Rassegna stampa 22 aprile

 

Giustizia: il decreto sulla sicurezza è legge, ecco tutte le novità

 

Ansa, 22 aprile 2009

 

Pene più severe per chi compie uno stupro e inserimento nel codice penale del reato di molestie insistenti, il cosiddetto "stalking". Sono le norme rimaste nel testo del decreto sicurezza convertito in legge dal Senato con voto quasi unanime di maggioranza e opposizioni, dopo lo stralcio, alla Camera, delle misure sulle ronde e la soppressione, sempre ad opera dell’Aula di Montecitorio, della norma che prevedeva il prolungamento della permanenza nei Cie fino a 6 mesi. Norme che rientreranno nella proposta di legge sulla sicurezza, secondo l’impegno assunto dalla maggioranza e dal Governo al Senato, che ha approvato ieri due appositi ordini del giorno della Lega. Queste le novità introdotte.

Ergastolo: È la pena prevista per chi commette un omicidio a seguito di una violenza sessuale, di atti sessuali con minorenne, violenza sessuale di gruppo, stalking.

Custodia cautelare in carcere: È obbligatoria quando si è in presenza di gravi indizi di colpevolezza per i reati di omicidio e taluni fattispecie in materia sessuale (induzione alla prostituzione minorile, pornografia minorile, turismo sessuale, violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, violenza sessuale di gruppo. Inoltre, è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza nei casi di violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo.

Modifiche alla legge Gozzini: L’assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dalla legge Gozzini possono essere concessi ai detenuti o internati per i delitti di violenza sessuale solo sulla base dei risultati dell'osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione di esperti.

Patrocinio gratuito: Le vittime del reato di violenza sessuale possono accedere al patrocinio gratuito a spese dello Stato anche in deroga i limiti di reddito ordinariamente previsti dalla legge.

Fondo sicurezza e fondo vittime violenza sessuale: In attesa dell’entrata in vigore della legge 133 che prevede l’istituzione di un unico fondo in cui affluiscano tutte le somme di denaro confiscate o sequestrate nell’ambito di procedimenti penali o amministrativi, le risorse oggetto di confisca versate nell’entrata del bilancio dello stato sono immediatamente rassegnate nel limite di 150 milioni di euro per l’anno 2009 per le urgenti necessità di tutela di sicurezza pubblica e del soccorso pubblico al ministero dell’Interno e nel limite di 3 milioni per l’anno 2009 per sostenere e diffondere sul territorio i progetti di assistenza alle vittime di violenza sessuale e di genere al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere.

Stalking (atti persecutori): Viene introdotto nel codice penale il reato di "Atti persecutori", il cosiddetto stalking, per la cui sussistenza si richiede la ripetitività della condotta. In particolare, provocando "un perdurante stato di ansia o paura nella vittima ovvero a ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona alla medesima legata da relazione affettiva ovvero da alterare le proprie abitudini di vita". La pena è la reclusione da 6 mesi a 4 anni (circostanze aggravante se si tratta del coniuge separato, divorziato o persona con la quale c’è stata una relazione affettiva). Infine, la pena sale da 1 a 6 anni quando il reato è commesso nei confronti di un minore, donna incinta o disabile. Il reato di stalking è punibile a querela della persona offesa che ha 6 mesi di tempo per presentarla. Il magistrato può procedere d’ufficio nel caso in cui la vittima sia un minore o una persona disabile.

Ammonimento e divieto di avvicinamento: Nel periodo che intercorre tra il comportamento persecutorio e la presentazione della querela, e allo scopo di dissuadere il reo da compiere nuovi atti, viene introdotta la possibilità per la persona offesa di avanzare al questore richiesta di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. Se il soggetto già ammonito commette reato di stalking la pena è aumentata. Il giudice può prescrivere all’imputato il divieto di avvicinarsi ai luoghi che la vittima frequenta abitualmente. Può anche impedire che l’imputato si avvicini ai luoghi frequentati da persone vicine o legate alla vittima e impedirgli di comunicare con loro con qualsiasi mezzo.

Numero verde e misure di sostegno: Le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia di reato di atti persecutori, hanno l’obbligo di fornire alla medesima tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio ed eventualmente metterla in contatto con tali strutture. Inoltre, presso il Dipartimento delle Pari opportunità viene istituito a favore delle vittime di stalking un numero verde nazionale, attivo 24 ore su 24, con compiti di assistenza psicologica e giuridica. Nonché di comunicare, nei casi di urgenza e su richiesta della vittima, gli atti persecutori alle forze dell’ordine.

Videosorveglianza: Ai fini della tutela della sicurezza urbana, i comuni sono autorizzati ad impiegare sistemi di videosorveglianza nei luoghi pubblici o aperti al pubblico. I dati raccolti possono essere conservati fino al settimo giorno successivo alla loro rilevazione, salvo esigenze particolari di ulteriore conservazione.

Giustizia: Carfagna; in due mesi 234 interventi per lo stalking

 

Redattore Sociale - Dire, 22 aprile 2009

 

"C’era la necessità di intervenire con un decreto perché lo Stato aveva il dovere di dimostrare con fierezza di essere al fianco delle donne che non avevano strumenti per difendersi contro atti di violenza che minacciavano la loro vita". Lo dice il ministro delle Pari Opportunità, Mara Carfagna, intervenendo in sede di replica a nome del governo, nell’aula del Senato che sta esaminando il dl sicurezza, contrasto alla violenza sessuale e atti persecutori (il cosiddetto stalking).

Il ministro rileva che, da quando è entrato in vigore il decreto, "ci sono stati 102 arresti per stalking mentre altre 132 persone sono state denunciate. In totale, 234 persone in soli 2 mesi". Inoltre, "sono aumentate del 136% le telefonate per denunciare violenze al 1522, che presto diventerà il numero verde per denunciare anche i casi di stalking". Insomma, prosegue Carfagna, "i numeri parlano" e dicono che "in Italia c’era bisogno dell’introduzione del reato di stalking". E questo, dice, "è un provvedimento equilibrato, che spero condiviso da maggioranza e opposizione, che ha l’obiettivo di restituire alle donne, dignità, sicurezza e libertà".

Giustizia: Finocchiaro (Pd); buon testo con il nostro contributo

 

Redattore Sociale - Dire, 22 aprile 2009

 

"Questo decreto reca fortissimamente il segno del nostro contributo in tutta la parte che riguarda lo stalking. Ci sono proposte che sono state avanzate dal nostro gruppo sia alla Camera che al Senato e che sono state accolte migliorando certamente di molto il testo".

Lo dice Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato commentando l’approvazione definitiva da parte di palazzo Madama del dl sicurezza. Nel frattempo, prosegue Finocchiaro, "il voto segreto alla Camera aveva fatto giustizia di due disposizioni assolutamente odiose, quella che riguardava le ronde e quella che riguardava il periodo di presenza nei centri di permanenza temporanea per gli immigrati irregolari.

Con queste modifiche il testo è buono, avrebbe potuto essere ancora migliorato, ma abbiamo ritenuto di dare un voto favorevole perché certo si tratta di disposizioni utili, che portano molto fortemente il contributo dell’opposizione". Questo, dice l’esponente del Pd, "dovrebbe insegnare qualche cosa alla maggioranza: che quando ci si confronta per davvero e non si fa solo la finta di aprirsi al dialogo, quando anche il dibattito parlamentare oltre a quello nel Paese si stringe sulle questioni, accettare le ragioni delle opposizioni e loro proposte può essere un buon metodo per avere provvedimenti di buona qualità e utili al Paese".

Giustizia: Radicali; le aggravanti solo per ex mariti e fidanzati?

 

Ansa, 22 aprile 2009

 

"Il Senato sta esaminando il disegno di legge di conversione dell’ennesimo decreto sicurezza e ennesima misura di inasprimento di pena, restrizione di diritti per detenuti e creazione di una nuova fattispecie di reato, gli atti persecutori, o stalking".

"È questa la misura mediaticamente più accattivante su cui, nonostante il Senato avesse già votato un provvedimento ora al vaglio della Camera, il Governo e il ministro Mara Carfagna hanno deciso di mettere il cappello.

Il reato prevede che chiunque compia atti persecutori è punibile da 6 mesi a 5 anni. Viene prevista come aggravante il fatto che chi compie tale reato sia un coniuge legalmente separato (e chi è separato di fatto?) o divorziato o persona che "sia stata" legata da una relazione affettiva. L’aggravante è per gli ex, mariti o fidanzati.

Se statisticamente le denunce di questi atti persecutori - dichiarano in una nota congiunta Donatella Poretti e Marco Perduca (Radicali-Pd) - possono vedere gli ex come i più denunciati, la situazione che più andrebbe tutelata e salvaguardata è quella delle violenze psicologiche e fisiche che si commettono in famiglia, anche con la previsione dell’aggravante come misura disincentivante.

A meno che il nostro legislatore non abbia come riferimento quello afgano, in cui il marito ha diritto di abusare della moglie, il provvedimento in esame al Senato è incomprensibile. Se aveva un senso prevedere una aggravante, era proprio per il coniuge, che spesso sotto ricatto impone al coniuge più debole (per lo più la donna) atti e comportamenti con minacce, cagionando quell’ansia e quella paura per la propria incolumità, come prevede l’art. 612-bis.

Giustizia: i ragazzi con il coltello che stanno spaventando Roma

di Massimo Lugli

 

La Repubblica, 22 aprile 2009

 

"Un vecchio cortello diceva a na spada/ ferisco e sbudello la gente de strada/ er zangue che caccio da quelle ferite/ diventa n’fattaccio, diventa na lite".

Giorgio sorride mentre cita a memoria Giuseppe Gioacchino Belli e contempla la lama snudata della sua "resolsa", acciaio temprato a mano e corno di muflone, un oggetto da 180 euro firmato da un rinomato artigiano sardo. Niente a che vedere con i pugnali cinesi, i balisong da cinque euro comprati sulle bancarelle, le mollette di Maniago o gli intramontabili coltelli da cucina che stanno seminando morte e disperazione nelle strade romane. Due omicidi in meno di un mese, un ragazzo in codice rosso dopo una lite in discoteca e una serie interminabile di ferimenti. Solo ieri, un albanese è stato accoltellato a Olevano Romano.

Un revival della "puncicata", antica tradizione della mala capitolina che sembra rievocare i tempi dei grandi bulli romaneschi, er "Tinea", er "Manciola", "Barbieretto", er "Baroncino" pronti a sfidarsi all’ultimo sangue per un’occhiata storta o uno sgarbo nella passatella. Altri tempi, riesumati da una protervia "vintage", multietnica e sottoculturale, che ha spinto il sindaco Alemanno a chiedere l’arresto in flagrante e pene più severe per quello che la legge 110 del 1975 (firmata nel pieno degli anni di piombo, quando fischiavano più pallottole che lame) definisce "porto abusivo di oggetti atti a offendere" (una multa di circa 200 euro, in genere, aggiusta tutto).

Li ama, i coltelli, Giorgio. Li ama e li conosce. Trentacinque anni, buon lavoro ("Scrivi solo che sono nel ramo dell’arredamento") non esce di casa senza il "saccagno" dalla prima adolescenza. Abitudine di famiglia, padre abruzzese inurbato che a tavola apriva ancora il suo "gobbo" di Loreto col manico consunto dall’uso.

"Pratico knife fighting occidentale, in passato ho fatto Escrima e Kali filippino, so usare una lama come un professionista, ho studiato tutti i punti vitali del corpo meglio di un dottore - si racconta Giorgio senza compiacimenti - ma non sono quelli come me che combinano i casini per strada. Per me è una passione, uno sport, come tirare con l’arco o sparare a un bersaglio di carta".

Della tradizione occidentale di combattimento all’arma bianca, Giorgio, con qualche amico fissato come lui, ha rispolverato tradizioni polverose come la "zumpata" campana, la "pizzica" pugliese (oggi diventata un ballo folcloristico), la terribile scuola di Navaja spagnola o di forbici gitane per tosare le pecore e il più recente metodo di combattimento degli Arditi. "Quelli delle risse, quelli dei locali notturni non capiscono niente di tecnica e neanche di armi... Comprano schifezze di latta sulle bancarelle dei cinesi, taglierini e punteruoli dal ferramenta. Sono incompetenti e pericolosi. Qualcuno è stato mio allievo ma hanno smesso subito: niente costanza, niente disciplina. Li vuoi conoscere?". Andiamo.

Via dell’Archeologia, Tor Bella Monaca, borgata che riassume tutte le contraddizioni possibili dei vecchi agglomerati di edilizia popolare. Palazzoni minacciosi festonati di panni stesi a poche centinaia di metri da bar e boutiques "Parioli style". Smart e vecchie Mercedes da campo nomadi. Detenuti ai domiciliari che spacciano eroina a casa e gente che esce alle 5 del mattino per andare al lavoro. Yin e yang in continua dialettica, direbbe Lao Tzu. Pasolini, oggi, avrebbe senz’altro una definizione più incisiva.

Da queste parti, comunque, Giorgio è ancora un mito: l’istruttore di combattimento letale, il Maestro col suo bravo alone di invulnerabilità. Chiama e arrivano. Ex allievi. Amici. Compagni di stadio e di rissa. Comitiva. Dai 17 ai 21-22 anni, jeans sfilacciati o aderentissimi, scarpe col mollone alla suola, giubbotto finto Schott o piumotto senza maniche. Modi e mode che imitano i ragazzi del Fleming, Prati e Parioli, affascinati, a loro volta, dalla coatteria spavalda made in borgata. Saluti rispettosi al maestro, sguardi sospettosi al cronista che dicono "e questo chi c... sarebbe?". Ma si sciolgono subito.

"Vuoi vedere il taglino? Eccolo" Franco Pasciotti, 19 anni, non ha paura di dire nome e cognome (veri? Falsi?) e tira fuori di tasca con subitanea prontezza un serramanico con blocco a pompa e lama da 8 centimetri. Gli altri ridacchiano un po’ imbarazzati, non ancora pronti a scoprirsi davanti all’estraneo. "Lo porto sempre dietro, se me lo dimentico torno a casa a prenderlo - spiega Franco, trasportatore di mestiere, ultrà giallorosso quasi a tempo pieno - vuoi sapere perché? Semplice: meglio un cattivo processo che un buon funerale. I rumeni girano sempre accavallati e se gli prende brutto non fanno a cazzotti: pungono o tagliano".

Gianfranco, un rosso lentigginoso dall’improbabile soprannome di "er Colla" si fa coraggio ed estrae un balisong, un coltello ad ali di farfalla che in alcuni Paesi è vietatissimo. "Costa 15 euro - spiega facendo danzare manico e lama in virtuose evoluzioni circolari - così se la vedo brutta e girano le guardie lo butto senza problemi. Senza mi sento nudo".

L’hai mai usato? Sguardi perplessi, Giorgio che fa un impercettibile segno d’assenso: vi potete fidare. "Beh, una volta... Ho litigato con uno str... in discoteca, faceva il coatto con la donna mia. Ha cercato di darmi una bottigliata in faccia, io ho aperto la lama e l’ho bucato alla coscia, vicino al sedere. La faccia che ha fatto mentre cadeva...".

La coltellata al gluteo o alla gamba è quanto di più vicino all’antica tecnica della puncicata all’addome di inizio secolo, sempre preceduta dalla minaccia rituale: "Ti metto le budella in mano". K.O. istantaneo. Fa male ma, di solito, non uccide. Di solito. Basta una lama troppo lunga o uno scarto di qualche centimetro, l’arteria femorale tranciata ed è morte quasi certa.

"Nei locali gira di tutto, manca solo che scendono col ferro (la pistola) - interviene un altro ragazzo che finora si è tenuto in disparte - un mio amico buttafuori una volta è stato aggredito con un’ascia, ti rendi conto? Poi ci sono gli africani, svelti di lama, ti bucano che nemmeno te ne accorgi. E allora che fai? Bruce Lee".

Mima, tra le sghignazzate generali, qualche goffa movenza di kung fu poi fa scattare la lama di una molletta da 12 centimetri, l’unico coltello che il codice penale consideri un’arma a tutti gli effetti ("La sua naturale destinazione è l’offesa" ha chiosato la Cassazione dopo una lunga e ponderosa diatriba).

Ma il ragazzo non si perde in disquisizioni legali: "Tanto, a scatto o serramanico, se mi beccano mi denunciano e basta... E poi mi piace, guarda quant’è bello". Cesare Pascarella ha dedicato al "saccagno" un vero e proprio sonetto d’amore che inizia così: "Ar mio sopra la lama c’he ritorta/ Cià stampata na lettera con fiore/ Me lo diede Ninetta, che m’è morta/ Quando che me ce mèssi a fa l’amore...". Conclusione: "E se la festa vado a fa bisboccia/Sibbè che c’abbi tanti amichi accanto/ Er mej’amico mio ce l’ho in saccoccia".

Questi ragazzi, quasi certamente, non hanno mai sentito parlare del poeta romanesco ma hanno con le loro lame un rapporto quasi feticistico, le snudano, le accarezzano, le coccolano, le rimirano. Come un’innamorata. Il coltello d’amore, decorato a motivi d’argento in forma di occhio, del resto, era il dono rituale alla fidanzata con l’ammonimento canonico: "Si nun me voi più, spaccheme er core".

La versione del terzo millennio è brutalità idiota, ferocia insensata, aggressioni a tradimento con cinque Ceres e tre Campari come carburante. "Che pena, che spreco, così giovani e così imbecilli" depreca Giorgio che scuote la testa mentre guida la Cinquecento rosso fiamma verso casa. Dal portachiavi dondola una piccola, deliziosa scimitarra.

Giustizia: Alfano; niente indulti, il piano carceri a inizio maggio

 

Ansa, 22 aprile 2009

 

"Presenteremo un piano delle carceri nei primi giorni di maggio e speriamo di dare finalmente un rimedio strutturale a questo problema che non intendiamo risolvere attraverso indulti e amnistie". Lo ha detto il ministro della giustizia Angelino Alfano a margine dell’incontro in Prefettura a Lucca nel corso del quale ha parlato della riforma della giustizia che il governo sta realizzando. Alfano ha incontrato nel primo pomeriggio il sindaco di Lucca e poi ha visitato il tribunale. Rispetto all’aggressione di una guardia avvenuta a Sollicciano, il ministro ha sottolineato che "la vicenda è assolutamente sotto controllo".

Giustizia: Sappe; nuova politica penale, più misure alternative

 

Il Velino, 22 aprile 2009

 

Sono in corso di svolgimento a Cattolica i lavori del ventesimo Consiglio nazionale del Sindacato autonomo Polizia penitenziaria Sappe, lavori patrocinati dalla provincia di Rimini. Un confronto, si legge in una nota, molto significativo ed importante - al quale partecipano i consiglieri nazionali e segretari regionali di tutta Italia - se si considera il pesante sovraffollamento carcerario (62mila i detenuti presenti, a fronte di una capienza regolamentare di 43mila posti) e le altrettante significative carenze di organico del corpo - circa 5mila unità -, condizioni che rendono particolarmente gravose e stressanti le condizioni di lavoro delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria. Molti e significativi i messaggi pervenuti dalle alte cariche istituzionali per il consiglio nazionale del Sappe.

Nel telegramma pervenuto dal Quirinale, con il saluto cordiale del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si sottolinea che "il personale della Polizia penitenziaria è chiamato a salvaguardare con abnegazione, competenza e sempre accresciuta professionalità la sicurezza degli istituti, contribuendo contestualmente al percorso riabilitativo dei detenuti. Esso può dunque offrire un fondamentale supporto anche propositivo alla realizzazione di quel ripensamento del sistema sanzionatorio e di quella rimodulazione del sistema carcerario che tutti auspicano e che dovrà conciliare le esigenze della sicurezza con quelle della risocializzazione". Anche il presidente del Consiglio Berlusconi e quello del Senato Schifani hanno rivolto i migliori auguri per il consiglio del Sappe.

"L’attuale sovraffollamento delle carceri, ha dichiarato il segretario generale del Sappe Donato Capece, va a discapito delle condizioni detentive in linea con il dettato costituzionale previsto dal terzo comma dell’articolo 27 e delle condizioni lavorative delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria che lavorano nella prima linea delle sezioni detentive. Un Corpo in cui si registrano carenze di organico pari a oltre 5.500 unità".

"La questione generale del sovraffollamento penitenziario – prosegue - non può trovare esclusiva risposta nello sviluppo dell’edilizia, come recentemente previsto nel decreto "milleproproghe" che ha individuato Commissario straordinario ad hoc l’attuale Capo dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta. A nostro avviso è necessario individuare risorse per prevedere nuove assunzioni nel Corpo e rimodulare il complessivo sistema sanzionario del Paese.

È necessaria, ha concluso Capece, una nuova politica della pena che, differenziando arrestati e condannati a seconda del tipo di reato commesso in una logica di riorganizzazione dei circuiti penitenziari, preveda una maggiore espansione dell’esecuzione penale esterna (ossia il sistema delle misure alternative, che può essere incentivata offrendo garanzie di sicurezza credibili sia dal giudice che le dispone sia dalla stessa collettività) e l’impiego della Polizia penitenziaria all’interno degli uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) con compiti di controllo".

Giustizia: Osapp; con il sovraffollamento, ferie agenti a rischio

 

Apcom, 22 aprile 2009

 

Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria (Osapp), ritiene che il sovraffollamento nelle carceri italiane metta a rischio le ferie estive per gli agenti di custodia.

"Come avevamo preannunciato - scrive in una nota - entro la fine della scorsa settimana la quota dei ristretti ha superato le 61mila unità, su una capienza regolamentare di 43 mila posti letto e si approssima velocemente a colmare la cifra della tollerabilità. Segno che oltre le 62 mila anime questo sistema è destinato a chiudere".

"Come corpo di polizia, come forza dell’ordine deputata a mantenere la sicurezza, non ci sentiamo più tutelati. A questo punto le conclusioni sono molto semplici - continua Beneduci - o il Governo schiera l’esercito a tutela degli istituti, dichiarando lo stato d’emergenza nazionale, come è stato fatto per il terremoto in Abruzzo.

Oppure il ministro, con il capo del Dipartimento assieme al commissario straordinario Ionta, prevedono un piano d’intervento urgente per implementare il personale operativo nelle sezioni detentive più a rischio. Questo affinché non si arrivi al punto di ritrovarci, veramente con la necessità di dichiarare, invece, lo stato marziale nel Paese".

"La situazione penitenziaria che vive il Paese non permette ulteriori ritardi e il Guardasigilli non può cavarsela con le rassicurazioni di circostanza" continua il segretario generale. "Al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, alle prese con l’emergenza abruzzese, diciamo che magari i terremoti non potranno essere presagiti, ma le catastrofi umane, derivanti da una condizione come quella che stiamo vivendo negli istituti, certamente sì.

Quello che è accaduto a Trapani due giorni fa - conclude citando l’aggressione da parte di un gruppo di extracomunitari a danno di cinque agenti penitenziari - è la dimostrazione lampante che manca personale sufficiente".

Lettera: dal carcere di Spoleto; i nostri 5 euro per terremotati

 

La Repubblica, 22 aprile 2009

 

Si dice che la storia di un paese passi attraverso le sue galere. Ecco, noi con questo piccolo e simbolico gesto vogliamo fare sapere che anche dal "letame nascono i fiori" mentre "dai diamanti non nasce nulla".

Vogliamo far sapere che in noi c’è ancora amore per l’umanità che ci ha esclusi, alcuni per sempre, dal mondo dei vivi. I detenuti e gli ergastolani del carcere di Spoleto, colpiti dai lutti e dalle immagini televisive di quanto è accaduto in Abruzzo, hanno pensato di fare una colletta di cinque euro ciascuno per inviare una somma di denaro ai bambini disagiati dal terremoto. Ci dispiace di non poter fare di più, altrimenti l’avremmo fatto.

Avremmo scavato insieme a voi fra le macerie. Molti di noi con il pensiero l’hanno fatto. Durante i funerali trasmessi in televisione davanti a quelle piccole bare molti di noi, padri e nonni, di nascosto hanno pianto. Anche i "cattivi" e i "colpevoli per sempre" piangono, hanno cuore e hanno il senso della giustizia universale. Vi mandiamo tutte le nostre energie, amore e affetto. Vi siamo vicini con tutti i nostri pensieri di incoraggiamento e solidarietà.

Deleghiamo il Direttore del carcere di Spoleto, Dottor Ernesto Padovani, di gestire questa piccola somma raccolta da dare a sua scelta a qualche associazione sul territorio che si occupa dell’assistenza ai bambini. Buona fortuna.

 

I detenuti e gli ergastolani in lotta per la vita

Carcere di Spoleto, Via Maiano, 10

Viterbo: 57enne, detenuto al Mammagialla, si uccide con il gas

di Massimo Luziatelli

 

Il Messaggero, 22 aprile 2009

 

Ha atteso che passasse il consueto controllo e ha messo in atto quello che già da tempo maturava nella sua mente. Ha infilato la testa dentro una busta di plastica che ha poi riempito con il gas della bomboletta di un fornellino da campeggio, di quelli che i detenuti hanno per riscaldare qualcosa da mangiare. E ha atteso, sdraiato sul suo letto, che la morte sopraggiungesse. Si è tolto la vita così Antonino Saladino, 57 anni, di Catania, detenuto nel carcere di Mammagialla per omicidio.

Ad accorgersi di quanto accaduto sono stati gli agenti di polizia penitenziaria in servizio nella sezione. Erano passate le 21 quando, facendo il giro di controllo, hanno guardato dentro la cella di Antonino Saladino. Si sono subito resi conto che c’era qualcosa che non andava e allora sono entrati. Per l’uomo, però, non c’era più niente da fare.

Espletate le formalità di rito, la salma del detenuto è stata ricomposta nella camera mortuaria dell’ospedale di Viterbo a disposizione dell’autorità giudiziaria.

Secondo le scarne informazioni sembrerebbe che l’uomo che si è tolto la vita nel carcere viterbese da qualche tempo fosse in chiara difficoltà psicologica e che già un’altra volta avesse tentato il suicidio. Ciò è quanto risulta al Garante regionale dei diritti dei detenuti, Angiolo Marroni, che ieri mattina ha compiuto una visita nel carcere viterbese.

"Un mese fa, un altro detenuto con problemi psichici si era suicidato nel carcere di Velletri - ha detto Marroni - Non servono questi gesti cruenti per rendersi conto che i detenuti con tali problemi stanno diventando una vera e propria emergenza.

Il sovraffollamento, la carenza di personale, la difficoltà a svolgere una adeguata attività trattamentale sono tutti fattori che rendono il carcere un luogo ancor più invivibile, soprattutto per i più deboli. A me pare che, a forza di spostare il dibattito sulle nuove carceri e sulle nuove pene, si sta finendo con il far passare nel dimenticatoio che anche i detenuti sono titolari di tutti i diritti, compresi quelli alla salute e alla vita, e che una malattia tanto delicata come quella psichiatrica non può essere curata solo con i farmaci".

Rimini: 37enne in carcere da pochi giorni si è impiccato in cella

 

Apcom, 22 aprile 2009

 

Era finito in carcere per detenzione di materiale pedo-pornografico su ordine della Procura di Trento nell’ambito di una complessa indagine dalla Polizia delle Comunicazione di Bolzano. L’uomo, Daniele Topi, 37 anni, residente nella provincia di Rimini e detenuto al "Cassetti" dal 16 aprile scorso, si è impiccato all’interno della propria cella. Immediato l’intervento degli agenti della Polizia Penitenziaria, ma non c’è stato nulla da fare.

La magistratura ha disposto l’autopsia. Secondo quanto ricostruito dalle forze dell’ordine, il 37enne aveva adescato su una chat un quattordicenne di Bolzano. Quindi gli avrebbe chiesto sue immagini a luci rosse. L’inchiesta ha anche consentito di individuare anche un 35enne di Potenza e un 53enne di Pescara che scambiavano con il 37enne materiale pedo-pornografico. I due sono stati denunciati per detenzione e cessione di materiale pedo-pornografico tramite programmi di condivisione file. Nel corso delle indagini gli agenti hanno provveduto anche al sequestro di un’ingente quantità di fotografie e filmati pedo-pornografici, salvati in diversi supporti hardware.

Firenze: nuova rissa tra detenuti e scabbia anche a un agente

 

Il Velino, 22 aprile 2009

 

Un’altra rissa tra extracomunitari nel carcere di Sollicciano e un agente penitenziario colpito da scabbia, sempre nell’istituto fiorentino, è la pesante denuncia che fa l’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma della Polizia penitenziaria).

"Della rissa si è appreso solo adesso - racconta il segretario generale Leo Beneduci - un fatto grave accaduto stamattina alle 9,10 e che ha visto fronteggiarsi, nel passeggio dell’istituto, due gruppi di nazionalità straniera composti rispettivamente da tre reclusi albanesi e due marocchini. Il caso di scabbia è più preoccupante, e vede implicato un nostro collega che presta servizio, sempre a Sollicciano, nel reparto di cura e custodia - continua il segretario - dove sono ricoverati i detenuti sottoposti a misure di sicurezza".

"Come si può ben notare, di questi casi ne succedono giornalmente - prosegue Beneduci - e sempre più frequentemente coinvolgono il Corpo della nostra Polizia penitenziaria. Ma un caso di contagio mai avremmo pensato che sarebbe accaduto. La nostra denuncia è chiara come la richiesta che facciamo al capo del Dap Ionta: servono iniziative concrete, contro il sovraffollamento e per la tutela degli agenti in servizio, altrimenti dimissioni".

"I nostri agenti vengono sempre più, o aggrediti e coinvolti in risse, o contagiati per le condizioni igieniche che qui, ma in generale in tutto il territorio nazionale, rasentano veramente il terzo mondo. A questo punto - conclude il segretario dell’Osapp - è chiaro come, a quasi un anno dalla sua nomina, sia venuto il momento della resa dei conti, quando cioè il bilancio diventa ogni mese sempre più gravoso, e ci avviciniamo ad un’estate decisamente bollente, che un piano edilizio non potrà certamente raffreddare e risolvere".

Reggio Emilia: internato in Opg aggredisce e ferisce un agente

 

La Gazzetta di Reggio, 22 aprile 2009

 

Violenta aggressione all’Ogp contro un assistente di polizia penitenziaria, in servizio da solo in una sezione con 50 detenuti. L’agente è stato afferrato al collo e colpito ripetutamente al volto con i pugni da un detenuto, che pretendeva di uscire dalla cella. Il poliziotto è stato salvato dall’intervento di un collega di un altro reparto, subito accorso. "L’episodio evidenzia - dice la Cgil - la mancanza di sicurezza e la carenza di organico in carcere".

Dice Nicolò Mazzara, delegato sindacale per gli istituti penitenziari e membro del direttivo regionale della Funzione pubblica Cgil: "La drammaticità dell’episodio, non prevedibile per l’amministrazione penitenziaria ma più volte denunciato dalle organizzazioni sindacali, risulta aggravato dall’assoluta assenza di sistemi di allarme e di antiaggressione, più volte evidenziati e denunciati anche in sede regionale, che puntualmente sono sottovalutati se non derisi dagli uffici competenti.

La carenza del personale ormai è nota a tutti: nessuno sembra preoccuparsene. Ma l’Opg di Reggio è l’istituto dell’Emilia Romagna con una carenza di personale di polizia penitenziaria vicina al 40% e con il peggiore rapporto percentuale fra presenza di ricoverati e numero di agenti di sorveglianza". Anche il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, da mesi lamenta una carenza di almeno 50 unità, assolutamente necessarie per garantire la sicurezza.

L’aggressione all’Ogp si è verificata giovedì pomeriggio, quando F.V., assistente della polizia penitenziaria di 35 anni, abitante a Reggio, ha provveduto ad aprire una cella della sua sezione, per consentire l’accesso ad un ricoverato che aveva appena terminato di fare la doccia. Un altro detenuto, pretendendo di uscire, ha aggredito l’agente e lo ha afferrato al collo. Poi lo ha più volte colpito al volto con i pugni. Alle grida dell’agente, sono accorsi alcuni colleghi in servizio in un altro reparto. F.V. è stato soccorso e trasportato in ospedale: i medici gli hanno riscontrato alcune lesioni, giudicate guaribili in 10 giorni.

Milano: presunto pedofilo seviziato, condanna per due agenti

 

Apcom, 22 aprile 2009

 

Un detenuto per pedofilia, venne sodomizzato e minacciato dai compagni di cella nel sesto raggio del carcere di San Vittore nell’indifferenza di almeno due agenti della polizia penitenziaria che giravano la testa di fronte alle sue richieste di aiuto, finché è stato trovato svenuto e soccorso d’urgenza. Oggi una sentenza della prima sezione civile della corte d’appello ha condannato i due agenti a risarcire l’uomo con 100mila euro.

I due secondini sono stati condannati al risarcimento in solido con il ministero della Giustizia le cui argomentazioni difensive sono state definite dai giudici dal "sapore a dir poco surreale". Gli abusi risalgono all’ottobre 2001. Tutto comincia la sera del 26, quando i compagni di cella Maurizio Albergoni e Gian Mario Colla costringono il detenuto, in carcere per un’indagine per violenza sessuale su minore, a ingurgitare una sostanza vomitevole. L’uomo si sente male e chiede aiuto all’agente piantone, Gianluca Mostacciolo, che si volta dall’altra parte. Si sente male, vomita in bagno e successivamente Albergoni lo picchia sulla testa e sul viso con una caffettiera. La mattina seguente, l’uomo quasi non riesce ad alzarsi dal letto, è ricoperto di ematomi e i suoi aguzzini cercano di sgonfiargli le palpebre applicando della crema, secondo quanto poi confesseranno al processo. Nel pomeriggio Marco Salvatore, l’altro agente, consegna la posta al detenuto e pur vedendo il volto tumefatto anche lui gira la testa, borbottando "sono affari vostri".

Poche ore dopo, ancora una volta l’agente piantone rifiuta di prestare orecchio alle richieste della vittima di essere portata in infermeria. Ricostruendo i fatti nella sentenza odierna il collegio presieduto dal giudice Giuseppe Patrone afferma che "il comportamento in questa circostanza tenuto da chi era anche preposto al controllo della incolumità dei detenuti è non equivoco e non può non condurre a valutazioni estremamente negative".

Di più, "alla gravità dei comportamenti omissivi e contrari ai doveri di ufficio ha corrisposto la gravità delle conseguenze patite" dalla vittima, perché "ove da parte di uno dei secondini si fosse intervenuto, si sarebbe certamente interrotto l’iter di violenze cui l’appellante si trovava a essere sottoposto e essere non sarebbero montate in un crescendo parossistico fino alla tragica scoperta del corpo esamine dello stesso".

Asti: detenuti con il direttore Caritas, per parlare degli stranieri

 

La Stampa, 22 aprile 2009

 

"Gli stranieri come li vediamo noi" è stato il tema dell’incontro tra un gruppo di detenuti del carcere di Quarto e il direttore della Caritas Giuseppe Amico. Il confronto si è svolto nei giorni scorsi nell’ambito del progetto "Viaggio intorno alla mia stanza", ideato dall’Associazione culturale Comunica in collaborazione con la Casa Circondariale e la Provincia (Assessorato alle Politiche).

Prima di incontrare Amico, i reclusi hanno lavorato intorno a due domande ("che cosa ci piace meno degli stranieri?", "in che cosa sono simili a noi?"), a cui hanno dato risposta partendo dalla loro diretta esperienza di convivenza dietro alle sbarre. Il carcere astigiano, infatti, è una piccola città in cui coabitano, ormai da anni, persone di etnie differenti.

Alcune indicazioni emerse in negativo: "spesso gli stranieri si sentono giudicati, quindi partono prevenuti contro noi", "hanno una cattiva cultura verso le donne", "quando sono in gruppo vorrebbero comandare"; qualche considerazione positiva: "hanno un forte senso della famiglia", "affrontano rischi e sacrifici pur di trovare un lavoro e mandare i soldi a casa".

Giuseppe Amico è partito dall’esperienza dei nove centri di ascolto Caritas attivi nell’Astigiano (sei ad Asti, gli altri a Castello d’Annone, Frinco, San Damiano) per analizzare bisogni e comportamenti degli stranieri, ma anche paure e capacità di ascolto degli astigiani. Ha poi fatto riferimento alla "pesante crisi economica che, anche nella nostra provincia, rischia di causare una guerra tra poveri" e invitato a "non vivere la diversità degli altri - stranieri o meno - soltanto in negativo". In discussione anche i meccanismi dell’immigrazione clandestina e i problemi di identità che coinvolgono, anche ad Asti, le nuove generazioni di "stranieri" nati sul nostro territorio.

Brescia: On. Santanchè in visita al carcere di Canton Mombello

 

Giornale di Brescia, 22 aprile 2009

 

Ieri mattina Daniela Santanchè, segretaria del Movimento per l’Italia, e il vice-segretario Diego Zarneri hanno fatto visita al carcere di Brescia incontrando i rappresentanti sindacali della polizia penitenziaria. "Un momento d’ascolto importante", ha spiegato Zarneri, "per fotografare la situazione in cui riversa il carcere bresciano ma soprattutto l’organico delle Polizia Penitenziaria."

"Tanto deve essere fatto per restituire dignità al lavoro degli agenti, a partire dagli interventi strutturali necessari per riqualificare la struttura carceraria di Canton Mombello che attualmente versa in condizioni fatiscenti e pericolose". Zarneri ha aggiungo che "tanto deve essere fatto per la polizia penitenziaria: dal servizio mensa insufficiente agli alloggi e spogliatoi inadeguati, dai sistemi di sicurezza e disinfestazione al problema del parcheggio, dal mancato rispetto della privacy degli agenti all’assenza di uffici adeguati, dal parco mezzi obsoleto alle scarse condizioni igieniche degli stessi".

Daniela Santanchè ha sottolineato di avere idee diverse rispetto alla politica del governo di stanziamento di nuovi fondi per l’edilizia carceraria. In Italia, ha detto, "i fondi andavano destinati al recupero degli edifici esistenti e al miglioramento delle condizioni della polizia penitenziaria". Si è detta convinta che "la soluzione vera al sovraffollamento delle carceri è quella dello sconto della pena dei detenuti immigrati nella patrie galere". Ha concluso auspicando "che la polizia penitenziaria sia riconosciuta al pari degli altri comandi di Polizia".

Torino: le detenute vanno in scena con "Dell’artificio, il fuoco"

 

Ristretti Orizzonti, 22 aprile 2009

 

Dal progetto pluriennale "Interurban 2011" promosso dalla Regione Piemonte e dalla Circoscrizione 5 della Città di Torino, nell’ambito del programma di Biennale Democrazia. Mercoledì 22 e giovedì 23 aprile, presso il teatro del penitenziario "Lorusso e Cutugno", andrà in scena la performance teatrale Dell’artificio, Il Fuoco, realizzata da Stalker Teatro con un gruppo di detenute che hanno partecipato, per circa due mesi, ai laboratori condotti dalla compagnia. Il lavoro, che fa parte dell’opera in cinque quadri Jerusalem, va in scena in occasione della Biennale Democrazia e nell’ambito del progetto pluriennale Interurban 2001, promosso dalla Regione Piemonte e dalla Circoscrizione 5 della Città di Torino.

Dell’artificio, Il Fuoco è un lavoro incentrato sul tema dell’ospitalità. Il valore dell’ospitalità è presente in tutte le culture, in diverse forme e in appositi rituali, più o meno sentiti e praticati. Ospitalità significa accettazione dell’altro. Anche il teatro, come l’ospitalità, si fonda sul principio di offrire agli altri il meglio della propria cultura, con modalità di accoglienza e di intrattenimento del pubblico che possono essere accostate alle cerimonie di benvenuto riservate agli ospiti.

Il progetto si propone così di trasformare l’evento teatrale in una festa spettacolare in cui le detenute e gli altri partecipanti alla performance, in qualità di officianti-ospitanti, possano esprimere il meglio delle proprie capacità creative.

"Dell’artificio, Il Fuoco" è anche uno dei cinque quadri che compongono Jerusalem. 5 quadri sulle vicende umane, nuova produzione di Stalker Teatro diretta da Gabriele Boccacini con i partecipanti ai laboratori della Libera Accademia d’Arte Drammatica. Il lavoro, di cui quattro quadri sono stati presentati separatamente nelle scorse stagioni, va in scena per la prima volta in forma completa alle Officine Caos, da sabato 25 aprile fino a giovedì 30 aprile, alle ore 21.00 (domenica 26, ore 17.00).

Le iniziative sono parte del progetto Interurban 2011, promosso dalla Regione Piemonte Assessorato alla Cultura e dalla Circoscrizione 5 della Città di Torino e dedicato al 150° dell’Unità d’Italia e al 50° anniversario della nascita del quartiere Le Vallette, dove hanno sede le Officine Caos.

Viterbo: reportage fotografico dal carcere, la mostra fino al 27

 

Ristretti Orizzonti, 22 aprile 2009

 

Domani 22 aprile alle 17.30, presso l’ex chiesa di S. Carluccio, sarà inaugurata la mostra "Strada San Salvatore 14/b: tante storie, un racconto". Il reportage fotografico di Daniele Vita è la documentazione di un laboratorio teatrale svoltosi nella Casa Circondariale di Viterbo. Le dieci fotografie, scattate nel poco tempo disponibile, raccontano lo svolgersi delle attività di laboratorio teatrale, l’impegno dei detenuti e il lavoro dei tanti volontari che operano all’interno del penitenziario. La mostra, realizzata nell’ambito della manifestazione Resist, sarà aperta fino a lunedì 27 aprile, tutti i giorni dalle ore 16.00 alle ore 20.00.

Immigrazione: sugli irregolari dal governo solo risposte illusorie

 

Redattore Sociale - Dire, 22 aprile 2009

 

L’analisi di Maurizio Ambrosiani, sociologo dell’università di Milano: "Manca l’effettiva volontà politica. Le cifre? Fino al 2008 espulsi 6.500 immigrati, ma sono 750 mila a non avere i documenti". Convegno di Caritas ambrosiana.

"Manca l’effettiva volontà politica: i proclami del governo per la lotta all’immigrazione clandestina sono come le famose grida manzoniane. Sono risposte illusorie al fenomeno dell’immigrazione regolare". È il commento di Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia dei processi migratori all’università Statale di Milano che questa sera interverrà al convegno organizzato da Caritas Ambrosiana "Il pacchetto-sicurezza e l’immigrazione: quale legalità? Quali diritti?" (ore 17.30, via San Bernardino, 4).

Sul tema delle espulsioni degli irregolari, ad esempio, agli annunci difficilmente fanno seguito provvedimenti pratici. Fino all’ottobre 2008, ad esempio, gli immigrati espulsi sono stati in tutto 6.500 mentre gli immigrati privi di documenti presenti in Italia sono, stando alle auto-denunce dell’ultimo decreto flussi, almeno 740 mila. Una delle cause che rendono difficili le espulsioni è la mancanza di accordi bilaterali con i paesi d’origine, ma su questi provvedimenti incide anche il fattore costi: "Le spese vive per un’espulsione oscillano tra i 2.200 e i 3 mila euro a persona, nel periodo compreso tra il fermo e l’arrivo nel paese d’origine - spiega Maurizio Ambrosini -. Ma sono stime del 2005 e non tengono conto dei costi di trattenimento".

Immigrazione: addio ai medici-spia, ma tempi più lunghi nei Cie

di Francesco Grignetti

 

La Stampa, 22 aprile 2009

 

Addio, medici spia. Alla Camera ricomincia l’iter del ddl Maroni-Alfano, ma senza più la norma che ha fatto irritare i medici, che erano diventati un problema per la maggioranza. Ci sono però le ronde e l’allungamento a quattro mesi (estensibile a sei) della detenzione per i clandestini dentro i Cie. Al Senato si vota il decreto anti-stupri.

E la Lega, che pure dovrà accettare a malincuore di rinviare sine die le questione dei medici (e quindi resta fermo il divieto di segnalazione), può dire di avere portato a casa comunque un risultato. C’è infatti un accordo politico a fare presto. "Il governo e la maggioranza - dice il capogruppo al Senato, Federico Bricolo - s’impegnano ad allungare i tempi di permanenza dei clandestini nei Centri di identificazione e espulsione. Si conferma il testo del ddl sulla sicurezza che già contiene l’istituzione delle ronde. Il passo falso fatto alla Camera con l’approvazione dell’emendamento Franceschini, che porterà al rilascio di oltre mille clandestini nei prossimi giorni, sarà dunque superato".

Già, perché il ministro Maroni avrà questa nuova grana da gestire: entro qualche giorno, oltre mille immigrati, quasi tutti tunisini, rinchiusi nel Cie di Lampedusa da centoventi giorni, torneranno uomini liberi. E siccome non potranno essere lasciati a spasso per Lampedusa, sarà giocoforza offrirgli un passaggio sui traghetti verso la terraferma.

È la norma sui medici-spia che finora ha bloccato il cammino della nuova legge. Come si ricorderà, oltre alla contrarietà più assoluta del centrosinistra e di tante associazioni di volontariato, e degli ordini dei medici, c’era stata una mezza sollevazione anche di un centinaio di deputati Pdl. Ieri, una riunione ristretta tra Lega e Pdl alla Camera ha trovato la soluzione: la questione finirà in un apposito ddl.

Non cessano le critiche, però. I vertici dell’Associazione nazionale magistrati esprimono dubbi sulla reintroduzione del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale e sul reato di ingresso illegale nel territorio dello Stato. "Abbiamo seri dubbi di compatibilità costituzionale, poi, riguardo alle disposizioni in materia di iscrizione all’anagrafe dei figli di immigrati clandestini e in materia di segnalazione di immigrati clandestini da parte delle strutture sanitarie pubbliche".

Dice Giuseppe Cascini, segretario dell’Anm: "Immaginate tutte le prostitute nigeriane che non potranno più andare in ospedale per paura di essere denunciate e che non potranno più iscrivere i propri figli all’anagrafe. Il risultato potrebbe essere quello di moltiplicare gli aborti clandestini tra le irregolari".

Osservazioni vengono anche da Piero Grasso, il procuratore nazionale antimafia: "Il nuovo disegno di legge in materia di sicurezza, così come è stato riproposto, azzera le funzioni di impulso e coordinamento che erano state date alla procura nazionale antimafia nel precedente decreto sulle misure di prevenzione".

Immigrazione: medici che non vogliono denunciare i clandestini

 

Corriere della Sera, 22 aprile 2009

 

Secondo la Cgil il numero di immigrati che nei primi tre mesi dell’anno hanno chiesto cure è calato del 10-20% rispetto allo stesso periodo del 2008. La Lombardia ha ribadito che la cure sono gratuite per tutti. Lazio, Piemonte, Puglia e Sicilia hanno sostenuto che non bisogna denunciare i pazienti.

Medici-obiettori che per rendersi riconoscibili in corsia lo scrivono sul camice: "Io non ti denuncio". Associazioni di categoria che inviano petizioni al governo per rafforzare il proprio "no": "Quel provvedimento va contro il nostro codice deontologico".

Regioni che rivendicano la propria autonomia in fatto di sanità, ribadiscono le norme in vigore, ne varano di nuove: "Le cure devono essere garantite a tutti nel pieno rispetto della Costituzione e della privacy". La battaglia contro il provvedimento che prevede la denuncia da parte dei medici dei clandestini è trasversale. Politica e di categoria.

Un rincorrersi di iniziative per fermare il disegno di legge. Per interrompere le denunce: tre quelle registrate prima che la norma sia entrata in vigore. Ma anche per contenere il crollo di richieste di cure da parte degli stranieri: dei cittadini sprovvisti di permesso di soggiorno, ma anche degli immigrati in regola.

Da Milano a Roma. Da Torino a Genova. Pur senza nomi e cognomi le statistiche parlano chiaro. "Il numero di immigrati che nei primi tre mesi dell’anno hanno chiesto cure è calato del 10-20% rispetto al 2008", denuncia Massimo Cozza, responsabile dei medici della Cgil. Il crollo a febbraio: "Nel pieno del dibattito e dell’approvazione del ddl al Senato".

Ora, spiega il presidente nazionale della Società italiana medicina d’emergenza-urgenza Anna Maria Ferrari, "gli accessi registrati nelle principali strutture di emergenza sono tornati quasi nella norma". "Ma non appena si ricomincerà a parlare di medici-spia ci sarà un nuovo calo", avvertono gli addetti ai lavori.

Del resto le denunce sono state più veloci dell’entrata in vigore della legge: i primi di marzo, all’ospedale Fatebenefratelli di Napoli, Kante, 25 anni, ivoriana in attesa del riconoscimento di asilo politico, è stata segnalata dopo aver dato alla luce un bimbo; un mese dopo, agli Ospedali Riuniti di Brescia, Maccan Ba, 32 anni, senegalese, è stato raggiunto da un ordine di espulsione dopo aver richiesto cure per un mal di denti; negli stessi giorni, al Santa Maria dei Battuti di Conegliano (Treviso), una nigeriana di 20 anni è stata registrata al pronto soccorso come "paziente ignota" e dimessa con un foglio di via.

Spiega Massimo Cozza: "La paura è la fuga degli immigrati dagli ospedali". Con un doppio rischio: "Per la salute dei cittadini stranieri, il cui diritto alle cure è sancito dalla Costituzione, e per la salute pubblica". Parole che ricalcano storie di Carlos e Joy: lui, 20 anni, sudamericano trapiantato nel Pavese, per paura di essere denunciato ha rischiato di morire di peritonite; lei, 24 anni, nigeriana, prostituta, è morta di tubercolosi avanzata. "Il 50% degli ospiti del Cara di Bari, il centro di accoglienza dove era stata, è risultato positivo alla malattia".

Al San Paolo di Milano, punto di riferimento per i suoi ambulatori dedicati agli immigrati, i medici lavorano con la spilla "Io non ti denuncio". Qui il calo dei cosiddetti "stranieri temporaneamente presenti" è stato del 40%, la media dei tre mesi registra un meno 22%. Richieste di intervento in discesa anche al Niguarda e al Fatebenefratelli (-10%).

A capo dell’assessorato regionale alla Sanità c’è il leghista Luciano Bresciani, ma già lo scorso febbraio la direzione generale ha inviato una circolare per ribadire che i clandestini hanno diritto a cure gratuite. Cure che, stando ai primi risultati dell’indagine pilota avviata dall’Asl (guidata dalla leghista Cristina Cantù), ammonterebbero a 15 milioni l’anno. Anche il governatore Piero Marrazzo ha inviato una circolare ai medici del Lazio, ma per ribadire che non devono ottemperare alla denuncia. Una norma sulla quale ha espresso preoccupazione anche il consiglio di facoltà di Medicina del Gemelli.

Da inizio anno a metà aprile gli accessi degli stranieri nei 39 principali ospedali del Lazio, dicono i dati dell’Agenzia sanità pubblica, sono stati 4.789 rispetto ai 6.433 del 2008. Al San Camillo sono passati da 748 a 573, al Tor Vergata da 239 a 63. Al Casuino da 1.640 a 1.589. Ma qui - dove il responsabile del dipartimento di emergenza Adolfo Pagnanelli ha fatto firmare ai "suoi" medici una dichiarazione in cui si impegnano a non denunciare e per comunicarlo ai pazienti ha fatto affiggere cartelli in sette lingue - è la "fuga" di romeni che colpisce: meno 18%.

Cartelli in più lingue sono stati affissi su richiesta dei governi regionali anche in Emilia Romagna, Puglia, Sicilia. In Liguria il debutto è atteso a ore. In Piemonte i manifesti sono in fase di ideazione. Tutte Regioni che hanno inviato anche circolari ad hoc per ribadire che l’unica norma in vigore è quella contenuta nel testo unico sull’immigrazione che prevede il divieto di denunciare i pazienti.

"Faremo ricorso alla Consulta perché quella norma è incostituzionale", annuncia l’assessore alla Sanità della Toscana Enrico Rossi. Al Careggi di Firenze gli irregolari sono passati da 145 a 122, preoccupa la diserzione del consultorio femminile. Per la Puglia il governatore Niki Vendola ha annunciato una "norma speciale" contro quella nazionale. Tutti obiettori i medici del Simeu. Il cartello al San Paolo di Bari: "Qui non denunciamo nessuno".

E non sono solo i governatori di centrosinistra a portare avanti la battaglia. Il presidente della Sicilia Raffaele Lombardo ha voluto che all’interno della legge di riordino del sistema sanitario fosse introdotto un emendamento: "A tutti le cure ambulatoriali e urgenti senza che ciò implichi alcun tipo di segnalazione all’autorità".

Immigrazione: scontri a Milano, tra i rifugiati politici e gli agenti

 

Corriere della Sera, 22 aprile 2009

 

L’ultimo assalto, davvero il più furente, dopo quelli in giornata contro la polizia, è al pentolone della pastasciutta, nei corridoi di un’associazione, si chiama Olinda, che si occupa di malati psichici e adesso prova a sfamare 150 immigrati rifugiati politici.

Penne rigate e sugo misto, mischiando quel che c’è in cucina: tanto pomodoro, un filo di pesto; piatti di plastica, dieci penne rigate a testa. All’ora dell’aperitivo, all’ex manicomio Paolo Pini, un cui antico reparto ospita Olinda, l’assalto è di stomaco e non di gambe. Quelle sono andate fin troppo. Gli immigrati, africani, in mattinata sono stati obbligati a lasciare un residence dismesso che avevano occupato. Da lì, hanno provato a invadere i binari di una ferrovia le corsie di una superstrada. È durata nove ore.

Nove ore. Manganellate. Due quartieri in affanno, Bruzzano dove c’è il residence e la Comasina, quartieri confinanti nel nord di Milano. Feriti sette africani e un agente. Uno dei sette è Tsabeh, eritreo. Un bernoccolo sulla fronte quasi gli copre un occhio. Tsabeh dice: "Mi fa male". Perché sei finito negli scontri? "Non lo so". Perché protesti? "Per la casa".

Il Comune ha offerto, e continua a offrire, posti letto nei dormitori e strutture protette per mamme e figli. Abbiamo parlato di 150 stranieri: in realtà, in totale, gli africani sono 299 e molti ieri sono andati altrove, chi a lavorare, chi lontano per paura delle forze dell’ordine. Dei 299, 210 sono eritrei; gli altri sudanesi, etiopi, somali. Due i bimbi, uno di due mesi e l’altro di quattro: dormiranno per tutta la giornata, nonostante la vicinanza, a bordo dei loro passeggini, alle manganellate della polizia che respingeva le avanzate (sulle ferrovie un treno è stato fermato a pochi metri, in superstrada investimenti evitati per centimetri).

Dove finiranno i rifugiati politici? Il Comune non arretra: o dormitori o niente. Rifondazione e Sinistra critica: "Si trattano persone che rischiano la vita come se fossero dei delinquenti". Gli esponenti dei due partiti non hanno mai mollato gli immigrati. Nemmeno li hanno mollati una ventina di militanti dei centri sociali: secondo alcuni, politici come il vicesindaco Riccardo De Corato e investigatori, sono la "regia delle occupazioni e delle successive mobilitazioni" degli immigrati. Se non sono rifugiati, sono stati rom. È già successo, forse succederà di nuovo, a breve.

Paolus Jakob, 35 anni, da quattro in Italia, alto, baffi, capelli ricci, eritreo, è uno dei tre leader di questi africani itineranti. Una domanda per cominciare: "In sincerità, quanto contano per voi i suggerimenti dei centri sociali?". S’arrabbia, Paolus, sia pur con moderazione e immutata educazione. Dice: "Scappiamo dalle guerre. Se siamo venuti via dall’Africa, una ragione ci sarà. Noi rifugiati politici abbiamo diritto a un programma di assistenza. A Milano, non abbiamo visto nulla".

Vi offrono un posto nei dormitori, dicono che rifiutate. "Meglio stare per strada. Io vivo per strada. Di solito al parco Palestre in centro. C’è una coperta, in un punto. Non me la tocca nessuno. I carabinieri, ormai amici, non mi fermano. Ogni volta è la solita scena. Mi dicono che devo andarmene. Alla fine rimango sempre".

Laura Boldrini, la portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, interrogata sulle vicende milanesi, ha commentato: "Vivere parcheggiati in un dormitorio è scoraggiante. Le chiavi di svolta sono una prospettiva di vita e un lavoro".

È quasi notte, per strada due ragazzetti in motoretta bianca ripetono: "Oh, via da qui i negri. Questo quartiere non li vuole". Arrivano medici e volontari del Naga, quelli che assistono gli stranieri, "specie", è motivo di orgoglio e vanto, "i clandestini". Hanno medicine e hanno coperte, qualche africano chiede della pasta.

Stati Uniti: la svolta di Obama sulle torture praticate dalla Cia 

di Stefano Rizzo

 

Aprile on-line, 22 aprile 2009

 

Il presidente americano ha annunciato la chiusura, entro l’anno, della prigione di Guantanamo, ma ha scelto di evitare i processi contro i responsabili dei maltrattamenti. Una parte del suo elettorato, quello più sensibile alla difesa dei diritti civili, è deluso. Ma i segnali di cambiamento, dalla conduzione della Cia a quella della politica estera, rimangono e sono significativi.

La sinistra americana, i liberal di Moveon.org, i difensori dei diritti civili sono preoccupati: da Obama si aspettavano non soltanto che ponesse fine alle illegalità dell’amministrazione Bush, ma che punisse in modo esemplare i responsabili, a partire dal suo predecessore fino all’ultimo agente e funzionario torturatore.

Così non è stato fino adesso e probabilmente non sarà in futuro. Dopo un periodo di riflessione, il nuovo presidente ha annunciato che non ci saranno processi. Le cose cambieranno, ma senza regolamenti di conti. Affermare, come ha fatto Obama, che "l’America non tortura" è già qualcosa, forse molto, ma per chi si è battuto perché i responsabili siano puniti è ancora troppo poco: senza punizione non c’è nessuna garanzia che le gravi violazioni di legge di otto anni di presidenza Bush non si ripetano.

C’è poi una considerazione giuridica. Affermare, come ha fatto Obama, che gli agenti della Cia non saranno puniti perché "hanno obbedito agli ordini dei loro superiori" e questi hanno seguito le direttive della Casa bianca, non è un argomento sostenibile. Non lo è proprio da parte degli Stati Uniti che nell’immediato dopoguerra istituirono il tribunale di Norimberga per giudicare i crimini dei gerarchi nazisti che, anche loro, avevano eseguito gli ordini del loro capo in base alle leggi del Reich nazista. L’argomento è ancora meno sostenibile dopo che i tribunali speciali per il genocidio del Ruanda, per la ex-Yugoslavia e infine la Corte penale internazionale hanno stabilito il principio che obbedire agli ordini di un superiore non esonera dalla responsabilità personale quando si commette un crimine contro l’umanità.

Perché non c’è dubbio che i crimini commessi da soldati, agenti della Cia e contractors americani non sono, come avevano argomentato il vicepresidente Cheney e il ministro della difesa Rumsfeld, "forme rafforzate di interrogatorio" necessarie per impedire che peggiori attentati venissero portati a termine. Si è trattato di torture vere e proprie, di pestaggi e finti annegamenti che in numerosi casi hanno portato alla morte del detenuto. Per tacere dei crimini di guerra in senso stretto, come l’uccisione arbitraria di civili e la distruzione sistematica di beni, che sono stati processati in minima parte dalla giustizia militare americana con sentenze, quando ad esse si è arrivati, irrisorie. Ma questo è un altro capitolo degli orrori della "guerra al terrorismo" che il presidente Obama non ha neppure menzionato.

È vero che appena insediato ha annunciato la chiusura di Guantanamo, ma non prima della fine dell’anno. Inoltre non ha menzionato le altre carceri segrete in giro per il mondo, così che recentemente è dovuto intervenire un giudice federale (come già era avvenuto sotto la presidenza Bush) per affermare che le garanzie processuali si applicano a tutti i detenuti nel pieno potere degli Stati Uniti, dovunque si trovino. Quando ancora era senatore Obama aveva approvato una legge che autorizzava le intercettazioni abusive di cittadini americani (anche se in forma più blanda rispetto alla proposta di Bush). Divenuto presidente, nei processi contro presunti terroristi ha fatto propria la posizione del suo predecessore rifiutando di consegnare documenti potenzialmente favorevoli alla difesa per "motivi di sicurezza nazionale". Infine ha ordinato la pubblicazione dei "memo" segreti che giustificavano le torture, ma allo stesso tempo ha dichiarato la non punibilità dei torturatori.

Nel complesso un comportamento contraddittorio, o tiepido, che giustifica le peggiori preoccupazioni dei difensori dei diritti civili. Qual è allora la conclusione? Obama è una sorta di gattopardo che annuncia che tutto cambierà per non cambiare nulla? Un ipocrita che sta già violando le promesse fatte in campagna elettorale e che contraddice i propri principi per non dispiacere all’establishment militare e spionistico?

Personalmente non lo credo. E non perché in poco più di due mesi da quando è presidente Obama ha dimostrato di volere voltare pagina su un gran numero di questioni legate alla politica estera, della difesa e della sicurezza. (Ricordiamole: nuova disponibilità al dialogo con la Russia, l’Iran, la Siria, Cuba, l’America latina; riduzione e riorganizzazione del bilancio della difesa; emanazione di ordini per vietare ogni forma di tortura negli interrogatori dei prigionieri.)

Allo stesso tempo Obama è consapevole che i pericoli di un attacco terroristico agli Stati Uniti ci sono ancora e sono gravi, anzi sono aumentati dopo sette anni di guerre sbagliate che hanno fatto crescere l’odio dei fondamentalisti islamici e la sfiducia del mondo arabo in generale, nel mentre che le zone di crisi - Iran, Afghanistan, Pakistan, Sudan, Somalia - si sono fatte più instabili e pericolose.

Per questo motivo ha bisogno della Cia, ma di una Cia che faccia davvero il proprio mestiere, che è quello dello spionaggio (infiltrazione, raccolta di informazioni, analisi tempestiva) e che - motivi ideali a parte - non "sprechi risorse" per gestire prigioni segrete e non perda tempo a torturare la gente. Soprattutto ha bisogno che la Cia sia autonoma e che, a differenza di quanto avveniva sotto la presidenza Bush, non confezioni le proprie analisi per compiacere il potente di turno.

Uno dei primi gesti del neo-presidente è stato la nomina a capo della Cia di Leon Panetta, un anziano e stimato uomo politico che sa navigare nei meandri della burocrazia di Washington, ma anche un duro che sa farsi obbedire e che (il che non guasta) molto prima di essere nominato si era pronunciato nettamente contro le torture. Ma c’è un’altra nomina ancora più importante e indicativa di quale tipo di Cia Obama voglia, ed è quella di Stephen Kappes a vice di Panetta. Kappes è un veterano della Cia che era stato emarginato e costretto a dimettersi dagli uomini di Bush. È un uomo che viene dalla gavetta del servizio clandestino, cioè dello spionaggio vero e proprio, e ha importanti successi al suo attivo, come l’avere negoziato con Muamar Gheddafi lo smantellamento del programma nucleare libico. Kappes ha diretto in Germania il centro di spionaggio della Cia sull’Iran, parla il farsi e conosce bene la situazione politica iraniana.

È di uomini come Panetta e Kappes e delle migliaia di agenti al loro comando che Obama avrà bisogno per vincere le molte difficili partite della sicurezza che ha ereditato. Vuole una Cia forte e efficace e non può permettersi guerre intestine, come quella che l’ha paralizzata negli ultimi anni. Per questo motivo è andato a Langley annunciando che è arrivato il momento di voltare pagina e ha portato con sé un ramoscello di ulivo: la promessa che nessuno sarà processato.

Belgio: le carceri sono sovraffollate, si cercano celle in Olanda

 

Apcom, 22 aprile 2009

 

Il governo belga ci riprova: troppi detenuti, poche celle, e allora mandiamo quelli in eccesso nelle carceri olandesi, tanto loro hanno posto. Dopo un primo tentativo, fallito un anno fa, di convincere l’amico governo olandese ad accettare un po’ di detenuti belgi (con molti dei quali i paesi bassi condividono la lingua), ed aver bocciato come impraticabile la proposta di carceri galleggianti nel mare del Nord, ecco che sono state riaperte le trattative per superare l’emergenza carceri.

Attualmente sono 10.316 i prigionieri detenuti nelle prigioni belghe, mentre la capacità è solo per 8.456 detenuti. Ciò significa che quattro persone devono spesso condividere una cella per due. Nei Paesi Bassi, invece, il Dipartimento di giustizia ha costruito negli anni carceri con tanto entusiasmo che oggi ci sono quasi 4.000 celle vuote, e le guardie carcerarie hanno paura di perdere i loro posti di lavoro.

Analizzando freddamente questa situazione, che pone problemi a ambedue i Paesi, sono iniziati nuovi colloqui tra il Belgio e i Paesi Bassi per indagare possibilità di cooperazione, spostando condannati belgi nelle carceri olandesi. Il Ministro della Giustizia di Bruxelles Stefaan De Clerck, sottolinea che questa è solo una soluzione temporanea al problema della sovrappopolazione delle carceri, in quanto vi è un progetto pronto per la ristrutturazione delle carceri esistenti e la costruzione di sette nuovi istituti, ma che ci vorrà tempo. Intanto, si potrebbero affittare le celle olandesi. I detenuti ovviamente dovrebbero accettare il trasferimento, ma il ministero si attende che "il comfort che li attende nelle celle olandesi lascia pochi dubbi circa il loro consenso", scrive oggi il quotidiano fiammingo Het Nieuwsblad.

Arabia Saudita: pene detentive sostituite con dei "lavori sociali"

 

Apcom, 22 aprile 2009

 

Sembrano tante e convinte le riforme in cantiere volute dal sovrano saudita Abdullah Bin Abdul Aziz per ammodernare il suo paese. Dopo la nomina della prima donna al governo di Riad e a distanza di una settimana dell’annuncio del ministro della Giustizia del Regno wahabita di voler alzare l’età minima al matrimonio a 17 anni per entrambi i sessi, ecco un nuovo progetto che vuole sostituire le pene detentive con "lavori di utilità sociali" per alcuni reati ancora da definire.

A annunciare la proposta sulle pagine del quotidiano locale al Watan, è stato lo stesso promotore il direttore generale delle carceri saudite, Ali Bin Hussein al Harithi. Al Harithi ha fatto sapere di avere già presentato al sovrano il suo ambizioso progetto in un paese considerato culla dell’islam conservatore e quindi rigido nei confronti di chi commette reato.

La nuova riforma prevede l’individuazione di "una lista dei reati commutabili in lavori socialmente utili". Lavoro che "non dovrà ledere i diritti dell’uomo né la dignità del detenuto" che comunque "dovrà esprimere il suo consenso". "Il piano alternativo al carcere", ha affermato il direttore, seguirà tre criteri principali: "convinzioni del giudice sull’utilità della sostituzione della pena detentiva con lavori volontari"; "preparazione dell’opinione pubblica ad accettare le pene alternative"; e infine "la possibilità ad introdurre modifiche e cambiamenti" al progetto anche dopo la sua attuazione.

 

 

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