Rassegna stampa 28 aprile

 

Giustizia: l’Istat disegna una "geografia" delle nuove povertà

di Massimo Mucchetti

 

Corriere della Sera, 28 aprile 2009

 

Secondo l’Istat in Italia 975 mila famiglie sono povere e oltre due milioni e mezzo vivono con meno di mille euro al mese. Ci sono poveri assoluti e "relativi", soprattutto al Sud Meno diversità nelle regioni con reddito medio più alto.

Quanti sono i poveri in Italia? Come sono cambiati? Esiste correlazione tra povertà e disuguaglianza? Che cosa fa lo Stato per contrastare la povertà? Gli economisti mettono le mani avanti: "Dipende da qual è la soglia di consumi al di sotto della quale si viene considerati poveri". E hanno ragione. Già Carlo Cattaneo, nel 1839, scriveva sul Politecnico: "Un selvaggio si sdraia in una spelonca, va nudo alle intemperie, si nutre di ogni schifezza. Ma in seno alla civiltà, in mezzo a campagne ridenti e città sfarzose e liete, il povero deve avere un tetto, qualche suppellettile, un po’ di foco, un po’ di lume; e per essere accolto fra i suoi simili alle opere della vita, deve mostrarsi vestito com’essi... Ora, il punto che divide questi gradi d’infortunio, varia per ogni paese, per ogni tempo, per ogni persona".

La povertà ha i volti e le storie di uomini e donne che religiosi come padre Clemente Meriggi incontrano nell’emergenza. Dal convento dell’Angelicum, a metà strada tra la Stazione Centrale e il centro di Milano, i frati francescani e 400 volontari procurano cibo, letti, vestiti, cure ambulatoriali, docce, ma anche assistenza psicologica, corsi di lingue, impegno all’integrazione sociale. Racconta padre Clemente: "Il nostro refettorio dà 1.200 pasti caldi gratuiti al giorno, più altri 250 portati a domicilio degli anziani senza mezzi e non autosufficienti e altrettanti nelle nostre altre case in città. Bussano alla nostra porta gli extracomunitari in difficoltà ma anche un numero crescente di italiani, alcune centinaia: clochard, certo, ma anche e soprattutto anziani soli, ammalati mentali, schiavi dell’alcol, ex carcerati, ex tossici e infine persone che hanno perso il lavoro o la famiglia". Separati come nuovi indigenti? "Ne vengono a decine: hanno lasciato la casa, passano gran parte del salario alla moglie e ai figli, non hanno più abbastanza per vivere. Si rifugiano da noi un paio di mesi, talvolta anche sei mesi, e intanto cercano un reddito integrativo e un po’ di fiducia in sé stessi".

I fratelli di San Francesco, la casa della Carità di don Colmegna, la Caritas nelle parrocchie affrontano l’emergenza degli ultimi. Sono tanti, ma in rapporto agli abitanti di Milano o ai 60 milioni di italiani (ogni città ha i suoi padri Clemente) possono sembrare pochi. Ma se dagli ultimi passiamo ai penultimi, che stanno male anch’essi, allora i numeri impongono una scelta politica: basta la carità cristiana, ed eroica, del volontariato, sostenuto da una modestissima spesa pubblica, o si deve impegnare di più il bilancio dello Stato?

Si è poveri solo in assoluto e si è poveri anche relativamente ad altri che stanno meglio. Povere in assoluto sono le persone che consumano beni e servizi per un valore mensile inferiore alla cosiddetta soglia della povertà. Fino al 2003 questa soglia veniva calcolata dall’Istat sulla base di medie nazionali. Da quest’anno la misurazione riprende in modo più sofisticato calcolando la soglia per 38 tipologie familiari differenziate per numero di componenti e fasce d’età e riclassificate per aree metropolitane, grandi comuni e piccoli centri nel Nord, nel Centro, nel Mezzogiorno.

A dati 2007, la spesa minima mensile di un single tra i 18 e i 59 anni per non essere considerato povero in assoluto è di 724 euro nell’area metropolitana del Nord, la più cara, e di 487 euro nel piccolo comune del Sud, il più a buon mercato. Per una famiglia di tre persone, stesse zone, stessa fascia d’età, si va da 1.248 euro a 910.

Il povero metropolitano (dati 2005) destina 317 euro all’affitto, 44 al riscaldamento, 177 al cibo e 137 al resto che non comprende auto, motorino, vacanze, canone tv, sanità privata, pc, cinema e nemmeno un fiore, nemmeno, insomma, l’equivalente della tazza di tè e della possibilità per la madre di occuparsi dei figlioli, i due "lussi" che Alfred Marshall considerava indispensabili al contadino o all’operaio inglese del 1890. Ebbene, nel 2007 le famiglie povere in assoluto erano 975 mila e in esse vivevano 2 milioni e 427 mila italiani.

Se consideriamo la povertà relativa, la platea si allarga. Il punto di riferimento dell’Istat è la media nazionale dei consumi di una famiglia di due persone che poi viene ridotta o aumentata a seconda delle altre tipologie familiari.

Ebbene, sempre a dati 2007, il consumo di questo nucleo è pari a 1.973 euro, e per l’Istat è in stato di povertà relativa la famiglia di due individui che consumi meno della metà di quella somma, ovvero meno di 986 euro. In base a tale criterio le famiglie povere erano 2 milioni e 653 mila per ben 7 milioni e 542 mila individui. I poveri assoluti sono il 4,1% della popolazione, i relativi il 12,8% e questi rappresentano un quarto della popolazione nel Mezzogiorno, il 5,9% al Nord e il 7,2% nel Centro.

Rispetto alla storica inchiesta sulla miseria fatta dalla commissione parlamentare presieduta da Ezio Vigorelli (Psdi), vicepresidente Ludovico Montini (Dc, fratello di Paolo VI), c’è un passo avanti. Nel 1951-52 il 7,5% delle famiglie non consumava mai né carne, né vino, né zucchero, il 4,7% viveva in 4 per stanza, il 2,8% in grotte e baracche. Le famiglie misere erano un milione e 357 mila, il doppio di oggi. Su scala mondiale, il numero delle persone povere in assoluto, pur aumentando, cala in relazione al totale della popolazione, mentre aumenta la distanza tra poveri e ricchi. E qui si torna alla povertà relativa.

Povertà assoluta e povertà relativa sono concetti ambivalenti. Come ha messo in evidenza Andrea Brandolini, economista della Banca d’Italia, la Slovacchia ha una percentuale di persone a basso reddito in relazione al reddito medio del paese inferiore al Regno Unito (a parità di potere d’acquisto, meno del 4% contro l’11%), ma il reddito medio è scarso e dunque c’è una ben poco consolante uguaglianza. Certo, il povero americano è un ricco rispetto ai poveri dei paesi poveri.

Ma negli Stati Uniti, la percentuale delle persone povere in assoluto è scesa dal 22% del 1960 al 13% dei giorni precisi mentre la soglia della povertà assoluta per una famiglia di 4 persone è crollata dal 48% al 28% del reddito mediano, che è quello di quanti si collocano al gradino di mezzo nella scala dei redditi ed è di solito inferiore al reddito medio.

La povertà, insomma, ha tanti gradi. I due che invece di consumare per 986 euro consumassero, poniamo, per 1.100 potrebbero definirsi benestanti? Del resto, le statistiche vanno approfondite. Nel 2005, le famiglie italiane hanno percepito un reddito medio annuo di 27.736 euro, diciamo 2.311 euro al mese. Ma oltre il 60% delle medesime vive con cifre assai più basse. Immaginando di dividere il totale delle famiglie per due, scopriremo che la metà dei nuclei familiari vive con meno di 1.872 euro al mese. E dentro questo universo è tra operai e impiegati, ai quali è andata una quota decrescente del valore aggiunto generato dalle imprese, che aumenta la povertà. Vi è dunque un nesso tra povertà e disuguaglianza dei redditi e tra queste e la precarietà del lavoro.

L’indice del Gini, che misura il grado di diseguaglianza tra i redditi secondo una scala da 0 (tutti hanno la stessa quota) a 1 (uno solo ha tutto), dà un quadro eloquente: le regioni con il reddito medio più alto, in particolare quelle settentrionali a statuto speciale e quelle centrali Lazio escluso, hanno anche il Gini più basso; le grandi regioni meridionali hanno meno reddito e il Gini più alto. E dunque il contrasto della povertà e della disuguaglianza non può non coinvolgere lo Stato.

L’Italia è un paese con 12,7 persone su 100 a basso reddito relativo, una percentuale tra le più alte nei paesi sviluppati. Secondo il Luxembourg Income Study, tra i paesi sviluppati più disuguali di noi ci sono il Portogallo, la Spagna, la Grecia, l’Irlanda e gli Usa, con il 17%; siamo lontanissimi non solo dai paesi scandinavi che viaggiano tra il 5,4 e il 6,8% ma anche da Francia e Germania che stanno sull’8,3%.

L’economia sommersa può mitigare un po’ il quadro, non certo gli aiuti pubblici contro la disoccupazione e l’esclusione sociale, per l’alloggio e le famiglie, che sono pari ad appena l’1,7% del prodotto interno lordo, la quota più bassa della Ue, Lituania esclusa. Gli effetti si vedono. Secondo l’Osce, le persone a rischio di povertà relativa prima dei citati trasferimenti sociali sono il 28% in Svezia, il 26% in Francia e il 24% in Italia; i trasferimenti le riducono all’ 11% in Svezia, al 13 in Francia e solo al 20% in Italia.

E non è con le pensioni che si compensa. Anzi. L’economista Luigi Campiglio, prorettore dell’Università Cattolica di Milano e garante del Fondo diocesano per famiglia e lavoro, avverte: "Le pensioni aiutano, ma la destinazione è casuale: sono una lotteria sociale. La verità è che lo Stato spende poco e spende male. E questo è il problema. Etico ed economico".

Giustizia: combattere le diseguaglianze? sarà un investimento

 

Corriere della Sera, 28 aprile 2009

 

Quanto costa eliminare la povertà? Andrea Brandolini, studioso della Banca d’Italia, ha stimato che per portare 7,5 milioni di individui sopra la soglia della povertà relativa ci vorrebbero 6,2 miliardi di euro. Un altro economista, Massimo Baldini, dell’Università di Modena, azzarda che, per portare i 2,4 milioni sopra la soglia della povertà assoluta, ci vorrebbero 3 miliardi l’anno. Cifre troppo alte? In assoluto no.

In relazione al bilancio pubblico bisogna andare a fondo. La leva fiscale, per esempio, non è semplice da usare: se si aumentasse dell’1% su tutto il reddito il prelievo fiscale per i contribuenti sopra i 70 mila euro di imponibile, lo Stato ricaverebbe solo un miliardo in più.

Se si elevasse il prelievo al 3% per chi vanta oltre 200 mila euro, arriverebbe a 1,5 miliardi. Insomma, non basterebbe chiedere una maggior solidarietà obbligatoria. Si dovrebbe anche e soprattutto manovrare nella spesa pubblica modificandone un po’ le destinazioni e rendere finalmente chirurgici e non a pioggia gli interventi.

Contrastare la povertà, ridurre le disuguaglianze è una battaglia morale. Ma può essere un investimento? Per Luigi Campiglio sì. Dice l’economista del cardinal Tettamanzi: "In Svezia, dove la pressione fiscale e la spesa pubblica sono superiori rispettivamente di 5,3 e di 7,5 punti rispetto all’Italia, la produttività ha avuto un incremento maggiore non soltanto al nostro, che è pressoché nullo, ma anche a quello degli Usa, dove pressione fiscale e spesa pubblica sono poco più della metà". La Svezia è un paese piccolo. E Campiglio non lo nega.

Ma la Francia, che è perfettamente paragonabile all’Italia? "La Francia mostra, sia pure con valori più contenuti, la stessa tendenza della Svezia e proprio in questi giorni torna a consumare di più, beni durevoli compresi. La paura è uguale dappertutto, ma è la rete di assicurazione per i più deboli che la combatte, non le parole. Ed è per questo che saranno i paesi con maggior coesione sociale a uscire meglio dalla crisi".

La nuova impostazione dell’Istat può consentire allo Stato di non sprecare risorse scarsissime. Per contrastare la stessa povertà al Nord ci vogliono maggiori risorse che al Sud. E questo apre una sfida nella distribuzione delle risorse pubbliche in un quadro istituzionale federalista, ma può anche giustificare il ritorno verso le gabbie salariali per chi è appena sopra le soglie della moderna miseria. In tal caso, si riproporrebbe l’antico dilemma: il salario remunera una prestazione o dà da vivere?

Dalla trincea milanese del fare, Campiglio osserva: "Le gabbie salariali, in realtà, persistono nei differenziali nell’edilizia, in agricoltura 0 nei piccoli servizi rispetto al Nord e nella scarsa diffusione della contrattazione integrativa. Non sarebbe meglio migliorare chi sta peggio anziché tirare al ribasso?". Un’esortazione meno buonista di quel che sembra se il primo datore di lavoro al Sud è lo Stato, spesso più generoso che al Nord. Sarà la Regione Sicilia a tagliare le retribuzioni in nome della nuova flessibilità?

Giustizia: ministero ha 450 mln di debiti per le intercettazioni 

di Stefano Sansonetti

 

Italia Oggi, 28 aprile 2009

 

O il ministero della giustizia tira fuori i soldi, circa 450 milioni di euro, o il sistema delle intercettazioni va a carte quarantotto. Con il possibile blocco di tutte le più delicate inchieste contro la mafia e la criminalità organizzata. Dopo le prime denunce dei ritardi biblici con cui le procure di mezza Italia pagano, e dopo la stima dell’impressionante mole di debiti sulle spalle del ministero della giustizia, adesso si fa sul serio.

Questa mattina l’Iliia, l’associazione che raccoglie circa 50 società che operano nel settore delle intercettazioni, farà il punto sulla drammatica situazione in cui versano le aziende. E potrebbe anche far scattare un clamoroso sciopero che avrebbe ripercussioni gravissime su numerose indagini. Non soltanto ci sono i 450 milioni di crediti non onorati dalle procure, ma si è ormai arrivati a un autentico rischio occupazionale per un mondo che impiega grosso modo 2.500 persone.

Le società del settore (Area, Sio e Research) sono a rischio crack. Situazioni al limite, con tanto di azioni societarie date in pegno alle banche come prova di una situazione che definire esplosiva sarebbe un eufemismo. A dir la verità Area, Sio e Research non fanno parte dell’Iliia, ma condividono lo spirito dell’iniziativa intrapresa dall’associazione.

Quest’ultima, come hanno spiegato a Italia Oggi alcune persone del suo entourage, raggruppa attualmente una cinquantina di aziende che si occupano di installazione, produzione, assistenza tecnica e servizi di noleggio di attrezzature per le intercettazioni telefoniche, ambientali e video su disposizione dell’autorità giudiziaria. Insomma, come si può constatare si tratta del grosso dell’attività.

Area, Sio e Research, che pure rappresentano da sole una grossa fetta di mercato, si occupano più che altro di registrazione. Insomma, per il ministro della giustizia, Angelino Alfano, oggi potrebbe arrivare una specie di ultimatum. Del resto nel dossier che l’Iliia consegnerà ci sono numeri che parlano chiaro.

Per esempio il dato sui tempi di ritardo nel pagamento delle aziende. Attualmente le procure impiegano in media 550 giorni e questo fa sì che le società private riescano a incassare soltanto tra il 5 e l’8% del fatturato dell’anno di riferimento. La situazione è nettamente precipitata da quando è cambiato il sistema di saldo dei crediti. Prima, infatti, erano le Poste ad anticipare i versamenti, chiedendo in un secondo momento il rimborso al ministero della giustizia. Poi è intervenuto il decreto Bersani del luglio 2006, con il quale si è stabilito che le spese vengano direttamente liquidate dalla Banca d’Italia.

Inutile dire che la nuova procedura ha comportato un incredibile allungamento dei tempi di pagamento alla società del settore intercettazioni. Con il vecchio sistema, come rivelerà un altro dato contenuto nel dossier, se non altro i pagamenti delle procure riuscivano ad arrivare con un ritardo medio di 180 giorni (oggi sono appunto 550) e le società riuscivano a incassare fino al 45-50% del fatturato annuo (adesso, come detto prima, il numero è precipitato al 5-8%).

L’associazione, infatti, ha calcolato che dall’ottobre del 2008 al gennaio del 2009 ben 200 aziende del mondo delle intercettazioni hanno chiuso i battenti, con la bellezza di 200 lavoratori licenziati. È chiaro, allora, che la situazione è diventata del tutto intollerabile, soltanto se si pensa che i beni sequestrati alla mafia nel 2008, ovviamente anche grazie al supporto offerto dalle aziende del comparto intercettazioni, hanno raggiunto il valore di 2,4 miliardi di euro. Se il ministero desidera che queste performance vengono come minimo confermate, se non migliorate, deve dare una risposta. Ogni giorno si attivano tra le 300 e le 400 linee telefoniche, a dimostrazione che l’attività viaggia a velocità massima. La macchina, allora, non può fermarsi.

Giustizia: 62.000 detenuti, mai così tanti in storia penitenziari

di Leo Beneduci (Segretario Nazionale dell’Osapp)

 

Polizia Penitenziaria Domani, 28 aprile 2009

 

Era ora! Il risultato da tempo agognato e che mai nella recente storia penitenziaria si era raggiunto, finalmente è arrivato. Molteplici le emozioni e i sentimenti che affollano in questo momento la nostra mente: soddisfazione, orgoglio, gratitudine, etc., etc.

Perché tante sono le figure istituzionali e non da ringraziare, e soprattutto i Ministri di tutti i Governi dell’ultimo decennio ed in particolare delle ultime due maggioranze che più di tutti si sono impegnati per individuare le necessarie soluzioni senza le quali un evento tanto significativo mai si sarebbe realizzato e poi i Capi Dipartimento degli ultimi anni che, ossequiosi e zelanti rispetto alle direttive politiche ricevute e debitamente retribuiti, anche perché Capi di un Corpo di Polizia dello Stato hanno consentito che l’efficienza dell’Amministrazione penitenziaria raggiungesse i livelli di eccellenza attuali, nel compendio in altri tempi irrealizzabile tra le progressivamente minori risorse disponibili in ogni settore, i progressivamente minori diritti del Personale (esclusi alcuni particolari "miracolati") ed il maggiore numero di utenti penitenziari della Repubblica.

Ma non basta, la malcelata gioia di questi momenti non ci lascia indulgere più di tanto nel facile trionfalismo, in quanto i 62.000 detenuti non sono che il primo di una lunga serie di obiettivi che dobbiamo necessariamente raggiungere, primo fra tutti il superamento alle attuali condizioni delle 63.651 presenze pari alla capienza massima tollerabile che, secondo le nostre stime, dovrebbero arrivare a cavallo dei prossimi mesi di giugno/luglio quando la calura estiva, speriamo, sarà particolarmente insopportabile.

Tra l’altro, un piccolo inciso per ribadire l’assoluta rilevanza dei risultati che si stanno ottenendo quasi da guinness dei primati: i 63.651 detenuti che in tutte le statistiche penitenziarie rappresentano il massimo raggiungibile sono, almeno per i prossimi mesi e fino a quando non entreranno in funzione alcuni nuovi istituti, una vera e propria finzione numerica che, per essere realisti, dovrebbe ridursi di almeno 5.000 posti e, quindi, circa 58.500 rappresenterebbe il numero massimo di utenti che il sistema penitenziario è in grado di sopportare… solo che lo abbiamo superato in assoluto silenzio e povertà di idee già da 5 mesi. Massimo onore al merito, quindi, a tutti tranne alla Polizia Penitenziaria che non è mai contenta e che, come si vede, per il tramite dei propri Sindacati continua a protestare in Sardegna, come in Emilia Romagna o in Piemonte e in altre sedi, tra l’altro lamentando sospensioni di ferie e di riposi per sovraffollamento, mancato pagamento di straordinari e missioni, assenza di equità e trasparenza nella gestione del Personale e turni sempre più massacranti, nonché qualche aggressione!

Come se non si sapesse che queste cose sono insite nel lavoro del Poliziotto Penitenziario già Agente di Custodia (leggasi rischi del mestiere), che il privilegio di lavorare in Carcere benché proveniente dagli strati di più bassi della Società e dalle zone più arretrate del Paese lo deve in qualche modo pagare. E poi, come insegnano gli esprimenti di Etologia, quando ci sono troppi topi nella stessa gabbia per troppo tempo, qualche aggressione, qualche caso di omosessualità e di cannibalismo o persino qualche omicidio-suicidio sono la regola!

Orsù dunque, bandiamo possibili e del tutto deleteri ripensamenti ed andiamo avanti: 64.000, 65.000, 70.000… qualcuno ha di recente scritto che a fine del 2012 quando, grazie al Piano Carceri Ionta-Alfano saranno realizzati 10.400 posti in più, i detenuti saranno 100.000. Sciocchezze, secondo noi i detenuti a fine 2012 non potranno superare le 90.000 unità! Rieducazione, Reinserimento Sociale? Riedu-risocia-reinseri-chè?

Giustizia: Antigone; servizio informazione legale per detenuti

di Simona Filippi (Associazione Antigone)

 

www.linkontro.info, 28 aprile 2009

 

La tutela del diritto di difesa nella fase di esecuzione della pena attraversa vie complesse spesso poco dibattute. Esclusa qualche mosca bianca, come il valido gruppo di dottorandi e laureati in giurisprudenza presente a Rebibbia penale, la maggior parte delle persone detenute ha una conoscenza quantomeno sommaria, sicuramente non aggiornata, del complesso mondo di norme, regolamenti e circolari che ruota attorno alla fase di esecuzione della pena".

Una realtà, quella dell’esecuzione, fatta da norme spesso esclusivamente punitive, incardinate in un’ottica quanto mai distante dal richiamo costituzionale ad una pena "umana e rieducativa". Si pensi ai limiti per l’accesso ai benefici introdotti dalla c.d. Legge ex Cirielli, alla pena dell’ergastolo o alla disciplina prevista dall’articolo 4 bis della legge dell’ordinamento penitenziario.

Questa realtà, aggravata in molti istituti da una difficoltà di rapporti con il Magistrato di sorveglianza oltre alla diffusa prassi carceraria del "fai da te" o del "lo sa fare lo scrivano" e dall’ampio numero di detenuti stranieri, vede spesso una violazione, in alcuni casi anche molto grave, del diritto di difesa.

In quest’ottica, l’Associazione Antigone sta promuovendo un servizio di informazione legale rivolto ai detenuti e ai loro familiari con l’obiettivo di diffondere la conoscenza e l’approfondimento di quelle che sono le diverse strade percorribili per la difesa nel momento di esecuzione della pena, rivolgendo un’attenzione particolare anche alle possibilità di ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Il progetto è partito lo scorso settembre attraverso un servizio di corrispondenza rivolto ai detenuti di tutti gli istituti di pena, e con l’istituzione di uno sportello, aperto una volta a settimana, per familiari o amici delle persone detenute. Un gruppo di esperti, tutti volontari di Antigone, offrono una risposta alle persone che contattano il servizio, sino ad oggi circa una sessantina.

Oltre all’intervento su singoli casi, il Servizio ha realizzato due Incontri studio per approfondire alcuni aspetti della disciplina relativa alla fase di esecuzione della pena. Gli incontri si sono tenuti presso gli Istituti di Rebibbia penale e Rebibbia Nuovo Complesso e hanno visto la partecipazione particolarmente interessata e attiva di un buon numero di detenuti.

Le questioni principali emerse nel corso degli incontri sono state per molti versi analoghe: i rapporti con il Magistrato e con il Tribunale di Sorveglianza, le questioni sulla pena dell’ergastolo, la detenzione di persone anziane che hanno superato i 70 anni, la disciplina dell’art.4 bis o.p., la scarsa conoscenza delle norme da parte delle persone straniere.

Gli incontri si sono conclusi con un raccordo tra i detenuti portavoce delle varie istanze e i rappresentanti di Antigone che, anche in collaborazione con il Difensore civico dell’associazione, hanno iniziato a intraprendere alcuni percorsi per approfondire le questioni e valutare possibili risoluzioni.

Per contattare il Servizio di informazione legale, scrivere a: Servizio di informazione legale - Associazione Antigone - Via Principe Eugenio, 31 - 00185 Roma. Mail: infolegale@associazioneantigone.it; per appuntamento chiamare al numero: 331.8535104.

Giustizia: "Cell Hound", per intercettare cellulari nelle carceri

di Vincenzo Gentile

 

Punto Informatico, 28 aprile 2009

 

Un nuovo dispositivo che fa affidamento su una serie di sensori promette di localizzare in tempo reale i cellulari all’interno dei penitenziari.

Rendere disponibile l’utilizzo del cellulare ai detenuti viene considerato un vero e proprio rischio, dal momento che così come può essere utilizzato per sentire amici e parenti, il dispositivo può anche essere utilizzato per far proseguire le attività criminali. Nonostante i vari controlli, molti cellulari riescono ad arrivare tra le sbarre, ponendo quindi la necessità di trovare soluzioni, tecnologiche e non, per ovviare al problema.

Se bloccare i segnali non sembra essere una soluzione redditizia, le nuove soluzioni tecnologiche offerte dal mercato sembrano essere molto più efficaci: è questo il caso di Cell Hound, sistema di sorveglianza ideato da ITT IIW in grado di localizzare la precisa posizione di un dispositivo mobile nel momento esatto in cui viene utilizzato. Il sistema si compone di una serie di sensori collegati via Ethernet alla centralina e di un’interfaccia software utile anche a registrare i dati generati.

Il suo funzionamento è semplice: quando un dispositivo mobile si connette alla rete per ricevere o per effettuare una chiamata viene intercettato dai sensori che forniscono i dati sulla posizione in tempo reale del dispositivo, permettendo al personale in servizio di localizzare sulla mappa dell’edificio, precedentemente caricata sul sistema, l’effettiva posizione del cellulare.

Nel contempo il software provvede a realizzare un report completo delle attività svolte, registrando dati utili come ora e posizione dei dispositivi intercettati, informazioni che possono risultare molto utili nel caso che la zona controllata sia appunto un penitenziario. Il sistema è in grado di catturare l’attività sulle reti cellulari anche in caso di invio o di ricezione di sms o mms.

Ma non è solo alle varie case circondariali che potrebbe risultare utile un servizio del genere: secondo ITT un dispositivo simile potrebbe essere installato anche per aumentare la sicurezza a livello aziendale in materia di protezione della proprietà intellettuale. L’azienda suggerisce che si potrebbero, ad esempio, intercettare mail che contengono documenti sensibili da non divulgare a terzi. In precedenza, oltre ad alcune soluzioni tecnologiche definite costose ed inefficienti, un valido supporto alla lotta ai cellulari abusivi è stato quello fornito dal fine olfatto canino, utilizzato per riconoscere e scovare i dispositivi mobili proprio all’interno dei penitenziari.

Lettere: il "Piano Straordinario delle Carceri" ma funzionerà?

 

Ristretti Orizzonti, 28 aprile 2009

 

Il Ministro della Giustizia Angelino Alfano nelle odierne dichiarazioni nel corso di una visita al Carcere di Sciacca ha preannunciato che entro la fine di maggio il Governo presenterà il piano straordinario delle case circondariali italiane che, non sappiamo, se sarà identico o faccia parte del Piano Straordinario delle Carceri da presentare entro i primi giorni o a conclusione dello stesso mese, ovvero come in altre agenzie, da concludersi entro la Legislatura (?).

Comunque e a parte possibili confusioni nell’informazione giornalistica, nell’attesa abbiamo cercato di fare chiarezza ed in assenza di puntuali notizie abbiamo ragione di ritenere che il nuovo Piano delle Carceri non possa essere di molto dissimile da quello descritto da Patrizio Gonnella, Presidente di Antigone, su Italia Oggi del 16 aprile 2009.

Entro il 2010 4.907 posti letto-detenuto in più di cui 1.902 posti ricavati dalla ristrutturazione di sezioni detentive attualmente inutilizzare, 1.790 posti dalla realizzazione di 7 nuovi padiglioni prefabbricati da collocare all’interno degli istituti di: Cuneo, Velletri, Carinola, Avellino, Santa Maria C.V., Catanzaro ed Enna e 1.215 posti conseguenti a 6 istituti in avanzata fase di realizzazione (Rieti, Cagliari, Tempio Pausania, Oristano, Sassari e Trento).

Ulteriori 1.935 posti sarebbero ricavati da interventi appena iniziati e da concludersi entro il 2012 e sempre nello stesso termine dovrebbero realizzarsi, per 1.150 posti, nuovi padiglioni negli istituti di Frosinone, Pavia, Cremona, Agrigento, Palermo-Pagliarelli. Ariano Irpino, Modena, Terni, Livorno e Nuoro e dal completamento di Savona, Rovigo e Forlì se ne ricaverebbero altri 515.

Complessivamente, entro il 2012 i posti-detenuti in più sarebbero 6.842 e ulteriori interventi, seppure al momento privi di copertura finanziaria, sarebbero previsti mediante la realizzazione di 27 nuovi padiglioni e 17 nuove carceri che incrementerebbero le dotazioni attuali di ulteriori 10.400 posti.

 

Segreteria Nazionale Osapp

Lettere: muore misteriosamente in carcere l’ex agente segreto

a cura della redazione di "Altrove"

 

Ristretti Orizzonti, 28 aprile 2009

 

L’ex agente del Sismi e del Sisde originario di Padova, ma residente in Piemonte da anni, è stato rinvenuto cadavere la mattina di sabato scorso nella sua cella del carcere di San Michele. Fuschi, 63 anni, stava scontando la pena dell’ergastolo per undici dei quattordici omicidi che aveva confessato dopo essersi pentito e autodenunciato.

Sulla modalità della sua morte, sta indagando la procura di Alessandria che ha ascoltato il compagno di cella e i detenuti impegnati con lui nella lavorazione dei campi all’interno delle mura dell’Istituto. Misterioso, impenetrabile e dalla vita movimentata Fuschi, era stato per venti anni in reparti speciali della Marina Militare. I suoi rapporti con i servizi e l’amore per le armi sarebbero iniziati proprio in questo periodo. Trasferitosi a Torino, vestì i panni dell’artigiano nel campo degli impianti elettrici. Dopo essersi sposato si trasferì a Mattie, in Valle di Susa.

Sconosciuto fino allora alle cronache, Fuschi, balza in prima pagina per la sua "collaborazione" nell’inchiesta su alcune storie torbide e oscure in Val di Susa, riportando al centro dell’attenzione vicende di criminalità organizzata e di servizi segreti, di sparizione e di ritrovamento di armi ed esplosivi, di presenze mafiose e di figure misteriose. Durante queste indagini inizia una fluviale serie di rivelazioni e autoaccuse. Alcune di queste saranno ritenute inverosimili e archiviate, come casi di millantato credito (l’asserita partecipazione all’attentato di Piazza Fontana e addirittura all’omicidio Calvi).

Vengono invece ritenuti credibili i racconti dell’ex agente dei servizi su undici omicidi compiuti da lui stesso nel torinese dal lontano 10 novembre del 1978 e, sino allora mai scoperti. Ma il capitolo più inquietante, nella sua vita è quello relativo agli omicidi su commissione. Nelle sue testimonianze, Fuschi coinvolge pesantemente un’ex carabiniere, esponenti dei servizi, in particolare due agenti del Sisde, i titolari un’armeria di Susa, la Brown bess e di Milano.

Durante un interrogatorio, l’ex agente ormai alle strette, tenta il suicidio nel bagno della Procura di Torino sparandosi alla tempia. Il proiettile gli trapassa il cervello ma, dopo un lungo periodo di coma si riprende. Resta inquietante il fatto che l’uomo è potuto entrare negli uffici della Procura con un’arma. Sono molti i fatti che Franco Fuschi si è portato via con sé. Di certo qualche nemico l’aveva di sicuro. La procura di Alessandria ha disposto l’autopsia sul suo corpo.

 

Giovanni Rizzo, direttore responsabile di "Altrove"

Rivista dei detenuti del carcere di Alessandria

Veneto: dalla Regione 400mila € per attività rivolte ai detenuti

 

Ristretti Orizzonti, 28 aprile 2009

 

L’Assessore Valdegamberi: "definiti criteri per presentare da parte enti e associazioni richieste finanziamento progetti con finalità educative detenuti".

"Attuare il principio costituzionale del reinserimento sociale della persona detenuta: questo - afferma Stefano Valdegamberi, assessore regionale alle politiche sociali - è l’obiettivo delle iniziative con finalità sociali ed educative per realizzare interventi a favore delle persone detenute e in area penale esterna di cui periodicamente la Giunta regionale promuove il finanziamento che per il 2009 è di 400 mila euro.

Il Governo veneto, informa l’Assessore, ha approvato al proposito una delibera con la quale sono stati determinati gli obiettivi, i vincoli e l’attività dei progetti che saranno presentati, i requisiti di ammissibilità e la scheda progettuale da inviare in Regione. "Il provvedimento - spiega l’Assessore - si inquadra all’interno del Protocollo d’Intesa stilato tra Regione Veneto e Ministero della Giustizia nel 2003 e i progetti dovranno puntare, in particolare, all’acquisizione di competenze lavorative, all’esercizio dei doveri/diritti di cittadinanza, al supporto del rientro in patria dei detenuti stranieri privi di permesso di soggiorno, alla costruzione di percorsi di accompagnamento per il reinserimento sociale.

In questi ultimi sette anni - conclude Valdegamberi - la Giunta Regionale, ha stanziato 3 milioni di euro, la maggior parte dei quali con fondi propri, coinvolgendo la totalità degli istituti penitenziari del Veneto e svolgendo 215 progetti che hanno riguardato complessivamente 40.400 detenuti: un lavoro costante, un impegno che ha dato i suoi frutti, una collaborazione eccellente tra regione, direzione degli istituti ed operatori".

Dell’importo complessivo di 400 mila euro destinati ai progetti 2009, 300 mila saranno assegnati per progetti a favore di detenuti negli Istituti di Pena del Veneto e 100 mila euro per persone in area penale esterna (cioè affidate in prova ai servizi sociali, o in semilibertà, o detenzione domiciliare).

Al finanziamento possono partecipare le cooperative sociali iscritte all’Albo, le associazioni di volontariato iscritte al registro regionale, le associazioni di promozione sociale con attività finalizzata al settore in oggetto, gli enti riconosciuti delle confessioni religiose, altri enti che abbiano precise finalità sociali. Le iniziative proposte e curate da associazioni di volontariato e del privato sociale saranno realizzate in stretta collaborazione con le direzioni degli istituti.

Reggio Emilia: l’assessore Bissoni; stop a invio detenuti in Opg

 

Il Resto del Carlino, 28 aprile 2009

 

La struttura è al collasso: lunedì la Regione aumenterà il numero di operatori sanitari. In una lettera la direttrice aveva chiesto aiuto alle associazioni di volontariato per fornire la struttura dei beni di prima necessità.

Non finisce mai l’emergenza in via Settembrini e questa volta a intervenire è la Regione Emilia Romagna, che ha rilevato la situazione insostenibile dell’Opg reggiano (ospedale psichiatrico giudiziario). L’assessore regionale alla Sanità Giovanni Bissoni prende quindi in mano le redini della vicenda dell’ospedale, interessato da pesanti problemi di sovraffollamento e carenze strutturali.

In forza del Dpcm del primo aprile 2008, che assegna le competenze sanitarie degli Opg al servizio regionale, la giunta di viale Aldo Moro approverà infatti lunedì una delibera per potenziare il personale sanitario dell’ospedale psichiatrico reggiano, da 47 a 73 unità. Nel frattempo, venerdì, il governatore dell’Emilia Romagna Vasco Errani ha scritto al ministro della Giustizia Angelino Alfano per ottenere, in sede di Conferenza Stato-Regioni, il blocco dell’invio di pazienti da altre regioni a Reggio.

A illustrare i due interventi è stato l’assessore regionale alla Sanità Giovanni Bissoni che ieri, dopo avere visitato l’Opg, ha commentato: "C’è un grande sforzo della direzione e degli operatori tutti, ma ci sono condizioni oggettive che rendono difficile lavorare: il rafforzamento del personale sanitario aiuterà, ma non risolverà la situazione".

In particolare, con la delibera regionale di lunedì, il personale medico sanitario dell’Opg passerà "entro l’anno" da 47 a 73 unita. Un’operazione che, spiega la direttrice dell’Ausl di Reggio Mariella Martini, farà salire anche la spesa dell’Azienda da "600 mila euro nel 2008 a 3 milioni previsti per l’anno in corso e 4 milioni nel 2010".

Con il nuovo personale si punta a migliorare le condizioni detentive e di riabilitazione dei pazienti che, in cinque padiglioni su sei, vivono nelle celle sia di giorno sia di notte. Solo nel padiglione "Antares" infatti, che ha una specifica progettualità realizzata dal Comune con finanziamento regionale, i pazienti possono muoversi liberamente e accedere a spazi comuni. L’idea è insomma, nel lungo periodo, di estendere questa esperienza anche a tutti gli altri reparti.

"Venerdì - prosegue poi l’assessore Bissoni - c’è stata una iniziativa del presidente della Regione partendo dalla situazione di emergenza dell’Opg che oggi non è il passaggio delle competenze nella responsabilità dell’assistenza sanitaria, ma è soprattutto il sovraffollamento di quella struttura".

"Una richiesta - spiega Bissoni - perché ci sia l’impegno dell’amministrazione centrale a evitare nuovi invii dalle altre regioni del Nord-est e delle Marche". I numeri, da questo punto di vista, parlano chiaro: a fronte di una capienza di 130 posti, l’Opg di Reggio ospitava, al 31 gennaio, 275 pazienti di cui solo 36 emiliano romagnoli. "Contemporaneamente - conclude Bissoni - noi ci impegniamo in un lavoro lungo, complicato, per creare condizioni più vivibili e creare le basi perché le persone possano essere riassegnate ai servizi territorialmente competenti. È un percorso di civiltà perché, se parliamo di diritto alla salute, nell’Opg di Reggio si tratta di un diritto negato".

Savona: carcere affollato; riaperte le celle dichiarate insalubri

di Giovanni Ciolina

 

Secolo XIX, 28 aprile 2009

 

Il carcere di Sant’Agostino è arrivato al limite di sopportazione. A fronte di 60-65 ospiti massimi, l’altra notte il penitenziario di piazza Monticello si è ritrovato con ben 88 ospiti. Per consentire a tutti di avere una stanza e una branda è stata addirittura riaperta una cella chiusa in passato perché "insalubre" e ora rispolverata con una semplice e rapida mano di bianco.

"Una follia" commentano i sindacati. "La situazione è questa" ammette sconsolato il direttore Nicolò Mangraviti. Il carcere scoppia, il personale è al limite di sopportazione con un controllo all’interno del penitenziario difficile e soprattutto con un carico di traduzioni che ha raggiunto il mese scorso un numero record: 80. Il tutto mentre la pratica per la realizzazione della nuova struttura di Passeggi segna il passo.

Lo stesso sindaco di Savona Federico Berruti, ieri mattina, nell’ambito della presentazione di una mostra di ceramica realizzata da carcerati, ha manifestato la sua preoccupazione "per un progetto finanziato solo a metà. Ho paura che la pratica non si muova". Sensazione palpata dagli stessi operatori della polizia penitenziaria che per voce dei rappresentanti sindacali lanciano un grido d’allarme: "Non sappiamo perché non si voglia andare avanti con la costruzione del carcere. Così non è possibile continuare. Gli stessi detenuti sono costretti a vivere in condizioni inumane, con problemi di convivenza dovuti all’estremo affollamento delle celle, con i topi che escono dalle fogne e la possibilità di farsi una doccia tre volte alla settimana".

Per il direttore Mangraviti l’unica soluzione "è il continuo sfollamento fino a ridurre la capienza al numero tollerabile. Ormai per noi è una pratica routinaria, settimanale e non sempre riceviamo risposte positive. Il problema è che bisogna fare domanda al provveditorato regionale e poi conciliare le esigenze dell’autorità giudiziaria". Ma soprattutto nei fine settimana, e in vista della stagione estiva, gli ingressi a Sant’Agostino si moltiplicano.

Il sindacato degli operatori di polizia giudiziaria, infine, rilanciano l’ipotesi di realizzare il carcere a Cairo Montenotte "utilizzando quell’area verde a ridosso della scuola agenti. Una soluzione più economica e dal punto di vista logistico ottimale visto che sarebbe necessario costruire solo il reparto per i carcerati. Alloggi e strutture per agenti e uffici esistono già. E sono inutilizzate". Insomma il caso carcere sembra non voler conoscere la parola fine.

Genova: il giudice; "i malati psichici non si devono arrestare"

di Graziano Cetara

 

Secolo XIX, 28 aprile 2009

 

Va liberato e affidato a un medico, non agli agenti della polizia penitenziaria del reparto detenuti del l’ospedale San Martino. Il tribunale del Riesame ha disposto ieri l’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di Elio P., il pittore di 60 anni che, lo scorso 2 aprile, aggredì a coltellate quattro poliziotti intervenuti nella sua abitazione di salita Mascherona, nel centro storico, per ridurlo alla ragione. L’uomo, un malato psichiatrico in cura al servizio di salute mentale della Asl da molto tempo, si era asserragliato in casa con una sorta di arsenale, e si era messo a lanciare dei grossi petardi dalla finestra, seminando il panico tra i passanti.

Nel corpo a corpo con i soccorritori, che avevano fatto irruzione da una finestra con l’aiuto dei vigili del fuoco, quattro militari furono feriti a coltellate in modo grave, salvi solo grazie ai giubbotti antiproiettile. L’ordinanza di arresto è stata revocata dal tribunale della Libertà perché un malato psichiatrico non è imputabile. Va curato e non detenuto. Il Riesame ha accolto in pieno, con una decisione per certi versi clamorosa (considerati i rischi e le difficoltà con cui le forze dell’ordine si trovano a fronteggiare casi estremi come questo), il ricorso dell’avvocato Mario David Mascia. L’incapacità di intendere e di volere di una persona "candidata", per così dire, all’arresto non deve essere provata, per rendere inapplicabile una misura cautelare: basta che sia "altamente probabile". E in questo caso lo era, visto che i carabinieri erano intervenuti proprio per eseguire un trattamento sanitario obbligatorio.

La misura legittima da applicare per il sessantenne di salita Mascherona sarebbe stata, a detta del tribunale della Libertà, quella del ricovero provvisorio in psichiatria. Ma non dovrebbe essere il Riesame ad applicarla ma il pm o il giudice di primo grado: "Non sfugge, tuttavia, l’assoluta irrazionalità di un sistema che obbligasse il giudice a rimettere in libertà l’autore di simili gravi condotte di reato", scrive il Riesame che risolve l’impasse, all’insegna del principio della "continuità terapeutica", affidando il caso di Elio P. al sindaco di Genova e disponendo, provvisoriamente, il ricovero "cautelare" nella psichiatria dell’ospedale Galliera. Altrimenti - si legge nella nuova ordinanza - il sessantenne si troverebbe "bruscamente privato di ogni supporto terapeutico, che non fosse rimesso in via esclusiva alla sua, per vero poco affidabile, volontà". Ora toccherà al Comune prendere in carico il paziente facendo ripartire l’iter dei trattamenti sanitari (i cosiddetti "tso").

Tutta la vicenda è segnata da interrogativi ancora senza risposta. Come si è arrivati al terzo "tso"? Perché l’ultimo, prima dell’aggressione ai quattro carabinieri, si era concluso dopo due giorni soltanto? Era chiara in precedenza la pericolosità sociale del soggetto? E se sì, perché è stato dimesso dalla psichiatria dopo così poco tempo?

Il rischio concreto è che, venuta a cadere l’ordinanza del gip, Elio P. finisca nuovamente nel meccanismo spesso farraginoso dei ricoveri coatti e temporanei. Con la possibilità che altri carabinieri e poliziotti si trovino nuovamente a intervenire di fronte a un nuovo caso estremo.

Esiste anche un’ultima eventualità, prevista dal codice di procedura penale: che l’inchiesta sull’aggressione ai quattro militari si concluda con il proscioglimento, per incapacità totale di intendere e di volere, e la misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario. Soluzione definitiva, come per i protagonisti dei casi di cronaca più efferati, fino a che permanga la pericolosità sociale del paziente.

Roma: da maggio corso formazione per i volontari del carcere

 

Ristretti Orizzonti, 28 aprile 2009

 

Comunico che l’associazione Vo.Re.Co. (Volontari di Regina Coeli), in collaborazione con il Seac regione Lazio e i cappellani di Rebibbia penale e Rebibbia femminile, organizza il Corso di formazione per i nuovi volontari.

Il corso avrà inizio il giorno 8 maggio e si concluderà il 6 di giugno. Sede del corso: Via dei Riari 41. Giorno e ora: ogni Venerdì dalle 15.30 alle 17.00. Argomenti: Il carcere nella storia; Il carcere oggi; Osservazione e trattamento; L’approccio con il detenuto; Ruolo del volontariato; Ruolo della polizia penitenziaria. Per l’iscrizione telefonare alla segretaria, Sig. Teresa 06.5139127 (ore 13.00 - 14.00 e 20.30 - 22.00).

 

Padre Vittorio Trani

Cremona: il 6 maggio seminario su inclusione sociale di detenuti

 

Sesto Potere, 28 aprile 2009

 

Servimpresa informa che la Camera di Commercio di Cremona organizza per mercoledì 6 maggio 2009 alle ore 14.15, presso la Sala Mercanti (ingresso: Via Baldesio, 10), il seminario "Opportunità per le imprese e per il territorio: come favorire l’inclusione sociale dei cittadini detenuti".

Questo appuntamento darà il via ad un ciclo di incontri presso le province lombarde che mira a diffondere presso imprese, cooperative e portatori di interesse territoriali una cultura di responsabilità sociale d’impresa che permetta inserimenti lavorativi di soggetti detenuti e che valorizzi, con lo strumento del bilancio sociale, le imprese e le cooperative che già operano e che potrebbero operare con il sistema carcerario. L’iniziativa rientra nell’ambito del progetto regionale "Responsabilità sociale di impresa: lavoro, carcere e imprese" promosso da Regione Lombardia e Unioncamere Lombardia, con la collaborazione del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per la Lombardia, di Confindustria Lombardia e di Confcooperative.

L’incontro, rivolto al mondo imprenditoriale, istituzionale e associativo, ha un taglio operativo e intende fornire gli strumenti legislativi e amministrativi vigenti per attuare gli inserimenti lavorativi di persone in esecuzione di pena. Testimonianze da parte della Casa Circondariale di Cremona, dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Cremona e Mantova e ancora da parte di imprese e cooperative cremonesi che lavorano con il carcere locale, evidenzieranno punti di forza ed eventuali criticità riscontrate. La partecipazione è gratuita. Per informazioni rivolgersi alla Segreteria Organizzativa di Servimpresa, Lucia Arisi, tel. 0372.490227.

Cinema: al Festival "Glbt"; amori omosessuali dietro le sbarre 

di Roberto Schinardi

 

www.gay.it, 28 aprile 2009

 

Una curiosa tendenza al Festival Glbt: imperversano i film su carceri e detenuti. Dall’eccellente "Leonera" all’intenso "L’ora d’amore" uno sguardo realista e indagatore su un mondo spesso dimenticato

Mentre Torino è ancora scossa dallo scandalo Grinzane, all’affollatissimo Festival Internazionale Glbt "Da Sodoma a Hollywood" quest’anno è rintracciabile un curioso trend: i film in/sul carcere. Se la storia del cinema gay ci ha regalato capisaldi fondanti quali il lirico "Un chant d’amour" di Jean Genet (ah, quel fumo di sigaretta!) e lo straziante melò "Il bacio della donna ragno" di Hector Babenco che fece vincere un Oscar a William Hurt, raramente il tema è stato affrontato in chiave realista come invece succede in ben quattro opere presentate al Togay.

Nell’eccellente "Leonera" di Pablo Trapero, che svetta ruggente tra i migliori titoli del concorso, si impone una forte idea di cinema: con un realismo brutale ma non compiaciuto, una regia palpitante ma mai invadente si rimane stregati dalla vicenda di Julia (l’ottima Martina Gusman, quasi una Angelina Jolie sudamericana che dà tutta se stessa in un’interpretazione totalizzante), giovane argentina accusata di omicidio - avrebbe ammazzato l’amante maschio del suo uomo, ferito gravemente - e costretta a scontare la pena in un reparto femminile con prole al seguito (lei è incinta e partorirà in carcere). È assai interessante scoprire questo microcosmo di sole donne, tra autosolidarietà e zuffe perenni, in cui l’affetto/amore di una di queste detenute per Julia costituirà un elemento chiave per garantire un futuro alla mamma e al bambino: per una volta, quindi, non un punto di vista morboso su piccanti rapporti saffici in cella, ma uno sguardo pieno di umanità su un universo regolato spesso sì da impulsi e prevaricazioni ma in cui l’istinto di sopravvivenza richiede nuove regole per convivere e cercare un senso nella reclusione concentrazionaria. Nel ruolo del papà bisex del bimbo ritroviamo il sensibile Rodrigo Santoro, il Serse gender di "300".

Meno riuscito è il fluviale dramma filippino "Selda" ("Il compagno di cella") di Ellen Ramos e Paolo Villaluna in cui l’ambiguo rapporto di dominazione tra Rommel e Esteban viene rivissuto una volta fuori dal carcere quando questi rintraccia l’amico nella fattoria dove vive con la moglie. Girato in video Digibeta Pal non particolarmente curato - la proiezione in Sala Uno ne mostrava tutti i limiti estetici: come secondo spettacolo del sabato sera si poteva trovare qualcosa di meno punitivo per il grande pubblico - bilancia la claustrofobia della prima parte carceraria col naturalismo bucolico della seconda ed è sintetizzabile nell’ultima simbolica quadratura in cui il protagonista è seduto e chino in una stanza vuota davanti a una finestra che proietta sul pavimento un’ombra simile alle sbarre del carcere: la vera prigione è quella interiore se i propri sentimenti non possono essere espressi e vissuti.

Anche nello spagnolo in concorso "El patio de mi cárcel" di Belén Macías, prodotto dal fratello di Almodóvar, Augustin, e interpretato da Blanca Portillo e Candela Peña, troviamo un’ex-detenuta, questa volta per furto, che non riesce ad adattarsi alla vita fuori dal penitenziario e decide di fondare una compagnia teatrale insieme a tre sue amiche problematiche: un’emigrante colombiana, una rom e una prostituta.

L’Italia non sta a guardare e risponde alla "jail-wave", l’ondata cinecarceraria, con l’intenso documentario "L’ora d’amore" di Andrea Appetito e Christian Carmosino in cui uno dei tre reclusi che raccontano in camera la propria esperienza problematica è un transessuale, il segaligno Angelo.

Senza patetismi ma con essenzialità e rigore, i registi fanno riemergere la toccante storia d’amore tra Angelo e un altro detenuto, vissuta tra appassionati carteggi, sguardi fugaci, la ricerca di un proprio spazio vitale. Ma l’incertezza, l’abbandono delle poche sicurezze garantite dal regime carcerarie si faranno sentire una volta fuori, quando Angelo si ritroverà catapultato nel caos urbano. Chi cerca qualcosa di più leggero non si perda stasera alle 20.15, Ambrosio Uno, la liberatoria commedia sbracata americana "Another Gay Sequel: Gays Gone Wild!" di Todd Stephens che sarà presente in sala. Finalmente cinema d’evasione!

Immigrazione: in ddl tornano ronde e detenzione lunga nei Cie

di Liana Milella

 

La Repubblica, 28 aprile 2009

 

Roberto Maroni, il ministro dell’Interno, è stato di parola: ronde e centri d’espulsione (Cie) a sei mesi tornano alla Camera come emendamenti del governo (e della stessa Lega) al ddl sicurezza per diventare al più presto operativi (lui s’augura in due mesi ma il testo dovrà tornare al Senato).

La permanenza lunga nei Cie (dagli attuali 60 ai futuri 180 giorni) è stata impallinata dai franchi tiratori del Pdl prima a palazzo Madama e poi a Montecitorio; i "volontari per la sicurezza", alias ronde a disposizione dei sindaci, erano state stralciate dall’ultimo dl su stupri e stalking per garantirne la conversione.

Ma il Carroccio ha puntato i piedi: o rientrano o il governo cade. E ieri, nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia, ronde e Cie sono riapparsi. In compenso, dal ddl esce la norma sui medici-spia, liberi di denunciare uno straniero che va in ospedale ma non ha il permesso di soggiorno. Regola che ancora ieri mattina il presidente della Camera Gianfranco Fini, visitando l’ospedale San Gallicano che s’occupa solo di immigrati, ha giudicato "un errore giuridico e di miopia politica".

I relatori Francesco Paolo Sisto e Jole Santelli ne sottoscrivono la soppressione. Indispensabile peraltro dopo la clamorosa protesta di Alessandra Mussolini che un mese ha raccolto le firme di 101 deputati concordi nel chiedere un passo indietro. Il Pd è soddisfatto, ma resta la dura valutazione su una legge che Donatella Ferranti bolla come "xenofoba e razzista". Per il dipietrista Massimo Donadi è un testo "dannoso per il funzionamento delle istituzioni".

Lo scontro è assicurato. Il primo assaggio ci sarà, tra oggi e domani, in commissione. Poi toccherà all’aula, a partire da giovedì. Col solito trucco la maggioranza conta di partire il 30 aprile con la discussione generale, per andare al mese successivo con i tempi contingentati. L’opposizione annuncia che non farà sconti sui 66 articoli che introducono norme severissime contro gli immigrati, a partire dal reato di clandestinità.

Ma sarà maretta pure nella coalizione. Come dimostrano i venti emendamenti della Mussolini, a partire proprio dalla richiesta di sopprimere quel nuovo delitto. E poi la tassa di 200 euro sui permessi di soggiorno e il divieto di iscrivere i figli all’anagrafe se la casa è sotto gli standard igienico-sanitari.

"Sarò in commissione perché voglio assolutamente difendere le mie modifiche sostenute da una decina di colleghi" dice la Mussolini. Si riaffaccia, con lei, il dissenso nel gruppo e il rischio di sorprese nel corso delle votazioni segrete. Le occasioni sono molte. Lo dimostrano i quasi 400 emendamenti, 167 Pd, 30 Idv, 21 Udc, ma una settantina anche del Pdl. Il governo insiste sulla linea della durezza. Non arretra con la tassa dei 200 euro, con la stretta sulla possibilità per lo straniero di restare in Italia grazie ai legami familiari (saranno ammessi solo quelli di secondo grado). Neppure il Guardasigilli Angelino Alfano rinuncia a una rentrée: ripropone l’obbligo per il Csm di trasferire le toghe nelle sedi prive di domande. L’Anm aveva fatto balenare lo sciopero. Ma lui insiste. Solo un ammorbidimento per l’oltraggio al pubblico ufficiale: resta, ma sarà estinto se c’è il risarcimento del danno (Santelli).

Immigrazione: sui clandestini ora Bossi ammaina la bandiera

di Francesco Grignetti

 

La Stampa, 28 aprile 2009

 

Ma che cos’è, la resa di Bossi? Di colpo mostra un pessimismo che non è da lui. Ci sarà una modifica alla legge sugli immigrati, gli chiedono, dopo il provvedimento del Parlamento sui Cie che ha mantenuto il periodo di permanenza di 2 mesi? E lui: "In tempi brevi non è possibile".

Eppure ci sarebbe l’intenzione della maggioranza di rimetterci mano. "Non lo so, forse nella prossima legislatura", osserva in un’intervista al Tg regionale Rai Lombardia. "Sul federalismo e sugli immigrati abbiamo fatto quello che abbiamo potuto contro tutti, a volte contro la sinistra e contro l’Udc". Proprio nel giorno in cui il governo deposita due emendamenti al ddl Maroni-Alfano per riportare in vita le ronde e la detenzione fino a 6 mesi, è Bossi in persona a non crederci più. Sembra sfiduciato. È stata dura la sconfitta sui medici-spia. Una norma che ieri Gianfranco Fini ha definitivamente bollato come razzista. "È stato giusto far sentire il dissenso ed evitare che una tale norma fosse inserita nel nostro impianto legislativo: sarebbe stato un errore e un atto di miopia politica".

Sulla questione dei Cie, poi, che ha portato alla liberazione di oltre mille clandestini con in mano un inutile foglietto che gli intimava d’allontanarsi, Bossi si è molto arrabbiato. Al pari di Maroni. "Era tutto pronto per rimandarli a casa, i clandestini, quando questo provvedimento non ci ha dato il tempo... Li hanno liberati". Ma è tutta la Lega che mostra una gran frustrazione. Sente di essere esposta al giudizio degli elettori, avendo importanti incarichi di governo, ma senza gli strumenti giuridici che aveva chiesto. Ha il sospetto di essere stata giocata.

A parole, tutti gli accordi politici del mondo. In Parlamento, però, le sue proposte di legge vengono abilmente affossate. E allora si sfoga così un importante esponente leghista: "La maggioranza è avvisata. Se gli emendamenti del governo non passano, ci arrabbiamo sul serio". Parole che rischiano d’essere un’arma spuntata. Gianluca Pini, bolognese, deputato della Lega, che accadrebbe se fosse nuovamente bocciata la norma per il prolungamento dei termini nei Cie?

"Sarebbe un grosso problema politico. Forse qualcuno in Parlamento ha messo in piedi un partito trasversale degli "amici dei clandestini". Non è detto però che tutto fili liscio. E Bossi, che ha più fiuto politico di tutti, ha annusato una brutta aria. Alessandra Mussolini, ad esempio, dopo avere fatto saltare la norma sui medici-spia, adesso appare sorniona. "Vediamo come si potrà reinserire tecnicamente la norma", dice intervistata da Ecoradio.

"Quello che non deve accadere è il non rispetto del volere del Parlamento, che è sovrano. Se fossi nella Lega, non ne farei una questione di vita o di morte. O di stress da maggioranza, mettendo in crisi il governo. Bisogna rispettare una volontà parlamentare. Noi vogliamo fare emergere i clandestini e non ricacciarli nella clandestinità". Politiche sull’immigrazione, che secondo Massimo D’Alema vanno ripensate. "In Italia si è affrontata in modo da avere molti svantaggi e poche opportunità".

Immigrazione: emergenza dei disperati si affronta con legalità

di Stefania Craxi (Sottosegretario agli Esteri)

 

Il Giornale, 28 aprile 2009

 

Garantire la sicurezza ai propri cittadini è un dovere a cui uno Stato non deve mai venir meno. La sicurezza è un bisogno sociale, legato al governo dei flussi immigratori.

L’Italia continua a essere tra le Nazioni che hanno maggiormente accolto negli ultimi anni manodopera proveniente dai paesi extracomunitari. Chi ha accusato il nostro Paese di razzismo, ha parlato senza conoscere i fatti e soprattutto ignorando la nostra storia, una storia intrisa di solidarietà con i popoli che sono ora nella situazione in cui si trovavano tanti nostri connazionali fino ad alcuni decenni or sono. La nuova Italia rinata dalle ceneri del dopoguerra, non è né razzista né colonialista e merita assoluto rispetto in questo campo.

Sulle frontiere italiane non è mai stato sparato un colpo di pistola. La nostra Marina continua ogni giorno a soccorrere e salvare la vita di centinaia di disperati, che avventuratisi nel Mediterraneo su imbarcazioni fatiscenti, si spingono spesso ben lontano dalle nostre acque territoriali. Non c’è un naufrago che non abbia ricevuto cure e assistenza.

Detto questo, però, occorre aggiungere che alla politica spetta il compito di contribuire positivamente al governo dei flussi migratori, di distinguere, ossia di riconoscere il contributo importante che l’immigrazione regolare può offrire allo sviluppo di un Paese, rispetto al peso inaccettabile dell’immigrazione irregolare. E l’irregolarità si combatte non soltanto con maggiori controlli negli ingressi o con espulsioni più facili e rapide. Altrettanto importante è intervenire sul contesto più generale dal quale si alimenta l’immigrazione irregolare: e allora, ciò significa contrastare in modo serio l’economia sommersa che domanda lavoro irregolare; programmare un numero più elevato e realistico di ingressi; snellire tempi e procedure per la concessione dei permessi di soggiorno; promuovere in maniera più efficace l’integrazione di quanti hanno un lavoro e intendono rispettare le leggi.

L’Europa è attualmente il principale "importatore" al mondo di immigrati. Vi risiedono circa 19 milioni di cittadini di Paesi terzi, che rappresentano il 4% dell’intera popolazione europea. Poi vi sono i clandestini, che le stime di alcuni organismi internazionali quantificano all’incirca sugli 8 milioni, con un incremento annuo pari a circa 500.000 unità. Cifre dalle quali emerge la consapevolezza che un fenomeno simile richiede risposte immediate ed efficaci.

Soprattutto, una collettiva assunzione di responsabilità, a livello nazionale, comunitario ed internazionale. L’Italia auspica una politica comune dell’Europa, una legislazione europea in materia di immigrazione e integrazione che superi le attuali diversità delle leggi nazionali. Anche su impulso italiano, l’Unione europea ha iniziato negli ultimi anni a muoversi in questa direzione. Ma quel che è stato fatto sinora è ancora insufficiente. La politica di "Approccio Globale" alle migrazioni, varata dal Consiglio d’Europa nel dicembre 2005 al fine di considerare assieme gli aspetti di sviluppo e i problemi di sicurezza posti dal fenomeno migratorio, non ha avuto un adeguato seguito operativo.

L’evoluzione del quadro comunitario in direzione di una vera politica comune dell’immigrazione, continua purtroppo a essere condizionata dai diversi orientamenti dei principali Stati membri. La stessa pratica degli accordi bilaterali con i Paesi di origine e transito dei migranti dovrebbe essere estesa dall’Unione europea a tutti gli Stati rivieraschi, con un aumento della cooperazione allo sviluppo, per dare corpo a una politica davvero solidale ed efficace che cerchi di governare il fenomeno degli spostamenti di massa dovuti alla miseria.

Il governo italiano, in particolare, sta moltiplicando gli sforzi diretti ad intensificare al massimo i rapporti bilaterali soprattutto con i paesi dell’Africa mediterranea. Da qui l’impegno a rafforzare e migliorare le politiche di collaborazione nel settore dell’istruzione e della formazione professionali, Due gli obiettivi da raggiungere: generare le competenze che permettano ai migranti di conquistarsi posizioni dignitose nei Paesi di accoglienza ed elevare il livello di qualificazione professionale nei Paesi di origine per attrarre maggiori investimenti da fuori.

Non mi nascondo certo le difficoltà. Oggi siamo intenti a fronteggiare quella che si presenta come una vera e propria emergenza, quella dei tanti disperati che partono alla ricerca di un futuro migliore. Da qui la necessità di promuovere una cultura della legalità e non della furbizia, nel rispetto dei valori della Costituzione: insomma fratellanza e solidarietà, ma perseguimento della giustizia e applicazione della legge. E del resto, non dimentichiamolo, gli stessi immigrati reclamano sicurezza e tutela contro la criminalità clandestina.

Quello migratorio è un fenomeno epocale che questa volta si ripete in forme sostanzialmente pacifiche. Prendiamone atto e, considerandone i vantaggi, guardiamo al problema con animo generoso. Sono convinta che quando sul problema delle migrazioni riusciremo a giocare le carte di una politica dell’Europa unita, il fenomeno che oggi ci assilla diverrà lo strumento di un nuovo importante sviluppo.

Immigrazione: l'altolà di Fini; la salute prescinde dal permesso

di Claudia Terragna

 

Il Messaggero, 28 aprile 2009

 

Quando il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, entra nell’ambulatorio del San Gallicano di Trastevere, lo accolgono una serie di cartelli scritti in italiano, inglese, francese, arabo, e in tutte le lingue degli immigrati che vengono a curarsi gratuitamente nell’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti, diretto dal dottor Aldo Morrone.

"In questo ospedale nessuno vi denuncerà", è la promessa. E Fini apprezza, ribadendo "il giusto dissenso" sulla norma contenuta nel disegno di legge sulla sicurezza che "suggeriva" a medici e infermieri di denunciare i clandestini e che i relatori del provvedimento, Santelli e Sisto, con un emendamento cancelleranno. Comunque, il presidente della Camera tiene a sottolineare che "è stato evitato che tale norma fosse inserita nel nostro impianto legislativo. Sarebbe stato un errore e un atto di miopia politica".

Averla proposta, spiega, "è stato un eccesso di confusione". Bene, dunque, "averla cancellata con un tratto di penna. Ora questo rischio non c’è più", dice, insistendo "sull’obbligo che ciascuno di noi ha nel trattare l’altro come una persona. Non conta nulla il colore della pelle, la religione, e neppure se abbia o meno il permesso di soggiorno - spiega - conta come persona e come tale va aiutata e rispettata".

Ci vuole "rispetto, innanzitutto e non semplice tolleranza, che è una parola che tradisce un senso di superiorità da parte di chi la pronuncia. E noi italiani, che abbiamo alle spalle un passato di immigrazione, dovremmo avere una speciale sensibilità", avverte Fini, pur ricordando di essere firmatario d i una legge più restrittiva sull’immigrazione insieme a Bossi. Infatti, avverte che "non si possono accogliere tutti gli immigrati".

Tuttavia a quelli che arrivano, "nell’osservanza delle regole, vanno garantiti l’accoglienza e il rispetto. Questo è un valore radicato nella cultura occidentale. Ed è un dovere dei medici curare ogni essere umano. Se si perde questo principio - ammonisce - si rischia di avere una politica lesiva della persona".

Accanto a lui, l’ex ministro della Salute, Livia Turco, che ha inaugurato la struttura del San Gallicano e l’ambulatorio di Lampedusa, approva, anche se raccomanda di "non limitarsi a cancellare semplicemente l’articolo contestato. Va ripristinato il comma 5 dell’articolo 35 della legge Turco-Napolitano, che assicura il diritto alle cure".

Intanto, sullo schermo allestito nella sala conferenze scorrono le immagini delle dottoresse della sezione del San Gallicano a Lampedusa, che si sono fatte calare da un elicottero per soccorrere i disperati della Pinar. Il presidente della Camera si congratula con il dottor Morrone, che chiede "aiuti concreti per continuare a curare gli immigrati, più di 15mila l’anno, al momento, ma aumenteranno" e promette il suo "personale impegno".

E sottolinea "l’attualità culturale della Costituzione", riferendosi al diritto alla salute sancito dall’articolo 34 della Carta Costituzionale. "I costituenti furono lungimiranti quando, affermarono che il diritto alla salute è garantito a tutti, è un diritto inalienabile che va tradotto nella concretezza legislativa ed organizzativa - afferma - per i medici, poi, è un impegno che si sposa col giuramento quando iniziano la professione, che è una missione". Ecco perché la battaglia della Lega Nord per quella norma, ormai comunemente chiamata "dei medici spia" poteva configurare, insiste Fini, "comportamenti lesivi della persona".

Immigrazione: Radicali; no ad aumento di permanenza nei Cie

 

Apcom, 28 aprile 2009

 

"Il Governo si trincera dietro la direttiva europea che prevede, per gli immigrati clandestini negli Stati dell’Unione, anche il trattenimento ai fini dell’espulsione in strutture di permanenza temporanea per periodi prolungabili anche fino a un anno e mezzo, ma sa benissimo che perfino l’Ue non potrà mai avallare l’equazione populista e pericolosa, che lor signori spacciano agli Italiani, secondo cui una persona clandestina coincide con un criminale pericoloso da tenere rinchiuso per un tempo tanto lungo in strutture come i Cie italiani, edifici non di rado fatiscenti, inadeguati ed insicuri, dove spesso si vive in condizioni di sovraffollamento e di duri stenti come nei lager". Lo affermano in una nota Irene Testa, segretario dell’associazione Il Detenuto Ignoto e dell’avvocato Alessandro Gerardi, membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani.

"Di allungamento dei tempi di permanenza nei Cie - proseguono - si potrà eventualmente tornare a discutere non prima di aver adottato tutti quei provvedimenti urgenti ed indifferibili volti a migliorare le condizioni di vita e di salute degli immigrati che vi sono ristretti, e aver posto fine alla vergognosa extraterritorialità di queste strutture, all’interno delle quali viene quotidianamente tollerato ciò che all’esterno sarebbe inaccettabile e provocherebbe le legittime proteste degli Italiani, dell’Europa e verosimilmente dello stesso Ppe".

"Il Parlamento per ben due volte, prima alla Camera e poi al Senato - sottolineano Testa e Gerardi - ha bocciato il provvedimento, e c’è tempo fino a Natale del 2010 per applicare la direttiva, che certamente non obbliga gli Stati membri a trattenere i clandestini per sei mesi prima dell’espulsione, ma prevede per questi, invece, anche una serie di garanzie che in Italia sono spesso aggirate e disattese. Il Governo smetta di perseguire, sul campo complesso e delicato dell’immigrazione, certe politiche ideologiche e irresponsabili che hanno ormai il fiato corto nella stessa maggioranza, si sottragga al ricatto della Lega, interessata ora a un trofeo da esporre in campagna elettorale, e cerchi piuttosto, nel frattempo, di rimediare alla disumanità che continua ad essere inflitta alle persone migranti imprigionate in Italia nei Cie".

Immigrazione: La Russa; i clandestini? nei Cie... per 18 mesi!

di Carlo Mercuri

 

Il Messaggero, 28 aprile 2009

 

Gli sbarchi dei clandestini sono raddoppiati rispetto all’anno scorso. Eppure il Governo aveva promesso la tolleranza zero e s’era pure parlato di accordi miracolosi Italia-Libia che avrebbero frenato i flussi. Invece, eccoci qui.

 

Ministro La Russa, c’è per caso qualcosa che non sta funzionando nell’attuazione delle misure anti-clandestini?

"Il numero degli sbarchi non è proporzionale alle capacità di un Governo di proporre una normativa. Qualunque tentativo di sbarco prescinde dalla legge che c’è. In ogni caso nessuno può dire che senza l’azione del Governo il numero dei tentativi non sarebbe stato il doppio. E comunque, io ritengo che c’è assolutamente bisogno di una più forte politica sull’immigrazione".

 

Il Governo ha ripresentato pari pari le norme sui Cie e sulle ronde già bocciate in Parlamento. È questo ciò che lei chiama una più forte politica in tema di sicurezza?

"Io contesto addirittura la morbidità sul tema dell’immigrazione e scavalco di gran lunga Maroni e la Lega: dico infatti che bisognerebbe tenere i clandestini nei Centri fino a 18 mesi. Occorre infatti avere il tempo per identificare quelli che fanno di tutto per non essere identificati. I clandestini avrebbero un modo semplice per rimanere non più di un giorno nei Centri d’accoglienza: dire la verità sulla propria identità e provenienza. Ma questo non succede. L’Europa consente una permanenza dei clandestini nei Centri fino a 18 mesi, è per questo che io parlo di 18 mesi; se l’Europa dicesse che il clandestino deve rimanere a vita finché non si accerti la sua identità, io direi che è morale che resti a vita".

 

Maroni ha detto che sui Cie e sulle ronde non accetterà "altri passi falsi". Con chi ce l’ha?

"Non c’è nessun responsabile segreto della bocciatura di ronde e Cie e non ci saranno future imboscate. Nel Pdl non sono più di tre o quattro quelli che dicono che bisogna limitare a tre mesi la permanenza nei Cie. E poi: bastava fare un decreto riparatore che sollevasse un problema di ordine pubblico per la messa in libertà di 1000 clandestini tutti insieme. Questo avrebbe permesso di tenerli dentro ancora per 30 giorni e nel frattempo si sarebbe potuto fare il disegno di legge. Non l’hanno voluto fare, sostenendo che il Presidente Napolitano non l’avrebbe firmato. Io invece credo che avrebbe firmato".

 

Ministro, anche la criminalità urbana sta crescendo. A Roma, tra l’altro, assistiamo a un ritorno in grande stile del coltello per regolare le risse tra giovanissimi. Forse che l’effetto deterrente dei militari nelle strade è già finito?

"L’effetto psicologico generale è finito sicuramente. Non è finito, invece, dove i militari sono presenti. Lì arriviamo al 40 per cento in meno dei reati. Io credo perciò che bisognerebbe rilanciare il modello dei pattugliamenti a piedi nei quartieri a rischio. Credo che un periodo di almeno un anno con un numero di militari addirittura accresciuto accanto alle Forze dell’Ordine non farebbe male".

 

Lei è favorevole all’unificazione delle Forze di Polizia?

"Unire le pere con le mele? No, non sono favorevole. Polizia e Carabinieri sono due eccellenze che, unite, perderebbero la loro efficacia; unificazione significherebbe un livellamento verso il basso degli uni e degli altri. E i Carabinieri poi: tutto il mondo ce li invidia e riconosce quanto stanno facendo per l’addestramento delle polizie di tanti Paesi stranieri".

Immigrazione: Lampedusa; interrogazione su pestaggi nel Cie

 

Redattore Sociale - Dire, 28 aprile 2009

 

Interrogazione parlamentare sui pestaggi al Centro di identificazione e espulsione (Cie) di Lampedusa. È stata presentata ieri, 27 aprile, dalla deputata Rita Bernardini, e dai cofirmatari Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco e Zamparutti. Il riferimento è alle violenze praticate da uomini delle forze dell’ordine contro i migranti detenuti nel Cie lo scorso 18 febbraio 2009, il giorno in cui venne appiccato il fuoco in un padiglione del centro.

Bernardini, che già il 27 gennaio 2009 aveva presentato una interrogazione sul Cie di Lampedusa, ancora priva di risposta, chiede al governo e al ministro dell’Interno "se i fatti esposti in premessa corrispondono al vero e, se del caso, quali provvedimenti di natura disciplinare intenda adottare nei confronti dei responsabili". E domanda al ministro Maroni se "non ritenga necessario e doveroso distribuire in tutti i Centri di Identificazione ed Espulsione circolari informative che indichino con chiarezza il divieto di maltrattamenti e dispongano severe sanzioni per coloro che vi ricorrano". E infine - alla luce della situazione del Cie - se non sia il caso di riconvertire Contrada Imbriacola in centro di prima accoglienza.

Droghe: donne tossicodipendenti; il 77,5% ha subito violenza

 

Redattore Sociale - Dire, 28 aprile 2009

 

Il 77,5% delle donne tossicodipendenti in Italia ha subito violenza e il 65% di esse la collega alla dipendenza. L’indagine, condotta in 5 paesi Ue, presentata domani a Napoli. "Fenomeno invisivile anche agli occhi delle vittime".

Dimostra la stretta relazione tra tossicodipendenza e violenza la ricerca "Dipendenze patologiche e abuso sessuale" che sarà presentata domani a Napoli (al Centro congressi della Federico II, in via Partenope 36, a partire dalle ore 9). Un’indagine condotta in cinque Paesi europei - oltre all’Italia, ci sono Bulgaria, Grecia, Malta, Repubblica Ceca - attraverso interviste a un campione di donne tossicodipendenti e di operatori sociali, specialisti in traumi psico-sociali, rappresentanti delle forze dell’ordine. Realizzata nell’ambito di un progetto più ampio di prevenzione del fenomeno e di formazione degli operatori e sostenuta dai fondi di Daphne II, il programma europeo di contrasto alla violenza contro i bambini, i giovani e le donne, la ricerca per l’Italia ha visto come capofila l’associazione Il Pioppo onlus, tra le principali organizzazioni del Mezzogiorno impegnate nei servizi di cura e di prevenzione delle dipendenze, in rete con Cnca e Coeur. Nel nostro Paese - secondo la ricerca - il 77,5% del campione delle donne intervistate ha subito violenza e per il 65% di esse è in connessione con i problemi di dipendenza.

Spiega la project manager Adriana Maestro: "I dati sono omogenei: in tutti e cinque i Paesi la correlazione è molto alta, si va da un 70% delle donne intervistate a un 100% di Malta. La percentuale più alta riguarda le donne costrette a prostituirsi, seguita da quella delle donne che subiscono violenza nell’ambito della fascia amicale, della famiglia o del lavoro. Quella più bassa è invece ad opera di sconosciuti, che, paradossalmente, suscita invece più clamore". "Quello della violenza sulle donne tossicodipendenti - afferma la Maestro - è un fenomeno invisibile non solo agli occhi dei più, ma anche a quello delle stesse donne, che non si rendono conto spesso di essere abusate, quando sono costrette a prostituirsi o a fare sesso in cambio di una dose".

Così nell’ambito del progetto è stato realizzato anche uno spot di sensibilizzazione (per la regia di Roberta Serretiello, per ora in italiano e in inglese, ma che presto sarà tradotto anche nelle altre lingue), sul tema "L’abuso invisibile". "La ricerca è stata propedeutica per capire le dimensione del fenomeno - conclude Adriana Maestro - ora passiamo alla fase della prevenzione e alla campagna di sensibilizzazione con lo spot e con la diffusione di materiale informativo, con un test specifico per capire se la donna ha subito violenza e per orientarla ai servizi. Intanto al Pioppo abbiamo già realizzato, in collaborazione con il Sert della Asl Napoli 4 (ora Napoli 3, dopo l’accorpamento delle Asl, ndr.) un percorso formazione per gli stessi operatori e abbiamo attivato un centro ascolto per queste problematiche, con un operatore e un numero dedicato (081.5317102)".

 

La consapevolezza è la vera battaglia

 

"C’è una doppia correlazione tra situazioni di abuso in epoca adolescenziale che facilitano una tossicodipendenza da adulti, e il comportamento tossicomanico che fa subire la violenza, perché le donne tossicodipendenti più facilmente si sottopongono a situazioni di abuso in cambio di sostanze". A parlare è Salvatore Esposito, socio fondatore de Il Pioppo, psicoterapeuta infantile e Direttore del Dipartimento Welfare dell’Ires (Istituto di ricerche economiche e sociali) Campania. "Questa correlazione tra violenza e dipendenza come fattore primario e secondario, come premessa per la dipendenza e come conseguenza di essa, non viene molto indagato. Le donne non ne hanno consapevolezza. Molte di loro ci hanno detto che non hanno mai ricevuto domande su questo problema".

La violenza, secondo quanto emerge dalla ricerca, è considerata spesso "normale", in certo senso una implicazione della condizione di dipendenza, per cui dalle stesse donne non è vissuta come una forma di violenza subita ma, quasi, come un comportamento voluto. Di qui la sottostima del fenomeno, che non crea allarme sociale e non vede preparati a comprenderlo e ad affrontarlo gli stessi operatori.

"La vera differenza tra l’Italia e gli altri Paesi - spiega ancora Salvatore Esposito - riguarda l’approccio al fenomeno. Da noi non esistono centri dedicati, ma da un lato comunità per tossicodipendenti e dall’altro centri per le donne che hanno subito violenza, non specialistici però per le donne tossicodipendenti. Noi crediamo che occorrano équipe specialistiche per affrontare il fenomeno e che si debba creare una rete tra i diversi servizi, a partire dal materno infantile fino ai Sert, alle comunità e ai centri antiviolenza".

E se è vero che la maggior parte degli abusi si consuma negli ambienti della tossicodipendenza, è anche vero che l’altro scenario più frequente è quello degli ambienti apparentemente "amici". Come dice lo spot del progetto, "la consapevolezza è la vera battaglia". Sul sito www.daphnepioppo.eu i risultati della ricerca e tutti gli aggiornamenti.

Turchia: proteste contro divieto fumo, a fuoco carcere di Siirt

 

Apcom, 28 aprile 2009

 

Il divieto di fumo, che è entrato parzialmente in vigore nel giugno dell’anno scorso, non va proprio giù a determinate categorie. Ne sanno qualcosa i detenuti del carcere di Siirt nell’est del Paese, che hanno protestato vivacemente perché nella struttura sono state tolte le aree per gustarsi una bionda, una sigaretta che diventa motivo di "evasione". Così sono saliti sul tetto e ne hanno incendiato alcune porzioni, urlando slogan contro non solo il divieto di fumo, ma anche contro la tortura, come se per i carcerati fossero argomenti sullo stesso piano. Gli ospiti della prigione hanno interrotto la loro protesta solo dopo che il procuratore capo di Siirt Adem Kul è intervenuto. Il penitenziario di Siirt ospita circa 600 persone imprigionate per reati minori e crimini come furti. Nonostante questo, il livello di sorveglianza medio è molto elevato. Gli inquirenti hanno anche fatto sapere che forse la protesta poteva essere anche politicamente motivata.

India: per Angelo Falcone 29° compleanno aspettando l'appello

 

www.fondazioneitaliani.it, 28 aprile 2009

 

Dopo due anni in carcere in India, con una battaglia giudiziaria in corso, una condanna a dieci anni per droga e un appello non ancora fissato sulle spalle, l’italiano Angelo Falcone ha festeggiato, con una visita a sorpresa, i 29 anni nella prigione di Nahan, nell’India settentrionale. Il padre Giovanni, che si batte per provare l’innocenza del figlio, ha definito il compleanno "commovente e diverso per lui", con a disposizione "Coca Cola, biscotti e un bel pezzo di porchetta portato dall’Italia".

Un compleanno diverso anche perché l’onorevole Elisabetta Zamparutti, radicale nel Pd e leader del movimento "Nessuno Tocchi Caino", ha accompagnato Giovanni per verificare le condizioni di detenzione a Nahan di Angelo e del suo compagno di sventure Simone Nobili, oltre che di un terzo, Vincenzo Minuno, e di un quarto, Franco Terzi, detenuto ad Ambala.

La Zamparutti ha sottolineato come "prima di tutto i detenuti stranieri sono penalizzati rispetto a quelli locali, che hanno diritto a visite periodiche, e dovrebbero almeno essere autorizzati ad una telefonata settimanale". Ha poi aggiunto come sia "essenziale che in caso di condanna definitiva i connazionali possano scontare la pena in Italia", dato che "con l’India non esiste alcun trattato di estradizione o rientro: è una lacuna da colmare".

L’odissea carceraria di Falcone, nativo di Rotondella (Matera), inizia il 10 marzo 2007, quando viene arrestato a Nahan con l’accusa di detenzione di 18 chili di hascisc. "Da allora - come ha affermato il padre Giovanni - ho intrapreso una dura battaglia, molto onerosa anche finanziariamente", contro una giustizia "che ha trovato 12 testimoni contro mio figlio quando un rapporto della polizia, di cui ho il testo, dice che non ce n’era nessuno".

Un’altra battaglia è quella, inoltre, contro "il silenzio che su questa vicenda mantengono i media nazionali italiani", infatti "ho scritto a Bruno Vespa, Michele Santoro ed Enrico Mentana, chiedendo una puntata tematica su Angelo ed i 3.000 italiani dimenticati nelle carceri del mondo", ma "non ho ricevuto risposta".

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

Precedente Home Su Successiva