Rassegna stampa 11 dicembre

 

Giustizia: la Commissione d'inchiesta sulle carceri... 61 anni fa

di Susanna Marietti

 

www.linkontro.info, 11 dicembre 2009

 

Sono passati 61 anni dal 10 dicembre 1948. In quel giorno era, da quasi un anno, in vigore la Costituzione italiana, attraverso la quale l’Italia democratica reagì a venti anni di dittatura fascista e agli orrori di colui che fu suo alleato, poi divenuto in pochi giorni milizia occupante. In molti, tra i costituenti, avevano vissuto le dure galere del regime mussoliniano. Tra i tanti va menzionato Sandro Pertini.

L’articolo 27 della Costituzione previde espressamente che la pena dovesse tendere alla rieducazione del condannato e non dovesse consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Una norma che era sintesi nobile del pensiero cattolico, del pensiero liberale e di quello comunista. Tra i tanti "mai più" che con la Carta Costituzionale si volle sancire, c’era appunto quello a una pena contraria al senso di umanità, sperimentata direttamente o indirettamente.

Come ci racconta Christian De Vito nel suo bel volume Camosci e girachiavi. Storia del carcere in Italia (Laterza, 2009), fu Piero Calamandrei a proporre l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle carceri, che su quel "mai più" vigilasse fino ad assicurarne l’effettività. Il 10 dicembre 1948, con decreto del presidente della Repubblica, la Commissione presieduta dal senatore democristiano Silvio Persico, ex perseguitato politico, fu istituita.

Piero Calamandrei, tramite la rivista da lui diretta "Il Ponte", aveva già preparato il terreno alla Commissione raccogliendo le testimonianze di personaggi politici che erano stati detenuti durante il fascismo. Si trattava di racconti relativi alle condizioni materiali di vita all’interno delle galere, ma anche ai sottili meccanismi psicologici che si creano nel gioco ipocrita che tiene assieme carcerati e carcerieri e che per molti aspetti avrebbero continuato a perpetuarsi fino ai nostri giorni. Il valore di questo lavoro fu immenso, risultando ancora oggi come il contributo conoscitivo più profondo della realtà penitenziaria italiana mai messo in campo da parte delle istituzioni.

I dieci membri della Commissione Persico visitarono decine di istituti penitenziari, raccolsero i racconti e le testimonianze di tanti detenuti, compararono quanto accadeva in Italia con le notizie provenienti da altri paesi. Se pure il suo orizzonte riformatore non fu amplissimo, e si dovette attendere fino al 1975 per vedere normativamente codificato un pensiero compiuto e organico sul sistema penitenziario italiano, l’attenzione della Commissione parlamentare di inchiesta sulle carceri segnò un momento importante per le condizioni di vita dei detenuti e per le loro esigenze.

A cinquant’ anni di distanza, nel 1998, su iniziativa dell’associazione Antigone, è nato l’Osservatorio sulle condizioni di detenzione in Italia. L’accostamento può sembrare azzardato in prima battuta, ma a ben vedere non lo è poi troppo. Undici anni fa è cominciata la prima esperienza in assoluto a livello europeo di monitoraggio sistematico delle carceri italiane ed elaborazione analitica delle osservazioni raccolte.

A farla propria, questa volta, non la classe politica ma la società civile. Oggi ci piace ricordare questo importante anniversario che ricorda i fatti di quel 10 dicembre 1948 che hanno segnato una importante conquista per la cultura giuridica e istituzionale di questo Paese. A sessantuno anni da quel 10 dicembre il sistema penitenziario è finito in un pericoloso cono d’ombra da cui se ne può uscire solo con una grande sollevazione di coscienze.

Giustizia: Radicali; mozione carceri, dalle parole si passi ai fatti

 

Left, 11 dicembre 2009

 

Sospeso lo sciopero della fame dei Radicali per la discussione parlamentare sulle carceri. La decisione è stata presa il 4 dicembre, dopo 16 giorni di protesta della deputata Rita Bernardini (Pd) e altre sette persone, sull’onda della lettera di Dario Franceschini a Gianfranco Fini. Nella missiva, il capogruppo Pd preannunciava al presidente della Camera la richiesta dei Democratici di inserire l’esame delle mozioni che affrontano la situazione delle carceri italiane nel calendario dei lavori di gennaio.

Bastano alcuni numeri per dare il segno della gravità: mentre il sovraffollamento penitenziario ha raggiunto cifre record, dietro le sbarre si continua a morire: l’8 dicembre i morti in carcere sono saliti a 169, con il 67esimo suicidio avvenuto nell’istituto di Alessandria. "Questo stillicidio di vite che se ne vanno - commenta Rita Bernardini - impone a tutta la classe politica di mobilitarsi e di agire per rendere le carceri, come afferma Franceschini nella sua lettera a Fini, degne di un Paese civile".

Dalle parole, si passi ai fatti, incalzano i Radicali. Tra le denunce della mozione, firmata da 89 deputati di diversi gruppi parlamentari, il fatto che circa la metà degli oltre 65mila detenuti siano in attesa di giudizio. Tra questi, circa il 30 per cento verrà assolto all’esito del processo: "Un dato abnorme, un’anomalia tipicamente italiana".

Giustizia: quei morti per cause che non saranno mai accertate

di Luigi Manconi

 

L’Unità, 11 dicembre 2009

 

Oggi, a Perugia, si terrà l’udienza per l’opposizione alla richiesta di archiviazione per l’accusa di omicidio di Aldo Bianzino a opera di ignoti. Se fosse decisa l’archiviazione, quella di Aldo Bianzino rientrerebbe definitivamente tra le morti le cui cause restano da accertare. E questo significa che non verranno mai accertate. I decessi in carcere la cui, dinamica rimane non chiarita rappresentano un terzo del numero complessivo, mentre un altro terzo è costituito da suicidi.

La vicenda di Aldo Bianzino è, all’interno di questo scenario tragico, particolarmente significativa. La sua morte venne attribuita inizialmente a un malore naturale, ma l’autopsia dopo aver escluso patologie cardiache pregresse - certificò lesioni agli organi interni, presenza di sangue nell’addome e nella pelvi, lacerazione epatica, lesioni alt encefalo, a fronte di un aspetto esterno indenne da segni di traumi.

Una seconda - autopsia riscontra un distacco del fegato e ipotizza la morte per aneurisma cerebrale, referto che sarà poi confermato da altre perizie. Ma cos’era accaduto ad Aldo Bianzino, e quando e dove? Tutto ebbe inizio il 12 ottobre 2007 quando Bianzino e la sua compagna Roberta Radici, vennero arrestati, a seguito del ritrovamento nel loro giardino di alcune piante di marijuana. Trasferito nel carcere di Capanne a Perugia, Aldo viene trovato morto la mattina del 14. Alcuni detenuti della stessa sezione dichiarano che nel corso della notte Aldo avrebbe invocato ripetutamente assistenza medica ma senza alcun esito.

Le indagini proseguono stentatamente fino a quando nell’ottobre del 2008 il Pm chiede l’archiviazione del procedimento contro ignoti, che verrà successivamente respinta dal Gip. Si giunge così all’udienza di oggi. Contemporaneamente si trova indagato un agente di polizia penitenziaria, in servizio in carcere durante quella notte, che è stato rinviato a giudizio il prossimo 28 giugno per omissione di soccorso e falsificazione dei registri, con riferimento a quanto sarebbe accaduto nella cella di Bianzino.

Già questo rinvio a giudizio è estremamente significativo, dal momento che il sistema penitenziario è una sorta di regime dell’omissione di soccorso, dell’assenza di cure, dell’abbandono terapeutico. Un regime della trascuratezza programmata e della carenza sistematica, dove la terapia più semplice e il farmaco più comune rappresentano una meta irraggiungibile per la gran parte dei reclusi; e dove qualunque infermità può diventare cronica, qualunque malattia trasformarsi in minaccia letale, qualunque patologia degenerare.

Pertanto, l’omissione di soccorso che contribuisce alla morte di Bianzino svolge un ruolo essenziale nella debilitazione e nella sofferenza di migliaia di detenuti, nell’aggravamento del loro stato di salute, nell’accelerarne la decadenza psichica e fisica. Ma non è questo il solo tratto che rende la vicenda di Bianzino così atrocemente esemplare. Si consideri ciò che ne è all’origine. Bianzino coltivava marijuana, ne consumava, ed è possibile che ne facesse occasionale commercio.

E allora? Questo è un nodo cruciale. Perché mai non è possibile porre francamente, senza ipocrisie e infingimenti, un simile quesito: dov’è il crimine? Dov’è l’azione che secondo il diritto liberale e garantista si configura come offensiva, ovvero capace di ledere terzi e beni di terzi? In altre parole, qual è il male che stava arrecando Bianzino, e a chi? O a queste domande elementari si trovano risposte adeguate oppure è fatale che i casi come quello di Bianzino o di Stefano Cucchi si ripetano all’infinito.

Insomma, queste ultime vicende di carcere e di morte ripropongono con urgenza la questione dell’antiproibizionismo: la questione di una politica, cioè, che non trasformi in fattispecie penale un comportamento deviante o uno stile di vita, colpevolizzando i consumatori e producendo proibizione crimine e sanzione.

Questa vicenda, infine, suggerisce un’ultima considerazione: dopo la morte della compagna di Aldo, resta Rudra, il figlio non ancora diciassettenne della coppia, a impedire che su quella tragedia scenda l’oblio: così come Ilaria Cucchi oggi presente con i Radicali all’udienza di Perugia è lì, con la sua inflessibilissima dolcezza, a far sì che su suo fratello Stefano non prevalgano la smemoratezza collettiva e la cattiveria di chi ne parla come del piccolo spacciatore, sieropositivo, epilettico, anoressico, uno zombie. Quando la società, l’opinione pubblica, i soggetti politici si rivelano incapaci di tutelare le persone più fragili, è il legame più profondo, quello della consanguineità, che fa sentire la propria voce.

Giustizia: Bonino; trovare la verità, su morte di Aldo Bianzino 

 

Asca, 11 dicembre 2009

 

"Trovare la verità non in termini di vendetta ma di giustizia, nella certezza e nella speranza che la verità serva anche da deterrente rispetto ad altri ipotetici casi". Così Emma Bonino, vicepresidente del Senato, stamani a Perugia al presidio davanti al tribunale organizzato dai Radicali e diversi comitati in relazione al caso di Aldo Bianzino, falegname umbro trovato morto il 14 ottobre 2007 in una cella del carcere di Capanne dove era detenuto da 24 ore dopo essere stato arrestato per possesso di alcune piante di canapa indiana.

A Palazzo di giustizia è in corso l’udienza nella quale il giudice Massimo Ricciarelli deve pronunciarsi sull’opposizione all’archiviazione del fascicolo per omicidio volontario, chiesto dal pm Giuseppe Petrazzini, presentata dalla famiglia Bianzino; una perizia ha stabilito che la morte è stata provocata da un aneurisma cerebrale ma la famiglia contesta tale versione. Oltre ad Emma Bonino, presente anche Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, il 31enne romano morto lo scorso 22 ottobre scorso a seguito dell’arresto avvenuto 6 giorni prima.

Proprio Ilaria, al suo arrivo ha abbracciato Rudra, figlio del falegname, rimasto nel frattempo anche orfano della madre, Roberta Radici, compagna di Branzino. "Sono qui per dare il mio sostegno ed appoggio morale - ha detto Ilaria - per quel poco che può servire a Rudra, perché lui in questo momento è solo ad affrontare questa battaglia a chiedere verità e giustizia per la morte del suo papa".

 

Bianzino e Cucchi vittime ancora senza verità

 

"Aldo Bianzino e Stefano Cucchi, morti in carcere entrambi, sono due vittime senza verità": lo ha affermato Emma Bonino, dei Radicali Italiani, che questa mattina insieme ad una trentina di persone e di simpatizzanti del movimento e la sorella di Cucchi, Ilaria, ha portato avanti un sit-in di protesta davanti al Tribunale di Perugia, dove si è tenuta l’udienza sulla richiesta di archiviazione del fascicolo di omicidio di Aldo Bianzino.

"È nostro impegno trovare la verità non in termini di vendetta - ha spiegato ai cronisti Bonino - ma di giustizia, nella speranza che la verità possa funzionare da deterrente anche rispetto ad altri ipotetici casi di violenza nelle carceri". Il rappresentante dei Radicali ha parlato di riflettere sull’anti-proibizionismo come "formula" per rendere meno affollate le carceri e ha proposto di depenalizzare i reati minori.

Giustizia: semilibertà a Izzo fu sbagliata? sentenza della Cedu

 

Ansa, 11 dicembre 2009

 

È attesa per martedì prossimo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo sul caso della concessione della semilibertà ad Angelo Izzo, il "mostro del Circeo". I giudici europei dovranno dire se le autorità italiane possono essere ritenute responsabili degli omicidi di Maria Carmela Linciano e Valentina Maiorano, commessi da Izzo il 28 aprile 2005 mentre godeva di questo beneficio.

Secondo i parenti delle due donne, che hanno presentato il ricorso a Strasburgo nel luglio 2006, un anno dopo l’omicidio, le autorità italiane, visti i precedenti di Angelo Izzo, concedendogli la semilibertà hanno violato il diritto alla vita di Maria Carmela e di Valentina, sancito dall’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Nella documentazione presentata, i familiari delle due donne, ripercorrono tutta la storia criminale di Izzo, dai fatti del Circeo fino al 27 dicembre del 2004, giorno in cui l’uomo inizierà a beneficiare della semilibertà. Si racconta anche del tentativo di fuga dal carcere di Latina, di quello riuscito dal carcere di Alessandria, di come a Izzo fosse stata già concessa la semilibertà, poi revocata perché trovato in compagnia di una persona con precedenti penali in una stanza d’albergo dove fino all’arrivo dei carabinieri erano presenti anche tre minori.

I ricorrenti hanno presentato anche documenti che attestano che nel 2004 un detenuto del carcere di Campobasso dove era rinchiuso Izzo, prima di essere trasferito a Palermo, aveva dichiarato che l’uomo aveva intenzione di assassinare il presidente del tribunale di sorveglianza di Campobasso.

Lettere: i detenuti, da varie carceri, scrivono a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 11 dicembre 2009

 

Non voglio morire in carcere. Mi chiamo Ben Saad, sono tunisino ed ho 47 anni. Vi scrivo dal carcere San Vittor di Mialno dove sono detenuto per scontare una pena di 4 anni e 3 mesi. Pena che ho quasi finito espiare, visto che ho già passato in carcere più di 3 anni. La mia liberazione infatti è prevista per giugno 2010.

Vi scrivo perché sono gravemente malato e il mio stato di salute è diventato col passare del tempo incompatibile con il carcere. Come potete leggere dal certificato medico che vi allego, soffro infatti di una forma grave di diabete e di una cardiopatia ischemica. Insomma sono affetto da due malattie che insieme rischiano di farmi morire in carcere.

Infatti, come hanno detto anche i medici di San Vittore, queste due malattie mi espongono al rischio di subire attacchi cardiaci e ictus. Eventualità che il carcere di certo non è adatto ad affrontare nei tempi necessari. Senza parlare del diabete che, non curato adeguatamente, mi può far diventare anche cieco, per non pensare di peggio! Chiedo solo di essere curato in un luogo adatto. Chiedo solo, dovendo scontare ancora solo pochi mesi, di non essere lasciato a morire dentro al carcere. Non credo di chiedere tanto e spero che qualcuno mi aiuti. Grazie per tutto quello che fate.

 

Ben Saad, dal carcere San Vittore di Milano

 

Piccolo tour all’Ucciardone di Palermo. Caro Arena, ti scriviamo dall’Ucciardone, un carcere dal nome nefasto simile a Uccisione! Devi sapere che appena si viene portati all’Ucciardone un detenuto viene lasciato chiuso per 6 ed anche 8 ore dentro quello che chiamiamo il canile. Ovvero una celletta per cani grande appena 1 metro per 2.

Ti lasciano lì al freddo d’inverno e al caldo d’estate. Dopo questo bel trattamento ti portano nella cella di transito. Un vero incubo. Lì ti mettono in cella con chi è malato di mente o con chi ha l’aids. Una cosa allucinante.

Dopo qualche settimana o qualche mese, ti portano finalmente nella tua cella. Tu ti dici il peggio è passato! E invece no. L’inferno vero all’Ucciardone inizia lì. Ti mettono in una cella grande come una cucina delle nostre umili case insieme ad altri 10 o 12 detenuti. Senza armadietti, e con sgabelli e tavoli fatiscenti. Alla finestra non c’è il vetro, ma una specie di pezzo di plastica. I muri scrostati dall’umidità fanno da cornice al tutto e appena abbassi lo sguardo vedi gironzolare un topo e una miriade di scarafaggi. In poche parole qui all’Ucciardone per noi non c’è nulla. Ci fanno fare domandine per tutto, ma poi non otteniamo mai niente. Praticamente non esistiamo. Alla prossima!

 

Ettore, Antonello e Antonio, dal carcere dell’Ucciardone

Alessandria: Ciro Ruffo morto per suicidio, l'esito dell’autopsia

 

Ansa, 11 dicembre 2009

 

Ciro Ruffo, 35 anni, il pentito di camorra trovato morto nella sua cella del reparto speciale del carcere di San Michele di Alessandria, si è suicidato. A questa conclusione sono giunti gli accertamenti fin qui compiuti, compresa l’autopsia.

L’esame autoptico è stato eseguito, su incarico della Procura, dal professor Giovanni Pierucci dell’istituto di medicina legale di Pavia, presente il consulente della famiglia di Ruffo. L’autopsia è durata circa quattro ore, un esame completo e complesso durante il quale è stata anche eseguita una tac. Domani il magistrato che si occupa del caso firmerà il nullaosta per il funerale.

Ruffo che faceva parte del clan Di Tella, sottogruppo dei Casalesi, coinvolto con altri sei in estorsioni a imprenditori edili e commercianti nel Casertano, dopo l’arresto aveva deciso di collaborare. Detenuto nel carcere di Ariano Irpino, nell’avellinese, aveva chiesto il trasferimento in Piemonte per essere più vicino alla moglie e ai due figli, che vivono sotto protezione. Sotto scorta, lunedì pomeriggio è arrivato nel carcere di San Michele e dopo meno di tre ore è stato trovato morto, impiccato alla sbarra della finestra.

Brindisi: la polizia penitenziaria salva dal suicidio un detenuto

 

Apcom, 11 dicembre 2009

 

"In questi giorni la Polizia penitenziaria è stata messa in croce con illazioni inaccettabili circa il ruolo che svolge nei penitenziari italiani: la miglior risposta a queste false, ingrate e ingiuste illazioni sono i quotidiani eroici gesti e comportamenti che compie il nostro personale, che nelle carceri rappresenta lo Stato.

Merita allora il massimo risalto mediatico quanto avvenuto l’altro ieri a Brindisi dove, solo grazie alla professionalità, alle capacità ed all’attenzione del Personale di Polizia penitenziaria, un detenuto iracheno è stato salvato da un tentativo di suicidio. A salvare la vita a del detenuto è stato il tempestivo intervento degli agenti penitenziari". È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe in relazione a quanto avvenuto al carcere di Brindisi.

"I nostri agenti a Brindisi - dice Capece - sono intervenuti sollevando il corpo del detenuto, già appeso alle sbarre della finestra con un rudimentale cappio, e gli hanno salvato la vita.

Parliamo di una realtà, quella brindisina, caratterizzata da un pesante sovraffollamento che aggrava le già pesanti condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria. A fronte di 135 posti sono infatti presenti ben 175 detenuti.

L’eroico gesto di Brindisi non deve passare inosservato perché è la dimostrazione concreta della realtà quotidiana della nostra professione: rappresentare ogni giorno lo Stato nel difficile contesto penitenziario con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità".

Il Sappe sottolinea inoltre che "gli esiti della pertinente Commissione dipartimentale, presieduta dal capo del Dap Franco Ionta e che si è riunita proprio ieri a Roma per deliberare l’attribuzione di eventuali ricompense al personale di polizia penitenziaria particolarmente distintosi in attività di servizio, sono la migliore risposta agli inaccettabili tentativi di delegittimazione e criminalizzazione che sta subendo in queste settimane il corpo".

Torino: medici penitenziari; tossicodipendente 1 detenuto su 4

 

www.cronacaqui.it, 11 dicembre 2009

 

Circa 420 tossicodipendenti da eroina e cocaina a fronte di 1.554 carcerati che attualmente popolano il carcere torinese. Oltre il 27% della popolazione detenuta fa uso di sostanze stupefacenti nel carcere "Lorusso e Cutugno" di Torino: su cinque detenuti uno è tossicodipendente.

E per questi pazienti che hanno bisogno di cure il Sad, Servizio assistenza detenuti del Dipartimento Dipendenze 1 dell’AslTo2, è un’opportunità nonché una nuova "rivoluzione" nello scenario della riforma sanitaria penitenziaria, come la definisce lo stesso direttore del carcere torinese Pietro Buffa che ieri ha presentato il servizio insieme al direttore generale dell’AslTo2 Giulio Fornero.

Rivoluzione, dal momento che sarà l’Asl To2 a gestire il programma "comunitario" Arcobaleno presso la struttura a custodia attenuata della casa circondariale. La sanità pubblica entra di fatto nel carcere, allargando la forbice delle cure e dei trattamenti. Che vanno dalla fase di accoglienza alla fase di dimissione dei pazienti tossicodipendenti, "raccogliendo" gli abusatori di sostanze che non sono mai stati seguiti da servizi specialistici e favorendo, altresì, la continuità terapeutica per coloro che erano già in trattamento.

"È un nuovo momento rivoluzionario - spiega Buffa - come lo è stato nel 2000 la riforma che ha portato al passaggio della sanità penitenziaria al sistema sanitario nazionale. Oggi l’importante è trovare in questa doppia organizzazione i migliori effetti possibili. Se questo strumento - la riforma della sanità penitenziaria - ci consente di migliorare le nostre capacità di cura della salute delle persone in carcere sfruttiamolo al meglio".

Al Sad del carcere torinese i detenuti tossicodipendenti trattati nel 2008 sono stati 1.064 (1.018 uomini e 46 donne) di cui 265 stranieri (25%). Nello stesso anno il servizio ha contato 1.256 trattamenti psicologici e socio-educativi, 88 gruppi psicologici che hanno coinvolto 273 detenuti, e 1.103 trattamenti farmacologici con disassuefazione.

"Le sostanze consumate spiega Enrico Teta, responsabile del servizio - sono soprattutto eroina, nella maggioranza dei casi, seguita dalla cocaina, in grande aumento tra i detenuti tossicodipendenti. Sul piano della salute, oltre il 50% dei tossicodipendenti detenuti è positivo alle epatiti virali, in particolare l’epatite C".

La struttura Arcobaleno nel 2008 ha registrato 129 ingressi di cui 33 hanno beneficiato di progetti esterni. In Piemonte i detenuti tossicodipendenti sono circa 1.300 (26%) per un totale di circa 5mila carcerati ( 4.815 al 30 giugno 2009; 4.357 al 30 giugno 2008): 91 detenuti sono stati i carcerati trattati con metadone (2%).

Sulmona: non solo i boss mafiosi… anche 170 detenuti psicotici

 

Il Tempo, 11 dicembre 2009

 

Si comincia ad avere paura soprattutto pensando alla questione dei "soggetti psicotici" che appaiono in esubero nel carcere di Sulmona. Soggetti, che la Uil penitenziari, considera "totalmente incompatibili con la struttura" dato che non vi è personale idoneo e formato alla gestione di una situazione del genere. Attualmente ad occuparsi di 160 psicopatici è un solo psichiatra convenzionato che lavora soltanto per poche ore al giorno.

A preoccupare Nardella, la possibilità che all’interno delle celle venga ospitato un terzo detenuto in spazi predisposti per una sola persona che al momento ne contengono due. "Se questo avverrà - precisa il segretario - il sistema già di per sé sovraffollato e per nulla in grado di garantire quanto previsto dalla Costituzione, collasserà gettando in un baratro tutti coloro i quali con enorme sacrificio ed alto senso del dovere sono costretti a combattere tutti i giorni una guerra fatta di aggressioni, autolesionismi e minacce di ogni genere.

Se poi tale minacce arrivano dai boss - conclude il sindacalista - sappiamo bene a quali elevati pericoli i poliziotti penitenziari di Sulmona sono esposti". Considerate le numerosi aggressioni, undici in undici mesi, e l’alto rischio all’interno della struttura penitenziaria subite dal personale, la Uil, richiederà di rivedere la concessione all’uso di vino e bombolette del gas ai detenuti, così come fatto in altri istituti d’Italia.

Livorno: nave-prigione ancorata nel porto? sindaco è contrario

 

Il Tirreno, 11 dicembre 2009

 

Torna ad aleggiare lo spettro di Alcatraz sulle banchine: il tam tam delle indiscrezioni ripete che a breve scadenza il consiglio dei ministri esaminerà la proposta del ministro Alfano di risolvere con le navi-prigione l’emergenza carceri. E Livorno figurerebbe fra i porti presi in esame. Niente ancora di definito ma è curioso che le poche notizie filtrate da Roma continuino a insistere sull’utilizzo di banchine non più utilizzate, quando invece è ben nota l’assoluta fame di spazi che contraddistingue, ad esempio, non solo Livorno ma anche gli altri due grandi porti dell’Alto Tirreno (Genova e La Spezia).

Proprio Genova è sotto i riflettori perché il sindaco Vincenzi ha sparato a zero su quest’idea ma ha dovuto vedersela con il fatto che potrebbe essere proprio lo stabilimento Fincantieri genovese, ora a corto di commesse, a costruire una o più prigioni galleggianti: l’azienda si è fatta avanti presentando un progetto in tal senso.

E Livorno? Il presidente dell’Authority Roberto Piccini e il sindaco Alessandro Cosimi dicono di non esser stati interpellati in relazione a iniziative di questo tipo. "Mi sembrerebbe francamente assurdo - sbotta Piccini - che un progetto del genere possa passare del tutto al di sopra delle istituzioni locali: non parliamo di una scialuppa in mezzo all’oceano ma di qualcosa che avrebbe bisogno di collegamenti e servizi a terra.

Logico che la comunità portuale locale non sia affatto contenta di dover sacrificare spazi per metter qui una nave-carcere: al contrario, il porto ha bisogno di ulteriori banchine per poter far ripartire lo sviluppo, altro che "congelare" improduttivamente quelle che ci sono. Sulla stessa lunghezza d’onda anche il sindaco Cosimi: "A Roma non penseranno mica che tutto possa risolversi con un blitz? Non è credibile un progetto di una tale portata che prescinda da ogni contatto con i territori.

Reggio Calabria: coinvolgere i detenuti per la pulizia della città

 

Asca, 11 dicembre 2009

 

Una proposta interessante giunge dal consiglio del IV quartiere, a firma del consigliere Armando Hyerace e del presidente Francesco Quero. L’idea di coinvolgere i detenuti lavorando per la pulizia e il decoro della città.

"In alcune città d’Italia, come Roma, Palermo e presto anche Milano, le Amministrazioni Comunali stanno realizzando un progetto che si inquadra nell’ambito di una serie di iniziative sperimentali volte a favorire il reinserimento socio-lavorativo di soggetti in espiazione di pena mediante la partecipazione responsabile e consapevole in progetti di recupero del patrimonio ambientale e lavori di pubblica utilità - si legge in un documento già inviato al sindaco, all’assessore alle Politiche Sociali e all’assessore all’arredo urbano -.

Si tratta di reclusi già rodati con i permessi esterni e con le uscite dal carcere. E non potrebbe essere altrimenti: all’insorgere di un minimo problema, infatti, l’intero progetto verrebbe sospeso. Iniziative del genere sono state organizzate in passato non soltanto per la pulizia di aree e parchi. L’estate scorsa, per esempio, un gruppo di detenuti del carcere di Palermo lavorò all’allestimento di trappole per catturare punteruoli rossi, gli insetti che attaccano e distruggono le palme".

Pertanto la proposta avanzata all’Amministrazione Comunale è di intraprendere iniziative di questo genere, che indubbiamente possono giovare non solo al reinserimento di questi soggetti, ma a mantenere alcune zone della città, di norma trascurate a causa dei noti problemi che investono le società preposte alla pulizia delle strade e del verde pubblico, finalmente curate e pulite. "Se l’Amministrazione intendesse perseguire questo progetto - conclude Hyerace -, si chiede fin da subito di voler coinvolgere il Consiglio della IV Circoscrizione, e partire con queste iniziative proprio dal nostro territorio".

Palermo: direttrice del Pagliarelli è indagata e sospesa dal Dap

 

Agi, 11 dicembre 2009

 

È stata sospesa cautelativamente e a tempo indeterminato, su decisione del Dap, il direttore del carcere di Pagliarelli di Palermo, Laura Brancato. L’alto funzionario è stata proposta per un rinvio a giudizio (e ora è anche sotto procedimento

disciplinare) con l’accusa di un particolare tipo di reato, l’installazione di apparecchi idonei ad effettuare intercettazioni, e anche di truffa, falso e abuso d’ufficio. Secondo i pm avrebbe fatto piazzare in ufficio un centralino telefonico che si potrebbe inserire e che dunque potrebbe intercettare le telefonate in arrivo e in partenza dal carcere. La denuncia contro la Brancato era stata presentata da Dario Quattrocchi, segretario regionale del Sinappe, sindacato della polizia penitenziaria. La Brancato avrebbe pure avuto esami e servizi sanitari gratuiti, previsti solo per i detenuti e di queste presunte truffe risponde assieme a un ex dirigente sanitario del carcere, Sergio Cavallaro. La direttrice aveva sempre sostenuto di non avere mai intercettato nessuno.

Pavia: un detenuto senegalese in sciopero della fame da giorni

 

Ansa, 11 dicembre 2009

 

Un detenuto senegalese da alcuni giorni ha iniziato lo sciopero della fame in segno di protesta contro la sua detenzione. L’uomo rinchiuso nel carcere di Pavia, con l’accusa di rapina ai danni di una gioielleria della città, sostiene di avere un alibi che lo scagionerebbe dalle accuse. Preoccupate le autorità dell’istituto di pena, dopo che lo scorso settembre un altro detenuto nordafricano è morto in seguito a uno sciopero della fame intrapreso anche in quel caso per protestare contro una condanna a suo carico.

Ivrea: seminario in carcere, per parlare del significato di pena

 

La Stampa, 11 dicembre 2009

 

L’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Ivrea, in collaborazione con la Casa Circondariale, ha organizzato per oggi, venerdì 11, presso il Carcere di Ivrea, due incontri fra i detenuti e il sociologo Dario Padovan. "Con questi incontri - è stato il commento dell’assessore competente Paolo Dallan - vogliamo promuovere una discussione sui due importanti temi. Il primo è il significato della pena, il secondo lo abbiamo intitolato "Vivere con gli stranieri, vivere in un Paese da straniero". Il nostro obiettivo, infatti, è proprio quello di favorire una riflessione sul significato della pena, nonché di agevolare la comunicazione e la convivenza tra detenuti stranieri e detenuti italiani".

Il sistema carcerario deve affrontare è l’elevato numero di detenuti; questo significa che persone di culture e usi diversi sono costrette a convivere, spesso in spazi molti ristretti, generando problemi nuovi e complessi che devono essere affrontati con strumenti e metodologie adeguate. I temi oggetto dell’incontro saranno strutturate in due sessioni: la prima avrà luogo in mattinata, la seconda si terrà nel pomeriggio.

Droghe: Giovanardi; misure alternative per i tossicodipendenti

 

Ansa, 11 dicembre 2009

 

Incentivare, nei casi in cui è possibile, l’utilizzo di misure alternative al carcere per il recupero dei tossicodipendenti "che hanno intenzione di affrontare il trattamento in una casa di cura". È l’obiettivo del dipartimento delle Politiche antidroga, come ha spiegato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla droga durante un convegno a Roma, che ieri ha incontrato il Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria per discutere in materia. I due Dipartimenti, ha spiegato il sottosegretario, collaboreranno per concordare un piano, assieme alle regioni, affinché si riesca "a ripristinare meglio questo meccanismo, dal momento che negli ultimi anni sono diminuite le persone che hanno usufruito di questa possibilità". La legge Fini-Giovanardi, ha aggiunto il sottosegretario, non colpisce i consumatori di droga, che sono "considerati vittime da recuperare".

Facendo un bilancio della legge a 4 anni dall’entrata in vigore, Giovanardi ha concluso: "quello che è stato detto e scritto in maniera terroristica circa le migliaia e migliaia di giovani che avrebbero conosciuto il carcere a causa della Fini-Giovanardii, è stato totalmente smentito dai dati offerti dal Dap. Non c’è stato un aumento dei detenuti tossicodipendenti rispetto alla media degli anni precedenti".

Droghe: eroina; 170 mila consumatori in più, nel 2012 (+40%)

 

Redattore Sociale - Dire, 11 dicembre 2009

 

Consumatori di droghe in aumento in Italia: da qui al 2012 aumenteranno sia gli assuntori di eroina che quelli di amfetaminici e derivati (+25%). I dati in un convegno dell’Osservatorio regionale per le dipendenze della regione Lombardia.

Consumatori di droga in aumento in Italia: da qui al 2012 cresceranno sia gli assuntori di eroina (+40%), che quelli di amfetaminici e derivati (+25%). "Siamo entrati nell’era della droga 3.0", spiega Riccardo Gatti, direttore del Dipartimento dipendenze dell’Asl di Milano, proponendo un paragone con l’evoluzione del web. Se la fase 1.0 può essere identificata con "emarginazione e devianza" e la 2.0 con un uso delle sostanze stupefacenti "per migliorare le prestazioni, il doping della vita moderna", la terza fase dello sviluppo è caratterizzata dal consumo di droga per ottenere delle isole di piacere, cioè ricerca personale di momenti di piacere, gratificazione e benessere". Una fase che riguarda soprattutto gli under 25, i giovanissimi nati e cresciuti con internet.

I dati, contenuti nel bollettino previsionale 2009-2012 Prevolab, sono stati illustrati oggi in un convegno dell’Ored, Osservatorio regionale per le dipendenze della regione Lombardia. E se il mercato della cocaina sta ridimensionando nel 2012 il numero dei consumatori potrebbe aumentare del 4% rispetto al 2009, raggiungendo il 2,2% della popolazione italiana tra i 15 e i 54 anni) crescono in maniera nettamente più significativa consumi di eroina (più 40% rispetto al 2009, 170mila individui) e di droghe sintetiche come anfetamine e derivati (più 25% rispetto al 2009, per un totale di 210mila consumatori). In entrambi i casi, la fascia di consumatori più popolata è quella fra i 15 e i 24 anni. Anfetaminici e derivati sembrerebbero - si legge nel rapporto - droghe giovanili, tendenzialmente inserita in uno scenario di policonsumo e utilizzo occasionale.

"Siamo in una fase di passaggio, un punto di rottura - sottolinea Gatti - potrebbe svolgersi una battaglia tra i mercati delle droghe di origine naturale e quelli delle droghe sintetiche, dove la catena produzione-consumo è più breve". L’ingresso nel mercato della droga dei ragazzi di 15-24 anni (grandi "consumatori" di internet) pone ulteriori problemi: sono infatti meno influenzabili sul "tema droga" dai processi educativi classici della famiglia, della scuola e dei media tradizionali. Basta dare un’occhiata al mondo dei social network e, nello specifico, al mondo di Facebook dove 1.108 gruppi e 91 pagine trattano in qualche modo il tema della droga. Nel 75,66% dei casi, l’opinione espressa è positiva.

Droghe: il proibizionismo fallisce, l'unica soluzione è legalizzare

di Valentina Stella

 

Agenzia Radicale, 11 dicembre 2009

 

"C’è solo un modo per ridurre il consumo di droghe: legalizzarle". Così il professor Gary Becker, premio Nobel per l’Economia nel 1992. L’allievo di Milton Friedman torna a ribadire che negli ultimi 35 anni la politica proibizionista ha fallito totalmente: si è speso troppo e non si è ottenuto nulla se non aver ingrassato le tasche della criminalità organizzata. Nonostante un rapporto Onu indichi come il consumo di cocaina, eroina e marijuana inizi a diminuire, il professor Becker sottolinea che è un risultato deludente visto che "ogni anno gli Stati Uniti destinano 40 miliardi di dollari per combattere la diffusione delle droghe. Se a tutto questo aggiungiamo i costi per la società e lo Stato - poliziotti, tribunali, carceri - il costo arriva a 100 miliardi di dollari ogni anno".

E non dimentichiamo che sono in aumento le droghe sintetiche. Dunque la proposta del premio nobel consiste nella legalizzazione delle droghe ma con alcuni limiti: vietata la vendita ai minori e controlli di qualità ai produttori. Scongiurato ovviamente l’aumento dell’uso perché si dovrebbero applicare tasse molto alte.

Siria: torture in carcere, ex deputato chiede all'Onu di indagare

 

Ansa, 11 dicembre 2009

 

Un ex deputato e prigioniero politico siriano ha chiesto all’Onu di indagare sulla sorte di uomini e donne scomparsi nel nulla e forse detenuti nelle carceri di Damasco, dove potrebbero essere vittime di torture.

Ne dà notizia oggi la stampa libanese, secondo cui Maamun Homsi ha chiesto "un’inchiesta sulle violazioni dei diritti umani in Siria e sulla sparizione di migliaia di libanesi, palestinesi, giordani e siriani nelle mani del regime" di Damasco. "La situazione dei diritti umani peggiora di giorno in giorno", ha affermato l’ex deputato durante una manifestazione svoltasi davanti alla sede dell’Onu di Beirut. "In Siria si tortura gente che non ha fatto nulla se non esprimere la propria opinione", ha aggiunto.

Homsi nel 2001 era stato accusato di tentativo di golpe e condannato a cinque anni di carcere perché fra i firmatari della ‘Dichiarazione di Damascò, un documento redatto da rappresentanti della società civile e dei partiti dell’opposizione laica e del movimento dei Fratelli musulmani in esilio a Londra.

Sulla spinosa situazione dei detenuti nelle carceri siriane è tornata anche Human Rights Watch, che ieri ha rinnovato la richiesta alle autorità di Damasco di fare luce su quanto avvenuto nella prigione di Saydnaya, dove nel luglio 2008 secondo fonti di stampa straniere le autorità repressero una rivolta dei prigionieri.

Secondo l’organizzazione internazionale da allora non si ha notizia di almeno 42 detenuti, alcuni dei quali hanno già finito di scontare la loro condanna e avrebbero dovuto essere rilasciati.

Russia: avvocato morto in cella, rimossi 4 dirigenti penitenziari

 

Ansa, 11 dicembre 2009

 

Il leader del Cremlino Dmitri Medvedev ha licenziato quattro alti dirigenti del servizio penitenziario federale dopo la controversa morte in carcere, il 16 novembre a Mosca, di Serghiei Magnitski, avvocato del fondo russo di investimento Hermitage Capital, indagato per una presunta evasione fiscale ma anche testimone chiave di un’inchiesta contro dirigenti del ministero dell’interno.

Il provvedimento è stato pubblicato sul sito presidenziale. Sono stati rimossi dalle loro funzioni il capo del dipartimento di Mosca Vladimir Davidov e quello della regione di Mosca Piotr Posmakov, il responsabile del dipartimento di San Pietroburgo e della regione di Leningrado Vladimir Malenciuk, e il direttore del dipartimento per la carcerazione preventiva Valery Teliukha. La morte del legale aveva suscitato forti polemiche e lo stesso Medvedev aveva ordinato un’inchiesta accurata e tempestiva sulle circostanze del decesso. Magnitski aveva tenuto un diario nel quale registrava quotidianamente tutti i soprusi e le angherie cui era sottoposto insieme ad altri detenuti. Il suo entourage aveva denunciato che gli erano state negate cure mediche nonostante le sue ripetute richieste.

 

 

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