Rassegna stampa 19 gennaio

 

Giustizia: per spianare strada della riforma non basta una cena

di Francesco Grignetti

 

La Stampa, 19 gennaio 2009

 

Non basterà una cena per spianare la strada alla riforma della giustizia, avverte la Lega. Berlusconi ha invitato tutti a casa sua per parlarne con calma, "per evitare sorprese", in vista del Consiglio dei ministri di venerdì quando il ministro Angelino Alfano dovrà illustrare la sua proposta articolo per articolo.

Ma dalle parti della Lega, dove non perdono mai di vistala stella polare del federalismo fiscale in discussione al Senato, arrivano parole di tanta, tantissima cautela. "H dialogo - dice il capogruppo alla Camera Roberto Cota - è bene avviato. Ma c’è ancora una fisiologica istruttoria da fare".

Istruttoria che invece Niccolò Ghedini ritiene ampiamente esaurita: "I ministri La Russa e Maroni hanno visto buona parte dei testi. Con Cota abbiamo parlato, preso nota delle loro osservazioni e fatto le correzioni. Il ministro Alfano, a sua volta, ha parlato con l’opposizione, con i magistrati e gli avvocati. Ora l’articolato è pronto e lo vedremo tutti assieme martedì o mercoledì per ragionare e permettere ai ministri, venerdì, di interloquire con cognizione di causa".

Dentro la Lega spiegano che in effetti di colloqui ce ne sono stati diversi. Sia con Alfano che con Ghedini. Ma un testo di lègge ancora non c’è. E questa è materia su cui i partiti, e i loro esperti, intendono procedere con grande attenzione. Problemi ce ne possono essere molti. Non tanto sulla maggiore autonomia della polizia giudiziaria.

I leghisti, però, insistono sull’idea di rendere elettivi i giudici di pace: una proposta che fino all’ultimo Ghedini ha pesato e soppesato, ma che qualche giorno fa Pini invitava a far cadere. Oppure la questione della separazione delle carriere: sul principio sono tutti d’accordo, ma come farlo?

O anche la questione delle priorità nell’esercizio dell’azione penale. An mal digerisce d’intaccare il principio dell’obbligatorietà, ma potrebbe fare il passo. Si tratta di vedere anche le virgole. Questioni complesse, come si vede. D’altra parte è stato Bossi stesso, qualche giorno fa, a dire bruscamente che sulla giustizia "ancora non c’è alcun accordo".

U colpo di freno che viene dalla Lega s’accompagna ad alcuni accenni alla necessità di dialogo per portare a casa le riforme (leggili federalismo) che va in aula proprio nei prossimi giorni. Bossi e Calderoli vogliono il voto favorevole del Pd. Finora l’opposizione si è astenuta. Forse non è un caso, allora, se ieri Veltroni abbia parlato bene del ddl sul federalismo ("Da come era partito, con l’obiettivo di dare un colpo al Mezzogiorno, rappresentava un rischio. Poi si è fatto un lavoro per riequilibrare questo testo e noi ne siamo stati i protagonisti") e meno bene del ddl sulla giustizia.

"Io - dice Veltroni - sto ai sei punti del presidente Fini e alla nostra risposta positiva. Su quella base si possono creare le condizioni di un dialogo in Parlamento. Se invece il governo intende seguire la linea suggerita da Berlusconi, può farlo, ma si troverà in una situazione di scontro". Un chiaro altolà a eventuali forzature e gelo totale sulle proposte di riforma di D’Alema e Casini.

Ripartire da Fini, dunque. Un altro leader che, al pari di Bossi, invita Berlusconi al dialogo e non allo scontro con l’opposizione. Non a caso, quando scrisse due settimane fa la sua lettera aperta sulla riforma della giustizia sul Corriere della Sera, il primo dei sei punti era: "Auspicabile che le modifiche normative scaturiscano da un ampio confronto parlamentare".

Chiosò subito Giulia Buongiorno, la presidente della commissione Giustizia, molto vicina ad An: "L’ordine di priorità dei punti non è affatto casuale". E ieri, la plancia di comando di An, ovvero il reggente Ignazio La Russa, mandava questo messaggio: "Siamo in dirittura d’arrivo. Dobbiamo vedere se si taglia il traguardo. Noi partiremo dai sei punti di Fini. Che non sono un diktat. Ma nemmeno le proposte degli altri possono esserlo".

Giustizia: Capezzone (Pdl); opposizione scelga senza ambiguità

 

Agi, 19 gennaio 2009

 

"L’opposizione ha il dovere di scegliere senza ambiguità e senza fare ricorso al ma anche. Sulla giustizia, la cui riforma è un’esigenza indifferibile per i cittadini italiani, il centrosinistra è chiamato a scegliere tra un confronto serio con la maggioranza da una parte e l’alleanza-sudditanza con Di Pietro dall’altra. Tertium non datur. È una buona occasione, che mi auguro il Pd sia in grado di cogliere per recidere il legame con il giustizialismo dell’Idv". Lo afferma il portavoce di FI, Daniele Capezzone.

Giustizia: Gasparri; soluzione condivisa è vicina, presto riforma

 

Asca, 19 gennaio 2009

 

"Sulla giustizia siamo vicini ad un’intesa. Il dibattito che c’è stato in questi giorni, le posizioni più avanzate di alcuni esponenti della sinistra come Violante, il contributo che ha dato il presidente della Camera Fini, le riflessioni che sono state fatte nelle commissioni su molti provvedimenti, ci stanno portando ad una soluzione che può essere condivisa anche sulla questione delle intercettazioni. In ogni caso, il Pdl ed il centrodestra tutto troveranno un momento di sintesi e credo che il Consiglio dei ministri possa già assumere decisioni da trasmettere per la valutazione del Parlamento". Lo dichiara, in una nota, il presidente del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri.

Giustizia: il progetto per la riforma che unisce d’Alema e Casini

 

Asca, 19 gennaio 2009

 

La settimana politica che si apre oggi ha come centro il tema della riforma della giustizia. Il Consiglio dei ministri di venerdì prossimo dovrebbe infatti licenziare il disegno di legge del governo che farà da perno al successivo dibattito parlamentare.

Pd (i "dalemiani" in particolare) e Udc hanno intanto deciso di verificare le proprie affinità politiche su questo tema e di influire sulle scelte della maggioranza. Da qui la decisione delle fondazioni Italianieuropei, presieduta da Giuliano Amato e Massimo D’Alema, e Liberal, presieduta da Ferdinando Adornato e vicina alle posizioni di Pier Ferdinando Casini, di promuovere per oggi un seminario di studi sulla riforma della giustizia.

La discussione (a porte chiuse) ruoterà intorno a una bozza programmatica su cui hanno lavorato Giovanni Di Cagno e Michele Vietti, entrambi ex componenti del Consiglio superiore della magistratura (il primo collaboratore di D’Alema, il secondo di Casini). Tra gli invitati al seminario: Luciano Violante, il ministro ombra Lanfranco Tenaglia, studiosi e giuristi che fanno riferimento a Pd e Udc.

Su questa iniziativa non c’è accordo nel Pd, che proprio nei giorni scorsi - attraverso un incontro tra Tenaglia e il ministro Angelino Alfano - aveva comunicato le proprie proposte di riforma della giustizia al governo. La prima divergenza riguarda l’ampiezza della bozza che reca le firme di Di Cagno e Vietti. Chi l’ha letta in anteprima, sostiene che preveda anche modifiche costituzionali, proprio ciò che il Pd ha escluso da una possibile trattativa con il governo.

Poi c’è il merito degli obiettivi su cui convengono le fondazioni Italianieuropei e Liberal: niente separazione delle carriere ma temporaneità e rotazione nei ruoli di pm; nessuna modifica all’obbligatorietà dell’azione penale, anche se i criteri di priorità non possono essere affidati al singolo sostituto ma vanno definiti in una collaborazione istituzionale tra Csm, Parlamento e Ministero della Giustizia (con l’ultima parola al Csm).

La bozza di Di Cagno e Vietti prevede anche la riforma del Consiglio superiore della magistratura (le proposte ufficiali del Pd non la contemplano): allargamento della rappresentanza ai giudici di pace, ai magistrati amministrativi e contabili; separazione della funzione disciplinare per affidarla a un’Alta corte di giustizia con un terzo dei componenti di nomina del capo dello Stato.

Sul tema controverso delle intercettazioni, la soluzione indicata dai consulenti delle due fondazioni promotrici del seminario di oggi è di limitarne l’uso, affidandone la decisione a un giudice collegiale (quindi non riduzione del numero dei reati per cui potrebbero essere autorizzate come propone il governo). Di Cagno e Vietti sostengono che la necessità della riforma della giustizia parte dalla comune constatazione che occorra "contrastare l’irragionevole durata dei processi, divenuta ormai endemica". L’ipotesi è perciò una radicale "razionalizzazione delle circoscrizioni giudiziarie".

Nel settore civile, la bozza prevede inoltre l’introduzione del giudice "monocratico" nel giudizio di primo grado. Nel settore penale, si propone di eliminare l’udienza preliminare ("è diventata un quarto grado di giudizio"). Quanto alla pubblicazione delle intercettazioni coperte da segreto istruttorio, la bozza delle due fondazioni critica la possibilità di inasprire le pene a carico dei giornalisti.

Non è la prima volta che Italianieuropei e Liberal si confrontano con l’obiettivo di verificare una comune affinità culturale e programmatica. Lo scorso luglio, ad esempio, avevano discusso del modello elettorale e istituzionale della Germania.

È da iniziative come quella di oggi - dicono i promotori - che si verifica se i rapporti tra Pd e Udc sono destinati a diventare più solidi nella comune opposizione al governo Berlusconi per sfociare successivamente in una unitaria alleanza elettorale e programmatica in grado di sfidare il Pdl. Sul rapporto preferenziale con l’Udc non ci sono divergenze tra Massimo D’Alema e Walter Veltroni: entrambi ritengono centrale il rapporto con il partito di Casini nella costruzione di nuove alleanze che facciano uscire il Pd dall’isolamento. Ma l’Udc non è un interlocutore docile.

Proprio mentre questo partito si dichiara disposto a convergere con D’Alema e il Pd su comuni proposte per la riforma della giustizia non fa altrettanto sui temi del federalismo. L’Udc non ha infatti deciso se votare contro o astenersi al Senato - il Pd ha già deciso per l’astensione - nella riunione congiunta delle Commissioni Bilancio, Finanze e Affari costituzionali che licenzierà il disegno di legge che avvia il federalismo fiscale.

Il partito di Casini continua a considerare troppo vaghe le previsioni di spesa della riforma federalista e sostiene di non aver avuto rassicurazioni sull’abolizione delle Province, ritenute ormai enti intermedi inutili tra Comuni e Regioni. Il Pd punta invece a un dialogo con la Lega sul federalismo fiscale in modo da creare contraddizioni nella coalizione di governo quando quest’ultima propone riforme senza il preventivo confronto con l’opposizione.

Giustizia: da Italianieuropei e Liberal una "riforma-spettacolo"

 

Ansa, 19 gennaio 2009

 

Una "riforma-spettacolo" che contiene "assurdità" e idee "balzane", e che non tiene conto della "realtà effettiva del mondo giudiziario" e della "necessità di preservare principi irrinunciabili a tutela dei cittadini".

La proposta sulla giustizia che domani presenteranno i leader dell’Udc Pierferdinando Casini e del Pd Massimo D’Alema non piace affatto al procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro, almeno in base a quanto ne hanno riferito i giornali. "Prevedere che le intercettazioni possano essere effettuate solo entro un budget prefissato è un’assurdità. Come a dire che senza soldi non potremo indagare su vari reati. Scherziamo?".

Ed è sbagliato anche pensare che le intercettazioni possano essere richieste dai capi degli uffici giudiziari: "significa condividere l’idea di una procura gerarchizzata che già la storia ha bocciato".

Come pure Spataro boccia il progetto di un giudice collegiale per autorizzare le intercettazioni e i provvedimenti di cattura: "non solo occorrerebbero 2-3.000 giudici in più, viste le incompatibilità previste dalla legge, ma i tempi delle decisioni si allungherebbero ancora".

E non è finita: "immaginare che la decisione su una richiesta di cattura debba avvenire in contraddittorio anticipato con la difesa del catturando mi pare un’idea talmente balzana da non richiedere particolari argomenti per criticarla. E lo stesso penso di una Corte disciplinare per i magistrati a composizione mista e sganciata dal Csm".

Pollice verso anche per gli interventi ipotizzati sul pubblico ministero. "L’idea di prevedere che il magistrato-pm debba essere obbligato a periodi di attività come giudice appare ingestibile e si basa sull’assunto che fare sempre il pm produca danni. Io non credo affatto sia così. Si puniscano giudici e pm quando violino la deontologia".

Tra le proposte che Spataro giudica "più gravi", c’è quella di sganciare il pm dalla direzione delle indagini di polizia giudiziaria: così verrebbe meno "un principio posto a garanzia dei cittadini, che non penalizza affatto la professionalità della polizia giudiziaria, che anche oggi può indagare autonomamente".

Giustizia: De Magistris; contro la magistratura attacchi eversivi 

 

MicroMega, 19 gennaio 2009

 

"È tempo di opporsi alla deriva autoritaria di questo Paese e al consolidarsi di nuove forme di eliminazione dei magistrati che non si omologano al sistema criminale di gestione illegale del potere": è quanto scrive Luigi De Magistris in un articolo pubblicato oggi su www.micromega.net.

"Senza paura di intimidazioni istituzionali o clave disciplinari utilizzate in violazione della Costituzione Repubblicana. La libertà e l’indipendenza della giustizia si difendono senza calcoli e ad ogni costo. L’amore della verità può costare l’esistenza. Ed essa si difende anche da chi la mina, in modo talvolta anche eversivo, dal nostro interno".

In questi mesi, prosegue il magistrato, "si consolidano nuove forme di eliminazione di magistrati che non si omologano al sistema criminale di gestione illegale del potere e che pretendono, con irriverente ostinazione, di adempiere a quel giuramento solenne prestato sui principi ed i precetti della Costituzione Repubblicana, nata dalla resistenza al fascismo".

"In attesa dei progetti di riforma della giustizia (che mi pare trovano d’accordo quasi tutte le forze politiche) che sanciranno, sul piano formale, l’ulteriore mortificazione dei principi di autonomia ed indipendenza della magistratura, non si può non rilevare che i predetti principi - che rappresentano la ragione di questo mestiere che, senza indipendenza ed autonomia, è solo esercizio di funzioni serventi al potere costituito - sono stati e vengono mortificati proprio da chi dovrebbe svolgere le funzioni di garanzia e tutela di tali principi.

Dall’interno della Magistratura, in un cordone ombelicale sistemico di gestione anche occulta del potere, con la scusa magari di evitare riforme ritenute non gradite, si procede per colpire ed intimidire (anche con inusitata deprecabile violenza morale) chi, all’interno dell’ordine giudiziario, non si omologa, non intende appartenere a nessuno, non vuole assimilarsi alla gestione quieta del potere, ma rimane fedele ed osservante dei valori costituzionali di uguaglianza, libertà ed indipendenza che chi dovrebbe garantirne tutela - anche con il sistema dell’autogoverno - tende, in realtà, a voler governare, dall’interno, la magistratura rendendola, di fatto, prona ai desiderata dei manovratori del potere.

Ma non bisogna avere timore. La storia - ed ancora prima la conoscenza e la rappresentazione di fatti quando essi saranno pubblici - ci faranno capire, ancor meglio di quanto tanti hanno già ben compreso, le vere ragioni poste a fondamento di prese di posizione anche di taluni magistrati (alcuni dei quali ritengono anche di svolgere una funzione di rappresentanza, in realtà, concretamente, insussistente)".

"Da quando le organizzazioni mafiose hanno dismesso la strategia militare di contrasto ed eliminazione dei rappresentanti onesti e coraggiosi delle Istituzioni, il livello di collusione intraneo a queste ultime si è consolidato enormemente, tanto da rappresentare ormai quasi una metastasi istituzionale che conduce alla commissione di veri e propri crimini di Stato", scrive De Magistris.

"Questo comporta che oggi dobbiamo difendere, ogni giorno e con i denti, la nostra indipendenza e l’esercizio autonomo della giurisdizione - nell’ossequio del principio costituzionale sancito dall’art. 3 della Costituzione - anche da veri e propri attacchi illeciti, talvolta condotti con metodo mafioso, provenienti dall’interno delle Istituzioni", prosegue il magistrato, secondo il quale "la ricetta è semplice, anche se sembra tutto così complicato in questo periodo così buio per la nostra Costituzione, per la quale non dobbiamo mai smettere di combattere: si deve decidere senza avere paura - innanzitutto di chi dovrebbe tutelarci e che si dimostra sempre più baluardo di certi centri di interessi e poteri, nonché fonte di pericolo per l’indipendenza del nostro stupendo lavoro, - senza pensare a valutazioni di opportunità, senza scegliere per quella opzione che possa creare meno problemi, decidere nel rispetto delle leggi e della Costituzione, pronunciarsi nel segno della Verità e della Giustizia".

"Questo ci chiedono le persone oneste: di non consegnarci e mantenere alto il prestigio dell’ordine giudiziario in un momento in cui la questione morale assume connotati epidemici anche al nostro interno. Non bisogna avere paura di un potere scellerato che pretende di opprimere la nostra libertà ed il nostro destino".

Ai giovani colleghi De Magistris dice: "Non ascoltate quelle sirene, anche interne alla nostra categoria, che vi inducono - magari in modo subdolo e maldestro - a piegare la testa in virtù di una pseudo-ragion di stato che consisterebbe nel pericolo imminente di riforme sciagurate, per evitare le quali dobbiamo, strategicamente, girarci dall’altra parte quando ci imbattiamo nei cosiddetti poteri forti. Le riforme - anzi le controriforme - ci saranno comunque, forse saranno terribili, ma almeno non dobbiamo essere noi a dimostrarci timorosi e con le gambe molli, malati, come diceva Piero Calamandrei, di agorafobia".

Osservando che "gli ostacoli più insidiosi sono sempre pervenuti dall’interno della nostra categoria", De Magistris conclude: "Sono convinto che la magistratura non soccomberà definitivamente solo se saprà ancora esercitare la sua funzione senza paura, ma con coraggio, nella consapevolezza che anche da soli, nella solitudine propria della nostra funzione, quando ognuno di noi deve decidere e mettere la firma sui provvedimenti, e, quindi, valutare fatti e circostanze, lo farà senza farsi intimidire dalle conseguenze del suo agire".

Giustizia: i Tar bocciano genericità delle Ordinanze comunali

 

Il Sole 24 Ore, 19 gennaio 2009

 

Arrivano le prime pronunce dei giudici sulle Ordinanze emesse dai sindaci dopo il decreto Sicurezza dell’agosto scorso. I Tar che si sono attivati hanno riservato una "promozione" (a Roma) e una "bocciatura" (a Verona).

Da un lato, il Tar Lazio, sezione III, n. 1222/2008, ha affermato, in una sentenza ampiamente motivata, che: 1) l’ordinanza del sindaco di Roma del 16 settembre 2008 è legittima e trova la sua validità direttamente nel nuovo articolo 54 del Dlgs 267/2000; 2) il decreto del ministro dell’Interno del 5 agosto 2008, che disciplina i poteri di ordinanza dei sindaci, non è un regolamento, non contiene norme generali ed astratte ma delle direttive o delle "linee guida"; 3) le persone che praticano la prostituzione sulle strade (chiamate nella sentenza: "Street sex workers") sono quasi sempre il terminale di una filiera criminale.

L’attività di prostituzione, di per sé, non è un reato, ma sottrae spazi di vita sociale e civile al resto della collettività, e determina dei "negozi" illeciti per la violazione dell’ordine pubblico e del buon costume. Non è espressione di libera concorrenza, ma è "uno spazio di mercato del tutto anomalo, che la cittadinanza subisce e sente come degrado della convivenza civile".

Dall’altro lato, il Tar Veneto, con un’ordinanza cautelare dell’8 gennaio 2009, n. 22, ha sospeso l’efficacia dell’ordinanza del sindaco di Verona del 2 agosto 2008, ed ha considerato il ricorso "sorretto da sufficienti elementi di fondatezza", per le seguenti ragioni 1) il divieto riguardava tutto il territorio comunale, e non precisava le situazioni specifiche e localizzate, collegate alla lesione di interessi riconducibili alla sicurezza urbana; 2) le condotte vietate erano descritte in modo approssimativo e generico, e potevano essere non lesive della sicurezza urbana.

Le due posizioni giurisprudenziali non collimano, e su di esse si possono svolgere le seguenti succinte considerazioni.

In primo luogo, le ordinanze dei sindaci di Roma e di Verona sono simili, ma non sono identiche, e l’ordinanza del sindaco di Roma indicava "in particolare, come off limits, le vie consolari, dove è più alto il rischio di provocare intralci alla circolazione o gravi incidenti automobilistici".

In secondo luogo, è opinabile l’affermazione dei giudici del Tar Lazio-Roma, secondo i quali il decreto del ministro dell’Interno contiene soltanto direttive o linee guida. Infatti, il decreto contiene norme che uniformano le potestà dei sindaci per tutto il territorio della Repubblica.

Esso è perciò sostanzialmente un regolamento, e ciò fa sorgere dei dubbi di legittimità, perché nell’attuale sistema normativo un ministro non ha funzioni legislative. In terzo luogo, le modificazioni all’articolo 54 del Dlgs 267/2000 e le disposizioni contenute nel decreto del ministro dell’Interno, non sono persuasive.

Le finalità di sicurezza e di incolumità sono certamente da condividere, ma le modalità tecnico giuridiche che sono previste hanno comportato un errore di "ingegneria amministrativa". Infatti, l’ampliamento dell’ambito di efficacia delle ordinanze contingibili ed urgenti ad altre situazioni non contingibili ed urgenti, e senza l’indicazione di un oggetto specifico, ha determinato regole imprecise e una disciplina incerta.

Ad esempio, l’ordinanza del sindaco del Comune di Roma ha validità sino al 30 gennaio 2009. Dopo questa data, l’ordinanza (che ricorda le antiche e inefficaci grida spagnole) dovrà essere rinnovata, almeno sino a quando la prostituzione sulle strade non sarà scomparsa. In quarto ed ultimo luogo, i divieti relativi alla sicurezza urbana e all’incolumità pubblica (rettificati rispetto a quelli contenuti nelle ordinanze) potrebbero con maggiore utilità essere inseriti in un regolamento comunale, che contiene norme valide per tutto il territorio, stabili nei tempo e deliberate dal Consiglio comunale, che è l’organo collegiale rappresentativo della comunità locale.

Giustizia: crescono le violenze tra bande organizzate di minori

di Flavia Amabile

 

La Stampa, 19 gennaio 2009

 

Se le sono date di santa ragione quest’estate a Milano. Da una parte c’erano i salvadoregni del gruppo "Ms-13", riconoscibili dal numero 13 tatuato sul collo e dalle goccioline sul volto: ogni goccia corrisponde a uno scontro o un’aggressione. Ce l’avevano con un altro gruppo di sudamericani, i "Mara 18", e l’hanno detto a colpi di machete e cinghiate. Due anni fa al porto di Genova le gang di giovani sudamericane avevano firmato una specie di accordo di pace. A giudicare da quello che è avvenuto quest’estate a Milano l’accordo è saltato e la guerra fra bande è ricominciata.

È una guerra complicata, fatta di miriadi di piccoli gruppi, i Latin King, i Netas, e molti altri ancora: ognuno in guerra con gli altri. Sono loro ad avere il controllo di intere strade di Genova e di Milano, se lo contendono con i gruppi che si ispirano agli skin heads inglesi e tedeschi ma sono formati da giovani italiani. Al sud i ragazzini sognano di diventare boss camorristici o mafiosi e intanto li imitano come possono. A Roma e nel Lazio le violenze fra adolescenti sono una storia quotidiana, la più diffusa in Italia.

Nel 2006 i minori avevano commesso 40 mila reati, più della metà (il 60%) aveva dietro una baby-gang. L’anno seguente la Dia confermava: "c’è un incremento dei reati violenti commessi da minorenni, organizzati in baby gang, che prendono a modello le organizzazioni criminali, pur non essendo in grado di dosare le conseguenze dei propri atti in ragione della loro sostanziale immaturità".

L’aumento della violenza dei minori emerge da tutti i rapporti dell’ultimo anno. Eurispes, Censis, Istat fotografano la stessa realtà. Secondo la Società italiana di pediatria il 72% degli adolescenti dichiara di avere assistito ad atti di bullismo. Il 32% dei maschi considera ineccepibile il comportamento del bullo: uno su tre, insomma, accetta e approva. E comunque meglio diventare bulli che vittime. Si chiama "bullismo preventivo", lo teorizzano il 60% dei ragazzi.

Molti sono i cyberbulli. Hanno il computer, navigano su Internet con dimestichezza, un cellulare con cui scambiare foto, filmati e sms e un forte desiderio di autostima. Sono soprattutto sempre più giovani. Possono avere anche 7 anni e già iniziare ad alzare le mani. "A quell’età il 90% ha il computer" ricorda Vincenzo Mastronardi, docente alla Sapienza e criminologo. Sono giovani abituati alla violenza. Il 64% non si impressiona minimamente al genere splatter nei film o nei programmi tv, e più del 50% fa un uso sempre più privato di Internet, che utilizza nella propria stanza.

Il Lazio e Roma sono i centri dove più è diffuso il fenomeno dei bulli fra i minori. Il Lazio ha un indice regionale del 24,2% (ogni 10 mila denunce) e Roma del 28,7%, su una media nazionale del 19,6%. In tutto il Nord Italia il bullismo è diffuso soprattutto nei locali e nei bar (18%). Al Centro e nelle isole la violenza dei minori sui minori è più praticata nelle scuole (il 55,4% dei casi al Centro e il 46,6% nelle isole. Al Sud è la strada il regno incontrastato (con il 42%) di bulli e vittime.

A contraddistinguere il branco è l’abbigliamento. Un mese fa un gruppo di ragazze a Milano è stato scoperto proprio per il modo di vestirsi e pettinarsi. Chi studia il fenomeno sa che seguivano la moda emo. Difficile non notarle, davvero: ciuffo di capelli neri schiacciato sull’occhi tipo manga giapponesi, trucco pesante, maglietta a righe nera e viola, scarpe con i teschi rosa. Rubano un telefonino in pieno centro. Il movente? "Dovevamo scavallare un cellulare".

Le emo sono l’opposto dei gabberini, altra moda molto diffusa tra gli adolescenti. Si chiamano così dal tipo di musica preferito, il gabber, genere techno hardcore, una musica dura, stile martello pneumatico. Look aggressivo e teste rasate, indossano jeans o tute Australian; t-shirt degli artisti preferiti, felpe e polo Lonsdale; berretto da baseball. Molti hanno il piercing, qualcuno ha in bocca un ciuccio da neonato della Chicco, e le ragazze amano rasarsi la nuca.

Gli skater: li riconosci dallo skateboard sempre pronto ad essere usato ma anche dai pantaloni a vita bassa, tanto bassa che per non andare in giro in mutande sono costretti a indossare felpe di tre taglie più grandi sopra le maglie a mezze maniche ad ogni stagione e gli scarponi, così grandi che non si riescono a chiudere neppure con i lacci.

Sempre di più le azioni realizzate da baby-gang al femminile. Da Milano dove agiscono da tempo ma anche a Taranto dove due giovanissime erano a capo di un branco di minorenni accusate di tentativo di estorsione, rapina, ricettazione, detenzione ai fini di spaccio di droga e abusi sessuali. Una di loro non aveva nemmeno 14 anni.

Vedi questi gruppi di adolescenti, spesso figli di famiglie senza problemi sociali, senza disastri affettivi alle spalle, e viene spontaneo chiedersi: di chi è la colpa? Secondo Chiara Camerani, psicologa e direttrice del Cepic, il Centro Europeo di Psicologia Investigazione e Criminologia, abbiamo poche scuse, la colpa è tutta nostra.

 

La colpa è nostra in quanto genitori? Non educhiamo bene i nostri figli?

"Gli adolescenti fanno quello che devono fare: alla loro età sono nel pieno dell’impulsività e non hanno ancora la capacità di rendersi conto di doverla controllare".

 

Quello spetta ai genitori, in effetti.

"E i genitori non si occupano come dovrebbero della responsabilizzazione dei loro figli. Parole come responsabilità, sacrificio, dovere, sembrano parolacce. E invece aiutano a crescere".

 

È solo colpa dei genitori?

"No, la colpa è di una società intera che non sa più che cosa voglia dire controllarsi, dai politici in giù. Non siamo nemmeno più in grado di evitare un uso indiscriminato del cellulare come possiamo pretendere di dare regole ai ragazzi?"

 

I giovani dicono di essere annoiati e di essere alla ricerca di emozioni.

"È sempre stato così. A quell’età la voglia di trasgredire è un elemento presente in ogni cultura e in ogni epoca. Il problema è che non siamo in grado di incanalarla in qualcosa di utile, né di controllarla, e quindi si trasforma in violenza".

 

La violenza minorile è in aumento negli ultimi anni.

"È vero. Abbiamo di fronte una generazione priva di obiettivi, priva di futuro. Sempre più libera e più carica di stimoli ma non di stimoli utili. Quello che la società propone sono modelli effimeri, da consumare al momento. I genitori non hanno il coraggio né la voglia di educarli, di sopportare le discussioni, le liti con i figli e quindi abbiamo una generazione di adolescenti che rischia di non diventare mai adulta".

 

Occorre educare innanzitutto i genitori, insomma.

"Già, e introdurre lezioni diverse a scuola, lezioni in cui si discuta, si affini il senso critico di questi ragazzi, la capacità di pensare con la propria testa. Preferirei un’ora di informatica in meno e un’ora di discussione in più. Potrebbe essere un modo moderno di fare educazione civica".

Giustizia: Ghedini (Pdl); i writers? condanniamoli a ripulire muri

 

La Stampa, 19 gennaio 2009

 

Diceva Flaiano: la questione è grave, ma non è seria. Lo ripete oggi Niccolò Ghedini, che è alle prese con un problema imprevisto che divide la maggioranza: i writers.

"È vero. La tensione c’è. E francamente, per me è abbastanza inspiegabile". Sulla questione dei graffitari, che è un capitolo del Pacchetto Sicurezza, e cioè se minacciarli di prigione, di multe, oppure di lavoro coatto, Bossi e Berlusconi qualche giorno fa hanno discusso forte. Non è un caso se al Senato, dove si discute il ddl Sicurezza, l’articolo della discordia fino all’ultimo l’hanno accantonato. La Lega, che è un partito-movimento, e che ama scrivere i suoi slogan con la vernice, insiste che "i muri sono i libri dei popoli".

Argomentazioni che mandano in bestia il Cavaliere, il quale ha un concetto ben diverso di città. Lui ama il panorama lindo e pinto. Gli sono piaciute le città giapponesi dove non c’è un filo fuori posto. A Bossi, la realtà piace più arruffata. E Ghedini, in quanto consigliere giuridico del premier, è chiamato a trovare una mediazione.

 

Allora, Ghedini, i graffitari li mettiamo in prigione oppure lasciamo correre?

"Nessuna delle due. Ma è vero che la sanzione penale, in questi casi è inefficace".

 

Quindi niente cella.

"E neanche multe. Molto spesso siamo alle prese con soggetti di nessuna capacità economica. Finirebbe che non pagherebbero niente".

 

Terza ipotesi?

"I lavori di ripristino. Devono mettere mano ai danni, riverniciando quello che hanno sporcato".

 

In effetti c’è un emendamento del governo che stabilisce il "ripristino di luoghi o cose imbrattate" come condizione per avere la sospensione condizionale della pena. Ma Bossi insiste che i "muri sono i libri dei popoli". Come la mettiamo?

"Guardi, anch’io da piccolo suonavo i campanelli. Ma adesso non auspico una normativa che consenta di dare fastidio. I muri non sono affatto i libri dei popoli. I muri sono proprietà di persone, che debbono spendere un sacco di soldi per ripulirli. Altro che chiacchiere. A volte si colpiscono edifici di valore storico-artistico. E poi, oltre al danno al singolo, c’è un bene di tutti è che l’estetica di una città. E guardi che non parliamo di murales di pregio in quartieri degradati. Siamo alle prese con chi si arma di bombolette e scrive il suo nome su portoni appena restaurati o su muri freschi di cantiere".

 

E come la mettiamo con chi dentro il centrodestra li difende?

"Personalmente non ho nessuna simpatia per chi deturpa e imbratta il patrimonio. Importante è però lanciare un messaggio: che questi sono comportamenti antigiuridici e socialmente riprovevoli. Abbiamo le nostre città che sono strarovinate da questi vandali".

 

Eppure Ignazio La Russa ha opere di graffitari esposte nel suo salotto. E il ministro Maroni ricorda ancora con nostalgia quando andava in giro a scrivere slogan sotto i cavalcavia.

"Spero che la maggioranza voglia prevedere sanzioni. Bossi è persona di buonsenso e non può non comprendere che questo è un provvedimento che ci chiedono tutti gli italiani. Non c’è destra o sinistra quando ti imbrattano il portone. E poi c’è troppa gente che ha poca attenzione per gli spazi pubblici, tipo chi svuota il portacenere della macchina sul marciapiede. O chi getta bottigliette di plastica dal finestrino. Plastica che si degraderà in seimila anni".

Giustizia: Fleres (Pdl); dibattito al Senato su sistema carcerario

 

Ristretti Orizzonti, 19 gennaio 2009

 

Intervento del 15 gennaio 2009, in Senato, dell’On. Salvo Fleres (Pdl), Garante dei diritti dei detenuti della Regione Sicilia.

"Signor Presidente, ho chiesto di intervenire perché, nel momento che stiamo vivendo, la legge che abbiamo discusso fino a pochi momenti fa, così come opportunamente introduce una serie di reati e comunque modifica l’attuale sistema delle pene, non può non tener conto - e il tema è stato più volte affrontato dai colleghi Poretti e Perduca - dell’esigenza che a ciascuna modifica del sistema giudiziario e dell’impianto che configura nuovi reati e dunque nuove pene corrisponda una verifica delle modalità di esecuzione delle pene stesse e delle condizioni delle carceri, della garanzia all’interno dei luoghi di detenzione del rispetto dei diritti umani o - come diceva la collega Poretti poc’anzi - del reale avvio di un percorso di rieducazione che deve riguardare i detenuti, se non vogliamo che gli stessi rimangano tali per tutta la vita, nel senso che non viene proposta loro una soluzione alternativa a quella del crimine.

Il mio intervento non vuole assolutamente appesantire il già articolato dibattito della seduta di oggi, ma soltanto porre all’attenzione del Senato l’opportunità - vorrei dire l’esigenza - che si porti rapidamente in Aula uno strumento che consenta all’Assemblea di effettuare una riflessione sul sistema penitenziario italiano e sulle opportunità che lo stesso offre a chi ha intenzione di rieducarsi e di reinserirsi nella società, sull’effettività e il grado di applicazione dei contenuti dell’articolo 27 della Costituzione (in materia di pena non afflittiva, ma rieducativa), sulle condizioni interne alle carceri, nonché sulle motivazioni che hanno indotto il sottoscritto, sin dal 29 aprile 2008 (giorno in cui si è insediato il Senato), e altri colleghi successivamente fino ad oggi, a proporre più volte l’esigenza dell’introduzione del reato di tortura.

È un reato - per il quale il nostro Paese si è impegnato e ha sottoscritto accordi internazionali - che non è presente nel codice penale italiano e che certamente ha bisogno di essere ben perimetrato e individuato per evitare, con la sua introduzione, che possano verificarsi fenomeni che ostacolano il corretto percorso della giustizia. Mi riferisco soprattutto alle forze dell’ordine, ma non c’è dubbio che in questo Paese all’interno delle carceri ci siano le "squadrette" e vengano perpetrate ingiustizie, in alcuni casi da uomini in divisa, in altri da uomini con la toga, in altri ancora da uomini con il camice bianco; non c’è dubbio che in questo Paese le divise, le toghe e i camici bianchi non siano di per sé garanzia di corretta applicazione della legge e di un corretto comportamento etico e morale.

Dunque, dal momento che i delinquenti possono essere in doppiopetto, con il colletto bianco, con la toga, con la divisa oppure con la coppola (perché tali sono se sono delinquenti e non è l’abito o la funzione che stabiliscono la correttezza comportamentale), credo che questi temi che riguardano la condizione penitenziaria, l’applicazione dell’articolo 27 della Costituzione e il rispetto degli accordi internazionali in materia di introduzione del reato di tortura non possano che essere affrontati insieme per realizzare un unico tavolo di verifica e di ragionamento, proprio per fare in modo che l’Italia torni ad essere la patria del diritto e a rispettare uomini come Beccaria, Verri e Calamandrei che sui medesimi argomenti si sono spesi e hanno conferito tanto onore a questo Paese.

Giustizia: Sappe; gestione Dap caratterizzata da totale inerzia

 

Comunicato stampa, 19 gennaio 2009

 

I primi sei mesi di Franco Ionta alla guida dell’Amministrazione penitenziaria si sono contraddistinti per una totale inerzia ed assenza di iniziative nonostante il grave sovraffollamento di detenuti e la costante carenza di poliziotti penitenziari.

Per questo la Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria con oltre undicimila iscritti, ha formalizzato questo mattina una richiesta di incontro urgente con il Ministro della Giustizia Angelino Alfano stante l’assoluta mancanza di rapporti che i Sindacati del Corpo hanno con Franco Ionta, nominato Capo dell’Amministrazione penitenziaria sei mesi fa - l’11 luglio 2008.

Abbiamo chiesto al Ministro Guardasigilli un incontro urgente per esaminare e individuare interventi correttivi rispetto alcune importanti criticità che caratterizzano il sistema penitenziario e l’operatività del Corpo di Polizia Penitenziaria. Da tempo il Sappe auspica che una riforma organica del sistema giustizia del Paese ponga tra le priorità di intervento anche la rivisitazione delle politiche penitenziarie, che necessitano di riforme strutturali non più rinviabili. Svanito l’effetto indulto, le carceri italiane sono infatti tornate a riempirsi.

E siamo alle soglie di una nuova emergenza, visto che ci stiamo avviando - in tempi estremamente brevi - ad avere 60mila detenuti, con grave pregiudizio per i carichi di lavoro già pesanti e stressanti dei poliziotti penitenziari. Non ci è dato sapere quali strade intende percorrere il Ministero della Giustizia per fronteggiare questa significativa criticità.

Men che meno ci sono noti gli orientamenti dell’Amministrazione penitenziaria, il cui Capo Dipartimento Ionta (che è anche Capo del Corpo di Polizia penitenziaria e che ha disatteso del tutto le nostre aspettative circa un suo ruolo da protagonista per una riforma strutturale del Corpo) si contraddistingue invece per una mancanza di confronto con le Organizzazioni sindacali davvero singolare e inaccettabile.

Nessuna informativa ci è infatti pervenuta dal nostro Capo - il quale, per altro, ha delegato tutte le sue funzioni ai vice Capi Dipartimento, rendendo così virtuale la sua responsabilità - su come l’Amministrazione penitenziaria intende muoversi per il prossimo futuro rispetto all’operatività del Corpo si Polizia ed alle criticità penitenziarie. E allora un incontro con il Ministro Alfano è assolutamente necessario ed urgente.

Capece aggiunge che la questione generale del sovraffollamento non può trovare esclusiva risposta nello sviluppo dell’edilizia penitenziaria. Ciò non solo per la mancanza di risorse economiche proporzionate alle esigenze e per i tempi lunghi di esecuzione dei lavori, ma anche per la carenza di risorse umane - specificamente Polizia penitenziaria e personale del Comparto ministeri e segnatamente nelle sedi del Nord Italia - necessarie per la gestione delle nuove strutture.

Se le attuali dotazioni organiche sono già insufficienti per le esigenze relative all’epoca della loro individuazione, non vi è dubbio che la situazione sia andata ancor di più aggravandosi a seguito dell’apertura, dopo il 2000, di nuove strutture penitenziarie, della realizzazione dei nuovi padiglioni detentivi e della ristrutturazione di sezioni detentive inutilizzate. In tale contesto, l’auspicio del Sappe è una espansione dell’esecuzione penale esterna, ossia il sistema delle misure alternative, che può essere incentivata offrendo garanzie di sicurezza credibili sia dal giudice che le dispone, sia dalla stessa collettività.

Un controllo permanente, una verifica puntuale di dove il condannato si trovi e di che cosa faccia, che coinvolga sempre più la Polizia penitenziaria ed avvalendosi anche di sistemi di controllo tecnologici come, ad esempio, il braccialetto elettronico. Proprio per approfondire queste ed altre tematiche - di fondamentale importanza e di assoluta priorità per il sistema penitenziario del Paese e per l’operatività del Corpo di Polizia Penitenziaria, che sembrano non destare l’interesse del Capo Dap Franco Ionta - rinnovo l’auspicio che il Ministro Alfano incontri quanto prima una delegazione della Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe.

Giustizia: Libera Associazione Forense; progetto per i detenuti

di Maria Teresa Giglio

 

La Sicilia, 19 gennaio 2009

 

Il sistema giudiziario a fianco del detenuto. È un progetto promosso dalla Laf, Libera Associazione Forense, il cui fine è quello di far veicolare fuori dalle mura delle strutture penitenziarie l’umanità che si cela dietro ogni carcerato.

La mostra itinerante "Libertà va cercando ch’è sì cara. Vigilando redimere" ne è la sintesi. Ma è anche un modo, per gli stessi operatori della giustizia, dagli avvocati ai magistrati, per rendere meno arido il loro lavoro.

"Anche io mi sono trovata di fronte ad una sorta di bivio nel mio percorso sia professionale che, inevitabilmente, personale: mettere da parte definitivamente la mia umanità oppure investirla fino in fondo. Ho scelto a seconda opzione", spiega Monica Calì, magistrato dell’Ufficio di Sorveglianza di Novara, uno dei relatori alla conferenza di presentazione della mostra che a Siracusa ha la sua unica tappa siciliana.

"Determinante, per l’avvio del progetto, è stato il drammatico bisogno che viene dal mondo carcerario. E questa è una realtà in cui si può stare ad occhi chiusi oppure guardare verso quella fiducia che viene richiesta a gran voce. Tutto ciò, che sia chiaro, non affranca nessuno dal reato commesso".

La mostra nasce sulla scorta di una precedente esperienza di riconquista dell’aspetto umano nelle carceri. Il progetto, è stato precisato da Paolo Tosoni del Foro di Milano e presidente della Laf "vuole porsi come una sfida. Nel nostro lavoro, spesso arido fatto solo di norme e di codici abbiamo avvertito la necessità di recuperare le emozioni. La mostra consente una rivisitazione del nostro lavoro, che frequentemente taglia fuori quella umanità che sta dietro ad ogni persona".

"Non ci vuole molto per rendersi conto - incalza l’avvocato Bruno Leone del Foro di Siracusa - che il nostro mondo è distante da una realtà di umanità che non si trova all’esterno. Dal mondo carcerario possiamo ricevere esempi di grande umanità".

Non si tratta pertanto solo di mera reintegrazione sociale. Anzi. Non pochi i carcerati coinvolti dal progetto che sono ergastolani e pertanto con nessuna possibilità di tornare nella società. Ciò a conferma che l’intento è di mettere in evidenza come i detenuti siano persone in grado di riconoscere e fare anche "il bene", sia attraverso l’arte o lo studio.

Il più importante aspetto messo in luce nella mostra è la documentazione di una presenza che fa rinascere la speranza in un ambiente dove sembrerebbe non esserci più speranza. Attraverso una serie di importanti citazioni, da Dostoevskij a Sant’Agostino, è stato messo a tema il ruolo della detenzione in Italia a partire dalla Costituzione, che concepisce la detenzione come un percorso di "redenzione".

Oggi questa funzione rieducativa prevista dalla Costituzione è spesso disattesa. "Così nella maggior parte dei casi non è vero che le carceri siano luoghi di recupero e di redenzione dei detenuti. Si assiste, infatti, al dilagare dell’idea tanto sbagliata quanto diffusa, che il detenuto resti sempre tale: chi sbaglia è dannato; dentro o fuori le sbarre rimarrà sempre prigioniero dei suoi errori, un malvagio da emarginare".

Empoli: un’interrogazione di An sul carcere per i trans-gender

 

www.gonews.it, 19 gennaio 2009

 

Al provveditorato sulle carceri di Firenze è già arrivato il decreto che ratifica la conversione del carcere empolese da "femminile" a "casa circondariale maschile" destinata poi a ospitare detenuti "transgender".

La scelta è dettata dal fatto che la casa circondariale del Pozzale è considerata a livello nazionale e regionale come un luogo dove poter sperimentare e accogliere la custodia di soggetti detenuti con vicende personali particolari.

Inoltre la casa di reclusione femminile a regime attenuato di Empoli è ormai semideserta anche perché si sono imposti dei criteri di ammissibilità al carcere femminile del Pozzale talmente ristretti, per cui più di venti domande di trasferimento sono state scartate. La discussione su questi argomenti è destinata ad arrivare anche in Parlamento grazie ad un’interrogazione che Riccardo Migliori (An) presenterà al ministro guardasigilli. Intanto un’interrogazione in comune è stata presentata dai consiglieri del gruppo An verso il Pdl Paolo Baroncelli e Nicola Nascosti.

"Empoli dovrebbe essere il primo carcere italiano per transessuali e nascerebbe, probabilmente , entro i primi mesi del 2009 - spiegano i consiglieri - e potrebbe ospitare una trentina di detenuti transessuali che dovrebbero seguire un percorso di reinserimento personalizzato ed essere seguiti da educatori specializzati.

L’obiettivo dell’amministrazione penitenziaria di rilanciare progetti trattamentali per ciascuna tipologia di detenuti porta alla individuazione della struttura di Empoli ad accogliere i detenuti transessuali, oggi assegnati ad una sezione loro riservata a Sollicciano con l’intento principale di poter garantire anche a questa tipologia di persone detenute interventi sempre più appropriati a livello trattamentale e sanitario.

I transessuali, spesso, però, sono affetti da Sida e, talora, tossicodipendenti. I detenuti transessuali fino ad oggi sono custoditi in reparti separati all’interno di carceri. Gli interessati da trasferire ad Empoli si trovano in una sezione speciale di Sollicciano, dove godono di assistenza generica e specialistica nelle 24 ore. La struttura carceraria di Sollicciano è dotata di copertura medica per tutte le 24 ore, specialisti di ogni genere, apparecchiature diagnostico-strumentali di ogni tipo".

I consiglieri si chiedono se "sarà necessario offrire un servizio sanitario adeguato alla soluzione dei problemi di salute di questa "particolare" tipologia di detenuti. Inoltre se il carcere di Empoli disporrà del Medico Sias e del personale infermieristico per tutte le 24 ore. Chi sosterrà, eventualmente, le spese aggiuntive per detto personale?

Il personale addetto alla sicurezza dei detenuti e della Casa Circondariale è sufficiente ad organizzare la sorveglianza e gli eventuali spostamenti e piantonamenti dei detenuti sia all’interno che all’esterno della struttura? Le strutture ospedaliere di Empoli più coinvolte nella diagnosi e cura delle svariate patologie di questi detenuti saranno in grado di assolvere a questo ulteriore compito?".

Modena: carcere affollato; più di 500 detenuti, 70% di stranieri

 

La Gazzetta di Modena, 19 gennaio 2009

 

Sei mesi dopo l’indulto i detenuti della Casa Circondariale Sant’Anna di Modena erano scesi da 460 a 290. Oggi i detenuti sono addirittura 506, il 70 per cento dei quali sono stranieri, e se non si ferma in qualche modo l’incremento, la struttura carceraria modenese arriverà presto al collasso. Il sovraffollamento nelle celle riflette la gravità dei dati nazionali, la novità modenese è rappresentata dalla straordinaria presenza di detenuti stranieri, con reati spesso legati allo spaccio di droga, come conferma il direttore della Casa Circondariale Paolo Madonna.

 

Dottor Madonna quanti detenuti dovrebbe contenere il Sant’Anna?

"Il numero ottimale sarebbe di 220, 230 persone. Non siamo ancora arrivati al triplo, ma i detenuti sono più del doppio rispetto alla capienza prevista. C’è stata un’escalation e ora siamo arrivati a livelli di guardia".

 

Tradotto, cosa vuol dire?

"Tradotto, significa che quando si raggiungono livelli di guardia sono a rischio l’igiene, la convivenza e la sicurezza. Quest’ultima intesa in generale, non certo in termini di tentativi di evasione o altro".

 

Quanto è grande una cella?

"La cella è grande tre metri per tre e ci dovrebbe starci una sola persona". E invece? "Invece le celle ne contengono tre. La convivenza forzata in uno spazio ridotto genera conflittualità, malintesi".

 

In questi casi come agite?

"Chiediamo trasferimenti e sfollamenti, che producano un decremento delle presenze. Ma non sempre la nostra richiesta viene accettata poiché la situazione nazionale è quella che è. Cosa succederebbe se da altre carceri chiedessero di trasferire i loro detenuti qui?".

 

Che cosa potrebbe succedere qualora il trend continuasse?

"Speriamo che non continui. Noi del resto siamo solo portatori di istanze che cerchiamo di soddisfare".

 

Quanti sono i detenuti che hanno una sentenza definitiva di condanna?

"Sono un terzo del totale".

 

I detenuti protestano contro il sovraffollamento?

"I detenuti sono per il 70 per cento stranieri, in buona parte irregolari che hanno commesso un reato e che hanno fatto la scelta di stare in questa zona per delinquere. Se chiedessero di essere trasferiti, si ritroverebbero magari in posti lontani da Modena e dunque non chiedono di andare via da qui".

 

Perché hanno scelto Modena per delinquere?

"Diciamo che è piuttosto una scelta di nazione. Ci sarebbe bisogno di rivedere i parametri dell’accoglienza".

 

Si spieghi meglio.

"Ci sono maglie troppo larghe. Al Sant’Anna abbiamo gente sbarcata a Lampedusa. Quindi o il problema si risolve a Lampedusa, oppure si deve affrontare successivamente. Se togliamo dal totale dei detenuti il 70 per cento costituito da stranieri, si può immaginare come si starebbe in questo carcere".

 

Che tipo di detenuti ospita la sezione alta sicurezza?

"Ci sono detenuti che hanno commesso reati che per la loro tipologia sono attinenti a quelli di stampo mafioso o camorristico e sono isolati rispetto agli altri".

 

Dalla cella al banco di scuola per costruirsi un altro futuro

 

C’è il detenuto russo già laureato in lettere nel Paese d’origine e c’è quello che inizia dall’alfabeto. E c’è chi, pur essendosi appena diplomato come perito elettrotecnico nella sezione carceraria dell’Ipsia Corni, continua come uditore le lezioni dei compagni.

Tutti, chi più chi meno, sono accomunati dal desiderio di trovare un senso alla propria esistenza in un libro, magari in un mestiere che forse un giorno permetterà loro di evitare errori anche gravi. Sono 145, tra cui 12 femmine, i detenuti del carcere di S. Anna coinvolti nell’istruzione statale, dall’elementare (10º Circolo didattico), alla media (Ferraris), a quella superiore (Istituto professionale Corni).

Venerdì mattina i detenuti reclusi hanno ricevuto la visita del dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale, Gino Malaguti, e quelli delle tre scuole citate, Luigi Calanchi, Renato Luisi e Silvia Menabue, accompagnati dagli insegnanti e dal direttore del S. Anna, Paolo Madonna. "Sette anni fa - ricorda il provveditore Malaguti - ero preside dell’Ipsia Corni, dunque conoscevo questa realtà, ma la visita mi ha permesso di rendermi conto direttamente delle attività svolte e ammetto che la situazione è migliorata.

I dirigenti dei tre istituti da anni conducono un lavoro organizzativo e didattico di qualità. Ringrazio il direttore e il comandante delle guardie per la loro collaborazione". Malaguti si impegna inoltre a "continuare con l’organico delle classi e dei docenti e per migliorare le attrezzature e gli arredi".

L’anno scorso dieci detenuti delle elementari hanno ottenuto un riconoscimento all’Università di Perugia per i risultati raggiunti nella lingua italiana. "L’impegno della nostra scuola - spiega il direttore didattico Calanchi - è nell’alfabetizzazione, visto che i detenuti sono in massima parte stranieri e hanno bisogno di una conoscenza della lingua italiana per poterla utilizzare nel loro rapporto con le istituzioni, con gli avvocati, con i documenti".

Per Luisi "il fatto che l’Usp abbia voluto verificare di persona la situazione conferma l’idea che l’amministrazione centrale tiene a queste forme di recupero". Il tentativo di recupero, osserva la preside Menabue, "forse non cambierà il destino di queste persone, ma è un’opportunità importante di crescita umana e professionale. I nostri risultati sono positivi e ci sono le premesse per crescere visto che c’è la collaborazione delle amministrazioni".

Ma non mancano i problemi. I locali sono pochi e "qualche spazio in più non guasterebbe" ammette il direttore Madonna: "La scuola continuerà nei prossimi anni. L’attività didattica e la cultura possono dare un contributo notevole quanto meno nel tentativo di integrazione di questi detenuti. Gestire ogni giorno lo spostamento e il controllo di 145 detenuti nelle aule richiede uno sforzo non indifferente da parte dell’amministrazione del carcere e degli agenti, ma crediamo ne valga la pena".

Pistoia: parte un Progetto per reinserimento degli ex detenuti

 

In Toscana, 19 gennaio 2009

 

Si presenta oggi, lunedì 19 gennaio 2009, con una conferenza stampa presso la sede della Provincia di Pistoia il progetto IND.I.T Indulto: Insieme sul territorio che si caratterizza come progetto a favore di detenuti tossicodipendenti, alcoldipendenti o portatori di malattie droga-alcol correlate, in libertà per la concessione dell’indulto (ai sensi della legge n. 241/31 luglio 2006). Presentano il progetto l’Assessore provinciale alle politiche sociali Daniela Gai, il Direttore Generale dell’Asl 3 di Pistoia Alessandro Scarafuggi e il Presidente della Cooperativa Sociale Incontro Dott. Giuseppe Iraci.

L’obiettivo di Indit è quello di costruire a livello provinciale modalità operative per facilitare il reinserimento lavorativo di questi ex detenuti, con forte rischio di marginalizzazione, potenziando i servizi già esistenti sul territorio e sviluppando percorsi individualizzati finalizzati a garantire ai fruitori dei servizi adeguate condizioni di alloggio e di mezzi di sussistenza. Il progetto finanziato alla Provincia di Pistoia dal Ministero della Solidarietà Sociale, è stato predisposto a seguito di una precedente rilevazione del Dipartimento delle Dipendenze dell’Azienda sanitaria locale 3 di Pistoia e degli Enti Ausiliari dalla quale risultavano residenti sul territorio circa 85 persone con problematiche connesse a sostanze di abuso e quindi soggetti a rischio di forte marginalizzazione.

Gli enti gestori e attuatori del progetto IND.I.T. insieme alla Provincia di Pistoia, sono la ASL 3, la Cooperativa Sociale Incontro, e alcuni enti ausiliari della Regione Toscana, quali il C.E.I.S. di Pistoia, l’Associazione Famiglie Lotta alla droga Gruppo Valdinievole, l’Associazione Nuovi Orizzonti ed il Ceart (Coordinamento enti ausiliari della Regione Toscana). Il 13 gennaio scorso è stata stipulata la convenzione fra gli enti pubblici e le organizzazioni per dare attuazione al progetto.

Il progetto Indit è un’iniziativa molto importante per il nostro territorio - dice l’Assessore alle Politiche sociali della Provincia Daniela Gai - Siamo infatti riusciti ad ottenere un importante finanziamento (195.000 euro dal Ministero delle solidarietà sociale) per sviluppare percorsi personalizzati legati all’inserimento sociale degli ex detenuti con problemi di dipendenza. Uno dei pochi progetti finanziati interamente dal Ministero della Solidarietà sociale il che dimostra la sua eccellenza. Ringrazio gli Enti Ausiliari del nostro territorio, la Cooperativa Incontro in modo particolare per il lavoro svolto fin qui, e i due SERT dell’Azienda ASL3 per l’impegno e la professionalità che garantiscono, insieme a noi, per la realizzazione delle azioni previste. La Provincia di Pistoia prosegue efficacemente nel suo lavoro di collaborazione con i soggetti istituzionali e del terzo settore del territorio pistoiese che operano per promuovere percorsi d’inclusione sociale per quei cittadini che vivono situazioni di difficoltà o disagio, in modo da dare loro un aiuto concreto per affrancarsi dall’emarginazione e dalla povertà.

Con questo progetto si vuol dimostrare - dice il Direttore generale dell’Asl 3 Alessandro Scarafuggi - la possibilità di un intervento nei confronti di soggetti multiproblematici che mal si inquadrano nell’organizzazione tipica dell’assistenza. Il progetto è reso pertanto possibile solo per l’esistenza di una cultura operativa interdisciplinare dei servizi dell’azienda sanitaria, ma anche dalla qualità del privato sociale che in questa provincia è sempre stata particolarmente elevata, e che è cresciuta con esperienze ormai ventennali. Sancire attraverso accordi, grazie alla collaborazione con enti locali, tali modalità operative ed ottenere per questi modelli finanziamenti specifici, conferma il consenso all’azione di tutti i soggetti coinvolti e l’impegno futuro delle organizzazioni e della collettività.

Già questa partecipazione di diversi enti ed istituzioni - dice il Presidente della Cooperativa Sociale Incontro Dott. Giuseppe Iraci - rappresenta un elemento innovativo e di forza per il nostro territorio. Infatti questi enti insieme lavoreranno per istituire percorsi di accoglimento di questi cittadini con l’obiettivo di identificare progetti individualizzati che riescano a garantire il supporto necessario a reintegrarsi sul territorio, con l’accesso a strutture in grado di accoglierli e ai diversi servizi esistenti rispondendo così ad alcuni bisogni anche basilari, quali quello abitativo, di sussistenza, socio economico e di prevenzione dei rischi che queste persone ed i loro familiari spesso corrono, favorendo anche, in situazione di grosse difficoltà relazionali, di permettere il ricongiungimento familiare. Elemento innovativo centrale di questo progetto è l’aspetto sperimentale e formativo di figure specializzate per gestire casi complessi e difficili come quelli trattati nel progetto. Di tali figure, denominate case manager, ne saranno formate almeno otto individuate tra gli operatori degli enti partecipanti che resteranno come patrimonio per il nostro territorio capaci così di rispondere ai sempre maggiori bisogni di emergenze sociali.

La Cooperativa Incontro, che ha maturato esperienza nel campo del recupero e del reinserimento sociale di soggetti detenuti, posti in libertà con l’indulto o in misura alternativa al carcere caratterizzati da problematiche di tossicodipendenza, è l’organizzazione gestore delle azioni del Progetto Indit. Le altre organizzazioni firmatarie della convenzione segnaleranno proprio personale per partecipare all’apposito percorso formativo in case manager ed alla successiva operatività di quest’ultimi, sostenendo le attività previste nel progetto. Per informazioni: Assessorato alle politiche sociali della Provincia di Pistoia Piazza S. Leone 1 Pistoia tel. 0573.374576

Cagliari: Caligaris (Ps); ancora in cella bimba e madre incinta

 

Agi, 19 gennaio 2009

 

"È ancora dietro le sbarre Josephine la bimba nigeriana detenuta con la giovane madre, incinta di 7 mesi, nel carcere di Buoncammino di Cagliari. Nonostante la promessa del ministro Angelino Alfano che nessun minore sotto i tre anni di età avrebbe più varcato il cancello di un istituto di pena, la piccola non solo subisce innocente la detenzione ma non ha neppure ancora ottenuto il permesso di frequentare un asilo nido.

Una situazione inaccettabile in un paese civile". Lo afferma la consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris (PS), componente della Commissione "Diritti Civili", denunciando, ancora una volta, la condizione di vita della figlioletta di un’extracomunitaria arrestata e processata per traffico di droga in carcere da cinque mesi.

Padova: quando "Giotto" dipinge una nuova vita per i detenuti

di Fabio Miceli

 

www.ghigliottina.it, 19 gennaio 2009

 

Grazie alla Cooperativa Sociale di Padova e a numerose altre associazioni il reintegro nel mondo lavorativo è più soft per migliaia di detenuti. Dietro le sbarre si vincono premi di cucina e si scrivono libri di ricette.

Basta vergogna. Occorre riconoscere il forte potere evocativo proprio di alcuni luoghi comuni. "Tutti meritano un seconda opportunità" cela dietro all’apparente banalità un aspetto tutt’altro che condiviso realmente nel pensiero comune, come noto fortemente influenzato da pregiudizi e stereotipi danneggiati. Chi presto tornerà a vivere e respirare il profumo della libertà, uscendo dal baratro in cui si era infilato, deve essere sostenuto e non emarginato durante la fase di riabilitazione. Ritrovare una strada, rimettersi in carreggiata, tornare a essere vivo dopo essere inciampato maldestramente su un gradino. Sarà che le persone in carcere vengono percepite dai "normali" come tutte uguali, indipendentemente dal motivo per il quale lì dentro si sono ritrovate.

Poco rilevanza viene attribuita a tutte quelle variabili ambientali che aprendo un manuale di psicologia sociale trovano collocazione all’interno delle mille leggi sul sé e sul rapporto con gli altri e con l’ambiente espresse dai migliori studiosi di ogni tempo, non proprio materiale da tralasciare se posso dare un consiglio. Un reato rimane sempre un reato per carità, punito con le sanzioni previste dalla legge, qui si mette in discussione l’accoglienza riservata ai galeotti al loro ritorno fra i liberi. E su questo si deve discutere.

Solitamente, e non serve suffragare queste affermazioni con dati statistici, il volto di un detenuto deve condividere il resto dell’esistenza con un’etichetta gigante impressa sulla fronte, e sui documenti, che lo macchia indelebilmente impedendogli di tornare a una vita e a un lavoro "normale". Una società che intanto è evoluta e ha cambiato le carte in tavola rispetto a quella che aveva lasciato non sempre è pronta a dargli il bentornato.

Per fortuna che c’è chi questo lo fa di mestiere. Reintrodurre pecorelle smarrite nel gregge infatti è il pane quotidiano di associazioni Onlus, enti pubblici e privati, vere e proprie oasi di salvezza per carcerati ed ex, in cui i primi hanno la possibilità di apprendere e svolgere nuove arti già durante la residenza nelle case penitenziarie e i secondi tornare subito a lavorare iniziando immediatamente a inserire esperienze nel proprio curriculum.

Il tentativo finora si è rivelato un successo culminato in settimana addirittura con il trionfo della sezione Itis carceraria di Larino, premiata nell’ambito del Concorso Nazionale "Cib… Arti" per lavori creativi sul tema dell’alimentazione promosso dal Ministero della Pubblica Istruzione. Un concorso che prevedeva quattro diverse sezioni, dal miglior spot al disegno, dall’inno al video di comunicazione sul diritto all’alimentazione. La sezione carceraria ha ricevuto il Primo premio per la sezione video Intervista… al piatto, realizzando il miglior piatto povero, con il miglior risultato organolettico, valore nutritivo, il minor numero di ingredienti e il minor costo per la realizzazione.

E non si tratta affatto di exploit isolato sempre in ambito culinario, ci sono anche, fra gli altri, i giovani pizzaioli dell’Istituto Penale per i Minorenni "Silvio Paternostro" di Catanzaro alle prese con i segreti di pomodoro mozzarella e forno a legna, mentre a Milano, a San Vittore, addirittura si pubblicano libri di cucina, come quello uscito nel 2005 dal titolo "Avanzi di galera, le ricette della cucina in carcere".

L’esempio più clamoroso però rimane quello degli ormai già noti panettoni sfornati dai pasticceri del carcere "Due Palazzi", la cui produzione nell’ultimo anno ha superato quota 30.000. Quest’ultimo successo ha un nome, la Cooperativa sociale Giotto, frutto della passione di un gruppo di giovani laureati in scienze agrarie e forestali. Inizialmente nata come società di progettazione e manutenzione del verde a numerosi altri servizi, unendo la professionalità a obiettivi etici e sociali ha poi portato nel 1991 la propria conoscenza e una buona dose di lavoro nelle carceri.

Milano: per "Cittadella della giustizia" servirà un miliardo di euro

di Davide Carlucci

 

La Repubblica, 19 gennaio 2009

 

Rispetto a quelli che serviranno sono poca cosa. Ma sono i primi soldi stanziati per la Cittadella della giustizia: un milione e 150mila euro. Serviranno per lo studio di fattibilità del mastodontico progetto di trasferimento degli uffici giudiziari e di San Vittore a Porto di mare.

In quell’area a sud della città, la Cittadella occuperà un milione e duecentomila metri quadrati. Una parte saranno all’interno del parco agricolo Sud: perché siano utilizzabili, però, bisogna che sia rimosso il vincolo ambientale, e questa è una partita ancora tutta aperta.

A stanziare i fondi per i nuovi uffici giudiziari sono stati i ministeri delle Infrastrutture e della Giustizia (500mila euro in tutto), la Regione, il Comune (300mila a testa) e la Provincia (50mila). Per cominciare a capire come (e se) sarà possibile realizzare l’opera e soprattutto quanto costerà. Tantissimo, ipotizzano fin da ora i tecnici che se ne stanno occupando: almeno un miliardo di euro (ma forse qualcosa di più). E allora c’è un’altra domanda alla quale l’analisi dei costi dovrà dare risposta, nel giro di sei mesi: come recuperare tutta questa montagna di denaro di cui le casse pubbliche non dispongono?

La soluzione al quesito arriverà da Infrastrutture Lombarde spa, la società individuata dalla Regione (che sta coordinando i vari enti interessati) come destinataria dei fondi per questa fase preliminare di analisi. Una società che, per ironia della sorte, in questo momento è al centro dell’attenzione dei magistrati che dall’attuale palazzo di Giustizia si dovranno trasferire nel nuovo: il sostituto procuratore potentino John Woodcock ha trasmesso a Milano un fascicolo nel quale si ipotizzano una serie di reati, tra i quali la corruzione, a carico dei dirigenti della società per la realizzazione del nuovo Pirellone.

Gli avvocati dei manager in questi giorni si sono precipitati dal pm Frank Di Maio per chiarire la loro posizione (e non è escluso che presto la loro posizione possa essere valutata come penalmente irrilevante). Nel frattempo, però, sono loro a doversi occupare di aspetti decisivi come la "valorizzazione" del patrimonio giudiziario milanese. Ovvero, della vendita di alcuni immobili per far cassa. Se si tolgono però il palazzo di Giustizia, il tribunale dei minorenni e l’ex Beccaria, vincolati dalla Soprintendenza, non rimane molto.

Immigrazione: gli stranieri sono 4,3 milioni, 651mila di irregolari

 

Redattore Sociale - Dire, 19 gennaio 2009

 

Continua a crescere il numero di immigrati In Italia. Sono oltre 4 milioni. Al primo gennaio 2008 hanno raggiunto la quota di 4 milioni e 328 mila, con un incremento rispetto al 2007 di 346 mila persone. La maggior parte di loro ha il permesso di soggiorno (3 milioni e 677 mila), mentre gli irregolari, circa 651 mila, sono in aumento visto che nel 2007 erano 349 mila. È quanto emerge dal "XIV rapporto sulle migrazioni 2008", presentato questa mattina a Milano dalla Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità).

Nella classifica delle nazionalità, in testa i romeni (625 mila, più 82,7% rispetto al 2007), seguiti da albanesi (402 mila), marocchini (366 mila), cinesi (157 mila) e ucraini (133 mila). I minori figli di immigrati sono 767 mila, di cui 457 mila nati in Italia. E fra i banchi di scuola gli alunni stranieri sono 574.133 (anno scolastico 2007/2008), 70 mila in più rispetto all’anno precedente.

L’Inail nel 2007 ha registrato quasi 3 milioni di assicurati fra gli immigrati, segno che la maggioranza ha un lavoro. Secondo l’Ismu il tasso di occupazione è del 65,7%. Sono inoltre sempre di più gli immigrati che fanno carriera all’interno delle imprese, ricoprendo cariche sociali: sono infatti 384 mila, il 145,6% in più rispetto al 2000 quando erano solo 156 mila. E continua anche il trend positivo degli stranieri che diventano imprenditori: le ditte individuali sono 258 mila, mentre nel 2007 erano 85 mila.

Nel 2007, il 35% delle segnalazioni di reati ha riguardato gli immigrati. In carcere su 55.057 detenuti (al 30 giugno 2008), 20.617 sono stranieri, pari al 37,4% della popolazione carceraria. "Molti reati sono violazioni delle leggi sull’immigrazione - avvertono i ricercatori dell’Ismu -. Per gli stranieri, inoltre, la custodia cautelare è sempre in carcere poiché è raro che si concedano i domiciliari".

Droghe: Genova; 81enne in arresto, per detenzione di sostanze

 

Ansa, 19 gennaio 2009

 

Un’anziana di 81 anni, Vita Lippolis, di Perinaldo, nell’entroterra di Bordighera, è stata arrestata dai Carabinieri, in quanto doveva scontare un definitivo di pena a 6 mesi circa di reclusione per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Data l’età la donna ha ottenuto il beneficio degli arresti domiciliari.

L’ottuagenaria, colpita da una pena definitiva emessa dalla Procura Generale di Genova, era rimasta coinvolta in un’inchiesta partita dal capoluogo ligure tra il 2004 ed il 2005 che riguardava un traffico di stupefacenti. Condannata in un primo momento ad una pena maggiore di tre anni, grazie anche all’indulto, le sono rimasti da scontare sei mesi.

San Marino: con sette detenuti il piccolo carcere è già strapieno

 

San Marino Oggi, 19 gennaio 2009

 

Spesso si è ironizzato sul numero dei carcerati nella Repubblica di San Marino, in genere una o due unità (indicata come lo Stato con meno detenuti al mondo). Adesso, dopo l’arresto dei quattro autori dell’ultima serie di furti, i detenuti sono sette. Insomma uno in più delle celle disponibili nel ‘bracciò maschile. Gli ultimi quattro giovani arrestati, non possono dialogare fra loro prima dell’interrogatorio del giudice fissato per oggi.

"I genitori dei giovanissimi detenuti non si sono ancora presentati in Gendarmeria per assumere informazioni riguardo ai figli, ma qualcuno è già passato per il carcere per lasciare solo abiti ed effetti personali".

Bulgaria: dal governo progetto di amnistia, per 3.300 detenuti

 

Ansa, 19 gennaio 2009

 

Lo scorso mese di dicembre il quotidiano bulgaro Vseki Den riportava di un nuovo progetto di legge del Consiglio dei ministri per dare l’amnistia a circa 3.300 prigionieri. Motivo: far posto nelle carceri vetuste e sovraffollate, renderle luoghi di detenzioni in linea, per quanto possibile, con gli standard dell’Unione europea.

Sono circa 12mila le persone imprigionate nelle carceri della Bulgaria; il nuovo progetto di legge, come aveva spiegato la ministra della giustizia Miglena Tacheva, prevede l’amnistia per chi è stato condannato a causa di crimini non gravi commessi prima del 1 luglio 2008, per chi è stato condannato a tre anni di detenzione per crimini con l’accusa di premeditazione e per chi è stato condannato a pene inferiori ai cinque anni per atti commessi per imprudenza. Il decreto non concerne invece i crimini commessi sotto l’influsso dell’alcol o quelli che hanno causato alla vittime gravi menomazioni fisiche o che ne hanno causato la morte. Il progetto comporterà inoltre l’alleggerimento di cinque anni di carcere a prigionieri che ne hanno già scontati oltre 15 e di due anni a chi ha già passato in carcere dai 10 ai 15 anni.

Gran Bretagna: cantante Boy George in carcere, teme uccisione

 

Ansa, 19 gennaio 2009

 

"Non posso andare in prigione, cercheranno di uccidermi per quello che rappresento": un Boy George in lacrime ha confidato le sue paure a un altro detenuto, mentre attendeva in una cella del tribunale di essere spedito al carcere di Pentonville, a nord di Londra, dopo la condanna a 15 mesi per aver ammanettato al letto un giovane escort norvegese.

"I prigionieri cercheranno di picchiarti", lo ha messo in guardia Richard Lyttle, scrive il Mirror on Sunday, condannato più volte per infrazioni del codice stradale, spiegandogli come comportarsi in un carcere di categoria B. L’ex idolo del pop anni Ottanta, una delle icone gay più famose al mondo, "non smetteva di singhiozzare" e diceva "non posso andare in prigione, mi uccideranno", ha raccontato Lyttle.

"Gridava che era solo una vecchia e grassa popstar di cui tutti ridevano", ha aggiunto. Nella cella di sicurezza della Snaresbrook Court di Londra, Boy George, 47 anni, all’anagrafe George Ò Dowd, era accartocciato in un angolo e piangeva come un bambino. Gli altri detenuti gli chiedevano di fare silenzio e lui teneva la testa bassa.

L’altro giorno Boy George, che ha venduto più di 25 milioni di dischi con i Culture Club, è stato trasferito nella prigione. Secondo alcuni è stato subito preso in giro dagli altri detenuti nell’area della reception, qualcuno gli chiedeva anche l’autografo. Una fonte dell’istituto penitenziario ha rivelato che gli amministratori hanno deciso di trasferirlo nell’ala dell’ospedale per la sua sicurezza.

"È dichiaratamente gay e un personaggio famoso, ciò che lo rende un bersaglio facile per qualcuno che vuole farsi un nome ha spiegato la fonte . Sarebbe troppo vulnerabile in un’ala normale e la sua sicurezza non potrebbe essere garantita".

Alle guardie è stato ordinato di controllare che non sia in pericolo o si faccia del male da solo. Nel reparto ospedaliero, lo stesso dove è stato ricoverato il marito di Amy Winehouse, Blake Fielder Civil, l’ex star riceverà ora assistenza psicologica.

 

 

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