Rassegna stampa 10 febbraio

 

Giustizia: il veleno nichilista del regime, che nasce poco a poco

di Gustavo Zagrebelsky (Ordinario di Diritto Costituzionale a Torino)

 

La Repubblica, 10 febbraio 2009

 

Viviamo un momento politico-costituzionale certamente particolare. Questo non è in discussione, sia presso i fautori, sia presso i detrattori del regime attuale. Non sarà fuori luogo precisare che, in questo contesto, la parola regime vale semplicemente a dire - secondo il significato neutro per cui si parla di regime liberale, democratico, autoritario, parlamentare, presidenziale, eccetera - "modo di reggimento politico" e non ha alcun significato valutativo, come ha invece quando ci si chiede, con intenti denigratori espliciti o impliciti, se in Italia c’è "il regime". Ma che tipo di regime? Questa è la domanda davvero interessante.

Alla certezza - viviamo in "un" regime che ha suoi caratteri particolari - non si accompagna però una definizione che dia risposta a quella domanda. Sfugge il carattere fondamentale, il "principio" o (secondo l’immagine di Montesquieu) il ressort, molla o energia spirituale che lo fa vivere secondo la sua essenza. Un concetto semplice, una definizione illuminante, una parola penetrante, sarebbero invece importanti per afferrarne l’intima natura e per prendere posizione.

Le definizioni, per la verità, non mancano, spesso fantasiose e suggestive. Anzi sovrabbondano, a dimostrazione che, forse, nessuna arriva al nocciolo, ma tutte gli girano intorno: autocrazia; signoria moderna; egoarchia; governo padronale o aziendale; dominio mediatico; grande seduzione; regime dell’unto del Signore; populismo o unzione del popolo; videocrazia; plutocrazia, governo demoscopico. Si potrebbe andare avanti. Si noterà che queste espressioni, a parte genericità ed esagerazioni, colgono (se li colgono) aspetti parziali e, soprattutto, sono legate a caratteri e proprietà personali di chi il regime attuale ha incarnato e tuttora incarna.

Ed è una visione riduttiva, come se si trattasse soltanto di un affare di persone; come se, cambiando le persone, potesse cambiare d’un tratto e del tutto la trama della politica. Invece, prassi, mentalità e costumi nuovi si sono introdotti partendo da lontano; sistemi di potere e metodi di governo sono stati istituiti.

Un regime non nasce di colpo, va consolidandosi e forse andrà lontano. È un’illusione pensare che ciò che è stato ed è possa poi passare senza lasciare l’orma del suo piede. La questione che ci interroga è quella di cogliere con un concetto essenziale, comprensivo ed esplicativo di ciò che di oggettivo è venuto a stabilizzarsi e a sedimentare nella vita pubblica e che opera e opererà in noi, attorno a noi e, forse, contro di noi.

Se, parlando di regime oggi, è inevitabile che il pensiero corra a ciò che si denomina genericamente "berlusconismo", dobbiamo tenere presente che qui non si tratta di vizi o virtù personali ma di una concezione generale del potere che si irraggia più in là.

Colpisce che tutti i tentativi per arrivare a cogliere un’essenza - giusti o sbagliati che siano - si fermino comunque ai mezzi: denaro, televisione, blandizie e minacce, corruzione, seduzione, confusione del pubblico nel privato e viceversa, impunità, sondaggi, eccetera. Ma tutto ciò in vista di quale fine? Proprio il fine dovrebbe essere ciò che qualifica l’essenza di un regime politico, ciò che gli dà senso e ne rende comprensibile la natura. Se non c’è un fine, è puro potere, potere per il potere, tautologia. Ma qui il fine, distinto dai mezzi, è introvabile.

A meno di credere a parole d’ordine tanto generiche da non significare nulla o da poter significare qualunque cosa - libertà, identità nazionale, difesa dell’Occidente, innovazione, sviluppo, o altre cose di questo genere - il fine non si vede affatto, forse perché non c’è. O, più precisamente, il fine c’è ma coincide con i mezzi: è proteggere e potenziare i mezzi. Una constatazione davvero sbalorditiva: un’aberrazione contro-natura, una volta che la politica sia intesa come rapporto tra mezzi e fini, rapporto necessario affinché il governo delle società sia dotato di senso e il potere e la sua pretesa d’essere riconosciuto come legittimo possano giustificarsi su qualcosa di diverso dallo stesso puro potere.

A parte forse l’autore della massima "il potere logora chi non ce l’ha", nessuno, nemmeno il Principe machiavelliano, ha mai attribuito al potere un valore in sé e per sé stesso. "Il fine giustifica i mezzi" è uno dei motti del machiavellismo politico; ma che succede se "i mezzi giustificano i mezzi"? È la crisi della ragion politica, o della politica tout court. È il trionfo della "ragione strumentale" nella politica.

Siamo di fronte a qualcosa di incomprensibile, inafferrabile, incontrollabile, qualcosa all’occorrenza capace di tutto, come in effetti vediamo accadere sotto i nostri occhi: un giorno dialogo, un altro scomuniche; un giorno benevolenza, un altro minacce; un giorno legalità, un altro illegalità; ciò che è detto un giorno è contraddetto il giorno dopo. La coerenza non riguarda i fini ma i mezzi, cioè i mezzi come fini: si tratta di operare, non importa come e con quale coerenza, allo scopo di incrementare risorse, influenza, consenso.

Il politico adatto a questa corruzione della vita pubblica è l’uomo senza passato e senza radici, che sa spiegare le vele al vento del momento; oppure l’uomo che crede di avere un passato da dimenticare, anzi da rinnegare, per presentarsi anch’egli come uomo nuovo. È colui che proclama la fine delle distinzioni che obbligherebbero a stare o di qua o di là.

Così, si può fingere di essere contemporaneamente di destra e di sinistra o di stare in un "centro" senza contorni; si può avere un’idea, ma anche un’altra contraria; ci si può presentare come imprenditori e operai; si può essere atei o agnostici ma dire che, comunque, "si è alla ricerca"; si può dare esempio pubblico della più ampia libertà nei rapporti sessuali e farsi paladini della famiglia fondata sul santo matrimonio; si può essere amico del nemico del proprio amico, eccetera, eccetera. Insomma: il "politico" di successo, in questo regime, è il profittatore, è l’uomo "di circostanza" in ogni senso dell’espressione, è colui che "crede" in tutto e nel suo contrario.

Questo tipo di politico conosce un solo criterio di legittimità del suo potere, lo stare a galla ed espandere la sua influenza. Il suo fallimento non sta nella mancata realizzazione di un qualche progetto politico. Se egli vive di potere che cresce, anche una piccola battuta d’arresto può essere l’inizio della sua fine. Non sarà più creduto. Per questo ogni indecisione, obbiettivo mancato o fallimento deve essere nascosto o mascherato e propagandato come un successo.

La corruzione e la mistificazione della dura realtà dei fatti e della loro verità è nell’essenza di questo regime. Il rapporto col mondo esterno corre il rischio di essere "disturbato". L’uomo di potere, di questo tipo di potere, non vede di fronte a sé alcuna natura esterna, poiché diventa ai suoi occhi egli stesso natura (naturalmente, lo si sarà compreso, si sta parlando di "tipo ideale", cioè di un modello che, nella sua perfezione, esiste solo in teoria).

Abbiamo iniziato queste considerazioni col proposito di cercare una definizione che, in una parola, condensi tutto questo. L’abbiamo trovata? Forse sì. Non ci voleva tanto: nichilismo, inteso come trasformazione dei fatti e delle idee in nulla, scetticismo circa tutto ciò che supera l’ambito (sia esso pure un ambito smisurato) del proprio interesse. Chi conosce la storia di questo concetto sa di quale veleno, potenzialmente totalitario, esso abbia mostrato d’essere intriso. Ciò che, invece, si fa fatica a comprendere è come chi tuona tutti i giorni contro il famigerato "relativismo" non abbia nessun ritegno, addirittura, a tendergli la mano.

Giustizia: Cnvg; ddl sulla sicurezza penalizza ancora i più deboli

 

Comunicato stampa, 10 febbraio 2009

 

Ancora una volta, l’ascia della cosiddetta sicurezza ha avuto come bersaglio privilegiato la povertà e le sue manifestazioni, colpendo selettivamente le categorie sociali più esposte. Ancora una volta, la penalizzazione serve da tecnica per riconvertire i problemi sociali che lo stato non vuole o non riesce ad affrontare fino in fondo e la penalità ribadisce il suo ruolo di grande contenitore in cui stipare i rifiutati della società.

Ancora una volta, invece di dare risposte serie e razionali a problemi reali e complessi, si è scelto di calpestare i fondamenti del nostro ordinamento costituzionale, che si ispirano all’eguaglianza e pari dignità, tutela e garanzia di diritti inviolabili dell’uomo, all’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

La strada di questo pacchetto sicurezza va completamente a ritroso nella direzione della civiltà giuridica e della solidarietà umana.

Ci pare di ricordare che ci sia stato un periodo, probabilmente rimosso da molti, in cui la cultura giuridica del nostro Paese si era incamminata nella direzione di un diritto penale minimo o "mite", nella percorrenza di strade orientate alla riduzione dell’area penale, e all’evitamento di spinte di vendetta sociale. Invece, il diritto minimo viene riservato a chi può permetterselo, mentre agli altri non resta che fare i conti con leggi pregiudiziali che insistono su rom, migranti, homeless.

Lo scorso anno a Firenze, dopo i lavavetri, la giunta comunale se la prese con chi chiedeva la carità, considerando che i mendicanti intralciavano, davano fastidio, erano un pericolo per i pedoni e gli automobilisti. Forse siamo noi a non avere capito bene cosa si intendesse, e cosa ancora si intenda quando si parla di "lotta alla povertà". L’intralcio al traffico costituito da un mendicante sdraiato deve evidentemente essere percepito come un grosso attentato alla sicurezza, se si fa un decreto per schedarli. Tolleranza zero, certo, ma soprattutto per i poveri.

L’ascia che, crudelmente, colpisce i senza dimora, non considera tuttavia necessario introdurre il reato di tortura, del resto difficilmente attribuibile alle categorie colpite dal decreto.

Forti preoccupazioni suscita la creazione di un diritto "speciale", riguardante gli immigrati, insieme all’inaccettabilità di alcuni contenuti del decreto contrari ai principi costituzionali riguardanti l’eguaglianza e l’uguale dignità delle persone Ma è tutto l’impianto di fondo che sgomenta. Si ideano norme e aggravanti di legge che violano l’unicità del diritto, che conducono la ragione verso pericolose derive e che, inevitabilmente creeranno più risentimento, più insicurezza, più intasamento del sistema giudiziario e carcerario.

La risposta a questo decreto deve essere una rapida e forte opposizione sociale, da parte di tutte le forze che rifiutano simili "vulnus" ai fondamenti costituzionali. Questa risposta, che deve venire anche da noi, deve poter dimostrare non solo l’inumanità, ma anche l’inefficacia dei provvedimenti governativi nel contrasto alla criminalità, e deve impegnarci a dare non solo risposte di contrapposizione, ma di pratiche possibili nel coniugare sicurezza e diritti, ma anche e soprattutto di indignazione e di protesta per il permanere di situazioni scandalose, relative alla mancata applicazione della legge e alla violazione di elementari diritti, come ad esempio la condizione carceraria.

Come è possibile che un analogo processo si attui costantemente nei confronti dei soggetti con un debole potere sociale, nei confronti degli internati degli Opg, dei tossicodipendenti, dei senza casa, degli immigrati, e continui a suscitare così poca indignazione nelle coscienze, malgrado il fallimento visibile delle politiche rivolte a queste persone?

Bisogna naturalmente rilanciare l’impegno politico, ripensare il modello dei servizi, sviluppare una nuova strategia di lavoro sociale ispirato da un realismo che miri a risolvere questioni e non inasprirle, ma bisogna dare spazio soprattutto alla dimensione etica dei rapporti umani.

Proprio in virtù della dimensione etica il volontariato e tutta la società attenta alla condizione umana non solo non si tirerà indietro, ma incrementerà i propri sforzi, perché questo decreto avrà gravi conseguenze sulla salute di esseri umani, sui loro affetti, sui loro diritti. Lo faremo per ridare quel senso di identità e dignità che solo una vera attenzione possono restituire a queste persone, o meglio

a queste categorie di persone "elette" dai decreti sicurezza, ormai sempre di più, che chiedono di non essere lasciate al proprio destino. Ma questa risposta pratica, concreta, non deve essere interpretata come fattore di connivenza e di legittimazione: lo faremo con la coscienza di chi sa di dover agire, ma con la consapevolezza di chi reclama una piena applicazione della responsabilità istituzionale.

La Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, pertanto , ribadisce il suo no a queste scelte e chiede che le problematiche sociali siano affrontate in tutta la complessità che portano; chiede inoltre che chi, quotidianamente, si occupa di queste situazioni, possa essere ascoltato ed avere uno spazio ed un’opportunità di confronto politico, poiché esiste una consistente parte di comunità competente, una comunità in grado di rispondere, senza deleghe, ai bisogni di tutti i suoi membri, soprattutto quelli più deboli.

 

Elisabetta Laganà

Presidente Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia

Giustizia: Famiglia Cristiana; "leggi razziali". Maroni la querela

di Marco Cremonesi

 

Corriere della Sera, 10 febbraio 2009

 

L’Italia si incammina "verso il baratro delle leggi razziali". Famiglia Cristiana è durissima, si scaglia contro il Carroccio come forse mai era accaduto in passato. Ma richiama anche quei cattolici della maggioranza che non provano "nessun sussulto di dignità in nome del Vangelo" e dunque "peccano di omissione".

La Lega, con il ministro dell’Interno Roberto Maroni, annuncia querele, confortata da un centrodestra che nell’ufficialità fa quadrato. Ma il malumore per le iniziative leghiste forse non è limitato ai Paolini: in Lombardia, il progetto di legge padano per la creazione di una polizia regionale viene seccamente bocciato dagli alleati.

L’editoriale di Famiglia Cristiana è di fuoco: "Il soffio ringhioso di una politica miope e xenofoba, che spira nelle osterie padane, è stato sdoganato nell’aula del Senato della Repubblica". Come? Con i "medici invitati a fare la spia e denunciare i clandestini, i cittadini che si organizzano in associazioni paramilitari al pari dei bravi di don Rodrigo, i registri per i barboni, i prigionieri virtuali solo perché poveri estremi, i permessi di soggiorno a punti e costosissimi".

Insomma: "La "cattiveria", invocata dal ministro Maroni, è diventata politica di governo" e si è "varcato il limite che distingue il rigore della legge dall’accanimento persecutorio". Giusto ieri mattina, ospite di Giuliano Ferrara su Radio24, Maroni era tornato proprio sulle ronde: "Se ci fossero state in quei luoghi in cui recentemente sono avvenuti degli stupri - ha detto - forse questi episodi non ci sarebbero stati". Più tardi, nell’apprendere dell’attacco del settimanale, il ministro annuncerà querele civili e penali, dicendosi "profondamente indignato e offeso dalle deliranti dichiarazioni di Famiglia Cristiana, un’aggressione premeditata" di chi usa "consapevolmente la violenza di affermazioni false per combattere chi ha opinioni diverse dalle proprie".

Sostengono Maroni i capigruppo del Pdl e della Lega alla Camera, Fabrizio Cicchitto e Roberto Cota: "L’editoriale di Famiglia Cristiana è assolutamente inaccettabile in quanto contiene affermazioni false e di inaudita gravità". Il ministro della Difesa Ignazio La Russa, da An, esordisce dicendo di non avere "molta stima del direttore di Famiglia Cristiana, che di peccati forse se ne intende". Il fatto è, secondo il ministro, che "esagerando, l’editoriale farà comodo ai più estremisti della maggioranza".

E contesta punto per punto: "La norma sui medici, che personalmente non mi sembrava così importante varare, ha solo reintrodotto quanto esisteva fino a pochi anni fa". Quanto alle ronde, "non ci conto molto, io conto sulle pattuglie, gli uomini in divisa dello Stato. Che i cittadini possano dare una mano, va bene, ci sono quelli che si organizzano per portare i figli a scuola. Proporrò comunque che nelle ronde possano essere inseriti uomini delle forze dell’ordine in congedo". Giusto ieri, il Carroccio aveva presentato in Regione Lombardia un progetto di legge per l’istituzione di una polizia regionale di coordinamento tra le polizie locali esistenti. A parte il silenzio di Roberto Formigoni, la proposta ha incassato il no deciso di Forza Italia, Alleanza nazionale e Udc.

Giustizia: Veltroni; "abbiamo leggi razziali", Maroni mi denunci

 

La Stampa, 10 febbraio 2009

 

Dopo la querela del ministro dell’Interno alla rivista cattolica "Famiglia Cristiana" per il duro attacco al governo, il segretario del Pd Walter Veltroni lancia una provocazione allo stesso ministro: "L’Italia sta precipitando verso le leggi razziali. Adesso il ministro Maroni denunci anche me". Veltroni interviene così sulla polemica tra il titolare del Viminale e "Famiglia Cristiana" che ha accusato il governo di fare leggi razziali per le misure contenute nel ddl sicurezza, accuse per le quali il ministro ha sporto querela.

Immediata la replica della Lega: "Le evidenti difficoltà personali per la leadership all’ interno del suo partito e la perdita di consensi del Pd portano l’onorevole Veltroni ad alzare i toni in modo assolutamente inappropriato".

La senatrice Rossana Boldi, presidente della commissione Politiche dell’Ue del Senato, critica le dichiarazioni del leader del Pd. Boldi ricorda a Veltroni che "l’Italia non è un paese razzista e nessuna delle norme in discussione nel pacchetto sicurezza ha a che vedere con il razzismo. Il problema - sottolinea la senatrice della Lega - è quello di dettare regole che rendano evidente che il nostro paese è un paese accogliente per tutti gli immigrati regolari, severo con gli irregolari. Penso che i cittadini italiani quando hanno votato per questa coalizione chiedessero esattamente questo".

Giustizia: Dap; i suicidi in calo, parte campagna di prevenzione

 

Ansa, 10 febbraio 2009

 

Con 42 suicidi in cella, il 2008 si è concluso con il più basso tasso di detenuti che si sono tolti la vita da una quindicina d’anni a questa parte. Solo nel ‘91 è andata meglio, ma all’epoca c’erano 30mila detenuti, contro una media di 56mila negli ultimi 12 mesi.

E contrariamente a quanto si possa pensare, a decidere di farla finita sono in maggior numero gli italiani e i non tossicodipendenti, anziché gli stranieri e i consumatori di droghe. I dati emergono da un rapporto del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) che domani comincerà una campagna nazionale di prevenzione dei suicidi in collaborazione con il Volontariato giustizia, Antigone, i garanti dei detenuti e i rappresentanti delle Regioni. La campagna prende il via dal carcere romano di Rebibbia per poi toccare nel giro di pochi giorni i penitenziari di Catania, Firenze, Napoli Secondigliano, Milano S. Vittore, Padova, Parma, fino a un totale di una ventina di carceri.

Il rischio è che il trend positivo del 2008 (a suicidarsi nel 2007 sono stati in 48, contro i 57 sia nel 2005 che nel 2003, 50 nel 2006, 52 nel 2002 e 69 nel 2009) possa subire un’inversione di tendenza a causa delle insostenibili condizioni di sovraffollamento: dal varo dell’indulto nel 2006 ad oggi le celle sono tornate a riempirsi al rimo di 800-1.000 detenuti al mese, e attualmente ha superato quota 59mila detenuti contro una capienza regolamentare di 43.066 posti e un limite tollerabile.

Lo dirà a chiare lettere il responsabile della direzione generale detenuti, Sebastiano Ardita, che domani, alla presenza del capo del Dap, Franco Ionta, renderà noti i dati aggiornati sui suicidi e sui gesti di autolesionismo in carcere, tra le principali emergenze della vita penitenziaria. Alcune cifre smentiranno alcuni luoghi comuni: ad esempio, nei piccoli istituti penitenziari, meno gravati dal problema del sovraffollamento, i casi di suicidio sono più numerosi rispetto a quelli delle grandi carceri metropolitane.

Se nel 2008 in cella le persone che si sono tolte la vita sono state di meno rispetto agli anni precedenti, questo dato non va di pari passo con una diminuzione dei suicidi tra chi è libero (secondo l’ultima rilevazione Istat sono la seconda causa di morte tra i giovani, dopo gli incidenti stradali). L’organizzazione delle aree educative a partire dal 2003, una maggiore attenzione alle condizioni sanitarie e il varo, nel 2007, di un kit di accoglienza per i detenuti nuovi giunti: queste le misure che, a detta del Dap, avrebbero contribuito a contenere il tasso dei suicidi in cella negli ultimi anni.

Giustizia: ma anche queste sono persone "morte di carcere"…

 

Ristretti Orizzonti, 10 febbraio 2009

 

Detenuti suicidi: il documento con i casi citati in questo articolo (pdf)

 

Nel Dossier "Morire di carcere" dell’anno 2008, abbiamo segnalato i casi di 48 persone suicide mentre erano "detenute", che per noi significa: private della libertà personale.

Ieri il Ministero della Giustizia ha diffuso i "dati ufficiali" sui suicidi avvenuti in carcere nel 2008. Il comunicato inizia con queste parole: "42 suicidi in cella, il 2008 si è concluso con il più basso tasso di detenuti che si sono tolti la vita da una quindicina d’anni a questa parte".

 

I nostri dati sono un po’ diversi, noi abbiamo rilevato anche altre storie importanti:

 

Andreas si impicca nel carcere "Montacuto" di Ancona il 21 novembre scorso. Trasportato all’ospedale in coma profondo vi muore il 26 novembre.

 

Angelo è detenuto semilibero a Massa Carrara, il mattino esce per andare al lavoro e la sera rientra in cella. Ma l’11 ottobre 2008 non torna: iniziano a cercarlo, pensando a un’evasione, invece lo trovano cadavere, appeso a un albero, in un bosco poco lontano dal carcere.

 

S.R., un detenuto italiano di 42 anni con importanti problemi psichici, ottiene gli "arresti" nella Casa di Cura Psichiatrica "Villa Rosa" di Viterbo, dove si uccide.

 

N.D.B., un detenuto italiano di 25 anni, muore dopo oltre 20 giorni di coma nel reparto di rianimazione dell’ospedale "S. Pio" di Vasto. Si era impiccato in una cella del carcere di Larino, era stato soccorso e trasferito all’ospedale dove, però, nonostante le cure dei sanitari, non aveva mai ripreso conoscenza.

 

Loredana, transessuale di 16 anni (all’anagrafe si chiamava Paolo), si impicca con il suo foulard preferito dentro la stanzetta della Comunità per Minori "Alice", a Marina di Palma di Montechiaro (Agrigento), dove era da tre mesi per essere "recuperata". E per "recuperarla" il Tribunale dei Minori di Catania l’aveva, pare, assegnata a una Comunità dove era costretta a vivere insieme a 35 ragazzi, tutti maschi, tra i 15 e i 17 anni.

 

Un cittadino marocchino di 28 anni e uno tunisino di 23 anni si uccidono, nell’arco di 24 ore, nel Cpt per immigrati di Modena, dove erano "trattenuti" per essere identificati ed espulsi.

 

Vitalij, 24enne lituano, si impicca nella Casa Circondariale di Foggia. Un compagno di cella si accorge di quanto sta avvenendo e tenta di rianimarlo praticandogli un massaggio cardiaco. Arrivano i soccorso, ma Vitalij muore durante il tragitto verso l’Ospedale.

 

Queste persone secondo noi sono "morte di carcere", ma probabilmente non compaiono nelle statistiche del Ministero della Giustizia, che prendono in considerazione soltanto i casi in cui il decesso avviene all’interno di un Istituto Penitenziario. Infatti per il Ministero della Giustizia:

chi si impicca in cella e muore durante il trasporto all’Ospedale non è "suicida in carcere";

chi si impicca in cella e muore dopo il ricovero all’Ospedale non è "suicida in carcere";

chi muore in una Comunità per Internati Psichiatrici non è "suicida in carcere";

chi muore in una Comunità per Recupero dei Minori non è "suicida in carcere";

chi muore in un Centro di Permanenza per Immigrati non è "suicida in carcere";

chi muore da semilibero mentre si trova fuori dall’Istituto non è "suicida in carcere".

 

Per noi di Ristretti Orizzonti, invece, ogni persona che si toglie la vita in condizioni di privazione della libertà personale è da considerarsi "morta di carcere".

Giustizia: Legambiente contraria a riapertura carceri sulle isole

 

Ansa, 10 febbraio 2009

 

"Riaprire le carceri nelle isole non ha alcun senso: sarebbe una follia dal punto di vista ambientale ma anche dal punto di vista economico".

Umberto Mazzantini, del direttivo nazionale di Legambiente e responsabile Isole Minori dell’associazione, non ha dubbi sull’assurdità della proposta inserita nel Ddl sicurezza che vede nella riapertura delle carceri a Pianosa, nel cuore del Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano e nell’area protetta dell’Asinara la soluzione per il sovraffollamento delle strutture penali.

"Dal 1996, anno in cui sono state chiuse le carceri su queste isole - continua Mazzantini - sono cambiate molte cose e si è lavorato con impegno per aprire questi territori ai cittadini. Da allora le strutture hanno subito vari cambiamenti e non si prestano più facilmente al compito per il quale erano nate. Rimetterle in forma sarebbe costoso e insensato".

Quali detenuti dovrebbero poi essere destinati alle isole? Quelli colpevoli di reati comuni? E quanto costerebbe portarli qui, sostenerli e rispostarli per ogni esigenza? Si chiede l’associazione ambientalista. Secondo Legambiente poi, non si può prescindere dal lavoro condotto in questi anni per aprire questi territori alla fruizione corretta da parte dei cittadini e dei turisti. "Mai come in questi casi - ha concluso Mazzantini - i parchi hanno avuto la funzione e il merito di aprire queste aree bellissime e pregiate al pubblico per una corretta fruizione. Rimettere strutture detentive di massima sicurezza in queste zone vuol dire usare malamente i soldi dei contribuenti, ai quali vengono sottratti anche preziosi spazi di conoscenza e bellezza paesaggistica".

Giustizia: Bernardini; interrogazione botte arrestati a Guidonia

 

Comunicato stampa, 10 febbraio 2009

 

Interrogazione dell’On. Bernardini. Al Ministro della Giustizia e al Ministro della Difesa. Per sapere, premesso che:

a seguito di ulteriori segnalazioni di violenze e pestaggi di cui sarebbero stati fatti oggetto i sei rumeni accusati di violenza sessuale e rapina aggravata recentemente arrestati a Guidonia, il 7 febbraio scorso l’interrogante ha effettuato un’ulteriore visita al carcere di Rebibbia dopo quella del 30 gennaio in cui era stata accompagnata dal Segretario di Nessuno Tocchi Caino Sergio D’Elia; visita che è stata oggetto di un’altra interrogazione parlamentare per la quale si attende risposta da parte dei ministri competenti;

nella nuova visita di sabato 7 febbraio, oltre all’interrogante e a Sergio D’Elia, la delegazione era così composta: Marco Pannella (deputato europeo), Marco Cappato (deputato europeo), Elisabetta Zamparutti (deputata), Matteo Mecacci (deputato) Marco Perduca (senatore), Luigi Manconi (già sottosegretario alla Giustizia), Gianfranco Spadaccia (già Garante per i diritti dei detenuti del Comune di Roma); Salvatore Bonadonna (già senatore); Simona Farcas (Presidente dell’Associazione Irfi onlus); Alessandro Gerardi (avvocato, consulente dell’interrogante);

preliminarmente la delegazione è stata ricevuta dal Direttore dell’Istituto, Dott. Carmelo Cantone; lo stesso Direttore, assieme ad altro personale dell’Istituto, ha poi accompagnato la delegazione nel corso della visita ispettiva;

nel caso di specie il Direttore ha aderito alla nostra richiesta di verificare le condizioni di detenzione dei quattro detenuti rumeni arrestati per lo stupro di Guidonia che l’interrogante e D’Elia avevano già incontrato il 30 gennaio scorso assieme agli altri due, Ionul Anton B. e Mugurel G., accusati di favoreggiamento, ora in detenzione agli arresti domiciliari; in occasione della visita del 30 gennaio Mugurel G., che presentava segni evidenti di pestaggio agli occhi, aveva riferito all’interrogante "di essersi picchiato da solo" mentre Ionul Anton B. riferiva di non aver subito maltrattamenti e pestaggi né a Guidonia né a Rebibbia, ma che, se ci fossero stati, sarebbero stati più che giusti;

in particolare, alla presenza della delegazione, del Direttore e del personale, il 7 febbraio, è stato possibile raccogliere le seguenti dichiarazioni riguardanti lo stato di detenzione dei quattro rumeni:

- Mirel Huma, detenuto nel braccio G9 e proveniente dal G12, ha detto di essere stato tenuto senza cibo fino al momento della nostra prima visita; sempre nel periodo di detenzione al G12 è stato tenuto sveglio tutta la notte nelle prime due notti, preso a pugni e calci in cella, tenuto nudo in piedi e con la faccia al muro; nel momento in cui si era lamentato di avere freddo, è stato portato a fare una doccia fredda e, successivamente, ricondotto in cella dove è stata aperta anche la finestra; ha inoltre aggiunto di essere stato picchiato tutta la notte nella Stazione dei Carabinieri di Guidonia e che le violenze sarebbero terminate dopo la sua confessione; ha quindi dichiarato che la sua condizione di detenzione è radicalmente cambiata (in positivo) dopo la nostra prima visita;

- Lucian Trinca, detenuto nel braccio G9 e anche lui proveniente dal G12, ha detto che i primi due giorni non gli hanno dato da mangiare; di essere stato picchiato (calci, pugni e ginocchiate) da 2 agenti; ha inoltre riferito che gli è stato impedito di dormire e di essere stato tenuto in piedi, nudo, tutta la notte e che quando ha cercato di coprirsi con una coperta questa gli era stata immediatamente tolta; anche lui sarebbe stato infilato dagli agenti sotto la doccia fredda; questo trattamento è durato una notte intera e il giorno successivo; anche Lucian Trinca ha detto che la sua condizione è radicalmente cambiata (in positivo) dopo la nostra prima visita; ha inoltre aggiunto che di essere stato picchiato tutta la notte e il giorno successivo dai Carabinieri che hanno proceduto al suo arresto, e alla domanda se ci fosse stata anche una colluttazione fra i romeni arrestati, ha risposto di no;

- Ciprian Trinca, detenuto nel braccio G11 e proveniente dal G9, non ha voluto rispondere alle domande sullo stato di detenzione perché aveva già detto tutto durante la visita del 30 gennaio; ha solo aggiunto che le condizioni di detenzione sono radicalmente cambiate, divenendo normali, dopo la nostra prima visita; nella prima visita del 30 gennaio l’interrogante aveva potuto constare che Ciprian Trinca zoppicava vistosamente, erano visibili i segni di percosse su un occhio, sulle gambe e sull’anca destra;

- Marcel Cristinel Coada, incontrato nella "Sezione Transito", dove è sempre stato, ha dichiarato di essere stato picchiato solo il primo giorno, all’ingresso del carcere, in matricola, dove anche gli altri arrestati sarebbero stati maltrattati, ma di non aver subito violenze nella "sezione transito" ove si trova; ha dichiarato di essere stato malmenato nella Caserma di Guidonia e che la sua condizione è ulteriormente migliorata dopo la nostra prima visita;

le dichiarazioni di Mirel Huma e Lucian Trinca, entrambi detenuti nel G9 e provenienti dal G12, appaiono credibili e coerenti posto che gli stessi, pur non avendo mai avuto la possibilità di conferire tra di loro nel corso della esecuzione della misura cautelare (causa divieto di incontro e isolamento precauzionale), hanno riferito circostanze pressoché identiche (tutti e due dicono infatti di essere stati picchiati e tenuti di notte in piedi, nudi e al freddo, all’interno della cella e di essere stati sottoposti a docce gelate);

l’interrogante dà atto al dottor Carmelo Cantone Direttore del Carcere di Rebibbia - peraltro uno degli Istituti migliori d’Italia quanto a rispetto delle regole dell’ordinamento penitenziario in vigore - di aver dato disposizioni oculate fin dall’ingresso dei sei rumeni accusati dello stupro di Guidonia, assegnando ad ognuno dei sei reclusi gli agenti responsabili del loro trattamento e di avere, a seguito della nostra visita e delle nostre segnalazioni del 30 gennaio, spostato Mirel Huma e Lucian Trinca dal G12 al G9;

l’istituto di Rebibbia, come molti altri Istituti penitenziari italiani, presenta una grave carenza di personale che costringe la Direzione a ridurre la presenza degli agenti soprattutto nelle ore notturne;

l’articolo 13, comma 4, della Costituzione stabilisce che "è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà";

sul tema della prevenzione dei maltrattamenti dei detenuti al momento del loro ingresso in carcere, vi sono numerose circolari (alcune risalenti a più di dieci anni fa) del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Già dal 1987, infatti, è stato istituito presso tutti gli istituti di pena un particolare servizio per i detenuti e per gli internati nuovi giunti dalla libertà consistente in un presidio psicologico da affiancare alla prima visita medica generale ed al colloquio di primo ingresso, un servizio affidato ad esperti specializzati in psicologia o criminologia clinica che hanno un colloquio con il detenuto il giorno stesso di ingresso nell’istituto e prima dell’assegnazione alle sezioni al fine di accertare l’eventuale rischio autolesionistico o di maltrattamenti da parte di terze persone;

in particolare, allo scopo di eliminare, in conformità a quanto auspicato dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt), il rischio di atti di violenza nei confronti delle persone detenute, specie al momento dell’arresto, sin dal giugno 1998, il D.A.P. ha disposto che i sanitari degli istituti penitenziari, ove accertino in sede di esame del detenuto o dell’internato la presenza di lesioni personali, hanno l’obbligo di annotare nel registro modello 99 (registro delle visite, osservazioni e proposte), oltre all’esito della visita effettuata, le dichiarazioni eventualmente rese dall’interessato in merito alle circostanze della subita violenza. Inoltre, lo stesso sanitario deve formulare le proprie valutazioni sulla compatibilità o meno delle lesioni riscontrate rispetto alla causa di esse dichiarata dal detenuto. In tutti i casi di lesioni riscontrate all’atto dell’ingresso in istituto, le annotazioni apposte nel registro modello 99, corredate da tutte le altre osservazioni utili, devono essere inviate immediatamente all’autorità giudiziaria per quanto di competenza;

inoltre, per facilitare la piena applicazione dei princìpi stabiliti nelle circolari, lo stesso Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha recentemente provveduto a realizzare una nuova versione del registro modello 99, già distribuita presso tutti gli istituti. Tale nuovo registro, a differenza di quello precedentemente in uso, è suddiviso in più colonne contenenti date e orari delle visite, generalità del detenuto, esame obiettivo, diagnosi e prognosi, proposte e prescrizioni, dichiarazioni rilasciate dal detenuto interessato, valutazioni del sanitario sulla compatibilità o meno tra le dichiarazioni e le risultanze dell’esame obiettivo. Vi è anche una colonna ove vanno annotate le determinazioni del direttore dell’istituto (in pratica la trasformazione di questo registro da modello aperto a modello contenente specifiche voci e, in particolare, l’introduzione tra queste ultime di quelle concernenti le dichiarazioni dell’interessato e le valutazioni del sanitario, serve a richiamare l’attenzione di questi sull’obbligo di annotare sul registro, in presenza di lesioni, tutti quegli elementi utili per l’accertamento dei fatti da parte dell’autorità giudiziaria);

- se i Ministri interrogati sono stati informati di quanto esposto in premessa e quali provvedimenti intendano adottare per verificarne la fondatezza;

- se, con riferimento al momento dell’ingresso in carcere delle persone accusate dello stupro di Guidonia, sono state scrupolosamente osservate dai sanitari le disposizioni relative alle corrette modalità di compilazione del registro 99, così come prescritto dalla circolare emanata dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria in data 16 maggio 2000;

- se le annotazioni apposte nel registro modello 99, corredate da tutte le altre osservazioni utili, sono state inviate all’autorità giudiziaria per quanto di competenza;

- se le registrazioni delle telecamere, che riprendono per 24 ore quanto avviene nei corridoi dei vari bracci, sono state inviate all’autorità giudiziaria per quanto di competenza, in particolare, per quel che riguarda le riprese nel braccio G12, quelle relative al periodo di quanto riportato in premessa;

- se i detenuti rumeni in questione, nel momento del loro ingresso in istituto e nel corso della esecuzione della misura cautelare, hanno potuto usufruire di un adeguato presidio psicologico e se il contenuto dei relativi colloqui è stato inviato all’autorità giudiziaria per quanto di competenza;

- quali provvedimenti i Ministri interrogati intendono adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, nel caso in cui i fatti indicati in premessa dovessero rivelarsi fondati;

- quali iniziative il Ministro della Giustizia intenda intraprendere per evitare che i maltrattamenti e le violenze, le umiliazioni e i soprusi continuino ad essere una delle componenti fisiologiche della vita carceraria, ciò anche sulla base delle preoccupazioni espresse dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura in occasione delle visite dallo stesso effettuate nel corso degli ultimi quindici anni nei nostri istituti di pena.

Giustizia: Assistenti Sociali preoccupati dal pacchetto-sicurezza

 

Comunicato stampa, 10 febbraio 2009

 

Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali manifesta una forte preoccupazione sul "Pacchetto sicurezza".

Il Ddl, tra i mille punti trattati, va a minare radicalmente uno dei principi cardine della politica sanitaria del nostro paese nei confronti dei cittadini stranieri, e il diritto fondamentale e universale alla salute, così come sancito dall’ articolo 32 della nostra Costituzione, tanto apprezzata a livello europeo.

Il cambiamento di rotta approvato ieri, se confermato dalla Camera, rischia di produrre un incremento della clandestinità, l’impraticabilità di forme di tutela sanitaria e di aiuto sociale, l’aumento di focolai di malattie trasmissibili con ripercussioni sulla salute collettiva.

Permettere ai medici la denuncia degli immigrati irregolari che si presentano alle strutture sanitarie per essere curati significa indebolire la tutela non solo della loro salute, ma anche quella dei loro figli. Provvedimenti che rendono ancora più precaria la condizione dei minori stranieri in Italia, non possono che destare allarme in quanti lottano giornalmente contro il loro sfruttamento. I bambini non hanno colpe e non hanno scelto di venire nel nostro Paese. Ma il nostro Paese ha il dovere di tutelarli proprio quando i loro genitori non sono in grado di farlo. Lo stesso rimpatrio assistito dei minorenni sfruttati nella prostituzione, in assenza di violazioni della legge e della finalità prioritaria del rimpatrio che è quella dell’unità familiare, è una violazione palese delle leggi comunitarie, di quelle italiane e delle Convenzioni internazionali. Uguale sgomento desta il progetto di "censimento" dei senza fissa dimora, che richiama alla memorie liste di proscrizione che speravamo ormai sepolte.

Al Senato ieri si è assistito ad un provvedimento che fotografa la situazione di disagio e di conflitto che sta attraversando il nostro Paese. Una fotografia che da cittadini, prima che da operatori del sociale, non avremmo mai voluto vedere.

 

Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali

La Presidente, Franca Dente

Lombardia; lite Lega-Forza Italia su polizia regionale e "ronde"

di Rodolfo Sala

 

La Repubblica, 10 febbraio 2009

 

Polizia lombarda alle dipendenze della Regione e ronde di cittadini che dovranno essere formati nella stessa Accademia preposta all’aggiornamento degli agenti. La Lega sente il vento delle elezioni e sulla sicurezza va avanti come un treno.

Anche a costo di dichiarare guerra ai suoi alleati. Come succede al Pirellone, dove il Carroccio sfida Formigoni e il Pdl presentando un progetto di legge che istituisce la Polizia regionale alle dipendenze di un super-assessorato - anzi, di un "ministero alla Sicurezza" - che dovrebbe coordinare il lavoro delle polizie locali, che ora dipendono da sindaci e presidenti di Provincia.

E a capo di questa direzione centrale i leghisti vogliono che ci sia il governatore, oppure un assessore da lui delegato. Ovviamente il testo prevede anche il riconoscimento formale delle ronde: "Abbiano concordato tutto con il ministro Maroni", assicura il capogruppo Stefano Galli.

Ma il progetto presentato ieri va ben oltre la normativa del 2003, che ha regolamentato le polizie locali e previsto l’istituzione dell’Accademia regionale. E i primi ad accorgersene sono gli alleati. Che sparano a zero. L’assessore alla Protezione civile Stefano Maullu, di Forza Italia, ritiene la proposta non solo "inutile perché il coordinamento tra i diversi corpi è già previsto dalla normativa in vigore", ma anche "incostituzionale dal momento che le polizie locali non possono essere in capo alla Regione".

Più che una voce isolata, un fuoco di sbarramento: tutti i forzisti insistono tra l’altro sui costi eccessivi che il varo del "poliziotto lombardo" comporterebbe, e con il capogruppo Paolo Valentini fanno capire che in consiglio regionale daranno battaglia per bocciare il progetto: "Tutto è migliorabile, ma in questo momento non si sentiva la necessità di riformulare completamente la legge attuale". "Una legge - aggiunge il capogruppo di An Roberto Alboni - che anche altre Regioni vogliono adottare".

E l’Udc (partito che i leghisti vorrebbero espellere dal centrodestra lombardo perché non ha votato in Parlamento il federalismo): "Si avvicina il voto e partono gli slogan, ma la strategia di chi soffia sul fuoco non ha senso). Le opposizioni sono sul piede di guerra e parlano di "propaganda per alimentare la paura". Ma i leghisti non mollano: "Noi andiamo avanti".

E di ronde è tornato a parlare ieri Roberto Maroni ai microfoni di Radio 24, ospite della trasmissione di Giuliano Ferrara. "Ma quale razzismo, i primi a istituirle sono stati i sindaci di sinistra, ma ovviamente se una cosa viene fatta dalla Lega, allora è razzista".

E comunque dopo l’approvazione del pacchetto sicurezza che le prevede, le ronde adesso sono una realtà: "Associazioni di cittadini che girano disarmati con il telefonino solo per segnalare situazioni di allarme". E magari, insiste Maroni, fossero state istituite prima: "Forse gli ultimi stupri non sarebbero avvenuti".

E sempre a proposito delle ultime misure varate in tema di sicurezza, il ministro invoca la fine delle "strumentalizzazioni": "Non c’è alcun obbligo per i medici italiani di denunciare i clandestini che hanno in cura, solo l’abrogazione di una norma del ‘98 che li obbligava invece a non denunciare".

Pisa: le celle invase dai topi e tre tentativi di suicidio in un mese

di Paola Zerboni

 

La Nazione, 10 febbraio 2009

 

Tre tentati suicidi sventati in extremis negli ultimi 25 giorni nel cosiddetto reparto "Terra A" del carcere Don Bosco, e 19 detenuti stivati costretti per quattro lunghi giorni a dividere con i ratti le dieci cellette del reparto "Terra A", invase di acqua per l’esplosione di alcune tubature sotterranee collegate con le fognature.

Uno scenario infernale quello a cui si è trovata di fronte, una settimana fa, la dottoressa Maria Antonietta Paolini, medico legale, uno dei sanitari che per conto dell’Asl presta la propria assistenza anche per i detenuti del carcere di Pisa. È stata proprio lei, dopo aver preso visione dello stato di degrado in cui versavano le celle del blocco "Terra A" - peraltro segnalato a più riprese anche dagli agenti della polizia penitenziaria - a prendere carta e penna per sporgere denuncia al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di Firenze.

"Le dieci piccole celle in cui erano stati destinati questi 19 detenuti, la maggioranza dei quali extracomunitari - spiega la dottoressa Paolini - erano in condizioni di estremo degrado. Si sente spesso parlare delle pessime condizioni delle carceri nel Sud America e nei Paesi del Terzo Mondo, ma è assurdo che scenari simili si vedano anche in un istituto penitenziario di piccole dimensioni qual è quello di Pisa. Non era tollerabile e così ho fatto denuncia. Non penso di aver fatto niente di straordinario, ho fatto solo il mio dovere di medico".

E l’indomani, ricevuta la denuncia, il dirigente sanitario del carcere, dottor Francesco Ceraudo, ha ordinato l’immediata chiusura del reparto e il trasferimento dei 19 detenuti nella prigione ospedale dell’istituto.

"Anche questo cameroncino - spiega la dottoressa -, è stato progettato per ospitare sei detenuti con gravi patologie e la capienza massima è di otto detenuti, quindi anche quella non è una sistemazione ottimane". L’emergenza ha infatti costretto la direzione del carcere a rinchiudere i detenuti sfollati, dove sono stati montati 19 letti a castello: un solo bagno, un unico lavandino. "Dopo la mia denuncia, l’ala del reparto "Terra A" interessata dalle infiltrazioni d’acqua e dall’invasione di ratti, è stata chiusa e mi risulta che siano già iniziati i lavori di ristrutturazione. I disagi ci sono ed è inutile nasconderli. Noi ci troviamo a lavorare in queste condizioni".

Milano: minori e violenze sessuali; carcere serve, ma non basta

di Enza Cusmai

 

Il Giornale, 10 febbraio 2009

 

Per il Presidente del Tribunale dei minori di Milano "bisogna far sentire il peso della sanzione, ma dico no alla prigione prima dei 14 anni".

 

Mario Zevola, Presidente del Tribunale dei minori di Milano, lei lo manderebbe il carcere il branco che ha violentato la ragazzina a Brescia?

"In linea teorica sì. Io non conosco il caso nei dettagli ma potrebbe essere necessaria una misura cautelare. È stato compiuto un atto gravissimo e il minore deve avvertire l’intervento delle istituzioni con tutta la loro autorevolezza. Compreso il peso della sanzione".

 

Aumentano i reati sessuali causati da minori sempre più giovani. In Francia hanno chiesto l’abbassamento dell’imputabilità a 12. Lei cosa ne pensa?

"Ritengo che i 14 anni siano la giusta età sulla quale misurare l’incapacità di intendere e di volere di un minore. Ma al di sotto di questa età c’è sempre la possibilità di mandare un minore in comunità. Il che non è poca cosa".

 

Perché?

"È vero che è una misura parapenale ma non è fissata una scadenza precisa".

 

Cioè il minore potrebbe restare in comunità per anni?

"Esatto, c’è una continua rivisitazione della sua condizione. Lui non ritorna in famiglia finché non ha acquisito la consapevolezza della gravità del suo gesto e non mostra pentimento per quello che ha fatto".

 

Quando si applicano le misure cautelali a un minore?

"Quando c’è il rischio d’inquinamento delle prove. Per esempio, il fatto che sia libero può portarlo ad alterare il quadro delle indagini. Oppure contattando degli suoi amici può crearsi un alibi. Si manda in carcere un minore anche se c’è pericolo di fuga, oppure se in ragione di quello che ha commesso, c’è un pericolo di reiterazione di un reato".

 

Se il ragazzo non entra in carcere minorile, dove finisce?

"Può essergli assegnata la permanenza in casa con l’uscita permessa solo per recarsi a scuola. Oppure il collocamento in una comunità. Non dobbiamo dimenticare che il sistema minorile non deve alterare gli aspetti educativi a cui è sempre finalizzata la pena".

 

Ma secondo lei un minore che commette un delitto così aberrante, può ancora nascondersi dietro l’alibi della minore età?

"Bisogna valutare com’è stato educato: quello che per l’adulto è scontato non è detto che lo sia per il minore. Ci sono processi evolutivi the possono alterare le normali capacità di intendere e di volere di un minore".

 

Per esempio?

"Ci sono passaggi nella minore età che possono portarlo a non differenziare il sé dagli altri e quindi lo mettono nella condizione di non rendersi conto che sta producendo una sofferenza a un altro. Insomma, è concentrato solo su se stesso e non si sente tenuto a rispettare il prossimo".

 

Attualmente abbiamo gli strumenti per arginare questi fenomeni?

"Se si pensa a uno strumento penale siamo lontani dall’obiettivo. La violenza minorile si diffonde a macchia d’olio e non fa distinzioni sociali né territoriali".

 

Quindi?

"Ci si deve interrogare sul perché siamo a questo punto: gli adulti che modelli propongono per questi ragazzi? Le famiglie spesso latitano nell’educazione, sono invisibili, non seguono i propri figli. I genitori non hanno il controllo del loro tempo, non sanno come crescono, a quali valori si ispirano. Dicono sempre di sì ai figli per tutelare la propria tranquillità e non essere disturbati. E alla fine li affidano a Internet, uno strumento utile ma pericoloso, che offre ai ragazzi la possibilità di mettersi in vetrina. Ma in questo modo diventano narcisisti e indifferenti al dolore del prossimo".

Genova: città più sicura, con bracciale Gps per donne e anziani

 

La Repubblica, 10 febbraio 2009

 

Ragazzi senza genitori che rischiano di vedersela con molestatori o con i bulli della classe, da soli o in banda. Le donne che lavorano di sera o di notte, o anche tutte quelle che escono da sole e non devono temere di tornare a casa. E infine i turisti, i crocieristi in particolare: che si fanno affascinare dalla città vecchia cantata da De André, ma che non troppo raramente ci si perdono o fanno qualche sgradito incontro.

Saranno loro, ha deciso il comune di Genova, a sperimentare il braccialetto elettronico, un sistema sofisticato - studiato da Telecom Italia su una tecnologia militare israeliana - che permette, schiacciando il pulsante rosso al centro del quadrante, di chiedere aiuto ad una centrale operativa, oltre che a tre numeri di cellulare memorizzati.

Se chi chiama non può parlare, sarà in ogni caso rintracciato dal satellite: perché il braccialetto porta con sé un trasmettitore Gps che indica da dove viene la chiamata, dirottando i soccorsi - vigili, polizia, carabinieri: chi è più vicino - sull’obiettivo; se è dentro una casa, si arriva almeno al portone. Una sperimentazione di tre mesi, dalla fine di marzo in avanti, su 35 apparecchi divisi tra le quattro categorie; poi, si vedrà se lanciarlo a chiunque desideri essere "tele-controllato".

Ma non c’è il rischio, insistendo così tanto sulla sicurezza e puntando sulla sperimentazione con i crocieristi, che una città come Genova dia di sé un’immagine negativa? In ogni città si corrono rischi. C’è una necessità, quella di dare risposte ad un senso di insicurezza crescente, anche se non sempre motivato; noi lavoriamo sulla prevenzione e sulla vivibilità, le forze dell’ordine e la magistratura facciano il resto. Non basta segnalare e far arrestare chi ti scippa, se dopo due ore è di nuovo in circolazione.

Il braccialetto elettronico - oltre a quello da polso, simile ad un vecchio maxi-orologio digitale, c’è un modello da portare al collo - lancerà allarmi che saranno raccolti prima di tutto dalla polizia municipale. E proprio i cantuné, come vengono chiamati i vigili urbani di Genova, saranno pronti a staccare multe salatissime - da 25 a 500 euro - a chi bivacca per strada o nei pressi dei monumenti e dei palazzi dello spettacolo, della cultura, dell’arte, nel centro e non solo; a chi fa pipì per strada (dito puntato verso i frequentatori della movida notturna nei vicoli) e a chiunque sporchi strade, scalinate,palazzi, in particolare mangiando e bevendo, ma anche a chi abbandona vestiti e coperte, o chiede insistentemente l’elemosina: e le prime critiche sono già arrivate. Si parla di degrado, ma si colpiscono i poveri e i senza casa, accusa Rifondazione.

Mantova: Convegno "La donna, da vittima ad autrice di reato"

 

www.saluteeuropa.it, 10 febbraio 2009

 

Affrontare il complesso problema della condizione femminile da più angolature e sfaccettature è stato l’obiettivo su cui si è incentrato il recente 3° congresso Nazionale che l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere, Presidio dell’Azienda Ospedaliera "C. Poma" di Mantova, ha organizzato, in collaborazione con la Società di Psichiatria Forense, sul tema "La donna da vittima ad autrice di reato".

Nei casi delle donne in esame, è emerso come, nella maggioranza dei casi, sia il denominatore comune del narcisismo "ferito", di una vita condotta all’insegna, spesso della sofferenza come "vittima silenziosa" da determinare disagio mentale ed anche reato. In questi casi le donne hanno subito privazioni, ingiustizie, iniziate nel lontano passato, ma che sono arrivate a segno, a distanza di tempo (delle vere "mine vaganti"), in reazioni incontrollate , gravi, irrazionali e senza una logica apparente.

In questo senso i reati commessi da personaggi femminili di alcune tragedie greche da "Clitemnestra a Medea", sembrano azioni assurde e incomprensibili se letti nell’attualità della loro consumazione. Invece, vanno interpretati in relazione agli eventi cruciali di ingiustizie subite nella loro anamnesi remota. Questi fatti apparentemente sopiti e sepolti nel lontano passato, sono, invece, ancora lì "vivi" e "brucianti" da diventare il motore di quelle azioni cruenti.

"Tenerne conto diventa la chiave della loro comprensione profonda - ha sottolineato il Prof. Rossi, nella sua lettura magistrale - la spiegazione di questi accadimenti non si deve fermare alla contingenza del momento reato, ma va letta nella sua dinamicità storica. L’argomento del crimine, delle distruttività e del trionfo della vittima nella psiche femminile, viene preso in esame … (attraverso)… l’iter nella tragedia greca che va da Clitemnestra, ad Elettra, ad Ecuba, e Medea (ed i loro autori Eschilo, Sofocle, ed Euripide).

Seguendo questo metodo si scopre la radice profonda … in cui non vi è pietà per nessuno, seguendo un fil rouge che va dalla vittima alla vendetta tremenda, tutto legato da una logica interna, emotiva e passionale, che fa luce sulle ragioni di tutti i delitti. E si scopre, con stupore, che il tragico greco è l’unico ad andare al di là delle comode soluzioni nosologiche e sociologiche, per arrivare nel nucleo profondo, propriamente psichiatrico e psicologico, che rappresenta il motore centrale, il denominatore e la via finale comune di questi comportamenti anormali altrimenti incomprensibili".

Avverte quindi che questa è la via in cui "lo psichiatra può sperare di intervenire e lo psichiatra forense poggiare la sua valutazione". Quindi rimanda, come base profonda per la comprensione di questi casi, al narcisismo attraverso la psicologia del sé secondo le ipotesi Kohutiane".

Il Prof. G. Nivoli, tra i temi trattati, ha analizzato una serie di comportamenti femminili in cui la donna non è vista né come autrice di reato, né come di vittima (nel senso stretto del termine) ma la definisce come "vittima per vocazione". In queste predomina un comportamento fortemente ambiguo, facilmente riscontrabile nella pratica clinica, ma anche nella vita reale. Nivoli ha espresso in maniera magistrale situazioni che potrebbero essere definite, parafrasando Freud, di "psicopatologia di vita quotidiana" in cui la donna in una sorta di "sado-masochismo" al negativo, è autrice della manipolazione della relazione e finisce per essere anche vittima di sé stessa e del sistema che "inconsciamente" crea.

Particolarmente significativa è stata l’angolazione cha hanno offerto i relatori esperti nella patologia di genere nella comprensione della diversità del mondo femminile, dal punto di vista neuroendocrino e neurofisiologico. Infatti sono emerse alcune peculiarità, in tal senso, trascurate da sempre nella donna, che solo da qualche decennio sono state rivalutate e poste all’attenzione della comunità scientifica. Per la loro specificità neurofisiologica, ma soprattutto per decifrare meglio i loro comportamenti, gli autori hanno fornito una nuova e reale chiave di lettura dei loro comportamenti "normali" e " patologici".

Si deduce, infatti che la donna per effetto della fluttuazione e/o disfunzione della secrezione degli ormoni steroridei (estrogeni e progestinici) è assoggettata ad una maggiore vulnerabilità a variazione del tono dell’umore, come conseguenza della ridotta plasticità funzionale di differenti popolazioni neuronali implicate nella regolazione della sfera emozionale, affettiva e dei processi cognitivi.

Della complessità del "diventar donna", più che per l’uomo, è stato il prof. Guazzelli, che ha ricordato il pensiero di Sigmond Freud agli inizia del ‘900. Infatti, nella sua ricostruzione, la donna, va incontro ad "un processo molto più complesso di quello maschile, in quanto deve spostarsi dal suo primo oggetto d’amore , la madre, al padre e sulla via di questo abbandono deve elaborare vissuti ed esperienze più radicali prima di arrivare ad una sua identità.

La donna condivide con l’uomo solo l’adolescenza, nota per lo sconvolgimento che produce su tutta la personalità, ma per il resto, in perfetta solitudine, la sua stabilità è minata da una serie di mutamenti ciclici e di più lungo termine come il menarca, il ciclo mestruale, la gravidanza ed infine la menopausa. L’attraversare questi punti cruciali, significa affrontare un processo profondo, a livello intrapsichico che relazionale, sia con sé stessa, con la famiglia e con la società.

È evidente che se alle peculiarità neurofisiologiche e neuroendocrine della donna (vulnerabilità legata alle fluttuazioni e/o disfunzioni della secrezione degli ormoni steroridei) si assommano i molteplici ruoli familiari e sociali, che sono marcatamente più determinanti, specialmente senza il supporto adeguato in comprensione ed aiuto, la donna diventa, suo malgrado, "vittima" di malattie più specifiche così come segnala l’Oms.

Dalla neuroscienza, alla clinica, al reato: la donna che uccide la propria prole è il reato che colpisce l’opinione pubblica in quanto sentito "contro natura", anche se è stato sempre presente in tutte le civiltà ed epoche storiche. Nel corso dell’incontro diversi relatori hanno voluto apportare elementi significativi per una maggiore comprensione del problema.

"Rimane tuttavia elevato il rischio di non riconoscere e trattare le numerose patologie che si possono verificare nella donna, dal post parto in poi - ha affermato il Direttore del Presidio Opg di Castiglione delle Stiviere dott. Antonino Calogero -.

È necessario organizzare efficaci azioni di screening, come avviene in molte altre nazioni, al fine di intervenire in modo efficace nei casi di depressione e psicosi puerperali che devono essere considerate delle vere emergenze psichiatriche. Nei casi gravi l’intervento deve avvenire in ospedale al fine di prevenire conseguenze spiacevoli sia per al donna che per il bambino".

Dai dati in letteratura, emersi anche nel congresso, i reati commessi nell’ambito familiare, legati ad una patologia psichiatria, sono in aumento. I dati forniti dall’Eures e Ansa del 2007, relativi all’anno 2005, testimoniano come gli omicidi in famiglia hanno superato quelli della criminalità organizzata. "Se è vero che le organizzazioni criminali hanno fatto registrare una diminuzione degli omicidi, questo si è verificato per una loro convenienza interna di turbare meno possibile l’opinione pubblica (e agire più indisturbati in crimini più redditizi) ma egualmente, gli omicidi in famiglia, in cui la causa è il disagio psichiatrico, sono realmente in aumento - ha messo in evidenza il dott. Calogero -.

La famiglia non è il luogo più sicuro per i loro componenti, anzi viene fuori un quadro meno idilliaco della famiglia che, in alcuni casi, non solo non protegge e tutela, ma diventa il luogo dove si compiono i peggiori crimini ai danni di uno o più componente che vi appartengono.

Sono stati presi in considerazioni i comportamenti aggressivi delle donne affette da Disturbi di Personalità (dati preliminari di una ricerca in corso presso l’Opg di Castiglione delle Stiviere). Questi casi sono rappresentati, in particolare, da Disturbo narcisistico o border-line di Personalità ed è stato correlato il reato grave (per lo più omicidio) con l’imputabilità. La valutazione dei profili delle varie dimensioni della personalità di questi soggetti permettono di identificare la natura ed il ruolo di fattori di rischio capaci di interferire negativamente nel loro equilibrio personologico, nel passaggio all’atto. (Prof. C. Maffei). Disturbo di personalità e Psicopatia al femminile è in aumento sui reati gravi contro la persona (dati preliminari di una ricerca in corso presso l’Opg di Castiglione delle Stiviere). (Prof. A. Fossato).

È stata poi sviluppata una correlazione importante tra impulso e l’evoluzione nosografica di questa nozione fino all’attuale sua collocazione clinica ed i delicati meccanismi psicogenetici e psicodinamici che accanto a quelli strettamente psicopatologici, possono caratterizzare i reati di infanticidio e figlicidio. (Prof. U. Fornari).

Sostiene l’autore che la donna figlicida costantemente si presenta all’osservazione clinica come persona immatura, per una non riuscita relazione madre-figlia e per intense note di "dipendenze" che rimandano ad una non perfetta riuscita della fase di separazione-individuazione ed a cascata tutti gli altri processi di scarsa maturazione successiva. Precisa l’autore che questo vissuto di deprivazione affettiva non è sempre oggettiva, non coincide, necessariamente, con un comportamento di incuria della madre. A questi elementi d’immaturità nelle madri figlicide, si aggiungono altri due elementi importanti: l’incapacità di far fronte ai compiti materni (identificazione con il ruolo materno non adeguato) e la forte componente di ambivalenza.

Molteplici altri interventi hanno contribuito a rendere vivo e pieno di spunti il congresso, toccando temi delle madri private della loro libertà personale e lo sforzo in ambito penitenziario di migliorare le sorti dei loro figli reclusi "innocenti", anche loro. (Prof.ssa P. Comucci). Ma anche la violenza di cui la donna è vittima da parte dei mariti, conviventi ma soprattutto dai loro ex (gli "adulti-bambini") che non riescono a tollerare ed elaborare il lutto della separazione (ferita narcisistica irrimediabilmente aperta) che finiscono per diventare stalker, fino all’omicidio (Prof.ssa I. Merzagora "Meglio sole che male accompagnate". Ma anche significativa è stata la sezione dedicata alla psicofarmacologia di genere nella terapia delle donne (Prof. C. Mencacci e Dott. G. Cerveri).

Interessante è stata infine la relazione del Dott. E. Straticò (Responsabile della Struttura complessa Area Maschile dell’OPG di Castiglione), che ripercorrendo le lettere dell’alfabeto, in maniera originalissima è riuscito a rappresentare la complessa realtà odierna della struttura e gli impegni programmatici che caratterizzano, in particolare, l’attività istituzionale nel 2009.

Un grandissimo ringraziamento va a tutti quegli autori che purtroppo non riesco a citare nella presente conclusione, per questioni di spazio, ma le cui relazioni sono state altrettanto importanti e significative e che spero, a breve, di potere pubblicarne gli atti. La loro presenza testimonia il legame professionale e l’amicizia che ci lega e contribuisce alla riuscita del congresso dell’Opg di Castiglione delle Stiviere, giunto, dal 2004, alla terza edizione. Questo mi da l’incoraggiamento a continuare la tradizione di riproporre questo avvenimento con un a cadenza biennale (il prossimo tra il 2010 e il 2011). Un grazie particolare va alla Prof.ssa Liliana Lorettu come presidente della Società di Psichiatria Forense ed al Prof. Giancarlo Nivoli, con i quali ho condiviso i momenti salienti dell’organizzazione di questo convegno.

Ma il congresso è stato anche teatro di presentazione delle strategie terapeutiche, riabilitative ed assistenziali offerte dalle varie equipe dell’Opg di Castiglione delle Stiviere. L’alta specializzazione raggiunta nella cura e recupero dei pazienti psichiatrici autori di reato è frutto di anni di lavori in cui si sono affinate le tecniche e si è creato una cultura di intervento specifico in psichiatria forense. Questa specifica modalità di lavoro in rete con i vari Dsm di appartenenza dei pazienti e le altre agenzie che intervengono sul disagio, l’attenzione rivolta verso i familiari e le varie Associazioni di volontariato presente nel territorio italiano, fanno dell’OPG una struttura di avanguardia in campo nazionale.

La struttura di Castiglione delle Stiviere si distingue inoltre per essere completamente sanitaria, quindi senza agenti di polizia penitenziaria, ma solo personale sanitario afferente al Ministero della Salute e con l’unica sezione femminile d’Italia presente al suo interno. L’Opg di Castiglione ha anticipato il Dpcm del 1 aprile 2008 nell’essere completamente a carico del Ministero della Salute e nell’erogare parità di servizio ai pazienti giudiziari rispetto a quanto viene fatto in ambito civile.

Ha chiuso il congresso la tavola rotonda sul decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm del 1 aprile 2008) che ha sancito il passaggio della Medicina Penitenziaria dal Ministero della Giustizia al Ministero della Salute e quindi alle Regioni e Dsm competenti per territorio. I relatori presenti hanno dato tutti un valido contributo sullo stato dell’arte della realizzazione di questo decreto.

È ormai riconosciuto da tutti che lo spirito del decreto è stato di una importanza tale da paragonarlo ad altri movimenti di trasformazione (come la legge 180). Purtroppo - ha aggiunto Calogero - all’enunciato non ha seguito così automaticamente la realizzazione, che anzi ha registrato un passaggio indietro: la presenza dei direttori amministrativi nei quattro Opg di Aversa, Napoli, Montelupo e Reggio Emilia. Ad eccezione di Barcellona Pozzo di Gotto che gravita sulla Sicilia che è una Regione a Statuto speciale che non ha aderito al Dpcm e di quello di Castiglione delle Stiviere (Opg Sanitario) che all’opposto ha realizzato in pieno, perché già così strutturato e gestito, tutti i principi del Dpcm. Infatti, se fosse superabile il problema dei costi, tutti gli altri potrebbero diventare "Opg" a modello di Castiglione.

Lo stato dell’arte comunque vede un ritorno indietro, con aumento del numero dei pazienti nei 6 Opg, la direzione di quattro Opg gestiti da un direttore Amministrativo, che seppure professionalmente validi, sono delle figure inadatte a gestire una struttura che dovrebbe muoversi verso l’ambito sanitario. Vede anche una spaccatura tra nord e sud sul recepimento del Dpcm che, a parte Barcellona che non l’ha proprio recepito, nelle altre due strutture il Dap non ha tutelato gli ex-direttori, rimasti in balia di se stessi.

Infine l’Opg di Castiglione rimane un "Osservatorio nazionale" per l’esecuzioni delle misure di sicurezza per le donne autrice di reato, ritenute non imputabilità per vizio totale o parziale di mente, in grado di monitorare l’andamento nazionale dei reati al femminile in considerazione della specifica patologia di genere emersa nel Congresso.

Livorno: la riapertura del supercarcere a Pianosa è inaccettabile

 

Il Tirreno, 10 febbraio 2009

 

"L’ipotesi che l’isola di Pianosa torni ad ospitare un carcere di massima sicurezza - è inaccettabile". Lo ha dichiarato l’assessore provinciale al turismo di Livorno, Fausto Bonsignori.

"Sarebbe un inconcepibile ritorno al passato, dove questo splendido patrimonio ambientale, culturale e turistico diventerebbe, di fatto, inaccessibile. È facile - prosegue la nota - immaginare le inevitabili conseguenze negative sul delicato equilibrio ambientale che tale intervento comporterebbe. Pianosa è divenuta, nel tempo, una nota meta turistica, ricca di ulteriori potenzialità.

Potenzialità per uno sviluppo turistico di qualità e sostenibile, che tenga conto di un patrimonio di risorse ambientali unico nel suo genere, e per questo prezioso e delicato". Nel corso del 2007, grazie a visite guidate e regolamentate, sono arrivati sull’isola ben 12.500 turisti. "Impedire questi flussi è - conclude l’assessore - sicuramente un danno sia per coloro che, con la dovuta attenzione, desiderano visitare questa splendida isola, sia per l’economia dell’arcipelago.

Il Decreto sulla sicurezza, approvato di recente in Senato, non identifica le sedi scelte, ma si fanno insistenti le "voci" che si riferiscono a Pianosa e all’Asinara. Questo è il momento per far sentire le "nostre voci". Invito, quindi, tutti coloro che a vario titolo sono interessati, istituzioni e associazioni di categoria in primis, ad esprimersi e far arrivare nelle sedi opportune le ragioni del dissenso su questa ipotesi".

Messina: madre detenuto; fate rioperare mio figlio… o muore!

 

Apcom, 10 febbraio 2009

 

Operato per peritonite acuta, dimesso dopo una settimana e riportato in carcere per la convalescenza, da quasi un anno peggiorerebbe di giorno in giorno. E adesso la madre, Anna Ventura, vedova, chiede di poter far rioperare il figlio, Antonino Caruso. E così, con una missiva, inviata il presidente del Csm, la donna che vive a Belpasso, nel Catanese, sostenendo che il figlio rischia di morire,e per questo chiede l’intervento del Csm sostenendo che fino ad ora le richieste dei legali, sono sempre state respinte dai giudici di sorveglianza. Da circa 2 anni, Antonio Caruso si trova recluso nel carcere di Messina.

Milano: clochard muore in stazione, è ottavo decesso nel 2009

 

Corriere della Sera, 10 febbraio 2009

 

Si allunga il triste elenco dei senzatetto deceduti in strada durante questo difficile inverno: quello di oggi è l’ottavo caso dall’inizio del 2009. Questa mattina intorno alle 7.10 una passeggera ha notato, sdraiato nella galleria di testa, un uomo presumibilmente italiano e di un’età approssimativa di 70 anni. La donna ha allertato gli agenti della polizia Ferroviaria, che l’hanno svegliato cercando di convincerlo a ripararsi al caldo. Nonostante l’uomo non volesse l’intervento dei medici, di fronte alle sue condizioni gli agenti hanno chiamato comunque il 118.

L’ambulanza intervenuta ha trasportato in codice rosso l’anziano clochard all’ospedale Fatebenefratelli, dove è però giunto già morto. Il referto medico parla di arresto cardio-circolatorio. A quanto è possibile ricostruire, l’uomo non aveva con se alcun documento d’identità. Secondo uno studio effettuato dai ricercatrici dell’Università Bocconi, Michela Braga e Lucia Corno, all’inizio del 2008 i senzatetto di Milano sono circa 4mila: 408 vivono in strada, 1.152 accettano l’alloggio nei dormitori e circa 2.300 sono nelle baraccopoli.

Il problema dei senzatetto vittime del freddo e degli stenti a Milano ha sensibilizzato molte persone, tra cui un gruppo di intellettuali e personaggi dello spettacolo che hanno dato vita alla campagna "Basta con il crimine dell’indifferenza". Venerdì scorso davanti a Palazzo Marino si è svolto un presidio a favore dei clochard, con la partecipazione tra gli altri del premio Nobel Dario Fo e di sua moglie, l’attrice Franca Rame. I promotori della campagna hanno lanciato alcune proposte: aprire di notte le stazioni della metropolitana, destinare una quota degli immobili sequestrati alla mafia all’accoglienza dei clochard, creare strutture per l’accoglienza con regolamenti "meno rigidi che altrimenti respingono le persone".

Immigrazione: Ue; chiudere Centri d'Accoglienza non adeguati

 

Parlamento Europeo, 10 febbraio 2009

 

Dalle visite realizzate in alcuni centri d’accoglienza sono emerse condizioni di ritenzione intollerabili dal punto di vista igienico, della promiscuità e delle strutture.

Il Parlamento Europeo sollecita quindi la chiusura di tutti i Centri che non soddisfano le norme vigenti. Chiede anche ai governi di stilare una relazione annuale e di istituire un mediatore nazionale dei centri.

Auspica poi un sistema d’ispezione permanente e uno strumento di solidarietà per i paesi con maggiori flussi migratori. Tra il 2005 e il 2008 delle delegazioni della commissione per le libertà civili hanno visitato alcuni centri di permanenza temporanea in Italia (Lampedusa), Spagna (Ceuta e Melilla e Isole Canarie), Francia (Parigi), Malta, Grecia, Belgio, Regno Unito, Paesi Bassi, Polonia, Danimarca e Cipro. Approvando con 487 voti favorevoli, 39 contrari e 45 astensioni la relazione di Martine Roure (Pse, Fr), il Parlamento ricorda anzitutto che i diritti fondamentali, quali il diritto a una vita dignitosa, la tutela della vita familiare, l’accesso alle cure sanitarie e il diritto d’appello "devono essere costantemente garantiti".

Deplora quindi che alcune visite effettuate "abbiano dimostrato che le direttive vigenti erano ancora male applicate o non erano applicate da alcuni Stati membri". Infatti, in taluni casi, senza citare quali, i deputati hanno constatato che le condizioni di ritenzione "erano intollerabili dal punto di vista igienico, della promiscuità, delle strutture disponibili" e che le persone trattenute "non erano sistematicamente informate della loro detenzione amministrativa, dei loro diritti e dello stato di avanzamento dei loro dossier".

Chiede quindi alla Commissione di adottare le misure necessarie per garantire la trasposizione e il rispetto delle direttive e che "siano chiusi al più presto tutti i centri che non soddisfano alle norme vigenti". Il Parlamento invita inoltre gli Stati membri a pubblicare una relazione annuale in merito al numero, alla collocazione, a numero di persone trattenute e al funzionamento dei centri di ritenzione chiusi.

E li sollecita a garantire un controllo periodico di tali centri e delle condizioni in cui sono trattenute le persone al loro interno istituendo la figura di un mediatore nazionale responsabile dei centri di ritenzione. Li invita poi a migliorare i contatti con il mondo esterno, anche permettendo visite regolari, estendendo l’accesso al telefono e generalizzando a talune condizioni l’accesso gratuito a Internet e ai mezzi d’informazione di massa in tutti i centri. Chiede inoltre alla Commissione di istituire, in cooperazione con il Parlamento europeo, un sistema di visite e di ispezioni permanente.

I deputati invitano poi gli Stati membri a dare prova di una maggiore solidarietà con i paesi che sono maggiormente confrontati con le sfide dell’immigrazione. Una solidarietà, è precisato, "che non sia solo tecnica e/o finanziaria". In proposito, chiedono alla Commissione di studiare la possibilità di proporre uno strumento europeo di solidarietà inteso ad alleggerire l’onere degli Stati membri con frontiere esterne che ricevono un elevato numero di rifugiati.

Tale strumento dovrà essere "fondato sul principio del rispetto dei desideri dei richiedenti asilo che garantisca loro un elevato livello di protezione". Accogliendo con favore la proposta di rifusione della direttiva 2003/9 che ha l’obiettivo di garantire standard più elevati in materia di accoglienza per i richiedenti asilo e di consentire una maggiore armonizzazione delle disposizioni nazionali in materia di condizioni di accoglienza, i deputati plaudono all’idea di estendere il campo di applicazione della direttiva alla tutela sussidiaria al fine di garantire che lo stesso livello di diritti sia applicato a tutte le forme di protezione internazionale.

 

I principali problemi riscontrati, in dettaglio

 

Il Parlamento deplora che la capacità dei centri di accoglienza aperti da taluni Stati membri "sia scarsa e non sembri soddisfare i bisogni dei migranti" e chiede che l’accoglienza dei richiedenti asilo sia effettuata in via prioritaria "in centri di accoglienza aperti piuttosto che in unità chiuse", sull’esempio di quelli già esistenti in taluni Stati membri.

Deplora inoltre che gli Stati membri ricorrono sempre più alla detenzione amministrativa, sottolineando che questa "deve essere una misura di ultima istanza per il periodo più breve possibile e soltanto nei casi in cui non sia possibile applicare misure meno coercitive e sulla base di una valutazione individuale di ciascun caso".

Nel ricordare poi l’obbligo di garantire l’accesso alle procedure relative alla domanda di asilo, ritiene necessario giungere ad un "giusto equilibrio" tra rapidità delle procedure, assorbimento dell’arretrato e giusto trattamento di ogni singolo caso, in particolare per le procedure accelerate.

A questo proposito, i deputati osservano che l’informazione sulle procedure, in gran parte scritta e con termine molto brevi, può rappresentare "un ostacolo all’esercizio effettivo" dei diritti dei richiedenti asilo. Chiedono pertanto di mettere loro a disposizione opuscoli illustrativi di tutti i loro diritti nelle principali lingue internazionali.

Esortano poi gli Stati membri a garantire un servizio di interpretazione "pubblico e gratuito", se necessario per telefono o Internet, vista la mancanza osservata in alcuni dei centri visitati. Incoraggiano quindi gli Stati membri ad avvalersi dell’assistenza finanziaria del Fondo europeo per i rifugiati per migliorare l’accesso all’informazione.

Il Parlamento deplora poi che l’accesso all’assistenza giuridica gratuita per i richiedenti asilo e gli immigrati irregolari detenuti "sembri ristretta e si limiti talvolta ad un elenco di nomi di avvocati, col risultato che le persone che non dispongono dei mezzi finanziari adeguati restano prive di assistenza". Pur compiacendosi del lavoro realizzato dalla Ong in questo campo, ritiene che esse non possono sostituirsi alle responsabilità degli Stati che sono quindi esortati a garantire l’accesso a un’assistenza e/o a una rappresentanza giuridica gratuita qualora il richiedente asilo non possa sostenerne i relativi costi.

Sull’accesso alle cure sanitarie, i deputati deplorano che "nella maggioranza dei centri di ritenzione visitati", i richiedenti asilo e i migranti "si lamentino sistematicamente dell’insufficienza e dell’inadeguatezza delle cure mediche, delle difficoltà di consultare i medici o di comunicare con loro, della mancanza di cure specifiche (in particolare per le donne incinte e le vittime di torture) e di medicinali appropriati".

Chiedono quindi agli Stati membri di estendere la copertura medica attualmente offerta ai richiedenti asilo e ai migranti "affinché non resti limitata alle cure di emergenza" nonché di garantire un sostegno psicologico e cure psichiatriche. Per quanto riguarda i minori, il Parlamento esorta gli Stati membri a istituire organismi indipendenti incaricati ufficialmente di monitorare gli standard e le condizioni nei centri di ritenzione chiusi nonché di attuare un sistema ufficiale di controllo. Più in generale, chiede che la ritenzione dei minori "sia vietata in linea di principio" e che il ricorso alla ritenzione dei minori con i loro genitori "abbia carattere eccezionale e miri a garantire l’interesse superiore del fanciullo".

In ogni caso, gli Stati membri devono garantire ai minori il diritto all’istruzione e allo svago. Per ogni minore non accompagnato andrebbe nominato un tutore legale indipendente che provveda alla sua protezione. I deputati chiedono poi alla Commissione e agli Stati membri di istituire un meccanismo armonizzato ed affidabile di identificazione dei minori non accompagnati nonché regole comuni concernenti gli accertamenti di età.

Droghe: arrestato per 2 "canne", 17enne detenuto a Catanzaro

 

L’Unità, 10 febbraio 2009

 

Basta un giorno. Un passato e un presente già complicati. E il futuro può essere inghiottito da una sentenza. Un giorno Simone, un ragazzo romano di 17 anni, incensurato, è in giro per la città con la sua ragazza. Prende la metropolitana: all’uscita viene fermato da due carabinieri in borghese che lo osservano da un po’.

Simone viene accusato di aver ceduto una "canna" a una persona. Dunque spaccio. È l’8 ottobre del 2008. Da allora Simone si trova sottoposto a misure cautelari; a dicembre viene mandato in una comunità per minori in provincia di Catanzaro, in attesa di una perizia psichiatrica. E della nuova decisione del Tribunale dei minori.

Quello che ha portato Simone a 600 chilometri di distanza, in compagnia di altri ragazzi detenuti o affidati ai servizi sociali, ma soprattutto in cura con psicofarmaci, è una sentenza di primo grado. Il giudice infatti ha deciso per questa soluzione, considerate le sue difficoltà famigliari: la madre è morta quando era piccolo, il padre è un ex tossicodipendente, con problemi psichiatrici, giudicato inidoneo ad accudirlo. L’8 ottobre una volta fermato Simone viene perquisito, poi viene setacciata l’abitazione di suo padre, nonostante lui non viva lì. Quello che gli viene trovato è un pezzetto di hashish, per una quantità di principio attivo pari a 0,368 mg: nemmeno due "spinelli". Una quantità tollerata come consumo personale anche dalla legge in vigore (Fini-Giovanardi).

Eppure Simone viene immediatamente portato presso il Cpa (Centro di prima accoglienza) Virginia Agnelli, lo stesso in cui è detenuto il 16enne di Nettuno accusato di aver picchiato e incendiato un cittadino indiano. Qui, intimorito, firma l’accusa a suo carico: detenzione ai fini di spaccio e resistenza a pubblico ufficiale.

"In ogni caso - dice l’avvocato Francesco Romeo che segue il caso - data la quantità irrisoria e il fatto che Simone è minorenne ed incensurato la prassi comunemente adottata in processi di questo tipo per i minori, sarebbe quella di chiudere il caso senza alcuna conseguenza, con la formula giuridica della ‘irrilevanza penale del fatto".

Ma la giustizia fa il suo corso e a gennaio arriva il giorno del processo di primo grado: il pubblico ministero chiede una condanna a 5 mesi e 10 giorni, la difesa chiede l’irrilevanza penale del fatto o il perdono giudiziale.

La conclusione sembra vicina ed anche la libertà di Simone a portata di mano. Invece il giudice Domenico De Biase, del Tribunale per i Minorenni di Roma, dispone una perizia psichiatrica su Simone e lui deve ancora rimanere in comunità.

Così facendo il Tribunale protrae strumentalmente l’applicazione di misure cautelari in un caso - pena inferiore ai 2 anni qualora ci sia condanna - che la legge vieta. "Un caso gravissimo di abuso della misura cautelare - denuncia Romeo - poiché la permanenza di Simone nella comunità per minori equivale a tutti gli effetti agli arresti domiciliari, ad una condizione di privazione della libertà personale, che per la nostra costituzione è un principio inviolabile".

Così Simone passa le sue giornate lontano dai pochi affetti; dalle persone che possono aiutarlo. E sottoposto a visite mediche, udienze civili e penali. "Per la giustizia e la mentalità degli assistenti sociali che si sono occupati del caso, porta impresso un marchio negativo.

Il suo ‘marchiò, in sostanza, deriva dall’essere stato in passato, per questa situazione familiare, affidato ai servizi sociali - dicono gli amici - e adesso non sta certo meglio. Alcuni operatori che sono andati a trovarlo in comunità ci hanno detto che là non fa niente. Non c’è nulla di organizzato: né laboratori, né lavori. Però gli danno psicofarmaci e non sappiamo nemmeno perché".

Ci sarebbero state almeno un paio di famiglie disposte ad accogliere Simone, a dargli domicilio presso le loro case. Ma il giudice ha deciso diversamente: no alla scarcerazione, no ai domiciliari, sì al centro di accoglienza. Lontano centinaia di chilometri.

"Anche la sfortuna - commentano i ragazzi del Laboratorio Sociale Tana Liberi Tutti - oggi, esattamente come la povertà dei migranti e dei senza tetto, è considerata un reato che vale la schedatura come soggetto potenzialmente criminale. Nel caso di Simone lo Stato, invece di affidarlo a una famiglia - come richiesto dalla difesa che aveva anche presentato più famiglie disposte ad accoglierlo - pensa bene di dargli anche il marchio di "instabile mentale".

Tale ulteriore beffa proprio non va giù agli amici di Simone: "Perché se oltre a non avere la "famiglia del Mulino Bianco" ti interessi di quello che accade intorno a te, per di più tuo padre ha disturbi psichici, si presume che non solo sei un criminale, ma anche un pazzo".

Nei prossimi giorni Simone verrà raggiunto a Settingiano dal perito della difesa, chiamato dagli amici di Simone. Intanto per sostenere le spese legali gli amici lanciano due appuntamenti: venerdì 13 febbraio, a partire dalle 20.00 un aperitivo. Martedì 17 febbraio, sempre a partire dalle 21.00, cena e dibattito con l’avvocato Francesco Romeo, che darà gli ultimi aggiornamenti sulla vicenda processuale del ragazzo. Tutti invitati al Laboratorio Sociale Tana Liberi Tutti. Mentre Simone aspetta.

Brasile: giudici favorevoli, è più vicina l’estradizione di Battisti

 

Corriere della Sera, 10 febbraio 2009

 

La maggioranza dei giudici del Supremo Tribunal Federal sarebbe favorevole a riconsegnarlo all’Italia.

Inizia a sgretolarsi il muro brasiliano attorno a Cesare Battisti. Il destino dell’ex terrorista dei Pac è tornato incerto nelle ultime ore, alla vigilia delle riunioni decisive del Supremo Tribunal Federal, l’alta corte del Brasile. Secondo indiscrezioni rilanciate da vari organi di stampa, i giudici sarebbero divisi, con una probabile maggioranza, di cinque su otto, a favore dell’estradizione.

La sfida al governo Lula - che ha concesso asilo politico a Battisti - avverrebbe attraverso una eccezione di costituzionalità, e la questione potrebbe essere risolta all’ultimo voto, magari dopo più di una seduta. A quel punto, se dovessero davvero prevalere i no al governo, le chance per l’Italia di ottenere l’estradizione aumenterebbero notevolmente.

Da sfida politica tra Italia e Brasile, la vicenda si è trasformata in una questione giuridica tutta interna al Paese sudamericano. Le pressioni da Roma non hanno sostanzialmente fatto cambiare idea al governo Lula, e tanto meno al ministro della Giustizia Tarso Genro, ma hanno messo in luce una contraddizione che covava da tempo: l’impossibilità per l’alta corte di decidere su una richiesta di estradizione in presenza di una decisione politica quale è l’asilo concesso a Battisti dal governo. Tipico caso di non autonomia tra due poteri dello Stato. Per questo, nei prossimi giorni i giudici favorevoli alla consegna del detenuto all’Italia dovranno mettere in dubbio la costituzionalità di una legge del ‘97 sulla concessione del rifugio, e da qui pronunciarsi a favore dell’estradizione.

La questione è assai controversa tra giuristi, indipendentemente dall’opinione di ciascuno sulle ragioni addotte da Battisti per restare in Brasile, dalla proclamazione di innocenza alle condizioni di salute. È certo che molti in Brasile non hanno gradito gli attacchi del governo Lula all’Italia contenuti nella vicenda Battisti, dalla lettura dei nostri "anni di piombo" fino alla presunta "persecuzione" alla quale l’ex terrorista andrebbe incontro. Un certo peso l’ha avuto anche l’opinione pubblica e una buona fetta dei media, sempre pronti a bersagliare Lula sui rigurgiti di sinistrismo. Lui, il presidente, ha detto giorni fa che accetterà qualunque decisione del Supremo. Il che comunque non gli eviterà un certo imbarazzo.

Sua dev’essere la firma finale per consegnare Battisti all’Italia e, di conseguenza, inevitabile lo smacco per il ministro Genro, che potrebbe a quel punto presentare le dimissioni. Lo scenario positivo per l’Italia potrebbe offuscarsi solo in caso di nuovo ricorso di Battisti, con una nuova richiesta di asilo politico e l’iter che ricomincia. Ma l’imputato dovrebbe presentare in questo caso "elementi nuovi", mossa non facile per la sua difesa. Altri escamotage per salvare la faccia al governo sono possibili, quali il congelamento del processo di estradizione, mentre proseguirebbero la detenzione di Battisti e l’esame separato dei vari processi. Per l’Italia non è ancora ora di cantare vittoria, ma tra i legali brasiliani che si occupano del caso si respira un certo ottimismo.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

Precedente Home Su Successiva