsti dal decreto anticrisi e il ricorso a finanziamenti privati come accade in tanti paesi occidentali". In quest’ultimo caso Alfano ha garantito la "massima trasparenza" e spiegato che i privati potranno concorrere alla realizzazione dei nuovi penitenziari "con strumenti contrattuali innovativi come per esempio il project financing, oppure altri che possono essere immaginati". "Il Cdm - ha aggiunto - potrà dimezzare i termini relativi alle autorizzazioni proprio per rendere più corto l’iter di edificazione di nuove carceri".

L’iter del piano. Il governo ha scelto la strada del Milleproroghe e non del decreto per dimezzare di trenta giorni i tempi di conversione delle norme. Il dl Milleproroghe deve infatti essere convertito entro il primo marzo, mentre per un decreto specifico sulle carceri ci sarebbero voluti 60 giorni.

Il commissario straordinario. Secondo quanto spiegato dal Guardasigilli, Ionta avrà poteri speciali per accelerare la costruzione di nuovi istituti di pena e dovrà presentare il piano entro 60 giorni. Il suo compito è di prevedere l’allocazione delle nuove strutture e contemplare il fabbisogno finanziario. Il neocommissario, ha spiegato il ministro, potrà sostituirsi alle "amministrazioni inadempienti e ci sarà una riduzione dei tempi per i ricorsi amministrativi: le gare non verranno bloccate in fase di contenzioso".

Giustizia: carceri a energia solare, di vetro e materiali isolanti

di Dino Martirano

 

Corriere della Sera, 24 gennaio 2009

 

Carceri "leggere" per detenuti in attesa di giudizio. Nuovi edifici modulari costruiti su terreni demaniali con criteri ecocompatibili, sfruttando vetro, acciaio, materiali isolanti, pannelli fotovoltaici, lampade a basso consumo, caldaie ad alta efficienza termica e, magari, una tinta a basso impatto ambientale per i muraglioni dell’intercinta.

Questo, sulla carta, è il piano del governo che ha presentato un emendamento al decreto Milleproroghe (da convertire entro il 1° marzo) per conferire al direttore del Dap, Franco Ionta, la qualifica di commissario straordinario con il potere di sostituirsi alle amministrazioni inadempienti, così come lo ha avuto Guido Bertolaso per l’emergenza rifiuti a Napoli.

Ionta, magistrato del pool antiterrorismo, avrà 60 giorni per stilare "gli interventi necessari", avvalendosi anche della possibilità di dimezzare i tempi per l’adozione dei provvedimenti amministrativi. I fondi verranno presi dalla Cassa delle ammende (utilizzata fino ad ora per il reinserimento dei detenuti) ma, soprattutto, si ritenterà con i privati e il "project financing": chi costruisce ha in cambio la gestione dei servizi (mensa, lavanderia, manutenzione) che non sono di competenza esclusiva dello Stato (sicurezza e sanità). L’obiettivo è quello di colmare i circa 17 mila posti mancanti tra capienza (43 mila) e presenze reali in carcere (58.200).

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano conferma che questa è la strada per arginare il sovraffollamento visto che il governo non intende ricorrere all’indulto. Spiega il Guardasigilli al Corriere: "L’idea di pensare a carceri ecosostenibili ad emissioni zero mi è venuta con il ministro Prestigiacomo che ha posto la questione in consiglio e che io ho raccolto, così come è piaciuta al presidente Berlusconi. Noi dobbiamo considerare le carceri come tutti gli edifici ecosostenibili: cioè strutture che sfruttano al massimo le possibilità di efficienza energetica e di riciclaggio delle scorie. Puntiamo a un risparmio di energia perché si abbattono le emissioni di Co2 e gli eventuali costi aggiuntivi, tutti da valutare, sarebbero ammortizzati dal risparmio energetico".

Ma come se le immagina queste carceri verdi il ministro? "Nella costruzione degli edifici ecosostenibili si dà il massimo risalto all’utilizzo di vetro e acciaio con coperture e pavimento studiati per evitare la dispersione del calore. Ecco, questo potrebbe essere il carcere di nuova generazione: modulare, con edifici concepiti per essere ampliati successivamente". Alfano poi aggiunge che i nuovi istituti verranno costruiti nelle regioni dove ci sono più detenuti, anche per risparmiare disagi alle loro famiglie, nella logica dei differenti circuiti di sicurezza "che può portare al risparmio di un terzo del personale di custodia".

Questo è il piano. Ma la realtà segnalata nelle carceri vecchie e nuove è molto complessa. Esistono intere sezioni, a Pagliarelli come ad Opera, inutilizzate perché non ci sono agenti a sufficienza: "Abbiamo ben presente il problema", dice il ministro. Inoltre non è chiaro se il Dap spingerà per i piccoli istituti o per tre carceri da 5.000 posti là dove servono: Napoli, Roma e Torino.

Il Pd, poi, dice no alla privatizzazione e "Antigone" segnala che quello dei privati è stato solo un bluff. Infine, si venderanno Regina Coeli e San Vittore per fare cassa? "Bisognerà fare una valutazione generale - conclude Alfano - perché nelle più grandi città italiane vi sono grandissime strutture molto vecchie e poco efficienti come carceri che potrebbero essere grandi polmoni di sviluppo immobiliare".

Giustizia: Alfano; basta indulti, per i criminali costruiamo celle

 

Ansa, 24 gennaio 2009

 

Basta indulti o amnistie: i criminali "non possono smettere di andare in galera" perché non c’é posto. Se le carceri scoppiano (58.200 detenuti contro una capienza regolamentare di 43.066 posti), se ne costruiranno di nuove, anche con fondi privati, per garantire un aumento di 17mila posti letto in tempi brevi grazie ai poteri speciali assunti, entro il primo marzo, dal capo del Dap Franco Ionta, nominato commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, scende in conferenza stampa, a Palazzo Chigi, al termine di un consiglio dei ministri di circa due ore che nelle intenzioni - almeno fino a quando non è venuto al pettine il nodo intercettazioni da sbrogliare con An-Lega - doveva essere dedicato alla riforma del processo penale, primo step di un cammino verso più consistenti modifiche costituzionali (su Csm e carriere di giudici-pm).

Per ora il Guardasigilli incassa il via libera degli alleati al Piano Carceri, mentre le modifiche al processo penale arriveranno al primo Cdm di febbraio, vale a dire dopo aver ascoltare le "voci di periferia" dei distretti di Corte di Appello in occasione delle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario.

Le misure urgenti per contrastare il sovraffollamento penitenziario sono state varate sottoforma di dl, come avrebbe voluto il premier Berlusconi: sarà invece un emendamento al Milleproproghe, in scadenza il prossimo primo marzo ("così si guadagnano 30 giorni per la conversione", spiega Alfano, che ieri al Quirinale ha illustrato a Napolitano i motivi dell’urgenza). Entro il primo marzo Ionta assumerà poteri speciali che gli consentiranno di velocizzare (e persino dimezzare in casi di urgenza) i tempi per la costruzione di nuove carceri: in caso di ricorso amministrativo da parte della ditta esclusa dall’appalto i lavori non si bloccheranno.

In collaborazione con il ministero delle Infrastrutture, inoltre, il capo del Dap dovrà presentare entro 60 giorni un progetto con la mappa delle nuove strutture e il relativo fabbisogno finanziario. E ancora: i nuovi edifici dovranno essere "eco-compatibili, cioè a emissioni zero".

Per realizzarli si potrà attingere ai fondi della "Cassa delle ammende", su cui ora giacciono circa 170-180 milioni di euro fino ad oggi destinati a progetti di reinserimento dei detenuti (previsione, questa, che fa gridare allo scandalo Patrizio Gonnella dell’Associazione Antigone). I soldi saranno racimolati anche grazie alla "corsia preferenziale che consente l’accesso ai fondi previsti dal decreto anticrisi" e "al ricorso a finanziamenti privati come accade in tanti paesi occidentali".

In quest’ultimo caso Alfano garantisce la "massima trasparenza" e spiega che i privati potranno concorrere con strumenti innovativi, come ad esempio il "project financing’ (la ditta privata mette i soldi per le nuove carceri ma chiede di rientrare con un canone pagato dall’Amministrazione penitenziaria oppure con la gestione di servizi di lavanderia, mensa, etc.). Il piano che dovrà predisporre Ionta prevederà inoltre un circuito differenziato per i detenuti "a bassa pericolosità".

Probabilmente seguendo un’idea cara all’avvocato-parlamentare del Pdl e consigliere giuridico del premier, Niccolò Ghedini, vale a dire carceri leggere per i detenuti in attesa di giudizio (un numero che si aggira tra i 12mila e i 14mila) i quali verrebbero sistemati in strutture prefabbricate da costruire in otto-dieci mesi in aree demaniali. "Il circuito differenziato - dice Alfano - consentirebbe di ridurre di circa un terzo le esigenze di vigilanza. Se dovessero sorgere problemi ulteriori rispetto alla maggiore efficienza ce ne faremo carico".

Ma - fa notare Leo Beneduci, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria, Osapp - "già gli agenti sono sotto organico di 5mila unità tanto che alcuni padiglioni nuovi già pronti non vengono aperti. Se si vogliono aprire nuovi istituti, sarà inevitabile prevedere un incremento, e consistente, di poliziotti penitenziari".

Giustizia: bene Alfano ma ad aprile le celle saranno già piene

di Donatella Stasio

 

Il Sole 24 Ore, 24 gennaio 2009

 

Dice bene il ministro Alfano: "Il detenuto è una persona privata della libertà, non della dignità". Per la verità, lo avevano già detto, oltre 60 anni fa, i padri della Costituzione, ma le carceri italiane continuano a distinguersi per la mancanza di rispetto della dignità dei detenuti. E il cronico sovraffollamento peggiora le cose.

Ora il Governo dice che vuole voltare pagina, imboccando la strada dei "circuiti differenziati", in modo da garantire a ciascun detenuto uno specifico trattamento in base alla pericolosità. Anche questa non è una novità.

Basta leggere le "sacre scritture" del carcere (riforma e regolamento penitenziario, atti del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria): gli imputati da una parte, i definitivi dall’altra e, questi ultimi, distinti, a seconda della pericolosità, in "alta sicurezza", "elevato indice di vigilanza", 41-bis e "comuni". Ciascuno con un proprio circuito, rimasto sulla carta. Il "piano carceri" di Alfano dovrebbe puntare a renderlo concreto. Così dice il ministro. Sarebbe già un risultato.

Per ora, non si va oltre la nomina di un Commissario straordinario, incaricato di programmare la costruzione di nuove prigioni, con procedure più flessibili e in tempi più veloci. È tutto ancora da inventare e da vedere. Tempi, costi, ubicazione, modalità di progettazione, vivibilità. Potrebbe essere l’occasione di un vero cambiamento.

O trasformarsi, invece, in un’occasione perduta. Come per la giustizia: tutti dicono di volerla più rapida, efficiente ed equa, ma nessuna riforma seria ha mai tagliato il traguardo. L’emergenza carceri è come l’emergenza giustizia: perenne. Al di là dei "circuiti differenziati", Alfano ha spiegato che, comunque, l’obiettivo del Governo è portare il numero dei posti nelle carceri italiane da 43mila a "quello che una società moderna considera indispensabile": 60mila. "Abbiamo poco tempo e pochi soldi", ha ammesso il ministro. Non ha quantificato il "poco tempo" (mesi? anni?) né i "pochi soldi" disponibili e tantomeno quelli necessari.

Però ha dato la cifra esatta, aggiornata al pomeriggio del 22 gennaio 2009, della popolazione carceraria: 58.200 detenuti. Se i "nuovi ingressi" continueranno ad avere lo stesso ritmo dell’ultimo anno (800-1.000 al mese), si arriverà a quota 62mila tra aprile e maggio, più o meno quando il Commissario straordinario appena nominato presenterà il suo "piano" per la costruzione di nuove carceri "in tutta Italia". Un piano da approvare e, soprattutto, da realizzare.

Le nuove carceri "saranno strutture moderne", non "i bastioni ottocenteschi" di adesso, ha assicurato il guardasigilli; e saranno tirate su "rapidamente", non "in 10 anni", quanti solitamente ce ne vogliono per costruire una prigione (tempo sottostimato, visto che il carcere di Gela, progettato nel 1959 non è stato ancora aperto). Ma se non ci vorrà un decennio, forse cinque o quattro anni se ne andranno. Magari ne basteranno soltanto tre o due. Intanto, però, fra sei mesi le carceri torneranno a straripare come nel 2006, prima dell’indulto, superando quota 60mila detenuti.

È il prezzo di una politica criminale che moltiplica i reati e usa sempre più spesso il carcere come sanzione. Il Governo ha deciso di bandire indulti e amnistie e anche misure deflattive come la "messa alla prova" che, forse, vedrà la luce solo nel Ddl sul processo. "La nostra politica criminale non può trovare un freno nella mancanza di carceri", ha detto chiaramente Alfano. E allora, via alla costruzione di nuove prigioni. Ma "a misura d’uomo", promette il Governo. Chissà che non sia anche l’occasione per sbarazzarsi di una sessantina di vecchie galere, che succhiano soldi per ristrutturazioni e manutenzioni ma non sono né saranno mai "a misura d’uomo".

Giustizia: 150 milioni "congelati", farebbero umane le carceri

di Renato Farina

 

Libero, 24 gennaio 2009

 

Caro ministro Angelino Alfano, l’avviso, se dà retta a questo appello non ci guadagnerà neanche un briciolo di popolarità. La richiesta molto umile è questa: non distragga dal loro scopo i denari destinati a finanziare le attività di lavoro in carcere.

So che c’è l’intenzione di potare abbondantemente questo tipo di fondi voluti dalla legge e di destinarli all’edilizia carceraria. Sacrosanto fare prigioni nuove. Ma non si prendano i soldi dalla cassetta delle elemosine per tirare su muri i cui finanziamenti vanno cercati nelle zone di competenza. Ovvio: l’edificazione di celle decenti, creando spazi più umani, sia un contributo alla civiltà, e farà star meglio detenuti e agenti di polizia penitenziaria. Dunque benvenuti quegli investimenti. Ma non si può attingere dall’obolo della vedova: quello serve per il pane dei poveri.

Mi ascolti: sarà cosa buona e giusta, un atto da ministro della Giustizia non solo a parole. Tuteli quei quattro soldi, sono gesti buoni, per un’opera di misericordia, diceva Lucia all’Innominato, Dio perdona molte cose. Certo, so che in questo periodo è alle prese con questioni spinose. La riforma della Giustizia, le intercettazioni eccetera. Cose enormi.

E vi dovrà dedicare energie a quintali, si litigherà anche nella coalizione, figuriamoci coi magistrati. Sul tavolo del Consiglio dei ministri c’è però anche la roba minore cui ho accennato poco sopra. Ed è un problema: è facile sia sbarazzata senza un batter di ciglia, annegata tra mille sciocchezze. Ma questa è importante. C’è in ballo il futuro di tanta gente oggi carcerata, ma soprattutto la sicurezza di questo Paese e delle future generazioni. Mi spiego.

La Cassa delle Ammende è il forziere in cui finiscono le multe pagate come pena. La legge prevede espressamente che i suoi fondi servano a sostenere "programmi che attuano interventi di assistenza economica in favore delle famiglie dei detenuti e degli internati, non ché programmi che tendono a favorire il reinserimento sociale dei detenuti e degli internati anche nella fase di esecuzione di misure alternative alla detenzione".

C’è un guaio. Gli intoppi burocratici hanno tenuto in freezer i denari finora raccolti: sono centocinquanta milioni di euro circa. Bloccati. Ogni volta c’è un tappo che impedisce a questa bottiglia di bendiddio di essere versato nel bicchiere di chi sta provvedendo al recupero dei detenuti.

Libero su questi temi ha lanciato una campagna. Oltre al sottoscritto, hanno scritto Vittorio Feltri e Raffaele Costa. Non pietismi, ma calcolo economico. Sostegno alle comunità che ospitano come misura alternativa al carcere i condannati tossicodipendenti, sono tutti denari risparmiati per lo Stato.

Sia nel breve periodo (un detenuto in carcere costa circa centoventimila euro l’anno, trecentotrenta euro al giorno, in una comunità meno di cinquanta!). Ma anche a lunga distanza: la gente se riprende gusto alla vita e non si droga più, non delinquere, non riaffollerà le carceri. Chiaro il concetto, no?

Raffaele Costa, da autentico liberale, sa che la pena è giusta, ma la rieducazione anche. Su Libero ha scritto come non esista nulla di più utile per la sicurezza futura che il recupero lavorativo dei detenuti. Peccato che oggi non accada salvo casi limitatissimi. Va beh, nel carcere si dà la paghetta per chi ramazza, per chi cucina, ma non è lavoro vero, non dà prospettive. Sono il venti per cento dei detenuti. Solo il 5 per cento lavora per ditte private, in cooperative o esperienze vere di pasticceria, telefonia, fabbrica anche di gioielli.

Così gli esempi di industrie che investono nelle carceri, invece che assumere manodopera dall’estero, o delocalizzare in Cina o in Romania, sono insieme meravigliosi e rarissimi. Chi si dedica a queste imprese di autentica civiltà è lasciato a stecchetto dalla burocrazia.

Possibile? Ministro Alfano, lei è sensibile al tema. Tremonti che tiene la Cassa (semivuota) e Berlusconi che dirige la banda potranno per un istante far mente locale su questo tema serio, serissimo e di autentico risparmio finanziario e insieme investimento per la sicurezza. A Rimini, al Meeting, ha vistato una bella mostra, presto cercheremo di portarla alla Camera dei deputati. Si intitola "Vigilando redimere".

Chi lavora e impara un mestiere al 90 per cento non ricasca nel delitto. Per favore, ministro Alfano, convinca i suoi colleghi. I soldi per l’edilizia si trovino nelle casse dell’edilizia pubblica, non nella borsa della misericordia. Peschino da lì, se si deve: ma almeno poco…

Giustizia: così le galere diventeranno una… "grande opera"!

di Gemma Contin

 

Liberazione, 24 gennaio 2009

 

Se la politica carceraria del ministro di Giustizia Angelino Alfano va nella scia della politica della sicurezza di quello degli Interni Roberto Maroni, i risultati si vedranno quanto prima.

Uno dei pochi ad esserne beneficati sarà con certezza l’ex dirigente del Sisde Bruno Contrada, che per sua fortuna ieri è stato raggiunto dalla decisione del Tribunale di sorveglianza di Palermo, di prolungargli per altri nove mesi gli arresti domiciliari per motivi di salute. Fuori, quindi, dal supercarcere di Santa Maria Capua Vetere dove il settantottenne funzionario dei servizi dovrebbe scontare dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.

Tutti gli altri 58.127 detenuti non avranno le stesse opportunità. Sono 55.601 uomini e 2.526 donne. Dietro le sbarre con condanne definitive ci sono 26.587 persone, mentre quelle in attesa di "primo giudizio" sono 14.671. Altre 9.555 sono state condannate in prima istanza e aspettano il processo d’appello. I ricorrenti in Cassazione, con condanna confermata in secondo grado, sono invece 3.865. Gli "ospiti" stranieri sono 21.562, di cui 17.742 extracomunitari. La cosiddetta "capienza regolamentare" prevede 43.066 posti in 206 strutture, con un limite "tollerabile" fino a 63.586; saturato il quale, il sistema italiano va in ripetitiva e periodica crisi per "overdose".

Il ministro Alfano, nel presentare il suo progetto, ha precisato che non intende procedere né con amnistie né con nuovi indulti, ma ricorrendo all’ampliamento delle strutture restrittive presenti sul territorio nazionale, con la costruzione di nuovi istituti di pena. Il Consiglio dei ministri ha approvato.

Nella seduta di ieri, che al primo punto riportava "disposizioni urgenti per fronteggiare l’emergenza carceraria l’emergenza carceraria" (e al secondo "disposizioni urgenti per lo svolgimento delle prossime elezioni"), i ministri hanno infatti deliberato le linee guida della "riforma" della gestione delle patrie galere.

Innanzitutto si assegna la gestione del "piano carceri" al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) Franco Ionta, nominato "commissario straordinario per l’edilizia carceraria" tra le proteste del sindacato di polizia e del presidente di Antigone Patrizio Gonnella, che parla di un piano "inutile e dannoso. Inutile perché in Italia non si è mai visto costruire un carcere in sei mesi. A Gela ci sono voluto cinquant’anni. Dannoso perché alimenta nuove ondate "giustizialiste" che porteranno di nuovo all’affollamento penitenziario".

"Che senso ha spendere soldi pubblici per mandare in galera prostitute, clienti di prostitute, consumatori di droghe leggere e immigrati irregolari - chiede Gonnella - mentre in Italia la crescita dei detenuti è inversamente proporzionale alla cultura giuridica del Paese?" e, vien da dire, direttamente proporzionale ai tempi di durata dei processi?

Peraltro, il piano non ha copertura finanziaria. È contenuto nel famigerato "decreto milleproroghe" con cui tutti i governi fanno passare sotto il pelo dell’acqua quello che non possono infilare in Finanziaria. Si tratta di un sotterfugio con il quale si dà la stura a piccole o grandi deroghe ai provvedimenti ufficiali (in genere restrittivi perché sotto gli occhi dei controllori europei e degli analisti economici) previsti nella programmazione economica e finanziaria pluriennale.

Il decreto milleproroghe è infatti un escamotage , una scappatoia, una via breve per nominare il commissario straordinario con poteri speciali e velocizzare la costruzione di nuove carceri con i fondi della "cassa delle ammende", ricorrendo all’intervento dei privati. Nel disegno del ministro e del centrodestra c’è, infatti, la privatizzazione delle carceri.

"Abbiamo approvato un piano per offrire finalmente al nostro paese un assetto dell’edilizia carceraria al passo con i tempi - ha detto in conferenza stampa il Guardasigilli - con l’obiettivo di preservare la dignità dei detenuti".

Una strada obbligata, sostiene Alfano, quella del ricorso ai privati, per la costruzione "in ogni parte d’Italia" di nuovi edifici di detenzione, con "circuiti differenziati", dal carcere "leggero" alle strutture di massima sicurezza, "in modo che a ciascun detenuto sia attribuita una modalità di espiazione della pena in rapporto al suo grado di pericolosità sociale".

Una strada, quella della privatizzazione delle galere, "battuta in passato senza risultati concreti, perciò abbiamo intenzione di sottoporre all’attenzione di imprenditori italiani questa possibilità - ribadisce il ministro - e lo faremo con maggiore concretezza quando il piano sarà redatto, entro 60 giorni, dal capo del Dap in collaborazione con il Ministero delle Infrastrutture". Ecco. A tutto avevamo pensato, ma non che la galera potesse diventare una Grande Opera.

Giustizia: edilizia penitenziaria, storia di ruberie e inefficienze

di Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone)

 

Aprile on-line, 24 gennaio 2009

 

Il Cdm ha dato l’ok al provvedimento che sarà inserito come emendamento nel decreto "Milleproroghe". Il fine è quello di un iter più veloce per l’edilizia carceraria. Ma la storia della costruzione penitenziaria italiana è fatta di ruberie e inefficienze a cui oggi non si pone rimedio. Sarebbe opportuno rispondere all’emergenza con un nuovo modello penale e un nuovo senso sociale. Il piano carceri presentato oggi dal ministro della Giustizia Angelino Alfano e approvato dal Consiglio dei ministri a prima vista sembra aria fritta.

L’ex pubblico ministero anti-terrorismo e oggi capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta è stato nominato Commissario straordinario all’edilizia penitenziaria. Il suo compito dovrebbe essere quello di snellire le procedure per costruire nuove carceri.

La storia dell’edilizia penitenziaria italiana è una storia di ruberie e inefficienze. La prima tangentopoli nostrana fu quella delle carceri d’oro del ministro Franco Nicolazzi. I soldi finivano molto prima che le carceri fossero terminate. In alcuni casi le carceri furono inaugurate senza la pavimentazione. In altri i costi si triplicarono.

Lo ha riconosciuto la Corte dei Conti che in un famoso parere del 28 giugno 2005 sull’edilizia penitenziaria affermò: "la costruzione di nuove carceri, la ristrutturazione e l’ampliamento di quelle esistenti assorbono ingenti risorse finanziarie, ma non riescono a migliorare in modo tangibile le condizioni di vita dei detenuti, a causa del continuo aumento del loro numero. Gli stanziamenti del 1986, per complessivi 2.600 miliardi di lire, sono stati diluiti fino al 2000 vale a dire in un arco temporale di ben 13 anni, pari a più di tre volte quello originariamente previsto".

La costruzione del carcere di Gela fu iniziata nel 1959. Lo abbiamo denunciato con Luigi Manconi su www.innocenti evasioni.net: "I lavori non sono ancora conclusi ma sembrerebbe possibile che entro il 2009, dopo cinquant’anni e al costo complessivo di sei milioni e mezzo di euro, l’Amministrazione penitenziaria potrà infine disporre di cento nuovi posti detentivi." Il dimezzamento dei tempi evocato dal ministro Alfano in questo caso significherebbe avere un carcere dopo venticinque anni. Molto utile per affrontare l’odierno sovraffollamento.

Nulla invece ha detto il ministro su come fare per evitare ruberie da parte di privati. Anzi ha nuovamente evocato i privati e il project financing quale fonte di investimento. Un bluff. Basta guardare al passato per capire cosa accadrà in futuro. Quando ministro era il leghista Roberto Castelli ci provarono a coinvolgere i privati. Tutto finì nelle mani della magistratura.

Detto questo la questione va spostata su un altro piano. In Italia siamo ancora in piena era Bush, mentre gli americani se ne sono liberati. Vengono evocate ricette affaristico-securitarie socialmente pericolose. Affinché nessuno ci dica che noi siamo i soliti di sinistra solo buoni a criticare, qui di seguito elenco i punti della nostra ricetta carceraria: decarcerizzazione della vita quotidiana dei tossicodipendenti, depenalizzazione piena del consumo di droghe, riduzione delle pene per spaccio di sostanze stupefacenti, depenalizzazione dello status di immigrato irregolare, individuazione di nuove sanzioni penali non detentive per contrastare efficacemente la micro-criminalità, riduzione dell’uso della custodia cautelare in carcere ai casi di reale rischio di fuga o di grave pericolosità criminale.

Vorremmo che le forze dell’opposizione uscissero dal balbettio del pensiero unico e superata la paura del consenso ci aiutassero a costruire un nuovo modello penale e un nuovo comune senso sociale.

Giustizia: soldi Cassa ammende per nuove carceri? una truffa

di Stefano Anastasia

 

www.innocentievasioni.net, 24 gennaio 2009

 

"Il grado di civilizzazione di un Paese si misura dalle sue prigioni", scriveva circa un secolo e mezzo fa Fedor Dostoevskij. Il che significa che da quel fondo di bottiglia si ha uno sguardo veritiero sulle cose del mondo, e le cose del mondo vanno così: come ci ha spiegato il Ministro Tremonti, non è più tempo di finanza creativa, bisogna che lo Stato torni ad assumersi le proprie responsabilità.

E allora, chiusa la stagione neo-lib della Dike Aedifica Spa, la controllata di Patrimonio Spa, che avrebbe dovuto risolvere il problema della edilizia penitenziaria durante i governi Berlusconi bis e ter (e sappiamo com’è finita): ecco che, con il Berlusconi quater e la crisi finanziaria globale, è arrivato il tempo del caro, vecchio Commissario straordinario di Governo. Il Bertolaso delle carceri e degli investimenti pubblici per la costruzione delle carceri.

È questo, per il momento, il topolino partorito dalla montagna denominata "riforma della giustizia", il punto di incontro tra quelle forze della maggioranza che vorrebbero mettere più gente possibile in galera e quelle altre che, pur non avendo nulla da obiettare su questo incubo claustrofobico, si preoccupano che vi siano quanto meno spazi sufficienti per tutti. Ovvero: più galera per tutti e più galere per tutti.

Vale sempre l’obiezione che non saranno carceri costruite in cinque, dieci o venti anni a contenere il sovraffollamento penitenziario che non è di oggi, ma già di ieri. Se - come ha spiegato Roberto Cota ("il numero dei detenuti italiani non è eccessivo. Se avessimo la stessa proporzione degli Stati Uniti in carcere ci sarebbero 400.000 persone") - il punto di riferimento sono gli Usa pre-Obama, il Paese con il tasso di detenzione più alto del mondo e mediamente sette volte superiore a quello dell’Europa occidentale, altro che prefabbricati per i detenuti in attesa di giudizio, il Bertolaso delle carceri dovrà attrezzarsi con le tende da campo, come si usa - appunto - nella protezione civile.

Ma ciò che è più grave nella decisione del Governo è la vera e propria truffa operata ai danni dei detenuti: l’investimento pubblico nell’edilizia penitenziaria prevede l’acquisizione delle risorse finanziarie della Cassa delle ammende: una cifra che supera di gran lunga i cento milioni di euro e che dovrebbe essere destinata all’assistenza economica delle famiglie dei detenuti e ai programmi per il loro reinserimento sociale. Niente male per il nostro Robin Hood: prende ai poveri per metterli in galera. Dal carcere al carcere. E così l’ambiziosissimo progetto di "400.000 detenuti" - che finalmente ci metterebbe "al passo con l’America" - non appare poi così irraggiungibile.

Giustizia: Marroni (garante Lazio); piano Alfano è irrealistico

 

Ansa, 24 gennaio 2009

 

"Costruire nuove carceri non è cosa che possa essere fatta in breve tempo, per questo giudico illusorie le misure presentate oggi dal ministro della giustizia Alfano". È quanto dichiara in una nota il coordinatore nazionale della Conferenza dei garanti dei detenuti Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio. "Prima ancora di pensare a nuove carceri - ha aggiunto - si dovrebbe pensare a trovare il personale per far funzionare quelle già costruite e chiuse per mancanza di agenti. Nel Lazio, ad esempio, c’è la struttura di Viterbo, realizzata a tempo di record con 400 posti, chiusa per mancanza di personale. E di casi come questi ce ne sono molti altri in Italia".

"Quello delle nuove carceri è in falso problema - ha concluso Marroni - soprattutto se si pensa che i detenuti in attesa di sentenza definitiva sono oltre la metà dei reclusi nelle carceri italiane. La vera soluzione cui il Parlamento dovrebbe pensare, è la decarcerizzazione del nostro sistema giudiziario con un ampio ricorso a misure alternative, ma non per questo meno dure e dissuasive, al carcere. Era questa la strada tracciata nella nuova bozza di codice penale preparata la scorsa legislatura dalla Commissione Pisapia. Una bozza che giace dimenticata nei cassetti del ministero di giustizia che, forse, il ministro Alfano dovrebbe leggere."

Giustizia: Rao (Udc); bene piano Alfano ma problemi restano

 

Asca, 24 gennaio 2009

 

"Apprezziamo il nuovo piano carceri varato dal governo, è un passo in avanti importante, nella misura in cui si terrà conto di 4 fondamentali questioni: trasparenza delle procedure di affidamento; principio di effettività del compito rieducativo della pena sancito dalla costituzione con l’assunzione immediata dei vincitori degli ultimi due concorsi per educatori penitenziari e psicologi; predisposizione e attuazione di accordi internazionali di rimpatrio con i paesi di provenienza di gran parte dei detenuti extracomunitari; strategie alternative di controllo dei responsabili di fatti lievi tramite l’uso del braccialetto elettronico".

Lo afferma in una nota Roberto Rao (Udc) componente della commissione Giustizia della Camera dei deputati. "Solo affrontando con decisione questi punti, unitamente alla positiva volontà di creare strutture sempre più differenziate a seconda della tipologia dei reati, si garantirà al nostro paese - sottolinea Rao - un nuovo, moderno e sempre più rispettoso della dignità delle persone sistema carcerario".

Giustizia: Castellano; giusto differenziare detenuti in "circuiti"

di Giulia Bonezzi

 

Il Giorno, 24 gennaio 2009

 

Parla Lucia Castellano, direttrice del carcere milanese di Bollate, che fa eccezione in Italia: 750 carcerati su 970 posti.

"Circuiti differenziati": è uno degli obiettivi del piano carceri approvato ieri dal Consiglio dei ministri, uno dei pochi sui quali il governo abbia trovato una sponda nel Pd. Nelle parole del Guardasigilli Angelino Alfano: "Non c’è motivo che i detenuti a bassa pericolosità siano ristretti come quelli ad alta pericolosità".

Al carcere di Bollate, questo accade "da più di otto anni. Applichiamo la custodia attenuata dal 2000, quando il regolamento di esecuzione della legge penitenziaria ha aperto questa possibilità". A parlare è Lucia Castellano, direttrice del penitenziario milanese. Una mosca bianca nell’Italia delle celle sovraffollate: 750 detenuti per 970 posti. Con 60 letti liberi nella sezione femminile perché, se lo spazio non manca, a Bollate c’è carenza di poliziotte.

 

Che significa custodia attenuata?

"Più spazio e libertà di movimento, anzitutto all’interno del carcere. Poi l’orientamento al fuori, puntando sul reinserimento attraverso le misure alternative e il lavoro esterno, autorizzato dal direttore con l’approvazione di un magistrato".

 

Vi accede solo chi è condannato per reati minori?

"Il criterio non è il reato ma la pericolosità sociale, che è legata al contesto. Un uxoricida può essere meno pericoloso di un narcotrafficante".

 

I carcerati di Bollate hanno spalato i marciapiedi dopo la nevicata dell’Epifania. Di solito che fanno?

"Ad esempio, lavorano come spazzini per l’Amsa (l’azienda rifiuti, ndr), o al canile, grazie a un progetto con il Comune di Milano. Al momento, 73 detenuti lavorano all’esterno. Nella sezione dedicata ci sarebbero 100 posti".

 

Perché non sono occupati?

"Di questi tempi non è facile trovare lavoro neppure per chi non sta in carcere. Anche nella sezione femminile, che ha capienza identica, è operativo solo un piano su tre".

 

Calo della domanda?

"Mancanza di poliziotte: a Bollate ce ne sono 17, ne servirebbero almeno altre 20. L’organico è debole anche sul fronte dell’amministrazione, al punto che spesso i poliziotti sono costretti a provvedere al lavoro d’ufficio, e degli assistenti".

 

E per il reinserimento come fate?

"Abbiamo tantissimi progetti ponte in collaborazione col privato sociale".

 

La formazione in cella?

"All’interno abbiamo scuole di ogni ordine e grado: dall’alfabetizzazione per stranieri al diploma di perito aziendale, e ci sono anche 25 studenti universitari. Entro quest’anno inaugureremo il Polo Universitario, in collaborazione con la Provincia di Milano e l’ateneo Bicocca: celle singole, reparto attrezzato con computer e sale studio, operatori per favorire la comunicazione tra interno ed esterno".

 

L’emendamento inserito nel decreto Milleproroghe servirà ad alleggerire la pressione sulle carceri italiane?

"Sessantamila posti non sono sufficienti. Ma fossero anche 100 mila, sarà sempre un pozzo che si riempie, finché il carcere resterà l’unica risposta. Occorre ripensare il sistema di repressione penale, riducendo la prigione all’extrema ratio. In Italia, i detenuti comuni sono 34 mila. Trentaquattromila potenziali utenti dei percorsi di decarcerizzazione".

 

Come valuta l’apertura ai privati nell’edilizia carceraria?

"Se si parla di costruire, è un non problema: hanno sempre partecipato alle gare d’appalto. Affidare la gestione delle carceri ai privati sarebbe folle".

Giustizia: Sappe; Ionta commissario dovrà giudicare se stesso

 

Comunicato Sappe, 24 gennaio 2009

 

È quantomeno singolare che ad essere nominato Commissario straordinario delle carceri italiane sia stato scelto l’attuale Capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta. Ionta, infatti, è aspramente contestato dal Sappe e da tutti gli altri Sindacati della Polizia penitenziaria per non aver fatto nulla, da quando si è insediato al Dap più di sei mesi fa, per le innumerevoli criticità dei penitenziari del Paese e le gravosi condizioni di lavoro delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria ed una mancanza di confronto con le OO.SS.

Il paradosso, con l’incarico che gli ha attribuito oggi il Consiglio dei Ministri, è che Ionta dovrà anche controllare quello che ha fatto - o meglio è dire non ha fatto - l’Amministrazione guidata da Ionta stesso. Speriamo che per aumentare i posti nelle sezioni detentive non si limiti a suggerire di ricorrere ai letti a castello, così che dove oggi dorme un detenuto domani ne possono dormire due e i posti nei penitenziari magicamente raddoppiano, a tutto discapito della sicurezza e delle condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari.

Una soluzione, questa, peraltro già da tempo adottata in molti carceri del Paese abbondantemente sovraffollati. Ci aspettiamo che il Commissario straordinario delle carceri italiane Ionta si preoccupi anche del Personale di Polizia penitenziaria, visto che lui è il Capo del Corpo e per questo percepisce un considerevole benefit economico".

È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria, in relazione alle decisioni assunte oggi nel Consiglio dei Ministri circa la situazione carceraria del Paese.

Aggiunge Capece: Diciamo sì alla costruzione di nuove carceri, come ha indicato il Ministro della Giustizia Alfano, ma necessariamente solo dopo aver adeguato gli organici della Polizia penitenziaria, carente già oggi di 4mila unità.

Se la strada del Governo sembra essere quella di costruire nuove carceri, questo vuole dire necessariamente assumere nuovo Personale, di Polizia e del Comparto Ministeri (oggi entrambi nettamente sotto organico); vuol dire stanziare fondi e risorse. Se le attuali dotazioni organiche sono già insufficienti per le esigenze relative all’epoca della loro individuazione, non vi è dubbio che la situazione sia andata ancor di più aggravandosi a seguito dell’apertura, dopo il 2000, di nuove strutture penitenziarie, della realizzazione dei nuovi padiglioni detentivi e della ristrutturazione di sezioni detentive inutilizzate.

Il Sappe auspica infine che il ministro Alfano definisca quanto prima con il Ministro dell’Interno Roberto Maroni quel decreto interministeriale Interno e Giustizia, incomprensibilmente sospeso, finalizzato a disciplinare il progetto che prevede l’utilizzo della Polizia Penitenziaria all’interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) per svolgere in via prioritaria - rispetto alle altre forze di Polizia - la verifica del rispetto degli obblighi di presenza che sono imposti alle persone ammesse alle misure alternative della detenzione domiciliare e dell’affidamento in prova.

Giustizia: Mascolo (Magistrato); in Italia la pena non si sconta

Giorgio Barbieri

 

La tribuna di Treviso, 24 gennaio 2009

 

"Il vero problema è che in Italia non si scontano le pene. Anni fa mi si presentarono davanti dei cittadini dell’est Europa ed erano letteralmente terrorizzati. Oggi un processo penale è visto più che altro come un fastidio. E mi sembra che sarà sempre peggio".

A descrivere in questo modo lo stato della giustizia nel nostro Paese non è un politico, ma un addetto ai lavori: il giudice Angelo Mascolo che nel novembre scorso ha lasciato il Tribunale di Treviso per insediarsi, sempre nell’ambito del penale, a Conegliano, Montebelluna e Castelfranco.

 

Tre dei quattro fermati con l’accusa di essere gli aguzzini di Musano hanno molti precedenti penali per furti e rapine. L’opinione pubblica si chiede come sia possibile che queste persone siano libere di terrorizzare i cittadini. Come mai, nonostante siano conosciutissimi, nessuno li abbia fermati.

"È una questione di leggi. Il nostro Codice prevede misure troppo spesso ispirate al perdonismo. Faccio un esempio: se una persona mi minaccia con in mano una falce, davanti a dieci testimoni, non è previsto che vada in galera. Mentre per quanto riguarda la rapina, la decisione è lasciata alla discrezionalità del giudice. E forse il problema sta proprio in quest’ultimo passaggio. Il legislatore ha lasciato troppa discrezionalità ai giudici".

 

Per quale motivo i politici, sempre pronti ad accusare i magistrati di aver lasciato liberi i criminali, hanno dato carta bianca?

"Posso rispondere in due modi. A pensar bene dico che la discrezionalità è stata data al giudice per permettergli di valutare i fattori che gli si presentano davanti di volta in volta. A pensar male dico che i politici in questo modo sono liberi di criticare la magistratura, tralasciando che sono loro a far le leggi".

 

E tutto questo in cosa si traduce?

"Nel disastro assoluto della nostra legislazione. In Italia non esiste la certezza della pena, i processi non finiscono mai e di conseguenza i cittadini non sono tutelati. Sarò pessimista, ma la situazione mi sembra ormai compromessa e non vedo la volontà del Parlamento di fare qualcosa per cambiare".

 

In questi giorni si sta anche parlando della riforma della Giustizia. Da quanto ha avuto modo di leggere va incontro alle esigenze dei cittadini?

"Anche in questo caso sono pessimista. Non credo che separando le carriere dei magistrati i processi diventino più veloci. Per aiutare la giustizia italiana ci vorrebbero, prima di tutto, più soldi. Non è possibile che per avere un codice da 30 euro o aspetto settimane o devo spenderli di tasca mia. Manca il personale. Un giovane avvocato può far rinviare un processo per anni sfruttando tutte le lacune. E poi c’è il problema delle carceri. Perché, al posto di costruire il ponte di Messina, non ne costruiscono altre?".

 

La magistratura non ha colpe?

"Sono da dividersi al cinquanta per cento con i politici. Il nostro sistema di reclutamento è degno del Settecento. Non si può lasciare un ragazzo di 28 anni, dopo che ha vinto il concorso, senza una guida. Dovrebbe essere costretto a fare il poliziotto, la guardia giurata, il cancelliere. E solo alla fine il magistrato. Prima deve capire come funziona il mondo".

Giustizia: Idv; il 28 in piazza, per dire no alla contro-riforma

di Pancho Pardi (Senatore dell’Italia dei Valori)

 

Aprile on-line, 24 gennaio 2009

 

Dopo il caso del procuratore di Salerno Apicella e soprattutto alla luce del tentativo in atto da parte del governo Berlusconi di mettere mano al sistema giudiziario, un appuntamento il 28 gennaio a Roma per opporsi all’ennesimo attacco verso la democrazia. Partecipano l’Idv, ma anche i meet-up di Grillo.

L’iniziativa è stata presa dall’Associazione familiari vittime della mafia. Preoccupati e indignati per le misure decise dal Consiglio superiore della magistratura nei confronti del procuratore di Salerno Luigi Apicella. Il giudice salernitano è stato infatti punito per l’indagine condotta in merito alla procura di Catanzaro in misura maggiore di quanto lo sia stata la stessa procura di Catanzaro, che aveva inceppato il lavoro inquirente del giudice Luigi De Magistris. Il caso di Apicella ha spinto i promotori dell’iniziativa ad avanzare l’idea all’opinione pubblica di organizzare una manifestazione per la giustizia.

Hanno aderito i meet-up di Grillo e sarà forse presente lo stesso Beppe Grillo. Ha aderito l’Italia dei Valori e ci sarà Antonio di Pietro. Sarà presente Carlo Vulpio, il giornalista del Corriere della Sera esautorato dall’inchiesta condotta a lungo sulle opacità della Procura di Catanzaro e sui boicottaggi subiti da De Magistris.

L’appuntamento, inizialmente indicato a piazza della Repubblica, è stato fissato per il 28 gennaio a piazza Farnese nelle ore tra le 9 e le 14. La giustizia è insieme all’informazione il tema dominante dell’azione condotta dai soggetti della società civile. Le leggi ad personam a vantaggio di Berlusconi hanno sciolto il presidente del Consiglio da ogni vincolo verso le leggi e hanno così annichilito il principio fondamentale dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alle norme.

Ma il capo del governo non si accontenta. La sua aspirazione è quella di sottrarre alla magistratura uno degli strumenti più efficaci di indagine che essa ha a disposizione: le intercettazioni telefoniche. Quello che il premier sta attuando è una "controriforma" della giustizia che sottoponga i pubblici ministeri al controllo governativo.

È storia del resto il suo sostegno, con tutti i mezzi possibili, all’offensiva nei confronti dei magistrati che operano nelle condizioni di autonomia e indipendenza, sancite per altro dalla Costituzione. E con l’esercizio più sfacciato del suo strapotere mediatico mistifica ogni giorno costantemente la realtà della giustizia in Italia: i politici, soprattutto quelli della sua parte, sono dipinti come povere vittime e i magistrati come inquisitori politicizzati e nemici. Per dire no a questo processo l’appuntamento è a Roma, in piazza Farnese, il 28 gennaio. Una iniziativa che ci riguarda tutti, che deve coinvolgere i cittadini che hanno a cuore la salute della Repubblica.

Giustizia: Anm; non sempre lo stesso rigore contro magistrati

 

Ansa, 24 gennaio 2009

 

Se nel caso di Salerno si è arrivati a stabilire in tempi rapidi la fondatezza di un’accusa disciplinare, "purtroppo lo stesso non è sempre accaduto prima". L’accusa arriva dall’Associazione nazionale magistrati.

"Magistrati professionalmente inadeguati o addirittura collusi con le diverse forme di potere illegale - spiega l’Anm - non hanno subito analogo rigore da parte degli organi disciplinari". "Sulla vicenda di Catanzaro - aggiunge - si è intervenuti in ritardo e in maniera inadeguata, lasciando nell’opinione pubblica e nei colleghi un senso di insoddisfazione e di incompiutezza. Una indagine giudiziaria è stata prima ostacolata dal dirigente dell’ufficio e poi illegittimamente avocata dal procuratore generale.

Comportamenti che certamente non possono giustificare le gravi e inaccettabili torsioni degli strumenti processuali che pure si sono verificate, ma sui quali sarebbe stato doveroso intervenire con altrettanto rigore e tempestività". "Così come riteniamo necessario - prosegue l’Anm - che le indagini in corso non vengano obliterate ma siano condotte a termine senza indugi".

"Siamo consapevoli del fatto che la scelta della associazione di esprimere con chiarezza il proprio punto di vista su questa vicenda, rompendo una tradizione consolidata abbia creato discussione, dibattito e divisioni", dice ancora l’Anm.

"Noi vogliamo proseguire, non con le parole ma con i fatti, in un percorso di rinnovamento della magistratura e dell’ associazionismo - prosegue l’Anm - che porti al superamento delle logiche di appartenenza correntizia nel governo della magistratura e del corporativismo nel suo significato di difendere a tutti i costi qualsiasi condotta dei colleghi che non risponda a canoni di deontologia professionale.

Ma riteniamo, anche, che il dovere del magistrato non sia quello di combattere il male con qualunque mezzo, bensì di applicare la legge". "È interesse dei cittadini - dice l’Anm - che non vi siano magistrati collusi con il potere, ma magistrati professionalmente adeguati che sappiano esercitare il controllo di legalità nel pieno rispetto delle regole". "Se ciò non accadesse - conclude - non avrebbe senso e ragione difendere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura".

Giustizia: Fazio; vigileremo su riforma di Sanità penitenziaria

 

Ansa, 24 gennaio 2009

 

Massima attenzione sulla riforma dell’assistenza sanitaria ai detenuti. Parola del sottosegretario al Welfare, Ferruccio Fazio, in occasione della presentazione della Carta dei diritti per la salute in carcere organizzata dalla Fp-Cgil: "Vigileremo sull’applicazione della legge e aspettiamo la convocazione della Conferenza Stato-Regioni - ha spiegato -. Questo decreto consente il pieno diritto e la piena possibilità per medici e paramedici di essere parte del Servizio sanitario nazionale e non più come prima discriminato".

Giustizia: un esercito di ammalati, quello che popola le carceri

di Davide Madeddu

 

L’Unità, 24 gennaio 2009

 

Con la reclusione, molto spesso, arrivano le malattie. È un esercito di ammalati quello che popola le carceri d’Italia. Tra celle strette e umide e acqua calda che, molto spesso arriva a singhiozzo i detenuti devono fare i conti anche con i problemi di salute. Che non sono solo quelli provocati dalla tossicodipendenza e dall’alcol dipendenza ma si riguardano anche altre patologie che vanno dall’epatite alla tbc, dalla schizofrenia alle cardiopatie. "Il problema è serio e non può essere sottovalutato - spiega Francesco Ceraudo, dirigente responsabile del dipartimento medicina penitenziaria della Toscana e dirigente nazionale dei medici penitenziari - la situazione sanitaria nelle carceri continua a peggiorare, gli spazi sono sempre più stretti e i disagi così come i problemi di salute si accentuano dato che abbiamo quasi raggiunto la quota delle 60mila presenze".

È lungo l’elenco di malattie con cui devono fare i conti detenuti e operatori. La percentuale più alta di problemi di salute, secondo i dati elaborati negli ultimi tre anni dai medici penitenziari riguarda la tossicodipendenza che raggiunge la quota del 24 per cento. All’interno delle carceri però il 15 per cento dei detenuti deve fare i conti con le malattie osteoarticolari e un altro 15 per cento con le malattie epatobiliari. La depressione e le altre manifestazioni psicopatologie interessa quasi il 12 per cento dei detenuti mentre quelle gastrointestinali il 10 per cento della popolazione reclusa. A sfogliare l’elenco di malattie, casi e percentuali stilata dai medici penitenziari si scopre anche che, accanto ai detenuti colpiti da malattie cardiache (il cinque per cento) ci sono anche coloro che devono fare i conti con le malattie mentali (un altro cinque per cento), le malattie respiratorie (il nove per cento), quelle neurologiche. Il 14 per cento dei detenuti poi deve fare i conti con i problemi provocati dal deficit della masticazione.

"La riforma promossa dal centrosinistra ci permette di fare un passo avanti - prosegue Ceraudo - ma c’è ancora molto da fare perché nelle carceri, soprattutto in quelle tra Campania, Basilicata e Calabria la situazione è drammatica". Senza dimenticare poi l’aspetto dei suicidi. "In Italia si registra il doppio dei suicidi rispetto alla Spagna - prosegue Ceraudo - questo dato, 46 contro i 23 non deve in alcun modo essere sottovalutato. È ora di finirla con la concezione del carcere come discarica sociale". Dello stesso avviso anche Gianfranco Macigno, responsabile settore penitenziario della Cgil.

"La nuova finanziaria nazionale prevede un taglio del quaranta per cento delle risorse - dice - è chiaro che questo fatto non può che incidere sulla vita all’interno delle carceri, rendendo più drammatiche quelle situazioni che, alla fine, non fanno che provocare disagi e problemi alla salute degli abitanti". Punta il dito contro i tagli alle risorse economiche anche Patrizio Gonnella, presidente di Antigone: "con minori risorse e un numero sempre maggiore di detenuti è chiaro che alla fine la situazione continui a peggiorare".

Riccardo Arena, conduttore di Radiocarcere su Radio radicale e del portale www.radiocarcere.com per denunciare la situazione non una giri di parole. "Premettendo che la situazione è a macchia di leopardo è bene chiarire che le storie di disperazione dietro le sbarre provocate dai problemi di salute sono numerosissime - dice - ogni giorno arrivano valanghe di lettere con cui si chiede aiuto". Un esempio? "C’è la storia di un detenuto che si chiama Giovanni e sta al Buon Cammino di Cagliari che da due anni aspetta la dentiera - dice - oppure quella di un detenuto del carcere di Carignola dove un detenuto si è fatto levare un dente dai compagni di cella perché stava troppo male".

Torino: la condanna diventa definita, 72enne muore di infarto

 

La Stampa, 24 gennaio 2009

 

Per decenni magistratura e forze dell’ordine avevano indagato su di lui, sospettando che fosse un boss della ‘ndrangheta trapiantato in Piemonte: ieri è diventata definitiva la sua prima (e unica) condanna per associazione mafiosa, e oggi Rocco Lo Presti è morto nel reparto detenuti dell’ospedale torinese delle Molinette. Aveva 72 anni ed era malato da tempo. Un attacco cardiaco lo ha stroncato poche ore dopo il trasferimento (eseguito da personale della polizia e dei carabinieri) dall’ospedale di Orbassano.

Nato a Marina di Gioiosa Ionica, Lo Presti si era insediato in alta Valle di Susa negli anni Sessanta. Secondo un pentito era uno dei capi dell’articolazione territoriale dell’organizzazione (in gergo chiamata il "Locale"), nato nei primi anni Settanta e controllato dal clan Mazzaferro e, da Bardonecchia, dove aveva un negozio, gestiva e controllata il settore dei lavoro edili. Solo nel 1995, però, gli inquirenti riuscirono a raccogliere indizi sufficienti per mandarlo sotto processo. Alcuni anni fa, dopo la condanna in primo grado per mafia, era incappato anche in un procedimento per usura.

Reggio C: 80enne arrestato, ma aveva tachipirina non cocaina

 

Apcom, 24 gennaio 2009

 

Tre mesi in carcere per aver detenuto in casa della tachipirina. È quanto accaduto ad un 80enne di Reggio Calabria, che tre mesi fa è stato arrestato per possesso di sostanza stupefacenti dagli uomini della Guardia di Finanza della città dello stretto. La vicenda paradossale si è consumata a Sambatello, rione alla periferia nord di Reggio Calabria: una telefonata anonima avverte i finanzieri che in un casolare dentro un terreno agricolo c’è della cocaina. Parte la perquisizione, ed in effetti, gli uomini del Gico, dentro una busta utilizzata per congelare gli alimenti, trovano della polvere bianca.

Per il proprietario 80enne scattano le manette e l’uomo viene rinchiuso in carcere. Dopo tre giorni, il Gip nel corso dell’interrogatorio concede all’anziano gli arresti domiciliari. I legali dell’uomo fanno ricorso al Tribunale della libertà, dove l’anziano si dice vittima di una vendetta e disconosce il contenuto dell’involucro ritrovato. Per i giudici del riesame, però, la versione non è credibile e gli confermano gli arresti.

Ieri, dopo tre mesi, sono arrivati i risultati degli esami sulla polvere sequestrata: "tachipirina in polvere", stabilisce il referto. L’anziano, ex dipendente comunale di Reggio Calabria e incensurato, è stato subito scarcerata con tante scuse.

Firenze: Saccardi (Pd); l’Opg è in "evidente stato di degrado"

 

Il Tirreno, 24 gennaio 2009

 

Continua il programma di visite alle strutture del sistema detentivo toscano del consigliere regionale del Pd Severino Saccardi, che si è recato in visita all’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo. "La realtà degli ospedali psichiatrico-giudiziari - spiega Saccardi - presenta, da tempo, contraddizioni ed "elementi di sofferenza" del tutto specifici. Particolare è, per definizione, la condizione dei reclusi che sono, nello stesso tempo, detenuti e persone bisognose di attenzioni, di cure e di terapie adeguate". "La struttura di Montelupo - aggiunge Saccardi - ha alle spalle una storia lunga e complessa. Situata in una villa medicea, di notevole valore, ridotta però in uno stato di evidente degrado, essa sembra vivere in una condizione di perenne transizione.

Una condizione di cui i ricoverati-reclusi pagano evidentemente le conseguenze". "In attesa - conclude Saccardi - di un’eventuale nuova struttura da destinare alla cura degli internati e di un auspicabile recupero (ed una nuova destinazione) della Villa Ambrogiana, bisogna prestare ogni attenzione alle particolari ed attuali condizioni, di difficile sostenibilità, dell’ambiente di Montelupo.

Sullo sfondo sta il tema, di carattere generale, degli ospedali psichiatrico-giudiziari, che si inquadra nel più generale dibattito sull’umanizzazione della pena e su una nuova connessione fra riforma delle istituzioni totali e società.

Modena: è emergenza; non ci sono più brande per i detenuti!

 

Comunicato Sappe, 24 gennaio 2009

 

Grave sovraffollamento di detenuti presso la Casa Circondariale di Modena: ad oggi, ultimo dato, ne risultano ristretti ben 513. Un dato mai avvertito prima d’ora, essendosi in passato le maggiori e forti criticità fermatesi a non oltre 350 ospiti.

Per questo motivo, in presenza di possibili ulteriori ingressi di soggetti provenienti dall’esterno, non si riuscirebbe a garantire a questi una branda in cella, con l’inevitabile sistemazione dei malcapitati addirittura fuori dalle camere detentive e, forzatamente, a dormire addirittura sul pavimento.

L’Autorità Dirigente del carcere di Sant’Anna (Dr. Paolo Madonna) e il Responsabile dell’area sicurezza (Commissario - Dr. Mauro Pellegrino), hanno in più circostanze allertato gli organi dipartimentali, nondimeno le OO.SS., cercando di suscitare nelle Istituzioni un giusto risentimento per un’ormai non più rinviabile problema.

Questo fattore non consente di garantire l’applicazione della normativa vigente in materia di sicurezza, nondimeno di igiene e applicazione corretta delle normali regole trattamentali. Al cospetto di un organico esiguo nei numeri oltremisura fa da contraltare il pazzesco affollamento nell’istituto di cui trattasi.

Il dato di certo non entusiasmante e di assoluta preoccupazione, rende difficile e poco gestibile "ingorghi" di vario genere: dalle traduzioni (inevitabilmente triplicate), alla civile convivenza tra gli stessi detenuti (che vedendo i loro già esigui spazi ancor di più ridotti, possono arrecare rischi di svariata natura e attentare in maniera notevole al mantenimento e al rispetto della sicurezza e disciplina all’interno dello stabilimento penitenziario).

Il Vice Segretario Regionale Sappe, Dr. Francesco Campobasso, si dice "avvilito per la precaria condizione in cui si è chiamati ad operare all’interno del carcere modenese. Solo grazie alla professionalità e all’ingente sacrificio dell’esiguo personale in servizio presso la Circondariale di Modena, fino ad oggi si è riusciti ad evitare conseguenze deleterie. Le Istituzioni - continua Campobasso - sono perfettamente a conoscenza della gravità del carcere di Sant’Anna e pertanto ci si auspica quanto prima un fattivo intervento in merito".

Anche altri esponenti della segreteria provinciale e locale del sindacato maggiormente rappresentativo incalzano: "anche per le traduzioni siamo sempre in strada, raddoppiando i già elevati numeri statistici in ordine ai movimenti quotidiani. Chiaramente - riferiscono all’unisono Gennaro Caruso, Lucio Stefanelli e Miggiano Luigi - l’elevato numeri dei presenti all’interno del carcere, acuisce ancor di più il dramma di una situazione che alcuno degli operatori in servizio presso il Sant’Anna ha contribuito a determinare".

Con un organico di poliziotti penitenziari al di sotto dei limiti minimi come entità numerica e con 513 detenuti, è forte il rischio (anzi altamente probabile) che accasando i detenuti in spazi alternativi alle celle questi possano andare incontro a vicende poco gradevoli addirittura dal punto di vista sanitario. L’auspicio è di sollecitare anche le locali istituzioni, sempre attente ai problemi legati alla sicurezza.

Cagliari: la vecchia azienda agricola restituisce vita a detenuti

di Giampaolo Meloni

 

La Nuova Sardegna, 24 gennaio 2009

 

Nella piana fertile del Cixerri cresce la riabilitazione dei detenuti. Chi può abbandonare il carcere con qualche anno d’anticipo e concludere l’espiazione all’esterno (un servizio ministeriale istituito nel 2005), fuori dalle mura della cella, arriverà da queste parti, nella distesa livellata che si allunga fino a Cagliari, e ricostruire la propria vita, trovare una porta aperta per imboccare la società da cui si era brutalmente distaccato.

Da una vecchia azienda agricola nasce il progetto "Solki", nome originario di Sant’Antioco. Originario della cittadina sulcitana era il primo ragazzo ammesso al reinserimento con il meccanismo del fine pena fuori dalla restrizione carceraria. Tra Villamassargia, Iglesias e Domusnovas, prende forma un’impresa che mette insieme tutte le risorse che la terra può offrire e i destini di tante persone che hanno incrociato le vie giudiziarie.

A scandirla con la definizione burocratica, questa operazione si svilisce un in acronimo che nessuno capirebbe "Terramanna". In realtà dentro queste sillabe che danno nome anche alla località geografica, c’è anche l’anima del progetto: Territorializzazione Ammissione Misure Alternative Nella Natura".

Il motore e il cuore di tutto questo è la cooperativa sociale sempre più divenuta impresa agricola San Lorenzo. A dire il vero, meriterebbe meglio il nome di azienda dell’Epe (e siamo a un’altra sigla): come dire, la società civile che arricchisce la propria coscienza dall’Esecuzione Penale Esterna.

Un viale spalleggiato da cipressi di trenta metri introduce nella fattoria. È territorio comunale di Villamassargia. All’uscita dal paese, sul versante di Domusnovas, dopo circa trecento metri sulla strada provinciale, il guardrail si apre su un incrocio a raso. Terra battuta. Un cartello al bordo della carreggiata spiega che là in fondo c’è qualcosa di speciale. Campeggia la scritta: "Il bene comune di oggi, un bene che viene da lontano".

Lo sguardo si apre su una distesa verde. È evidente che la coltivazione e la cura sono ancora approssimative ma è subito chiaro che la trasformazione è avviata. La terra è stata rimossa, erba e cespugli sono rinati dopo anni d’arsura e di abbandono. C’è tanto da fare, il lavoro è appena cominciato. I ragazzi ospiti in rieducazione sono ora due, ma presto saranno 25.

L’area è ampia. Duecento metri più avanti c’è un grande casolare. Trentasette ettari di terreno. Ora solo 24 sono stati assegnati alla San Lorenzo. Il resto è legato alla conclusione delle pratiche. Un’immensità, un patrimonio che negli ultimi lunghi anni solo pecore e mucche al pascolo brado hanno frequentato con assiduità.

Come i nobili decaduti, quest’azienda era finita in malora. Poco interesse di chi l’aveva avuta in cura nel passato. Pasticci e ritardi. Mai come in questo caso sarebbe appropriato dire di un patrimonio gettato alle ortiche che ormai infestavano i campi. L’Azienda Corsi tra non più di due anni sarà trasformata nell’impresa agro zootecnica più importante del territorio e dell’isola. Un esempio di combinazione tra valori economici e sociali tra le prime in Italia. Qui Angelo Corsi, figura di primo piano dell’antifascismo, deputato e sindaco di Iglesias, nei primi decenni del 1900 aveva via via realizzato la tenuta di famiglia.

Chiusa l’epoca degli interessi familiari, coerente con le proprie convinzioni politiche donò l’azienda in beneficenza all’ente morale Regina Margherita, che tra i servizi sociali amministrati gestiva anche un famoso asilo di Iglesias. Con gli anni Settanta gli enti morali vengono definitivamente sciolti e quel patrimonio passa alle competenze della Regione, per competenza assegnato al Comune di Villamassargia che lo affida in concessione a canone a una stirpe di coltivatori che mostrano poco interesse alla valorizzazione ulteriore dell’azienda.

Chiuso anche questo capitolo, il Comune dovrebbe occuparsi di dedicare il bene a esclusive finalità sociali. Si tratta di patrimonio inalienabile. Ma non tutti gli amministratori pubblici hanno propensione a valorizzare ciò che appartiene a tutti. Una svolta arriva quando alla guida del municipio s’insedia il sindaco Walter Secci, che mostra grande attenzione alla proposta della cooperativa San Lorenzo guidata da due coraggiosi pionieri del lavoro dedicato agli ultimi, Giuseppe Madeddu e Salvatore Benizzi.

Il primo, oggi ha 58 anni, decide di complicarsi la vita accollandosi, insieme alla propria privata professione, anche la presidenza di questa cooperativa nata per rieducare qualche giovane detenuto inciampato nei rischi della droga. L’altro è un sacerdote, cappellano del carcere di Iglesias, poi direttore della Pastorale del lavoro diocesana, di quei preti capaci di far ruotare intorno a sé intere comunità, amato senza tentennamenti.

Generosi entrambi, saldati da un’idea: "C’era e c’è un fenomeno, che riguarda i carcerati e che produce discriminazione tra chi può uscire per completare la pena all’esterno: il beneficio finisce per essere destinato a chi ha la possibilità di gestire gli aspetti giudiziari, insomma, chi ha i soldi per pagare avvocati, e chi invece non ha questa possibilità né occasioni per essere ospitato come prevede la legge". La San Lorenzo e l’impresa sfondano questo muro.

Con il sindaco Secci la cessione alla cooperativa sta per andare in porto. Ma quattro anni fa la guida dell’amministrazione cambia. Benché il nuovo sindaco Franco Porcu sia anch’egli esponente della stessa sinistra, l’operazione sembra complicarsi, di certo subisce rallentamenti: il traguardo imminente fa nascere qualche malumore nel paese, non tutti hanno ben capito il progetto. La presenza di ex detenuti evoca prospettive da ricovero delinquenziale. Tuttavia prevalgono altre sensibilità e nella virata di due anni fa diventa decisiva anche la passione che il progetto suscita subito nel presidente della Regione Soru e nell’assessore della Sanità Dirindin.

La San Lorenzo acquisisce l’azienda e comincia a lavorare. Dalla Regione arriva un milione destinato a ristrutturare l’edificio: una struttura di qualche migliaio di metri quadrati. L’impresa è al lavoro. La sagoma della costruzione comincia a ritrovare le forme architettoniche della casa colonica piemontese che prese alle origini. Le stalle sono state rigenerate e diventeranno centri culturali, sale per ospitare convegni, refezione per gli ospiti, iniziative pubbliche: "L’ambizione è di attribuire a questo luogo il valore di un riferimento territoriale, regionale", spiega don Benizzi.

"C’è tanto da fare - osserva l’ottimista presidente Giuseppe Madeddu -, il nostro entusiasmo è tutto motivato dall’obiettivo di poter costruire un luogo di lavoro non uno spazio per la detenzione. E poterlo fare con gli strumenti e i mezzi nostri ci spinge ancora a una maggiore volontà". Certo se lo slancio di qualche benefattore agevolasse l’acquisto di macchine per trattare il terreno e le coltivazioni, non verrebbe respinto. E se ci mettesse un poco d’altruismo anche la comunità territoriale non sarebbe male.

Duecento metri ancora e trovi un gruppo di uomini indaffarati a sistemare le serre. Nuove, anche queste. "Costruite non con i soldi della Regione (destinati esclusivamente all’intervento edilizio) ma con i pochi introiti e risparmi realizzati dalla cooperativa - osserva Salvatore Benizzi -. È la nostra filosofia: coniugare la missione sociale a un’impresa che produce reddito per chi lavora e per migliorare l’attività". Hanno venduto le prime frutta, le prime favette fresche. Ma cresce florida anche la piccola coltivazione di zafferano: "È stata un’esperienza straordinaria - racconta don Benizzi -, perché abbiamo seguito un processo di orticoltura per noi del tutto nuovo e lo abbiamo vissuto con i cittadini e amici ci hanno fatto visita. Grazie a loro abbiamo ricavato qualche soldo per mettere su le serre".

Un gazebo in legno, ora spoglio, rivela la bancarella volante che l’estate scorsa accoglieva i primi acquirenti delle produzioni locali. "Faremo di più - spiega uno dei due giovani operatori impegnati nel progetto -: appena il terreno sarà pronto coltiveremo anche il grano e tanto altro". Nell’area interna ci sarà un forno destinato alla produzione del pane.

L’acqua non manca. Irrigazione tutta autonoma, assicurata da una rete di pozzi alimentati dalle falde che gonfiano il rio Cixerri. "Speriamo che tutto ciò dia forza al progetto, che vorremmo collegare sempre più in relazione con gli enti locali, con il territorio, un lavoro d’insieme che ci coinvolga tutti, fuori dall’egoismo", auspica il presidente Madeddu.

Se il bilancio parla, finiranno per avare ragione: "Dopo quattro anni di battaglie siamo qui", constatano a questo punto con soddisfazione l’amministratore delle attività sociali (Salvatore Benizzi) e il collega che gestisce gli aspetti amministrativi (Giuseppe Madeddu). Di sicuro saranno qui per altri vent’anni, che è il tempo di affidamento dell’azienda alla San Lorenzo.

Immigrazione: Lampedusa; i migranti fuggono in massa dal Cpa 

 

Il Sole 24 Ore, 24 gennaio 2009

 

"Non vogliamo tornare nel Cpa. Noi restiamo qui". Centinaia di migranti fuggiti dal Centro di prima accoglienza di Lampedusa, ora nella piazza del Paese insieme ai cittadini che protestano contro la realizzazione, sull’isola, del Centro di identificazione ed espulsione, si rifiutano di rientrare nella struttura di accoglienza.

L’ex sindaco del Paese, Totò Martello, che li aveva accolti in piazza con un applauso, li invita ora a rientrare nel centro. "Siamo insieme a voi - dice - vogliamo che vi trasferiscano negli altri centri italiani, ci batteremo perché possiate lasciare Lampedusa, ma ora dovete rientrare nel centro".

I migranti, però, continuano a ribadire che non lasceranno la piazza e che la loro protesta sarà pacifica. Gli extracomunitari gridano "Libertà e grazie Lampedusa" e chiedono di essere trasferiti nei Centro di permanenza temporanea di Brindisi e di poter raggiungere le loro famiglie, molte delle quali sono in Francia, in Germania e nell’ Nord Italia.

Intanto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi cerca di tranquillizzare i cittadini di Lampedusa che si oppongono al Centro di identificazione ed espulsione degli immigrati clandestini progettato dal Viminale: "I cittadini di Lampedusa devono stare tranquilli perché la situazione è sotto controllo", ha detto il premier. "Faremo delle cose per compensarli e martedì Maroni incontrerà a Tunisi il ministro dell’Interno tunisino e il presidente Ben Alì per stabilire le modalità per far rientrare i 1.200 tunisini".

 

 

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