Rassegna stampa 7 dicembre

 

Giustizia: giovani immigrati nel carcere che fa perdere se stessi

di Fabrizio Dentini

 

www.linkontro.info, 7 dicembre 2009

 

Stephanie è figlia di militare. Viene da un paese dell’Africa nera, la Nigeria, che nel 1980, anno della sua nascita, organizzava e vinceva la coppa delle nazioni africane. Lo stesso paese che, protettorato e colonia britannica, diveniva indipendente nel 1960 per martirizzarsi poi in una sanguinosa guerra civile. Stephanie aveva tre anni e il suo paese era governato dal Consiglio Militare Supremo. La ragazzina che cresce è per il padre fonte di scrupoli e preoccupazioni, la vorrebbe a scuola, al mercato e subito a casa.

Il padre autoritario e intransigente è per Stephanie, ormai grandicella, un ostacolo alla propria indipendenza. Le loro strade si separano: è il momento di partire per l’Europa.

Quando arriva in Italia sceglie una città del nord e, inseritasi nella comunità di compaesani, comincia a lavorare. Stephanie ha vent’anni, quando per la prima volta finisce in carcere. Il lavoro che aveva trovato non dà sicurezza, i soldi bisogna elemosinarli al padrone anche quando ti spettano. Che fare? Senza lavoro non si sopravvive.

Stephanie comincia a spacciare fumo e poi cocaina, sempre di più e sempre più soldi. Ma il gioco si blocca, qualcuno la denuncia, e le porte di Pontedecimo si aprono e chiudono dietro il suo corpo ammanettato. Resta in carcere due anni. Quando esce ha qualche soldo da parte e insieme a un’amica diventa gestrice di un bar del centro storico. La Giustizia, però, continua a seguirla, sino a che un giorno le forze dell’ordine, introdottesi nel locale, rinvengono una bustina con la sostanza stupefacente e la riportano via.

Adesso però Stephanie è recidiva. Il carcere per una straniera è anche peggiore che per un’italiana. Stephanie non ha nessuno, non si compiange per rispetto alle detenute con pene maggiori. Il carcere non porta rieducazione: la loro rieducazione è vedere la paura di rispondere. L’educazione si basa su chi ha potere e chi no, su chi è persona e chi no. Stephanie ha adesso 25 anni, il carcere ormai lo comprende, è diventato parte di lei. I suoi rituali, le procedure reiterate ogni giorno, i ritmi, i suoni, tutto ormai ha acquisito una dimensione familiare, una famiglia basata su rapporti di potere espliciti o taciuti. Con un po’ di pazienza ora è il suo turno, tocca a lei lavorare all’esterno, in una ditta di dolciumi. Fa le bomboniere e guadagna due lire, prende 25 centesimi ogni confezione terminata.

Sette anni trascorre Stephanie in carcere. Quando mi incontra è una ragazza diffidente, disillusa: le sue parole mi colpiscono per la franchezza. "Per me non si cambia una persona con la punizione", dice. "In galera rimani chiuso con l’amarezza di non avere la libertà. Quando sei dentro non riesci a fare niente per te stessa, solo sofferenze senza dignità e lavaggio del cervello. Quando finalmente esci, sei confusa, non sai più cosa la gente vuole da te, non ti senti più libera di parlare, non sai più come comunicare, come ci si diverte. Mi sembra sempre di essere al centro dell’attenzione, le persone sono diverse".

Sette anni di carcere hanno portato una ragazza di vent’anni a non riconoscersi più, a perdere la fiducia nel prossimo. Le sopraffazioni subite hanno forgiato una nuova donna, una Stephanie che, domata ma consapevole, si rifiuta di credere a chi parla di carcere e rieducazione.

Giustizia: cardinale Vallini; carcere non è soluzione a devianze

 

Ansa, 7 dicembre 2009

 

Il cardinale vicario Agostino Vallini dal carcere romano di Regina Coeli ha lanciato un appello affinché siano date opportunità di lavoro e quindi di dignità ai detenuti. "Noi che siamo fuori - ha detto il vicario del Papa parlando con i giornalisti dopo aver celebrato una messa nel penitenziario romano in vista del Natale - dobbiamo far crescere il senso di solidarietà verso i detenuti offrendo loro lavoro. Il carcere - ha aggiunto - non è la soluzione a tutte le devianze, è una soluzione di emergenza ma la vera soluzione è dare occasioni di dignità". Alla domanda se anche lui si associ, rinnovandola, a quella richiesta di indulto che fece proprio dal carcere di Regina Coeli nel 2000 papa Giovanni Paolo II, il porporato ha replicato: "Non spetta a me dire questo. Io parlo da sacerdote. Quando però nelle carceri ci sono state iniziative di lavoro i detenuti hanno avuto occasione di ricostruirsi. Diamo loro - si è infine appellato - occasione di riprendere in mano la loro vita".

 

Mai più un caso Cucchi

 

Il cardinale vicario Agostino Vallini dal carcere di Regina Coeli lanciato un monito affinché siano date opportunità di lavoro e quindi di dignità ai detenuti e soprattutto lancia un appello: "Mai più un caso Cucchi, su quell’episodio bisogna fare luce"

I detenuti aprano una nuova "strada nel deserto" delle loro vite, "tutti siano illuminati dalle vie del Signore" perché una vicenda come quella di Stefano Cucchi non accada mai più, la società e le istituzioni offrano attraverso il lavoro la possibilità di una nuova "dignità" ai carcerati. Conosce bene la realtà delle carceri il cardinale vicario Agostino Vallini, in visita al penitenziario romano di Regina Coeli per celebrare una messa in vista del Natale e ricordare a chi è fuori dalla sbarre che "le carceri non sono la soluzione alle devianze". Da venti anni, come vescovo, Vallini entra ed esce dagli istituti di pena per raccogliere, come dice lui stesso durante l’omelia, "la grande pena, la sofferenza della vita dei detenuti, la mancanza di libertà, l’angoscia, ma anche la speranza per un futuro diverso".

Accolto dal direttore Mauro Mariani e dal cappellano padre Vittorio Trani, il suo messaggio di solidarietà e di speranza Vallini lo porta agli uomini del penitenziario immerso nel cuore di Trastevere, parlando dalla stessa rotonda (il luogo centrale della struttura di detenzione da cui si irradiano i bracci) da cui Giovanni Paolo II levò uno storico appello per l’indulto nel Giubileo delle carceri del 2000. "Tutti noi - afferma dall’altare durante l’omelia - ci portiamo dentro un deserto, luogo della solitudine, della non vita, dei nostri errori, di sconforto, di sentimenti di odio, di invidia, di cattiveria, addirittura di morte. Ma in questa morte dobbiamo tracciare una strada, la strada del cambiamento".

Anche dai piani superiori qualche detenuto, tra i 969 complessivamente ospitati nella struttura, ogni tanto si affaccia curioso dalle inferriate per ascoltare. "Vi è data la possibilità di ricominciare - prosegue il cardinale -. Potete ricominciare, ripensare la vostra vita". "Non scoraggiatevi - si raccomanda -. Ciascuno può prendere in mano la sua vita". Finita la messa, prima di rientrare tra qualche disagio (da settembre manca l’acqua calda per un guasto alle caldaie) alle loro celle, i detenuti esprimono al porporato "commossa riconoscenza".

"Leggiamo nelle sue parole - dice uno di loro a nome di tutti - anche una sorta di benevolenza che il Papa ci ha mandato attraverso il suo vicario". "Questa è una porzione di chiesa di Roma ed è molto bella. Ci ricordi sempre", lo saluta da parte sua don Vittorio, da 32 anni a Regina Coeli. Sulla porta del carcere, Vallini si ferma a parlare con i giornalisti, per consegnare il suo appello.

"Noi che siamo fuori - afferma il vicario del Papa - dobbiamo far crescere il senso di solidarietà verso i detenuti offrendo loro lavoro. Il carcere non è la soluzione a tutte le devianze, è una soluzione di emergenza ma la vera soluzione è dare occasioni di dignità". Rinnova l’appello all’indulto di Wojtyla? "Non spetta a me dire questo - replica -. Io parlo da sacerdote. Quando però nelle carceri ci sono state iniziative di lavoro i detenuti hanno avuto occasione di ricostruirsi".

Da Regina Coeli è passato anche Stefano Cucchi prima di morire in circostanze ancora da chiarire nel reparto penitenziario dell’ospedale Pertini il 22 ottobre scorso. Sulla vicenda il vicario del Papa auspica che si faccia luce. "Un vescovo - spiega - non può non essere accanto a chiunque soffre proprio nel nome del Signore. Le vie misteriose della vita che sono molto più grandi di noi possano però essere illuminanti per tutti, per tutti - ripete - perché certe vicende non si ripetano più".

Giustizia: Radicali; Frattini si interessi di italiani in carceri estere

 

9Colonne, 7 dicembre 2009

 

"Occorre che anche il Ministro Frattini si attivi per i quasi 3.000 italiani in carcere nel mondo, sia che abbiamo subito procedimenti problematici, siano in fase di ricorso oppure trovati colpevoli o rei confessi". Lo afferma il senatore Marco Perduca sulla scia di quanto dichiarato dalla Segretaria di Stato Clinton sul caso di Amanda Knox, condannata per l’omicidio di Meredith Kercher. "Un caso su tutti, che potrebbe essere un primo caso di prova - precisa Perduca -, è quello di Chico Forti, condannato all’ergastolo per omicidio in Florida a seguito di un processo indiziale e sul cui caso esiste un ampia letteratura critica compilata dalla famiglia e dagli amici. Se l’Ambasciatore Terzi è a disposizione delle richieste Usa sul processo di Amanda Knox, va anche posto l problema della reciprocità viste le dimensioni del fenomeno".

Giustizia: Sappe; polizia penitenziaria abbia il diritto di sciopero

 

Adnkronos, 7 dicembre 2009

 

Riteniamo sia giunta davvero l’ora che il Parlamento esamini con urgenza la possibilità di attribuire il diritto di sciopero anche agli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. Di fronte all’indifferenza politica e istituzionale verso i problemi che quotidianamente affrontiamo e denunciamo, in un sistema carcere sovraffollato da 66mila detenuti e ben 5mila agenti in meno, è necessario essere messi in condizione di avere gli strumenti opportuni e idonei per esprimere e gridare la nostra insoddisfazione. A dichiararlo è Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, il primo e più rappresentativo del Comparto penitenziario.

Segnaliamo quotidianamente che in molti istituti penitenziaria la sicurezza sociale e la rieducazione del detenuto sono utopie per le carenze di poliziotti, educatori e assistenti sociali. Ma non si fa nulla. Si mette ingiustamente alla gogna la Polizia Penitenziaria per gli episodi negativi che avvengono in carcere (come i suicidi di detenuti o le evasioni) ma non si fa nulla di concreto per rendere il carcere una Istituzione civile per chi ci lavora ogni giorno, ogni ora, ogni minuto e per chi ci è detenuto.

Di fronte a questa palese indifferenza - conclude Capece - rivendichiamo il diritto di sciopero per dire no alla degenerazione del sistema penitenziario nazionale e facciamo appello alla coscienza civile e sociale delle Istituzioni perché si impegnino - concretamente e seriamente - per risolvere i nostri problemi.

Lettere: San Vittore; sovraffollamento ormai all’ultimo stadio

 

www.cnrmedia.com, 7 dicembre 2009

 

Pubblichiamo la lettera scritta dai detenuti di San Vittore alla parlamentare Rita Bernardini, che il 24 novembre da Radio Carcere aveva chiesto a tutti i reclusi di partecipare allo sciopero della fame. I carcerati denunciano: "siamo stati boicottati dalla polizia giudiziaria che ha ignorato i biglietti di chi chiedeva di essere pesato per poter dimostrare l’adesione di un gran numero di noi allo sciopero"

Siamo dei detenuti del carcere di San Vittore, Le scriviamo innanzitutto per ringraziare Lei e i tutti/e coloro che stanno protestando con lo sciopero della fame ad oltranza contro lo stato disastroso delle carceri italiane. Alcuni di noi detenuti, dopo aver sentito il Suo appello sulla rubrica radiofonica Radio Carcere in cui chiedeva ai detenuti delle carceri di partecipare allo sciopero, hanno iniziato a digiunare.

Desideriamo fare sapere a Lei, e tramite Lei all’esterno, che abbiamo anche protestato con una battitura delle sbarre dalle 22 alle 23 e facendo lo "sciopero del carrello". Domenica 29 novembre volevamo fare uno sciopero della fame totale, coinvolgendo l’intero carcere per denunciare le condizioni a dir poco "poco dignitose" in cui versano le carceri italiane e per chiedere soluzioni adeguate, ma non siamo riusciti.

Un po’ per la difficoltà di aggregare i diversi piani e raggi, un po’ per la diffidenza e la paura dei nostri compagni di diverse nazionalità che temono molto possibili ripercussioni (rapporti, trasferimenti, percosse). Soprattutto però siamo stati boicottati dalla polizia giudiziaria che ha ignorato i biglietti di chi chiedeva di essere pesato per poter dimostrare l’adesione di un gran numero di noi allo sciopero.

Siamo sconfortati dall’impossibilità anche solo di poter protestare per il rispetto di condizioni minime di vita. L’unica cosa che riusciamo a fare è la battitura di sbarre che non sente nessuno fuori dalle mura del carcere e che viene controllata da secondini con facce truci. Qui a San Vittore il sovraffollamento è ormai all’ultimo stadio: il 4° raggio è chiuso per ristrutturazioni e i nuovi detenuti vengono messi nelle celle infermeria dove dormono al buio e per terra tra valium e psicofarmaci... Manca l’acqua calda per i termosifoni, c’é un’educatrice per 500 persone, 1 agente per 5 piani.

Se volete venire a trovarci, non fatevi portare alla visita guidata al 3° raggio, ma fatevi portare al 4° o al 6° raggio e guardate in che condizioni si vive, anzi non si vive.

Lettere: Torino; mio fratello è detenuto in condizioni impossibili

 

La Repubblica, 7 dicembre 2009

 

Mio fratello è detenuto nel carcere delle Vallette, blocco C, in condizioni sempre più indecenti. Le persone chiuse nella struttura, anche per reati banali, sono ormai stabilmente 1.600, pigiate in spazi concepiti per la metà. Manca persino la carta igienica. Non viene distribuita acqua in bottiglia, necessaria anche per cucinare.

Chi ha i parenti fuori, che mandano i soldi, può permettersi di comprare questi generi di prima necessità. Gli stranieri no, vengono aiutati dai compagni un poco più fortunati. C’è stato un accenno di protesta, con la battitura delle inferriate delle celle. Chi ha osato aderire è stato punito: gli hanno tolto pure la "socialità", cioè la possibilità di passare qualche momento in uno spazio più grande di quei buchi che sono le celle. Anche i parenti devono affrontare un supplizio. Accedere ai colloqui è come entrare in un girone infernale. Per un’ ora scarsa di incontro, si perdono cinque ore in fila. Bambini, persone anziane, gente che non sta bene. Il bagno è uno solo, promiscuo, sporco. Non c’ è più pietà e umanità per nessuno, né dentro, né fuori.

 

Lettera firmata

Sicilia: Rita Bernardini in visita a carceri e Centri per immigrati

di Daniela Domenici

 

Ristretti Orizzonti, 7 dicembre 2009

 

Appena concluso lo sciopero della fame, durato più di due settimane, per ottenere la calendarizzazione della sua mozione sulle carceri alla Camera che verrà discussa, finalmente, agli inizi di gennaio, l’on. Rita Bernardini, radicale eletta nelle liste del Pd, ha organizzato una tre-giorni in Sicilia per visitare alcuni centri d’accoglienza e alcune carceri per toccare con mano e avere quindi un quadro d’insieme veritiero della loro reale situazione.

Ieri siamo entrati con Rita Bernardini in due di questi luoghi in provincia di Messina: il Cara di Sant’Angelo di Brolo, dove la visita era programmata, e l’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto in cui, invece, la deputata ha fatto uno dei suoi blitz.

Il Cara (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo) è una struttura per accogliere gli immigrati che arrivano in Italia, soprattutto dai paesi dell’Africa, con ogni mezzo di fortuna. In questo di Sant’Angelo di Brolo che abbiamo visitato ieri sono attualmente ospitate 149 persone di cui 123 uomini, 16 donne e 10 minori; ci sono anche 9 nuclei familiari senza bambini e 7 con bambini; nei giorni scorsi sono venuti alla luce 3 neonati. Questo centro è stato aperto il 16 settembre del 2008 ed è gestito dal consorzio di cooperative sociali "Sisifo", che amministra anche quello di Lampedusa in cui attualmente, per la cronaca, non ci sono immigrati ospiti. La maggioranza degli immigrati presenti è di etnia somala ed eritrea e c’è anche un gruppo dalla Nigeria.

Gli immigrati possono rimanere in questa struttura fino a un massimo di 6 mesi poi devono andare via dopo aver ottenuto il riconoscimento (più del 90% di loro lo ottengono). Abbiamo potuto constatare che la struttura ospitante è positiva sotto tutti i punti di vista; gli immigrati hanno spazi di socialità in cui possono consumare i pasti, guardare la televisione accesa sempre su un canale della loro nazione d’origine e praticare il proprio culto religioso (per gli islamici); c’è anche un ex immigrato che ha scelto di rimanere in veste di interprete, Ismail, di grande aiuto per coloro che gestiscono questo centro; per quel che riguarda le stanze in cui dormono, i dirigenti sono riusciti a creare camere singole per i gruppi familiari e cameroni con più letti per gli immigrati arrivati da soli.

Il centro è diretto da una psicologa coadiuvata da altre tre colleghe, ci sono anche un medico e un infermiere che vivono all’interno della struttura per un settimana ininterrotta per poi dare il cambio ad altri colleghi garantendo così la presenza continua di un’assistenza medica. Anche le forze dell’ordine vigilano costantemente e discretamente sulla vita di questo centro in cui, come ci ha dichiarato l’amministratore e confermato la direttrice, non si sono mai avuti, fino a oggi, episodi di violenza o di autolesionismo.

Vogliamo concludere questo breve resoconto sul Cara di Sant’Angelo di Brolo con una frase un po' amara detta dall’avv. Carmen Cordaro, responsabile Arci nazionale di frontiere e centri accoglienza, che assiste, col gratuito patrocinio, questi immigrati: "è un posto tranquillo dove però accadono ordinarie ingiustizie".

Siamo poi entrati, non attesi e quindi contando sull’effetto sorpresa, nel Ospedale Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto. Sin dall’inizio, nonostante appunto non fossimo attesi, siamo stati accolti dagli agenti di polizia penitenziaria con molta cortesia e calore; hanno subito chiamato sia la loro dirigente che il direttore della struttura che hanno risposto con dovizia di particolari e infinita ed estrema gentilezza a tutte le domande poste dall’on. Bernardini per poi farci visitare i vari settori di questa struttura. Entrambi i dirigenti hanno lamentato la forte carenza di personale e, per contrasto, l’aumento del numero dei ricoverati passato da 190 a 320 perché molti vengono mandati a Barcellona dagli altri Opg italiani.

Il direttore di questa struttura è uno psichiatra, l’unico tra tutti i direttori, come ci ha dichiarato, con questa laurea specifica e consona al tipo di detenzione di persone con problemi mentali. Abbiamo positivamente notato con quanta attenzione e ascolto sia i due dirigenti che gli agenti di polizia penitenziari si pongono verso queste persone; all’interno della struttura ci sono spazi di socialità "sotto i portici", come ci ha detto il direttore, e sono stati creati anche luoghi "verdi" in mezzo agli alberi di agrumi per dare la possibilità di colloqui privati con i familiari. Una buona parte degli edifici è in ristrutturazione, si sta creando anche un reparto femminile perché è previsto l’arrivo di una decina di detenute malate.

Concludo con una frase che il direttore mi ha detto, all’esterno dell’Opg, quando gli ho fatto i miei complimenti per come lui e i suoi collaboratori gestiscono questo ospedale: "Grazie ma è dura, davvero dura". Oggi con l’on. Bernardini visiteremo un altro centro di accoglienza e un carcere in provincia di Siracusa di cui vi darò il resoconto.

Liguria: il Sappe scrive a Alfano; risorse e uomini per le carceri

 

Comunicato Sappe, 7 dicembre 2009

 

Auspichiamo che dalla Finanziaria 2010 arrivino adeguate risorse, economiche ed umane, per le strutture penitenziarie della Liguria ed in tal senso ho inviato oggi una nota al Ministro della Giustizia Angelino Alfano ed ai vertici dell’Amministrazione penitenziaria.

Non è accettabile avere in Italia un carcere vergognoso come il Sant’Agostino di Savona, indegno per chi ci lavora e per chi sconta una pena (qualcuno addirittura in celle senza finestre!), come sono altrettanto vergognosi i ritardi burocratici del Comune savonese che fino ad oggi nulla ha fatto per sanare tali indecenze.

Ma dalla Finanziaria (che stanzierebbe 500 milioni di euro proprio per l’edilizia carceraria) servono anche risorse umane, e in particolare nuovo Personale di Polizia penitenziaria: la Liguria è infatti la Regione in Italia con la percentuale minore di poliziotti penitenziari in servizio rispetto a quelli previsti! Attualmente nelle carceri liguri sono impiegati 858 Poliziotti, pari al 67% dei 1.264 previsti (la media nazionale è dell’85%).

È la denuncia del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa della Categoria, che con il segretario generale Donato Capece ed il commissario straordinario per la Liguria Roberto Martinelli commentano: "Cinque delle sette Case circondariali della Liguria sono "fuori legge", ospitano cioè un numero di persone superiore al limite "tollerabile": Genova Marassi, Sanremo, Savona, Imperia e Chiavari. Oltre i limiti regolamentari anche La Spezia e Pontedecimo.

La percentuale di stranieri tra i reclusi della Liguria si attesta tra il 50 ed il 60% dei presenti. La Scuola di Cairo Montenotte, un polo d’eccellenza nella formazione del Personale non solo della Polizia penitenziaria, è poco utilizzata, mentre un suo più massiccio uso potrebbe essere un importante risorsa anche per gli operatori economici di tutta la Valbormida. Al ministro Alfano chiediamo più uomini per i penitenziari della Liguria, sotto organico di ben 400 uomini. E fondi per realizzare urgentemente, dopo le tante e troppe chiacchiere che ne hanno ritardato fino ad oggi la realizzazione anche con responsabilità politiche di chi fino ad oggi ha governato la città, un nuovo carcere a Savona. Il Sant’Agostino, oggi, è una struttura fatiscente per agenti e detenuti, arrivata ad ospitare ben il 208% della capienza regolamentare!".

Aggiungono i due sindacalisti del Sappe: "È solo grazie alla professionalità e al senso dello Stato che hanno le migliaia di Poliziotti Penitenziari che si riescono a contenere i disagi e le proteste delle 66mila persone detenute oggi in Italia, 1.700 circa quelle in Liguria. Il settore penitenziario è l’ultima fase di un processo di politiche sulla giustizia.

Se questo settore è al collasso come i dati dimostrano ampiamente, significa che qualunque provvedimento a monte verrà "avvertito" in carcere solo dopo alcuni mesi. Ma la situazione oggi è tale che la Polizia Penitenziaria ha dato fondo a tutte le risorse e a tutti i sacrifici. Se la politica non interverrà al più presto è certo che il prezzo più alto lo pagheranno le migliaia di appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria e le loro famiglie.

I politici che hanno dato bella mostra del loro interessamento ai problemi del carcere in occasione dello scorso Ferragosto, ora hanno l’obbligo politico e morale di trovare al più presto una soluzione, magari ascoltando anche le proposte di chi, come la Polizia Penitenziaria, in carcere ci lavora 24 ore al giorno 356 giorni l’anno.

Per questo ci siamo rivolti oggi al Ministro della Giustizia Angelino Alfano ed ai vertici dell’Amministrazione penitenziaria. Perché le molte criticità della Liguria penitenziaria trovino finalmente una prima risposta nella Finanziaria 2010".

Matera: detenuti fanno ricorso a Strasburgo per l'affollamento

 

Adnkronos, 7 dicembre 2009

 

Alcuni detenuti nella casa circondariale di Matera hanno fatto ricorso alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, chiedendo dei risarcimenti, per la situazione di sovraffollamento delle carceri italiane. Altri hanno avviato lo sciopero della fame per le stesse ragioni. Lo ha reso noto l’avvocato Livia Lauria, incaricata dai detenuti di Matera a diffondere due lettere aperte inviate a tutte le autorità italiane in cui pongono l’accento sul fenomeno. I detenuti di Matera denunciano "una condizione di invivibilità che affligge tutte le carceri italiane ma che viene presa in considerazione troppo superficialmente".

"Noi detenuti - scrivono - siamo consapevoli che se ci troviamo a vivere questa realtà è perché abbiamo commesso degli errori ma è altrettanto vero che una sentenza di condanna, qualunque sia il reato, non elimina la nostra dignità di persone umane, oppure sì? Noi siamo costretti - aggiungono - ogni giorno a vivere una situazione di vero disagio, costretti a condividere con più persone degli spazi molto stretti ed angusti; per questo noi detenuti del carcere di Matera abbiamo deciso di fare ricorso alla Corte europea dei diritti degli uomini per denunciare questa situazione inumana e degradante inoltrando, in massa, singoli atti di richiesta di risarcimento contro lo Stato italiano, inadempiente, incurante e indifferente".

Secondo i detenuti il sovraffollamento si risolve se i tribunali di sorveglianza riconoscessero le misure alternative al carcere "ai detenuti che sono prossimi al fine pena, che durante tutto il periodo di detenzione all’interno dello stabilimento carcerario hanno sempre dimostrato un atteggiamento propositivo e che abbiano dimostrato durante la detenzione la volontà di intraprendere un nuovo percorso personale".

Cagliari: a Buoncammino personale sanitario è senza stipendio

 

Ansa, 7 dicembre 2009

 

"È divenuta insostenibile la situazione sanitaria nel carcere Buoncammino di Cagliari dove i medici di guardia, gli specialisti, gli infermieri e i tecnici a convenzione, oltre 50 persone, non ricevono il pagamento delle prestazioni da settembre. Ciò è particolarmente grave in un momento in cui la struttura detentiva registra il massimo livello di sovraffollamento con oltre 550 detenuti, molti dei quali immunodepressi e sieropositivi con doppia diagnosi".

Lo ha affermato Maria Grazia Caligaris, presidente della associazione Socialismo Diritti Riforme. "Il Governo - ha sottolineato Caligaris - snobba la Sardegna. Nonostante l’assessore Antonello Liori, in attesa del definitivo passaggio alla Regione della Sanità Penitenziaria, abbia previsto un finanziamento di un milione di euro per far fronte alle esigenze delle diverse carceri isolane, il Ministero dell’Economia o quello della Giustizia non hanno ancora trasferito i fondi al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria determinando anche il blocco nell’erogazione gratuita di alcuni farmaci di fascia C".

Firenze: Corleone; giustizia sommaria, su maltrattamenti asilo

 

Ansa, 7 dicembre 2009

 

"Non vi era alcuna necessità investigativa" di mostrare il video dei maltrattamenti sui bambini nell’asilo di Pistoia "ai genitori perché l’identificazione delle vittime era facilmente raggiungibile e per la decisione di costituzione di parte civile era sufficiente la visione del video agli avvocati. Mi è parso un segno di superficialità quello del magistrato che si è assunto la responsabilità di alimentare un clima legato alla giustizia mediatica". Lo ha detto il garante per i diritti dei detenuti di Firenze Franco Corleone commentando la diffusione del video sull’asilo Cip e Ciop di Pistoia.

"Questa vicenda orribile e le ripercussioni sul carcere - ha detto Corleone - consentono alcune riflessioni sul funzionamento della giustizia e sul sentimento che provoca. La giustizia mediatica spinge a richieste insensate, addirittura di tortura o di misure di pena senza alcun senso delle proporzioni. È grave che si cresca la fiducia in una giustizia sommaria legata all’emozione. Altrettanto incomprensibile la consegna del video ai genitori per farne, magari, anche uso improprio".

Ragusa: Carcere; pochi agenti, proclamato lo stato d'agitazione

 

La Sicilia, 7 dicembre 2009

 

Stato di agitazione ed interruzione delle trattative con la direzione della casa circondariale di contrada Pendente. Lo hanno proclamato le sigle sindacali degli agenti di polizia penitenziaria Sappe, Osapp, Cisl-Fns, Uil-Pa, Sinappe, Uspp per l’Ugl, Cgil-Fp, Fsa (Cnpp). Alla base della lotta le preesistenti difficili condizioni di lavoro dovute alla grave carenza di organico all’interno del carcere di contrada Pendente.

Nella nota inviata al Provveditore regionale Orazio Faramo i sindacati ricordano che la chiusura del reparto Alta Sicurezza dell’Istituto Ragusano non è coincisa con la diminuzione di reclusi e nemmeno con l’invio promesso di unità. "In questi ultimi giorni - affermano i sindacati iblei - si è appreso che il reparto che pochi giorni orsono era destinato ad ospitare detenuti a categoria Alta Sicurezza, verrà riaperto e sarà dunque reso nuovamente operativo con diversa tipologia di utenti. A questo punto le organizzazioni sindacali chiedo-no di a cosa verrà destinato il reparto in questione (Alta Sicurezza).

In secondo luogo, ribadendo ancora una volta che le difficoltà della casa circondariale di Ragusa di approntare le turnazioni sui tre quadranti e non sui quattro, in merito ai dati tecnici peraltro dettagliatamente illustrati, chiedono un responsabile ed adeguato invio di unità di polizia penitenziaria, quantizzato in quindici agenti. I sindacati della Polizia penitenziaria preannunciano manifestazioni di protesta anche eclatanti: astensione dalla mensa obbligatoria di servizio per tre giorni (dal 9 all’11 dicembre); sit-in di protesta dinnanzi l’Istituto di Ragusa, dinnanzi alla Prefettura in agenda per sabato prossimo.

Lucca: in Comune incontro sui problemi del carcere S. Giorgio

 

Il Tirreno, 7 dicembre 2009

 

Sovraffollamento della struttura, situazione igienico-sanitaria, il problema del lavoro da svolgere sia all’interno che all’esterno del penitenziario di San Giorgio. Sono i tre punti cardine su cui si concentrerà l’impegno del "Gruppo Esecutivo del Gruppo Istituzionale Carcere ed Ufficio Esecuzione Penale Esterna" riunitosi a Palazzo Ducale a un anno dalla firma del protocollo d’intesa sui problemi del carcere e per favorire il reinserimento dei detenuti. In una prigione che può ospitare un’ottantina di persone ne sono detenute circa 180. Più del doppio del consentito: in larga parte extracomunitari.

Favorire un reale inserimento socio-lavorativo attraverso un percorso di sensibilizzazione alla responsabilità sociale delle imprese e un’implementazione delle risorse impegnate nelle politiche del lavoro, rimane uno degli obiettivi del gruppo istituzionale carcere che tornerà a riunirsi a gennaio per affrontare l’altra questione sul tappeto: le condizioni igienico sanitarie in cui vivono i carcerati a S. Giorgio. Un aspetto strettamente legato al problema del sovraffollamento e all’alta percentuale di detenuti tossicodipendenti.

Alghero: commissione d'esame in carcere, si laurea un detenuto

di Gianni Olandi

 

La Nuova Sardegna, 7 dicembre 2009

 

Nel 2001 era stato protagonista di un efferato episodio di violenza, prigioniero del dramma della gelosia aveva ucciso il suo rivale in amore. Due vite spezzate. La prima definitivamente, lui condannato a 25 anni per omicidio volontario. Dentro le mura del carcere per Stefano Diana, 33 anni, è cominciato un lungo percorso di sofferenza, riflessioni e pentimento. La collaborazione dell’area educativa è stata indubbiamente di stimolo e convincimento, ma ieri il giovane ha raccolto il primo ed evidente segno di un recupero anche professionale che un giorno, espiata la pena, gli consentirà di affrontare la società civile con maggiore forza.

Davanti alla commissione della facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Sassari - indossava jeans, una camicia bianca e giacca con sopra la toga - ha ottenuto la laurea in scienze della comunicazione con la votazione di 104 su 110. Un’ora di conversazione su un tema conosciuto in prima persona dietro le mura del carcere: una tesi sul tipo di lettura che viene seguita in un istituto di pena, quali libri, romanzi, argomenti specifici, quali letture aiutano a guardare il futuro, la religione, la filosofia, le scienze. Lui, che svolge le funzioni di bibliotecario, l’indagine per la sua tesi di laurea l’ha costruita in prima persona.

Ha distribuito un questionario tra i compagni detenuti, con tante domande, che poi ha assemblato realizzando una personalissima indagine con risultati straordinari. Ieri la saletta del carcere dove si teneva l’esame era particolarmente affollata, si trattava anche per l’istituto di pena di una giornata particolare perché si viveva la prima laurea in Sardegna ottenuta da un detenuto. C’erano anche i genitori, commossi, fieri di quel figlio che sta pagando un tragico errore giovanile ma che si sta costruendo anche un futuro per quanto avrà saldato il debito con la giustizia.

La commozione ha travolto anche la commissione esaminatrice, qualche lacrima è scivolata via, nascosta a fatica. L’emozione ha coinvolto tutti, dal direttore Francesco Gigante al responsabile regionale dell’area educativa Gianpaolo Cassitta. Commosso ma gratificato per il recupero di una vita che sembrava spezzata definitivamente anche il vescovo di Alghero, monsignor Giacomo Lanzetti, presente alla cerimonia.

"Una volta libero voglio fare il giornalista", è il commento di Stefano, fresco dottore in scienza della comunicazione. Il riconoscimento accademico appena conseguito, la laurea breve, tre anni, gli consentirà ora di affrontare le fasi successive della specializzazione. Subito dopo l’esame, conclusosi in tarda mattinata, Stefano Diana ha potuto godere di un paio di ore di libertà che ha trascorso insieme ai genitori. Un premio concessogli dal giudice di sorveglianza Maura Nardin.

"È stato tutto molto bello - riferisce Luisa Villanti, l’educatrice che ha seguito il lungo percorso di Stefano nelle diverse fasi di esami fino alla laurea -, emozionante, per noi si tratta di un premio di straordinaria importanza anche per la complessità di tutte le diverse fasi preparatorie. Non è facile studiare in carcere, ci vuole grande volontà e forza d’animo. Stefano ha accolto i nostri suggerimenti quando è arrivato nel carcere di Alghero, si è convinto e ha cominciato il lungo percorso di studio. Quella di oggi è una giornata che non dimenticheremo". Dietro le mura del carcere di via Vittorio Emanuele ieri si è accesa una luce forte, quella della speranza, una luce che si spera raggiunga e aiuti altri uomini dietro le sbarre.

Roma: raccolta di volumi nuovi e usati... da donare alle carceri

 

Corriere della Sera, 7 dicembre 2009

 

Libri che fanno librare il pensiero, evadere l’immaginazione. Oltre le sbarre, oltre i cancelli e i chiavistelli arrugginiti. Anche quest’anno "Più libri più liberi" (la Fiera nazionale della piccola e media editoria che si svolge al Palazzo dei Congressi di Roma dal 5 all’8 dicembre) pensa ai detenuti e propone alle case editrici e ai visitatori di partecipare a una raccolta di libri nuovi e usati da destinare alle biblioteche delle prigioni calabresi e napoletane.

Romanzi educativi e grandi classici - "Un libro ti fa evadere" è questo il titolo scelto per l’iniziativa. L’invito che gli organizzatori rivolgono al pubblico è quello di portare con sé un libro da regalare ai carcerati. Un libro, magari già letto più volte, che ridia la speranza a persone spesso emarginate e sole. O un grande classico che appassioni e possa offrire qualche ora di "intima evasione" a chi è costretto a vivere in condizione precarie e in celle sovraffollare. I volumi dovranno essere consegnati nello spazio allestito dalla casa editrice Round Robin (stand A27) e daranno diritto a uno sconto del 50% sui libri in catalogo. 400

Libri già sugli scaffali delle carceri - "Un libro ti fa evadere" è un’iniziativa volta a promuovere la lettura e la cultura nelle carceri, e si pone come obiettivo quello di donare libri (nuovi o usati) alle biblioteche degli istituti penitenziari, e di crearne di nuove laddove queste non fossero presenti. La convenzione è già attiva con il carcere di Paola (Cosenza) e con la Casa circondariale femminile di Pozzuoli (Napoli) per i quali sono stati già raccolti oltre 400 titoli.

Verona: condannato all’ergastolo, in carcere diventa scrittore

di Fabiana Marcolini

 

L’Arena di Verona, 7 dicembre 2009

 

L’ergastolo, il carcere a vita, la vita in cella con un detenuto malato allontanato da tutti e di cui Giovanni Sartori si è preso cura per mesi: anche in galera, tra gli ultimi, c’è chi è più ultimo degli altri. Frank, il detenuto che stava nella cella di fronte alla sua, era uno di quelli. Frank si trasferì nella sua cella, era riuscito a vincere la malattia, aveva ritrovato il rispetto di sé e poi se ne è andato. Ricoverato in ospedale psichiatrico giudiziario dove è morto soffocato da una foglia di lattuga. E di lui Sartori ha fatto un racconto.

Questa storia di vite interrotte, sospese e di dignità ritrovata ha vinto il Premio Castelli, il concorso letterario per i detenuti indetto dalla Società San Vincenzo De Paoli e dalla Fondazione Ozanam e patrocinato da Senato, Camera e ministero della Giustizia.

"Fai agli altri. Quello che vorresti fosse fatto a te" il tema da sviluppare, Andrea Pamparana il presidente della giuria che ha letto e valutato 145 scritti, John Jail, il nome usato da Sartori. Non è andato a Palermo il 7 novembre a ritirare la medaglia speciale del Presidente della Repubblica, era da qualche giorno uscito dall’ospedale dopo aver subito l’ennesimo intervento indispensabile per consentirgli di vivere mentre aspetta un trapianto.

Aveva chiesto il permesso di partecipare alla cerimonia nella casa circondariale Pignarelli ma il magistrato di Sorveglianza ha ritenuto che il viaggio e il soggiorno non rientrassero in una condotta di vita compatibile con il suo problema di salute. Dal carcere è uscito proprio perché la funzionalità cardiaca è seriamente compromessa: iniziò a stare male durante la detenzione preventiva. Fece due infarti ma non permise mai al legale dell’epoca di chiedere un affievolimento della carcerazione.

Il processo, la condanna e poi il crollo: da Montorio fu segnalata la gravità delle sue condizioni, il tribunale di Sorveglianza lo sottopose a controlli periodici e rigorosi e il pericolo per la salute venne ritenuto grave al punto da rendere incompatibile la sua permanenza in carcere. E nel giugno 2008 uscì, visse per alcuni mesi come il fu Mattia Pascal, senza documenti, senza un lavoro, senza una casa. Non esisteva ed era senza possibilità di avere anche le medicine salvavita. Fu un sacerdote ad ospitarlo poi gli "restituirono" la sua identità.

Ma della vita in cella, del rapporto con Frank, alto due metri ridotto a vivere tra gli escrementi perché incapace di badare a sé stesso, la traccia resta. Indelebile. John Jail gli cambiava i pannoloni, lavava abiti e lenzuola, lo ha aiutato a liberarsi dagli psicofarmaci.

"Certe volte", scrive Sartori, "lo guardavo di nascosto ed ero talmente felice del suo miglioramento che mi venivano le lacrime agli occhi". Il trasferimento, la separazione straziante e la morte di Frank. "Ho continuato un rapporto epistolare con la mamma di Frank che continuava a ringraziarmi. Non ha mai capito che lui ha dato molto più a me di quanto io abbia potuto dare a lui. Mi ha insegnato cosa significa veramente amore per il prossimo".

L’altruismo scoperto, forse ritrovato, dopo una sentenza che lo ha condannato per sempre a stare lontano dalla vita sociale, quella che Giovanni Sartori aveva fatto fino a quel maledetto giorno, il 12 ottobre 2004.

Quando un colpo di pistola alla nuca spezzò la vita di Federico Lorenzini, amico e socio di Sartori che di quella morte fu ritenuto responsabile. "Fai agli altri", un argomento difficile perché gli errori del passato per chi è in carcere diventano gli incubi di ogni giorno. In molti hanno risposto all’invito della Fondazione Ozanam e della San Vincenzo de Paoli, segnale dell’esistenza di un cambiamento affidato a lettere e riflessioni perché scrivere è catartico e se non si ha nessuno con cui parlare lo si fa con se stessi.

Lo scopo del concorso letterario è anche questo, dare avvio al cambiamento. I premi? Mille, ottocento e seicento euro ai primi tre, denari che saranno usati per progetti di solidarietà. Dal materiale didattico per i bimbi di una scuola in Bosnia al finanziamento per gli studi di un minore straniero uscito dal carcere a un’adozione a distanza per cinque anni. Il futuro, degli altri.

Teatro: incontro su musica e danza, per le carceri dell’Europa

 

Ansa, 7 dicembre 2009

 

Dal 9 al 12 dicembre 2009, il Cetec (Centro Europeo Teatro e Carcere) insieme all’Università City College di Manchester, ospiterà a Roma il terzo incontro transnazionale del progetto europeo Movable Barres, un progetto biennale artistico ed educativo che vede coinvolti sei paesi e numerosi partner.

Artisti, esperti di teatro sociale e musicisti vedranno i sette paesi in rete (Italia, Grecia, Inghilterra, Bulgaria, Irlanda del Nord, Norvegia, Danimarca) in un seminario al chiuso confrontarsi su uno stesso tema e con uno stesso obiettivo: proporre visioni e attività artistiche, mettere a disposizione esperienze esemplari di buona pratica per tutti coloro che svolgono attività formativa, artistica e rieducativa all’interno della carceri, studiare e affrontare su scala internazionale cosa accade nei luoghi di detenzione per il recupero e la formazione dei detenuti attraverso la musica e la danza.

Uno scenario vasto e composito analizzato per dare vita a nuovi progetti di respiro europeo destinati ai detenuti per un’educazione all’arte che sia di qualità e che aiuti ad affrontare il "dentro" e il "fuori" in una stimolante, originale ed innovativa prospettiva di reinserimento culturale e sociale. Per info: www.cetec-edge.com - www.movablebarres.eu.

Teatro: in scena le cronache "Dalla città dolente..." di Rebibbia

 

www.klpteatro.it, 7 dicembre 2009

 

In replica straordinaria alla presenza del capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, assistiamo ad una replica di "Dalla città dolente", spettacolo messo in scena dalla Compagnia dei Liberi Artisti Associati del Teatro Libero di Rebibbia.

I detenuti-attori, reduci da sette anni di laboratorio teatrale con Fabio Cavalli (che ha scritto il testo e curato la regia dello spettacolo) mettono in scena una propria personale rivisitazione dell’Inferno dantesco, partendo dal parallelo tra inferno e carcere, fra colpa e pena. Appropriandosi di alcuni canti attraverso un’interessante riscrittura e una buona interpretazione nei dialetti delle rispettive terre (il romanesco, il napoletano, il siciliano e il calabrese) la compagnia prova a far suo il testo, ad elevarsi per comprendere come la poesia possa essere veicolo di salvezza, àncora di salvataggio.

I detenuti dell’Alta Sicurezza del Carcere di Rebibbia di Roma, ossia di quella sezione del carcere in cui sono riuniti tutti i condannati per reati di tipo associativo (mafia ecc.), sottoposti ad una sorveglianza più stretta rispetto ai detenuti comuni, orchestrano un talk show dove un bravissimo anchor man interpretato da Cosimo Rega tiene le redini dello spettacolo, chiamando ad intervenire a turno gli altri, che si esibiscono in monologhi, gag, passi a due sull’Inferno e le sue innumerevoli interpretazioni: dal concetto di accidia a quello di sodomia (termini dal significato non scontato), passando per tutti i canti più conosciuti, dal Conte Ugolino per finire con la dolorosa interpretazione del canto di Paolo e Francesca, idealmente rappresentato da un detenuto che incontra la propria compagna durante l’ora di visita nel parlatorio.

A tratti didascalico e forse un po’ scontato, lo spettacolo stupisce tuttavia per l’intensità di alcuni suoi interpreti, per l’originalità della messinscena ma soprattutto per i temi affrontati e trasposti dalla cultura dantesca e medievale a quella contemporanea. Soprattutto, fa riflettere su come il carcere non debba più essere considerato luogo di espiazione ma, come la Costituzione e il nuovo Diritto Penale affermano, luogo dove si offre una nuova opportunità a chi ha sbagliato.

Cinema: "3 minuti e mezzo" che fanno di un uomo un detenuto

 

Asca, 7 dicembre 2009

 

Neri Marcoré, Cinzia Mascoli e Valerio Mastandrea nel film breve di Luca Curto "3 minuti e mezzo", giovedì 3 dicembre al Nuovo Cinema Aquila di Roma, ore 21.00.

"Le pena non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte".

Comincia così, con le parole dell’articolo 27 della Costituzione "3 minuti e mezzo" il film breve di Luca Curto, prodotto da aria3, che domani sera, giovedì 3 dicembre alle ore 21, verrà proiettato al Nuovo Cinema Aquila (Roma), nell’ambito dell’ evento "Verso un anno di diritti e di pace: diritti umani e d diritti dei Popoli" patrocinato dal Comune di Roma.

"3 Minuti e Mezzo", girato nella Casa Circondariale di Potenza, vede la partecipazione di Neri Marcoré, Cinzia Mascoli, Valerio Mastandrea e dieci detenuti. Racconta il tempo, breve, che trasforma un uomo libero in un detenuto, mostrando gli sguardi e gesti che descrivono il velocissimo scorrere di pensieri, ricordi e flashback nella mente del condannato, mentre affronta le tipiche procedure che si svolgono nei primi 3 minuti e mezzo dell’entrata in carcere. Questi momenti, che segnano l’entrata in un nuovo tempo, in un nuovo spazio sono scanditi dalla interpretazione dei detenuti, di diversa nazionalità, che recitano i Dieci Comandamenti, ognuno nella propria lingua, a testimoniare la Universalità di questi principi e ci restituiscono i dati della popolazione carceraria italiana a forte composizione multietnica.

"Questa manifestazione - dichiara l’Assessore Regionale alla Formazione Antonio Autilio - è un importante riconoscimento della iniziativa che la Regione Basilicata sta portando avanti in collaborazione con Il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria di Potenza ed Aria3 - Agenzia Territoriale per l’Industria Audiovisiva - per la realizzazione di un centro di produzione audiovisiva all’interno del carcere. Il progetto ha il pieno sostegno della Regione Basilicata e consentirà di avere sul territorio sia le strutture tecniche sia personale professionalmente formato in grado di fare fronte alle necessità delle produzioni televisive.

Sono ben note le esigenze di personale qualificato che manifestano dalle sempre più numerose produzioni cinematografiche che scelgono la Basilicata come set le proprie riprese, cui si farà fronte grazie all’impegno, in questo progetto, di alcune delle aziende leader a livello nazionale della produzione cinetelevisiva. Non dimentichiamo, inoltre, l’importante valenza sociale degli interventi realizzati all’interno delle strutture carcerarie, che consentono di attivare importanti processi di inclusione e di recupero dei detenuti, in linea le migliori esperienze a livello nazionale.

Dopo la proiezione si aprirà un confronto sul tema sul tema "La questione carceraria in Italia e in Europa" e sulla necessità di riaffermare il principio costituzionale, soprattutto di fronte ai morti per abusi, violenze o disperazione nei luoghi di detenzione ed alle più che critiche condizioni di vita nelle carceri; all’incontro parteciperanno oltre al giovane regista Luca Curto, anche Mauro Palma - Presidente della Commissione per la Prevenzione della Tortura del Consiglio di Europa e Patrizio Gonnella della Associazione Antigone.

Immigrazione: deputati e senatori Pd, in ispezione a Cie e Cara

 

Apcom, 7 dicembre 2009

 

Oggi e domani, in occasione del ponte dell’Immacolata, decine di deputati e senatori ispezioneranno le strutture destinate agli immigrati: Cie (centri di identificazione ed espulsione), Cara (centri di accoglienza per richiedenti asilo) e Cda (centri di accoglienza). A lanciare l’iniziativa, che fa seguito a quella analoga di questa estate, "ferragosto in carcere", che ebbe l’obiettivo di verificare le condizioni di vita nei centri di detenzione, sono stati i Radicali Marco Pannella, Emma Bonino, Rita Bernardini e Maurizio Turco, insieme al direttore di radio Radicale, Massimo Bordin, e al presidente dell’associazione "A buon diritto", Luigi Manconi.

Deputati e senatori, accompagnati da dirigenti e militanti Radicali e da volontari di associazioni, visiteranno oggi e domani strutture su tutto il territorio nazionale. Nel corso delle ispezioni, i visitatori compileranno degli appositi questionari per registrare informazioni relative al numero di immigrati ospitati (anche a fronte della capienza regolamentare) e la loro nazionalità, dati sul personale in servizio, l’assistenza e i servizi prestati e lo stato della struttura. I parlamentari che hanno risposto all’appello di visitare i centri, fanno sapere i Radicali, appartengono tutti del Partito democratico, con l’eccezione di Savino Pezzotta, che fa parte del gruppo dell’Udc.

Immigrazione: reato di clandestinità, un boomerang sui rimpatri

di Francesca Milano

 

Il Sole 24 Ore, 7 dicembre 2009

 

"Un boomerang. Il reato di clandestinità blocca i rimpatri volontari assistiti e chi si trova in Italia irregolarmente non riesce a usufruire dei benefici stanziati dall’Unione europea per tornare nel proprio paese e provare a ricostruirsi una vita. È il paradosso generato dal pacchetto sicurezza, che ha introdotto il reato di immigrazione clandestina. In pratica, gli stranieri che vogliono fare rientro in patria attraverso il progetto dei rimpatri assistiti si "autodenunciano" e vengono quindi accusati del reato di clandestinità, per il quale è previsto il fermo.

Il problema è noto al dipartimento libertà civili e immigrazione del Viminale (dove da mesi di cerca una soluzione) e anche al ministro dell’Interno Roberto Maroni, ma per ora tutto tace. "Siamo riusciti a rimandare a casa 120 persone tra agosto e settembre - racconta Flavio Di Giacomo, responsabile comunicazione dell’Oim (l’organizzazione internazionale per le migrazioni) - ma poi da ottobre abbiamo dovuto spiegare a chi faceva richiesta a quali rischi andava incontro". L’Oim ha, quindi, iniziato a sconsigliare agli irregolari di entrare nel programma dei rimpatri assistiti. "Noi ovviamente non li denunciamo - sottolinea Di Giacomo -, cosa che invece avviene se la richiesta arriva al ministero".

Per il 2009 ci sono a disposizione dei rientri volontari 2 milioni di euro stanziati dalla Ue e gestiti dal Viminale. "Questi soldi - prosegue - servono per finanziare le quattro fasi del progetto Nirva (networking italiano rimpatri volontari assistiti) che prevede la pre-partenza, il viaggio, l’arrivo nel paese d’origine e la reintegrazione nel tessuto sociale ed economico".

Oltre alle spese per il viaggio, infatti, il programma dei rientri prevede un finanziamento di 1.500 euro - di cui una parte viene concessa prima del ritorno in patria e il resto viene consegnato una volta arrivati a destinazione - per aiutare lo straniero a trovare una casa, a mettere in piedi una piccola attività, a frequentare un corso di formazione o soltanto a sopravvivere peri primi tempi.

I rimpatri avvenuti a settembre hanno riguardato anche 60 marocchini arrivati in Italia attraverso una truffa e sfruttati nei campi. "Circa settecento uomini di origine marocchina hanno pagato 8mila euro a testa per un visto regolare per lavoro stagionale. Un’organizzazione gli forniva datori di lavoro italiani disposti a presentare domanda per lavoro stagionale. Una volta arrivati in Italia, però, i datori ritiravano la domanda e gli stranieri si trovavano in condizione di clandestinità". La bidonville di San Nicola Varco, in provincia di Salerno, occupata dai marocchini è stata sgombrata. "Quelli che non sono riusciti a rientrare attraverso il programma dei rimpatri - afferma Di Giacomo -sono stati portati nei Cie". I sessanta "fortunati" che invece hanno usufruito del progetto Nirva sono gli ultimi irregolari a beneficiare di questo incentivo. "Se non cambia la legge - dice il responsabile Oim - non ci potranno più essere rimpatri volontari".

Dal 1991 al 2006 sono stati 7.223 gli stranieri rimpatriati volontariamente. Il 72,7% ha beneficiato di programmi speciali di, ritorno legati alle emergenze umanitarie prima nei Balcani (inizio anni ‘90) e poi in Kosovo (inizio del 2000). Negli ultimi anni il numero si è attestato attorno ai 100 rimpatri annuali.

Se il progetto italiano rischia di arenarsi, quello spagnolo ammette il fallimento. A partire dal settembre 2008, infatti, era stata avviata un’iniziativa destinata a 100mila immigrati, ai quali veniva concesso un indennizzo di disoccupazione per tornare a cercare lavoro in patria. L’indennità veniva versata per il 40% all’avvio della pratica e per il restante 60% una volta effettuato il rientro. A un anno dall’avvio, però, solo 8.700 immigrati hanno aderito al programma lanciato dal ministero del Lavoro.

Droghe: per Aldo Bianzino; un dibattito sull'antiproibizionismo

 

Agenzia Radicale, 7 dicembre 2009

 

All’VIII Congresso di Radicali Italiani di Chianciano, Rudra Bianzino ci ha raccontato la drammatica vicenda che ha coinvolto lui e la sua famiglia. Rudra, studente liceale, sedicenne, rimasto solo, senza padre, senza madre. Il padre, Aldo, nonviolento, artigiano, amante della natura, morto nella notte tra il 13 e il 14 ottobre 2007 in circostanze ancora da chiarire, poche ore dopo l’arresto per coltivazione e detenzione di marijuana.

Le cronache parlarono inizialmente di decesso per un malore naturale. Ben presto, si capì, però, che forse le cose erano andate diversamente. Va detto, tra l’altro, che Aldo era entrato sanissimo in carcere.

Un primo esame autoptico, escluse patologie cardiache pregresse e mise, invece, in evidenza lesioni agli organi interni, presenza di sangue in addome e pelvi, lacerazione epatica, lesioni all’encefalo, a fronte di un aspetto esterno indenne da segni di traumi. Una seconda autopsia, del novembre 2007, accreditò la tesi della rottura di un aneurisma cerebrale. Furono sempre riscontrate lesioni epatiche e la presenza di sangue nell’addome. Pur accettando l’ipotesi del medico legale, si affermò che l’emorragia cerebrale potesse essere stata causata da un forte stress di tipo fisico con improvviso rialzo della pressione.

Prima di ascoltare la testimonianza di Rudra, al congresso radicale è stato proiettato un video con un’intervista delle Iene alla madre, Roberta Radici. È probabilmente l’ultimo documento lasciatoci dalla compagna di Aldo. Il dolore ha, infatti, infierito sul suo corpo già malato. Roberta non ce l’ha fatta. Si è spenta affidando a noi l’impegno a chiedere verità e giustizia sulla morte di Aldo.

Qualche settimana fa, il gup di Perugia ha rinviato a giudizio al prossimo 28 giugno, per omissione di soccorso e atti di ufficio e falso, l’agente della polizia penitenziaria in servizio durante la detenzione.

Rudra ha deciso di iscriversi a Radicali Italiani, ci ha messo al corrente delle notevoli difficoltà che deve affrontare. È stato affidato alla tutela dello zio Ernesto Radici, giunto appositamente dalla Germania, è attualmente senza lavoro. Al Congresso ci ha chiesto di essere presenti all’udienza dell’11 dicembre. quando il Giudice dovrà pronunciarsi ancora una volta se archiviare o meno l’inchiesta.

Come radicali abbiamo deciso di essere presenti, numerosi, a Perugia per manifestare fuori dal palazzo. Per questo motivo abbiamo organizzato alcune iniziative alle quali ti preghiamo di non mancare: Mercoledì 9 dicembre alle ore 11.30, a Perugia, conferenza stampa con Ernesto Radici, zio e tutore di Rudra Bianzino, Mario Staderini, Segretario di Radicali Italiani, Gianfranco Spadaccia, membro del Comitato di Radicali Italiani, Liliana Chiaramello, Segretaria dell’Associazione "Giovanni Nuvoli" radicaliperugia.org, Tommaso Ciacca, impegnato sin dal primo momento sulla vicenda Bianzino, rappresentanti dei grillini di Perugia; Venerdì 11 dicembre con Emma Bonino a Perugia davanti al Tribunale Via 14 Settembre a partire dalle ore 8,30 mobilitazione straordinaria dei radicali e degli amici di Beppe Grillo contro l’archiviazione del caso; Venerdì 11 dicembre a Perugia alle ore 15,30 all’università di Perugia, presso la Facoltà di Scienze Politiche, dibattito aperto su Antiproibizionismo con Claudia Sterzi, Segretaria Ass. Radicale Antiproibizionista, Michele Rana, membro del Comitato di Ri, Carla Cicoletti, Docente di Sociologia della devianza; Alvano Fiorucci, giornalista Rai.

 

Mario Staderini, Segretario di Radicali Italiani

Liliana Chiaramello, segretaria Ass.ne "Giovanni Nuvoli", radicaliperugia.org

Francesco Pullia, Circolo radicale "Ernesto Rossi" di Terni

Tommaso Ciacca, militante radicale

Congo: due norvegesi, condannati a morte, chiedono la grazia

 

Apcom, 7 dicembre 2009

 

I due ex militari norvegesi, condannati a morte per omicidio e spionaggio nella Repubblica democratica del Congo, hanno inviato una richiesta di grazia al presidente Joseph Kabila, secondo il loro avvocato. "La domanda è stata inviata questa mattina al presidente Kabila", ha dichiarato a Londra Giovanni di Stefano, avvocato dei due norvegesi. Secondo un documento inviato dal legale, il presidente Kabila è invitato ad applicare il suo "potere di perdono" e a ordinare "la rimessa in libertà dei due detenuti con la loro partenza verso la Norvegia".

Giovedì scorso, una corte militare congolose ha confermato la condanna a morte, pronunciata l’8 settembre in prima istanza, di Tjostolv Moland, 28 anni, e Joshua French, 27 anni, per l’omicidio di un autista di un veicolo noleggiato a Kisangani. I due giovani sono stati condannati a pagare "solidalmente con la Norvegia" anche 330 milioni di euro come risarcimento di danni. Ieri, il capo della diplomazia norvegese ha ottenuto garanzie da Kinshasa: i due giovani non saranno giustiziati. "Il ministro degli Esteri della R.D. Congo, (Thambwe) Mwamba, ha assicurato che la pena capitale non sarà applicata" contro Moland e French ma è stata commutata nell’ergastolo.

Costarica: operaio bresciano, in carcere per droga, chiede aiuto

 

Brescia Oggi, 7 dicembre 2009

 

"Qualcuno che stava con me mi ha incastrato mettendo alcune buste di droga nella mia valigia e la polizia mi ha chiuso in carcere qui in Costarica: sono disperato, per favore, aiutatemi". Sono le ultime parole di Luca Cimarelli, un operaio di 47 anni di origine ternana ma residente da anni a Montichiari (BS) scomparso da circa due mesi, e "riapparso" telefonicamente per pochi secondi giorni fa (il contatto risale a mercoledì scorso), giusto il tempo per lanciare una disperata richiesta di soccorso.

Cimarelli lavora alla Barilla di Castiglione delle Stiviere, e alla fine di settembre si era preso una settimana di ferie per fare un breve viaggio in Centroamerica: "Dall’inizio del mese di ottobre, quando avrebbe dovuto ritornare, non abbiamo più avuto sue notizie - confermano alcuni colleghi -, tanto che i dirigenti dello stabilimento stavano facendo partire la lettera di licenziamento per l’assenza ingiustificata. Poi ci hanno chiesto notizie, e vista la sua irreperibilità hanno deciso invece di presentare una denuncia di scomparsa ai carabinieri di Montichiari".

La preoccupazione di amici e colleghi - accresciuta dalla drammatica telefonata della scorsa settimana - si è ovviamente estesa alla madre ottantenne dell’operaio e alla sorella dello stesso, che vivono a Terni e che in un primo tempo non sembravano troppo preoccupate: "Abbiamo provato a contattarle più volte - continuano i compagni di lavoro -, e per un po’ la madre è stata convinta che Luca si fosse trasferito definitivamente nella Costa Rica per cambiare vita, mentre non siamo riusciti a rintracciare la sorella. Adesso, almeno la mamma sa che invece si trova in carcere".

Viste le difficoltà di comunicazione con i parenti, le ricerche dell’operaio monteclarense sono quindi iniziate senza l’aiuto dei familiari, coinvolgendo i rappresentanti locali del sindacato Uila (l’Unione lavoratori agroalimentari) della Barilla che hanno provato a contattare l’Ambasciata italiana in Costa Rica: "Abbiamo solo ricevuto la conferma dell’arresto di Luca; nulla di più. Non essendo parenti stretti ci è stato negato l’accesso a qualsiasi informazione e vietato qualsiasi contatto con lui, con i dirigenti del carcere della capitale San Josè nel quale è detenuto e, soprattutto, con il suo avvocato".

"Solo i rappresentanti dell’ambasciata, possono interloquire con la direzione del carcere; ma su esplicita richiesta della famiglia", spiega tra gli altri l’amico e collega Alfio Fiorello (aggiungendo anche che la storia della droga gli sembra inverosimile). Ora, i contatti bresciani dell’arrestato si dicono intenzionati a rivolgersi oggi stesso alla Questura di Brescia per rintracciare la sorella dell’amico e cercare di convincerla a intervenire al più presto.

L’uomo, sposato con una donna di origine kenyana, è attualmente separato, ha una figlia che studia in Scozia e che dovrebbe essere rientrata da poco in Kenya dalla madre. E nessuna delle due donne saprebbe nulla: "All’inizio pensavamo che Luca avesse deciso di andare a trovare l’ex moglie in Africa e non ci eravamo preoccupati più di tanto. Poi c’è stata la richiesta d’aiuto".

In attesa di notizie "istituzionali", gli amici di Cimarelli si sono rivolti anche alla Croce rossa di Castiglione, che si è detta disponibile a contattare (attraverso la Cri internazionale) i propri rappresentanti nel Paese centroamericano per convincerli a visitare il carcere di San Josè e verificare le condizioni del monteclarense.

 

 

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