Rassegna stampa 17 dicembre

 

Giustizia: per le carceri una situazione esplosiva e meno risorse

 

Agi, 17 dicembre 2009

 

La situazione nelle carceri è esplosiva e ad un aumento dei detenuti si registra una diminuzione dei fondi da parte del Ministero di Grazia e Giustizia. È quanto emerge da un’inchiesta compiuta dal settore giustizia del Partito Democratico. Alcuni parlamentari del Pd, negli ultimi mesi, hanno visitato le carceri di Torino, Genova, Bologna, Modena, Firenze, Roma, Potenza, Bari, Catania e Sassari.

Su 58.127 detenuti, presenti nelle carceri nel 2009, la spesa pro capite per ogni detenuto è stata di 6.393 euro, mentre nel 2007, su 39.000 detenuti si erano spesi 13.170 euro per detenuto. Secondo i dati, presentati questa mattina nel corso di una conferenza stampa da Andrea Orlando del Pd rispetto alla Finanziaria del 2007 nella Finanziaria del 2010, la spesa per i servizi e le provviste nelle carceri diminuiscono del 9,9%. Le spese per le attività scolastiche nelle carceri sono diminuite sempre del 9,9%. Le spese per le traduzioni e le scorte da parte degli agenti della penitenziaria sono diminuite del 13,2%. Del 31,8% sono diminuiti i fondi destinati ai ricoveri ospedalieri e agli esami specialistici.

In diminuzione anche del 22,2% i fondi per la formazione del personale. "Ciò che emerge non è una novità - ha detto Andrea Orlando del settore giustizia del Pd - ovvero un sovraffollamento delle carceri, un’alta presenza di immigrati, tossicodipendenti e malati di Aids. Una carenza del personale allarmante, la crisi della sanità carceraria, una riduzione delle attività lavorative esterne ed interne ed una presenza di bambini nelle celle. Una situazione esplosiva che diventerà sempre più esplosiva nel futuro. Ciò che è grave è che un’iniziativa del Governo sul fronte carceri non c’è, non c’è nessuna volontà di mettere in atto scelte compiute, anche perché mancano i fondi".

Il Partito Democratico ha deciso di istituire un tavolo di lavoro per monitorare la situazione delle carceri. Un gruppo di lavoro stabile che vedrà la partecipazione dei lavoratori delle carceri, dei garanti dei detenuti e delle varie associazioni che ogni giorno sono impegnati nelle carceri. "Non vorremmo - ha detto ancora Andrea Orlando - che il processo breve sia un modo di fare una sorta di amnistia. Vorremmo capire se si sta tentando di fare il gioco delle tre carte su questo tema".

L’impegno del Partito Democratico è quello di far approvare al più presto una legge che istituisca una figura nazionale del garante dei detenuti, incalzare il Governo a trovare nuovi stanziamenti per l’emergenza delle carceri e sensibilizzare alla responsabilità Governo e Regioni per l’emergenza della sanità carceraria.

"Dal 1948 ad oggi - ha detto Pietro Tidei, parlamentare del Pd che ha visitato le carceri di Regina Coeli e Rebibbia a Roma - una situazione così esplosiva non l’abbiamo mai avuta. Nel 2012 i detenuti saranno oltre centomila. Negli ultimi dieci anni ci sono stati 1.500 decessi nelle carceri di cui un terzo per suicidio. Sta esplodendo anche la questione salute. In questo stato di promiscuità ci sono portatori di malattie che poi, una volta all’esterno, rappresenteranno un problema per tutta la popolazione".

Giustizia: il carcere è "inutile" e rischia di diventare "dannoso"

 

Redattore Sociale - Dire, 17 dicembre 2009

 

"Nel giro di un paio d’anni avremo circa 23 nuovi padiglioni con un aumento consistente di posti": l’impegno del Dap. Seminario organizzato a Roma da Magistratura Democratica.

Sovraffollamento, ma non solo. Le crepe del sistema penitenziario italiano si fanno sempre più profonde, ma non solo a causa dell’aumento del numero di detenuti. La riduzione di possibilità alternative e mancanza di risorse aumentano i rischi di un sistema penitenziario che può diventare non solo "inutile" ma anche "dannoso".

È l’allarme lanciato durante il seminario "Vivere e morire in carcere" organizzato a Roma da Magistratura democratica, in collaborazione con Antigone, Gruppo Abele, Libera, Psichiatria democratica, Ristretti Orizzonti e Seac, coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario. Diversi i nodi critici messi in evidenza da Francesco Cascini, magistrato e responsabile del servizio ispettivo del Dap. "Il sovraffollamento è un problema comune a molti paesi europei - ha affermato Cascini - ma non è l’unico problema del nostro sistema penitenziario. C’è quello della posizione giuridica delle persone in carcere. Abbiamo una percentuale di detenuti in custodia cautelare enorme: su oltre 65 mila detenuti, 31.136 sono in custodia cautelare, quasi il 50%. All’inizio si diceva che era un dato determinato dall’indulto. Oggi i detenuti in attesa di giudizio sono 7 mila in più rispetto a quelli che erano in attesa di giudizio prima dell’indulto. Un fenomeno che va aumentando. Siamo di gran lunga il paese europeo che ha il più alto numero di detenuti in attesa di giudizio. Se in Europa sono circa 130 mila le persone in custodia cautelare, 31 mila sono in Italia".

Tuttavia, tra i tanti problemi del sistema penitenziario italiano, quello più evidente resta il sovraffollamento, a cui l’indulto non ha dato che una boccata d’aria. "Prima dell’indulto, al 30 giugno del 2006 i detenuti erano 61.264 - ha specificato Cascini -. Con il provvedimento ne sono usciti 27mila nel giro di un paio di mesi. Da allora mensilmente il numero dei detenuti è aumentato di mille 1.200 al mese. Ad oggi siamo a 65.719, a fronte di una capienza regolamentare fissata circa vent’anni fa di 43.276 posti, cioè abbiamo superrato di circa 4 mila unità il dato che aveva provocato l’indulto".

Togliersi l’aria reciprocamente, significa questo stare in nove metri quadri in tre persone per tutta la giornata. E in alcuni casi anche non avere neppure una brandina come gli altri per dormire. "In alcuni istituti del Nord il sovraffollamento è assolutamente intollerabile - ha aggiunto Cascini -. A Monza ci sono stanze inferiori ai 9 metri quadri, e siccome non entra la terza branda i detenuti hanno una brandina pieghevole. In molti istituti abbiamo il doppio della capienza tollerabile, non della capienza regolamentare".

Il sistema penitenziario ha bisogno di essere ripensato, ha aggiunto Cascini, non solo partendo dal riprogettare le strutture penitenziarie. "La sensazione che ho è che grandissima parte dei detenuti potrebbero stare tranquillamente altrove e non in carcere - ha detto Cascini -. Le strutture penitenziarie oggi non sono indirizzate per la rieducazione, tranne l’eccezione di direttori illuminati, per il resto sono istituti per la contenzione. Occorre tracciare una linea e da un lato mettere le cose gravi per le quali è indispensabile il carcere, dall’altra le cose che non sono gravi che possono essere punite e accertate diversamente". Sul fronte dell’edilizia penitenziaria, però, qualcosa si sta muovendo.

"Il Dap ha dei fondi per costruire e sta costruendo in modo consistente - ha aggiunto Cascini -. Moltissimi istituti penitenziari sono interessati da ampliamenti. Nel giro di un paio d’anni avremo circa 23 nuovi padiglioni con un aumento consistente di posti. Non so se sia una cosa positiva, ma temo di no. Significa la contenzione, si riduce lo spazio e si creano palazzi dove si chiude la gente. Lo spazio si sta creando, non è vero che non si sta creando, ma la mia preoccupazione è il modo con cui questo spazio si sta creando. L’edilizia carceraria poteva essere un’opportunità, per immaginare un carcere diverso".

Giustizia: tutto ciò che non si riesce a gestire diviene detenzione

 

Redattore Sociale - Dire, 17 dicembre 2009

 

Immigrati, tossicodipendenti e malati psichici. "5 aggressioni e 20 casi di autolesionismo al giorno, 2 tentativi di suicidio al giorno e un suicidio ogni dieci giorni".

"Il carcere colpisce ciò che non si risolvere in altro modo. L’immigrazione non si riesce a gestire e la puniamo con il carcere. Tutto ciò che non si riesce a gestire diventa carcere". È la denuncia di Francesco Cascini, responsabile del servizio ispettivo del Dap intervenuto durante il seminario "Vivere e morire in carcere" organizzato a Roma da Magistratura democratica, in collaborazione con Antigone, Gruppo Abele, Libera, Psichiatria democratica, Ristretti Orizzonti e Seac, coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario. Secondo Cascini, basta dare un’occhiata ai dati riguardanti i detenuti per accorgersi delle anomalie del sistema penitenziario italiano. "Circa 13 mila persone entrano in carcere per violazione della Bossi Fini ogni anno - ha spiegato -. Entrano, stanno 3 giorni e poi escono. Credo che nessuno ragionevolmente possa ritenere che questa sia una cosa utile". La presenza degli stranieri in carcere in Italia, spiega Casini, è in aumento negli ultimi anni. Attualmente ci sono 24.386 detenuti stranieri, di cui 18 mila extracomunitari. "Una percentuale che al Sud è intorno al 20% - ha aggiunto - o in alcuni casi anche il 10%, mentre al nord va dal 60 all’80%".

Tra i problemi evidenziati da Cascini, anche quello della presenza in carcere di tossicodipendenti e persone con problemi psichici. "C’è una grande platea di persone con problemi psichici - ha spiegato Cascini -. Una delle cose che mi ha colpito di più è la quantità di medicinali di tipo psichiatrico che vengono distribuiti in carcere. Dai medicinali più impegnativi a quelli lievi, circa l’80-90% assume qualcosa. Tutti prendono qualcosa. Grandissima parte dei detenuti sono sottoposti ad una terapia farmacologica anche importante. Un problema che andrebbe attentamente monitorato". Non da ultimo il problema della violenza in carcere. "Abbiamo 20 casi di autolesionismo al giorno, 5 aggressioni al giorno, 2 tentativi di suicidio al giorno e un suicidio ogni dieci giorni - ha aggiunto Cascini -. Si tratta di dati impressionanti e dipendono solo in parte dal sovraffollamento. Se noi esaminiamo i dati dell’anno scorso erano pressoché analoghi con circa 10 mila detenuti in meno. Quello che dobbiamo chiederci è come è organizzata la detenzione di questo Paese".

Giustizia: Antigone; su carcere evidenti responsabilità politiche

 

Redattore Sociale - Dire, 17 dicembre 2009

 

Gonnella (Antigone): responsabilità della politica anche "nell’aver orientato il senso comune". Favero (Ristretti Orizzonti): "Umanizzare la pena".

Se le carceri oggi sono sovraffollate e i diritti dei detenuti continuamente a rischio, la responsabilità è in larga parte politica. Secondo Patrizio Gonnella, presidente di Antigone intervenuto al seminario "Vivere e morire in carcere" organizzato a Roma da Magistratura democratica, a determinare l’attuale condizione di difficoltà in cui versa il sistema penitenziario italiano sarebbero state alcune leggi approvate fino ad oggi. "Le responsabilità politiche sono evidenti - ha spiegato Gonnella -. I numeri sui detenuti analizzati da Cascini sono il frutto di norme introdotte negli ultimi anni. C’è una responsabilità politica nella produzione di norme e riguardano i tre ambiti che producono oggi maggiore carcerazione. La legge sulla recidiva, sulle droghe e sull’immigrazione". Ma le responsabilità, aggiunge Gonnella, riguardano anche quelle norme non ancora introdotte. "C’è anche un’altra responsabilità politica, cioè nell’assenza di norme - ha spiegato -. Quel pezzo di violenza che ha continuato ad esserci nel sistema penitenziario avrebbe potuto avere un segnale politico legislativo di risposta. Non è di oggi la Convenzione delle Nazioni unite contro la tortura. È del 1984, firmata e ratificata e quindi entrata in vigore in Italia nel 1987. Ci sono 22 anni di convenzione Onu in vigore, che chiedeva di adeguare la legislazione interna, di introdurre nel codice penale il reato di tortura".

Ma il mondo politico, continua Gonnella, ha anche un’altra responsabilità, quella di aver avuto un’influenza sull’opinione pubblica in merito al sistema penitenziario. "C’è anche una responsabilità nell’aver orientato il senso comune - ha aggiunto -. Nel senso che alcune delle cose che noi stiamo dicendo oggi, 15 anni fa avrebbero avuto un consenso più ampio dal punto di vista del sostegno dell’opinione pubblica. Anche qui c’è stata una precisa scelta politica". Per Antigone, la strada percorribile, però, passa proprio dalle scelte politiche del Paese. "La soluzione è paritetica alle responsabilità, cioè politica - ha concluso Gonnella -. C’è anche, ovviamente, la soluzione edilizia. Una soluzione di necessità. La nostra speranza è che laddove si debbano per forza fare nuove carceri che si tenga conto delle leggi e degli standard". Per Ornella Favero, coordinatrice di Ristretti Orizzonti, invece, il problema non è solo umanizzare le strutture penitenziarie. "Bisogna parlare di umanizzare la pena. Quel poco di ragionamenti che sento sulle carceri e sulle prospettive sono tutte per tenere la gente dentro. Oggi il carcere ti tiene dentro, a volte fino a morire, ma non ti dà prospettive di fare un percorso". Per Favero, però, quel che manca oggi sono le proposte di chi si batte per i diritti dei detenuti. "Ci sono i garanti, c’è Magistratura democratica e le associazioni - ha concluso Favero - ma capacità di avere proposte serie siamo sottozero. Tant’è vero che un discorso chiaro sul piano carceri non l’ho ancora sentito. Ho sentito varie proteste, ma ragionare di più sull’umanizzare la pena e non le carceri".

Giustizia: garantire la salute in carcere, è un’impresa improba

 

Redattore Sociale - Dire, 17 dicembre 2009

 

Il punto in un convegno del Forum nazionale. Fondi statali non trasferiti, mancato completamento del passaggio di competenze dalla Giustizia alla Salute, ritardo delle regioni. E le condizioni dei detenuti peggiorano.

Le celle sono sovraffollate, le regioni - che hanno la competenza sanitaria - faticano e arrancano, il governo centrale non trasferisce le risorse promesse. E i detenuti vivono in condizioni che lo stesso Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap) giudica "ai limiti del vivibile". Una situazione che non può essere ulteriormente tollerata e che spinge il Forum nazionale per la salute in carcere - che oggi alla sede della Provincia di Roma ha organizzato il convegno "Salute, sovraffollamento e sanità penitenziaria" per fare il punto sulla situazione sanitaria dei detenuti - a lanciare un allarme e a chiedere a gran voce al governo e alle regioni di fare ciascuno la propria parte. Perché è anche questione di legalità, e le istituzioni "devono rispettare le leggi".

Sono oltre 65mila i detenuti in carcere, con gravi problemi sanitari, che si aggiungono a quelli derivanti dalla popolazione carceraria, con un gran numero di tossicodipendenti e di persone con una qualche forma di disagio mentale. C’è un doppio ordine di problemi da tenere in considerazione: la prima è la parziale applicazione del Dpcm 01/04/2008 che stabiliva il trasferimento delle competenze sanitarie dal ministero della Giustizia a quello della Salute, con una presa in carico delle carceri da parte delle Asl del territorio. Un processo non ancora concluso, e che anzi vede come fanalini di coda le cinque regioni a statuto speciale. "La responsabilità è anche del governo: chiediamo al ministro Fitto - precisa Bruno Benigni del Forum - di convocare al più presto il Tavolo paritetico nazionale per favorire tale processo".

C’è anche una questione di fondi, perché le risorse finanziarie previste per l’anno 2009 per la sanità penitenziaria non sono ancora state trasferite; lo conferma anche il vicepresidente della Regione Lazio Esterino Montino: "Non abbiamo visto un soldo". La richiesta al governo è quella di assegnare rapidamente le risorse, e di allineare i trasferimenti per l’anno 2010 a quelli previsti per il Fondo sanitario nazionale. Richieste urgenti, al fianco delle quali ci sono quelle a lungo termine: l’inserimento della sanità penitenziaria nel Patto per la salute, la redazione di un Piano nazionale per le carceri italiane da concordare fra ministero della Giustizia e Conferenza Stato-Regioni, l’attivazione di un Osservatorio nazionale sulla salute dei detenuti e degli internati negli Opg, la riserva del 50% dei fondi della Cassa delle ammende per programmi alternativi alla detenzione presentati dalle regioni. A queste ultime, invece, viene chiesta la definizione di modelli organizzativi della sanità penitenziaria per ogni istituto presente nella regione, considerando il servizio sanitario penitenziario come articolazione del sistema sanitario regionale e aziendale: l’obiettivo ultimo è quello di garantire stabilmente un servizio di cure primarie in ogni carcere, di modo che l’assistenza sanitaria sia garantita 24 ore su 24 e sette giorni su sette.

In mezzo a tante difficoltà, da Santi Consolo, vice capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap), arriva l’invito a non enfatizzare la realtà e a non lanciarsi in "previsioni catastrofiche", anche se è vero che "il sovraffollamento è ai limite del vivibile". E mette in evidenza il fatto che con i 160 milioni di euro a disposizione della Cassa delle Ammende è possibile presentare progetti per il recupero di spazi detentivi nelle vecchie strutture, creando anche lavoro per gli stessi detenuti.

Giustizia: pochi psicologi carcerari, ascolto e sostegno a rischio

 

Redattore Sociale - Dire, 17 dicembre 2009

 

Salute fisica e mentale dei detenuti e sovraffollamento delle carceri, sono argomenti al centro della polemica da tempo. Dopo la riduzione dei mesi scorsi, si è ulteriormente contratta l’attività degli psicologi (ex art. 80 che non sono stati fatti passare al Servizio sanitario nazionale, ma sono stati trattenuti dal ministero della Giustizia) nelle carceri. E questo nonostante il fatto che il ritmo di crescita del numero detenuti imponga, invece, di rafforzare l’assistenza e l’osservazione psicologica.

"La vita di una persona privata della libertà, è il primo trauma che il detenuto deve affrontare - spiega Marialori Zaccaria, presidente dell’Ordine degli psicologi del Lazio - In seguito abbiamo il sovraffollamento delle carceri stesse e, a coronamento di tutto questo, la mancanza di risorse che rendono difficile l’intervento. Ogni detenuto poi - continua la psicologa - ha una storia a sé e un percorso personale da considerare. Nel caso della recidiva, ad esempio, la persona che rientra in carcere perché ha commesso ancora lo stesso reato, spesso lo fa perché non ha alternative di vita fuori. Probabilmente - sottolinea Zaccaria - nessuno lo ha supportato psicologicamente per aiutarlo a capire e scegliere un’alternativa di vita. La situazione di chi esce dal carcere può diventare folle se non c’è un inserimento sociale: qualcuno si ritrova anche senza famiglia, senza casa e ovviamente senza lavoro".

Una situazione di generale sottovalutazione del problema carceri, basti pensare che la riduzione dell’orario di lavoro degli psicologi all’interno degli istituti penitenziari si attesterebbe, in media, fra il 25 e il 30% dell’orario di lavoro e sarebbe causata da una riduzione dei budget assegnati dal ministero di Giustizia. Riduzioni si segnalano in tutte le carceri del Lazio: da Viterbo (dove a fronte di circa 700 detenuti gli psicologi hanno a disposizione 36 ore mensili) a Latina fino agli istituti della capitale. Nel carcere di Frosinone sarebbero rimaste a disposizione degli psicologi 26 ore di attività mensile a fronte di una popolazione di 450 detenuti.

A Regina Coeli la riduzione è del 30%: i 7 psicologi dell’osservazione hanno ora 15 ore mensili di lavoro. Quelli che occupano di "nuovi giunti" hanno, ognuno, 40 ore mensili. Il tutto per un compenso pari a 17 euro lordi l’ora.

"Questi numeri ci preoccupano - afferma Marialori Zaccaria - è addirittura paradossale che nonostante i reiterati appelli da parte dell’Ordine, insieme al Garante dei detenuti, per aumentare il numero delle ore di lavoro degli psicologi nelle carceri, palesemente insufficienti per garantire un ascolto ed un sostegno efficace, si debba oggi constatare una riduzione ulteriore rispetto agli attuali 12 minuti al mese per detenuto. Si raffigura ancora una pesante sottovalutazione dell’importanza dello psicologo - conclude Zaccaria - in un contesto di detenzione divenuto sempre più complesso per la presenza maggioritaria di immigrati e di tossicodipendenti - vera emergenza nel Lazio - a cui rispondere migliorando la qualità e la quantità dell’offerta dell’aiuto psicologico".

Giustizia: l'immigrato irregolare può far visita parenti detenuti

 

Corriere della Sera, 17 dicembre 2009

 

Una Circolare del Dap stabilisce che agli stranieri in visita a parenti detenuti non si chieda il documento.

Allo straniero che si presenta in carcere per far visita a un familiare detenuto non dovrà esser richiesto alcun documento che dimostri la sua regolare presenza in Italia. Con una circolare "ad hoc" il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria mette nero su bianco come il poliziotto penitenziario debba agire alla luce delle nuove norme previste dal pacchetto sicurezza che hanno introdotto il reato di immigrazione clandestina.

I detenuti stranieri nelle sovraffollate carceri italiane sono oltre 25mila (circa il 27% del totale) e molti di essi sono clandestini. La probabilità che siano irregolari anche alcuni dei familiari che fanno loro visita in carcere è assai alta. Dal momento che gli agenti penitenziari sono pubblici ufficiali, come dovranno comportarsi ora che l’immigrazione clandestina è un reato? "Il personale del Corpo di polizia penitenziaria non dovrà richiedere allo straniero che accede alla struttura penitenziaria l’esibizione di alcuna documentazione attestante la sussistenza dei requisiti legittimanti la presenza sul territorio italiano, né lo straniero sarà tenuto a dimostrare in alcun modo la regolarità della sua posizione", scrive Sebastiano Ardita, magistrato a capo della direzione generale detenuti del Dap. E questo vale a maggior ragione "nel caso in cui a richiedere il colloquio siano i figli minori di persone prive di permesso di soggiorno".

Ma la Circolare, diramata a tutti i provveditori regionali, precisa anche che il mancato obbligo di verifica sulla regolarità dello straniero all’ingresso del carcere "non esclude che il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, in qualsiasi modo venga a conoscenza della sussistenza del reato" di immigrazione clandestina "non sia tenuto, in via generale, a denunciare tempestivamente il reato all’autorità giudiziaria o ad altra che abbia a sua volta obbligo di riferire a quella". La decisione di non chiedere allo straniero in visita un documento che ne attesti la regolare presenza è stata presa - scrive Ardita - sulla base della considerazione che l’accesso per il colloquio con i familiari in carcere "non si configura come la fruizione di un servizio pubblico ma come esercizio di un diritto, tanto da parte dei ristretti quanto da parte dei congiunti".

Giustizia; Osapp; allibiti dalla Circolare Dap, intervenga Maroni

 

Ansa, 17 dicembre 2009

 

Non piace affatto al sindacato di polizia penitenziaria Osapp la circolare con cui il Dap impone di non verificare se sia clandestino o meno lo straniero che fa visita in carcere a un familiare detenuto. "Siamo allibiti. L’avevamo detto che al Dap non c’era più bisogno dei magistrati, e questa circolare ne è la riprova - commenta Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp -. Sono anni che lottiamo per fare sì che la polizia penitenziaria sia considerata al pari delle altre forze di polizia, ma ogni volta fanno di tutto per ricacciarci indietro".

"Come agenti e ufficiali di polizia giudiziaria abbiamo l’obbligo di far rispettare le leggi e reprimere i reati, non certo di chiudere un occhio. Su questa vicenda - annuncia Beneduci - ci rivolgeremo al ministro dell’Interno Maroni per avere giustizia".

Giustizia: SMI; stabilizzazione personale sanitario delle carceri

 

Comunicato stampa, 17 dicembre 2009

 

La Commissione Medicina Penitenziaria dello Smi (Sindacato Medici Italiani), in sinergia con il responsabile nazionale per la specialistica ambulatoriale Cosimo Trovato, ha elaborato un documento (di seguito) in cui si avanzano alcune proposte concrete per la stabilizzazione dei medici della sanità penitenziaria. La questione sarà seguita da vicino dal presidente nazionale della commissione, Raffaele Gaudio (Smi Toscana) e dal segretario organizzativo, Giovanni Musumeci (Smi Sicilia)

La commissione nazionale medicina penitenziaria dello Smi recepisce la linea di indirizzo emanata dalla Commissione sanità della Conferenza Stato-Regioni, del 10 giugno scorso, sulla medicina penitenziaria per le professionalità mediche e non, in servizio.

Lo Smi ritiene che al personale operante negli istituti penitenziari, in qualità di medici incaricati "provvisori" (ex art. 50 della legge 740/70), sia riconosciuto lo stesso trattamento giuridico ed economico dei medici incaricati definitivi. I Medici "Sias" (ex art. 51 della Legge 740/70) siano da considerare categoria ad esaurimento, ed il rispettivo rapporto di lavoro assegnato al settore della Medicina dei servizi territoriali con il riconoscimento delle relative disposizioni contrattuali. I medici che, in atto, lavorano negli istituti penitenziari e negli Opg come specialisti, verranno riassorbiti nell’Accordo Collettivo Nazionale della Specialistica Ambulatoriale Interna.

La commissione propone, per le nuove assunzioni, che permetteranno di migliorare la carente assistenza sanitaria negli istituti penitenziari, che il personale medico e le altre professioni, a far data dal 1 gennaio 2010, venga reclutato nei servizi sopracitati come ex medici "Sias", attraverso graduatorie regionali, così come recita l’Accordo Collettivo Nazionale di Medicina Generale, vigente.

Gli specialisti che accederanno al servizio di medicina penitenziaria verranno individuati tramite graduatorie provinciali con monte ore dedicato, in base all’Accordo Collettivo Nazionale in atto vigente della Specialistica Ambulatoriale Interna.

La commissione nazionale individua, per il prosieguo dei lavori, che portino a una stabilizzazione dei medici penitenziari, il presidente nazionale della commissione, Raffaele Gaudio (Smi Toscana) e il segretario organizzativo, Giovanni Musumeci (Smi Sicilia)

 

Cosimo Trovato

Responsabile nazionale Smi area specialistica ambulatoriale

Giustizia: Sappe; serve riassetto gerarchico-funzionale Pol.Pen

 

Adnkronos, 17 dicembre 2009

 

"È assolutamente necessaria e non più rinviabile una complessiva ed organica riforma del Corpo, indispensabile al riassetto gerarchico e funzionale della Polizia Penitenziaria a 19 anni dalla precedente riforma". È quanto scrive Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), indirizzandosi al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ed a quello della Pubblica Amministrazione ed Innovazione, Renato Brunetta.

"È necessario - prosegue Capece - riallineare i ruoli dei vice Sovrintendenti, dei vice Ispettori e dei vice Commissari della Polizia Penitenziaria, oggi penalizzati rispetto ai pari grado della altre Forze di Polizia, per rendere le progressioni di carriera davvero in linea e senza più alcuna differenziazione a seconda del Corpo di appartenenza. E questo non può che essere il presupposto per addivenire al più complessivo riordino di tutte le carriere che preveda l’unificazione del ruolo degli Agenti ed Assistenti con quello dei Sovrintendenti". Capece sottolinea poi come "non si possa fare sicurezza senza avere adeguati strumenti di formazione ed aggiornamento professionale".

In tema di aggiornamento professionale Capece lamenta poi che "quella che attualmente ci propina la Direzione Generale del Personale e della Formazione del Dap è una formazione vecchia di trent’anni, è abbondantemente superata perché non tiene nel debito conto la composizione dell’attualità penitenziaria, continuando, ad esempio, a trascurare la necessità di organizzare corsi di lingua straniera per i nostri Agenti, visto che quasi 25mila degli attuali 66mila detenuti sono appunto stranieri, e le prerogative di Polizia giudiziaria e di Pubblica sicurezza dei Baschi Azzurri".

"È insomma necessaria - ribadisce Capece - una nuova e non più rinviabile riforma della Polizia Penitenziaria, partendo anche dalla necessità di istituire, nell’ambito del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, una Direzione generale del Corpo sulla cui ragion d’essere ogni giorno di più siamo fermi e convinti sostenitori".

"Questo - conclude Capece - prevedendo che del ruolo dirigenziale della Polizia Penitenziaria possano far parte esclusivamente poliziotti e non, come invece qualcuno vorrebbe, esterni al Corpo come i dirigenti del Comparto Ministeri e vecchie scorie del nostro passato come gli ultimi appartenenti al disciolto Corpo degli Agenti di Custodia, ancora oggi in servizio, che hanno già ottenuto fin troppo ‘a trainò della Polizia Penitenziaria".

Giustizia: in Senato dibattito su introduzione del reato di tortura

 

9Colonne, 17 dicembre 2009

 

Torna all’ordine del giorno del Senato la proposta di legge per l’introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano mentre si susseguono casi di violenze fisiche e psicologiche, realtà spesso invisibili ma esistenti nelle case, nelle strade, nelle carceri, a volte anche negli ambienti di lavoro.

Al passo con la cronaca, esce il libro dell’esperto in comunicazione Paolo Garofalo "Diritti Umani e Tortura. Potenza e prepotenza dello stato democratico" che verrà presentato oggi, alle 17.30, a Roma, presso la Sala Caduti di Nassiriya di Palazzo Madama, per aprire un dibattito trasversale, privo di colori politici, finalizzato alla necessità di riconoscere all’interno del nostro sistema legislativo il reato di tortura.

Saranno presenti, accanto all’autore, anche il presidente della commissione Diritti Umani del Senato Pietro Marcenaro e il coordinatore nazionale dei Garanti dei detenuti e garante siciliano per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti, il senatore Salvo Fleres - che hanno rispettivamente scritto la postfazione e la prefazione del libro -, entrambi presentatori dei disegni di legge per l’inserimento del reato di tortura nell’ordinamento italiano. Attraverso le pagine di Paolo Garofalo - che ha anche curato per l’Intergruppo federalista dell’Assemblea regionale siciliana la pubblicazione "I diritti dell’uomo" - si accendono così i riflettori su uno degli argomenti più inquietanti che il genere umano abbia mai concepito: la tortura. "Dalla Roma imperiale alla Grecia antica, dalle tribù indo americane a quelle africane, dai tribunali dell’Inquisizione alle forze militari del nazismo o del comunismo sovietico - spiega Garofalo - il libro descrive un percorso storico e sociologico che interroga sul perché l’umanità ha praticato e continua a praticare, in ogni epoca e in ogni parte del mondo, questo inaccettabile abuso".

Giustizia: Radicali; morte Bianzino è una vicenda con lati oscuri

 

Ansa, 17 dicembre 2009

 

"Con l’archiviazione dell’inchiesta, da parte del tribunale di Perugia, del caso di Aldo Bianzino, morto in circostanze misteriose nel carcere di Perugia la notte tra il 13 e il 14 ottobre 2007 dopo 36 ore dal suo arresto, sarà praticamente impossibile fare luce su una vicenda che ha molti lati oscuri": è quanto sostengono Emma Bonino, Marco Pannella e Rita Bernardini.

Gli esponenti Radicali hanno parlato, in una nota congiunta, di "esiti discordanti delle due autopsie che furono fatte immediatamente dopo il decesso. Infatti il primo esame autoptico - hanno aggiunto - escluse patologie cardiache pregresse e mise invece in evidenza lesioni agli organi interni, presenza di sangue nell’addome e pelvi, lacerazione epatica, lesioni all’encefalo, a fronte di un aspetto esterno indenne da segni di traumi; un secondo esame autoptico, del novembre 2007, accreditò la tesi della rottura di un aneurisma cerebrale. Furono sempre riscontrate lesioni epatiche e la presenza di sangue nell’addome. Pur accettando l’ipotesi del medico legale, si affermò che l’emorragia cerebrale potesse essere stata causata da un forte stress di tipo fisico con improvviso rialzo della pressione".

"Le conseguenze di questo decesso in carcere - hanno sostenuto Bonino, Pannella e Bernardini - sono state per la famiglia di Aldo Bianzino drammatiche: pochi mesi dopo la suocera di Aldo morì e da pochi mesi è morta di dolore anche la compagna Roberta. Il figlio Rudra, minorenne, rimasto solo con lo zio Ernesto, si trova ora senza nonna e genitori. Ci sorprende questa decisione del Tribunale di Perugia, cercheremo di capire cosa ha spinto i magistrati a questa decisione dell’archiviazione che era già stata proposta in altre due occasioni. Saremo al fianco del nostro compagno, iscritto a Radicali italiani, Rudra Bianzino che al nostro ultimo congresso ci chiese di aiutarlo nella ricerca della verità di quanto accaduto a suo padre Aldo".

Giustizia: Cucchi; indagati altri tre medici per omicidio colposo

 

Apcom, 17 dicembre 2009

 

Per la morte di Stefano Cucchi, il pusher deceduto il 22 ottobre scorso all’ospedale Sandro Pertini, sei giorni dopo essere stato arrestato, ci sono altre 3 indagati. Si tratta di medici della struttura protetta del nosocomio romano. Omicidio colposo il reato loro contestato dai pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy. I loro nomi si vanno ad aggiungere a quelli di altri tre medici della stessa struttura, tra cui il responsabile (e l’accusa è sempre omicidio colposo) e a quelli di tre agenti penitenziari (al cui carico è ipotizzato l’omicidio preterintenzionale). I nuovi indagati sono stati iscritti dopo l’esame delle cartelle cliniche di Cucchi da cui è emerso che anche questi medici si occuparono del 31enne durante il suo ricovero al Pertini

Lettere: il pensiero di farsi del male… così presente nei detenuti

di don Agostino Zenere

 

www.giovanipace.org, 17 dicembre 2009

 

I penitenziari del nostro Paese stanno passando un brutto momento. L’analisi del cappellano della casa circondariale San Pio X di Vicenza mette in evidenza gli aspetti umani della vita del detenuto. Non solo il sovraffollamento, ma anche il peso della propria storia che porta a volte a gesti estremi.

Perché ci si toglie la vita in carcere? Perché il pensiero di farsi del male (autolesionismo), o peggio di farla finita, è così presente nella mente di ogni persona reclusa? Tenterò di presentare brevemente i motivi della sofferenza da privazione della libertà senza escludere il fatto che molte persone arrivano in carcere portando con sé fragilità e debolezze che le espongono alla depressione, ai pensieri di fallimento oltre che agli effetti del peccato ed alla mancanza di riconciliazione.

Il detenuto è anzitutto una persona che soffre per la privazione della libertà. Chi studia da un punto di vista psicologico l’esperienza detentiva la paragona per intensità alla sofferenza della perdita di un genitore. L’afflizione psicologica si sfoga sul corpo ed è causa di una serie di mali fisici quali, ad esempio, alterazioni dell’apparato sensoriale, perdita di capelli, dermatiti allergiche, nevralgie dentali e disfunzioni gastrointestinali.

La persona detenuta non ha più una vita privata. Nella cella si vive assieme ad altre persone ed, in spazi ristretti, si trascorrono almeno venti ore al giorno. I compagni di cella non si scelgono, per cui possono trovarsi insieme persone di varie nazionalità, con conseguenti problemi legati alla diversità di lingua, religione, cultura e abitudini: il sovraffollamento non permette di avere attenzioni al riguardo.

Non importa che i compagni di cella siano tossicodipendenti, malati, sporchi: con loro bisogna andare d’accordo, dividere il poco spazio a disposizione, prestarsi le cose, pulire la stanza, avere in comune i servizi igienici e il piccolo televisore. In cella ogni detenuto ha una branda con lenzuola, cuscino e coperta, un armadietto per riporre pochi ed essenziali indumenti, tutto il resto va richiesto: una pastiglia per il mal di testa, una penna per scrivere, una busta per inviare una lettera, un libro.

Ogni cosa deve essere richiesta alla direzione con un apposito modulo chiamato "domandina", la risposta arriva dopo alcuni giorni. Tutto è rallentato, sottoposto a restrizioni e a innumerevoli regole. Il carcere è un ambiente sempre sovraffollato e gli agenti in servizio hanno il compito di sorvegliare e garantire la sicurezza.

Oltre a non avere il tempo per ascoltare, spiegare, dare risposte esaurienti alle persone recluse, gli agenti non hanno una formazione adatta a compiere questo servizio, svolto per lo più da poche figure istituzionali come il medico e l’infermiere, lo psicologo e l’educatore, il cappellano e un certo numero di assistenti volontari. La persona reclusa soffre per la condanna morale che il carcere comporta a livello personale e sociale. Egli considera le conseguenze del suo comportamento: rimarrà per tutta la vita un ex-carcerato, una persona che ha sbagliato e che non è più meritevole di fiducia. Se straniero sa che molto facilmente perderà il permesso di soggiorno.

Il detenuto è una persona con forti sensi e complessi di colpa che cerca di mascherare con un mare di "bugie", che tali non sono veramente, in quanto descrivono il tentativo di leggere a suo favore una realtà difficile e una situazione avversa. A colloquio con gli assistenti volontari e gli operatori, il detenuto cerca di coprire come può la sua vita sbagliata, i suoi errori. Cerca di proporsi migliore di quello che realmente è, come fa ciascuno di noi nelle relazioni di tutti i giorni. C’è anche chi, nella calma e nel calore di un colloquio piange disperatamente, e forse lo fanno un po’ tutti, ma di nascosto, perché il carcere non ammette debolezze e sentimenti. Certo non sono tutti pianti sinceri, secondo i nostri criteri di pentimento e redenzione, ma esprimono un dolore vero e profondo capace di ingenerare comportamenti di autolesionismo e di suicidio. Le persone recluse sono uomini come noi con desideri sani di contare qualcosa, di non aver distrutto tutto, di aver ancora la possibilità di ricominciare.

Il detenuto, anche se non lo dice, dubita di poter cambiare, perché spesso ha già sbagliato innumerevoli volte; perché non sa riconoscere le cause del suo comportamento e spesso non ha gli strumenti culturali e morali per leggere criticamente la storia della propria vita. La persona ristretta tende ad attribuire agli altri la sua sventura e a non riconoscere le proprie colpe. Possiamo affermare che il problema di queste persone non sia tanto la detenzione, ma la storia, la vita e l’ambiente che stanno all’origine del comportamento che li ha portati in carcere.

Lettere: "art. 21 Op" per la prima volta nel carcere di Augusta

di Daniela Domenici

 

Ristretti Orizzonti, 17 dicembre 2009

 

"I detenuti ammessi alla semilibertà o al lavoro all’esterno, previsti, rispettivamente, dall’art. 48 e dall’art. 21 dell’ordinamento penitenziario, legge 26 luglio 1975, n. 354, possono lavorare all’esterno dell’istituto. L’impresa che assume un detenuto deve rispettare la normativa previste dalla contrattazione collettiva nazionale.

La richiesta nominativa di assunzione va rivolta al direttore del carcere e deve contenere i dati utili alla formulazione del programma al quale il detenuto dovrà attenersi, cioè deve descrivere le mansioni da svolgere, indicare luogo e orario di lavoro, eventuali prestazioni di lavoro straordinario e ogni altro aspetto relativo all’impiego richiesto. Il programma è definito dall’istituto penitenziario in cui si trova il detenuto ed approvato dal magistrato".

Questi alcuni brevi dati per spiegare cos’è l’art. 21 perché per la prima volta è stato applicato nel carcere di Augusta e ci sembra quindi importante dare il giusto rilievo a questo evento. Dodici persone detenute escono ogni mattina dalla Casa di Reclusione, prendono l’autobus e si recano nella zona Paradiso-Terravecchia, punta estrema dell’isola su cui sorge Augusta, e lì lavorano dalle 8 alle 14, chi facendo l’imbianchino, chi il giardiniere, chi il muratore; riprendono poi l’autobus per rientrare in carcere fino alla mattina dopo; osserveranno questo orario fino al 22 dicembre, come ci ha detto un’educatrice, e poi, per i sei mesi di durata dell’accordo, lavoreranno dalle 8 alle 12 e rientreranno per il pranzo in carcere.

Nello specifico, l’impresa che ha assunto questi dodici uomini, tutti italiani eccetto uno di nazionalità albanese, è il Comune di Augusta che intende, con questo accordo, far loro svolgere lavori di manutenzione ordinaria. Queste dodici persone che hanno storie diverse alle spalle, reati e pene differenti, sono unite dalla voglia di dimostrare, prima a se stessi e poi al mondo esterno, che può avere applicazione pratica l’art. 27 della Costituzione italiana che stabilisce il fine rieducativo della pena in vista di un reinserimento sociale.

Lazio: Forum Salute; il 50% dei detenuti è in attesa di giudizio

 

Ansa, 17 dicembre 2009

 

Nel Lazio circa il 50% dei detenuti nelle carceri della regione sono in attesa di un giudizio definitivo. È quanto emerge dai dati forniti oggi in un convegno a Roma dal titolo "Salute, sovraffollamento e sanità penitenziaria", promosso dal forum Nazionale per il diritto alla salute delle persone private della libertà personale.

Su una popolazione carceraria stimata allo scorso 7 dicembre in 5.880 detenuti, sono 2.932 i condannati definitivamente. Altri 1.352 sono in attesa del primo grado di giudizio, 978 aspettano l’appello e 454 l’esito in Cassazione. 147 carcerati hanno invece più procedimenti a loro carico. Su una popolazione di 5.880 detenuti, 2.229 sono stranieri (poco meno del 40%). In generale, la maggior parte dei carcerati sono uomini (5.464). Nel totale, in Italia, in un anno è stato registrato un aumento di circa 7mila detenuti (dai 58.500 del novembre 2008 ai 65.688 dello stesso mese nel 2009).

Padova: Casa Circondariale; i detenuti sono triplo di capienza

 

Redattore Sociale - Dire, 17 dicembre 2009

 

Il numero dei detenuti (260) nella Casa Circondariale è tre volte superiore alla capienza consentita: anche in 9 in cella. La denuncia della Cgil Padova.

È stata una notte travagliata quella di ieri all’interno della casa circondariale di Padova. Il sovraffollamento e il conseguente disagio sono diventati improvvisamente insopportabili per i 260 detenuti (il cui numero è tre volte superiore alla capienza consentita), che hanno lasciato esplodere tutta la loro indignazione. La protesta - resa nota oggi dalla Cgil di Padova - è stata comunque contenuta dagli agenti della polizia penitenziaria.

Dopo la protesta riesplodono anche le polemiche relative alla condizione carceraria che, secondo la sezione locale del sindacato, costringe i ristretti a dormire "anche per terra e all’interno dei bagni" come spiegano il segretario provinciale della Fp Cgil Salvatore Livorno e il coordinatore regionale Fp Cgil Giampietro Pegoraro. Nella casa circondariale, infatti, i detenuti si trovano a vivere dalle 6 alle 9 persone in stanze che ne dovrebbero contenere la metà.

Alla luce dei fatti di questa notte, si riaccende quindi il confronto sul tema del sovraffollamento e dello scarso ricorso alle misure alternative: "Sempre meno sono i detenuti che sono posti in affidamento mentre è sempre più alto l’ingresso di persone arrestate. Questo accade anche in virtù di una politica di tolleranza zero posta in essere dall’attuale compagine governativa, che vede nel carcere l’unico strumento di repressione del crimine. Per cui gli istituti di pena diventano sempre più pattumiere umane".

La soluzione, quindi, per il sindacato sarebbe un’inversione di rotta, soprattutto se si considera che "c’è un basso numero di recidivi tra le persone poste in affidamento, che si aggira intorno al 18%, mentre chi è dietro alle sbarre delinque di più una volta uscito". I benefici di un’alternativa al carcere per la Cgil sarebbero anche economici: "Lo Stato si accolla per mantenere una persona dietro le sbarre un costo alto, che si aggira circa sul milione d’euro mensile, mentre per persone in affidamento il costo è irrisorio".

Di qui la richiesta "a chi governa e a tutte le forze politiche e sociali di prestare maggior attenzione al tema carceri, attenzione e rispetto dei diritti dei detenuti, del personale, di chi vi lavora all’interno e all’esterno - concludono -. Le nostre proposte sono profondamente diverse dalle politiche che si conducono attualmente. Nell’immediato facciamo appello al sindaco e al prefetto, alle istituzioni locali competenti affinché si faccia una riflessione comune e si assumano degli impegni per affrontare una situazione che non è degna di una città civile come Padova".

 

Alcuni dormono a terra, altri in bagno… (www.radiocarcere.com)

 

I detenuti della Casa Circondariale di Padova hanno iniziato questa notte una battitura per protestare contro le degradate condizioni di vita. Protesta che è continuata anche la mattina. I detenuti lamentano le disumane condizioni di vita a cui sono costretti. La Casa Circondariale di Padova, che prima era una caserma, potrebbe ospitare solo 80 detenuti mentre oggi ne contiene ben 260. Le celle, grandi appena 8 mq, sono occupate da 10, 11 o anche 12 detenuti. I letti non sono sufficienti per tutti i detenuti e di conseguenza molti devono dormire per terra. Nelle celle più sovraffollate poi ci sono addirittura persone detenute costrette a dormire per terra dentro i bagni delle celle. La protesta dei detenuti di Padova e le loro condizioni di vita sono state anche denunciate oggi dai rappresentati sindacali della Cgil Polizia penitenziaria di Padova, Giampietro Pegoraro e Salvatore Livorno, che in una nota affermano: "Questa notte si è assistito alla protesta dei ristretti della Casa Circondariale di Padova, dove sono presenti 260 detenuti, il triplo della capienza. Questi sono collocati anche all’interno dei bagni poiché non ci sono brande e alcuni dormono per terra!"

La grave situazione di sovraffollamento del carcere di Padova non è isolata. Quasi tutte le 206 carceri italiane sono sull’orlo del collasso. Basti pensare che in Italia sono ben 65.774 i detenuti presenti a fronte di una capienza regolamentare di appena 42 posti. A quota 68mila detenuti il sistema collasserà. Non ci saranno più posti a disposizione, bagni compresi. Un traguardo che si prevede arrivi nel mese di marzo, visto che ogni mese entrano nelle carceri circa mille detenuti. La domanda è: cosa fa il Governo Berlusconi per fronteggiare questa grave emergenza? Aspetta le idi di marzo?

Milano: San Vittore, la vecchia galera dove si dorme per terra

di Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 17 dicembre 2009

 

Carcere San Vittore di Milano. Piazza Filangieri n. 2. Data di costruzione fine ‘800. Posti effettivamente disponibili: 650. Detenuti presenti: 1.500. Sono questi i dati essenziali che descrivono la realtà del vecchio e sovraffollato carcere milanese. Un carcere quello di San Vittore dove le persone detenute sono trattate in modo disumano e degradante. Persone detenute che, in altre parole, subiscono una tortura e non una detenzione eseguita nel rispetto della legge, essendo costretti a vivere tra sporcizia, abbandono e sovraffollamento.

"Quando ero a San Vittore" - racconta Mario ex detenuto - "vivevamo in sei persone dentro una cella grande appena 10 mq. Restavamo chiusi in quella celletta per 22 ore al giorno. Ma lì, oltre alla cella di 10 mq, ci sono anche celle più grandi" - precisa Mario - "sono i così detti celloni, dove dentro ci stanno anche 14 detenuti. Tutti ammassati, uno su l’altro". E non basta. Pare infatti che nel vecchio carcere milanese i detenuti siano talmente tanti che per molti mancano addirittura i letti. La conseguenza è scontata quanto scandalosa. Molti detenuti dormono per terra. È quanto ci racconta Mario che afferma: "Nel carcere di San Vittore bisogna essere fortunati ad avere un letto! Letto che per molti non c’è. Sono tanti i detenuti che lì sono costretti a dormire per terra. Gli danno un materasso e una coperta. Tutto qui".

La descrizione riportata da Mario trova conferma nelle parole di Simone Porru, sovraintendente della Polizia Penitenziaria a San Vittore e segretario del sindacato Sinappe. "La situazione a San Vittore è drammatica" - afferma Porru - "Infatti abbiamo 1.500 detenuti, mentre ne potremo ricevere solo 650. Così nelle celle piccole ci sono 6 detenuti e in quelle grandi più di 12. Ed è vero! In molte di queste celle le persone dormono per terra. È una cosa brutta da vedere anche per chi come me ha tanti anni di servizio sulle spalle. Addirittura ora" - sottolinea Porru - "Siccome non sappiamo più dove mettere i detenuti, siamo costretti a farli dormire nelle sale d’aspetto. Sale d’aspetto dove i detenuti dormono per terra." Insomma nel carcere di piazza Filangieri le persone detenute sono sottoposte ad un trattamento non previsto in nessuna ordinanza di misura cautelare, né in nessuna sentenza di condanna. Un trattamento illegale che produce non punizione, ma disperazione.

"In quelle celle di San Vittore c’è tanta disperazione" - ricorda Mario - "Una disperazione che i detenuti cercano di combattere con i tranquillanti, le c.d. gocce. Lì circa il 60% dei detenuti vive ogni giorno addormentato da quelle gocce. Li lasciano vivere come degli zombie. Ed è comprensibile perché se un detenuto non è forte, e ha la lucidità di pensare che deve vivere 2 anni in quel modo, rischia che si ammazza" .

Attenzione però. Il degrado di San Vittore non è un caso isolato. Nelle patrie galere i detenuti oggi sono ben 65.774, a fronte di una capienza regolamentare di appena 42 mila posti. E se si vanno a vedere le singole realtà carcerarie, si scopre che il degrado del carcere milanese è identico a quello di Trieste, Torino, Genova, Roma, Napoli e Palermo.

Insisto. In attesa del famigerato Piano Carceri, occorre affrontare l’emergenza del sovraffollamento. Un sovraffollamento che continua a crescere sempre più. Per far ciò occorre trovare strumenti che tengano fermo il tasso di presenze nelle carceri ed evitare che aumenti. Poi, fissato un livello massimo di persone condannate, si dove fare una scelta operata caso per caso. Far uscire chi ha scontato gran parte della pena ed è meno pericoloso. Scelta questa che andrebbe operata, non in base al reato commesso, ma in base alla concreta pericolosità della persona. Nessuna impunità quindi. Ma un meccanismo virtuoso che consentirebbe di far entrare in carcere chi invece deve scontare una pena ed è pericoloso.

Iglesias (Ca): detenuti "maestri di cucina" con l’Ipsia Mantega

di Erminio Ariu

 

La Nuova Sardegna, 17 dicembre 2009

 

La Casa circondariale di Iglesias non è un luogo oscuro di detenzione e di mortificazione morale ma si caratterizza come centro di recupero sociale in grado di restituire alla comunità esterna uomini capaci di reinserirsi a pieno titolo e senza traumi nella vita di tutti i giorni.

A dare corpo a questi concetti è l’impegno congiunto del direttore del carcere Vincenzo Alastra, il dirigente scolastico dell’Ipsia Alberto Mantega e da una serie di professionisti e degli operatori penitenziari che hanno dato avviato un corso di cucina e pasticceria per i detenuti tossicodipendenti, e che sta per concludersi. A frequentare l’ultima fase del corso, articolato in quattro moduli, sono 11 detenuti, 4 sardi, e gli altri extracomunitari che appena arrivati in Italia, per mancanza di prospettive di lavoro e di un tetto dove trascorrere la notte, sono entrati nell’orbita della malavita e si sono dati allo spaccio di sostanze stupefacenti. La necessità di realizzare, all’interno del carcere attività finalizzate ad impegnare i detenuti, nelle ore di tempo libero, in una prospettiva terapeutica e riabilitativa, ha suggerito all’istruttore Roberto Sorgente, di coinvolgere nel progetto l’Ipsia, istituto in grado di mettere a disposizione i docenti per le lezioni teoriche e pratiche di cucina, pasticceria e per formare futuri pizzaioli.

"Il corso attuale - spiega Pasquale Franzese, docente di cucina - è di perfezionamento perché nei mesi scorsi abbiamo terminato i programmi di base. Tre corsi impegnativi che sono stati seguiti con interesse dai corsisti. Alcuni dei quali sono già stati assunti da operatori della ristorazione e sono in regime di semilibertà proprio per mettere in pratica le conoscenze acquisite durante questo percorso formativo. I risultati conseguiti da questi giovani sono entusiasmanti - sottolinea Franzese -.

Dopo l’acquisizione delle conoscenze di base siamo passati ai livelli di perfezionamento e abbiamo notato che molti sono anche in gradi di proporre varianti ai piatti. Questo significa che i corsisti dispongono anche di estro e lo testimonia il fatto che, appena terminano di scontare la pena, sono già impiegati in pizzerie o in ristornati". Intanto i primi a degustare i manicaretti preparati nella cucina del carcere sono gli altri detenuti che, in occasione del corso, hanno potuto degustare nuovi manicaretti e soprattutto una maggior abbondanza di cibo.

"La cucina del carcere - ammette Pasquale Franzese - è basata su standard predisposti da ministero della giustizia; qui invece si possono variare le pietanze proprio perché i futuri chef devono essere in grado di preparare piatti per una clientela più esigente e soprattutto libera nelle scelte". Costo dell’operazione solo tremila euro, tutti a carico della Casa circondariale che ha utilizzato i fondi messi a disposizione dal Prap di Cagliari.

I partecipanti al corso sono stati scelti dal direttore del carcere che ha valutato preventivamente le caratteriste attitudinali dei giovani detenuti che avevano fatto richiesta di partecipazione ma anche della possibilità di un loro possibile inserimento nel mondo del lavoro. Alcuni corsisti non sono arrivati al termine della preparazione perché avevano espiato completamente la pena ma all’uscita dal portone della Casa di pena di Iglesias hanno estratto dalla tasca un contratto di assunzione che qualche imprenditore della provincia gli aveva fatto recapitare qualche settimana prima per l’accettazione.

"Sono giovani di età compresa tra i 22 e i 35 anni - ha concluso Pasquale Franzese - che sono in grado di trovare un lavoro dopo avere dimenticato gli errori compiuti in passato". Per il preside della scuola professionale di Iglesias la collaborazione tra carcere e istituto va ulteriormente rafforzata. "Crediamo che si debba insistere in questo tipo di iniziative - ha evidenziato Alberto Mantega -, sopratutto quando all’impegno degli enti si associa l’entusiasmo dei partecipanti e ottimi risultati".

Treviso: l’Udc sta con i Vescovi; fuori dal carcere per lavorare

 

www.oggitreviso.it, 17 dicembre 2009

 

Non il carcere ma un lavoro socialmente utile per chi ha commesso un reato e per questo è chiamato a scontare una pena breve. La sezione locale dell’Udc, rilancia la sua proposta di costituzione di un Gruppo di Operatività Penitenziaria, all’indomani delle dichiarazioni dei vescovi della Cei Triveneta e delle Caritas del Nordest, che si sono schierati a favore dell’impiego lavorativo dei detenuti.

A muovere i prelati in questa direzione, le condizioni inaccettabili delle carceri italiane, dove sovraffollamento, promiscuità tra persone con profili criminali diversi e inadeguatezza delle politiche di lotta all’esclusione sociale rendono sempre più difficile la riabilitazione di chi sconta una pena detentiva. I vescovi hanno sottoscritto un documento nel quale invitano: "A sostituire la pena detentiva, per chi ha ricevuto condanne inferiori ai tre anni, con altri percorsi obbligati ma di carattere fortemente riabilitativo e inclusivo. Anzitutto attraverso una convinta applicazione delle previste misure alternative e, lì dove necessario, con la creazione di apposite comunità penali-educative". Una proposta supportata anche dai costi perché a fronte di una spesa di circa 300 euro per ogni persona detenuta, servono meno di 50 euro per un progetto di reinserimento sociale realizzato con persone in misura alternativa.

Ed è proprio in questa direzione che, ormai da qualche anno, si sta muovendo l’Udc godeghesecome spiega il capogruppo di maggioranza in consiglio comunale Flavio Steffan: "Stiamo lavorando in questo senso perché crediamo che solo il lavoro possa favorire un vero recupero e, al tempo stesso, consentire la riparazione con la parte lesa. Per questo abbiamo lanciato il nostro progetto di creazione del Gruppo di Operatività Penitenziaria che, in accordo con gli Uepe (Uffici esecuzione penale esterna) e con le direzioni degli istituti di detenzione mandamentali e circondariali, possa coordinare la disponibilità dei detenuti/lavoratori con le esigenze delle amministrazioni pubbliche o degli enti".

Secondo gli esponendo dell’Udc, tali lavoratori potrebbero essere utilizzati dai comuni o dagli altri enti per la pulizia e la manutenzione di piazzole ecologiche e territorio, ma anche per attività di supporto a manifestazioni di promozione turistica. "Avevamo avviato l’attività - continua Steffan -, ma gli indultini avevano ridotto le disponibilità. Oggi che le carceri sono di nuovo superaffollate è tempo di riparlarne".

Trento: una mostra di ceramiche allestita da detenuti Rovereto

 

Ansa, 17 dicembre 2009

 

"Con le mani e con il cuore" è il titolo di una mostra di oggetti ceramici prodotti da una trentina di detenuti della casa circondariale di Rovereto.

Allestita in alcuni locali interni al carcere, l’esposizione sarà visitabile nei giorni 18 e 19 dicembre in Casa Adami, in piazza San Marco a Rovereto, con orario 10-12 e 15-19. Le opere sono state realizzate dai detenuti a conclusione di corsi che hanno frequentato all’interno del carcere su iniziativa della Fondazione Thun.

"Molti considerano il carcere un mondo negletto, da tenere a distanza, noi invece aspiriamo a creare contatti con il territorio e questa mostra è un’iniziativa di cui andiamo particolarmente fieri", ha detto la direttrice della Casa Circondariale di Rovereto, Antonella Forgione, presentando l’iniziativa. Forgione ha sottolineato come spesso "l’esperienza del carcere porti alla perdita di competenze professionali e all’emarginazione originata da pregiudizi si somma anche la difficoltà del reinserimento lavorativo. In questo caso i detenuti hanno appreso anche una professione: alcuni così bene da poter lavorare da subito nei laboratori di ceramica".

Attualmente il carcere di Rovereto, che custodisce persone con pene non superiori ai 5 anni, ospita 74 uomini e 22 donne, con età media di 35 anni. La media di permanenza si aggira attorno all’anno e mezzo. Al momento non si sa se il carcere roveretano subirà delle modifiche una volta realizzato il nuovo carcere di Trento.

Reggio Calabria: 500 libri, in regalo ai detenuti... dal Film Fest

 

Il Velino, 17 dicembre 2009

 

Un dono di 500 libri ai detenuti del carcere reggino da parte del Reggio Calabria FilmFest. L’iniziativa sarà presentata presso il Salone dei Lampadari di Palazzo S. Giorgio, lunedì alle12, alla presenza del Sindaco Giuseppe Scopelliti e del direttore artistico del Festival Gianluca Curti. Già lo scorso anno, in occasione della quinta edizione del Festival del Cinema di Reggio Calabria, Curti aveva "utilizzato" il festival per favorire il recupero dei detenuto e la rieducazione.

Nell’ultima edizione i detenuti parteciparono alla visione del film "Fortapasc", interagendo sui temi del cinema e della cultura con gli organizzatori. Si evidenziò la difficoltà di crescita personale dei detenuti, impossibilitati anche alla più semplice lettura, in mancanza di una biblioteca nella casa circondariale. Da qui la promessa degli organizzatori del Festival di dotare il carcere di un cospicuo numero di libri. " Ognuno di noi ha diritto di migliorare se stesso attraverso la cultura - dice Gianluca Curti - nessun individuo può dirsi libero se non acquisisce gli strumenti necessari a conquistare la sua libertà.

Chi sbaglia e subisce una pena per il suo errore deve prepararsi a vivere in una società che ha delle regole di buona convivenza. Deve inoltre realizzare, per scelta e non per costrizione, che la risposta alle necessità della vita si trovano utilizzando intelligenza e cultura e non commettendo reati. La cultura è la chiave di lettura, il tramite per far volare le menti e farci commettere azioni consone alla nostra natura umana e non animale. A rendere ancora più significativa questa iniziativa, l’associazione E20 presenterà la produzione del cortometraggio "Fuori tempo massimo", di Alberto Gatto, dedicato alla rinascita di individui in stato di restrizione che con la volontà e l’approccio alla cultura vedono nuovi scenari aprirsi dinanzi ad ognuno.

Droghe: chi guida "fumato" va sanzionato, anche senza visita

di Debora Alberici

 

Italia Oggi, 17 dicembre 2009

 

Stretta della Cassazione contro chi guida sotto l’effetto del fumo. La responsabilità penale scatta sulla parola degli agenti circa gli occhi lucidi e rossi e sulle successive analisi biologiche senza che sia necessaria una visita medica che accerti, il giorno dell’infrazione, lo stato di alterazione psicofisica dovuta all’assunzione di cannabinoidi.

Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 48004 di ieri, ha annullato l’assoluzione decisa dal giudice di pace di Tirano sul caso di un 24enne che era stato fermato mentre guidava con gli occhi lucidi e rossi, avevano poi dichiarato i carabinieri. Le analisi successive avevano confermato l’uso di cannabinoidi ma la notte dell’infrazione nessun medico aveva accertato la sua alterazione psicofisica. Nelle motivazioni i giudici della quarta sezione penale, hanno affermato che "sebbene ai fini della configurabilità del reato sia necessario che lo stato di alterazione del conducente venga accertato nei modi previsti dal comma secondo dell’art. 187 c.s. attraverso un esame tecnico su campioni di liquidi biologici, escludendo la rilevanza dei soli elementi sintomatici esterni, non si può pretendere necessariamente l’espletamento di una specifica analisi medica per affermare l’esistenza di tale alterazione, ben potendo il giudice desumerla dagli accertamenti biologici, unitamente alle deposizioni raccolte e dal contesto in cui il fatto si è verificato".

Gli Ermellini hanno fatto chiarezza sulla mancata necessità di una visita medica per contestare l’infrazione. Il relatore della sentenza ha dedicato un passaggio chiave a questo argomento scrivendo che "questa Corte di legittimità, sebbene abbia affermato che ai fini della configurabilità della contravvenzione di guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti, è necessario che, lo stato di alterazione del conducente dell’auto venga accertato nei modi previsti dal comma secondo dello stesso articolo, attraverso un esame tecnico su campioni di liquidi biologici, escludendo la rilevanza dei soli elementi sintomatici esterni non pretende necessariamente l’espletamento di una specifica analisi medica per affermare la sussistenza della alterazione, ben potendo il giudice desumerla dagli accertamenti biologici".

Droghe: Giovanardi incontra associazioni per diritti di detenuti

 

Apcom, 17 dicembre 2009

 

Per le persone tossicodipendenti in carcere è necessario definire un programma e una strategia comune che permetta di ridurre il sovraffollamento degli istituti di pena e, contestualmente, aumentare il ricorso alle misure alternative mediante l’affidamento in comunità o l’applicazione di programmi terapeutici territoriali.

Di questo si è parlato in un incontro, svolto oggi a Roma, presso la Presidenza del Consiglio tra i rappresentanti di Forum Droghe, Franco Corleone, di Antigone, Gonnella e Scandurra, Gruppo Abele e Cnca Ghibaldi, le associazioni che hanno promosso l’appello "Le carceri scoppiano, liberiamo i tossicodipendenti" e il sottosegretario Giovanardi, il capo del Dipartimento antidroga Serpelloni e il procuratore della Repubblica di Pinerolo Giuseppe Amato.

Nell’incontro, spiega una nota della presidenza del Consiglio, si sono analizzate le possibili soluzioni giuridiche di miglioramento dell’attuale legislazione e le soluzioni migliorative della prassi applicativa e organizzativa. Si è prevista l’istituzione, a breve, di un tavolo di lavoro con tutte le organizzazioni e gli enti, comprese le regioni, che si occupano del problema delle persone tossicodipendenti in relazione alla detenzione e alle sanzioni penali ed amministrative.

L’obiettivo, conclude la nota, è quello di creare rapidamente un’analisi e uno studio di fattibilità in ordine ai problemi normativi, a quelli amministrativi e, infine, alla sostenibilità finanziaria, al fine di incrementare il ricorso alle misure alternative al carcere. Attualmente, secondo i dati di Corleone, il 33% dei 65.000 detenuti, in pratica un detenuto su tre, è tossicodipendente.

Francia: in 50 anni i suicidi in carcere aumentati di cinque volte

 

Associated Press, 17 dicembre 2009

 

Il tasso di suicidi nelle prigioni della Francia metropolitana è quintuplicato in 50 anni. Lo afferma l’Istituto nazionale di studi demografici (Ined) nel suo ultimo rapporto mensile, pubblicato oggi. Ma "contrariamente alle idee preconcette", sovrappopolazione carceraria e suicidio "non crescono di pari passo", secondo l’Istituto. Il numero di persone che si sono tolte la vita volontariamente in carcere è passato da quattro ogni 10mila detenuti nel 1960 a 19 per 10mila nel 2008, spiega l’Ined. Il livello più alto è stato raggiunto nel 1996 con 26 suicidi per 10mila detenuti. Rispetto alla popolazione generale, i detenuti - per il 96% uomini - si suicidano cinque-sei volte di più che gli uomini di età compresa tra i 15 e i 59 anni.

Il sovraffollamento delle carceri non è per l’Ined l’unica causa dell’aumento dei suicidi tant’è che la metà delle persone che è ricorsa a questo gesto estremo era sola in cella. Anzi disporre di una cella singola è talvolta considerato "un fattore di rischio maggiore". Inoltre in Francia i suicidi avvengono "in maggioranza all’inizio del periodo di detenzione": un quarto nei primi due mesi e la metà entro i primi sei.

Germania: Cedu condanna la detenzione a tempo indeterminato

 

Agi, 17 dicembre 2009

 

La Corte europea per i diritti umani ha condannato la Germania per l’applicazione della "Sicherungsverwahrung", la detenzione di sicurezza, che consente a un giudice di prolungare a tempo indeterminato la detenzione di un condannato, anche dopo l’espiazione della pena, se il detenuto viene considerato pericoloso per la sicurezza pubblica.

I giudici di Strasburgo hanno accolto il ricorso di un detenuto di 52 anni, condannato nel 1986 a 5 anni di reclusione per tentato omicidio dal tribunale di Marburg e da allora detenuto in base alla norma della detenzione di sicurezza, di durata massima pari a 10 anni, ma estesa retroattivamente a tempo indeterminato nel febbraio 2004 dalla Corte Costituzionale di Karlsruhe.

L’avvocato Bernhard Schroer, difensore del detenuto Reinhard M., ha fatto valere davanti ai giudici di Strasburgo che "a distanza di anni dalla condanna, non si può prolungare la reclusione di un detenuto con un ergastolo fatto rientrare dalla porticina di servizio". La Corte europea ha accolto il ricorso ed ha condannato la Germania a versare al detenuto 50mila euro a titolo di riparazione del danno subito, sostenendo che non si può mantenere in prigione una persona per un reato che non ha ancora commesso, solo in base al suo grado di pericolosità sociale.

Il legale di Reinhard M. ha chiesto l’immediata scarcerazione del suo assistito, anche se contro la sentenza di Strasburgo le parti possono presentare un ricorso entro tre mesi. Attualmente sono 70 i detenuti nelle carceri tedesche che dopo aver scontato la pena comminata da un tribunale sono soggetti alla detenzione di sicurezza a tempo indeterminato. Sul piano legale la Germania è tenuta a rispettare le decisioni della Corte europea, ma in ogni caso l’ultima parola sulla vicenda spetta al legislatore.

Iraq: suicidio in carcere per uno di capi Al Qaida, aveva 39 anni

 

Associated Press, 17 dicembre 2009

 

Uno dei capi di al Qaida in Iraq, Saleh Abdallah Hassan, mente e ideatore di molti dei più recenti attentati, si è suicidato presso il commissariato di Haouija, dove era detenuto. Saleh Abdallah Hassan, 39 anni, era già stato arrestato all’epoca di Saddam per reati come truffa e offesa al pudore. Quindi era stato rilasciato poco prima dell’invasione americana nel quadro di un’amnistia voluta dall’ex presidente iracheno.

India: 11.500 detenuti, il più grande carcere diventa ecologico

 

Associated Press, 17 dicembre 2009

 

Il più grande penitenziario del Sud Asia, la Tihar Central Jail di Nuova Delhi, spera di acquisire il primato mondiale per sensibilità ambientale e gestione ecofriendly. Dall’impiego delle fonti rinnovabili al riciclaggio dei rifiuti prodotti, fino al taglio dei consumi energetici, il carcere indiano con i suoi 160 ettari sovraffollati (quasi il doppio della capacità autorizzata) ha iniziato la sua piccola rivoluzione verde.

Ma per il direttore del carcere, B.K. Gupta, le misure adottate non serviranno solo a guadagnarsi il titolo di "galera ecologica", ma anche a migliorare le condizioni di vita dei 11.500 detenuti attualmente rinchiusi nell’istituto. "Vogliamo raggiungere gli standard internazionali e superarli", ha dichiarato il direttore.

Ed ecco perché sono stati istallati sistemi di raccolta di acqua piovana, mentre stanno finendo i lavori relativi alla realizzazione di due impianti di depurazione per riciclare l’acqua nell’orticoltura e nei servizi igienico-sanitari. Quattro mini centrali nella zona cucine produrranno, a partire dai rifiuti organici, biogas impiegato per soddisfare le necessità energetiche dell’edificio insieme a dei gassificatori a biomassa alimentati con la segatura proveniente dalla potatura degli alberi nella zona e dagli scarti della bottega interna, dove 350 detenuti realizzano mobili in legno per la vendita. Sul tetto sono stati istallati pannelli solari per riscaldare l’acqua per uso sanitario e nelle celle e gli uffici amministrativi verranno sostituite le lampadine tradizionali con quelle a basso consumo di energia. Ultima iniziativa intrapresa dal direttore quella di togliere da novembre a marzo la luce alle celle negli orari mattutini, in cui i detenuti sono impegnati nello yoga o nella meditazione, per risparmiare energia da impiegare in estate - quando la temperatura sale al di sopra dei 50° C - per tenere in funzione i ventilatori.

 

 

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