Rassegna stampa 16 febbraio

 

Giustizia: un "crime deal" italiano, voluto da destra e sinistra

di Salvatore Palidda (Docente di Sociologia, Università di Genova)

 

Il Manifesto, 16 febbraio 2009

 

All’inizio di dicembre 2008 il totale dei detenuti in Italia è quasi lo stesso di prima dell’indulto, cioè circa 59 mila, con una percentuale sempre in crescita degli stranieri soprattutto al nord mentre al sud prevale la criminalizzazione dei locali spesso considerati come affiliati alle mafie anche quando si tratta di semplici piccoli delinquenti, di manifestanti contro le discariche di rifiuti tossici o degli ultrà napoletani dell’accusa-bufala di assaltatori di treni e stazioni.

I forcaioli dicono che l’indulto è stato una catastrofe perché la maggioranza dei beneficiari è stata reincarcerata, ma nessuno dice che questo è il risultato prevedibilissimo dell’assenza quasi totale di assistenza a chi esce dal carcere che però è sempre preda facile per quegli agenti di polizia a caccia dei soliti noti per mostrare quanto sono produttivi.

I maschi stranieri hanno la chance di finire in carcere cinque volte di più degli italiani, ma in realtà i più perseguitati sono gli algerini (27 volte), i tunisini e i nigeriani (18 volte), i marocchini (11 volte); se poi si fa il confronto fra gli italiani meno repressi (soprattutto i padani) e gli altri si scopre che gli stranieri sono incarcerati 16 volte più dei primi e i "terroni" da 4 a 8 volte.

L’escalation della criminalizzazione degli stranieri è cominciata dopo la Turco-Napolitano ma ha avuto un continuo crescendo col governo Berlusconi del 2001-2005, una forte accelerazione dopo la Bossi-Fini e ora con la gestione Maroni e i sindaci-sceriffi (di destra e di sinistra). Come mostra la serie storica dei dati statistici dal 1990 a oggi, la cosiddetta criminalità di strada come quella grave non è affatto aumentata, anzi i reati gravi sono notevolmente diminuiti nonostante l’esasperazione dell’azione repressiva e la collaborazione attiva dei cittadini zelanti.

Così in quasi vent’anni di ascesa della "tolleranza zero" a fronte di una diminuzione dei reati si è avuto un aumento del 127 per cento dei detenuti (400 per cento circa per gli stranieri e circa l’80 per cento per gli italiani: dopo la Bossi-Fini c’è stata una diminuzione degli italiani - tranne i "terroni" - e un forte aumento degli stranieri che ora rischiano di diventare la maggioranza dei detenuti, "obiettivo" già raggiunto al centro-nord).

Fra gli aspetti più vigliacchi di questa persecuzione razzista si nota il continuo aumento degli arresti per immigrazione irregolare, per reati tipicamente da poveri (piccoli furti, ricettazione che in realtà è solo possesso di qualche merce di origine non certificata - dal cd a qualsiasi banale merce delle economie sommerse... come dire che buona parte di tutti gli italiani potrebbero essere imputati di ricettazione in un paese col 30 per cento di sommerso).

Ricordiamo che il ministro dell’interno del governo Prodi, Giuliano Amato, aveva apertamente dichiarato che avrebbe seguito "l’esempio della tolleranza zero di Giuliani" e l’allora sindaco di Roma, Walter Veltroni, dopo l’assassinio di una donna da parte di uno squilibrato rumeno-rom aveva invocato l’espulsione di 200 mila rumeni provocando la protesta della stessa Commissione europea e del Parlamento di Strasburgo.

La prima bozza del "pacchetto sicurezza" è stata pensata dai signori del centro-sinistra e il precedente risale al governo D’Alema (1999) e "all’apologia dell’ordine pubblico" invocata da Luciano Violante sin dal 1996 (su Micromega).

È quindi del tutto logico che se il centro-sinistra ha "fatto dieci", la destra si senta in diritto e in dovere di "fare 100". Non solo perché la campagna elettorale è stata vinta dalla Lega a colpi di incitamenti all’accanimento razzista contro zingari, immigrati, terroni delinquenti e "barboni che pesano sulle finanze pubbliche".

Ma anche perché il modello neoconservatore americano del crime deal (vedi J. Simon, Il governo della paura, Cortina, 2008) entusiasma il popolo delle ronde, i militanti della tolleranza zero anche "di sinistra", i sindaci-sceriffi di quasi tutte le giunte italiane, sondaggisti, giornalisti, assicurazioni, dirigenti di polizie pubbliche e private famelici di rapide carriere, e ancor di più imprenditori e commercianti che vendono sistemi di sicurezza di ogni genere (vedi Un mondo di controlli, "conflitti globali" 5/2007 e, prossima pubblicazione, Il Crime Deal.

Il decreto sicurezza fortemente voluto dal ministro Roberto Maroni e dai vari fascisti e razzisti (e non solo nella maggioranza) provocherà certamente conseguenze ben prevedibili. C’è infatti da aspettarsi non solo un nuovo forte aumento delle incarcerazioni di stranieri e anche di marginali italiani, ma anche una stretta autoritaria generalizzata (si pensi alla possibile applicazione discrezionale/arbitraria del divieto di manifestazione) e soprattutto un’ondata di violenze se non di veri e propri progrom.

L’istituzionalizzare delle ronde o la legittimazione dell’agire libero dei militanti della tolleranza zero non troverà forse assai facilmente abbastanza coperture fra i dirigenti e gli agenti delle polizie sensibili alla causa autoritaria razzista?

È questo il pericolo più grave da prevedere. E è rispetto a questo che sarebbe necessaria una forte mobilitazione antifascista e antirazzista a cominciare da gruppi militanti che in ogni città siano particolarmente vigilanti, in grado di dare protezione alle potenziali vittime, in grado di fare seria controinformazione ma anche azioni di contrasto efficace.

È infine probabile che l’ulteriore squilibrio fra prevenzione sociale, prevenzione di polizia, repressione, penalità e reintegrazione sociale a favore della sola risposta repressivo-penale, accresca ancora di più la marginalizzazione estrema e le morti di esclusi per strada come nei luoghi di internamento (immigrati nei Cpt, carcerati, tossicodipendenti rigettati nelle strade da Sert che non funzionano perché il personale è stato totalmente precarizzato e sopravvive lavorando per le comunità private che "curano" solo chi ha i soldi).

Da parte loro, le polizie locali, distratte dai loro compiti istituzionali e dirottate sempre più nella persecuzione dei nemici di turno, controlleranno sempre meno le costruzioni abusive, la tutela dell’ambiente e lo smaltimento dei rifiuti, le aree delle economie sommerse, a tutto beneficio delle ecomafie del nord e del sud e del rischio di aumento di infortuni sul lavoro e malattie professionali direttamente o indirettamente connessi con l’inquinamento e la produzione e commercializzazione di merci nocive.

Allora, non è ormai sin troppo evidente che la resistenza antifascista e antirazzista non è solo una questione di difesa dei diritti fondamentali degli immigrati ma una questione di sopravvivenza di tutti (quelli che non hanno potere)?

Giustizia: 60 pene "più dure" tra novità, ritocchi e aggravanti

di Andrea Maria Candidi

 

Il Sole 24 Ore, 16 febbraio 2009

 

Non solo lotta ai clandestini. Il secondo capitolo del pacchetto sicurezza Maroni-Alfano, dopo quello varato l’estate scorsa, punta anche sul decoro delle città, sulla difesa dei soggetti deboli, minori e anziani in primo luogo, sulla tutela del patrimonio e sul rispetto del Codice della strada. È lungo queste direttrici che si dipana l’inasprimento dell’apparato sanzionatorio contemplato nel Ddl che ha appena incassato un primo via libera in Senato.

Il risultato che si va profilando è che tra reati nuovi di zecca o modificati, introduzione di aggravanti e modifiche al codice della strada, si arriva a 60 ritocchi all’insù di sanzioni, penali o amministrative che siano.

Che spesso si incrociano, come emerge dalla lettura della norma che aumenta la sanzione prevista per chi lancia oggetti o rifiuti dal finestrino dell’automobile (tra 500 e 1.000 euro) e di quella che impone ai sindaci di aggiornare i regolamenti comunali per consentire di far pagare almeno 500 euro a chi sporca le strade.

In questo segmento di tutela del decoro urbano si inserisce anche il giro di vite contro i writers, per ora multati con 103 euro, per i quali il rischio della reclusione (da uno a sei mesi) si fa più concreto.

E siccome qualcuno deve comunque pagare, se a imbrattare le facciate dei palazzi o le fiancate dei tram è un minorenne, scatta la multa fino a mille euro per il commerciante che gli ha venduto la bomboletta spray. Dunque, la sicurezza pubblica, è questo il messaggio, chiede lo sforzo di tutti, esercenti di attività economiche compresi. Come provano le modifiche alla "231", legge che sanziona le società per i reati commessi dai dipendenti in loro vantaggio.

Il Governo ha previsto conseguenze pesanti per le aziende che agevolano, anche senza la consapevolezza dei titolari, le associazioni criminali, a partire dalle sanzioni pecuniarie che possono superare il milione e mezzo di euro.

Quanto alla tutela dei soggetti più deboli, l’attenzione punitiva del progetto muove in due direzioni: da una parte contro chi approfitta della condizione soggettiva della vittima, e dall’altra contro chi trae vantaggio delle circostanze di tempo e luogo.

Appartengono alla prima specie alcune aggravanti inserite nel Codice penale e così, ad esempio, la pena aumenta per chi commette un reato contro una persona anziana in virtù della minor capacità di difesa di questa (si pensi allo scippo della borsetta). In questo senso va anche una disposizione che sembra scritta apposta per combattere i crimini commessi dal "branco", per dissuadere i maggiorenni ad avvalersi anche di minori per le loro bravate: chi ha più di 18 anni rischia infatti un aumento tra la metà e i due terzi della pena prevista per il reato commesso.

Si inseriscono invece nella seconda specie le aggravanti che scattano quando il reato è commesso in prossimità di luoghi "sensibili", come le scuole, il posto di lavoro, la stazione ferroviaria, la banca o l’ufficio postale.

Ad esempio gli atti osceni sono aggravati se compiuti davanti a un minore nelle "immediate vicinanze" della scuola; oppure il furto, la cui pena è raddoppiata se commesso sul bus o nei pressi del bancomat da cui la vittima ha appena prelevato i contanti. Stesso discorso per la rapina e per il porto illegale di armi.

In quest’ultimo caso, anzi, l’incremento di pena è più forte quando, anziché di un’arma vera e propria (aumento variabile da un terzo alla metà), si tratta di oggetti atti a offendere - bastoni, tirapugni - in cui l’aumento è sempre della metà della pena prevista se portati nei luoghi elencati nella nuova norma.

Dunque il controllo del territorio diventa la chiave di volta per il contrasto alla microcriminalità. E la dimostrazione non è solo nella norma che consente ai Comuni di potenziare i sistemi di videosorveglianza, ma anche nel maggior rispetto richiesto nei confronti delle forze dell’ordine. Non sembra un caso la reintroduzione, nel corpo del Codice penale, di un reato depenalizzato dieci anni fa: l’oltraggio a pubblico ufficiale.

Giustizia: lo "sconto di pena" concesso soltanto a chi collabora

di Giovanni Negri

 

Il Sole 24 Ore, 16 febbraio 2009

 

Non sarà "l’ossessione carcero-centrica" di cui parlano i penalisti. Sarà pure un intervento che risponde alle preoccupazioni dell’opinione pubblica. Di certo il Ddl sulla sicurezza, oltre ad aumentare il numero dei reati puniti con la detenzione, rende più difficile aprire le porte del carcere per i detenuti. A meno che non scelgano di collaborare con la giustizia.

Va in questa direzione l’allargamento di quella presunzione di pericolosità che rende obbligatoria la custodia cautelare alla violenza sessuale, anche di gruppo, alla pornografia minorile e al turismo sessuale. Reati, questi, che entrano anche nell’elenco di quelli per i quali è escluso il ricorso alle misure alternative al carcere. Con l’eccezione dei detenuti che scelgono di collaborare con la giustizia. Una scelta, quest’ultima, tradotta anche sul fronte delle attenuanti, con sconti di pena (fino alla metà) ai condannati per tratta di persone e schiavitù.

Di impatto è anche la riforma del carcere duro per i condannati per associazione criminale soprattutto mafiosa. L’intervento ne amplia il ricorso e rende la misura più stabile. Si riconosce così al ministro dell’Interno il potere di richiedere a quello della Giustizia l’emissione del provvedimento che dispone il regime speciale. La durata viene innalzata a 4 anni, raddoppiando l’attuale limite. La proroga potrà essere biennale quando è dimostrata la capacità di mantenere collegamenti con il crimine.

Il trascorrere del tempo non esclude, di per sé, la capacità di mantenere i collegamenti con l’associazione e, tra gli elementi da considerare, trovano spazio la posizione rivestita nell’organizzazione, la sua operatività e il sopraggiungere di imputazioni non considerate in precedenza. Accogliendo alcune osservazioni del Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, con l’obiettivo di limitare le possibilità di contatti esterni, si stabilisce che i detenuti soggetti al 41-bis devono essere inseriti all’interno di istituti dedicati, collocati preferibilmente sulle isole o, almeno, all’interno di sezioni speciali.

I colloqui sono ridotti a uno al mese (oggi ne sono possibili due) e soggetti a controllo; la permanenza all’aperto non potrà svolgersi in gruppi superiori a 4 persone (attualmente fino a 5) e per non più di 2 ore al giorno. Viene poi introdotto un nuovo reato che sanziona con pena fino a 4 anni (5 per i pubblici ufficiali) chi permette a un detenuto soggetto a 41-bis di comunicare con l’esterno.

Giustizia: subito misure "anti-stupri", in arrivo il decreto-legge

 

Corriere della Sera, 16 febbraio 2009

 

Il piano del Viminale: niente arresti domiciliari o altri benefici. Vaticano: "Leggi severe, ma senza emotività".

Il governo intende anticipare - tramite un decreto da approvare al prossimo Consiglio dei ministri - alcune misure contenute nel disegno di legge sulla sicurezza approvato dal Senato, tra cui quella che esclude la possibilità della concessione degli arresti domiciliari a chi è accusato di stupro (articolo 26 del ddl, un emendamento presentato dalla Lega).

Lo ha anticipato il ministro dell’Interno Roberto Maroni, durante un colloquio telefonico con il sindaco di Roma Gianni Alemanno. Il ddl, approdato alla Camera dopo il via libera del Senato, sarà probabilmente modificato a Montecitorio, poi dovrà tornare nuovamente a Palazzo Madama per l’ok definitivo.

Il governo intenderebbe, invece, dare una risposta immediata. Da qui l’anticipo dell’entrata in vigore della norma, che rende obbligatoria la custodia cautelare in carcere per chi commette questo tipo di reati, oltre ad altre misure come il gratuito patrocinio alle vittime e alla possibilità per i sindaci di avvalersi di "ronde" di volontari non armati.

Alemanno: certezza della pena - Il provvedimento, secondo quanto si apprende, vuole essere un segnale forte dopo gli ultimi fatti di cronaca, con il moltiplicarsi dei casi di violenze sessuali in strada: solo nelle ultime ore i casi di Bologna, Roma e Milano. "Lunedì il ministero dell’Interno prenderà un’iniziativa molto forte, chiedendo di anticipare una serie di norme che sono garanzia della certezza della pena", ha annunciato Alemanno. Il sindaco di Roma, insieme al ministro delle Politiche comunitarie Andrea Ronchi, ha effettuato un sopralluogo al parco della Caffarella, teatro dell’ultimo stupro. Ronchi ha portato la "solidarietà del governo ad Alemanno, che sta facendo tantissimo per combattere la delinquenza". E contro le violenze sessuali, ha concluso, "il governo nelle prossime ore farà sentire la sua voce".

Le reazioni politiche - Mentre la Lega annuncia una raccolta di firme per la castrazione chimica degli stupratori, dall’opposizione si moltiplicano le voci di critica per l’inadeguatezza delle misure del governo, mentre dalla maggioranza si levano voci in difesa del decreto sicurezza e accuse alla magistratura, accusata di eccessivo lassismo. Il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini parla apertamente di "fallimento": "Nessuno può strumentalizzare gli atti di violenza che si ripetono nelle più grandi città italiane. Ma la frequenza con cui essi avvengono, a partire da Roma, dimostra che è giunto il momento della riflessione e dell’autocritica nella gestione della sicurezza. Le misure prese dal governo sono un fallimento o nella migliore delle ipotesi acqua fresca".

Di fallimento parla anche Massimo Donadi, capogruppo dell’Italia dei Valori alla Camera: "Gli ultimi episodi di stupro sono terribili e dimostrano che il piano del governo per la sicurezza è fallito. Non faremo sciacallaggio come a suo tempo fece il centrodestra. È però evidente che gli spot del governo non bastano a risolvere i problemi. Questo governo da un lato fa demagogia, dall’altro taglia i fondi alle forze dell’ordine. È indispensabile, invece, aumentare finanziamenti e risorse per le forze dell’ordine".

Di Pietro: "servono le intercettazioni" - Il leader dell’Idv Antonio Di Pietro accusa governo e maggioranza di "predicare bene e di razzolare male": "Siccome con il ddl del governo per intercettare ci dovranno essere "gravi indizi di colpevolezza", di fatto sarà impossibile usare questo indispensabile strumento di indagine per la violenza sessuale".

Di Pietro fa notare che, nei casi di stupro, il più delle volte non si sa chi è il responsabile, e che per i reati commessi da ignoti il ddl prevede che il magistrato possa disporre l’intercettazione solo se è la vittima a farne richiesta e solo sulle sue utenze. "Nel caso delle ultime due ragazze violentate, ad esempio, mi sembra davvero difficile che gli stupratori si rifacciano vivi per telefono", commenta sarcastico Di Pietro.

Brunetta: manca coordinamento - Una voce fuori dal coro è quella del ministro della Pubblica amministrazione e Innovazione Renato Brunetta, che alla consueta rubrica radiofonica "Il Brunetta della domenica" su Rtl 102.5 ha lanciato una provocazione sullo scarso coordinamento delle forze dell’ordine.

"A loro va il nostro plauso - ha precisato Brunetta -, ci sono però troppi corpi di polizia, spesso non coordinati tra loro. Tutti straordinari, ma è proprio necessario in questo paese avere tanti corpi di polizia con propri apparati, propria organizzazione e propri sistemi? Non sarebbe preferibile avere coordinamenti forti e non unici corpi, e poi via via specializzarli rispetto alle funzioni? Molto probabilmente, lo vedo anche da economista, si raggiungerebbe maggiore efficienza, minori costi, più operatività e più poliziotti e carabinieri per strada".

Minniti: pronti a collaborare - Molto critico contro il governo che ha praticato "tagli proprio sulla sicurezza", ma pronto al tempo stesso a tendere una mano per un "piano straordinario del territorio": questa la posizione di Marco Minniti, ministro ombra Pd dell’Interno: "C’è una vera e propria emergenza nazionale nel campo della sicurezza e in particolare per la violenza contro le donne. Si è sbagliato a sottovalutare e si sta continuando a farlo.

È evidente che prima di tutto c’è un problema di controllo del territorio in aree cruciali del Paese. La strada finora perseguita non ha dato risultati". Per Minniti, occorre "un piano straordinario per il controllo del territorio a partire dalle città, impegnando le forze di polizia e dotandole, anche attraverso un decreto legge, dei mezzi e degli uomini che possano renderlo concretamente operativo. Se il governo imboccherà questa strada, l’opposizione farà fino in fondo la sua parte".

Vaticano: no reazioni a caldo - Infine la posizione del Vaticano sull’argomento è stata espressa da monsignor Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti: sì a leggi severe verso chi commette reati come lo stupro, ma "le reazioni a caldo non vanno bene" e l’emotività non deve prendere il sopravvento. "Credo sia lo Stato a dover decidere come reagire e le reazioni a caldo non sono in genere sempre le più opportune. Comprendo i sentimenti delle famiglie e dei cari, ma un governo certamente deve tener conto di un bene comune, nel contesto della ragionevolezza di una legge". L’arcivescovo esprime "grande pena verso le persone colpite e vittime di tali affronti e violenze".

Monsignor Marchetto ritiene "giusto che coloro che commettono questi abusi siano puniti dalla legge. Ma la gente non cominci a farsi giustizia da sola, perché è un gravissimo danno per il bene comune ed è un infrangimento di quello che lo Stato è e deve essere, ovvero il difensore dei cittadini, specialmente dei più deboli. Occorre punire queste angherie, questi abusi, ma sarebbe sbagliato generalizzare. Non sono soltanto gli stranieri che fanno queste cose. E credo che il governo considererà tutti, tenendo presente che il male non è solo caratteristica degli stranieri".

Giustizia: partecipare alla "protezione civile", non ai linciaggi

di Michele Serra

 

La Repubblica, 16 febbraio 2009

 

Lo stupro è un delitto vile e una violenza profonda. Forse il più primordiale dei crimini, che in ciascuno di noi evoca sentimenti altrettanto primordiali: la paura, l’ira, lo spirito di vendetta.

Che questi sentimenti debbano essere temperati dalla ragione, e dalla coscienza del diritto, è adesso ancora più evidente dopo il vergognoso raid razzista di ieri sera a Roma contro un bar gestito da romeni. A conferma di quanto pericoloso sia il clima, e quanto disposti alla violenza i peggiori cittadini.

Ma la ripetizione rituale degli appelli alla temperanza, e il mero invito ad affidarsi al magistero delle leggi e alla protezione dello Stato, in questa tempesta emotiva rischiano di suonare vuoti, e distratti, tal quali la massima parte delle parole politiche di questo difficilissimo scorcio d’epoca.

Peggio, rischiano di rappresentare, anche quando non lo siano, il pilatesco disimpegno della "casta" e in generale dei ceti socialmente più protetti, indifferenti di fronte al rischio e all’impotenza di chi vive a contatto con la strada, nei quartieri difficili, a diretto contatto con gli aspetti più ruvidi e aspri della violenza endemica e dell’immigrazione clandestina.

Ripetere che la grande maggioranza delle violenze sessuali avvengono in famiglia, spesso coperte dall’ipocrisia, dall’arbitrio maschile e dalla rassegnazione femminile, è vero e giusto: ma non vale a rinfrancare e tranquillizzare quei cittadini che, a torto o a ragione, vivono la violenza di strada come il più intollerabile dei soprusi.

La tentazione popolare di auto-organizzare il controllo del territorio (e magari anche la punizione dei colpevoli veri o presunti) è vista con legittima diffidenza da chi ha cultura civile, e spirito legalitario. Essa racchiude, in una forbice di intenzioni così ampia da essere contraddittoria, l’orrendo istinto del linciaggio, del rastrellamento, della giustizia sommaria, del pogrom di quartiere come è accaduto ieri a Roma e in precedenza a Napoli contro i rom (si è poi saputo che il "casus belli", il presunto tentato rapimento di un neonato da parte di una giovane zingara, era stato inventato di sana pianta); ma al capo opposto racchiude anche una volontà di partecipazione attiva, e quasi di "protezione civile", che non è più consentito ridurre a puro malumore manesco e reazionario.

Il governo, a quanto si capisce, intende incentivare le cosiddette "ronde", muovendosi nell’alveo naturale di un populismo che è insieme istintivo e strumentale. Ma opporre a questo fenomeno il puro esorcismo legalitario non serve: semmai minaccia di peggiorare le cose, consegnando alle forze politiche più a loro agio sul mercato della paura (vedi la Lega e le sue ronde) una specie di monopolio della reazione popolare, che nella deriva del diritto può dare luogo a una raggelante gestione partitica della sicurezza (di "servizi d’ordine" che generavano altro disordine questo paese ne ha già avuti davvero troppi).

E dunque: ripetuto, e non si ripete mai abbastanza, che spetta alle forze dell’ordine garantire la sicurezza, alla magistratura di applicare la legge e al governo e al Parlamento di indirizzare le politiche di sicurezza, come affrontare l’onda tumultuante e inquietante della "giustizia popolare", dei pattugliamenti di quartiere più o meno spontanei, dell’insicurezza effettiva e di quella percepita? L’idea di ricondurla a una ragionevole e perfino utile opera di assistenza a polizia e carabinieri, nonché a un ruolo di dissuasione civica e disarmata, non è più insensata che limitarsi alla virtuosa giaculatoria sulle prerogative dello Stato.

In questo clima di razzismo, di uso ansiogeno e bassamente speculativo del problema della sicurezza (chissà se il sindaco Alemanno si è pentito di avere addossato alle amministrazioni di centrosinistra ogni colpa...), forse non sarebbe inutile che la politica - Parlamento e sindaci in primo luogo - provasse a misurare la temperatura della strada non per volgerla a qualche suo effimero vantaggio, ma per aiutarla a rincivilire i suoi umori, e trasformare una scomposta paura popolare in forme attive, controllate e proficue di controllo del territorio. Disinnescando una temibile deriva razzista, manesca e di fazione, e riconsegnando ai bisogni della comunità ciò che oggi è un minaccioso magma emotivo, alla mercé di frange estremiste, capibastone rionali, mestatori di partito, ducetti di crocevia.

Si dice sempre, del resto, che alle radici della crisi della politica ci sia il drammatico distacco dai bisogni popolari. Un evidente bisogno popolare è darsi da fare perché l’attraversamento di un giardinetto in pieno pomeriggio, o l’attesa di amici sul portone sotto casa, non si trasformino in una violazione insopportabile per due ragazze inermi.

Tra definire "eroe" chi sventa singolarmente uno stupro, e vedere in ogni reazione collettiva una minaccia per l’ordine democratico, ci deve pur essere una volonterosa e rassicurante via di mezzo. Specie per la sinistra, che della partecipazione popolare, ai tempi, si faceva meritato vanto, questo è un banco di prova da non eludere. Gli assenti hanno sempre torto.

Giustizia: severe ma giuste, solo così le punizioni sono efficaci

di Marcello Sorgi

 

La Stampa, 16 febbraio 2009

 

Dopo quel che è accaduto tra sabato e domenica in tre grandi città come Roma, Milano e Bologna, il governo ha fatto bene a dare un’accelerata in materia di stupri. Il decreto annunciato ieri e messo all’ordine del giorno del prossimo Consiglio dei ministri dovrebbe servire ad anticipare parte delle misure anticriminalità già approvate in Senato, a cominciare dal blocco delle scarcerazioni per i violentatori.

E ciò non solo perché in almeno una delle tre violenze, a Bologna, il responsabile - un immigrato tunisino di 33 anni - era già stato arrestato e liberato due volte in dieci mesi, malgrado si fosse macchiato di reati gravi come lo spaccio di droga. Ma anche perché, dall’inizio dell’anno, in altri due casi i colpevoli, anche se non tutti, sono stati subito rispediti a casa agli arresti domiciliari. Di qui a una piena libertà, troppo spesso, si sa, il passo è breve. E ancor più corto, purtroppo, quello tra la libertà e il ritorno alla delinquenza.

Non a caso, a caldo, su un punto le reazioni dei due sindaci di Roma e Bologna, pur provenienti da schieramenti politici opposti, sono state coincidenti. Alemanno ha chiesto alla magistratura "di dare segnali forti". E Cofferati s’è lamentato che i giudici non siano in grado "di assicurare la certezza della pena".

Questo, e non altro, chiedono i parenti delle vittime. Non riescono a spiegarsi come mai, mentre ancora le loro figlie giacciono in un lettino d’ospedale, o cercano faticosamente, con l’ausilio di uno psicologo, di ricostruire le loro terribili esperienze, gli arrestati possano tornare liberi, o semiliberi, dopo solo un paio di notti passate in cella.

In genere, a queste obiezioni, i magistrati rispondono che è la legge a consentirlo, e che perfino un violentatore, se confessa o collabora positivamente alle indagini, ha diritto di attendere il processo fuori del carcere o a piede libero. Se non c’è pericolo di fuga o di inquinamento delle prove, dice appunto la legge, l’arrestato può essere rimesso in libertà.

Tali interpretazioni delle norme non tengono conto dell’emergenza rappresentata dagli stupri che ormai si verificano tutti i giorni, e dall’allarme sociale che determinano tra i cittadini. Certe cose i giudici non vogliono sentirsele dire. Tra loro c’è anche chi pensa - non a torto, in qualche caso - che se i politici evitassero di scontrarsi quotidianamente, contendendosi i voti, sulla sicurezza, anche le preoccupazioni dei cittadini diminuirebbero.

Ma, a questo punto, non si tratta solo di preoccupazioni. A Roma, sia nel caso dello stupro della notte di Capodanno (violentatore preso e già scarcerato), sia in quello dei due morosi quindicenni aggrediti alle sette di sera nel quartiere molto affollato della Caffarella, i genitori delle vittime hanno minacciato di farsi giustizia da soli. Si dirà che, in certi momenti, la rabbia e il dolore fanno pure straparlare. Ed è vero. Ma se il padre, o la madre, di una ragazza stuprata vuole una pena severa per chi ha violato la figlia, non straparla: chiede una cosa giusta.

È possibile che anche queste considerazioni siano alla base dell’accelerata decisa dal governo. Ma proprio perché il decreto è ancora in gestazione, e non è dato sapere quante delle norme uscite dal Senato vi saranno inserite, senza nulla togliere all’urgenza dell’intervento, forse c’è ancora tempo per riflettere e selezionare meglio le misure da far partire nell’immediato. Bene, appunto, il blocco delle scarcerazioni per gli stupratori.

E bene, se si realizzerà, l’incremento degli organici delle forze dell’ordine, in controtendenza con i tagli che anche in questo delicato settore sono stati imposti dalla situazione dei conti pubblici. Se invece, com’è prevedibile, l’aumento del numero di poliziotti e carabinieri dovesse rivelarsi più difficile da realizzare, si potrebbe decidere di richiamare quelli destinati all’estero in missioni di pace, e sostituiti sulle strade delle metropoli da soldati meno adatti e meno addestrati per compiti di sicurezza.

Sarebbe opportuno, poi, che davanti a decisioni del genere l’opposizione rinunciasse alle polemiche e favorisse l’iter parlamentare dei provvedimenti. Nello stesso senso, per agevolare un confronto meno teso nelle aule della Camera e del Senato, potrebbe muoversi il governo. Una delle misure che dividono di più riguarda le ronde di liberi cittadini che, sia pure senza armi, e autorizzati dai sindaci, dovrebbero affiancare le forze di polizia nei pattugliamenti notturni delle strade. In un momento di così grave tensione, con la gente che minaccia vendetta in mancanza di giustizia, i rischi di una svolta come questa potrebbero rivelarsi superiori agli eventuali vantaggi.

Proprio perché siamo di fronte a un’emergenza, che colpisce in misura eguale città amministrate dalla destra e dalla sinistra, non sarebbe male agire severamente, ma con freddezza. Separando le azioni utili da quelle destinate a venire incontro alle emozioni più diffuse, la politica dalla propaganda, gli annunci dagli interventi concreti. E cercando, soprattutto, di non alimentare illusioni: perché la guerra contro la criminalità e per una maggiore sicurezza sarà lunga. Molto più lunga di quel che ci si può aspettare.

Giustizia: le opposizioni; sulla "sicurezza" il Governo ha fallito

 

L’Unità, 16 febbraio 2009

 

I gravi episodi di violenza sessuali di Milano, Roma e Bologna, mettono sotto la lente la questione sicurezza. Ad essere accusata è la politica del governo in materia ma non mancano gli allarmi generalizzati per un tragico fenomeno in costante aumento. Così mentre appaiono a Roma in zona Appio Latino, a firma Forza Nuova, scritte inquietanti improntate alla vendetta: " Rom assassini, vergogna!". E "Occhio per occhio", poi in tarda serata le parole di Roberto Fiore: "Chiedo che Alemanno rassegni immediate dimissioni: non è il sindaco di cui Roma ha bisogno, poiché la sua incapacità ad assicurare la sicurezza è sotto gli occhi di tutto il mondo". Protesta, con toni del tutto differenti anche il Pd, ad iniziare da Giovanna Melandri che parla di: "Bollettino di guerra".

"È evidente che non possiamo più fingere di trovarci davanti solo ad una serie di episodi. Si tratta di un vero e proprio bollettino di guerra che esige un’immediata reazione da parte delle istituzioni". Concorda Marco Minnitti: "Prima di tutto c’è un problema di controllo del territorio in aree cruciali del paese. La strada finora perseguita non ha dato i risultati sperati. Dopo i gravi tagli operati dal governo proprio sulla sicurezza si tratta ora di predisporre un piano straordinario per il controllo del territorio a partire dalle città, impegnando le forze di polizia e dotandole, anche attraverso un decreto legge, dei mezzi e degli uomini che possano renderlo concretamente operativo".

A richiamare il Governo alle sue responsabilità, provvede anche Pierferdinando Casini. Prima sceglie di distinguere: "Nessuno può strumentalizzare gli atti di violenza che si ripetono nelle più grandi città italiane. Ma la frequenza con cui avvengono, a partire da Roma, dimostra che è giunto il momento della riflessione e dell’autocritica nella gestione della sicurezza", poi affonda i colpi: "Le misure prese dal Governo sono un fallimento o nella migliore delle ipotesi acqua fresca. È inutile continuare ad illudersi che la soluzione sia più militari nelle città, quando continuano a diminuire le risorse per il comparto e non si provvede al reintegro degli organici mancanti della polizia di stato. Alle città italiane - conclude - servono più poliziotti e più carabinieri, non le ronde e né i militari". Il ministro per le politiche comunitarie Andrea Ronchi prevede che "Il governo attuerà un giro di vite immediato sugli stupri" e "farà sempre di più per aiutare il sindaco di Roma sul fronte della sicurezza" mentre il sindaco di Roma Gianni Alemanno, in visita alla scena dell’ultimo orrore, il parco della Caffarella, è parso nervoso.

Gli abitanti lo hanno atteso per sfogarsi. "Questo parco è insicuro", poi altre voci tra la rabbia e la paura: "È dal 2005 che aspettiamo che si completino gli espropri delle aree private del parco se non si risolve questo problema qui ci sarà sempre degrado e terreno fertile per la criminalità". Alemanno ha ascoltato, arrabbiandosi poi con chi gli faceva notare che la sua campagna elettorale era stata giocata proprio sul tema della sicurezza:"Non diciamo sciocchezze, è necessario un impegno prolungato. Ci vuole certezza della pena e corrispondenza da parte della legge. Vale per tutta Italia, perché questa è un’emergenza nazionale. A Roma ci sono microaccampamenti sparsi in città. Cominceremo a entrare in un’intensa fase di sgombero dei campi illegali in accordo col prefetto, avremo anche dei campi legali da controllare bene. Dal punto di vista sociale". Poi il sindaco si lamenta delle carenza endemiche: "Londra ha 450.000 telecamere e Roma solo cinquemila. Bisogna vigilare ma le ronde fai da te non servono a nulla".

Parole che invocano l’aiuto del governo, pronte norme speciali nel Cdm di domani e appoggio immediato dalla moglie Isabella Rauti, capo dipartimento del ministero per le pari opportunità: "È sempre più urgente che venga discusso in parlamento il ddl contro la violenza sessuale presentato dal governo. Il ddl, messo a punto dal ministro Mara Carfagna prevede, tra l’altro, maggiore certezza della pena, l’ inasprimento delle pene in caso di recidiva e un quadro normativo più incisivo per i reati di violenza sessuale". Parole diverse da quelle di Francesco Storace de "la destra".

Per lui i campi Roma vanno "chiusi e basta". L’individuazione di aree ad hoc secondo Storace "serve solo a creare nuovi ghetti". Sul versante bolognese, il Pd chiede misure serie "E certezza della pena" - dice Rossella Lama, responsabile delle donne e delle politiche sulle differenze di genere del Pd di Bologna: "Auspichiamo la mobilitazione dei cittadini e delle forze attive della città contro la violenza alle donne, con il massimo impegno unitario di tutte le forze politiche e sociali", mentre il responsabile immigrazione dell’Arci, Filippo Miraglia, è duro: "Chi commette reati terribili, come è lo stupro, va perseguito senza attenuanti, sia che sia straniero o italiano, giovane o anziano, figlio di emarginati o di buona famiglia. La legge deve essere uguale per tutti".

La palma della proposta choc se la aggiudica l’anziano Carlo Fatuzzo, dei pensionati: "Se i magistrati concedono gli arresti domiciliari, certamente lo fanno perché la legge lo consente. È necessario modificare le attuali norme, eliminando per chi si rende responsabile di episodi di violenza sessuale , qualsiasi possibilità di benefici o di arresti domiciliari o altre misure simili, ma che stabilisca rigorosamente il carcere e la triplicazione delle attuali pene e per i recidivi l’ergastolo e la castrazione chimica. Gli arresti domiciliari o la messa in libertà di stupratori, rappresenta uno schiaffo alle vittime ed un allarme sociale. Il posto per questi delinquenti è il carcere".

Giustizia: Barbagli; il 40% degli stupri commesso da immigrati

di Eleonora Barbieri

 

Il Giornale, 16 febbraio 2009

 

Marzio Barbagli lo definisce "un tema scabroso". È il rapporto fra immigrati e criminalità, a cui il sociologo bolognese ha dedicato anni di studi e il suo ultimo libro, Immigrazione e sicurezza in Italia (Il Mulino).

 

Stranieri e reati: esiste davvero un legame?

"Sicuramente la quota degli stranieri sul totale delle persone denunciate è aumentata. Per quanto riguarda la violenza sessuale, in vent’anni è passata dal 9 al 40 per cento. Una quota molto alta, anche perché gli stranieri sono circa il 6 per cento della popolazione".

 

Non c’è proporzione?

"No. Di solito, però, i media enfatizzano i casi in cui la vittima è italiana, mentre la maggior parte degli stupri e degli omicidi coinvolge i connazionali. Nel 45 per cento dei casi i romeni stuprano delle romene, nel 35 per cento delle italiane. Non che sia consolante".

 

La quota di stranieri è salita per tutti i reati?

"Sì, quasi in tutti. Anche se alcuni reati rimangono "italiani", come corruzione e concussione: sono i white collar crime, i reati dei potenti, che richiedono una posizione sociale. Lo stesso vale per le rapine più redditizie".

 

Quali reati sono commessi più di frequente dagli stranieri?

"Borseggi e furti in appartamento, dove sono il 49 per cento dei denunciati. E poi rapine, stupri, omicidi e tentati omicidi".

 

Come si spiega?

"Per i reati contro il patrimonio la spinta è il denaro. Per gli omicidi può esserci, di nuovo, un legame con i soldi, magari nell’ambito del traffico di droga o della prostituzione".

 

E perché tante violenze sessuali?

"Contano due fattori. Primo: le difficoltà nel rimpatrio degli irregolari. Non tutti ma i "rintracciati", come il tunisino di Bologna".

 

L’altro fattore?

"L’integrazione. Le persone più a rischio di commettere stupri e omicidi hanno una rete sociale debole intorno a loro. La povertà economica conta poco".

 

Quanto conta la differenza fra regolari e irregolari?

"Normalmente gli stranieri criminali sono irregolari, ma dipende dal reato. Nello spaccio di droga, il 93 per cento è irregolare. Negli stupri gli irregolari sono il 62 per cento".

 

Come spiega questa sequenza di episodi?

"Spesso è casuale. Un’ipotesi è che molte donne siano spinte a denunciare la violenza seguendo l’esempio delle altre vittime. Ma, per dire che un fenomeno è in aumento, bisogna osservarlo sul lungo periodo. In questo senso, anche se è scabroso, si può dire che il numero di stranieri criminali è aumentato".

 

Perché è scabroso?

"Per me, come tutti quelli di sinistra, sono risultati che disturbano. Quando ho cominciato a occuparmi di questi temi pensavo non fosse vero. Ma il problema esiste, a prescindere dalle posizioni politiche".

Giustizia: Mara Carfagna; le ronde? non ci vedo niente di male

di Flavia Amabile

 

La Stampa, 16 febbraio 2009

 

Mara Carfagna, ministro per le Pari Opportunità: venerdì è stata violentata una ragazza di 15 anni a Bologna, sabato una di 14 anni a Roma e ieri una di 21 anni a Milano. Le donne possono vivere così?

"Non posso che inorridire di fronte a quello che sta accadendo. Ci tengo però a dire che la consapevolezza di dover adottare misure, per far fronte a questo problema, il governo l’ha avuta fin dall’insediamento. Era il giugno 2008 quando in Consiglio dei ministri si è dato via libera a due disegni di legge: il primo introduce il reato di stalking, il secondo prevede aggravanti per la violenza sessuale".

 

Da giugno sono trascorsi otto mesi, le violenze vanno aumentando: più 12 per cento quelle domestiche, da quando siete al governo ci sono stati centinaia di stupri...

"Vero. Avviene perché purtroppo i disegni di legge sono sottoposti a una procedura che prevede un lungo iter istituzionale. Un provvedimento è all’esame di una Camera, l’altro attende di iniziare il percorso".

 

Se il governo fosse davvero sensibile, avrebbe introdotto queste misure con un decreto legge, come ha fatto più volte su altri temi, non crede?

"Di fronte all’aggravarsi della situazione stiamo infatti valutando in queste ore, con Maroni, di ricorrere proprio a un decreto legge. In giugno ci era parso più giusto sottoporre una materia così delicata all’esame di maggioranza e opposizione".

 

Il decreto legge dà via libera alle ronde. Il governo non ce la fa da solo e ricorre ai cittadini?

"Credo che la sicurezza sia compito dello Stato ma se si verificasse l’ipotesi di cittadini che si associano per dare il loro aiuto, non ci troverei nulla di male".

 

In ospedale la madre della quattordicenne stuprata a Roma criticava il governo, diceva che avete messo i soldati a controllare le ambasciate e intanto le ragazze venivano stuprate...

"Capisco il dolore di una madre in una situazione del genere e le esprimo la mia solidarietà. Ma vorrei ricordare che il governo si è impegnato fin dall’inizio ad affrontare il problema delle violenze sessuali. I militari non sono solo davanti alle ambasciate ma presidiano anche altre zone, isolate e pericolose".

 

A Guidonia una ventina di carabinieri deve controllare un territorio di 100 mila abitanti e una coppia è stata aggredita. A Capodanno una ragazza è stata violentata durante una festa organizzata dal comune di Roma. Di notte le stazioni sono abbandonate. Che ne dice?

"La copertura capillare da parte delle forze dell’ordine è difficilmente realizzabile, sarà compito del ministro dell’Interno decidere di aumentare il pattugliamento".

 

Nel decreto legge si prevede l’eliminazione degli arresti domiciliari per chi commette uno stupro?

"Certo, la norma è contenuta in un emendamento firmato da me e Alfano".

 

I giudici italiani sono troppo buoni?

"Hanno un margine di discrezionalità e non voglio giudicare il loro operato che ha implicazioni complesse. Credo però che le pene per i reati di violenza sessuale debbano essere esemplari in modo da fungere come deterrente. Altrimenti passa il messaggio che si può commettere uno stupro e poi si torna a casa".

 

Quale emergenza è più forte: le violenze in famiglia o quelle fuori casa?

"Non sono qui col bilancino a misurare le violenze. Sono tutte gravi. È necessaria un’attività di formazione, una serie di iniziative specifiche per impedire che questo accada. Il governo sta lavorando in questa direzione fin dall’inizio".

Giustizia: Roberto Calderoli; userei la "castrazione chirurgica"

di Fabio Poletti

 

La Stampa, 16 febbraio 2009

 

"Magari senza arrivare alla pena di morte, ma certe volte mi viene il dubbio che pure la castrazione chimica sia insufficiente...".

 

Roberto Calderoli, ministro della Semplificazione normativa e coordinatore delle Segreterie nazionali della Lega, di fronte agli ultimi casi di violenza sessuale si chiede se basti la forbice o sia meglio la scure. Vorrebbe la castrazione chirurgica?

"Quando la vittima di violenza è una bambina di 14 anni ho il dubbio che la castrazione chimica sia poco. Quando uno arriva a violentare un bambino, forse non rimane che la castrazione chirurgica. Di fronte a certi casi non riesco a pensare alla riabilitazione. La società deve difendersi".

 

La deve chiedere il condannato o dev’essere applicata d’ufficio?

"La castrazione è una terapia medica per reprimere l’istinto sessuale. O uno si prende il massimo della pena e sta in carcere oppure si sottopone alla terapia e c’è un periodo di sospensione e controllo. Non è una cosa astrusa. È così negli Usa, in Svezia, Danimarca, Gran Bretagna, Spagna, Germania. Perché non dovremmo farlo pure noi, la Lampedusa d’Europa?".

 

Ce l’ha con gli immigrati? Pensa di chiudere le frontiere e sospendere Schengen?

"Ce l’ho coi numeri. Sono per la sospensione della circolazione dei lavoratori extracomunitari o neocomunitari. È evidente che di fronte a un calo delle attività produttive chi è disoccupato è più portato a indulgere in atteggiamenti criminali. Se poi aggiungiamo che per certe culture lo stupro e le violenze non sono gravi, ci troviamo di fronte a problemi d’integrazione".

 

Quando a Roma era sindaco Veltroni voi del centrodestra dicevate che non era in grado di affrontare il problema. Ora che c’è Alemanno cambia poco...

"Sì, ma con una differenza. Prima si accettava il disagio sociale come scusante. Alla fine credo che sia impossibile tenere sotto controllo ogni centimetro di una metropoli. Le grandi città si dovrebbero dotare di strutture amministrative proprie per controllare il territorio".

 

Alemanno a Roma non vuole le ronde. Glielo spiega?

"A Verona il nostro sindaco Tosi ha messo vigilantes privati sui bus di notte. Quello che ha speso il Comune è ritornato economicamente con un maggior numero di passeggeri, si sentono più sicuri. Il controllo sociale è utile in molti casi. Se va bene per il pronto soccorso, perché non dovrebbe andar bene per la sicurezza?".

 

Dal Vaticano al ministro Rotondi sono in molti a dire non ci vogliono idee strampalate, sull’onda dell’emotività. Il sottinteso è alla castrazione. Che replica?

"Si studino le cose. La recidiva è la regola per certi reati. La castrazione è una delle tante cose da fare. Assieme alla proposta di togliere la concessione degli arresti domiciliari per questi reati. O di eliminare i benefici. Va da sé che certe persone già arrestate una volta non dovevano essere scarcerate in pochissimo tempo".

 

Anche all’opposizione ci sono sensibilità diverse. Il ministro ombra dell’Interno Minniti vi appoggia se fate un piano straordinario di controllo del territorio. La Franco dice invece che vi siete giocati 20 milioni antiviolenza nella Finanziaria 2009...

"Minniti è una persona seria ma non la pensano tutti come lui. Credo che di fronte a certe vicende le polemiche vadano messe da parte. Non basta dire che le forze dell’ordine devono essere di più, quindi ci vogliono più fondi. Mi sembra più importante sostenere che quelli che entrano in carcere non devono uscire. Non si può sempre pensare di essere in campagna elettorale. Io alla castrazione ci penso da anni, non è una cosa fuori dal mondo: l’adottano Paesi che non hanno i nostri problemi alle frontiere".

Giustizia: Alfredo Mantovano; ma ora basta con il "buonismo"

di Vincenzo La Manna

 

Il Giornale, 16 febbraio 2009

 

Un immigrato clandestino, con foglio d’espulsione, stupra una ragazzina. Sottosegretario Alfredo Mantovano, com’è possibile che episodi del genere si ripetano?

"Sono tante le cause che vi concorrono, da esaminare in maniera distinta. E vanno fatte due premesse".

 

Iniziamo da quest’ultime.

"La prima. Tutti coloro che hanno responsabilità, a vario titolo, non possono dirsi soddisfatti finché avverrà anche un solo caso di violenza sessuale".

 

E la seconda?

"Confrontando i dati del 2008 sul 2007, l’indice dei reati più significativi è in calo. Non lo dico per confortare, ma ricordo che l’impegno del governo sta dando risultati".

 

Sì, ma la mancata espulsione?

"Tante espulsioni non si fanno perché nei centri d’identificazione non c’è spazio e non sono stati ancora realizzati tutti quelli previsti".

 

Tutto qui? Non ci sono altre risposte?

"Un cattivo funzionamento del meccanismo delle espulsioni c’è, ma stiamo cercando di porre rimedio. Anche perché in due anni il precedente governo aveva demolito il sistema di contrasto all’immigrazione clandestina. E poi non va dimenticato che incontriamo difficoltà anche per l’ostruzionismo dell’opposizione che siede al Parlamento europeo, che ne approfitta per illustrare carenze di diritto che non ci sono".

 

Insomma, nuovi centri d’espulsione.

"Sì, e mi auguro pure che non ci sia ostruzionismo da parte degli enti territoriali. Perché se non si vogliono i centri, se non a cinquecento chilometri da casa, non ci si può poi lamentare. Detto questo, dobbiamo poter disporre di tutte le norme del disegno di legge sulla sicurezza. E a quel punto, qualcosa cambierà in modo significativo".

 

La Lega chiede il carcere preventivo per gli stupratori.

"Si parla di custodia cautelare. Ma non credo che in questo momento servano modifiche al meccanismo".

 

E qual è la sua ricetta?

"È necessario un maggiore ordine sui benefici previsti dal sistema penale e penitenziario, che si moltiplicano e rendono la pena spesso virtuale. Bisogna fare in modo che, quando se ne utilizza qualcuno, se ne escludano altri. Nel programma del Pdl c’è un impegno preciso per razionalizzarli, per far sì che la pena abbia un segno".

 

Sempre il Carroccio rilancia l’idea della castrazione per gli stupratori.

"La considero solo una provocazione. La risposta dello Stato deve essere più ferma possibile, ma nel rispetto dei principi di civiltà stabiliti dalla legge".

 

Già, però il disagio ancora rimane.

"Guardi, la carenza strutturale d’organico c’è e stiamo intervenendo. Il contributo dei militari è temporaneo e nel 2009 entreranno in azione almeno altre 1.500 unità. Inoltre, abbiamo riavviato i concorsi e messo in servizio i vincitori di quelli conclusi".

 

Sarà sufficiente?

"Si deve esigere un ruolo prevalente delle forze dell’ordine. Ma è importante pure l’azione di chi amministra nel territorio".

 

I primi cittadini diano una mano?

"I sindaci hanno chiarezza dei loro poteri e dispongono di strumenti per la sicurezza urbana. Alcuni li stanno adoperando, altri no. Mi auguro presto avvenga per tutti".

 

Vale anche per Bologna?

"L’ultimo episodio è avvenuto in ore serali. E spesso gli stupri accadono in zone periferiche, magari degradate. Nessuno ha la bacchetta magica, ma una maggiore illuminazione e qualche telecamera in più potrebbero aiutare".

 

E le ronde?

"Ciò che è avvenuto dimostra che associazioni di privati cittadini, pronti a contribuire senza ledere le competenze delle forze dell’ordine, una mano la possano dare".

 

E le polemiche?

"Solo Famiglia cristiana le qualifica come ronde paramilitari".

Giustizia: Alemanno (Pdl); garantiremo la certezza della pena

 

Agi, 16 febbraio 2009

 

"Il ministero dell’Interno prenderà un’iniziativa molto forte chiedendo di anticipare una serie di norme che sono garanzia della certezza della pena". Lo ha annunciato il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, durante il sopralluogo che ha effettuato al parco della Caffarella, dove ieri una ragazzina ha subito violenza sessuale.

Secondo il sindaco per fronteggiare quella che ha definito una "emergenza sociale e nazionale fortissima" occorre muoversi lungo tre direttrici: "certezza della pena; affrontare con una soluzione di sistema il problema dei senza fissa dimora; aumentare il controllo del territorio sia a livello tecnologico che di personale addetto.

Se gli inquirenti - ha spiegato Alemanno - riescono ad assicurare alla giustizia i responsabili, ma poi non c’è una corrispondenza della legge o della magistratura è chiaro che tutto questo rischia di essere un segnale che va nella direzione opposta. Questo vale per tutta l’Italia. Siamo davanti ad una emergenza nazionale da questo punto di vista".

Per quanto riguarda il secondo aspetto, il sindaco ha spiegato che su Roma "il problema fondamentale è quello degli accampamenti abusivi. Sono micro insediamenti frammentati su tutto il territorio che aumentano vertiginosamente l’insicurezza nelle aree di confine fra la città e la campagna e fra città e parchi.

Ora entreremo nella fase più intensa dello sgombero di questi accampamenti abusivi secondo un piano che è stato concordato con il prefetto e parallelamente realizzeremo campi regolari fortemente controllati perché avere un forte controllo sociale è elemento di sicurezza, anche per chi vuole integrarsi e non stare in una zona grigia di illegalità".

In tema di controllo del territorio Alemanno ha detto che "occorre incrementare le misure. Ci sono grandi differenze per esempio fra Londra e Roma: la prima è dotata di 450mila telecamere per il controllo, mentre Roma ne ha solo 5mila.

Bisogna quindi fare un grande sforzo per aumentare il numero di queste apparecchiature e bisogna fare in modo che la volontà dei cittadini di avere più presenza sul territorio non sfoci nelle ronde e nella giustizia fai da te. Forme di non violento coinvolgimento dei cittadini, come previsto da alcune norme che sono in discussione possono essere una strada in modo di aumentare la vigilanza e attenzione sul territorio".

Giustizia: Minniti (Pd); se ci sarà decreto faremo la nostra parte

 

Agi, 16 febbraio 2009

 

"C’è una vera e propria emergenza nazionale nel campo della sicurezza e in particolare per la violenza contro le donne. Si è sbagliato a sottovalutare e si sta continuando a farlo. È evidente che prima di tutto c’è un problema di controllo del territorio in aree cruciali del Paese. La strada finora perseguita non ha dato risultati".

Marco Minniti, ministro ombra Pd dell’Interno, aggiunge che "dopo i gravi tagli operati dal governo proprio sulla sicurezza, si tratta ora di predisporre un piano straordinario per il controllo del territorio a partire dalle città, impegnando le forze di polizia e dotandole, anche attraverso un decreto legge, dei mezzi e degli uomini che possano renderlo concretamente operativo". "Se il governo imboccherà questa strada - assicura - l’opposizione farà fino in fondo la sua parte".

Giustizia: Bongiorno (Pdl); sì a ronde, no a spedizioni punitive

di Giusi Fasano

 

Corriere della Sera, 16 febbraio 2009

 

"È chiaro che il controllo del territorio è in sé una buona cosa. C’è qualcuno che può dire il contrario? Può essere utile purché...". Giulia Bongiorno si ferma un momento a pesare le parole.

 

Purché cosa onorevole?

"Purché non si trasformi in una caccia al clandestino, purché non si parta da un identikit per aggredire questo o quello. Insomma: purché le ronde non diventino spedizioni punitive contro qualcuno, immigrato o italiano che sia. Credo che questo non sia difficile da capire".

 

Quindi sta dicendo che il rischio esiste.

"Dico che molto dipenderà da come saranno eventualmente organizzate, gestite, controllate. Vedremo che cosa dirà il decreto".

 

Ecco, parliamo del decreto. Ronde non armate autorizzate dal sindaco, appunto. E poi niente arresti domiciliari, né semilibertà né affidamento ai servizi sociali per chi commette reati sessuali. Tutto questo non fa un po’ a pugni col garantismo?

"Come è ormai chiaro a tutti io ho deciso di vivere questa legislatura seguendo la mia coscienza. Leggerò attentamente ogni parola del decreto e se non mi convincerà per scarso garantismo o per qualsiasi altro dettaglio non ne farò mistero. Ma adesso ogni commento è prematuro".

 

Con i fatti di questi giorni e con la percezione di insicurezza cresce l’idea di un binomio violenze-immigrati.

"È così, ma non è la realtà, o meglio: esiste una fascia di immigrati clandestini che da non integrati diventano un problema sociale. Ma esistono anche i violentatori italiani e le violenze domestiche, non dimentichiamolo. Il problema è che non esiste sicurezza senza giustizia e c’è un solo modo per la vittima di una violenza di avere giustizia".

 

E sarebbe?

"Fare i processi. Per direttissima se c’è la flagranza e comunque il più in fretta possibile. Non è possibile che un accusato di violenza sessuale resti in circolazione per anni prima della sanzione definitiva. Lo dico anche per lui perché capita che, alla fine, si venga assolti anche per questi reati. Sono sicura che la ricetta è questa: certezza della pena in tempi ragionevoli. Il resto si può discutere".

Giustizia: pm Basso; chi è clandestino dovrebbe rimanere in cella

 

Il Giornale, 16 febbraio 2009

 

"Il fattore "clandestinità" non deve essere trascurato nel valutare le esigenze cautelari di un indagato, altrimenti si rischia di arricchire le file degli impuniti o, peggio, di dare licenza a delinquere ai criminali".

È categorico, Ezio Basso, il magistrato della piccola procura di Mondovì, in provincia di Cuneo, balzato agli onori della cronaca per essere stato il primo pubblico ministero in Italia a contestare ai rom l’associazione a delinquere.

"Non ho fatto nulla di straordinario - commenta il sostituto procuratore che sembra ancora stupirsi per il clamore suscitato - ho semplicemente applicato il codice, tenendo conto della pericolosità di queste famiglie che fanno dell’attività criminale la loro unica ragione di vita".

 

L’extracomunitario che a Bologna ha stuprato una quindicenne era stato scarcerato alcune settimane prima. Una decisione presa con troppa leggerezza?

"Per dare un giudizio dovrei analizzare le carte, ma non c’è da sorprendersi se un clandestino, appena uscito dal carcere commette un reato ancora più grave. Prima di scarcerare un indagato è importante tener conto dei suoi precedenti, e quelli di questo tunisino non giocavano certo a suo favore".

 

La sua capacità a delinquere è stata sottovalutata?

"Direi di sì, anche se parlare dopo è troppo facile. Sempre più spesso ci troviamo di fronte a decisioni prese con una certa leggerezza, senza valutarne fino in fondo le possibili conseguenze. Si ha la tendenza a pensare che il clandestino è un povero cristo che vende droga perché non ha la possibilità di far altro. È un’idea sbagliata, che permette agli irregolari di fare lo slalom tra le maglie a volte troppo larghe della giustizia".

 

Essere clandestino aiuta a farla franca dopo aver commesso un reato?

"Un italiano ha una carta di identità, una storia alle spalle, una famiglia e questo lo rende più facilmente rintracciabile. Un clandestino, che usa decine di alias, è un fantasma che scivola dalle mani della giustizia. Il pericolo di fuga e la reiterazione del reato, due condizioni che determinano la custodia cautelare, sono fattori intrinseci alla condizione di irregolare. Una persona che non ha una fissa dimora, che non possiede documenti, sfugge più facilmente ai controlli. Credo che sia una valutazione realistica ma a volte si corre il rischio di essere giudicati razzisti, di passare per il pm che se la prende con gli stranieri".

 

Esiste una soluzione?

"Quando ci troviamo di fronte ad un clandestino è necessario essere rigorosi: una persona irregolare difficilmente la incroci una seconda volta. La custodia cautelare in carcere è indispensabile, soprattutto se alla scarcerazione non segue un’immediata espulsione".

Giustizia: leggi sbagliate e incostituzionali rallentano i processi

di Bruno Tinti (Procuratore presso il Tribunale di Torino)

 

La Stampa, 16 febbraio 2009

 

Ogni tanto i politici italiani si avventurano in frasi destinate, nelle loro intenzioni, a restare nella Storia. Sarebbe meglio che, almeno, stessero zitti. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha svolto alla Camera la sua relazione annuale sull’amministrazione della giustizia; e ha detto: la crisi della giustizia "ha superato ogni limite di tollerabilità. Il più grande nemico della giustizia è la sua lentezza che coinvolge negativamente lo sviluppo del Paese".

Poi è comparso lo "Schema di disegno di legge recante: Disposizioni in materia di procedimento penale" e tante altre sorprendenti novità. E io sono rimasto a chiedermi che ne è stato del problema della lentezza dei processi.

Non basta un volume per parlar male di questa riforma. E così, per il momento, parlo solo di una stupefacente novità. Il nostro dissennato codice di procedura penale qualche sprazzo di ragionevolezza lo conservava: secondo l’art. 238 bis, le sentenze emesse in un processo e divenute irrevocabili (significa che non si può più fare appello né ricorso per Cassazione) potevano essere acquisite in un altro processo e costituire elemento di prova, purché confermate da altri riscontri.

La cosa si capisce meglio con un esempio. Processo a carico dell’avvocato inglese Mills per corruzione in atti giudiziari; come tutti sanno, nello stesso processo era imputato anche il presidente del Consiglio, come corruttore.

Poi è arrivato il Lodo Alfano e la posizione di Berlusconi è stata stralciata (vuol dire che di un processo solo se ne sono fatti due; quello a carico di Mills è continuato e l’altro è stato sospeso). Ora entrambi gli imputati attendono il loro destino: Mills aspetta di sapere se sarà condannato, la sentenza è attesa a giorni.

Berlusconi aspetta di sapere se la Corte Costituzionale deciderà che il Lodo Alfano è incostituzionale. Se il Lodo Alfano non superasse l’esame della Corte (il suo predecessore, il Lodo Schifani, l’ha già fallito), il processo a suo carico riprenderebbe e, qui è il punto, la sentenza nei confronti di Mills, quando definitiva, potrebbe essere acquisita e fare prova dei fatti in essa considerati. Se fosse una sentenza di condanna, essa costituirebbe prova del fatto che Berlusconi corruppe Mills; tanto più se, secondo l’ipotesi di accusa, i "piccioli", i soldi, fossero davvero arrivati da un conto nella sua disponibilità.

Guarda caso, l’articolo 4 della riforma destinata a risolvere il problema della lentezza dei processi dice: l’articolo 238 bis è sostituito; nei procedimenti relativi ai delitti di cui agli articoli 51, commi 3-bis e 3-quater, e 407, comma 2, lett. a), le sentenze divenute irrevocabili possono essere acquisite ai fini della prova del fatto in esse accertato.

Sembra tutto uguale, vero? Invece no: adesso le sentenze emesse in un altro processo fanno prova solo nei processi per mafia, terrorismo, armi (da guerra) e stupefacenti; per tutti gli altri reati non se ne parla, carta straccia.

Recuperiamo l’esempio. Quando e se Mills sarà condannato, e quando e se la Corte Costituzionale avrà bocciato il Lodo Alfano, la sentenza che ha condannato Mills non potrà essere utilizzata nel processo a carico di Berlusconi: si dovrà ricominciare tutto daccapo.

Che non sarebbe grave: se vi erano elementi per condannare Mills, gli stessi elementi potranno far condannare Berlusconi. Ma, tempo di rifare tutto il processo (qui la riforma ha studiato parecchie cosucce che lo rallentano), sarà arrivata santa prescrizione.

Naturalmente questa bella trovata è una legge dello Stato; e, come tale, vale per tutti, non solo per il suo primo beneficiario. Sicché possiamo porci la solita domanda: in che modo questa parte di riforma (le altre parti sono anche peggio) potrà eliminare il grande cruccio di Alfano, "la lentezza della giustizia"?

Va detto che questo ministro e il suo presidente sono anche sfortunati: lo scorso 26 gennaio la Corte Costituzionale (sentenza n. 29) ha ritenuto che l’articolo 238 bis (proprio quello modificato dalla riforma) era costituzionalmente legittimo; ne consegue che l’aver previsto che esso valga solo per alcuni reati e non per altri è, questo sì, incostituzionale.

E così anche questa farà la fine di tante altre leggi emanate in spregio alla Costituzione; dopo aver assicurato l’impunità a tanti delinquenti, finirà ingloriosamente nel cestino. Ma è troppo chiedere che, prima di legiferare, studino un pochino?

Giustizia: Anm; procure senza più i pm... verso lo sfascio totale

 

Ansa, 16 febbraio 2009

 

"Si rischia la paralisi degli uffici di Pro,cura soprattutto al Sud. Se si va avanti così si arriverà allo sfascio totale", tuona l’Anm.

Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, rinnova l’allarme per i vuoti negli organici delle procure alla luce di dati del Csm. "Non solo - osserva - sarà impossibile indagare e fare i processi alle grosse organizzazioni criminali, ma anche ai responsabili di reati comuni di allarme sociale, dalla pedofilia alla violenza sessuale".

L’Anm aveva posto il problema da tempo al governo chiedendo di mitigare il divieto assoluto di inviare nelle procure i magistrati di prima nomina, ma senza trovare ascolto. E ora Palamara, che non crede che la questione si possa risolvere con gli incentivi per chi va nelle sedi disagiate né con i trasferimenti d’autorità, dice: "Siamo molto preoccupati; adotteremo tutte le iniziative possibili, compreso il ricorso a forme di protesta, per far sentire la nostra voce".

Giustizia: dopo i tagli a fondi, la polizia con le auto in garage

 

La Repubblica, 16 febbraio 2009

 

Taglio dei fondi sulla sicurezza: il ministero dell’Interno blocca la riparazione degli automezzi della polizia. Gli investimenti stanziati per il 2009, infatti, sono appena sufficienti al rifornimento di carburante. Lo stop alle manutenzioni è contenuto in una circolare firmata dal prefetto Giovanna Iurato, direttore dei servizi tecnico-logistici del Dipartimento della pubblica sicurezza. Che rivela, in modo esplicito, l’inadeguatezza delle risorse messe a disposizione della "gestione patrimoniale" della polizia dal Governo Berlusconi.

La circolare inviata non solo agli autocentri, ma anche al servizio nautico della polizia (per sospendere la manutenzione anche ai mezzi navali), inizia con la constatazione che "sul capitolo relativo alle spese per la gestione e la manutenzione dei veicoli della polizia di Stato gli stanziamenti di bilancio risultano di gran lunga insufficienti rispetto agli effettivi fabbisogni".

La conseguenza è automatica: i responsabili delle manutenzioni di tutti gli automezzi sono invitati "a circoscrivere le spese ai soli rifornimenti di carburante". Se un mezzo ha bisogno di manutenzione (fanno eccezione gli ultimi acquisti, fra i quali Alfa 159, Grande Punto e Stilo, che beneficiano di un contratto che comprende per un certo periodo l’assistenza) resta fermo in garage.

Secondo i dati forniti dal sindacato dei funzionari di Polizia, Anfp, "a Roma, dall’inizio dell’anno si sono fermati 250 mezzi. E a Napoli sono in garage in attesa di manutenzione 228 auto con i colori della polizia, 108 del tipo normale". Per Enzo Letizia, segretario dell’Anfp, c’è ora "il rischio che in pochi mesi molte autovetture della polizia in Italia restino bloccate da guasti per riparare i quali non ci sono fondi".

"Ma cosa ha costretto il direttore dei servizi tecnico-logistici a diffidare gli autocentri dal svolgere la regolare manutenzione sui mezzi terrestri e navali? Per Enzo Letizia, segretario del sindacato funzionari di polizia, il motivo "potrebbe essere ricercato nel debito accumulato nel 2008 che ammonterebbe a circa 18 milioni di euro".

"Ebbene - sostiene Letizia - il fondo del 2009 per la Motorizzazione, tagliato del 60 per cento rispetto a quello del 2008, potrebbe servire solo a coprire il debito dell’anno passato". Una volta colmato il deficit del 2008 - secondo l’Anfp - non ci sarebbero più i soldi per il 2009. Di qui la circolare del prefetto Iurato che dispone lo stop della manutenzione.

Eppure, ricorda Letizia, l’estate scorsa sia il ministro della Giustizia Angelino Alfano, che quello dell’Interno, avevano annunciato che "avrebbero destinato alla sicurezza un miliardo di euro confiscati alla mafia. Ma che fine hanno fatto quei fondi? Era solo un annuncio spot?".

Secondo il sindacato dei funzionari di polizia, "attualmente è attivo solo un contratto nazionale che assicura il rabbocco dell’olio, il cambio delle batterie e quello dei pneumatici. Per quanto riguarda le auto in garanzia, va segnalato che per la sostituzione delle frizioni esiste un oneroso contenzioso con la Fiat che contesta un uso improprio delle vetture".

"Il risultato finale - conclude, ironico, il segretario Letizia - è che la sicurezza dei cittadini rischia di indebolirsi se non ci saranno interventi finanziari. C’erano stati promessi più soldi e più poliziotti di quartiere: la prima promessa non è stata mantenuta. La seconda probabilmente si realizzerà, perché non avremo più macchine".

Anche Giuseppe Tiani, del Siap, il sindacato di base dei poliziotti, esprime preoccupazione per il fatto che "gli agenti possano lavorare con automezzi inadeguati". "Questo - aggiunge Tiani - è il risultato della politica di questo governo che, anziché reperire le risorse necessarie per garantire l’efficienza dei servizi, pare preoccuparsi di provvedimenti di facciata, come l’erogazione di cento milioni di euro agli enti locali per rafforzare il potere dei sindaci. Un investimento a pioggia che attualmente ha dato evidenti scarsi risultati".

Giustizia: intercettazioni, indagini e il divieto di pubblicazione

di Vittorio Grevi (Ordinario di Diritto a Pavia)

 

Corriere della Sera, 16 febbraio 2009

 

Non è privo di un solido fondamento l’allarme lanciato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti di fronte al pericolo di una gravissima limitazione del diritto di cronaca, quale deriverebbe dal disegno di legge proposto dal ministro Alfano in materia di intercettazioni, attualmente all’esame della Commissione Giustizia della Camera.

Mentre le maggiori critiche si concentrano, e non a torto (ma si tratta di un diverso discorso, sul quale bisognerà tornare) su certe inaccettabili restrizioni che si vorrebbero introdurre nell’impiego dello strumento delle intercettazioni, il medesimo disegnò di legge delinea, infatti, una nuova disciplina del divieto di pubblicazione degli atti di indagine, assai più drastica di quella oggi vigente.

Una disciplina che davvero potrebbe costituire una sorta di "pietra tombale" per la cronaca giudiziaria, se è vero che, fino alla conclusione delle indagini, ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, dovrebbe essere vietata la pubblicazione ("anche parziale, o per riassunto, o del relativo contenuto") non solo degli arti di indagine coperti da segreto investigativo, ma anche di quelli per i quali "non sussiste più il segreto".

La differenza è notevole rispetto all’odierna disciplina, per effetto della quale - fermo restando un rigoroso divieto di pubblicazione per gli atti coperti da segreto (cioè non ancora conosciuti, né conoscibili, da parte del soggetto indagato) - è invece sempre consentita la pubblicazione degli atti non più coperti da segreto, sia pure per riassunto o nel loro contenuto. Ed è questa, in sostanza, la breccia attraverso la quale passa oggi - durante la fase preliminare del processo, che potrebbe durare anche 2 o 3 anni - il legittimo esercizio del diritto di cronaca. Che, dunque, nelle ipotesi in questione, incontra l’unico limite obiettivo rappresentato (come è giusto che sia) dal vincolo di segretezza degli atti.

Per conseguenza, se dovesse venire approvata la disciplina emergente dal disegno di legge governativo, si determinerebbe nel sistema un vero e proprio "sbarramento" di tipo assoluto alla pubblicazione di qualunque notizia circa il contenuto degli atti di indagine (non delle sole intercettazioni, si badi, costituenti

un capitolo a sé, ma anche di perquisizioni, sequestri, accertamenti tecnici, interrogatori, informazioni testimoniali...), pur trattandosi di atti ormai non più coperti dà segreto. Il che ci farebbe tornare indietro di molti anni, all’epoca di vigenza del codice Rocco del 1930. Se nonché, da un lato, uno sbarramento del genere urterebbe vistosamente contro le esigenze di una opinione pubblica sempre più desiderosa di conoscere gli aspetti rilevanti delle inchieste penali, all’insegna di quel diritto ad essere informata (salvo il limite degli atti segreti) che costituisce il più immediato risvolto del diritto di cronaca costituzionalmente garantito.

Mentre, d’altro lato, un siffatto sbarramento difficilmente riuscirebbe a "reggere" in concreto, aprendo così la strada - come accadeva in passato - al moltiplicarsi delle indiscrezioni, delle notizie allusive e dei canali privilegiati, oltre che al proliferare di quelli che Luigi Ferrarella chiama "rapporti incestuosi" tra i soggetti del processo ed i giornalisti.

Per questa via non solo non si raggiungerebbe lo scopo di calare una inammissibile "saracinesca" giornalistica sull’intero arco delle indagini preliminari, ma si recherebbe, nel contempo, un grave pregiudizio alla trasparenza dell’informazione, minando alle basi la stessa ragion d’essere della cronaca giudiziaria.

La quale, invece, come ha riconosciuto di recente la Corte europea di Strasburgo (del resto in armonia con i principi già enunciati dal Consiglio d’Europa), svolge una funzione essenziale in una società democratica, essendo tra l’altro rivolta a permettere ai cittadini di esercitare dall’esterno un controllo critico sull’itinerario dei procedimenti penali.

C’è da domandarsi, allora, se non sia il caso di cambiare radicalmente l’impostazione del problema - secondo una linea suggerita da diversi studiosi - partendo cioè da una rigorosa definizione dell’area di segretezza degli atti di indagine, fondata su esigenze investigative (tali gli atti non ancora conoscibili dalle parti), ovvero su esigenze di tutela dell’altrui riservatezza (tali gli atti concernenti fatti o notizie estranei ai fini processuali).

E, nel contempo, stabilendo che sia vietata la pubblicazione - con adeguate sanzioni, anche penali - soltanto degli atti così individuati come segreti, mentre per gli altri atti la pubblicazione dovrebbe essere di regola consentita, ed anzi a certe condizioni dovrebbe poterne essere consentita la conoscenza diretta anche ai giornalisti, in quanto atti processualmente rilevanti e non più segreti. Purché, naturalmente, nell’esercizio della cronaca giudiziaria, si tenga sempre ben presente il rispetto dovuto alla presunzione di non colpevolezza degli indagati e degli imputati.

Giustizia: la delinquenza tra gli operatori delle forze dell’ordine

di Salvatore Palidda (Docente di sociologia Università di Genova)

 

La Repubblica, 16 febbraio 2009

 

La vicenda degli agenti della polizia di stato arrestati a Genova insieme a una decina di spacciatori di cocaina (resa nota da Repubblica dell’11.2.09 con un articolo di Calandri) è purtroppo l’ennesimo episodio in cui si scopre che degli operatori delle cosiddette forze dell’ordine sono diventati delinquenti se non criminali abituali.

Sono passati pochi mesi dal precedente episodio riguardante altri della narcotici genovese che da più di dodici anni sequestravano per loro stessi droga e danaro, si circondavano di confidenti fidati a cui affidavano anche lo spaccio dei loro sequestri, avevano il conto a Montecarlo ma non mancavano di mettere in scena delle belle operazioni con sequestri di droghe e arresti di qualche pusher.

È quasi certo che alcuni dirigenti diranno subito che "non bisogna fare di tutta l’erba un fascio" e che, si sa, ci sono sempre delle "mele marce" anche nelle buone famiglie. Tuttavia se si analizzano i diversi fatti di corruzione, abusi, violenze e altri reati commessi da agenti e dirigenti delle forze di polizia nazionali e locali, stando solo ai fatti noti che sicuramente sono solo una parte del fenomeno, e provando anche a fare un raffronto con quanto succede in altri paesi democratici, si possono ricavare le seguenti considerazioni.

1) La devianza se non della criminalità grave di operatori delle forze di polizia si riproduce da sempre, ma ci sono periodi e luoghi in cui può accentuarsi.

2) Le autorità politiche e i vertici non hanno mai predisposto né il monitoraggio, né un serio studio, né progetti di prevenzione, repressione e risanamento adeguati.

3) Le abituali "indagini interne" che a volte sembravano voler sradicare la "malapianta" (si ricordi fra le altre il rapporto Serra sulla questura di Bologna dopo la scoperta della "uno bianca") si sono sempre risolte in ben pochi e banali provvedimenti lasciando "tutto come prima" (sono parole di agenti che hanno vissuto da vicino queste vicende).

4) Periodicamente alcune questure o commissariati, caserme, comandi dei CC o altre strutture anche della GdF o di polizie locali (si pensi ai recenti fatti della "panda nera" di Calcio in cui sono stati coinvolti operatori di tutte le polizie e alla vicenda degli agenti razzisti e vigliacchi di Parma) si rivelano particolarmente "infetti" di tale "male" (per nulla oscuro). È questo anche il caso di Genova non solo per quanto è successo al G8, ma anche per la costellazione dei vari altri fatti (fra i quali non va dimenticato neanche il coinvolgimento di dirigenti di Ps nella struttura illegale creata da Saya, per non parlare prima delle performance del colonnello Riccio e di altre storie "liguri", per finire ai delinquenti della narcotici). Così come fu evidente nel caso della "Uno Bianca" di Bologna, se per tanti anni alcuni operatori perpetuano atti criminali è quasi certo che l’"ambiente" in cui lavorano se non è complice, oscilla fra indifferenza (che non è ammissibile) e tolleranza (che è parente della complicità passiva e che può diventare attiva, cioè correità). Allora perché non è mai stato pensato un progetto di risanamento di tali ambienti?

5) In tutti i paesi democratici esistono delle strutture di controllo per prevenire, reprimere e risanare la delinquenza nelle forze di polizia. Teoricamente anche in Italia; ma, anche quando qualche dirigente democratico ha tentato di proporre misure esemplari, i vertici hanno optato per l’insabbiamento abituale e qualche banale punizione di pesci piccoli.

6) Ovviamente la responsabilità di tutto ciò non è solo dei vertici delle polizie ma innanzitutto delle autorità politiche che si sono sempre preoccupati di prostrarsi a difesa dell’onorabilità della "forza pubblica" di cui peraltro non hanno mai osato auspicare neanche un minimo di razionalizzazione democratica (e forse non a caso). Fra i paesi che dopo il 1945 hanno provveduto al risanamento democratico delle istituzioni, l’Italia è l’unico paese in cui manca ancor oggi un minimo effettivo controllo democratico delle forze di polizia nazionali e locali (mentre, ahinoi, si istituzionalizzano anche le ronde).

7) Un’altra responsabilità della riproduzione della delinquenza fra le polizie appartiene anche all’autorità giudiziaria quasi sempre ultra timida sino alla legittimazione di fatto dell’impunità dei rèi (ben nota per i fatti del G8 di Genova). È vero che disporre di una polizia giudiziaria effettivamente indipendente è assai difficile e che parte della magistratura partecipa a giochi di potere e quindi di scambio di favori che passano anche attraverso lo scambio di coperture. Ma non sarebbe indispensabile l’impegno comune dei democratici che comunque ci sono nei ranghi delle polizie e della magistratura quantomeno per resistere a derive in cui, non a caso, si mescola corruzione, abusi, autoritarismo e razzismo?

8) Infine, dov’è la mobilitazione dei democratici della società locale (quelli che rivendicano civismo) per la trasparenza democratica delle forze di polizia e la gestione della sicurezza?

Giustizia: Sappe; più di 59.000 detenuti e il 38% sono stranieri

 

Ansa, 16 febbraio 2009

 

Le carceri scoppiano: a fronte di una capienza di 43.000 posti, sono stati superati i 59.000 detenuti. Lo denuncia il Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria), che parla di "situazione insostenibile" ed avverte: "entro due settimane saremo di nuovo alle cifre pre-indulto".

La popolazione carceraria, rileva il sindacato, aumenta a "ritmi vertiginosi": 11.000 unità in più in poco più di un anno, oltre 900 al mese. I dati aggiornati al 31 gennaio 2009 indicano inoltre che il 38% dei detenuti (21.981) è rappresentato da stranieri: marocchini (4.840), romeni (2.689) e tunisini (2.633) i più numerosi.

Gli istituti penitenziari sono 206, di cui 38 case di reclusione, 161 case circondariali, 7 istituti per le misure di sicurezza. I detenuti in attesa di primo giudizio sono 14.868, gli appellanti 9.432, mentre i ricorrenti alla Cassazione sono 3.984; i definitivi sono 27.188, gli internati 1.662, più 1.915 ospitati a vario titolo.

Alcune regioni, indica Aldo Di Giacomo, consigliere nazionale del Sappe, "vivono una situazione di pesante sovraffollamento": nelle 13 carceri dell’Emilia Romagna, a fronte di una capienza si 2.274 detenuti, ne sono ospitati 4.178; Bologna, a fronte di una capienza di 483, ne accoglie 1.055, più del doppio. In crisi anche la Lombardia, dove sono detenute 8.109 persone, a fronte di 5.389 posti disponibili. Al San Vittore di Milano, che ha posto per 702, sono ospitati 1.517 detenuti. Nelle carceri siciliane ci sono 7.034 presenze, a fronte di una capienza di 4.820.

I dati, accusa Di Giacomo, "indicano che il nostro sistema penitenziario è al collasso, le carceri non sono più in grado di ricevere detenuti, tenendo anche conto che esiste una carenza di 4.000 unità di polizia penitenziaria".

E la situazione preoccupa anche il Governo. Poche settimane fa, infatti, il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha presentato un piano che prevede la costruzione di nuovi istituti penitenziari, anche con il ricorso a fondi privati. L’obiettivo é garantire un aumento di 17mila posti letto in tempi brevi grazie ai poteri speciali assunti, entro il primo marzo, dal capo del Dap Franco Ionta, nominato commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria. Questi poteri gli consentiranno di velocizzare (e persino dimezzare in casi di urgenza) i tempi per la costruzione di nuove carceri.

Giustizia: Cgil; su carceri grottesche semplificazioni del governo

 

Ansa, 16 febbraio 2009

 

"C’è forte preoccupazione e dissenso per il modo estemporaneo e disorganico con cui il governo ritiene di fronteggiare la gravissima situazione di degrado in cui versa il sistema penitenziario italiano". È quanto si legge in una nota del coordinamento nazionale Fp Cgil della Dirigenza Penitenziaria: "Siamo di fronte a una grottesca semplificazione della complessità delle questioni che affliggono l’universo penitenziario, ridotte al mero dato numerico del sovraffollamento delle persone detenute rispetto ai posti disponibili. Le decisioni assunte per rispondere in modo meccanico al problema riecheggiano tentazioni emergenzialiste e noncuranza delle finalità che la Costituzione attribuisce alla pena".

Prosegue il comunicato: "A fronte dell’evidenza, oramai sotto gli occhi di tutti, della necessità di una revisione complessiva del sistema dell’esecuzione penale, il governo ritiene di utilizzare i fondi della Cassa per le Ammende - che istituzionalmente ha lo scopo di finanziare progetti di reinserimento sociale delle persone detenute, in misura alternativa o ex - per la costruzione di nuovi istituti. Si tratta di una risposta assolutamente insufficiente e sprezzante del dettato costituzionale, rispetto alla quale la Cgil esprime con forza la propria netta contrarietà".

I dirigenti penitenziari iscritti alla Cgil, nell’esprimere il proprio dissenso rispetto alle scelte operate dall’esecutivo, chiedono a tutte le forze politiche, a tutti gli organi di informazione e alla pubblica opinione "di sostenere la battaglia per superare la difficile situazione odierna e ricostruire un sistema, efficiente e moderno, caratterizzato da interventi e strumenti che consentano di rendere finalmente l’esecuzione della pena rispondente ai principi di legalità, civiltà ed umanità contenuti nella Costituzione".

Giustizia: tutti i "trucchi" degli agenti per farsi trasferire al Sud

di Gian Antonio Stella

 

Corriere della Sera, 16 febbraio 2009

 

Tutti i trucchi per farsi trasferire al Sud: cariche nei consorzi ed elezioni nei paesini. Il cambio di città è dovuto in caso di un incarico pubblico. E ad Agrigento 15 dei 49 membri dell’Asi sono agenti di polizia penitenziaria.

Chi canta le arie liriche? I cantanti lirici. Chi pedala in bicicletta? I ciclisti. Chi avvia le imprese? Gli imprenditori, direte voi. No: gli agenti carcerari. Almeno ad Agrigento. Dove i secondini (nominati dalla politica) sono quasi un terzo dei membri dell’Asi, il consorzio che dovrebbe sviluppare il sistema industriale locale.

Hanno scoperto un trucco: un dipendente pubblico che ricopre un incarico pubblico può chiedere d’essere trasferito vicino a casa sua.

Sia chiaro: non dipende da questi furbetti se esiste da anni l’andazzo di segretari, impiegati, postini, tecnici catastali e lavoratori pubblici vari che, assunti per coprire i buchi di organico nel Nord del Paese, cercano appena possibile di tornare vicino alla famiglia. Diciamolo, il tentativo di rientrare nei dintorni dei luoghi in cui magari vivono i vecchi genitori, la moglie, i parenti è umanamente comprensibile. Che però debbano rimetterci il funzionamento dei pubblici uffici e i cittadini che se ne servono, è assai discutibile. Anzi, è inaccettabile. Tanto più quando la sproporzione nella copertura degli organici nelle diverse parti del paese grida vendetta.

Prendiamo, appunto, le guardie di custodia. All’estero, dicono i dati del Consiglio d’Europa elaborati dal Centro Studi dell’organizzazione non-profit "Ristretti Orizzonti", per ogni cento agenti carcerari ci sono 157 detenuti in Inghilterra, 165 in Olanda, 176 nella Repubblica Ceca, 199 in Scozia, 207 in Portogallo, 209 in Francia, 218 in Austria, 227 in Germania, 237 in Grecia, 283 in Spagna. Per non parlare di certi paesi ex comunisti quali la Russia (332) o l’Ucraina, dove ogni 100 secondini i carcerati sono addirittura 393. Bene: in Italia il rapporto è uno a uno: 101 detenuti ogni cento agenti.

Questo sulla carta. In realtà l’enorme accumulo di persone finite in cella (o ritornateci dopo essere state rimesse in libertà con l’indulto del 2006 votato dalla sinistra e da una parte della destra, Forza Italia in testa) fa sì che i numeri siano del tutto sballati. A dispetto dei limiti fissati dall’Ue (8 metri cubi di spazio per ogni detenuto), limiti che imporrebbero all’Italia di avere nei penitenziari attuali non più di 43.102 "ospiti", i nostri carcerati sono già saliti, stando ai dati di tre giorni fa a 59.419. Sedicimila in più del consentito. Un esubero esplosivo.

Al contrario, gli agenti di custodia effettivamente in forza dentro le 205 strutture penitenziarie (160 case circondariali, 37 case di reclusione, 8 istituti per le misure di sicurezza), al di là di tutti quelli che negli anni sono stati distaccati negli uffici ministeriali o addirittura in altre amministrazioni statali, sono scesi a 37.853. Cioè circa quattromila in meno rispetto alla pianta organica stabilita nel lontano 2001. Risultato: in questo preciso momento ogni cento secondini ci sono 156 detenuti.

Ma anche qui, solo sulla carta. Le differenze tra le diverse aree del Paese, e torniamo al tema iniziale, sono infatti fortissime. Per ogni cento agenti "virtuali" in organico, ce ne sono infatti 16 in meno in Emilia Romagna e in Friuli ma 15 in più in Molise, 17 in meno in Val d’Aosta ma 6 in più in Puglia, 20 in meno in Piemonte e in Liguria ma quasi 16 in più in Calabria. Quanto al rapporto tra agenti e detenuti, valga per tutti questo confronto: ogni cento guardie ci sono oggi 192 carcerati in Lombardia, 201 nel Veneto, 231 in Emilia Romagna e 100 nel Lazio. Uno squilibrio intollerabile. Che è ancora più vistoso contando non solo gli operatori che stanno fisicamente dentro i penitenziari ma anche quelli distaccati in uffici vari della capitale.

Domanda: come si sono creati questi squilibri? Una risposta è, appunto, nella storia dell’Asi di Agrigento. Cosa sia lo lasciamo dire al sito internet ufficiale: è un "ente di diritto pubblico" che "mira a favorire l’insediamento delle piccole e medie imprese nelle aree già individuate della Regione Siciliana".

Presieduto dall’avvocato Stefano Catuara, un ex-comunista di Raffadali che da anni è diventato uomo di fiducia del suo compaesano Toto Cuffaro (al punto che se gli chiedi di che partito è risponde: "Udc: Unione di Cuffaro"), il consorzio ha otto membri del comitato direttivo e 49 consiglieri, nominati da comuni, sindacati, alcune associazioni di categoria, partiti. Teste d’uovo scelte per la preparazione, gli studi alla London School of Economics e la capacità di aiutare la nascita di nuove imprese in un territorio difficile? Magari!

Quindici dei 49 consiglieri, quasi uno ogni tre, fanno gli agenti di custodia. Cosa c’entrano con l’industrializzazione di aree disperate come quella di cui parliamo? Niente: zero carbonella. La poltrona serve però ai titolari per lavorare, invece che in Friuli o in Piemonte, nelle carceri di Agrigento e di Sciacca.

La prova è in una sentenza di pochi giorni fa emessa dal Tar del Lazio che, come ha raccontato "Il Giornale di Sicilia", ha dato torto al Ministero di Grazia e Giustizia che inutilmente aveva cercato di smistare "alcuni agenti di polizia penitenziaria, componenti del consiglio generale del Consorzio industriale di Agrigento" in penitenziari del Nord dove potevano essere più utili. Sono consiglieri del Consorzio? Devono restare dove stanno, almeno per ora.

Un’altra sentenza del Tar, stupefacente, aveva dato ragione poche settimane fa a un altro siciliano refrattario agli spostamenti. Il tenente colonnello medico Aurelio Mule, destinato a una missione in Afghanistan, aveva fatto ricorso al Tribunale amministrativo spiegando che proprio non poteva andare in missione laggiù perché aveva una missione quaggiù. Per la precisione a Cattolica Eraclea, dove è consigliere comunale. È vero che, come hanno raccontato i quotidiani locali, l’uomo è tra i più assenteisti alle riunioni. Ma mandarlo a fare il suo lavoro all’estero, secondo il suo avvocato avrebbe "configurato una lesione del suo diritto all’ espletamento delle funzioni elettive".

Funzioni non a caso appetite dagli stessi agenti di custodia. Un esempio? Alle ultime elezioni di Comitini, un paese piccolissimo dove bastavano 24 voti (un paio di famiglie, un paio di cugini) per entrare in consiglio comunale, erano presenti due liste. In una, su dodici candidati, c’erano quattro secondini. Nell’altra, sempre su dodici, quattro secondini, un poliziotto e un finanziere.

Savona: carcere da vergogna; igiene disastrosa, topi nelle celle

di Dario Freccero

 

Secolo XIX, 16 febbraio 2009

 

Celle sovraffollate con 9-10 persone per stanza, condizioni igieniche precarie, farmaci disponibili solo per i pochi detenuti che possono pagarli, persino topi che sbucano dai water dei bagni più malandati.

È un quadro ancora più nero del solito quello che il consigliere regionale di Rifondazione Marco Nesci e il responsabile carceri liguri di Prc Giorgio Barisone hanno denunciato dopo l’ennesima visita - due giorni fa - al carcere Sant’Agostino di piazza Monticello.

Dal loro resoconto più che un istituto di pena sembra descritto un girone dantesco, un vero inferno di sporcizia, caos e disagio per tutti, i detenuti ma inevitabilmente anche gli operatori di sicurezza e il personale.

"Ottanta detenuti su una capienza massima di 35, di cui il 60- 70% stranieri, con celle nate per ospitare al massimo 3-4 persone che funzionano per 9-10, con letti a castelli addirittura a tre piani, non sono una situazione civile né accettabile - hanno commentato Marco Nesci e Giorgio Barisone - Lo abbiamo già rimarcato in passato dopo ogni nostra visita ma ora la situazione è davvero oltre ogni limite e urge un intervento risolutivo. Il Sant’Agostino è una struttura che non è propria di un paese civile e in termini carcerari non ha altri eguali in Liguria e difficilmente in Italia. Anche nel caso in cui si costruisse in tempi relativamente brevi un nuovo penitenziario ci vorrebbero almeno quattro, cinque anni e quindi occorre trovare il modo per superare lo scandalo di oggi e dare un po’ di dignità ai detenuti almeno finché il nuovo non sarà pronto".

Scandalose, a parere dei rappresentanti di Rifondazione, le condizioni igieniche-sanitarie della struttura di piazza Monticello. "Abbiamo visto davanti ai nostri occhi persino dei topi di fogna, vere e proprie pantegane uscire dai bagni dove ci sono ancora le turche - prosegue Giorgio Barisone - Una situazione davvero molto preoccupante.

Mi domando, tra l’altro, se l’Asl non abbia niente da dire in merito a questa vicenda che pare sia ciclica e ricorrente nelle celle più malandate. E un altro problema è quello dei farmaci: chi ha bisogno di assumere medicine di fascia C, dovrà pagarsele, perché l’amministrazione penitenziaria non le passa più. A nostro parere si dovrebbe inviare in carcere una volta a settimana, con costi molto contenuti, un farmacista dell’ospedale a distribuire i farmaci nelle dosi e nelle forme in cui servono, evitando sprechi e sovraprezzi. Ma questo finora non viene fatto e così possono curarsi solo i pochi detenuti che hanno mezzi e possibilità per farlo".

"Sempre sul fronte medico-sanitario permane tra l’altro il forte disagio per la mancata attivazione dello studio dentistico interno che eviterebbe un sacco di problemi ai detenuti oltre che viaggi esterni e quindi rischi e costi per il carcere stesso ogni qualvolta qualcuno ha bisogno di cure odontoiatriche" conclude il rappresentante di Rifondazione.

Reggio Emilia: sovraffollamento, e gli agenti pronti alla rivolta

 

La Gazzetta di Reggio, 16 febbraio 2009

 

È scaduto oggi l’ultimatum lanciato dai sindacati degli agenti della polizia penitenziaria, tutti uniti sotto un unico obiettivo, dopo le richieste sui problemi della carenza di organico e di sovraffollamento nelle carceri reggiane, la Pulce e l’Opg, e sulla questione della pulizia e la scarsa qualità dei cibi nella mensa dei due istituti di pena.

Sul piede di guerra, agli inizi di questa settimana, sono scesi i sindacati Cgil, Cisl, Uil, Sappe e Sinappe, che hanno lanciato un appello al Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria di Bologna per affrontare e risolvere i problemi presentati. "In mancanza di risposte da parte del Provveditore regionale - annuncia un sindacalista - da lunedì prossimo scatteranno le forme di protesta più appropriate".

La conferma della imminente protesta viene da Nicolò Mazzara, 49 anni, assistente capo di polizia penitenziaria e coordinatore provinciale del sindacato di categoria Funzione pubblica Cgil: "Come prima iniziativa, in mancanza di risposte adeguate, lunedì prossimo durante i turni di servizio ci asterremo dal consumare i pasti in mensa.

Mangeremo panini al bar e pranzeremo allo spaccio. Questa protesta continuerà fino a quando non verrà attuato un controllo dei locali di ristorazione da parte dei Nas e dell’Ausl". Poi Mazzara continua: "Valuteremo nei prossimi giorni anche la possibilità di intraprendere altre iniziative di lotta sui problemi della carenza del personale e sul sovraffollamento delle carceri reggiane".

L’ipotesi ventilata è quella di un "sit in" in città, poiché - per motivi istituzionali - gli agenti penitenziari non hanno diritto di sciopero. Ma la situazione dei due istituti di pena reggiani sembra ormai giunta al collasso. La situazione dell’Opg (ospedale psichiatrico giudiziario) e del carcere "La Pulce" è emersa da una recente riunione dei lavoratori che ha messo in luce carenze gravi di personale, sovraffollamento e insalubrità degli ambienti.

La stessa Cgil ha lanciato un appello al Provveditore regionale agli istituti penitenziari a "venire di persona a verificare la situazione". Dicono ancora i sindacati: "Ci sono materassi a terra e in un caso all’Opg, abbiamo dovuto "sfrattare" il medico di guardia dalla sua stanza per fare posto ad un detenuto per motivi di sicurezza". Non meno indicativi sono poi i numeri: l’Opg ospita circa 280 internati a fronte di una capienza "tollerabile" di 250 persone e reale di appena 120. Circa 50 detenuti sono attualmente in licenza ma "potrebbero ipoteticamente tornare dentro", commenta preoccupato Nicolò Mazzara.

Non va meglio nel carcere dove i detenuti sono 320 a fronte di una capienza di 270 posti. La stessa polizia penitenziaria è costretta a lavorare a ranghi ridotti. Non solo non c’è ricambio ma "molti agenti vengono assegnati al disbrigo delle pratiche amministrative riducendo ancora di più gli organici". Se all’ospedale servirebbero 121 agenti, quelli in servizio sono 85. Circa 100 contro 140 previsti gli agenti della Pulce: "Abbiamo superato il 25% della carenza di organico" dice ancora Mazzara.

E infine, conclude il sindacalista "in queste condizioni i lavoratori sono moralmente demotivati. Siamo ormai vicini al collasso". Sulla stessa posizione si pone Giovanni Trisolini, coordinatore Cgil per la zona di Reggio: "All’Opg la situazione è grave e insopportabile: in camere singole sono sistemati anche tre letti, quando il progetto iniziale prevedeva solo un detenuto".

Nuoro: detenuti trasferiti in massa, per lavori ristrutturazione

di Simonetta Selloni

 

La Nuova Sardegna, 16 febbraio 2009

 

Resteranno a Nuoro il tempo per esercitare il diritto di voto e poi verranno trasferiti: la gran parte a Mamone, poi Alghero, Oristano, Macomer, Isili, Sassari e Cagliari. Sono i 142 detenuti della seconda sezione del carcere di Badu ‘e Carros, per i quali è pronto uno sfollamento in grande stile da attuarsi entro pochissimi giorni.

La ragione: radicale ristrutturazione. La seconda sezione infatti dovrà essere sottoposta a importanti opere di adeguamento strutturale: i reclusi sarebbero stati trasferiti anche prima, se non ci fossero state le consultazioni regionali incombenti. Si sa, anche un singolo chicco di riso può far pendere il piatto della bilancia dall’una o dell’altra parte, e quindi anche il voto degli elettori-detenuti doveva essere tenuto nella giusta considerazione territoriale.

Il progetto di trasferimento è conseguente alla esigenza di dare dignità alla struttura penitenziaria che, tra le ultime a essere realizzate nell’isola (voluto dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il carcere di Nuoro è in funzione dai primi anni 70), è stata lasciata tra le ultime per quanto riguarda gli adeguamenti.

Se non resteranno gli istituti più vecchi e fatiscenti (Sassari, Oristano e Tempio), Badu ‘e Carros è invece destinato a lunga vita: ma per poterla avere, serve adeguarlo alle nuove normative di sicurezza. In un anno - tanto dureranno i lavori che inizieranno ai primi di marzo - tutte le celle dovranno avere bagni e acqua calda.

L’acqua calda, in particolare, c’è per ora solo in un piano nella prima sezione (oltre che nella sezione femminile, dove qualche problema c’è, visto che ad oggi le detenute sono ben venti, vale a dire ben oltre la soglia della capienza definita tollerabile), ristrutturata lo scorso anno. Ma gli adeguamenti, ovviamente riguardano anche gli impianti elettrici, idrici, e di riscaldamento. Opere complesse, strutturali appunto, per le quali il Dipartimento ha stanziato svariati milioni di euro per una gara gestita direttamente da Roma, dove ha sede il Dap che, tra l’altro, è diretto ora da Franco Ionta, magistrato che iniziò la sua carriera (allora era giudice istruttore) proprio a Nuoro, negli anni settanta, quando Badu ‘e Carros decollava come carcere di massima sicurezza. Dei 142 detenuti, almeno 35 verranno mandati a Mamone. È evidente che per lo smistamento si siano tenuti conto diversi parametri. Intanto, essendo la seconda sezione riservata ai detenuti comuni, ai trasferimenti sovraintendono le logiche della pena: più è alta più i detenuti dovranno essere sistemati in istititi adeguati. Anche la provenienza ha la sua importanza: i reclusi del Nuorese saranno, per quanto possibile, destinati proprio a Mamone.

Una trentina andranno ad Alghero, una quindicina a Oristano, gli altri, distribuiti per territorio: per alcuni, tenuto conto della loro specifica situazione sanitaria, si renderà necessaria il trasferimento a Cagliari o Sassari. "C’è già pronto un secondo appalto che riguarda la caserma, dopo i primi interventi per mettere a norma i locali", sottolinea il provveditore penitenziario regionale, Francesco Massidda, che Badu ‘e Carros lo conosce bene, per esservi stato al vertice nel 1977. Garantisce che al termine dei lavori il carcere avrà un volto del tutto nuovo. E se, vista la struttura e sopratutto la funzione, è inopportuno dire che diventerà un hotel a 5 stelle, "certamente sarà più dignitoso e funzionale", dice Massidda.

Con una particolarità: gli "sfollati" dei prossimi giorni, finiti i lavori, potranno scegliere di tornare per finire di scontare la pena. Sperando che nel frattempo altri problemi, come il sovraffollamento della sezione femminile, la biblioteca carceraria ancora chiusa fatta eccezione per un giorno la settimana e solo grazie all’impegno di una bibliotecaria volontaria, gli spazi ricreativi da recuperare (come il campo di calcio...), siano risolti. O almeno sulla buona strada per esserlo.

Rimini: la Sezione per alcol e tossico-dipendenti compie 6 anni

 

Ansa, 16 febbraio 2009

 

Nel corso del 2008 il carcere di Rimini ha registrato 889 ingressi, uno dei dati più alti a livello nazionale. A renderlo noto è la direzione della Casa Circondariale nel ricordare la cerimonia in programma il 18 febbraio per il sesto anno di attività della sezione a custodia attenuata Andromeda, destinata ai carcerati tossico o alcol dipendenti che intendono riabilitarsi. La sezione, unica in Italia, ha ospitato in sei anni circa 300 detenuti usciti anticipatamente dal carcere per seguire percorsi riabilitativi "facendo risparmiare così - si legge in una nota - alle casse dello stato migliaia di euro". Secondo le ultime stime del dipartimento dell’amministrazione giudiziaria ogni detenuto in prigione costa circa 144 euro al giorno.

Benevento: i ragazzi dell’Ipm di Airola al Carnevale di Saviano

 

Il Mattino, 16 febbraio 2009

 

I minori reclusi del carcere di Airola sfilano domenica al Carnevale di Saviano con i ragazzi delle scuole del territorio. Si realizza il primo step del progetto di integrazione sociale "Noi&Voi". I minori reclusi dell’Ipm di Airola sfileranno domenica pomeriggio per le strade di Saviano insieme ai ragazzi della scuola media A. Ciccone nell’ambito del "carnevale dei ragazzi".

Gli ospiti dell’Ipm di Airola che partecipano al progetto di integrazione sociale "Noi&Voi", nato su proposta dell’Assessorato alla Legalità, in cooperazione con gli assessorati alle Politiche Sociali e alla Pubblica Istruzione e coinvolge l’Istituzione scolastica e il Ministero della Giustizia, porteranno in giro per le strade di Saviano le maschere di cartapesta cha hanno realizzato insieme ai ragazzi della scuola media.

Il progetto "Noi&Voi" è finalizzato a favorire i rapporti di integrazione e socializzazione dei ragazzi delle scuole del Comune di Saviano con i ragazzi presenti nell’Istituto minorile di Airola, sui temi culturali, artistici e sociali.

La manifestazione "il carnevale dei ragazzi" apre ufficialmente il vasto programma del carnevale savianese giunto quest’anno alla trentunesima edizione. Nel corso della giornata di domenica saranno presentati i tredici carri allegorici sul percorso storico con l’allestimento di stand gastronomici dei prodotti tipici locali. Il carnevale savianese sarà invece presentato ufficialmente martedì nel corso di una conferenza stampa in Provincia.

Chieti: torna "Voci di dentro", giornale realizzato dai detenuti

di Oscar D’Angelo

 

Il Centro, 16 febbraio 2009

 

"Impressioni, punti di vista, storie di viaggi o sogni, commenti sui fatti del mondo". Ovvero: come liberare l’anima sui fogli di un giornale per affermare il diritto di esistere e l’aspettativa del ritorno alla vita. Torna alle stampe "Voci di dentro", il periodico di cultura, attualità e cronaca, stampato da Tecnovadue e diretto da Francesco Lo Piccolo, "alle cui spalle", si legge nell’editoriale del numero di febbraio, "c’è ora anche l’omonima onlus fondata lo scorso dicembre per fini di solidarietà a favore dei detenuti".

Dalla Casa Circondariale di Madonna del Freddo arriva un input, originale ed ambizioso, per realizzare l’obiettivo del "reinserimento sociale dei detenuti (oltre 100)" che non trascura iniziative collaterali, come attività formative, corsi di lingue straniere, dibattiti e confronti, corsi di aggiornamento, laboratori di musica, teatro e artigianato.

Un palinsesto di tutto riguardo la cui vera novità risiede non tanto nel "fare" un qualcosa da parte ed a beneficio di chi è "dentro", ma di proporre spunti di riflessione per chi è fuori. "La collaborazione al periodico", spiega Lo Piccolo, anche nella veste di presidente dell’associazione Voci di dentro, "offre a molti detenuti, alcuni dei quali autorizzati al lavoro esterno ai sensi dell’articolo 21 della legge 354/75, una occasione per raccontare sé stessi parlando del proprio vissuto e per arricchire il percorso autobiografico che ciascuno degli ospiti compie nel contesto delle attività istituzionali curate dalla struttura carceraria".

Nasce così una proficua sinergia tra la direzione della casa circondariale, rappresentata da Giuseppina Ruggero , la polizia penitenziaria, diretta dal comandante Di Bartolomeo , la testata giornalistica (che ora si è dotata di una redazione esterna) e la onlus.

La quale si affida al mecenatismo dei soci fondatori, fra cui i volontari Caritas, il maestro Gabriele Di Iorio, direttore artistico del teatro Marrucino e Carmelina Di Cosmo, assessore comunale alla cultura. "Voci di dentro (il periodico è diffuso da Libreria De Luca in via De Lollis, ndr) si è fatto conoscere", come spiega Silvia Civitarese, vicepresidente della onlus, "anche nelle scuole per far filtrare tra i giovani il seme della solidarietà verso chi ha scelto, con sensibilità ed autocritica, un cammino di autentica riabilitazione".

"Ringrazio Dio", scrive, in un vibrante articolo di denunzia, Tony Nederu , detenuto straniero tra i più impegnati collaboratori di Voci di dentro, "di aver trovato un posto come il carcere di Chieti dove diritto e rispetto mi hanno lentamente guarito le ferite interiori".

Bolzano: Bruno, che fa il volontario in carcere da quasi 40 anni

 

Alto Adige, 16 febbraio 2009

 

Il suo lavoro inizia dove finiscono la cronaca, i processi e le chiacchiere. La condanna alla detenzione è spesso il capolinea delle discussioni su molti casi penali, dai più famosi ai meno noti, e le porte della cella, una volta chiuse, si portano via parole e ricordi.

È proprio in questo momento che entra in gioco Bruno Bertoldi, dal 1971 Presidente degli Assistenti volontari del Carcere della Fondazione San Vincenzo, che da quasi 40 anni procura ai detenuti vestiti, sigarette, prodotti e il conforto necessario a scontare dignitosamente la pena.

Il carcere è da sempre un edificio che, per le sue caratteristiche di invalicabilità, stuzzica la curiosità dei cittadini e Bertoldi ci racconta com’è la vita quando tutti tendono a dimenticarti. "A Bolzano, in realtà, abbiamo una casa circondariale che permette di restare solo ai detenuti condannati ad un massimo di due anni. Attualmente ci sono intorno ai 120 carcerati, un numero ideale, anche se prima del condono si era toccata quota 180".

Bertoldi è ormai per i detenuti una vera istituzione, oltre che una sicura colonna cui appoggiarsi nei momenti di bisogno. "In via Dante ho addirittura una cella tutta per me dove ho l’ "ufficio". Qui i detenuti possono portarmi le loro richieste e, se possibile, le soddisfo. Generalmente, però, procuro vestiti nuovi per tutti.

Ogni mese, inoltre, provvedo a fornire un cambio di biancheria intima e un pacchetto da dieci di sigarette, oltre alle spese straordinarie come detersivi, dentifricio, spazzolino e altro materiale. A permettere tutto questo, ovviamente, ci sono i fondi istituzionali di Provincia e Comune e la mano determinante della Fondazione San Vincenzo.

Gli acquisti, generalmente, li vado a fare nei grandi magazzini del Veneto, dove riesco a spuntare preziosi sconti". Bruno conosce il carcere come le sue tasche e prova a descrivercelo: "Ci sono tre settori: il primo per gli isolati in attesa di interrogatorio, il secondo a maggioranza extracomunitaria e il terzo per locali e italiani. Tre celle sono dedicate all’isolamento assoluto per reati come la violenza carnale, le altre sono tutte di varie dimensioni e oscillano dai due ai dieci posti con letto a castello.

Per quanto riguarda gli accoppiamenti la direzione tenta, per quanto possibile, di tenere divisi i criminali "occasionali" da quelli "periodici". La vita dei detenuti a Bolzano non è tremenda, ma la noia è tanta. "Le nostre dimensioni non permettono alle fabbriche di richiedere forza lavoro, così ad avere qualche mansione sono proprio pochi tra cucina, pulizie e chi aiuta noi volontari. Per tutti gli altri, le giornate passano nei corridoi e in cortile dove giocano a calcio e ping-pong. Ci sarebbe anche una biblioteca, ma è poco sfruttata purtroppo". Le condizioni, però, sono migliori rispetto ad altre realtà italiane.

Abbiamo gente che ha fatto il giro della penisola e ci dice che a livello di strutture siamo carenti rispetto ai penitenziari nuovi, ma per i servizi, dalla cucina al nostro lavoro, siamo tra i migliori. Non è raro, infatti, che detenuti bolzanini trasferiti in altre città mi scrivano lettere per chiedermi aiuto". I rapporti interni sono abbastanza buoni.

"Capitano davvero poche risse, spesso causate dall’alcol, ma generalmente vanno d’accordo. Gli extracomunitari, in genere, tendono a creare piccoli clan con i loro capi, ma si tratta di situazioni soft". Passano i mesi e la pena viene scontata: quali sono i problemi maggiori cui vanno incontro gli ex-detenuti?

"Per molti è come il vizio del fumo: nel crimine ci ricascano e li vediamo tornare. È triste, ma solo con l’avanzare dell’età "guariscono". Ha fatto rumore, per esempio, il caso Carlo Deni, il clochard contento di tornare per scontare una pena di 5 mesi e 3 giorni (e non 5 anni e 3 mesi come erroneamente riportato in precedenza), ma il suo posto sarebbe in un centro di assistenza".

Ciclicamente si parla di una nuova struttura carceraria in città. "Per la Provincia - conclude - si potrebbe partire anche domani, ma bisogna aspettare le direttive di Roma. Siamo proprio sicuri, però, che cambiare per ampliare sia una mossa azzeccata?".

Con questo interrogativo Bertoldi si alza, ci sorride e si congeda per tornare al volontariato. Viene voglia di fargli i complimenti quando esce dalla porta per dedicarsi al suo lavoro che comincia, ancora una volta, quando è finito il nostro.

Enna: portò droga a detenuto, che morì; condannato a 11 anni

 

La Sicilia, 16 febbraio 2009

 

Il 12 aprile del 2001 nel carcere di Enna una dose di eroina letale, consegnata furtivamente, causò la morte del 24enne nisseno Michele Giglio. A 8 anni di distanza dai fatti i giudici della Corte d’Appello di Caltanissetta, confermando il verdetto emesso dal Tribunale di Enna nel 2006, hanno riconosciuto colpevole della cessione della dose fatale il nisseno Francesco Infantolino, 41 anni. Secondo gli inquirenti, infatti, sarebbe stato lui a portare la bustina di stupefacente nel carcere di Enna per consegnarla al fratello Michele, che era detenuto lì.

La cessione della droga sarebbe avvenuta nel corso del colloquio che i detenuti hanno periodicamente con i familiari. Michele Infantolino divideva la cella con il cugino Michele Giglio e in quella notte del 12 aprile 2001 avrebbero diviso anche lo stupefacente. Il rappresentante della Procura Generale ha caldeggiato la conferma della condanna a 11 anni di reclusione. Alle conclusioni della Procura Generale si sono associati gli avvocati Antonio Impellizzeri e Carmelo Lombardo, difensori di parte civile della famiglia Giglio, i quali hanno chiesto e ottenuto il risarcimento, che verrà poi deciso dai giudici civili.

Di diverso avviso l’avvocato difensore Gaetano Costa, il quale ha invece sostenuto l’assenza di elementi certi che indicassero Francesco Infantolino come colui che avrebbe consegnato la bustina di eroina. Secondo quanto sostenuto dalla difesa, Michele Infantolino e Michele Giglio, in quei giorni, avrebbero ricevuto altre visite e quindi lo stupefacente avrebbe potuto essere stato consegnato da altri. Nell’inchiesta giudiziaria che scaturì dal tragico avvenimento vennero coinvolti lo stesso Michele Infantolino e l’ex fidanzata della vittima. Ma entrambi sono già stati assolti per non avere commesso il fatto.

Immigrazione: il ministro Maroni; sarò cattivo, ma a fin di bene

di Stefano Vespa

 

Panorama, 16 febbraio 2009

 

"Famiglia cristiana? La notte dopo i loro insulti non ho dormito. Non solo è assurdo paragonare il ddl sicurezza alle leggi razziali, ma c’è un antidoto contro qualunque norma razzista: la Commissione europea, che vaglia ogni legge". Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, è appena atterrato di ritorno da Londra e appare deciso: "Andremo fino in fondo nel rispetto delle normative europee".

 

Ministro Maroni, la Romania accusa il governo italiano di fomentare la xenofobia. Ma non dovevano riprendersi i condannati romeni?

Il Consiglio d’Europa stabilì che i membri dovessero riprendersi i propri cittadini in carcere negli altri stati con il consenso del detenuto, che però non è necessario in caso di accordo bilaterale. Quello tra Italia e Romania risale al 2003, ma non lo hanno mai applicato, nonostante il nostro appoggio per il loro ingresso nell’Unione Europea.

 

C’è un mezzo per costringerli?

Non voglio farlo perché rischiamo di ritrovarci quei detenuti in Italia.

 

Come sarebbe possibile?

La procedura prevede un nuovo processo in Romania che stabilisca se abbiamo rispettato le regole. Dunque preferisco tenerli in carcere qui anziché restituirli a forza. Respingo le accuse del governo romeno, condivido la preoccupazione, ma potrebbero fare molto dando attuazione all’accordo.

 

Qualcuno parla di fuga in massa dei clandestini dagli ospedali per paura della denuncia da parte dei medici. Si è pentito di avere detto di essere "cattivo con i clandestini"?

Non sono pentito. Oggi, se un medico segnala alla polizia di avere visitato un clandestino (magari responsabile di qualche reato), viene processato e condannato. Noi eliminiamo l’obbligo e diamo al medico la possibilità: perché la norma in Francia, Gran Bretagna, Spagna va bene e in Italia no? Chi solleva questi allarmi vuole solo favorire l’immigrazione clandestina.

 

Dopo la bocciatura al Senato, il governo riproporrà alla Camera la norma per allungare a 18 gli attuali 2 mesi di permanenza degli immigrati nei Cie. È sicuro dell’approvazione?

Al Senato c’è stata una ripicca per il no a un emendamento di tutt’altro genere. Alla Camera proporrò il testo della direttiva europea sui rimpatri, approvata dal Parlamento europeo nel giugno 2008, che prevede la possibilità di tenere nei Cie gli immigrati fino a 18 mesi. Entro 2 anni quella direttiva entrerà in vigore e intendo anticiparne il testo. Voglio vedere chi contesterà una legge europea.

 

Avete stabilito le cifre per il decreto flussi 2009?

Approveremo rapidamente quello per i lavoratori stagionali. Sono invece contrario a un decreto flussi per i lavoratori a tempo indeterminato. Occorre prima capire quali saranno gli effetti della crisi economica: non voglio far entrare lavoratori immigrati ed essere costretto a rimpatriarne altri che perdono il posto a causa della crisi.

 

Che cosa manca per avviare finalmente i pattugliamenti congiunti con la Libia?

Partiranno dopo che, il 2 marzo, il parlamento libico ratificherà l’accordo con l’Italia. Inoltre sarà controllato il deserto a sud della Libia grazie a un sistema misto radar-satellite della Finmeccanica che segnalerà i movimenti ai libici. I 300 milioni di euro necessari saranno divisi tra noi e la Ue. Il 2009 dovrebbe essere l’anno della svolta. Risolveremo il problema per Lampedusa e per l’Italia.

 

Si parla di ronde, ma la polizia lamenta carenze di uomini e mezzi.

Si fa sempre riferimento a piante organiche di vent’anni fa, quando, per esempio, non c’erano gli attuali sistemi di videosorveglianza. E poi il volontariato non supplisce a una carenza, bensì integra la struttura di sicurezza. Non abbiamo introdotto le ronde (che tanti comuni organizzano da tempo), ma un controllo delle stesse, visto che saranno autorizzate dal sindaco.

 

Molti minorenni compiono gravi reati compresi gli stupri. Lei è d’accordo sull’abbassare la punibilità al di sotto dei 14 anni?

Preferisco la prevenzione. A titolo personale sono favorevole a colpire duramente chi commette certi reati anche se minorenne. Sul tema degli stupri, nel 2008 se ne sono commessi oltre 10 al giorno, comprese le molestie sessuali, ma il 9 per cento in meno del 2007. Il controllo del territorio, compresi i militari in strada di notte, ne ha evitati molti.

 

Sul tema intercettazioni, crede possibile un punto d’incontro con il Pd?

Non si può discutere amabilmente con chi ti considera un becero razzista, visto che il Pd non riconosce che stiamo facendo solo ciò che in altri paesi si fa da anni. Loro non recuperano voti e il dialogo è più difficile.

 

Il vicequestore aggiunto Gioacchino Genchi, consulente di molte procure e con un archivio di milioni di tabulati telefonici, è tornato in servizio, suo dipendente.

Sarà sistemato nella sede più opportuna. Deciderà il capo della polizia.

 

Terrorismo: l’Interpol ha lanciato un allarme internazionale su 85 arabi. Com’è la situazione in Italia?

Nessun allarme, ma attenzione altissima su possibili collegamenti tra ambienti del radicalismo islamico ed esponenti italiani di frange estreme, in particolare al Nord.

 

E sull’ipotesi di ospitare alcuni detenuti di Guantanamo?

Ho già espresso al ministro Franco Frattini la mia contrarietà. Gli Stati Uniti sono grandi, possono spostarli altrove.

Immigrazione: i criminali recidivi e la chimera dell’espulsione

di Mario Cervi

 

Affari Italiani, 16 febbraio 2009

 

Il tunisino che a Bologna è stato arrestato per lo stupro d’una ragazza quindicenne era arrivato in Italia, clandestinamente, nell’aprile dello scorso anno. In agosto era finito dentro (ma presto rimesso fuori) per violazione della legge sull’immigrazione, il 7 agosto era stato ricatturato per spaccio di droga, il 15 gennaio il Tribunale della libertà gli aveva ridato la medesima ritenendo che nel suo caso non ricorresse né l’eventualità del pericolo di fuga né quella di reiterazione del reato.

A nessuna delle due scarcerazioni era seguita - come avrebbe dovuto essere, e come infinite volte è stato promesso agli italiani che sarebbe stato - l’espulsione. Ha continuato a circolare per le strade d’un Paese che - non lo ha detto Borghezio, lo ha detto un romeno residente in Italia - "è considerato all’estero un’isola felice per chiunque abbia voglia di delinquere".

Nel commentare questo episodio e la situazione che esso rivela, o piuttosto conferma, sarò forse ripetitivo. Ma voglio evitare la politica politicante. Esistono indubbiamente settori della magistratura che tengono la politica in gran conto e che, come scriveva ieri Filippo Facci, creano corsie preferenziali per le assoluzioni di Antonio Di Pietro.

Se nonché il maggiore scandalo non sta tanto in quella sollecitudine sospetta quanto negli innumerevoli e non intenzionali casi di lentezza e inefficienza: addebitabili sì alla giustizia, ma anche all’amministrazione italiana nel suo complesso. Ritenuta fallimentare dall’uomo della strada e ritenuta fallimentare da organismi di controllo che mi pare predichino molto e controllino poco.

Abbiamo una moltitudine di leggi senza pari nel mondo: con il vizietto d’una inutilità da fare invidia alle grida manzoniane. Abbiamo pene severe, con il vizietto della non espiazione. Abbiamo misure di rigore contro i clandestini, con il vizietto della non applicazione. Quando poi i vizietti deflagrano, arrivano spiegazioni non convincenti, e promesse che lo sono ancora meno. Posso essere franco?

Le discussioni in corso su alcuni aspetti della riforma giudiziaria mi sembrano roba interessante ma non urgentissima, questioni che appassionano gli specialisti ma lasciano freddi i cittadini. Questi ultimi pongono interrogativi banali: e desidererebbero risposte magari altrettanto banali, ma davvero rassicuranti.

Ecco l’interrogativo suscitato dal fattaccio di Bologna. Come si può ottenere, hic et nunc, non in una visione futuribile dello Stato e della società italiana, che un clandestino e spacciatore come Jamel Moamid sia restituito alla Tunisia prima d’aggiungere al suo palmarés criminale anche lo stupro?

Immigrazione: Roma, raid contro locale di romeni, quattro feriti

 

La Repubblica, 16 febbraio 2009

 

Assalto a un locale frequentato da romeni in una strada che dista solo poche centinaia di metri dal luogo dove sono stati aggrediti i due fidanzatini ed è stato consumato lo stupro della giovane romana. È successo ieri sera a Roma intorno alle otto. Quattro cittadini romeni sono rimasti feriti, due in modo più serio. Un assalto che sa di spedizione punitiva: alcuni giovani a volto coperto sono arrivati armati di mazze di legno davanti a un kebab turco di via di Tarrocceto, nella zona di Porta Furba, sulla via Appia.

Il locale è noto per essere frequentato da romeni e anche ieri sera ce ne era una decina. Coperti da passamontagna e cappellini in testa, il gruppo di aggressori, ha picchiato gli stranieri e infranto alcune vetrine. Pochi minuti, poi si sono allontanati in fretta senza lasciare tracce. Due dei romeni feriti sono stati medicati dal 118 direttamente sul posto, mentre altri due che hanno riportato delle contusioni e delle escoriazioni su tutto il corpo sono stati trasportati all’ospedale Vannini. E lì hanno raccontato che a consumare l’aggressione sono state una ventina di persone.

I carabinieri hanno avviato degli accertamenti per capire se l’assalto al locale frequentato da persone dell’Est può essere legato allo stupro che si è consumato il giorno di San Valentino. Nella zona la tensione è molto alta. Poco prima del raid per le strade del quartiere c’era stata una manifestazione di protesta di Forza Nuova.

Intanto ieri la giovane vittima ha passato due ore davanti al computer per ricostruire gli identikit degli stranieri che l’hanno stuprata con una forza d’animo che ha sbalordito anche gli psicologi della polizia.

Ora c’è una ricostruzione precisa dei violentatori che è sul cruscotto di tutte le volanti. Gli identikit mostrano due uomini sui 20-30 anni, uno piuttosto massiccio, coi capelli lunghi, il naso schiacciato e la faccia da pugile.

"Abbiamo tracce promettenti" dice il questore Giuseppe Caruso. Gli investigatori hanno anche un altro indizio: le schede Sim che gli aggressori hanno tolto dai telefonini delle vittime. Dai laboratori potrebbero uscire le impronte digitali di almeno uno degli aggressori.

Droghe: Giovanardi contro Mediaset "smonta i miei messaggi"

 

Notiziario Aduc, 16 febbraio 2009

 

Un appello alla televisione commerciale a non smontare, di notte, la tela di Penelope della lotta anti-droga che il governo fa di giorno. Lo invia per lettera Carlo Giovanardi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle politiche antidroga, al presidente di Mediaset Fedele Confalonieri.

"Il governo di cui faccio parte, con la responsabilità delle politiche antidroga - dice Giovanardi -, sta sviluppando impegnativi programmi volti ad informare ed educare le famiglie ed i giovani sui disastri provocati dal consumo delle sostanze stupefacenti. In tale attività vogliamo coinvolgere tutta la società civile a cominciare da coloro che risultano essere modelli positivi per i giovani. In questo senso abbiamo molto apprezzato la disponibilità dei calciatori Kakà, Maldini e Gattuso di essere testimonial sul pericolo di drogarsi.

"Tutto questo sforzo comunicativo nelle scuole, in famiglia, nelle società sportive, nelle parrocchie rischia però - avverte il senatore - di essere vanificato quanto altri personaggi inviano messaggi irridenti a queste preoccupazioni, come avvenuto ieri sera nella trasmissione: Le Iene. Uno dei conduttori infatti, lamentando il divieto di fumo nei locali pubblici annunciava di volersi fumare a casa un cilum lungo così (e giù risate dei presenti). Ci sarebbe da ridere se la droga non rovinasse o uccidesse chi ne fa uso e come dimostrano gli incidenti stradali anche coloro che non ne fanno uso ma ne rimangono vittime.

"Sarebbe bello - conclude Giovanardi - se la tela di Penelope antidroga intessuta da decine di migliaia di persone impegnate sul fronte dell’educazione e della corretta informazione, non fosse smontata da messaggi contrari che con un po’ di buonsenso e di autocontrollo potrebbero facilmente essere evitati nella più importante televisione commerciale del paese".

Gran Bretagna: Biggs malato; suo il leggendario "colpo" al treno

 

Adnkronos, 16 febbraio 2009

 

È stato trasferito dal carcere di Norwich in ospedale per una polmonite. Era uno dei 15 "uomini d’oro" che l’8 agosto 1963 assaltarono il convoglio Glasgow-Londra mettendo a segno una rapina da 2,6 mln di sterline.

Ronnie Biggs, il rapinatore più famoso della Gran Bretagna, è stato trasferito dal carcere di Norwich in ospedale per una polmonite, secondo quanto riferito da suo figlio Michael. Sono al momento definite stabili le condizioni di Biggs, 79 anni e numerosi problemi di salute sopraggiunti anche dopo che si è consegnato alla polizia, mettendo fine a una latitanza di 36 anni in Brasile.

Biggs era uno dei quindici "uomini d’oro" che l’8 agosto 1963 rapinarono il treno postale Glasgow-Londra, portando via 120 sacchi pieni banconote. Il bottino, 2,6 milioni di sterline, era un record per l’epoca. Qualche mese dopo l’intera banda venne arrestata, ma scontati 15 mesi di prigione Biggs riuscì a evadere facendo perdere le sue tracce a Scotland Yard.

Nel 2001 si consegnò spontaneamente alla giustizia britannica perché, date le sue cattive condizioni fisiche, desiderava concludere i suoi giorni in patria. Nel 2007 Biggs è stato trasferito dal carcere di massima sicurezza di Belmarsh alla struttura penitenziaria per detenuti ammalati di Norwich.

Turchia: i kurdi a Strasburgo per chiedere liberazione di Ocalan

 

Ansa, 16 febbraio 2009

 

"Libertà" per il leader storico dei separatisti curdi, Abdullah Ocalan, detenuto da dieci anni nell’isola-prigione turca di Imrali in isolamento e con problemi di salute sempre più gravi: questo il grido di migliaia di curdi che a Strasburgo hanno manifestato davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Oggi cade il decennale dell’arresto del fondatore del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk).

Ocalan era stato condannato a morte nel 1999. In seguito all’abolizione della pena capitale, nel 2002, la sua pena è stata commutata in carcere a vita. L’ex leader curdo sconta la pena nel carcere di Imrali, un’isola-prigione di massima sicurezza nel Mar di Marmara (nel nord-ovest della Turchia).

 

 

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