Rassegna stampa 5 agosto

 

Giustizia: il carcere unica soluzione? diventa primo problema

 

www.libertiamo.it, 5 agosto 2009

 

Se indubbiamente è vero che la nostra Costituzione in moltissimi punti ha creato o legittimato principi di assoluta civiltà giuridica, allo stesso tempo bisogna notare come proprio tali principi non siano poi concretamente applicati.

È il caso delle disposizioni della nostra Carta Fondamentale in tema di esecuzione penale e detenzione; con l’art. 27, infatti, il Costituente ha stabilito che la pena, prima che essere affittiva, debba perseguire una finalità rieducativa, per consentire il reinserimento del condannato nel tessuto sociale. Principi di assoluta modernità insomma, che oggi risultano più che mai attuali proprio in relazione alle condizioni critiche nelle quali versano le carceri italiane: infatti sono proprio tutte le patologie degli istituti di pena che impediscono, di fatto, la realizzazione concreta di quei principi stabiliti nella nostra Costituzione.

La stessa normativa ordinaria che, proprio in ottemperanza al dettato costituzionale, è stata emanata nel corso degli anni per molti aspetti è rimasta inapplicata per mancanza di risorse, mezzi e personale. Molte disposizioni hanno contribuito a creare all’interno dell’ordinamento penitenziario figure di garanzia dirette esclusivamente a favorire quella rieducazione dei soggetti detenuti, in forza del principio per cui, ai fini della risocializzazione, non è tanto importante "quanto" bensì "come" la pena viene scontata, affinché il soggetto condannato possa uscire dal carcere migliore di quando vi è entrato.

I dati però, meglio di qualsiasi altro discorso, contribuiscono a fornire un esaustivo quadro della situazione: ad oggi la popolazione carceraria è composta da circa 64.000 persone di cui, ed è questo il paradosso, i detenuti condannati in via definita sono la minoranza, mentre il resto della popolazione è sottoposta a custodia cautelare in carcere e dunque in una situazione di presunta innocenza. Moltissimi anche gli extracomunitari presenti nei nostri penitenziari: addirittura 23.500, una cifra davvero enorme, alla quale deve essere posto rimedio quanto prima.

Il legislatore, però, invece di prendere atto della situazione, per porre rimedio alle sue cause, continua a muoversi nella direzione opposta, obbedendo ad una concezione esclusivamente punitiva della pena e del diritto penale in genere, che ha contribuito ad aggravare e non ad arginare la situazione letteralmente esplosiva che, in teoria, è sotto gli occhi di tutti. A tutto ciò ha infatti concorso, da una parte, il sostanziale disinteresse verso i problemi del carcere, della sua gestione e della sua "evoluzione" e dall’altra una creazione spaventosa di norme che hanno introdotto ulteriori, inutili, fattispecie penali (da ultimo, il reato di immigrazione clandestina), e hanno inevitabilmente portato al collasso prima la giustizia penale e poi il sistema penitenziario.

Da un altro punto di vista, tutti i tentativi, pochi in verità, diretti ad alleggerire la situazione carceraria sono stati, da sempre, oggetto di aspre quanto pretestuose critiche, che hanno impedito di attuare una seria politica di alleggerimento degli istituti di pena.

Sono noti a tutti gli attacchi continui alla legge Gozzini, uno dei pochi provvedimenti che, attraverso la predisposizione ordinata e razionale di misure alternative alla detenzione, ha contribuito, almeno in parte, alla realizzazione dei precetti costituzionali in materia di esecuzione della pena ed alla diminuzione del numero di detenuti. Tutti inoltre ricordano le polemiche feroci che si sono scatenate dopo l’approvazione dell’indulto (il cui effetto sul carcere è peraltro già svanito) che avrebbe, secondo molti, liberato pericolosi assassini e delinquenti di ogni sorta.

I numeri dicono il contrario e dimostrano che gli "indultati" hanno mostrato tassi di recidiva non solo inferiori a quelli previsti, ma molto più favorevoli di quelli dei detenuti che, negli anni precedenti, non avevano usufruito di un provvedimento di clemenza (Torrente, 2008).

Dei 27.965 soggetti che alla data di approvazione dell’indulto erano in stato di detenzione, ne sono tornati in cella, dopo 35 mesi, 8.477, cioè il 30,31%; dei 7.829 soggetti beneficiari di misure alternative alla detenzione, che hanno usufruito dell’indulto, ne sono rientrati in carcere il 21,78%, cioè 1705.

A registrare questo andamento (in linea con gli altri tre rapporti sulla recidiva degli "indultati", effettuati 6, 17 e 26 mesi dopo l’entrata in vigore della legge sull’indulto) è lo studio presentato due settimane fa alla Camera da Luigi Manconi e Rita Bernardini, che ha anche evidenziato come la recidiva degli "indultati" sia inferiore rispetto a quella "ordinaria". La rilevazione effettuata dall’Ufficio Statistico del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Leonardi, 2007), ha infatti mostrato come il 68,45% dei soggetti scarcerati nel 1998 sia rientrato in carcere una o più volte, nei successivi 7 anni.

Lo studio conferma inoltre una conosciuta ma non meno inquietante correlazione tra il numero di carcerazioni e il tasso di recidiva: solo il 18,38% dei 11.086 soggetti scarcerati, che erano alla prima esperienza detentiva, hanno fatto reingresso in carcere nei successivi 35 mesi; ma il tasso di recidiva cresce insieme al numero di carcerazioni cui il recidivo è stato sottoposto (43,84% dopo quattro, 52,52% a cinque a più carcerazioni). Il che, ovviamente, non dimostra l’opportunità di "abolire" il carcere tout court (anche per i reati più gravi e i soggetti più pericolosi), ma quella di evitare derive panpenalistiche e "carcere-centriche" delle politiche sulla sicurezza.

Insomma: la "faccia cattiva" che il legislatore assume è rigida ma non rigorosa, dura ma non efficace. Il paradosso è che le politiche "per la sicurezza" accrescono l’insicurezza reale, quelle accusate di essere "lassiste" riducono, in termini relativi, i tassi di criminalità. Comprendiamo come questa rappresentazione possa apparire contro-intuitiva ad un’opinione pubblica confusa. Ma questo trade-off tra "durezza" e efficienza nelle politiche per la sicurezza è tutt’altro che ignoto ai politici che hanno interesse ad accrescere la confusione.

Giustizia: troppi morti in carcere, è una vera "strage di Stato"

di Carmelo Musumeci

 

Lettera alla Redazione, 5 agosto 2009

 

Mi è capitato fra le mani un articolo di giornale tratto dal dossier "Morire in carcere". I primi sei mesi dell’anno si chiudono con un bilancio da "Bollettino di guerra" per le carceri italiane: in 181 giorni sono morti 89 detenuti (1 ogni 2 giorni, in media) e 34 di loro si sono suicidati (Fonte: Ristretti Orizzonti).

Non è un segreto che di carcere in Italia si muore più di qualsiasi paese al mondo. Eppure nessuno ne parla, nessuno affronta il problema delle molte Guantanamo che ci sono in Italia e di tutti questi morti. Su una popolazione di poco più di 60.000 detenuti, 89 morti in 181 giorni, di cui 34 suicidi, non è un bollettino di guerra, è una vera e propria strage di Stato.

Non starebbe a me dire certe cose, io non ho la moralità e l’intelligenza dei nostri governati, politici, intellettuali e uomini di chiesa. Io sono un avanzo di galera, un delinquente e per giunta pure ergastolano. Ma ho il coraggio di chi non ha più speranza, di chi sarà sempre considerato colpevole e scrivo e dico quello che penso anche se a volte le mie lettere vengono trattenute dal magistrato di sorveglianza. Tutti sanno che in Italia il carcere quando va bene è una fabbrica di stupidità umana e quando va male è una fabbrica di morti. È come se chi andasse all’ospedale morisse, invece di guarire. Il carcere così com’è produce carcere, si nutre di male per produrre altro male e nuovi detenuti.

La privazione della libertà non dovrebbe essere considerata l’unica forma di pena. Sì, è vero, il carcere, per qualsiasi classe politica e per qualsiasi governo, porta consensi e voti elettorali, ma sono consensi e voti che grondano di sangue e di morti. Questa non è più giustizia è solo vendetta culturale e sociale di uno Stato ingiusto che guadagna sulla sofferenza sia delle vittime sia degli autori dei reati.

Spesso i buoni fanno i criminali per nascondere di non essere buoni mentre i veri criminali fanno i forcaioli per continuare ad essere criminali. Con il nuovo "pacchetto sicurezza" il governo è andato a gettare benzina in fondo all’inferno. Ma proprio in fondo, nel girone più basso. Dove ci sono uomini che non possono vedere il cielo, che non possono abbracciare i padri, le madri, i figli, uomini che dovranno stare chiusi 22 ore in una cella con solo due ore di aria.

Erode mandò a decapitare Giovanni nel carcere. Quelli che mangiavano con lui a tavola non alzarono un dito contro quell’iniquità, ma continuarono a sganasciare. Col silenzio sono diventati complici. (Fonte: Don Oreste Benzi "Scatechismo" )

Giustizia: troppi detenuti; 11 Regioni oltre capienza tollerabile

 

Ansa, 5 agosto 2009

 

Sono aumentati ancora i detenuti nelle carceri italiane. La presenza negli istituti penitenziari ha raggiunto quota 63.587. È quanto emerge dalle ultime stime del ministero di Grazia e Giustizia aggiornate al 30 luglio scorso.

Sono 11 le regioni che hanno superato la capienza tollerabile per le carceri (Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Veneto), e altre due, Lombardia e Basilicata, sono al limite. È l’allarme del sindacato autonomo di Polizia penitenziaria (Sappe), sulle condizioni delle persone detenute negli istituti penitenziari, con dati aggiornati a ieri.

In Emilia-Romagna, registra il sindacato secondo il quale le carceri italiane "si sono ridotte a meri depositi di vite umane", sono 4.700 le persone detenute: più del doppio della capienza regolamentare (circa 2.300 persone), e oltre la capienza tollerabile che è di 4.000 persone. Tutto ciò, a fronte di un organico di Polizia penitenziaria che non raggiunge il 72% di quello previsto. La carenza di organico maggiore si registra in Liguria, dove sono in servizio 857 poliziotti rispetto ai 1.264 previsti, mentre le persone detenute hanno superato del 140% la capienza regolamentare.

"A livello nazionale - ha sostenuto il segretario Sappe, Donato Capece - la carenza di organico è ancora più incredibile: sono in totale in servizio 35.300 persone e, considerati il servizio di traduzioni, i piantonamenti, i turni di servizio, i riposi e le assenze, ci si può facilmente rendere conto di come l’emergenza penitenziaria è di fatto deliberatamente addossata sulla polizia penitenziaria, mentre il ministro della Giustizia Alfano e il capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Ionta si rimbalzano le responsabilità e progetti di edilizia penitenziaria che non inizieranno se non nei prossimi anni".

Giustizia: trattamento inumano a detenuto, Italia condannata

 

Corriere della Sera, 5 agosto 2009

 

La decisione della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo: 1000 euro per trattamenti inumani.

L’Italia è stata condannata a risarcire un detenuto bosniaco per i danni morali subiti a causa del sovraffollamento della cella in cui è stato recluso per alcuni mesi nel carcere di Rebibbia. A stabilire che Izet Sulejmanovic, condannato per furto aggravato a due anni di detenzione, è stato vittima di "trattamenti inumani e degradanti" è la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo sulla base del ricorso presentato dal detenuto. Tra il novembre 2002 e l’aprile 2003, secondo quanto accertato dalla corte, Sulejmanovic ha condiviso una cella di 16,20 metri quadri con altre cinque persone disponendo, dunque, di una superficie di 2,7 metri quadri entro i quali ha trascorso oltre diciotto ore al giorno.

Standard - La corte, nella sua decisione, rileva come la superficie a disposizione del detenuto è stata molto inferiore agli standard stabiliti dal Comitato per la prevenzione della tortura che stabilisce in 7 metri quadri a persona lo spazio minimo sostenibile per una cella. La situazione per il detenuto è poi migliorata essendo stato trasferito in altre celle occupate da un minor numero di detenuti, fino alla sua scarcerazione nell’ottobre del 2003. Per questo la corte ha condannato l’Italia a un risarcimento di mille euro nei confronti di Sulejmanovic.

Indennizzi - "Poiché in Italia i detenuti (circa 64 mila) che vivono in condizioni di sovraffollamento sono la quasi totalità - dichiara Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone che si batte per i diritti nelle carceri - lo Stato rischia di dover pagare 64 milioni di euro di indennizzi". "La condanna dell’Italia da parte della corte dei diritti dell’uomo impone al governo soluzioni definitive per le carceri - dice Gonnella - e mette definitivamente fuori legge l’attuale gestione del sistema penitenziario".

Ionta - Franco Ionta, capo dell’attuale Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, evita di commentare la sentenza ma si limita ad osservare che "i mille euro sono di equo indennizzo perché l’arco temporale sofferto dal ricorrente è stato molto limitato. La condizione carceraria del bosniaco, tra l’altro, viene definita più che accettabile (anche dal punto di vista dell’assistenza sanitaria) visto che il detenuto trascorreva almeno dieci ore al giorno fuori dalla cella per svolgere altre attività. Personalmente non mi risultano ricorsi dello stesso genere pendenti davanti alla Corte di Strasburgo e non credo che casi denunciati dal detenuto bosniaco siano oggi così diffusi in Italia".

Giustizia: Radicali; il Capo Dap Franco Ionta si deve dimettere

 

Agi, 5 agosto 2009

 

"Se davvero il dott. Ionta ha detto ai giornalisti di non credere "che casi denunciati dal detenuto bosniaco siano oggi così diffusi in Italia", occorrono le sue immediate dimissioni e la sua immediata sostituzione al fine di governare la drammatica situazione delle carceri".

Lo dichiarano Rita Bernardini, deputata radicale eletta nel Pd e membro della Commissione Giustizia della Camera e dell’avv. Giuseppe Rossodivita, segretario del Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei, in merito alle dichiarazioni del Capo del Dap sulla condanna inflitta della Corte di Strasburgo allo Stato Italiano per le condizioni relative alla detenzione patita dal detenuto bosniaco, ristretto in condizioni inferiori agli standard stabiliti dal Comitato per la prevenzione della tortura che stabilisce in 7 metri quadri a persona lo spazio minimo sostenibile per una cella.

"Il dott. Ionta - continuano gli esponenti radicali - mostra di non conoscere la realtà di un sistema carcerario al collasso, che ogni giorno infligge ai detenuti, circa la metà dei quali presunti innocenti, pene ulteriori, rispetto alla privazione della libertà cui sono sottoposti" e "mostra di non ascoltare il grido di allarme proveniente dagli operatori della polizia penitenziaria, il dott. Ionta mostra di non credere neppure a quello che dice il suo ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che già da diverse settimane ha ammesso e confessato che le carceri italiani e le condizioni cui sono costretti i detenuti sono fuori dalla legge e dalla Costituzione".

I numeri precisi sulle carceri, aggiungono Bernardini e Rossodivita, "li avremo dopo la tre giorni di Ferragosto in cui i Radicali Italiani stanno organizzando la più imponente visita ispettiva nelle carceri italiane, con oltre cento deputati, eurodeputati e consiglieri regionali di tutte le forze politiche che hanno già dato la loro disponibilità a visitare le oltre 200 carceri della penisola".

Giustizia: Nieri (Lazio); noi inviteremo i detenuti a fare ricorso

 

Asca, 5 agosto 2009

 

"Nei prossimi giorni visiteremo le carceri del Lazio per verificare se esistono altri casi simili a quello del detenuto bosniaco Izet Sulejmanovic per il quale la Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso una sentenza di condanna nei confronti dell’Italia per "trattamenti inumani e degradanti". È quanto dichiara l’assessore al Bilancio della Regione Lazio Luigi Nieri. "È inaccettabile, infatti, secondo Neri, che un essere umano possa trascorrere i propri giorni in meno di 3 metri quadri. Si tratta di una pena accessoria lesiva della dignità della persona".

"Laddove dovessimo riscontrare situazioni analoghe - aggiunge l’assessore- inviteremo i detenuti a fare ricorso alla Corte Europea. Sono sicuro che sono molti i detenuti delle carceri laziali che vivono in queste condizioni, visto l’alto tasso di sovraffollamento di istituti come quelli di Viterbo e Latina, che ho recentemente visitato". "Voglio infine ricordare al Sindaco di Roma Gianni Alemanno - continua - che la costruzione di nuove carceri non può essere la soluzione del grave sovraffollamento, vista la crescita esponenziale della popolazione detenuta". "Il Governo - conclude Nieri - pensi piuttosto a mettere mano a leggi come quelle sulla droga e sull’immigrazione".

Giustizia: Antigone; "mai così grave" la situazione nelle carceri

 

Asca, 5 agosto 2009

 

Quella che si sta vivendo nei penitenziari italiani "è la situazione più grave di sempre, in alcune carceri la normalità è avere letti a tre piani, e si riesce con grande difficoltà ad avere spazi di vita quotidiana". Lo afferma il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella, rilevando che la situazione italiana "si è trascinata fino ad avere una sentenza di condanna inequivocabile, basata sugli standard europei. Ci sono altri 63.500 detenuti che potrebbero chiedere un indennizzo e ottenerlo".

Gonnella chiede che ci sia una "giustizia meno discriminatoria": nelle nostre carceri, osserva, "il 51% dei detenuti sono in custodia cautelare, un dato che solo in Turchia è superiore al nostro". Altissimo, poi, sottolinea ancora il presidente di Antigone, è il numero degli stranieri in cella "poiché in Italia nei confronti degli immigrati si fa ricorso solo alla misura cautelare in carcere". Tale ondata di sovraffollamento, aggiunge, "non si risolverà con piani di edilizia penitenziaria da realizzare in tre anni e senza previsione di fondi", riferendosi al piano che il capo del Dap Franco Ionta sta mettendo a punto su incarico del Guardasigilli Angelino Alfano.

"Speriamo regga la legge Gozzini - conclude Gonnella - che è l’unico strumento che impedisce le rivolte. Servono più misure alternative, ma anche una riduzione dei tempi di custodia cautelare e delle pene per spaccio da parte dei tossicodipendenti. Inoltre, non va previsto il carcere per lo straniero che non ottempera al decreto di espulsione, mentre bisognerebbe porre un limite agli ingressi in carcere oltre un certo numero di detenuti già presenti: insomma, come si fa in America, creare delle liste d’attesa, disponendo nel frattempo gli arresti domiciliari".

Giustizia: Alemanno; situazione critica, costruire nuove carceri

 

Il Velino, 5 agosto 2009

 

"La situazione carceraria in Italia continua a essere critica. Bisogna costruirne di nuove, perché c’è una situazione di sovraffollamento che rappresenta un supplemento di pena che va al di là di quelli che sono i termini della Costituzione". Lo ha affermato il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, intervenendo oggi alla sigla dell’accordo tra il Campidoglio, la multi-utility capitolina Ama e il Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap).

Il protocollo prevede il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti impegnati nel recupero del patrimonio ambientale di Roma. Secondo il sindaco, "bisogna rendere più efficace il sistema carcerario perché spesso molte scarcerazioni facili vengono giustificate, in maniera sbagliata, proprio per il sovraffollamento. Dobbiamo avere un sistema carcerario più efficiente - ha detto Alemanno - sia per garantire i diritti delle persone sia la sicurezza dei cittadini". Il protocollo presentato oggi in Campidoglio prevede l’utilizzo di 20 detenuti del carcere di Rebibbia come spazzini il giorno di Ferragosto.

L’accordo vedrà una prima fase di formazione dei detenuti, della durata di quattro ore, svolta da personale Ama nello stesso carcere romano. Il 15 agosto, invece, i 20 volontari, divisi in due turni, dalle 8 alle 11 saranno impegnati nel IV Municipio nella pulizia dei giardini di Via Val Padana, mentre nel V Municipio, ripuliranno l’are di fronte alla stazione della metropolitana di Santa Maria del Soccorso.

Insieme ai detenuti ci saranno anche operatori del Comune di Roma e tecnici Ama che forniranno supporto organizzativo e anche attrezzature e i mezzi per la raccolta e la rimozione del materiale. Il servizio di vigilanza e controllo sarà garantito dal Gruppo operativo mobile della Polizia penitenziaria. I detenuti-volontari, oltre a percepire un rimborso pari a 7,5 euro l’ora, potranno anche usufruire dei benefici previsti dalla legge penitenziaria come il permesso premio o il lavoro esterno al carcere. Ama, infine, provvederà alla copertura assicurativa e previdenziale dei detenuti.

"Nel momento di massima pausa dal lavoro - ha detto il primo cittadino - scendono in campo i detenuti: è un’immagine bella e simbolica di quello che accadrà grazie a questo protocollo. Ci auguriamo si possa arrivare a un uso sistematico dei detenuti per la pulizia della città e la lotta al degrado, che ci consentirebbe di abbattere i costi e aprire un canale di avviamento al lavoro e al reinserimento nella società. Speriamo di essere la prima città in Italia a passare dalla sperimentazione a un loro impiego stabile".

A chi gli chiedeva se questo accordo potesse essere una delle pene alternative da comminare ai bulli ai o ai writer che imbrattano i muri della Capitale, Alemanno ha spiegato che, "questa era l’idea. Ma ci vuole una modifica di legge. Il modo migliore per punire i bulli e chi fa le scritte sui muri è costringerli a ripulire e a risistemare l’area che hanno devastato. Ma sono necessarie leggi su cui il governo sta faticosamente cercando di trovare una soluzione".

Giustizia: Alemanno; errore scarcerare per il sovraffollamento

 

Ansa, 5 agosto 2009

 

Bisogna rendere più efficiente il sistema carcerario, perché spesso molte scarcerazioni facili vengono giustificate, in maniera sbagliata, in ragione del sovraffollamento. Lo ha dichiarato il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, questa mattina a margine della firma in Campidoglio di un protocollo d’intesa col Dipartimento di amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia, finalizzato al reinserimento socio-lavorativo dei detenuti.

Un sistema più efficiente - ha continuato il sindaco - è necessario sia per garantire situazioni di umanità e di diritti delle persone, che la sicurezza dei cittadini. L’idea migliore per punire i bulli o chi fa le scritte sui muri sarebbe quella di costringerli a ripulire e a sistemare l’area che hanno devastato. È la proposta che il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha lanciato questa mattina in Campidoglio a margine della firma di un protocollo d’intesa col Dipartimento di amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia, finalizzato al reinserimento socio-lavorativo dei detenuti. Per concretizzare questa idea di pene alternative, ha aggiunto Alemanno, occorre una riforma di legge che il governo sta perfezionando, cercando faticosamente di trovare una soluzione precisa.

Giustizia: Ugl; troppi gli agenti aggrediti, la situazione è grave

 

Sesto Potere, 5 agosto 2009

 

"Apprendiamo con preoccupazione quanto accaduto nel carcere di Napoli Poggioreale e nel carcere di Cuneo azioni che, dopo Benevento e Ravenna, continuano a dimostrare la gravità della situazione negli istituti penitenziari". Lo sostiene il segretario nazionale dell’Ugl Polizia penitenziaria, Giuseppe Moretti, spiegando che "la drammatica situazione degli istituti deriva sia da un grave stato di sovraffollamento che l’Ugl denuncia ormai da tempo e che dalla scarsità di personale in questo periodo. L’amministrazione penitenziaria, inoltre, non facilita i rapporti con le organizzazioni sindacali e per questo molte delle problematiche rimangono irrisolte per la mancanza di provvedimenti concordati".

"L’Ugl da parte sua continuerà la sua opera di sensibilizzazione: una delegazione sindacale, infatti, trascorrerà il Ferragosto nel carcere Montorio di Verona, per essere vicina ai colleghi che saranno in servizio".

Giustizia: Maroni; regolamento pronto, da sabato via a ronde

 

La Repubblica, 5 agosto 2009

 

"Siamo pronti, in settimana firmo il decreto che stabilisce le regole per l’attuazione delle cosiddette ronde, e dall’8 agosto si parte". L’annuncio è del ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che spiega: "Con il nostro modello, il sindaco valuta, decide se vuole o meno le ronde e nel caso stipula convezioni con delle associazioni.

Poi interviene la Prefettura, che si limiterà a fare controlli su chi partecipa. Mi sembra che tutto questo basti a evitare che sulle strade ci finiscano dei matti". Dal centrosinistra pioggia di critiche. Furio Colombo del Pd le paragona alle squadracce fasciste. Il ministro della difesa La Russa riassume l’umore del Pdl: "Non sono risolutive ma aiutano". Il sindaco di Roma, Alemanno, dichiara: "Non ci piacciono. Roma punta sul volontariato". "No" di Maroni alla richiesta del ministro Scajola di estendere la sanatoria di colf e badanti ad altri settori.

Umbria: "carceri piene", Presidente Regione scrive a Ministro

 

www.comune.terni.it, 5 agosto 2009

 

A seguito dell’incontro di qualche giorno fa a Palazzo Cesaroni tra l’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale dell’Umbria e le rappresentanze delle organizzazioni sindacali degli agenti di polizia penitenziaria, il presidente del Consiglio Fabrizio Bracco ha scritto una lettera al ministro della Giustizia Angelino Alfano, indirizzandola anche al responsabile del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia, Franco Ionta, per sollecitare "un più equilibrato rapporto tra gli istituti in Umbria, gli addetti e la popolazione carceraria".

Bracco fa presenti le preoccupazioni espresse dalle forze politiche, di maggioranza e di opposizione, presenti in Consiglio regionale e, più diffusamente, dalla cittadinanza umbra riguardanti il trasferimento di numerosi detenuti nelle carceri della regione. Dalle informazioni di cui si dispone, risulta che duecento reclusi provenienti da penitenziari del meridione troveranno collocazione in un nuovo padiglione del carcere di Perugia, mentre altri trecento sono destinati all’istituto di Spoleto.

"A fronte di tale considerevole incremento della popolazione carceraria - scrive Bracco - pare non corrispondere un adeguato rafforzamento del personale dell’amministrazione penitenziaria addetto allo svolgimento dei necessari servizi presso gli istituti detentivi. Le unità di personale aggiuntive che si prevede di destinare ai penitenziari interessati dalla ricollocazione della popolazione carceraria - prosegue - vengono stimate, da parte di chi opera presso gli istituti coinvolti, come largamente insufficienti a fronteggiare la nuova situazione. La già difficile condizione ambientale delle carceri rischia, a parere degli addetti stessi, di aggravarsi al punto tale da provocare il collasso della gestione degli istituti di reclusione".

Il presidente del Consiglio si sofferma anche sulla tipologia dei detenuti da trasferire in Umbria, riconducile alla criminalità comune, che può avere riflessi sia sul piano dell’ordine e della sicurezza interna ed eventualmente anche esterna agli istituti stessi. Bracco parla anche delle possibili conseguenze per quanto attiene alla gestione dei servizi sanitari ai detenuti, che finiscono per gravare sul Servizio sanitario

regionale.

Reggio Calabria: un detenuto di 24 anni muore suicida in cella

 

www.newz.it, 5 agosto 2009

 

Antonio Virelli, 24enne di Cutro detenuto in attesa di giudizio presso la Casa Circondariale di San Pietro, è morto lunedì sera. Per la Casa Circondariale non vi sono dubbi, il giovane si sarebbe suicidato impiccandosi.

La madre e i parenti del giovane, che non accettano l’ipotesi che il loro congiunto possa aver deciso di togliersi la vita, assistiti dall’avvocato Piero Pitari (che ha delegato l’avvocato Gianfranco Giustra) hanno dato incarico al medico-legale Aldo Barbaro di presenziare all’autopsia.

Esame autoptico che il sostituto pm di turno, Carmela Squicciarini, ha disposto sulla salma del giovane, e che è stato eseguita ieri pomeriggio presso la sala mortuaria degli Ospedali Riuniti dal medico legale della polizia, Mario Matarazzo. Brevissimi momenti di tensione si sono registrati fino all’arrivo del consulente di parte.

Dalle prime risultanze dell’autopsia, che ad ogni modo dovranno essere corroborate dai risultati degli esami clinici, sembrerebbe confermata la dinamica del suicidio mediante impiccagione. Ad un primo esame, infatti, non vi sarebbe nulla che possa far propendere per una diversa dinamica, come invece paventato dalla famiglia del giovane.

Antonio Virelli, già noto alle forze dell’ordine, era stato arrestato nel luglio dello scorso anno per stupefacenti, e il mese successivo per tentato omicidio. Nella frazione Steccato di Cutro, dove abitava, aveva chiesto a un vicino di caricare la batteria scarica della propria automobile collegandola alla sua. Al garbato rifiuto del vicino, un giovane 28enne che temeva che la centralina elettrica della sua autovettura potesse rimanere danneggiata, Virelli era rientrato in casa e subito ne era riuscito armato di coltello.

Dopo aver scagliato un sasso contro l’autovettura del vicino, quando questi era sceso per strada gli aveva sferrato una coltellata alla gola, che solo per miracolo non l’ha ucciso. Con questa ipotesi accusatoria i carabinieri lo avevano tratto in arresto. A ottobre sarebbe dovuta celebrarsi l’udienza. Il giovane, appassionato di body building, come racconta lo zio, recentemente soffriva di stati d’ansia.

Livorno: Arci; impossibile dare adeguato sostegno ai detenuti

 

Il Tirreno, 5 agosto 2009

 

Alle Sughere "è oggettivamente impossibile garantire un’alta qualità dell’accoglienza e dell’ospitalità, un’adeguata cura alle problematiche (psicologiche, esistenziali, sociali) di tutti i singoli detenuti e un valido sostegno alle persone che più ne avrebbero bisogno".

A pochi giorni dall’ennesimo suicidio avvenuto in carcere, l’Arci interviene con una lunga presa di posizione nella quale il presidente Marco Solimano e Alessio Traversi, operatore socio-culturale con una lunga esperienza d’attività all’interno del carcere, esprimono "forte rammarico e grande preoccupazione" per la scomparsa del detenuto proveniente da Ascoli.

Solimano e Traversi affermano, senza mezzi termini, che "gli ultimi anni sono stati particolarmente difficili per la Casa circondariale di Livorno". E continuano spiegando come i tratti dominanti siano "il sovraffollamento, la carenza di personale di custodia e di personale civile, la fatiscenza di una buona parte della struttura: una significativa area dell’edificio, in cui sono ospitate alcune sezioni detentive, avrebbe bisogno di un radicale intervento di ristrutturazione, mentre un’altra vasta area, che include lo spazio originariamente dedicato ai colloqui e la sala polivalente, fondamentale per la sua funzione di luogo di incontro e lavoro collettivo, è stata recentemente chiusa per inagibilità dal Genio Civile".

Secondo l’Arci, per salvare detenuti come Emilio Angelini ("Uno che aveva una storia simile a quella di tanti che abitano le carceri italiani, fatta di solitudine e di sradicamento") è necessario esser loro vicini, "coinvolgerli, provare a dare un senso alla loro pena, farli sentire comunque cittadini, dargli una mano a rielaborare un percorso di vita, se necessario ripartendo da zero.

E bisogna nello stesso tempo chiedere con forza alle autorità e alle istituzioni preposte che le risposte e le soluzioni arrivino, e velocemente, pretendendo che le nostre carceri diventino mondi a misura d’uomo più di quanto non lo siano oggi". "Invece di invocare l’espulsione delle carceri dalle città e il ritorno di medievali navi-prigione - concludono Solimano e Traversi - bisogna continuare a lavorare perché il carcere non sia percepito come un’isola rimossa dal tessuto cittadino: attraversandolo, standoci dentro, permettendo uno scambio continuo tra interno ed esterno".

Lecce: Sappe; 1.340 detenuti e nelle celle 1,5 mq ogni persona

 

Comunicato stampa, 5 agosto 2009

 

La segreteria regionale del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria, maggior sindacato di categoria, deve sottolineare come negli ultimi tempi ci sia un esodo di detenuti stranieri, trasferiti dal Dap, presso le carceri pugliesi soprattutto quello leccese, con ulteriori preoccupanti ripercussioni sulla sicurezza dei penitenziari stessi.

Ormai a Lecce a fronte di 660 posti disponibili, sono detenuti circa 1.340 detenuti di cui oltre 300 stranieri per una percentuale di quasi il 25% della forza presente di cui una forte rappresentanza di detenuti magrebini, i più attivi nel fomentare disordini, come le risse con detenuti italiani avvenute negli ultimi giorni che hanno anche causato danni fisici ai poliziotti penitenziari, (che con professionalità hanno riportato la situazione sotto controllo), e che hanno costretto la Direzione dell’Istituto a raggruppare gli stessi in un’unica sezione detentiva.

Il Sappe ritiene che in una nazione c.d. civile sia fondamentale rispettare la Costituzione che parla di pena non afflittiva, ma tendere alla rieducazione del detenuto" come pure i diritti minimi dei detenuti che prevedono un spazio minimo vitale stabilito dalle Leggi europee che prevedono almeno 7 mq per ogni detenuto, mentre ora si riesce ad assicurare non più di un metro e mezzo, tale violazione è costata all’Italia una condanna per tortura da parte Corte di Giustizia europea.

In questa grave emergenza la Polizia Penitenziaria, unico baluardo a difesa della legalità all’interno delle carceri, è costretta ad operare con le armi spuntate a causa della grave carenza di organici e senza mezzi adeguati (sarebbero necessari almeno 200 unità).

A Lecce la situazione è grave e non ci sono segnali che possano far pensare che situazione possa migliorare poiché al sovraffollamento si aggiungono le gravi problematiche più volte denunciate e mai risolte, a partire dalla carente assistenza sanitaria ed infermieristica (che alimenta forti tensioni) che ha fatto aumentare di quasi il 50% (dalle 700 visite dei primi 7 mesi del 2008 si è passato ad oltre 1.000 per lo stesso periodo del 2009) l’accompagnamento dei detenuti dal carcere ai presidi sanitari della zona, con ovvi pericoli alla sicurezza pubblica nonché ulteriore aggravio di lavoro dei poliziotti penitenziari che in questo periodo sono quasi costretti a rinunciare alle ferie.

È inaccettabile poi che in periodo di così particolare calura nelle ore pomeridiane nella maggior parte del Penitenziario, i rubinetti siano a secco generando ulteriori proteste da parte dei detenuti.

 

Segreteria Regionale Sappe

Lucca: un carcere ai limiti del collasso ed i detenuti protestano

 

La Nazione, 5 agosto 2009

 

La protesta dei detenuti del "San Giorgio" avvenuta l’altra notte, di cui abbiamo dato notizia in esclusiva nell’edizione di ieri, rischia di essere la prima di una lunga serie. L’agitazione è ripresa ieri sera verso le 22,30 con caratteristiche definite "pacifiche".

D’altra parte ormai è un tam-tam che ha già coinvolto una quarantina di case circondariali italiane. Cuore del problema e dunque primo motivo della protesta dei detenuti è il sovraffollamento al "San Giorgio" come nelle altre strutture italiane. Nelle celle di sei metri quadrati del carcere cittadino sono costretti a convivere tre detenuti, con i letti a castello.

Il caldo record e prolungato degli ultimi giorni ha fatto saltare ogni equilibrio possibile. Così sabato sera si era arrivati al lancio di uova e di altri oggetti e all’incendio di materassi e lenzuola, tanto che c’erano stati casi di leggera intossicazione da fumo fra i detenuti e gli agenti di custodia. Ieri sera soltanto rumori e subbuglio con le pentole sbattute contro le porte metalliche.

Rumori che sono stati subito percepiti in tutta la zona di via San Giorgio mettendo nuovamente in allarme i residenti. Dopo le tensioni di sabato sera e alla luce della notizia da noi pubblicata ieri, i residenti temono che possa accendersi un vero e proprio scontro che finirebbe per coinvolgere tutto il quartiere anche per la necessaria presenza all’esterno della casa circondariale delle forze dell’ordine.

"È una situazione annunciata da tempo - commenta amaramente Antonino Sodano del Sindacato autonomo Polizia penitenziaria - Da anni si parla di sovraffollamento e di mancanza di personale e la situazione si è aggravata sempre più. Ormai non possiamo più operare come potremmo. La pianta organica del San Giorgio prevede 135 unità di Polizia penitenziaria.

In realtà oggi siamo appena 92 e ce ne sono altri 5 in convalescenza dall’ospedale militare per patologie ansiose e depressive. Negli ultimi dieci anni la maggior parte degli agenti sono andati in pensione in anticipo non avendo più l’idoneità al servizio. Ciò a causa dello stress eccessivo".

 

Quanti sono oggi i detenuti nel San Giorgio?

"Siamo a 185 persone contro i 110 posti che può contenere. Due terzi dei detenuti sono stranieri, magrebini o dei paesi dell’est europeo: in particolare Romania e Albania".

 

Al di là del sovraffollamento quali sono gli altri problemi del carcere di Lucca?

"La struttura è troppo antica, avendo avuto origine oltre 1300 anni fa, e dunque inadeguata. Con queste condizioni di temperatura la convivenza diventa veramente difficile. Ormai si sente la mancanza di un’adeguata manutenzione ordinaria e periodica. Ci sono mattonelle che saltano un po’ ovunque, dalle strutture di cemento armato escono i ferri, gli intonaci si staccano e rischiano di cadere. Tutto ciò comporta anche elevati rischi per la salute".

 

Per esempio?

"Convivere in spazi molto ristretti e con scarsa sicurezza delle strutture è già un pericolo, a questo si devono aggiungere le invasioni di topi o di piccioni e dunque anche di altri animali e parassiti che rendono ancora più precarie le condizioni di vita e che potrebbero diventare focolaio di malattia per tutti".

 

Cosa intende fare il sindacato Sappe di fronte a questa situazione?

"Abbiamo già proclamato da tempo lo stato di agitazione e siamo in attesa di risposte. Purtroppo per l’intero sistema carcere non si intravedono concrete ipotesi su come uscirne da questa emergenza. Spetta al potere legislativo dare risposte. Noi se non avremo risposte dall’Amministrazione faremo manifestazioni di protesta anche eclatanti. Non è possibile vivere in situazioni di continua eccezionalità ed emergenza. Alla fine ci vanno di mezzo anche le nostre famiglie costrette a vederci rinunciare alle giornate di riposo e alle ferie per poi arrivare al congedo anticipato perché vittime di patologie quali ansia e depressione".

 

Cosa sperate dopo quanto è avvenuto l’altra notte?

"L’augurio è che qualche politico e amministratore venga a trovarci per verificare la situazione e poi si impegni perché possa essere superata questa situazione".

 

Dinelli in visita al carcere: è una protesta pacifica"

 

Mentre anche nella notte tra lunedì e martedì è andata avanti la protesta dei detenuti del carcere di San Giorgio, il consigliere regionale Maurizio Dinelli ha visitato la casa circondariale per accertare la eventuale situazione di difficoltà che negli ultimi giorni è esplosa nella struttura.

Al termine, il consigliere regionale ha fatto un breve resoconto. "Ho avuto modo - ha dichiarato Dinelli - di parlare con la direttrice del carcere e con alcuni rappresentanti del personale di polizia penitenziaria che hanno dimostrato grande professionalità e sensibilità umana nel gestire la protesta dei detenuti. Una protesta, quella divampata l’altra notte e relativa al sovraffollamento del carcere che, per ora, viene condotta con metodi pacifici al solo scopo di attirare l’attenzione sulle condizioni in cui vivono i detenuti.

Il problema della emergenza penitenziaria - ha proseguito Dinelli - riguarda tutto il Paese e non può, purtroppo, essere risolta in tempi brevi. Mi impegnerò, tuttavia, a sensibilizzare il ministero e i parlamentari del nostro territorio affinché prendano atto della difficile situazione del penitenziario di S. Giorgio". È probabile che la stessa direzione del carcere stia cercando di raggiungere un’intesa con i detenuti.

Ivea: l'Osapp; 5 detenuti si sono auto-mutilati e 5 agenti feriti

 

Redattore Sociale - Dire, 5 agosto 2009

 

Ieri nel carcere di Ivrea cinque detenuti, tutti di nazionalità algerina, per protesta si sono auto-mutilati utilizzando lamette da barba. Dopo l’intervento della polizia penitenziaria per sedare la rivolta, cinque agenti sono finiti in ospedale "per accertamenti sanitari per possibile rischio contagio; uno ha riportato anche la rottura della mano".

A riferirlo è il segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Polizia Penitenziaria), Leo Beneduci, che invoca l’intervento del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, definito "ministro smaterializzato". "Il fatto l’abbiamo appreso solo oggi - spiega l’esponente dell’Osapp - ma è avvenuto ieri alle 13 nella sezione primo livello della casa circondariale eporediese.

Lo spettacolo che si mostrava agli agenti penitenziari intervenuti era veramente terribile: basti solo pensare al sangue che scorreva a fiumi e ai brandelli di carne strappata sparsa su tutto il pavimento della sezione. Uno spettacolo agghiacciante che ci ha riferito un nostro collega, che per il disgusto ci ha raccontato di essersi sentito anche male. Soprattutto quando i cinque manifestanti hanno rifiutato di ricevere le cure necessarie e di rientrare in cella e con le lamette hanno iniziato a minacciare gli altri agenti accorsi".

Il "bilancio drammatico" della protesta nel carcere di Ivrea, con "cinque detenuti completamente dilaniati e cinque agenti in ospedale", si aggiunge alle aggressioni di Poggioreale, Cuneo, Lecce, Prato, Salerno, Milano S. Vittore e Ariano Irpino, "che nei soli primi cinque giorni di agosto ha visto vittime 15 nostri agenti penitenziari", sottolinea il leader sindacale, che il 15 agosto prossimo sarà in visita ufficiale a Napoli, nel carcere di Secondigliano.

Il segretario generale dell’Osapp ricorda anche quanto avvenuto lo scorso 1 agosto a Lucca: "Quella che doveva essere la solita pacifica protesta dei detenuti mediante battitura delle inferriate si è trasformata in una rivolta vera e propria. Oramai che si brucino i materassi e si utilizzino le bombolette del gas come molotov è un fatto consueto, drammatico ma purtroppo consueto.

Sta di fatto che da una semplice dimostrazione di disagio, nel penitenziario di Lucca, si è arrivati ad una sezione detentiva completamente distrutta, che si aggiunge a quella chiusa ad Ivrea per precauzione igienica". "Ma una bella notizia c’è- afferma Beneduci con tono sarcastico- mentre il ministro della Difesa La Russa promette altri 4.250 uomini per la sicurezza delle strade, il nostro ministro smaterializzato (leggasi il ministro della Giustizia Alfano) intervene ad Agrigento assieme al sottosegretario Bertolaso e fa intendere quello che è il suo reale proposito: diventare un giorno o ministro della Sanità o occuparsi finalmente delle emergenze del Paese. Ma allora- conclude il leader sindacale- che lo faccia in fretta".

Treviso: cresce la tensione in carcere; aggredito un poliziotto

 

La Tribuna di Treviso, 5 agosto 2009

 

Un agente di polizia penitenziaria aggredito di notte in infermeria, due detenuti che da un paio di giorni hanno iniziato lo sciopero della fame. Conseguenze del sovraffollamento al Santa Bona, un carcere che ogni giorno rischia il collasso. Una struttura che ospita 280 persone e per la quale è stata stabilita la "soglia di rischio" a 187 detenuti. Una situazione da tempo denunciata sia dai sindacati, che dai familiari degli ospiti, ma anche dagli avvocati. L’ultimo episodio che testimonia la tensione in cui si vive da tempo nel carcere di Santa Bona è di appena quattro giorni fa. Il 31 luglio infatti un agente di polizia penitenziaria è stato aggredito nei locali dell’infermeria.

Erano circa le 23 e a quell’ora a controllare quasi trecento detenuti c’erano appena 12 agenti. Uno squilibrio diventato ormai una consuetudine. Tutto è iniziato quando un trentenne di nazionalità albanese si è sentito male ed ha chiesto di poter andare in infermeria. Nulla del suo comportamento ha fatto insospettire l’agente che l’ha accompagnato. Improvvisamente tra i due è scoppiato un diverbio ben presto degenerato con l’agente steso a terra da un pugno.

A quel punto in carcere è scoppiato l’allarme. I colleghi del poliziotto avvertiti dal personale dell’infermeria sono intervenuti bloccando l’albanese. L’agente se l’è cavata con alcune lesioni al volto e alla schiena mentre il detenuto è ora in attesa delle decisioni che prenderà il magistrato di sorveglianza del Santa Bona. E sempre in questi giorni, due detenuti per protesta hanno iniziato lo sciopero della fame, mentre permangono le condizioni di estremo disagio all’interno delle celle. Stanze di 25 metri quadrati che arrivano ad ospitare fino a 12 uomini costretti ad utilizzare un solo servizio igienico.

Locali che in questo periodo di caldo intenso diventano roventi facendo salire anche la tensione tra gli ospiti. Da tempo si parla di un trasferimento del "minorile" in un’altra struttura per allargare il Santa Bona. In questo modo si avrebbero altri 50 posti, ma il progetto più volte presentato non è mai decollato. Senza contare che la condizione in cui versa il "minorile" è ancora peggio di quello degli adulti.

Roma: i detenuti aderiscono a "Liberare i prigionieri in Africa"

 

Comunità di Sant’Egidio, 5 agosto 2009

 

All’inizio di luglio, la Comunità di Sant’Egidio ha proposto ai detenuti di 200 istituti di pena italiani un’azione di solidarietà con chi condivide la stessa condizione nelle carceri africane. La campagna di solidarietà, denominata "Liberare i prigionieri in Africa", propone degli interventi di aiuto efficaci, ma di basso costo (da 1 euro in su).

La risposta nelle carceri italiane è stata immediata ed entusiasta. Sono già centinaia coloro che hanno deciso di sostenere con un piccolo contributo i detenuti africani. Un gruppo di detenuti del carcere romano di Regina Coeli ha voluto motivare la propria adesione con una lettera che pubblichiamo: Cari amici, rispondiamo alla vostra campagna"Liberare i prigionieri in Africa" con una piccola ma sentita partecipazione pecuniaria. Ovviamente la cifra raccolta è quella relativa alla piccola goccia di acqua che può formare un buon mare, con la speranza che il moto ondoso vada aumentando. Spesso, condividendo una condizione di privazione e dolore, si comprendono meglio alcune dinamiche e renderci utili ed essere assolutamente solidali con la vostra campagna ci è sembrato doveroso.

Anche se le condizioni delle prigioni del corno d’Africa sono in primis un discorso politico più che umanitario. Un continente iper-sfruttato prima dalle potenze coloniali e dopo da finte democrazie di governi instabili, questi ultimi uguale frutto del "nostro" Occidente. Auguriamo a voi buon lavoro e buon messaggio, con la speranza che un giorno l’Africa e tutti i posti della terra dove i diritti sono negati, vedano nascere un mondo migliore.

Immigrazione: l'espulsione del clandestino diventa automatica

di Antonio Ciccia

 

Italia Oggi, 5 agosto 2009

 

L’espulsione del clandestino diventa automatica. E il processo per clandestinità può prendere due strade (citazione contestuale o presentazione immediata), ma entrambe sprint.

È quanto mette in luce un appunto della Procura della Repubblica del Tribunale di Bologna, che ha dato una prima lettura operativa dell’articolo 10 bis del T.U. extracomunitari (dlgs 286/1998), inserito dalla legge sulla sicurezza e di prossima entrata in vigore (8 agosto 2009). Innanzi tutto una precisazione. Per come è costruito il reato di soggiorno illegale, nella totalità dei casi si verificherà la flagranza di reato o la prova evidente. Ciò è la base per l’applicazione del nuovo rito che sarà definito dal giudice di pace.

La legge prevede due distinte procedure. La prima è definita presentazione immediata in giudizio e si applica agli stranieri a piede libero. Protagonista è la polizia giudiziaria che chiede al pubblico ministero la richiesta, appunto, di presentazione al giudice di pace. La procura di Bologna, in proposito, raccomanda che vi sia il verbale di elezione di domicilio in cui si dà atto che lo straniero dichiara di parlare e comprendere la lingua

italiana. Il pubblico ministero rilascia l’autorizzazione per una udienza, per fissare la quale dovrà coordinarsi con l’ufficio del giudice di pace. Gli atti devono essere notificati all’imputato e al difensore, ma senza un termine minimo tra notificazione e data di udienza (al massimo il difensore chiederà in udienza di potere avere tempo di studiare il fascicolo).

L’altra strada per arrivare alla definizione del processo è la citazione contestuale, che si applica nei casi di particolare urgenza e nei casi di straniero privato della libertà personale. Secondo la circolare questo si verifica anche quando lo straniero è trattenuto nei centri di identificazione. Anche in questo caso la polizia giudiziaria chiede autorizzazione al pubblico ministero. Secondo la circolare la volontà della legge è di avere nello stesso giorno (nella massima celerità) sia la richiesta della polizia giudiziaria, sia l’autorizzazione del pm sia la celebrazione dell’udienza, alla stregua di una direttissima (rito non contemplato per il giudice di pace per altri reati).

Una analoga circolare della procura di Milano ritiene, però, che la citazione contestuale (da un punto di vista formale) prevede che l’imputato non sia in stato di detenzione e che quindi i primi processi per clandestinità con questo rito si potranno celebrare tenendo conto della sospensione feriale (a Milano dal 6 settembre 2009).

A questo proposito la circolare bolognese sottolinea alcuni problemi pratici e in particolare l’individuazione dell’organo competente alla scorta (si indica la polizia procedente all’accertamento del reato). Per tutti e due i riti la Circolare milanese richiede una attenzione probatoria a dimostrare la clandestinità (testimonianze degli agenti e documentazione amministrativa) Il processo, comunque celebrato, secondo la circolare di Bologna ha un esito segnato e cioè la condanna dell’imputato e la conseguente applicazione, che pare automatica, della sostituzione dell’ammenda con l’espulsione (nuovo articolo 62-bis del T.U. stranieri).

L’espulsione amministrativa non è condizionata dal procedimento penale per soggiorno illegale e non ci vuole il nulla osta dell’autorità giudiziaria procedente: se prima della sentenza del giudice di pace si avesse l’esecuzione della espulsione amministrativa il processo penale si conclude con la pronuncia di non luogo a procedere. L’analoga circolare della procura di Milano parla in questo caso di estinzione del reato. La circolare della procura di Bologna fornisce ancora le seguenti precisazioni: la contravvenzione di soggiorno illegale è assorbita dai reati più gravi e quindi in questi casi non si applicano le procedure accelerate della presentazione immediata e della citazione contestuale. Infine nel corso di arresto per altro reato (ad esempio in materia di stupefacenti) e contestuale accertamento della violazione delle disposizioni sull’ingresso e il soggiorno in Italia, non c’è connessione e i due reati seguono strade giudiziarie diverse: giudice ordinario per il delitto e giudice di pace per la contravvenzione prevista dal citato articolo 10-bis.

California: carceri troppo affollate, rilascio per 43mila detenuti

 

Reuters, 5 agosto 2009

 

I giudici Usa hanno detto alla California di prepararsi a rilasciare oltre 40.000 dei suoi 150.000 detenuti per ridurre il sovraffollamento delle sue prigioni statali, che soffrono di gravi problemi sanitari. Lo stato in grave crisi finanziaria ha già un piano per il rilascio di detenuti con pene lievi, per problemi di budget. Questo dovrebbe liberare sino a 37.000 letti in due anni, secondo le stime del segretario del California Department of Corrections and Rehabilitation, Matthew Cate.

Cate ritiene però un "pericoloso precedente" l’ordine giunto da giudici federali, spiegando nel corso di una conferenza stampa che la California ha ripulito le prigioni e assunto medici per coprire il cronico gap che ha lasciato i detenuti senza adeguate cure sanitarie e mentali.

Dopo un provvedimento in questa direzione dello scorso febbraio, ieri i giudici hanno ordinato allo stato di preparare in 45 giorni un piano per ridurre il sovraffollamento del 137,5% delle capacità. Questo equivale a rilasciare 40.591 reclusi delle sue 33 prigioni. Ma i funzionari dello stato intendono opporsi in appello all’ordine di rilascio che farà seguito alla decisione di ieri.

Bosnia: l’Aja, i criminali di guerra e le prigioni che scoppiano

di Merima Husejnovic

 

www.osservatoriobalcani.org, 5 agosto 2009

 

Già da anni il Tribunale dell’Aja demanda una serie di casi per crimini di guerra alla Corte della Bosnia Erzegovina. Ma la mancanza di un penitenziario a livello statale sta divenendo un problema sempre più serio.

Sono trascorsi quattro anni da quando la Corte della Bosnia Erzegovina ha avviato processi in merito a crimini di guerra, ma non è ancora stata avviata la costruzione di una prigione a livello statale. Nel frattempo sono stati spesi milioni di marchi convertibili per trovare spazio per chi è stato ritenuto colpevole di questi crimini in strutture e penitenziari a livello di Entità, che però non presentano alti livelli di sicurezza e non rispettano gli standard richiesti a livello europeo.

Il ministro della Giustizia della Bosnia Erzegovina ha annunciato che la costruzione di una prgione statale potrebbe iniziare nella primavera del 2010, chiarendo però di "non voler essere coinvolto in nessuna previsione". La Corte intanto ammonisce che l’inesistenza di una struttura a livello statale è un "problema grave" in termini di sicurezza e di costi-benefici, ritenendo che un istituto penitenziario di quel tipo "alleggerirebbe le pressioni esistenti sulle attuali strutture, migliorando le condizioni di vita dei detenuti".

In un rapporto del Consiglio d’Europa risalente al 2007 si affermava che, già allora, la capacità d’accoglienza delle carceri bosniache era esaurita e che le condizioni per chi vi era rinchiuso erano "minime", giudizi tratti da una valutazione fatta dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani.

Quando la Corte statale ha avviato il suo lavoro nel 2004, è stata istituita anche un’unità detentiva, l’unica in tutta la Bosnia i cui livelli di sicurezza siano in linea con gli standard europei e le leggi in vigore in Bosnia Erzegovina.

Ciononostante quest’unità rappresenta solo una parziale soluzione al problema, dato che può ospitare solo 21 detenuti. Il ministro della Giustizia sottolinea che vi sono attualmente 78 sospetti o imputati per crimini di guerra rispetto ai quali la Corte ha ordinato la custodia cautelare. Per risolvere la questione, attualmente il ministero per la Giustizia paga 40 marchi convertibili (circa 29 euro) al giorno, per ogni detenuto, alle istituzioni a livello d’Entità per la custodia di 57 degli 85 detenuti per questi crimini. L’idea e la necessità di costruire una struttura […] per detenuti incriminati dalla Corte statale è emersa fin dai primi anni di attività di quest’ultima.

Ai tempi il ministero della Giustizia, iniziatore e ispiratore di questo progetto, affermò che una volta che le sezioni della Corte dedite ai crimini di guerra e alla criminalità organizzata avrebbero iniziato a lavorare "sarebbe stata messa in discussione la capacità delle strutture detentive a livello di Entità di rendere esecutive le sentenze e di garantire standard di sicurezza adeguati". Quattro anni dopo, nonostante la Corte abbia già emesso verdetti di secondo grado per 85 persone - 35 per crimini di guerra - non vi è ancora nessuna struttura dove possano esser detenuti. L’unica attività conclusa ad oggi a questo proposito è un muro, costruito per circondare la futura prigione, che sarà situata nel quartiere di Ilidza, 10 chilometri dalla sede della Corte statale.

"Attualmente abbiamo ripulito e parzialmente circondato la zona dove sorgerà in futuro la prigione", ha affermato Srdjan Arnaut, vice ministro della Giustizia. "Ciò che abbiamo iniziato a fare è segno della volontà della Bosnia Erzegovina di completare il progetto ma, obiettivamente, stiamo aspettando venga fornito il totale delle somme necessarie all’investimento".

Arnaut afferma che sino ad ora sarebbero stati destinati dal budget statale circa 850.000 euro alla costruzione di istituti penitenziari, mentre il costo totale per avere la nuova prigione - che garantirà la detenzione di 350 detenuti - si aggira "sui 20 milioni di euro o qualcosa di più".

Le stime iniziali, risalenti al 2005, erano di circa 16 milioni di euro. Nel frattempo però, chiarisce Arnaud, gli standard dell’Unione europea si sono ulteriormente modificati.

"Non vi è più la possibilità di avere più detenuti in un’unica cella", chiarisce. "Si dovrà costruire celle individuali, per avere un solo prigioniero per cella". Come spiegato dal vice-ministro, i donatori internazionali avrebbero messo a disposizione alcune delle risorse necessarie alla costruzione dellla prigione. Il restante si ritiene possa arrivare da un prestito della Banca europea per lo sviluppo.

"Attualmente stiamo rivedendo tutto il progetto, la Banca europea per lo sviluppo ha posto questo come precondizione per approvare il finanziamento", ha dichiarato Arnaut a Birn. "Ci aspettiamo che il prestito venga approvato a novembre, perché, come hanno detto, non vi sarebbero aspetti problematici. Siamo ottimisti e pensiamo di poter avviare una gara d’appalto per i lavori di costruzione nel febbraio del 2010".

"L’assenza di una struttura adeguata per rendere effettive a livello statale l’esecuzione delle sentenze rappresenta un grave problema", ha affermato la Corte a Birn. "Gli imputati vengono giudicati dalla Corte … e sono poi inviati in strutture a livello di Entità che sono già sovraffollate. Dato che spesso la Corte statale giudica crimini per cui vengono comminate pene detentive lunghe, è essenziale una struttura con alti livelli di sicurezza", ha aggiunto la Corte. All’inizio del 2008 il presidente della Corte statale, Medzida Kreso, ha affermato che "l’intero lavoro della Corte potrebbe essere messo in dubbio" nel caso non venisse costruito un nuovo istituto detentivo.

In un’analisi del ministero della Giustizia sulla situazione delle strutture penitenziarie della Federazione, relativa alla situazione sino al gennaio del 2009, si afferma che queste strutture "non rispondono pienamente gli standard definiti dalla Legge per l’esecuzione delle sanzioni penali e le regole europee sulla detenzione".

"In termini generali si può dire che il numero di detenuti sia in ascesa", afferma Entoni Seperic, portavoce del ministero della Giustiza. "Questo aggrava in modo significativo le condizioni e le disponibilità delle strutture esistenti. Le strutture della Federazione sono sovraffollate del 23% e questo dato è in continuo peggioramento".

Il ministro della Giustizia della Federazione ammonisce che è in continuo aumento anche il numero di detenuti rispetto al numero di guardie carcerarie e questo condiziona negativamente "il livello di sicurezza delle strutture". Le condizioni detentive in Republia Srpska non sono certo migliori. "Lo standard di vita delle persone private della loro libertà non sono al livello richiesto, ma stiamo investendo sforzi per migliorarli in modo da raggiungere gli standard europei", afferma Boska Djukic, assistente del ministro della Giustizia della Republika Srpska.

"Le prigioni in Bosnia Erzegovina sono state tradizionalmente costruite come dormitori. È estremamente difficile mantenere l’ordine e la sicurezza in questo tipo di strutture. E incrementa il rischio di violenza e indisciplina". Il sistema a dormitorio è un rilevante ostacolo nell’adattare le strutture alle regole europee, che prevedono che i prigionieri debbano essere, di notte, da soli nella loro cella.

 

Situazione stabile, nonostante tutto

 

Nonostante i problemi strutturali dei penitenziari sino ad ora non si sono verificati problemi rilevanti in merito a persone incriminate o condannate per crimini di guerra. Con l’eccezione di una persona, nessuno è evaso.

L’eccezione è stato Radovan Stankovic, giudicato in primo grado dalla Corte statale a 20 anni di galera per crimini commessi a Foca. Dopo essere stato mandato nel penitenziario di Foca, nell’aprile del 2007, è fuggito il 25 maggio 2007, mentre veniva trasportato in una struttura medica per esami. Nonostante il ministero della Giustizia non abbia messo in diretta relazione la scarsa sicurezza delle strutture penitenziarie con l’evasione, si è affermato che l’eventuale prigione di stato garantirebbe condizioni di sicurezza molto più alte.

In attesa della costruzione di un penitenziario a livello statale una persona ha già scontato la sua pena per crimini di guerra. Si tratta di Abduladhim Maktouf, la prima persona condannata per crimini di guerra davanti alla Corte statale. Quest’ultimo ha scontato 5 anni presso il carcere di Zenica.

Maktouf è stato condannato nell’aprile del 2006 per aver aiutato componenti dell’unità "El Mujaheed", che era parte del terzo corpo dell’Esercito della Bosnia Erzegovina Armjia, ad effettuare l’arresto, la detenzione e il rapimento illegale di cinque civili croati nel 1993. Anche se la costruzione della prigione di stato dovesse partire nel 2010, molti altri condannati potrebbero aver scontato, per quando sarà finita, le loro sentenze. Tra questi vi è Mitar Rasevic, condannato in seconda istanza a sette anni di carcere per crimini commessi nel carcere di Foca dove, tra il 1992 e il 1994, erano state rinchiuse più di 700 persone.

Rasevic si è spontaneamente consegnato al Tribunale dell’Aja nell’agosto del 2003. Tre anni dopo è stato trasferito in Bosnia Erzegovina per la continuazione del processo a suo carico. La Corte della Bosnia Erzegovina afferma che la non-esistenza di una prigione a livello statale non è di importanza chiave in merito ai casi attualmente sotto processo. Ciononostante si afferma che il sovraffollamento delle attuali strutture e la mancanza di risorse adeguate per la loro manutenzione complica ulteriormente il tentativo di rispettare gli alti standard posti dalla legge.

"La cosa più importante è di accelerare nella costruzione di un penitenziario a livello statale, con un alto livello di sicurezza e la possibilità di ospitare 350 persone", si afferma. "In tal modo le attuali strutture potrebbero essere decongestionate. E questo garantirebbe un miglioramento delle condizioni di vita in tutte le strutture dove vengono scontate sentenze penali", sottolinea la Corte della Bosnia Erzegovina.

Kenya: 4.000 condanne a morte, sono commutate in ergastolo

 

Ansa, 5 agosto 2009

 

Tutti i più di 4.000 prigionieri del braccio della morte keniano riceveranno la commutazione della pena in ergastolo, ha annunciato il presidente Mwai Kibaki, descrivendo la condizione di chi aspetta da anni di essere giustiziato come di "angoscia e sofferenza eccessiva". Lo stesso Kibaki ha precisato che la sua decisione, che segue il consiglio di una commissione costituzionale, non significa che la pena di morte sia stata abolita nel paese. "La lunga permanenza nel braccio della morte causa angoscia e sofferenza eccessiva, un trauma psichico, il che potrebbe costituire un trattamento inumano", si legge nella dichiarazione del Presidente, che ha incaricato il Governo di verificare quale sia l’effetto della pena di morte nella lotta contro il crimine. Nessuna sentenza capitale è stata eseguita in Kenya negli ultimi 22 anni.

 

 

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