Rassegna stampa 6 febbraio

 

Giustizia: la "nuova civiltà"... dell’odio e della disuguaglianza!

di Giuseppe D’Avanzo

 

La Repubblica, 6 febbraio 2009

 

Quel che è accaduto al Senato con l’approvazione delle nuove leggi per la sicurezza è elementare nella sua barbarie. Per un atto di ossequio politico ai desideri xenofobi della Lega, si sono dichiarati inattuali e fuori legge i diritti degli uomini, delle donne, dei bambini che non sono nati qui da noi, che non sono cittadini italiani; che non hanno il permesso di soggiorno anche se nati in Italia; che non vivono in una casa ritenuta igienicamente adeguata dal sindaco; che non conoscono l’italiano; che stanno come una mosca sul naso della "guardia nazionale padana" (ora potrà collaborare con le polizie). La notizia è allora questa: le nuove leggi inaugurano una nuova stagione della civiltà del nostro Paese.

È una stagione livida, odiosa, crudele, foriera di intolleranze e conflitti perché esclude dall’ordine giuridico e politico dello Stato i diritti della nuda vita naturale di 800 mila residenti non-cittadini, migranti privi di permesso di soggiorno, un’esclusione che si farà sentire anche sulle condizioni di vita e di lavoro degli oltre tre milioni di immigrati regolari.

Lo stato di eccezione, che la destra di Berlusconi e Bossi ha adottato fin dal primo giorno come paradigma di governo, diventa così regola. Con un tratto di penna, centinaia di migliaia di non-cittadini, in attesa di permesso di soggiorno - che spesso già vivono nelle nostre case come badanti, che puliscono i nostri uffici, cucinano nei nostri ristoranti, lavorano nei nostri cantieri e fabbriche - perderanno ogni diritto protetto dalla Costituzione, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’uomo, dalle convenzioni internazionali (il diritto all’uguaglianza, il diritto alla salute, il diritto alla dignità della persona). Nemmeno i bambini potranno curarsi in un ospedale pubblico senza essere denunciati (abolito il divieto di denuncia per i medici).

I migranti senza carta troveranno sempre più difficoltà nel trovare un alloggio. Non potranno spedire a casa alcuna rimessa, il denaro guadagnato qui. Dovranno mostrare i documenti alle "ronde", improvvisate custodi di un privato ordine sociale. Vivranno nelle nostre città con il fiato sospeso, con il terrore di essere fermati dalle polizie, in compagnia dell’infelice pensiero di essere scaraventati da un’ora all’altra in un vuoto di diritto, da un giorno all’altro rimpatriati in terre da dove sono fuggiti per fame, povertà, paura.

Sono senza cittadinanza, sono senza "visto", saranno senza diritti: questo è il nucleo ideologico che la Lega ha imposto alla maggioranza che lo ha condiviso. I diritti "nostri" diventano gli strumenti per cancellare i diritti degli altri, di quelli che sono venuti "in casa nostra". Si sapeva da tempo - lo ha scritto qui Stefano Rodotà - che questo "pacchetto" di norme avrebbe creato un vero e proprio "diritto penal-amministrativo della disuguaglianza" in contrasto con i precetti della Costituzione, è accaduto di più e di peggio.

Quel profilo di legalità costituzionale, il precetto che impegna la Repubblica "a riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo", ad "adempiere ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale", è apparso a una destra spavaldamente xenofoba null’altro che "un fantasma senz’anima". Più che di incostituzionalità bisogna parlare di anticostituzionalità, come ha già fatto Gustavo Zagrebelsky. Bisogna prendere oggi atto del passaggio da una Costituzione a un’altra.

Va registrato questo salto nel vuoto, uno slittamento che - con il cinico progetto di trasformare la paura in utile politico - prepara una condicio inhumana per il popolo dei "senza": dei senza permesso, dei senza casa, dei senza patria. è una nuova Costituzione, non ancora scritta o discussa, che disegna una società di diseguali, "premessa dell’ingiustizia, della discriminazione, dell’altrui disumanizzazione".

È una deriva coerente con quanto il governo Berlusconi e la sua destra ci hanno mostrato in questi mesi. L’indifferenza per l’universalità dei diritti della nuova legge si connette alla distruzione della funzione parlamentare, prepara la dipendenza della funzione giudiziaria, annuncia la fine della separazione dei poteri. Lo scambio tra Berlusconi e Bossi è manifesto anche per chi non ha voglia di vederlo o fronteggiarlo. Alla Lega, federalismo e leggi xenofobe contro i non-cittadini. Al Capo, la vendetta sulla magistratura e la concentrazione del potere. Così, passo dopo passo, legge dopo legge, la nostra democrazia liberale cambia pelle per diventare democrazia autoritaria.

Non ci si deve rassegnare a quest’esito. Non ci si può rassegnare. La bocciatura del governo al Senato in tre votazioni dimostra che qualche mal di pancia c’è nella maggioranza. Svela che non tutti, in quel campo, accettano che la politica dell’immigrazione diventi, nelle mani della Lega, esclusiva questione di polizia e dispositivo di esclusione e non di integrazione. Si può, si deve credere con disincanto che qualche argomento, nel prossimo dibattito alla Camera, possa far leva sui più ragionevoli e pragmatici. È vero, psicologia sociale e cinismo politico tendono a ingrassare, con la complicità dei media, la diffidenza nelle relazioni tra le persone e tra le comunità. Come è vero che l’appello alla legalità costituzionale suona impotente e inutile in ampie aree del Paese.

E tuttavia a quel ceto politico, a quell’opinione pubblica si può dimostrare come il registro disumano delle nuove leggi non protegge la sicurezza del nostro Paese. La minaccia. Come la persecuzione degli immigrati non conviene al Paese. L’esercito di badanti che oggi accudisce i nostri anziani (sono 411.776 colf e badanti in attesa del "visto") consente un welfare privato, dopo il tracollo di quello pubblico, anche a famiglie non privilegiate, dal reddito modesto. Chi può ignorare che quelle braccia che oggi dichiariamo fuori legge consentono al nostro sistema delle imprese di competere su mercati internazionali o di tenersi a galla in tempi difficili? O chi può dimenticare che il contributo al prodotto interno lordo della manodopera straniera sostiene il pagamento delle pensioni di tutti?

Anche chi volesse ignorare tutto questo dovrebbe fare i conti con una constatazione concreta. Le nuove leggi di uno Stato punitivo e "cattivo", come piace dire al ministro dell’Interno Maroni, consegneranno una massa crescente di non-cittadini migranti a organizzazioni criminali che si occuperanno del loro alloggio, dei loro risparmi, finanche della loro salute rendendo più insicuro e fragile il Paese, è un’illusione - e sarà presto un pericolo - credere che "noi" cittadini possiamo negare ogni riconoscimento, anche di una nuda umanità, a "loro", ai non-cittadini. Questa strategia persecutoria per quanto tempo credete che sarà accettata in silenzio? Il nostro Paese, già diviso da ostinate contrapposizioni domestiche, non ha bisogno anche di conflitti razziali.

Giustizia: la "fabbrica della paura" e la deriva dei Democratici

di Giovanni Russo Spena e Gennaro Santoro

 

Liberazione, 6 febbraio 2009

 

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, lo scorso gennaio, ha sospeso il decreto flussi nella parte in cui discrimina datori di lavoro stranieri che, al contrario di quelli italiani, avrebbero dovuto confermare, entro un brevissimo lasso di tempo, il loro interesse all’assunzione di lavoratori extra Unione europea. Una pronuncia giudiziaria che mette in luce irrazionalità e incostituzionalità delle misure legislative adottate dall’attuale maggioranza in tema di immigrazione. Una decisione oscurata dai media (ad eccezione di Liberazione ) e, soprattutto, non sufficientemente considerata nella sua importanza dalle attuali forze di opposizione presenti in Parlamento.

Il Pd, piuttosto che denunciare il razzismo istituzionale e di stato dell’attuale governo, sembra essere attento esclusivamente a reiterare i propri errori in tema di sicurezza, intesa come sicuritarismo. Non a caso Roma è tappezzata di manifesti del tipo "Aumentano i reati a Roma. Alemanno che fa?". Oppure "Raddoppiano gli immigrati clandestini, Berlusconi racconta bugie". In questo modo, però, si alimentano paure ed insofferenze che legittimano, in qualche modo, il razzismo popolare fortemente alimentato dalle torsioni sicuritarie dei dirigenti politici. Dimenticando che a sinistra la parola sicurezza dovrebbe alludere alla sicurezza dei diritti e non solo al diritto alla sicurezza (urbana). Dimenticando che le elezioni dello scorso aprile (ma anche quelle del 2001) si sono perse soprattutto perché il centrosinistra ha inseguito la destra sul tema della sicurezza metropolitana non proponendo ricette alternative, progetti, programmi di socializzazione, costruzione di presidi democratici sul territorio anche come elemento di crescita culturale di massa.

Intanto il Senato vara un disegno di legge che renderà ancora più dura la vita dei migranti (anche di quelli regolari) e Berlusconi annuncia che i pubblici ministeri perderanno la loro autonomia per divenire servitori del potere esecutivo, che deciderà quali reati perseguire, quali accantonare nei cassetti dei nuovi "avvocati dell’accusa". L’Italia è già al 156° posto al mondo per il funzionamento della giustizia a causa anche della moltitudine di procedimenti pendenti contro venditori di borse contraffatte e poveri cristi che non hanno ottemperato all’ordine del questore di lasciare il territorio nazionale. In Italia già esiste una giustizia diseguale, nella quale i colletti bianchi indagati beneficiano dell’intasamento dei tribunali pagando fior di avvocati per far cadere il proprio reato in prescrizione (questa è la vera e propria amnistia di fatto per i ricchi).

Se passeranno i disegni del governo senza una reale opposizione non sarà nemmeno sufficiente costruire nuove carceri, da affidare ad amici "privati", per rincorrere l’emergenza del sovraffollamento; il carcere sostituirà, infatti, l’assenza dello stato sociale e del diritto universale. E non saranno sufficienti nuovi centri di detenzione amministrativa o isole-caserme come Lampedusa, per contenere masse umane che fuggono da guerre e miseria a cui viene negato anche il diritto costituzionale all’asilo.

La vera opposizione a questa deriva culturale non la si fa inseguendo gli "imprenditori politici del razzismo" come Maroni e soci. Per questo motivo abbiamo istituito, insieme ad altri dipartimenti del Prc e ad altri soggetti del mondo intellettuale, culturale, associativo, dei saperi sociali, un "Osservatorio contro la fabbrica della paura e per la sicurezza dei diritti". Un Osservatorio multidisciplinare che si propone un’attività di informazione e formazione e di prestare tutela legale ai soggetti più deboli colpiti dalle nefandezze legislative ed amministrative del governo e dei sindaci-sceriffi. Un Osservatorio che crei vertenzialità, conflitto, mutualismo, nessi unitari della solidarietà sociale.

Non basta qualche emendamento o il voto contrario in Parlamento. Vi è un problema politico e culturale di fondo: di fronte al "diritto penale del nemico", al diritto speciale contro i migranti, che il governo alimenta, Veltroni e Di Pietro oscillano, drammaticamente, tra la tentazione di cavalcare le pulsioni xenofobe ed una modesta tattica emendativa. Questo tema, allude invece, al futuro del nostro ordinamento costituzionale e della nostra società.

Giustizia: la gente è in preda alla paura? ci pensano le ronde!

di Marcello Sorgi

 

La Stampa, 6 febbraio 2009

 

Preceduta da una tripla bocciatura del governo, l’approvazione del decreto sicurezza al Senato s’è lasciata dietro una scia di polemiche interne al centrodestra. C’è un evidente malessere della Lega, che per la criminalità e i clandestini reclama mano più forte. E ci sono riserve all’interno della maggioranza, cui hanno dato voce i franchi tiratori che nell’aula di Palazzo Madama hanno fatto andare sotto il governo.

Ma oltre all’aspetto fisiologico di attriti e incidenti parlamentari, va valutato l’effetto di tali tensioni sul merito di provvedimenti delicati come questo, e in vista di riforme importanti come la giustizia. Su materie che toccano la sensibilità dell’opinione pubblica, è buona regola intervenire meditatamente, non lasciandosi trascinare dall’emozione o da eventi contingenti. Non è in gioco infatti solo un buono o un cattivo risultato politico agli occhi degli elettori. Ma, ciò che è più importante, una buona o cattiva legge. Ora, che in materia di sicurezza si richieda una svolta sia in termini di severità che di efficienza, e che lo sforzo del governo vada in quella direzione è dimostrato dal quadro preoccupante descritto pochi giorni fa dai procuratori della Repubblica. I reati, anche i più odiosi, sono in aumento. A Roma e dintorni, nelle sole prime due settimane dell’anno, ci sono stati tre stupri. Crescono traffico e diffusione di droghe, aggirando ogni azione di contrasto. Le organizzazioni criminali resistono all’offensiva dello Stato. La criminalità elettronica e telematica si riproduce e si specializza. Opacità e tangenti nella pubblica amministrazione non accennano a diminuire. La sicurezza e la crisi economica sono al primo posto tra le emergenze che i governi, non solo il nostro, devono affrontare.

Ma ridurre un quadro così complesso - che richiede in tutta evidenza un approccio integrato, con politiche diverse - a un problema di immigrati clandestini, o di reazione di polizia, francamente è riduttivo. Anche qui: un fenomeno in crescita come l’immigrazione clandestina ha dato un contributo negativo alla situazione dell’ordine pubblico e all’incremento della microcriminalità. E tuttavia, aspettarsi che questo possa essere risolto innalzando (come si voleva, e come i franchi tiratori hanno impedito di fare al Senato) da 60 giorni a 18 mesi l’internamento dei clandestini nei centri di accoglienza è illusorio. Già adesso, che il termine è di due mesi, i centri scoppiano: nella sola Lampedusa, il porto d’approdo più frequentato dagli extracomunitari, ci sono 1.800 detenuti in una struttura che ne potrebbe contenere 800. Due settimane fa c’è stata una rivolta con fuga all’esterno degli internati. Se le uscite dei clandestini che devono essere rimpatriati vengono rallentate con un allungamento della detenzione, si può immaginare quanto potrà peggiorare l’affollamento.

Ciò non vuol dire, ovviamente, che se il termine di 60 giorni s’è rivelato insufficiente, per completare le procedure di rimpatrio, non possa essere rivisto. Da due mesi a un anno e mezzo ci sono molte altre possibilità. Né va dimenticato che un problema come quello degli sbarchi clandestini, destinato ad aggravarsi nei prossimi mesi, con la buona stagione, va affrontato anche con un’iniziativa diplomatica più stringente, e sollecitando una maggiore collaborazione, troppe volte promessa, e mai effettivamente prestata, dai nostri dirimpettai della costa africana.

Ma ci sono altri tre punti controversi del decreto. Il primo è la collaborazione, inizialmente obbligatoria, poi ridimensionata a facoltativa, dei medici ospedalieri nel denunciare i clandestini che si rivolgono a loro per essere curati. Il medico è sempre sottoposto a un obbligo di referto: è difficile che possa nascondere una coltellata, o una ferita d’arma da fuoco, o una serie di palline di droga nascoste nello stomaco di un paziente, senza neppure badare al colore della pelle o ai documenti del paziente che gli si sdraia davanti. Ma se deve controllargli i documenti prima di curarlo, occorrerà valutare anche se sia meglio che un extracomunitario irregolare infetto o ammalato di un virus contagiabile circoli liberamente, ancorché clandestinamente, senza poter andare in un ospedale, o se non sia più opportuno che sia curato per non recare danni alla comunità.

Il secondo punto da rivedere riguarda le ronde urbane di liberi cittadini, approvate con leggerezza, anche se con l’appoggio di molti sindaci, che amano guidarle, e privilegiarle, oltre che per la sicurezza, anche come strumento per guadagnare il consenso dei propri elettori. Va da sé che la responsabilità ricadrà sui poliziotti a cui i cittadini si uniranno, per accompagnarli, e qualche volta, involontariamente, per intralciarli. Dio ci guardi da improvvisi nervosismi di entusiasti - ce ne sono - non preventivamente disarmati. Impossibile infine - anche se comprensibile, ma al limite, per esigenze delle forze di polizia - si rivelerà presto il censimento dei senza tetto. A parte la difficoltà di controllare gli abitanti saltuari delle baraccopoli, nelle quali è diffuso il nomadismo, viene da chiedersi come materialmente - a meno di non trasformare la Caritas in un organo di polizia - si potranno censire i clochard, i poveri e gli anziani che si abbandonano davanti alle chiese, gli abitanti di stazioni ferroviarie e di treni abbandonati, come quel disgraziato indiano bruciato vivo l’altra notte a Nettuno.

Per fortuna il decreto approvato al Senato potrà essere modificato alla Camera. È augurabile che venga fatto. Così come è possibile - e sperabile - che con la Lega si arrivi a un chiarimento politico più generale. A rendere inquieto Bossi non è tanto questo o quell’articolo di una legge, ma il dialogo avviato da Berlusconi con Veltroni sulla legge elettorale, sulla Rai e sulla giustizia. Si vedrà se il Cavaliere riesce a tenere insieme la sua maggioranza, mentre gioca a ping-pong con l’opposizione.

Giustizia: Veltroni; denunciare irregolari malati è vergognoso

 

Il Sole 24 Ore, 6 febbraio 2009

 

"È vergognoso e razzista l’emendamento della Lega al ddl sicurezza che consente ai medici di denunciare i clandestini, approvato oggi dal Senato". Lo dice il segretario del Pd, Walter Veltroni, che ha parlato a margine di una visita alla sede di Siena della Novartis.

"L’idea di creare le condizioni per le quali persone che sono ammalate abbiano paura di farsi curare è un’idea inumana, è un’idea che meriterebbe una risposta, da parte di tutti coloro i quali hanno a cuore la vita, molto forte e determinata".

Per il leader Democratico si tratta di "un’idea sostanzialmente razzista: per me è del tutto inaccettabile. Una cosa è governare i flussi migratori, una cosa è distinguere tra coloro che vengono a lavorare qui per la loro famiglia e per se stessi, e coloro che vengono per delinquere; un’altra cosa è stabilire norme che sono improntate ad uno spirito di carattere razzista - ha concluso Veltroni - e che come tale la nostra cultura, perlomeno la cultura di gente come noi, non accetta".

Sdegno anche dalla Conferenza Episcopale Italia. Domenico Segalini, vescovo di Palestrina e Segretario della commissione Cei per le migrazioni, sottolinea: "alla Chiesa competerà sempre di aiutare le persone in pericolo di vita. Le leggi sono votate secondo le regole della democrazia, ma noi continueremo ad aiutare poveri immigrati non regolari". Tuttavia anche su questa materia, secondo mons. Segalini è possibile "riaprire un dialogo con lo Stato per raggiungere una mediazione".

"Il mio cuore di pastore - ha affermato ancora mons. Segalini - mi dice di aiutare chi è in difficoltà e non sono obbligato a denunciare nessuno". Così "le indicazioni che daremo alle realtà di base sono quelle del rispetto delle leggi ma al di sopra di tutto c’è il rispetto della salute", "continueremo a mettere al caldo i barboni" ha aggiunto. Quindi, ha spiegato il responsabile Cei per l’immigrazione, bisogna valutare in questo specifico frangente "oltre le strettezze delle leggi le capacità del cristiano". È grave, ha rilevato mons. Segalini, che una persona in pericolo di vita "non vada a farsi assistere per paura di essere denunciato". In quanto a ciò che sceglieranno di fare i medici, mons. Segalini ha osservato che "i medici aiutano le persone che soffrono" non so come faranno in questa situazione "a difendere la loro professionalità"; "compito di un medico è quello di assistere chi soffre senza guardare alla religione, al colore della pelle o se è un condannato a morte".

Giustizia: i medici in rivolta; faremo "obiezione di coscienza"!

di Marina Cavallieri

 

La Repubblica, 6 febbraio 2009

 

Fanno appello al Codice deontologico, invitano a praticare il dissenso, chiamano all’obiezione di coscienza. Un fronte ampio e trasversale di camici bianchi si è schierato contro la norma votata al Senato che prevede la denuncia da parte dei medici degli stranieri irregolari. Non è un dissenso formale, quello che esprimono, è una preoccupazione che assedia i luoghi della salute e le coscienze. Si rischia, dicono, una catastrofe sanitaria, una sanità clandestina gestita da gruppi etnici e religiosi, una deriva giuridica.

Spiega preoccupato Amedeo Bianco, presidente della Fnomceo, Federazione degli ordini dei medici: "È una norma che va contro l’etica e la deontologia e va contro il principio base della tutela della salute pubblica". Gli irregolari, temendo la denuncia, potrebbero "non curarsi più in strutture riconosciute, creando fenomeni clandestini di cura molto rischiosi".

Di "grave rischio" parla anche il segretario della Federazione dei medici di famiglia, Giacomo Milillo: "Un clandestino potrebbe non rivolgersi alla struttura sanitaria per paura di essere denunciato". Con la possibilità che si diffondano malattie come scabbia, tbc, malaria. No anche dal fronte dei medici cattolici, sostenuti dalla Cei: "Alla Chiesa competerà sempre di aiutare le persone in pericolo di vita e non sono obbligato a denunciare nessuno", ha detto Domenico Segalini, segretario della commissione Cei per le migrazioni.

Circola tra le file dell’opposizione e dei sindacati un invito ad esercitare l’obiezione di coscienza. Carlo Podda, segretario generale della Fp Cgil, annuncia che "verranno valutate le iniziative più efficaci per scongiurare l’applicazione di questa norma, prime tra tutte la disobbedienza civile e l’obiezione di coscienza". Anche Vittorio Agnoletto e Giusto Catania, eurodeputati del Prc, propongono "all’Ordine dei medici di avviare una campagna per l’obiezione di coscienza".

E l’immunologo Fernando Aiuti, del Partito della Libertà, presidente della Commissione Speciale Politiche Sanitarie del Comune di Roma dice chiaramente: "Mi auguro che i medici disobbediscano". Dicono no alla norma voluta dalla Lega anche i medici che da sempre combattono in prima linea. "Siamo sconcertati - dichiara Kostas Moschochoritis, direttore generale di Medici senza frontiere Italia - È una scelta che sancisce la caduta del principio del segreto professionale".

"Delusi e preoccupati" i pediatri. In una nota la Società italiana di pediatria ricorda che "la denuncia da parte del medico degli immigrati clandestini mette in pericolo soprattutto i bambini". Che rischiano di diventare invisibili. Ed è stata una pediatra di Modena, Maria Catellani, a diffondere, già da dicembre, un appello su internet contro la norma. "Abbiamo raccolto 78 mila firme, c’è veramente una differenza di sentire tra la cosiddetta società civile e la politica". Anche su Facebook è stato aperto un gruppo che in pochissimo tempo ha raccolto centinaia di adesioni.

Giustizia: "Nessuno tocchi la Casta", colloquio con Bruno Tinti

di Gianluca di Feo

 

L’Espresso, 6 febbraio 2009

 

La classe politica usa la riforma per garantirsi l’impunità. A partire dalle nuove regole per le intercettazioni. Il libro-accusa di un alto magistrato.

La riforma della giustizia? È diventata una paradossale lotta di classe. Perché gran parte della classe politica si batte da almeno 15 anni per paralizzare procure e tribunali. Ma è soprattutto una "questione immorale", che ha perso qualunque decenza. Bruno Tinti, fino a tre mesi fa procuratore aggiunto di Torino, ama definirsi "un cantastorie, che scrive e racconta quello che ha imparato": con un linguaggio semplice e diretto spara a zero sui programmi del governo. Tinti non è una toga rossa: piuttosto è una toga rotta, per parafrasare il titolo della sua fortunata opera prima, che non risparmia critiche nemmeno ai magistrati.

E il suo nuovo libro, La questione immorale, è destinato a irrompere nel dibattito sulla riforma della giustizia, demolendo uno a uno gli argomenti del ministro Angelino Alfano. "È dai tempi di Mani pulite che la classe politica, senza distinzioni di partito, lavora per lo stesso obiettivo: conquistare l’impunità. In questi giorni ho ripensato a quando andavo in carcere per interrogare un bandito che voleva collaborare, un rapinatore o un ladro che aveva deciso di fare i nomi dei complici.

Assistevo sempre alla stessa scena: mentre il pentito veniva accompagnato al colloquio, tutti i detenuti, non solo quelli che lui avrebbe accusato, lo riempivano di insulti e di minacce. L’omertà era un bene che andava difeso da tutti i delinquenti che avevano un interesse comune: l’infame va bloccato perché sennò il sistema salta. Ecco, gran parte della politica adotta la stessa logica: non ha importanza quali sono i guai occasionali di questo o quel politico, c’è un interesse comune: l’impunità. Le intercettazioni, ad esempio, non si devono fare perché oggi può toccare a me, domani a te".

Ogni riforma creata per aumentare lo scudo a protezione dei potenti non incide solo sui loro processi: aumenta l’inefficienza dell’intero sistema, fa lievitare la montagna di fascicoli arretrati e reati dimenticati. A leggere il libro nasce un sospetto: questa paralisi è un danno collaterale o c’è la volontà di creare un’impunità di massa? "È un effetto sicuramente voluto nella parte in cui fa riferimento

a singoli interventi. La riforma dell’interesse privato in atti d’ufficio e dell’abuso d’ufficio ha reso praticamente impossibile punire i reati commessi dagli amministratori pubblici. La riforma delle intercettazioni renderà impossibile farle. In questi casi la volontà politica è evidente: il malaffare non deve essere scoperto. E, se proprio viene scoperto, non deve essere conosciuto dai cittadini. Insomma, l’inefficienza è cercata, perseguita e voluta.

Ci sono poi altre situazioni in cui l’estensione dell’impunità è un effetto secondario. Come la riforma del falso in bilancio: ciò che interessava era fermare un singolo processo, poi la legge è rimasta lì e ora non c’è modo di punire condotte terribili per l’economia del paese". Di controriforma in controriforma, il rischio è quello di svuotare la Costituzione. Ma nell’elenco delle demolizioni in corso da parte del governo, c’è un progetto che lei considera più pericoloso per la democrazia? "Metterei sullo stesso piano la riforma delle intercettazioni e l’inasprimento delle pene per i giornalisti e gli editori: il pericolo più grande per la democrazia è il bavaglio all’informazione. In realtà, con le ultime novità, non ci sarà bisogno di imbavagliare l’informazione: semplicemente non si faranno più intercettazioni e alla fine non si faranno nemmeno i processi".

E le riforme possibili? Ci sarà qualcosa che si può fare per rendere più rapidi i processi? "Sono riforme solo teoricamente possibili. Perché la politica non vuole che la giustizia funzioni". Ma mettiamo che all’improvviso l’Italia fosse obbligata ad adottare alcuni interventi, quali indicherebbe? Tinti mette al primo posto la razionalizzazione delle circoscrizioni: in pratica, eliminare i tribunali troppo piccoli e frazionare quelli troppo grandi.

Seguita subito dalla riforma delle notifiche. Oggi gli imputati devono essere avvertiti di ogni fase del processo; se non lo sono, tutto nullo. Fino al 2005 se ne potevano occupare anche le forze dell’ordine, poi questo è stato vietato e il compito è stato riservato alle poste o agli ufficiali giudiziari. Risultato: il numero di udienze andate all’aria è moltiplicato.

"Ma non è solo questo il problema: la vera riforma è concettuale. Un cittadino sottoposto ad indagine deve essere subito avvertito: Guarda che ti facciamo un processo, poi l’onere di informarsi di quello che accade dovrebbe essere suo. Non è possibile che lo Stato debba andarlo a cercare dappertutto. Occorre una inversione logica: una volta che l’imputato abbia nominato il suo difensore o ne abbia ricevuto

Giustizia: non solo riforme, ma più organizzazione del lavoro

di Luigi Scotti (ex Ministro della Giustizia)

 

www.radiocarcere.com, 6 febbraio 2009

 

"Un male tipicamente italiano: i tempi lunghi della giustizia". Questo l’incipit, della relazione del Presidente della Suprema Corte Carbone, una dolorosa constatazione che poi ha attraversato tutte le cerimonie inaugurali delle Corti di appello. Nel rapporto 2009 che la Banca mondiale redige per indicare alle imprese in quali Paesi è più vantaggioso investire, siamo al 156° su 181, persino dopo l’Angola; eppure "la ragionevole durata del processo" è nella Carta fondamentale un valore costituzionale.

Quali le cause del fenomeno? In primo luogo, la massa di contenzioso che nasce dall’assenza di occasioni istituzionali non giudiziarie per ottenere il riconoscimento di un proprio diritto nel tessuto organizzativo dello Stato. A Napoli c’è una causa civile per ogni 80 abitanti, a Roma per ogni 85, a Milano per ogni 100, e il rapporto si dimezza per l’infortunistica stradale. La massa del contenzioso incide sui tempi, determinando rinvii a 8-10 mesi, se non di anni. Purtroppo anche l’enorme numero di avvocati - in Italia sono oltre 200.000, in Francia appena 47.000 - contribuisce alla durata del contenzioso.

La seconda causa della crisi è nell’articolazione del sistema processuale con troppi riti diversificati - 27 in civile, 8 in penale - è pieno di snodi e cavillose eccezioni, passaggi di fascicoli da un ufficio all’altro, inutili garanzie formali soprattutto in penale.

Ma c’è un altro fattore di crisi che grava sulla resa di giustizia, ed è il tipo di organizzazione della macchina giudiziaria. Infatti il reticolo degli uffici è calibrato su un sistema viario e su modalità di interconnessione completamente superati, eppure le sedi inutili concorrono alla distribuzione delle risorse, mentre gli organici mancano di mille magistrati e di decine di migliaia di funzionari; inoltre la gestione dell’iter giudiziario è calibrata sull’ufficio nella sua identità burocratica, non sul servizio pubblico da rendere, e talvolta lo stesso giudice si sottrae a modelli e programmi di lavoro idonei a ridurre i tempi, cioè ad un’autorganizzazione di ruoli, udienze e tipologie di cause. So per esperienza personale come sia ancora estranea a molti magistrati la cultura dell’organizzazione nella prospettiva del doveroso adempimento del servizio, e come sia difficile imporre a tranquille inefficienze dietro l’alibi del deficit di risorse il recupero dell’arretrato e la riduzione dei tempi.

Ritorno all’evidenza dei dati. Gli uffici statistici usano l’indice di smaltimento del lavoro col parametro 50; ebbene nel civile soltanto Bolzano e Trento hanno superato l’indice, mentre Roma è a 22, Napoli a 24, Milano a 31, Torino a 42; lo stesso in penale, con Trento al 61, Bolzano al 58, Roma al 36, Napoli al 43, Milano al 38, Torino al 33.

In conclusione, condivido la severa analisi del Presidente Carbone sulla crisi della giustizia, una crisi dalle molte componenti perché fa capo al contesto socio-economico, all’esecutivo per il deficit di risorse, ad un sistema processuale farraginoso, agli ordini professionali compreso quello giudiziario. Si cominci finalmente, per le riforme, le risorse, l’impegno quotidiano, a ragionare dalla parte del cittadino utente.

Giustizia: Guidonia; demagogia della forca e foga giustizialista

di Florence Ursino

 

Agenzia Radicale, 6 febbraio 2009

 

Rita Bernardini e Sergio D’Elia, come è stato reso noto in questi giorni, sono stati letteralmente sommersi da lettere e mail minatorie e intimidatorie per aver fatto visita al carcere romano di Rebibbia e aver comunicato dei maltrattamenti subiti dai sei detenuti, i cui corpi, peraltro, presentavano segni di violenza notati dalla stessa deputata Radicale-Pd. La visita di Bernardini e D’Elia è stata largamente disapprovata da quanti hanno voluto vedere in questo gesto un atto di solidarietà nei confronti degli autori del grave reato e non un modo di controllare che la legge venga rispettata proprio da chi la legge è incaricato di farla rispettare.

"Siamo andati a Rebibbia - specifica ad Agenzia Radicale D’Elia - dopo aver ricevuto precedentemente delle segnalazioni secondo cui gli arrestati di Guidonia potevano aver subito dei maltrattamenti, in base ad un preciso mandato, che è più che una prerogativa dei parlamentari: quello del sindacato ispettivo, della visita ispettiva nelle carceri, che è una conquista di civiltà del nostro paese perché le carceri siano una casa trasparente". D’Elia ricorda che "è un preciso dovere dei parlamentari fare visita ai detenuti per le condizioni di detenzione".

Ma il senatore del Pdl Filippo Saltamartini ha riservato parole dure per il segretario di "Nessuno tocchi Caino" sostenendo che "uno come Sergio D’Elia, che ha ucciso un uomo di 21 anni sotto il carcere di Firenze, non si può presentare in un istituto di pena per fare delle accuse nei riguardi delle forze dell’ordine e delle istituzioni di questo paese".

D’Elia ribatte con poche parole sostenendo che "se Saltamartini decidesse di spogliarsi della sua immunità parlamentare dovrebbe rispondere in Tribunale perché lui, vedo dai resoconti giornalistici delle cose dette al Senato, parla di Sergio D’Elia come esecutore materiale di quanto avvenuto nel carcere "Le Murate" di Firenze nel 1977. Vengo ancora definito da Saltamartini come "quello che ha ucciso un suo collega poliziotto di 21 anni", cosa che mai ha trovato riscontro durante il processo.

Saltamartini è animato dalla foga giustizialista per cui uno oggi viene ancora cristallizzato alla sua vita di 30 anni prima. Se la giustizia ha un senso, se la Costituzione ha un senso, se l’articolo 27 vale ancora, forse io posso essere indicato come l’esempio concreto di come una persona, attraverso l’esperienza del carcere possa mutare e diventare un’altra persona".

Ma ciò che preme realmente a Sergio D’Elia è sottolineare come "vada rilevata in questa occasione la perdita nel nostro Paese del senso del diritto, della legalità. Se è possibile che accada quello che è accaduto a Rita Bernardini, cioè una sorta di linciaggio nei suoi confronti, - dice D’Elia - è perché in Italia non esiste stato di diritto, non esiste cultura di diritto, rispetto dei principi costituzionali. Le istanze forcaiole, la richiesta di giustizia ‘fai da tè si possono spiegare soltanto con una situazione del nostro Paese che lo pone fuori dal contesto delle società democratiche degli stati di diritto".

E riguardo alla trasmissione di RaiUno, "Effetto Sabato", in cui il comico Maurizio Battista ha spropositatamente criticato la visita della Bernardini a Rebibbia, affermando che "se ha preso così sportivamente la vicenda di Guidonia è perché non le hanno stuprato la sorella o la figlia", D’Elia è ancora più duro: "in una trasmissione del servizio pubblico radiotelevisivo questo comico le cui affermazioni sono vergognose e infami, si permette di parlare in un certo modo alla Bernardini. Dal servizio pubblico, dunque, l’istigazione a delinquere, alla violenza. È l’imbarbarimento dell’informazione nel nostro Paese".

D’Elia si sofferma infine sulle importanti motivazioni della visita al carcere di Rebibbia cercando di far capire che fermare chi delinque, ledendo la libertà altrui, è un obiettivo giusto, soprattutto se perseguito provando a prevenire i reati prima che avvengano, attuando una politica giusta. "Gli altri su questo fanno la demagogia della forca.

L’efferatezza, l’oscenità di un reato non giustifica sanzioni diverse da quelle che sono previste dalla legge. Il diritto a non essere toccato, picchiato, violato, torturato è sacrosanto e va rispettato. Se a violare la legge dovessero essere proprio i suoi tutori io credo che il degrado del nostro paese sarebbe ormai irrimediabile, irrecuperabile e completo".

Giustizia: peperoncino spray "anti-stupro", è boom di vendite

di Massimo Lugli e Laura Mari

 

La Repubblica, 6 febbraio 2009

 

"Guardi, questo non ha nemmeno la sicura. Lo preme e subito esce un getto nebulizzato, come un profumo" spiega il commesso del negozio di articoli militari di via Barletta. Non si tratta, però, di un profumo, ma dello spray urticante al peperoncino, una bomboletta che, stando alle indicazioni ministeriali non può contenere più del 10 per cento di capsicum (olio di peperoncino, per l’appunto) e può essere venduto ai maggiorenni senza obbligo di documento o porto d’armi.

Proprio giovedì, il Senato ha approvato la legge che ne liberalizza la vendita limitata ufficialmente (dopo una lunga vertenza legale in cui era intervenuta la Cassazione) solo a pochi modelli. "Non lethal weapons", come vengono definite in Usa: armi non letali, strumenti di autodifesa che, con la paura degli stupri che rischia di trasformarsi in psicosi - sempre più donne tengono nella borsa. Un modello molto simile a quello in dotazione ai vigili urbani e che può assumere anche la forma di una penna o di un portachiavi. L’effetto è quello di un lacrimogeno concentrato: bruciore agli occhi, cecità temporanea, mucose irritate. Tutti sintomi che scompaiono nel giro di 30-40 minuti senza lasciare conseguenze.

"Negli ultimi mesi le vendite degli spray urticanti sono aumentate del 40 per cento" conferma Vittorio Burrono, titolare dell’armeria "Spectre" di piazza dell’Ateneo Salesiano, al Nuovo Salario. Ed è proprio nelle zone più periferiche che le donne sembrano più insicure. "Ultimamente sempre più donne vengono ad acquistare lo spray - spiega Fabiano Visintini, dell’armeria "Red Point" di corso Regina Maria Pia, Ostia - il 20 per cento dell’aumento delle vendite riguarda ragazze tra i 18 e i 35 anni, che, magari, la sera si trovano da sole alla fermata del bus o devono percorrere tratti di strade buie".

Lo spray costa dai 18 ai 55 euro, può essere usa e getta o ricaricabile e avere un getto che va dai due ai quattro metri di distanza. Molte donne lo acquistano su Internet e alcuni modelli sono efficaci anche contro gli attacchi di cani feroci. Ma attenzione: solo le bombolette al capsicum sono legali. Le varianti estere, con aggressivi chimici, sono rigorosamente vietate. Una soluzione più immediata di un corso di autodifesa che impone ore di allenamento.

"A tutte le clienti ripetiamo che lo spray non è un’arma, ma può essere un valido aiuto in situazioni di pericolo - precisa Armando Zaccherini, titolare dell’armeria di via Fabio Massimo - lo vendiamo da almeno tre anni, ma negli ultimi mesi la richiesta è aumentata sensibilmente". "Spesso sono mariti e fidanzati a venire in armeria per comprare lo spray per le loro compagne - sottolinea Fabio dell’armeria "Frinchillucci" di via Barberini - ma la maggior parte sono papà in ansia per le figlie". Dello stesso parere Fabrizio, commesso dall’armeria "Militalia" di via Leone IV: "Se ne vendono almeno due al giorno, il 20 per cento in più rispetto alle scorse settimane".

"Purtroppo viviamo in una città insicura - commenta Stefano Tardini, dell’armeria "T.C." di piazza S. Felice da Cantalice - ma con un semplice spruzzo lo spray può neutralizzare l’aggressore. Dovrebbero pubblicizzarlo di più". Ma molte donne, terrorizzate, scelgono sistemi più drastici: "Taser" e pistole elettriche (illegali ma reperibili su molte bancarelle), manganelli telescopici da borsetta, pugnali, pistole a pallottole di gomma comprate on-line. Gli allarmi sonori, invece non sono mai decollati: in una città che è un concerto di sirene e di antifurto, nessuno ci fa caso.

Giustizia: condannato per stupro, 6 anni all'ex sindaco leghista

di Claudio Del Frate

 

Corriere della Sera, 6 febbraio 2009

 

Brescia. Sei anni per l’amministratore leghista di Rovato. Riconosciuto dalla vittima attraverso una foto sul giornale.

A finire sulle pagine dei giornali, Roberto Manenti era abituato: in qualità di sindaco leghista era stato protagonista di battaglie infuocate e non prive di inventiva contro clandestinità e prostituzione. Ma è stata proprio una sua foto comparsa su un quotidiano locale a costargli una condanna a sei anni per stupro. Il gup di Verona ha condannato ieri l’ormai ex primo cittadino di Rovato, grosso centro del Bresciano, per una serie di brutali violenze di gruppo ai danni di una giovane lucciola romena, strappata ai suoi aguzzini durante una operazione contro il racket del sesso sul lago di Garda quasi dieci anni fa.

"Non so neanche di che cosa mi stanno accusando, non sono stato nemmeno interrogato dal giudice": così Manenti ha commentato ieri sera con stupore la sua condanna. Contro di lui ha pesato la denuncia di una prostituta romena che nel ‘99, epoca a cui risalgono i fatti, aveva 19 anni. Liberata dalle forze dell’ordine, la ragazza fece i nomi dei suoi sfruttatori, che furono arrestati e raccontò in particolare di alcune violenze di gruppo subite a ripetizione nei mesi precedenti. Nel maggio del 2000 la giovane vede su un quotidiano di Brescia la foto di Manenti, proprio in un articolo in cui si annuncia un giro di vite contro la prostituzione. "È lui uno di quelli che mi stuprava assieme ai miei aguzzini", dice risoluta la ragazza.

Il fascicolo rimane fermo per anni, finché nel 2006 la procura ne chiede l’archiviazione; il gip di Verona sollecita però ulteriori indagini e si arriva così al processo di ieri, per il quale Manenti aveva scelto il rito abbreviato, procedura che dà diritto allo sconto di un terzo sulla eventuale pena. Qui la giudice Monica Sarti ha ritenuto la testimonianza della vittima sufficiente a sostenere la condanna dell’ex sindaco a 6 anni.

Manenti, uscito dalla Lega da anni e oggi consigliere di minoranza a Rovato con una lista civica, non sa spiegarsi la sentenza: "Non conosco quella ragazza; la mia faccia, ai tempi, era non solo sui giornali ma anche su tutti i muri perché ero candidato alle europee per la Lega. Chiunque avrebbe potuto prendermi di mira e forse qualcuno me l’ha voluta far pagare per le mie battaglie politiche".

L’ex sindaco aveva anticipato a modo suo la stagione delle ordinanze "creative", proibendo ad esempio ai musulmani di avvicinarsi alle chiese, stabilendo multe per chi esercitava la prostituzione sul territorio comunale di Rovato o intitolando una piazza ai caduti della Rsi.

"È una condanna che si spiega solo come vendetta politica verso il personaggio - concorda il suo avvocato, Filippo Cocchetti - e sotto la spinta mediatica dei fatti degli ultimi giorni in materia di violenze sessuali. A carico di Manenti infatti non c’è uno straccio né di prova né di indizio, se non la denuncia della vittima che risale a dieci anni fa".

Giustizia: ecco come il Governo "bloccherà" le intercettazioni

di Emile

 

www.radiocarcere.com, 6 febbraio 2009

 

Incentivare la fuga dei cervelli all’estero. Questa è purtroppo l’unica soluzione. Favorire economicamente la migrazione di quelle menti che hanno generato l’ultimo testo della riforma delle intercettazioni ambientali e telefoniche. Denaro utilizzato per un nobile fine: evitare che la giustizia ormai cadaverica venga cremata.

Gravi indizi di colpevolezza, giudice collegiale ed una secca limitazione temporale, queste le tre modifiche che gli eccelsi neuroni hanno generato. Giudice collegiale la soluzione ad ogni male.

Lo si è proposto per l’emissione delle misure cautelari, ora gli si vuole affidare anche la disposizione di una intercettazione. Schizofrenia sistemica. Il giudice monocratico giudica, assolve, condanna un assassino: Cogne e Perugia due casi noti. Il giudice monocratico non sarebbe però, per gli illuminati legislatori, in grado di decidere se si deve mettere sotto controllo un’utenza telefonica.

Paradossale. Neuroni schizofrenici che peraltro ignorano pure la realtà giudiziaria. Non considerano che la riforma non avrebbe alcun effetto, realizzerebbe una finzione giuridica. La decisione sarebbe presa sempre da un solo giudice. Colui che conosce il funzionamento di un collegio sa. Tempi stretti e mole delle carte porterebbero, come in parte avviene già per il Tribunale del riesame, ad assegnare lo studio ad un componente del collegio che di fatto deciderebbe da solo.

Gravi indizi di colpevolezza. La mente partoriente doveva essere sotto l’effetto di sostanze stupefacenti avariate. Non necessita essere avvocati o magistrati e forse neanche studenti universitari per essere a conoscenza del fatto che le intercettazioni sono finalizzate a ricercare i gravi indizi di colpevolezza. Espressione quest’ultima che sta a significare che l’investigatore ha trovato elementi da cui l’indagato risulta probabilmente colpevole.

Ma una volta trovati questi, una volta che si è accertato che la persona sottoposta alle indagini è probabilmente colpevole, se il reato è grave, lo si arresta, non lo si intercetta. Individuato un probabile omicida, un probabile terrorista o un probabile mafioso si dispone la custodia in carcere non l’intercettazione delle utenze. La conclusione è pertanto obbligata. Subordinare la disposizione dell’intercettazione all’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza conduce equivale a rendere inutile questo prezioso strumento investigativo.

Cervelli che nella fuoriuscita dalla penisola sarebbe auspicabile siano accompagnati da quelli che la nefasta riforma criticano tout court. Conglomerati di neuroni capaci solamente di una critica sterile, connotati dall’assenza di qualunque capacità propositiva. Cervelli che occupano il capo non solo di coloro che stazionano sui banchi dell’opposta fazione politica. Cervelli che eliminano qualunque intento propositivo misconoscendo il problema. Ignorati sono i numeri delle utenze intercettate e loro durata temporale. Non considerato è il comune sentire, che considera il colloquio telefonico una chiacchierata a cui partecipa necessariamente un terzo non invitato, tramutando lo stato di diritto in uno stato di polizia. Cervelli che dovrebbero intendere le parole del Presidente della cassazione, il quale ha sottolineato "l’abnorme e poco giustificata reiterazione nel tempo" delle intercettazioni, per le quali "dovrebbero essere vietate le proroghe se nel periodo inizialmente stabilito non si sono raggiunti risultati apprezzabili, tranne casi eccezionali, rigorosamente motivati". Cervelli che dovrebbero approcciare l’ostica tematica riconoscendo il problema e affrontandolo con un metodo diverso. Inutile continuare a cambiare il dato normativo se non si assicura la sua esatta osservanza. Non è necessario cambiare le norme, ma è necessario che i magistrati le applichino correttamente.

Umbria: fondi all’Arci per il sostegno a detenuti, il Pdl protesta

 

Asca, 6 febbraio 2009

 

"Attraverso una convenzione con l’Arci, firmata dal Presidente regionale e nazionale, nonché vicepresidente del comitato di gestione del Fondo speciale per il volontariato, l’assessore regionale Daniamo Stufara ha destinato 33mila euro ai compagni di partito, radunati in compiacenti associazioni del terzo settore, per svolgere attività di assistenza morale ai detenuti".

Lo ha detto Franco Zaffini, capogruppo An-Pdl, che con una mozione urgente impegna la Giunta a "dare immediata esecuzione ad altri seri obiettivi contenuti nel protocollo d’intesa siglato nel 2001 tra Regione e Ministero di Giustizia, cui anche la convenzione con l’Arci fa riferimento".

"Stando a un noto schema della sinistra - ha aggiunto Zaffini - è stata applicata una certa politica delle ideologie, a scapito di quanto di concreto e di oggettivamente utile si può fare per la comunità. Nel 2001 la Regione aveva preso degli impegni precisi con il Ministero, che sono rimasti sulla carta. Il protocollo parlava di una maggiore attenzione verso i minori e verso la prevenzione della criminalità minorile, di una serie di interventi per migliorare le condizioni degli operatori penitenziari che andavano dalle esperienze formative ai processi di integrazione e partecipazione sociale.

Era richiesta, inoltre - ha continuato il capogruppo An-Pdl - una programmazione territoriale per l’edilizia penitenziaria e l’aumento dei fondi in dotazione ai Comuni sedi di uffici giudiziari, nonché la rivalutazione della riserva di alloggi per gli agenti penitenziari". "Impegni che sono stati disattesi dall’amministrazione regionale, ma soprattutto è grave la questione che nel protocollo riguarda le vittime del delitto: da anni - ha concluso Zaffini - la sinistra che governa questa regione spende energie e risorse per tutelare e agevolare i detenuti, mentre chi ha subito il comportamento criminoso degli altri non ritrova nelle istituzioni né un conforto né, tantomeno, un interlocutore disposto a trovare un punto d’incontro".

Latina: l’Associazione Antigone; troppi i detenuti e poche celle

 

Il Tempo, 6 febbraio 2009

 

Mercoledì scorso era stata M. Antonietta Farina Coscioni, deputato del Pd, a porre un’interrogazione al ministro della Giustizia sullo stato del carcere di Latina e, in particolare, per sapere se è vero che i detenuti vivono in meno di tre metri quadri per ciascuno.

Ieri a visitare Casa Circondariale di via Aspromonte sono arrivati l’assessore al Bilancio della Regione Lazio, Luigi Nieri, e il presidente dell’Associazione Antigone, Patrizio Gonnella. "In questo istituto di pena si registra un sovraffollamento preoccupante - ha commentato al termine della visita l’assessore Nieri. A fronte di 86 posti, capienza regolamentare, oggi sono presenti nel carcere 171 detenuti in "una condizione inumana e degradante".

Nieri ha sottolineato comunque che chi opera a contatto con i detenuti spesso mostra maggiore sensibilità di chi governa e che "il sovraffollamento nelle carceri è un problema che assumerà contorni ancora più preoccupanti ora che il Parlamento ha dato il via libera al pacchetto sicurezza, criminalizzando la condizione di irregolarità degli immigrati".

L’Aquila: manifestazione su prevenzione dei suicidi in carcere

 

Il Centro, 6 febbraio 2009

 

La direzione della Casa Circondariale delle Costarelle ha organizzato per il 10 febbraio, alle 15, nella sala teatro del penitenziario, una giornata di sensibilizzazione al tema della prevenzione dei suicidi e tutela della vita delle persone detenute.

Alla manifestazione, secondo quanto riferito dagli organizzatori, saranno presenti, tra gli altri, il sindaco Massimo Cialente, l’assessore provinciale alla formazione, il direttore del Sert e responsabile dell’Unità operativa di medicina penitenziaria. Saranno presenti, altresì, studenti in procinto di sostenere l’esame di maturità e studenti della facoltà di Scienze della formazione dell’ateneo aquilano.

L’iniziativa è molto importante e attuale anche perché tratta un tema, quello dei suicidi in carcere, che purtroppo si sono verificati anche nelle carceri della nostra regione. Ma si parlerà anche della tutela e dei diritti che hanno le persone finite in carcere per le quali il tema della rieducazione è decisiva al fine di non tornarci più una volta scontata la pena. Anche in questa direzione vanno le numerose iniziative che sono state fatte negli anni scorsi quali esibizioni teatrali e incontri con artisti e persone di cultura tenuti dentro il carcere.

Cinema: prime riprese de "La prima linea", di Renato De Maria

 

Il Gazzettino, 6 febbraio 2009

 

Le Carceri Nuove a Torino si apriranno per le riprese del film di Renato De Maria "La prima linea", ispirato a "Miccia Corta", il libro di Sergio Segio, l’ex comandante Sirio di Prima Linea, condannato a 30 anni per l’omicidio del giudice Emilio Alessandrini. Il primo ciak è previsto il 9 febbraio, cominciando da Torino per due settimane, poi a Pinerolo e poi in diverse parti d’Italia.

Storia di uno dei più noti militanti del movimento politico armato degli anni ‘70, interpretato da Riccardo Scamarcio con Giovanna Mezzogiorno nel ruolo della sua compagna Susanna Ronconi. Sandro Petraglia, Ivan Cotroneo e Fidel Signorile sono gli autori del copione "forte, responsabile, equilibrato", come loro stesso lo hanno definito nei mesi scorsi quando il percorso per avere il finanziamento pubblico da parte del Ministero per i Beni Culturali dopo le proteste delle associazioni vittime del terrorismo si era fatto arduo, tra rinvii e polemiche.

"È un film molto delicato molto difficile - ha detto Giovanna Mezzogiorno - però devo dire che la sceneggiatura è veramente ottima, molto corretta, assolutamente non a favore dei terroristi: non li esalta non li rende eroi. Il film è prodotto da Andrea Occhipinti e la sceneggiatura è scritta da Sandro Petraglia: due nomi due garanzie".

Il libro autobiografico di Segio, pubblicato da Derive Approdi nel 2005, da cui gli sceneggiatori hanno tratto l’ispirazione, racconta l’assalto al carcere di Rovigo il 3 gennaio 1982 per liberare tre terroriste, tra cui la Ronconi, lì detenute. Nell’assalto morì Angelo Furlan, un pensionato che ebbe la sfortuna di passare con il suo cane mentre saltava per aria il muro di cinta del carcere femminile.

La figlia di Furlan, Maria Teresa ha detto di non avere nulla in contrario al progetto cinematografico, avendo perdonati da tempo i terroristi, esattamente nell’ottobre ‘85 quando al processo contro Prima Linea, si avvicinò con il marito Giovanni Bordin a Segio e alla Ronconi senza dire una parola ma stringendo loro la mano.

Nell’assegnare il 19 dicembre scorso il finanziamento pubblico di 1,7 milioni di euro, la produzione si è impegnata nella fase di promozione del film "a non utilizzare nessuno dei protagonisti reali della storia e a non dare tribune ad ex terroristi". A conferma dell’impegno preso dalla produzione, nessuno dei proventi del film andrà in favore dei reali protagonisti della vicenda.

Catania: con "Dolci & Gabbati", il cabaret è entrato in carcere

di Daniela Domenici

 

Italia Notizie, 6 febbraio 2009

 

Lo spettacolo nel carcere di Bicocca del gruppo di cabaret dei "Dolci & Gabbati", composto da Enrico Manna, Anna Impegnoso, Concetto Venti, Laura De Palma e Francesco Puglisi al piano, è finito con una "standing ovation" da parte dei detenuti ospiti della Casa Circondariale di Bicocca a Catania.

La manifestazione è stata voluta dal Presidente dell’Autorità Portuale di Catania, Santo Castiglione, per donare un pomeriggio di allegria a queste persone che vivono una vita ristretta in questi giorni di festeggiamenti in onore della Patrona di Catania.

"Agata… una di noi": è stata battezzata così questa manifestazione che ha trovato nell’Assessore ai Servizi Sociali, Dr. Marco Belluardo, un convinto sostenitore alla suddetta iniziativa. È stata una carrellata di sketches tra i più brillanti dell’ormai famoso ed amato gruppo dei"Dolci & Gabbati" con il loro apprezzato cabaret musicale. Risate e musica impreziosite dalla calda voce della folk singeri Laura De Palma che si è esibita cantando la famosa "Rosamunda" riuscendo a coinvolgere i presenti e a suscitarne la passione e l’allegria.

Un pomeriggio da ricordare grazie alla calorosa e commovente accoglienza dei detenuti; erano presenti il Direttore, Dr. Rizza, il Presidente dell’Autorità Portuale, Santo Castiglione, e l’Assessore Marco Belluardo. Indimenticabile manifestazione che sarebbe da ripetere anche nelle altre case circondariali siciliane.

Immigrazione: no al decreto-sicurezza; i medici in prima linea

di Ilvo Diamanti

 

La Repubblica, 6 febbraio 2009

 

Probabilmente è involontario il doppio registro che impronta la comunicazione del governo, in questa fase. Un male necessario, generato dalla convivenza di soggetti politici tanto diversi. L’idea di libertà e, parallelamente, di controllo individuale che emerge - anzi: erompe - da alcune iniziative assunte con singolare sincronia. Evoca una visione strabica e dissociata. Una doppia morale.

Da una parte, il chiodo della libertà di parlare senza essere ascoltati. L’ossessivo mantra sulla necessità di impedire le intercettazioni, limitandole al minimo. Non importa se utili alle inchieste. Anche se l’intenzione si scontra con l’impossibilità pratica di attuarla. Perché le orecchie che ascoltano le nostre conversazioni sono ovunque. Come gli occhi che ci scrutano. Noi siamo "tracciati" a ogni passo e in ogni conversazione. Altro che i prodotti alimentari. E se qualcuno ci osserva e ci ascolta è difficile - velleitario - impedirgli di archiviare le nostre parole, i nostri messaggi, le nostre azioni, i nostri percorsi internautici. Nonostante le leggi. Che possono condizionare l’azione delle autorità pubbliche. Magari dei giornali. Non degli "altri" spioni, nascosti nell’ombra, nell’etere, nella rete, lontano da qui.

D’altronde, il guardonismo è divenuto un genere mediatico di successo. Come dimostrano i grandi fratelli, le talpe e le isole dei presunti famosi. Ma il Presidente del Consiglio - e proprietario di Mediaset, paradiso dei reality - insiste. Anche perché - dice - lui, per primo, è stato intercettato e certe sue conversazioni se uscissero lo convincerebbero ad andarsene dall’Italia. Non capiterà. Anche se quelle conversazioni dovessero uscire, ormai ci siamo abituati a tutto. Lui stesso, ne dice di tutti i colori, un giorno sì e l’altro pure. Non in privato o al cellulare. Ma in pubblico. Di fronte ai microfoni. Per poi smentire, precisare, rettificare ciò che tutti hanno sentito. Figurarsi se il pubblico si scandalizzerebbe di fronte ai contenuti delle sue intercettazioni. Da lui è disposto ad accettare - e ha accettato, fino ad oggi - di tutto.

Tuttavia, la preoccupazione per questo Grande Occhio, per questo Grande Orecchio che ci spia dovunque non è da prendere alla leggera. Noi, almeno, non lo facciamo. Per quanto disillusi, scettici e un poco cinici. Nonostante tutto: questo martellante riff sul diritto alla privacy ci sembra utile. Serve a frenare almeno un poco l’inquietante e rapida scomparsa dell’uomo privato. Soprattutto se il monito viene dal Signore dei media e della comunicazione. A cui tanta parte della popolazione crede. Dal governo che ci governa, senza quasi opposizione.

Per questo ci chiediamo come possa lo stesso governo, come possano le stesse forze politiche, come possa il Presidente (del Consiglio, per ora), come possano quelli che combattono lo spionismo quotidiano: come possano incitare alla medesima pratica i medici. Coloro a cui affidiamo la nostra salute, il nostro corpo, la nostra stessa identità. Coloro a cui consegniamo i nostri segreti più segreti, tanto segreti che talora restano segreti anche a noi. Coloro che sorvegliano la nostra vita e la nostra morte. Dovrebbero indagare su immigrati, barboni, sbandati, quando si rivolgono a loro, quando vengono ricoverati d’urgenza. E se clandestini, irregolari, homeless: schedarli e denunciarli. Naturalmente dopo averli curati. Così li possono arrestare senza troppi problemi.

Doctor House. I medici in prima linea. Il mio amico Vincenzo, che dirige il Pronto Soccorso. Non lo farebbero e non lo faranno mai. Figurarsi. Un medico.

Non fa obiezione di coscienza quando rifiuta di denunciare i poveracci che si rivolgono a loro in stato di necessità. È questione di etica professionale oltre che personale. Come la chiamano? Deontologia. E poi, se il governo e il suo presidente rivendicano il diritto dei cittadini (e in particolare il proprio) a non essere ascoltati quando si è al telefono. Se esigono che, a maggior ragione, le loro chiacchiere non vengano raccontate in giro. Ma come possono pensare che un medico possa fare il delatore. "Vendere" un paziente, magari ricoverato d’urgenza, tanto più se in condizioni sanitarie - e sociali - penose? È come chiedere al prete di raccontare i segreti raccolti in confessione. Alla Caritas di denunciare i poveri e gli stranieri che accoglie e assiste. Agli avvocati di rivelare quel che sanno dei loro tutelati. Al commercialista di raccontare i conti "veri" dei loro clienti. Altro che Tavaroli e Genchi. Altro che le centrali di ascolto e gli archivi delle intercettazioni. Questo paese versa ormai in uno Stato impietoso.

Immigrazione: su media e migranti, un delirio del "Giornale"

di Carlo Gubitosa

 

Micro Mega, 6 febbraio 2009

 

Per capire in che guaio ci stiamo ficcando, basterebbe fermarsi un attimo a riflettere. Ma quell’attimo non si trova.

Meno male che c’è il Cospe, una delle organizzazioni promotrici della campagna "Mettiamo al bando la parola clandestino", altrimenti non avrei mai scoperto la caccia al rumeno lanciata da "Il Giornale" sul proprio sito web, da cui mi tengo prudentemente alla larga. Il 4 febbraio, alla vigilia del decreto che trasforma i medici in poliziotti/spie, legalizza le ronde di vigilantes e batte cassa sulla pelle dei più poveri con la tassa sul permesso di soggiorno, il sito www.ilgiornale.it dà lezioni di populismo con l’articolo "Cacciamoli. Bucarest si riprenda le sue canaglie".

Un articolo che sarebbe ridicolo se non fosse inquietante, dove Paolo Granzotto parla di "rispedire al mittente la feccia romena", e spera "che non mi si dia del razzista se chiamo col loro nome individui che ammazzano, stuprano, rubano agendo con furore belluino". Il teorema è semplice: mandiamoli a casa loro perché da noi la giustizia è troppo buonista.

E allora portiamo questo ragionamento alle estreme conseguenze, e in nome del federalismo carcerario solleviamo i contribuenti dalle spese relative al mantenimento dei detenuti di altre regioni. Ma forse anche in questo caso qualcuno verrebbe a dirci che i terroni delinquono di più e quindi a rimetterci sono sempre i "lumbard", che danno la "sbobba" in carcere anche a chi non meriterebbe di mangiarla perché nato altrove.

Granzotto si chiede anche "se desti più furore sapere che il colpevole in qualche modo l’ha fatta franca - magari scarcerato dopo un paio di giorni - o sapere che è fuori dai piedi, in qualche galera o in qualche souk [sic!] romeno".

E che saranno mai questi "souk romeni"? L’immagine evocata da questo articolo è quella di un carcere duro tipo quello che ospitava Dustin Hoffman e Steve McQueen in "Papillon", dove carcerieri unti e nerboruti sono pronti a farti fuori al minimo gesto di ribellione. In realtà ci vuol poco a confondere i mercati arabi con un piatto nordafricano, e dall’unione dei "suq" con il "couscous" nasce il "souk" di Granzotto.

La notizia gira su Facebook fino ad incontrare l’ironia dello scrittore pugliese Giuliano Pavone: "dall’articolo si evince che Granzotto non sa cosa sia un suq, convinto che la Romania - dove notoriamente si parla l’arabo, altrimenti non potrebbero essere così canaglie - sia piena di suq. A quando i kibbutz paraguayani e gli igloo congolesi?".

Il senso di grottesco che nasce da questo esempio eclatante di disinformazione aumenta al pensare che queste cose sono scritte anche con soldi "rumeni": quelli versati al fisco dai lavoratori immigrati e successivamente dirottati ai quotidiani grazie ai finanziamenti pubblici. Se fossimo un paese civile, il razzismo ce lo pagheremmo almeno di tasca nostra, e oltre alla "feccia rumena", avremmo il coraggio di perseguire anche quella italiana, perfino quando si nasconde nei banchi del Parlamento e nelle redazioni prestigiose.

Immigrazione: Toscana; cure, mensa e un letto ai clandestini

di Mario Lancisi

 

La Repubblica, 6 febbraio 2009

 

Cure mediche, ma anche accesso a mense e dormitori in caso di freddo per i clandestini. Lo prevede la proposta di legge sull’immigrazione approvata ieri dalla Giunta regionale. Tutto questo sarà possibile grazie alla tessera del clandestino. Si chiama Stp (straniero temporaneamente presente), e viene attualmente utilizzata nei ricoveri urgenti. Se ad esempio un clandestino, investito da un auto, viene portato ad un ospedale i medici hanno l’obbligo di rilasciargli la Stp e di curarlo. Questione di civiltà.

Ma ora la Giunta toscana estende la Stp anche alla cura sanitaria e all’uso della mensa e dei ricoveri. Un’estensione destinata ad attizzare polemiche. Anche perché, come ha osservato il presidente Martini, la proposta di legge verrà discussa in Consiglio regionale all’inizio del prossimo anno, a ridosso delle elezioni amministrative e europee: "Si vedrà allora se del problema degli immigrati si potrà discutere serenamente o se prevarranno toni ideologici.

L’immigrazione deve essere trattato come un tema di governo". La legge nazionale parla chiaro: "L’accesso alle strutture sanitarie da parte di chi non è in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcuna segnalazione all’autorità". Cure, mense e dormitori.

Il vento politico però sta cambiando. La Lega ha proposto di cancellare questa norma: il clandestino viene curato e poi espulso. In questa maniera però nessun clandestino si presenterà agli ospedali. La Regione non solo conferma la Stp per le emergenze, ma la estende anche ai casi normali in cui un clandestino si senta male. La Stp non è il libretto della mutua, ma vi si avvicina. Il clandestino non ha il medico di base, ovviamente.

Però può curarsi presso una struttura ospedaliera. La ragione di questa estensione non è solo umanitaria, ma serve anche a noi toscani, ha spiegato l’assessore alla Sicurezza sociale Gianni Salvadori: "Ci sono casi di clandestini che hanno malattie infettive. Se non le curano per paura di essere denunciati si possono rischiare casi di contagio.

Il principio è che se un clandestino è malato deve essere curato". Non solo. Con la Stp sarà possibile al clandestino accedere a mense e dormitori pubblici. Possibilità oggi negata, anche se spesso viene chiuso un occhio da parte delle autorità pubbliche. Cosa prevede la legge. Ma la proposta di legge della Giunta è pensata soprattutto per i regolari, ovviamente.

"L’ispirazione che è alla base della nostra legge è che migliorando le condizioni di vita degli immigrati regolari combattiamo meglio gli irregolari, i clandestini", ha spiegato Martini. Così la proposta di legge prevede numerose misure di intervento a favore dei regolari quali i corsi di italiano per bambini e adulti, per il rispetto delle differenze religiose (come l’assegnazione di spazi cimiteriali per la sepoltura dei morti e di spazi per la macellazione rituale nel rispetto delle norme vigenti). Verrà rafforzata la rete regionale di sportelli informativi ed è prevista una campagna contro le mutilazioni genitali femminili. E ancora.

La proposta di legge presta attenzione ai soggetti più deboli, come i rifugiati e i richiedenti asilo, minori, donne incinte, detenuti e vittime della tratta. Vengono inoltre riconosciuti i titoli professionali. È promossa e valorizzata la promozione della convivenza interculturale, nonché l’accesso degli immigrati al servizio civile regionale. Molte di queste misure sono già previste.

La proposta di legge le conferma ("e non è semplice dal momento che il governo Berlusconi ha cancellato il fondo per gli aiuti agli immigrati") e le aumenta, come nel caso dell’estensione della Stp.

Ma il valore della legge è soprattutto politico. In un momento in cui soffia un vento ostile all’immigrazione, questa proposta di legge della Toscana va controcorrente. Martini ha citato in positivo gli interventi di Napolitano e Fini. Due voci istituzionali, ma anche i padri di due leggi sull’immigrazione.

Droghe: Serpelloni; i genitori facciano "test" ai figli ogni anno

 

Notiziario Aduc, 6 febbraio 2009

 

"Non bisogna meravigliarsi né scandalizzarci. Come i genitori si occupano delle carie dei propri figli portandoli a fare annualmente la visita odontoiatrica, alla stessa stregua va considerato il drug test". Lo dice Giovanni Serpelloni, direttore del Dipartimento politiche antidroga (Dnpa) della presidenza del Consiglio dei Ministri, anticipando alcuni punti del piano antidroga del governo. La prevenzione sarà indirizzata in particolar modo nei confronti delle fasce più sensibili: i più giovani.

"Da molti, infatti, la situazione è altamente sottovalutata tanto da non valutare con intelligenza le dovute conseguenze. Per questo, la fascia che bisogna privilegiare nella lotta alla droga è quella dei minori. Vogliamo arrivare a far dire no al primo spinello".

Il governo, annuncia il direttore del Dpna, si muoverà anche contro il traffico sul web di sostanze stupefacenti. "In rete ci sono migliaia di siti da cui è possibile acquistare ogni sorta di sostanze stupefacenti. Si tratta di un flusso elevatissimo che è impossibile da controllare, intento del governo è conoscere le nuove armi di questo mercato - conclude Serpelloni - Armi connesse al mercato internet, al sesso e agli ambiti scolastici".

Unione Europea: stop alla "castrazione chimica" per i maniaci

 

Ansa, 6 febbraio 2009

 

Alt alla castrazione per reati sessuali nella Repubblica Ceca. A chiederlo è il Comitato per la prevenzione della tortura (Cpt) del Consiglio d’Europa. In un rapporto si spingono le autorità a "rinunciare immediatamente" alla pratica della castrazione chirurgica su chi commette crimini sessuali, giudicata come "un trattamento degradante". Il Cpt sottolinea, in particolare, chela castrazione chirurgica produce "effetti fisici irreversibili".

La censura del Comitato non è stata attenuata dalle giustificazioni addotte dal governo ceco, secondo cui chi subisce la castrazione fisica lo fa dopo aver dato il suo consenso scritto, e su proposta di un medico sessuologo. Nel contesto in cui viene prospettata la castrazione "è dubbio che vi sia una scelta davvero libera e informata", spiega il Cpt, ricordando che i pazienti accettano questa soluzione come unica possibilità di evitare la detenzione a vita, senza che venga loro offerta l’opzione di altri trattamenti o terapie alternative.

Le autorità ceche sono criticate per aver usato negli ultimi anni con regolarità anche la castrazione chimica, spesso anche per reati sessuali minori (come l’esibizionismo) senza che sia stata commessa una vera e propria violenza fisica. Dal 2000, circa 300 pazienti cechi sono stati trattati con castrazione chimica, e una cinquantina quella chirurgica, secondo i dati forniti dal governo", si legge nel rapporto, che però lamenta anche "informazioni inesatte" riguardo al numero di detenuti in attesa dell’intervento.

Unione Europea: Battisti; risoluzione contro decisione di Brasile

 

Agi, 6 febbraio 2009

 

Per l’Europarlamento, il rifiuto dell’estradizione di Cesare Battisti, concedendogli lo statuto di rifugiato politico e sostenendo che "il sistema giudiziario italiano non fornisce garanzie sufficienti sul rispetto dei diritti dei detenuti, può essere interpretato come una manifestazione di sfiducia nei confronti dell’Unione Europea".

Il testo della risoluzione approvato oggi a Strasburgo, al termine di un dibattito nel quale i partecipanti italiani erano in netta minoranza, è il frutto di un compromesso tra Ppe, Pse, Uen e Alde, è stato votato senza alcun emendamento.

Nella risoluzione il Parlamento esprime fiducia nel fatto che il riesame della decisione sull’estradizione di Battisti, non ancora concluso, terrà conto delle sentenze emesse dall’Italia. Ricorda che la stessa Francia, dove era fuggito nel 1990, aveva autorizzandola la sua estradizione in Italia, così come la Corte dei diritti dell’uomo a Strasburgo, aveva dichiarato il suo ricorso irricevibile.

Israele: pacifisti; sono 548 i palestinesi detenuti senza processo

 

Ansa, 6 febbraio 2009

 

Sono 548 i palestinesi detenuti attualmente nelle carceri d’Israele in forza di provvedimenti amministrativi e in attesa d’un qualsiasi giudizio. Lo denuncia oggi il movimento pacifista e di difesa dei diritti umani B’Tselem, pubblicando il suo rapporto annuale sull’argomento. Secondo i calcoli dell’organizzazione, 42 di questi detenuti sono in carcere senza processo da almeno due anni, una ventina da oltre due anni e mezzo e due addirittura da quattro anni e mezzo.

B’Tselem stima inoltre in 455 i palestinesi uccisi durante il 2008 (senza contare le vittime dei 22 giorni di guerra dell’operazione Piombo Fuso nella Striscia di Gaza) in singoli incidenti e scontri a fuoco con le forze israeliane. Fra loro si contano 87 minorenni e almeno 175 civili colpiti per errore e considerati estranei alle ostilità.

L’associazione pacifista contesta inoltre le dichiarazioni delle autorità secondo cui nell’ultimo anno si sarebbe registrato un miglioramento sul terreno della libertà di movimento per i palestinesi dei territori, denunciando fra l’altro l’esistenza di 63 posti di controllo israeliani permanenti all’interno della Cisgiordania, 18 dei quali solo nella città di Hebron. Nonché il perdurare di restrizioni al transito dei palestinesi su 430 chilometri di strade che gli israeliani sono liberi di percorrere.

 

 

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