Rassegna stampa 26 agosto

 

Giustizia: nelle carceri, tra proteste estreme e silenzi colpevoli

di Daniela de Robert

 

www.articolo21.info, 26 agosto 2009

 

I segnali c’erano tutti. I motivi anche. L’estate con il caldo insopportabile ha fatto il resto. E così i detenuti hanno deciso di farsi sentire. Ma per fare arrivare la loro voce oltre il muro di cemento armato non bastano le parole, come hanno dimostrato le loro lettere aperte cadute nel vuoto e nel disinteresse della grande stampa che ha preferito parlare del dramma dei cani abbandonati.

 

Le battiture

 

Per gridare il loro malessere hanno scelto la battitura, cioè lo sbattere a ore regolari di pentole e coperchi contro le sbarre delle loro celle, come i cazoleros argentini. Tutti insieme in ogni parte d’Italia, gli uomini e le donne detenute hanno fatto gridare quelle sbarre che li separano dal mondo, trasformandole in un potente amplificatore delle loro voci. Da Arezzo a Pesaro, da Prato a Bari, da Lucca ad Ancona, da Venezia a Trani, da Padova a Milano, da Palermo a Como. Le carceri hanno gridato che così non si può vivere, che in cinque in celle da due non si può stare, che il pane ammuffito non è accettabile, che anche i materassi buttati per terra non bastano più, che l’acqua è razionata, che le docce sono rotte, che per stare in piedi nelle celle sovraffollate si fa a turno, che non riescono a parlare con gli educatori, che anche le infermerie sono stracolme, che la gente muore in cella perché i medici non vengono chiamati in tempo dagli agenti, che gli agenti sono troppo pochi per garantire i turni all’aria aperta (che è aperta solo in alto perché tutt’attorno e per terra è chiusa dal cemento armato), che la convivenza coatta tra gruppi etnici diversi a volte è molto difficile, che non riescono a fare i colloqui con le loro famiglie perché manca il personale, che un rotolo di carta igienica al mese non basta, che i blindi (cioè le porte blindate delle celle) chiusi la notte oltre al cancello della cella non fanno passare quel minimo di aria indispensabile quando i letti a castello rubano in altezza uno spazio che non c’è, ammucchiando le persone in orizzontale. Questo urlano le pentole sbattute contro le inferriate del mondo prigioniero, dove vivono oltre 65 mila persone, dai bambini appena nati agli ultraottantenni.

 

Silenzio e disinteresse

 

Per mesi è continuato il conteggio dei detenuti che si ammassavano nelle strutture vecchie inadeguate. Per mesi, le associazioni che operano in carcere hanno lanciato l’allarme. Oltre il tollerabile si intitola il rapporto di Antigone come oltre il tollerabile è la condizione di vita nelle prigioni italiane. Ma anche la polizia penitenziaria lo diceva: attenzione perché la situazione è oltre il limite. Il cappellano di Rebibbia, don Sandro Spriano, lo ha scritto anche al Papa in una lettera aperta, sognando una sua visita improvvisata nel giorno dell’Assunta: "questi sono i corridoi e le stanze dove gli "ospiti" trascorrono immobili almeno venti ore della loro giornata: quattro detenuti in celle per due, otto in celle da quattro. C’è un caldo soffocante perché i muri di cemento e la mancanze di tetti consentono al sole di infuocare le strutture. Caro Papa Benedetto non ci dimentichi".

Dal silenzio del mondo libero l’unica risposta è stato il piano carceri del capo del Dap, Franco Ionta. Obiettivo costruire nuove carceri. Con quali fondi, con quali tempi, con quale personale poi aprirli restano particolari da definire. E nel frattempo? Nel frattempo favorite le attività sociali - dice una circolare dell’ufficio detenuti del Dap - tenete le celle più aperte possibile - recita la stessa circolare. Ma con quattro agenti per una sezione di trecento persone è difficile rispettare queste indicazioni. E la tensione sale. La convivenza non è mai facile, ma quando manca lo spazio vitale diventa davvero dura. Lo ha riconosciuto anche la Corte europea dei diritti dell’uomo che ha condannato l’Italia al risarcimento di mille euro a un cittadino serbo-bosniaco per trattamento inumano e degradante per le condizioni di detenzione nel carcere di Rebibbia per il sovraffollamento. E ora migliaia di detenuti si preparano a denunciare l’Italia per lo stesso motivo. Silenzio e disinteresse. Silenzio e silenzio stampa. Niente paginoni, come durante l’indulto quando i quotidiani aprivano i loro giornali al grido di "tana libera tutti". La polveriera carcere è rimasto un tema di secondo ordine.

 

Proteste estreme

 

Anche quando dalle carceri è iniziata la prima protesta, quella più silenziosa e più dolorosa fatto di gesti di autolesionismo: dallo sciopero della fame e della sete, alle ferite inferte al proprio corpo. Come la protesta estrema, ma non inedita nel mondo prigioniero, di un detenuto marocchino che nel carcere di Firenze si è cucito la bocca. Da mesi aspettava una risposta alla sua richiesta di finire di scontare la pena in Marocco. Inutilmente, fino a quando non si è ferito il corpo, l’unico bene di cui dispone in quanto detenuto. Ora potrà tornare nel suo paese.

Niente è servito ad attirare l’attenzione. Neanche i quarantacinque morti trovati appesi alle sbarre delle celle nei primi sette mesi di questo 2009. Quarantacinque persone che hanno preferito lasciare questo mondo piuttosto che continuare a vivere in un luogo invivibile. È il numero più alto di suicidi mai registrato nelle carceri italiane, secondo il libro "In carcere: del suicidio e altre fughe", curato da Laura Baccaro e Francesco Morelli per Ristretti Orizzonti. Quarantadue uomini e tre donne, a cui ieri si aggiunto un altro uomo che si è tolto la vita nel carcere di Frosinone, che hanno urlato il loro dolore appendendolo a una corda e grazie a quella corda sono usciti di galera. Morti, ma sono usciti. Nel silenzio del mondo libero che ha preferito ignorare e voltare lo sguardo, come hanno fatto le barche che hanno incrociato il gommone dei migranti etiopi allo sbando nel mare di Sicilia. Meglio non vedere, meglio non ascoltare, meglio non raccontare.

 

La protesta sale di tono

 

Non c’è stata alternativa allora per chi vive in carcere se non alzare ancora il tono di voce. Non bastavano più le battiture, gli scioperi della fame, i morti. Occorreva qualcos’altro. A ferragosto, nei giorni più caldi di questa calda estate, in concomitanza con la più importante ispezione dei parlamentari nelle carceri italiane, sono scoppiate le prime proteste: a Como, a Padova, a Perugia. Lenzuola e materassi bruciati, neon fatti esplodere con le bombolette del gas, pavimenti dei corridoi cosparsi con acqua e sapone, risse, aggressioni contro agenti. È successo a Padova, Venezia, Como, Sollicciano, Arezzo, San Gimignano, Pistoia. Lunedi sera è stata la volta di Pisa dove al caldo si aggiunge la mancanza di acqua. Ora si teme l’effetto domino. E a ragione. I focolai della protesta sono ancora attivi. Basta poco perché il fuoco riprenda vigore.

 

Paura, sconcerto e ancora silenzio

 

Eppure, da fuori la risposta ancora non arriva. La soluzione delle nuove carceri, non risolve i problemi di vivibilità di chi oggi è detenuto. Anche tra i magistrati di sorveglianza c’è sconcerto. Nessuno pensa a soluzioni diverse. Le misure alternative alla detenzione restano un miraggio irraggiungibile per la maggior parte degli uomini e delle donne detenute, le case a custodia attenuata non vengono neanche prese in considerazione.

Il Comune di Roma ha voluto dare grande risalto all’iniziativa di Ferragosto con la quale venti detenuti sono usciti di galera per pulire per quattro ore per pulire alcune aree della città di Roma. Ma se questa è l’unica risposta della città non c’è dubbio che le proteste continueranno.

Giustizia: errori ed orrori dell’ennesimo "pacchetto sicurezza"

di Sergio Moccia

 

Il Manifesto, 26 agosto 2009

 

Sia da un punto di vista formale, sia da un punto di vista dei contenuti, l’ennesimo "pacchetto sicurezza" (legge 15 luglio 2009, n. 94) sconta in maniera preoccupante per le ragioni di uno stato di diritto, il suo essere opera di una convulsa attività legislativa di tipo emergenziale, espressiva più di emozioni, poco accreditabili sul piano della stessa civiltà, che non di una razionale politica criminale.

Sotto il profilo formale, la tecnica di redazione è connotata da farragine e sciatteria: siamo lontanissimi dall’esigenza di chiarezza che, secondo la fondamentale lezione luministica sulla legalità, deve contrassegnare, nello stato di diritto, la normativa penale: essa pretende, di regola, per le violazioni alle sue disposizioni anche il sacrificio della libertà individuale. Ed invece, nel pacchetto sicurezza farragine e sciatteria sono la regola: si consideri solo che la legge 94/09 è formata da tre soli articoli - privi di rubrica, cioè di un titolo illustrativo dei contenuti -che risultano suddivisi, rispettivamente, il primo in trentadue commi, il secondo in trenta commi ed il terzo in ben sessantasei commi; inoltre, la gran parte delle norme contiene ulteriori sub articolazioni, con defatiganti rinvii, anche plurimi, ad altre norme, e con frequenti interpolazioni di queste ultime.

In queste disposizioni risultano allineate in modo confuso o, addirittura, intrecciate ipotesi di reato, circostanze aggravanti, cause di maggiore o minore punibilità e tutta una gamma variegata di norme non penali che, tuttavia, finiscono con l’incidere drammaticamente sui diritti fondamentali delle persone, come le norme in tema di centri di identificazione ed espulsione. Se c’è una lettura difficile anche per un penalista esperto - figuriamoci per il semplice consociato, il destinatario delle norme - è certo quella di questi tre articoli: impegna realmente per ore!

 

Furia cieca

 

Dal punto di vista dei contenuti, la caratteristica del complesso mal assortito delle tante disposizioni è data dal loro essere espressione di bisogni, spessissimo indotti, di rassicurazione dell’opinione pubblica, soprattutto in rapporto ad immigrazione ed ordre dans la rue, con un occhio alla mafia ed entrambi gli occhi serrati rispetto alla criminalità del ceto politico-amministrativo, imprenditoriale e finanziario. I rimedi adottati sono riassumibili nello slogan: più repressione, più carcere, più controllo, di polizia e non. Sulla scia di precedenti, improvvidi provvedimenti normativi si mette in scena una coazione a ripetere repressiva, che, connotata da inquietante populismo, criminalizza e rinchiude gli outsiders, oppure li scheda (registro nazionale dei vagabondi, art. 3 co. 39) e li vessa in vario modo (vedi la tassa da 80 a 200 euro sul permesso di soggiorno, oppure il sistema a punti, con perdita del permesso per lo straniero che non raggiunge certi "obiettivi" previsti dall’"accordo di integrazione", arti co. 25), per assecondare senza scrupoli le pulsioni xenofobe di una minoranza tanto rumorosa quanto incivile. Si arriva così allo stato di polizia: controllo ossessivo - anche attraverso sorveglianti "para-poliziali", le ronde -, marchi sui vagabondi e campi di internamento.

 

Una legge costosa

 

Considerando i prevedibili effetti della legge n. 94 in chiave di carcerizzazione e di internamenti nei centri d’identificazione ed espulsione (Cie), appare manifesto che il governo ed il legislatore si comportano in modo ciecamente repressivo ed irresponsabile, dato l’insostenibile sovraffollamento carcerario; e tutto ciò avviene deliberatamente e platealmente a spese di ben più efficaci ed auspicabili interventi in chiave di sviluppo economico-sociale, anche all’estero, dal momento che, come illustra la tabella 1 allegata alla legge, per costruire nuovi Cie si stabiliscono tagli ai fondi ministeriali che gravano soprattutto sul ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, per quasi 90 milioni di euro in tre anni (!), e poi sul ministero degli affari esteri, per circa 49 milioni, e su quello dell’economia e delle finanze, per più di 14 milioni, su un totale di tagli di 166 milioni.

 

Monumento all’inefficacia

 

Guardando ai singoli contenuti, in materia di immigrazione si staglia il nuovo reato di soggiorno illegale, un vero e proprio monumento di inefficacia, al di là di ogni altra dolorosa considerazione. Nessun extracomunitario illegale potrà mai pagare la prevista ammenda da 5.000 a 10.000 euro - per la quale viene arbitrariamente esclusa l’applicabilità della comune disciplina dell’oblazione; né si capisce a cos’altro serva mai questa figura di reato, dal momento che l’autore denunciato può essere immediatamente espulso o internato nel Cie, il che poteva già avvenire in via amministrativa secondo la disciplina vigente.

Dal punto di vista funzionale era sostanzialmente equivalente il reato di inottemperanza all’ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato - sanzionato, a seconda dei casi, con la reclusione da un anno a quattro p a cinque anni (o da sei mesi ad un anno in caso di permesso scaduto) - che viene "ritoccato" rispetto alla disciplina risultante dal pacchetto sicurezza dell’anno scorso (d.l. n. 92, conv. in l. n. 125/08). E come il reato di inottemperanza, anche la nuova fattispecie si presenta priva di legittimazione in uno stato di diritto conforme ai principi costituzionali del sistema penale.

Infatti, si può legittimamente punire una persona solo se abbia leso o messo in pericolo un bene giuridico, in altri termini un tangibile interesse o diritto di una o più persone; non si può sanzionare penalmente taluno per la mera disobbedienza ai comandi dell’autorità (nullum crimen sine iniuria). Ora, l’extracomunitario senza permesso di soggiorno, o che non si allontana, con ciò solo non fa male proprio a nessuno; ritenere che solo per il fatto di essere sans papier sia pericoloso è espressione di pura xenofobia.

Ma ciò, evidentemente, non importa ai pretesi fautori del pragmatismo efficientista e della tolleranza zero, come non importa loro che l’unico vero effetto della nuova disciplina possa essere quello di far scoppiare i Cie, in attesa che si realizzino quelli nuovi, moltiplicando così i campi di internamento disseminati nel territorio nazionale. Va considerato infatti che, in ultima analisi, il reato di ingresso illegale ha come vera sanzione l’internamento nel Cie, ossia, al di là delle etichette, una pena detentiva fino a sei mesi.

In questo contesto si segnalano anche altre gravi discriminazioni e stranezze, come l’aumento da sei mesi ad un anno dell’arresto previsto (oltre all’ammenda) per lo straniero che rifiuta di esibire i documenti, art. 1.22 lettera h, mentre il cittadino che realizza un fatto analogo è punibile solo con l’arresto fino ad un mese (e un’ammenda dieci volte inferiore), art. 51 c.p.; o le modifiche alla norma incriminatrice del dare alloggio o cedere anche in locazione un immobile ad uno straniero originariamente o successivamente divenuto irregolare, laddove è prevista la reclusione da sei mesi a tre anni, a fronte dell’ammenda prevista per lo straniero irregolare. Una incongruenza veramente singolare.

Ma forse è nell’art.3 e negli altri contenuti "stravaganti" del pacchetto sicurezza che più traspare la sua natura emergenziale; nuove incriminazioni e soprattutto aumenti di pena del tutto superflui assecondano in ordine sparso, al di fuori di una visione sistematica coerente, le ansie repressive spesso indotte dai mass-media. Qualche esempio: innanzitutto, il restyling del reato di oltraggio, un omaggio allo strisciante neofascismo, oggi tanto in voga.

Si pensi inoltre alla gran messe di aggravanti introdotte con la legge n. 94: è giusto contrastare fatti di bullismo ed in genere fatti contro la persona in danno di minori, ma allo scopo non serve, ed anzi è miopemente arbitrario, prevedere un’aggravante se il fatto è commesso "all’interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione", art. 3 co. 20: perché, in discoteca è meno grave o meno pericoloso? E per strada?

Considerazioni analoghe potrebbero svolgersi per le nuove aggravanti del furto e della rapina, di cui all’art. 3 co. 26-27, consistenti, rispettivamente, nella commissione "all’interno di mezzi di pubblico trasporto" - non è aggravata, però, la rapina appena scesi alla fermata in periferia - oppure al momento in cui la vittima preleva denaro o l’ha "appena" prelevato: una sorta di istigazione indiretta a seguire la vittima, per rapinarla dopo, lontano dalle guardie e dalle telecamere. Non parliamo poi dell’aggravante - da un terzo alla metà della pena - prevista per la guida in stato di ebbrezza o stupefazione se commessi dalle 22 alle 7; sinceramente credevamo fosse più grave e/o pericoloso guidare ubriachi in pieno giorno, quando e dove c’è più gente in giro.

 

Il decoro urbano soprattutto

 

Per finire, si diceva che questo pacchetto sicurezza riduce la sicurezza ad ordre dans la rue, in effetti, il decoro urbano, o la sua fruibilità dalle persone "perbene", sembra ormai essere più importante non solo delle libertà di circolazione e soggiorno degli altri, ma anche della stessa libertà personale. Viene introdotta la pena della reclusione, in alternativa alla multa, per chi imbratta (senza danneggiarli) immobili o mezzi di trasporto. Nei casi di recidiva anche semplice, la pena massima è raddoppiata a due anni di reclusione: più grave del falso in bilancio.

Su tutto questo ed altro ancora, vigileranno le famigerate ronde. Tra tanti rischi di abusi in chiave squadrista, di conflitti con altri gruppi e con le forze dell’ordine, e così via, forse il rischio maggiore consiste nel fatto che la sorveglianza di strada dei "cittadini perbene" possa perpetuare una visione "a senso unico" della sicurezza, orientata ad una certa criminalità o mera illegalità di strada. E così, magari, l’imprenditore che picchia l’operaio rumeno in azienda non viene segnalato, ma potrebbe esserlo l’operaio che, appena uscito in strada, gli imbratta l’auto; così come sarà facile prevedere la segnalazione per il giovane ubriaco che di notte fa troppo chiasso nella movida o in qualche periferia che non quella dei poliziotti che, giunti sul posto, come pure avviene, perdano la testa e lo, picchino a sangue.

Giustizia: Radicali presentano Dossier su condizioni carcerarie

 

Ansa, 26 agosto 2009

 

Poco meno di 22mila detenuti in più di quelli che gli istituti penitenziari italiani dovrebbero ospitare e 8mila agenti di polizia penitenziaria in meno di quelli previsti in pianta organica. In queste due cifre c’è buona parte dell’emergenza carceri disegnata dal Partito radicale nel dossier presentato a una decina di giorni dalle visite che 167 tra deputati, senatori, consiglieri regionali e garanti per i diritti dei detenuti hanno fatto in 186 istituti su 217 (compresi istituti minorili e ospedali psichiatrici giudiziari) nell’ambito dell’iniziativa "Ferragosto in carcere 2009".

Attualmente - si legge nel dossier, che raccoglie i dati di 216 istituti - sono reclusi in 63.211 (60.473 uomini e 2.738 donne), a fronte di una capienza "regolamentare" di 41.351 posti e di una capienza "tollerata" di 60.375: "l’esubero - ha spiegato Antonella Casu, segretaria del partito - supera il 150% in almeno una decina di istituti, con picchi oltre il 200%".

Quanto agli agenti di polizia penitenziaria, quelli "assegnati" sono 37.543 ma quelli "effettivamente in servizio" risultano 34.111, a fronte di un organico fissato a 42.118 unità: il deficit di organico - avvertito più al nord che al sud - "è cresciuto di 3mila unità nel giro di pochi mesi". Carente anche la dotazione di educatori (684 quelli effettivamente in servizio contro i 1.088 in pianta organica), mentre gli psicologi al lavoro sono 352, più dei 124 previsti.

I detenuti comuni sono 53.130, quelli in alta sicurezza 9.291, quelli sottoposti al regime del 41 bis 748.

Il numero dei detenuti con condanna definitiva (30.619) è inferiore a quello dei detenuti in attesa di giudizio (31.109): di questi ultimi 15.363 sono "imputati", 10.381 "appellanti" e 5.251 "ricorrenti". Un detenuto su quattro (15.660) ha problemi di tossicodipendenza, il 3,4% (2.159) è in terapia col metadone, il 2% (1.249) è sieropositivo.

Gli stranieri sono 22.644 (21.675 uomini e 969 donne), per una percentuale media del 35,8% che si impenna soprattutto nelle regioni meridionali e nelle isole. Ancora bassa (intorno al 20%) la quota di quanti lavorano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria (in tutto 10.920, di cui 10.261 uomini e 659 donne): 847 lavorano in carcere per conto di imprese e cooperative, 785 detenuti "semiliberi" lavorano per conto di datori esterni e altri 51 (tra loro una sola donna) lavorano in proprio.

"‘Ferragosto in carcere 2009 - ha spiegato la parlamentare Rita Bernardini - ha rappresentato la più massiccia azione di sindacato ispettivo mai effettuata in Italia. Azione che ha consentito di associare ai dati statistici di ciascun istituto ciò che ognuno dei visitatori ha potuto vedere con i suoi occhi parlando con quella comunità penitenziaria fatta, certo, da persone private della loro libertà ma anche di direttori, agenti, educatori, psicologi, assistenti sociali che la dolente realtà del carcere la vivono quotidianamente".

 

In cella con le mamme 116 bambini

 

Nelle celle italiane vivono detenuti con le loro mamme 116 bambini. È uno dei dati forniti dal Partito radicale in occasione della presentazione alla stampa del dossier sullo stato delle carceri, aggiornato alla metà del mese con i dati di 216 istituti penitenziari su 217. "Poco dopo la sua nomina - ha ricordato la parlamentare Rita Bernardini - il ministro Alfano aveva promesso che non ci sarebbero mai più stati bambini in carcere; noi ne abbiamo trovati 116, anziché i 60-70 di qualche mese fa".

"Nella maggior parte dei casi - ha rincarato la dose Antonella Casu, segretaria del partito - si tratta di bambini che non escono mai dal carcere, spesso per la mancanza di personale volontario. In molte realtà non esistono spazi attrezzati per i più piccoli, al punto che nelle nostre visite periodiche molti direttori, richiesti di indicare dove sia il nido, sono costretti ad ammettere che l’unico nido è la cella".

Giustizia: Alfano; carceri sovraffollate? per eccesso immigrati

 

Il Giornale, 26 agosto 2009

 

Governo disponibile a un confronto sulla riforma della giustizia con l’opposizione: "Magistrati autonomi, ma Parlamento sovrano". Poi all’Ue: "Le nostre carceri sono idonee a ospitare i detenuti italiani".

Il Governo è ancora disponibile ad un confronto sulla riforma della giustizia anche con l’opposizione a patto che non sia un "infinito bla bla". L’obiettivo è quello di arrivare ad una decisione "confortata da una maggioranza maggiore di quella uscita dalle urne". È l’auspicio del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che dal Meeting organizzato da Comunione e Liberazione apre all’opposizione dicendosi "disposto al confronto". Poi, rivolto a Bruxelles, denuncia il sovraffollamento nelle carceri italiane: "Sono idonee ad ospitare soltanto i detenuti italiani, altrimenti si supera la capienza regolamentare e quella tollerabile".

 

Il confronto con l’opposizione

 

"Avvieremo la stagione autunnale con una grande disponibilità al confronto sulla Giustizia e una grande buona volontà. Vogliamo provare davvero a fare una riforma della Giustizia che abbia il consenso più largo possibile", ha affermato Alfano annunciando che, "prima di andare in Parlamento proporrò un confronto a tutto campo sui temi della riforma della Giustizia". "In questo primo anno di legislatura - ha spiegato il titolare del dicastero di via Arenula - abbiamo varato due importantissimi provvedimenti, il pacchetto antimafia e la riforma del processo civile, su cui è stato possibile procedere senza grandi scontri né lacerazioni. Proveremo a fare altrettanto anche nell’ambito del processo penale e delle riforme costituzionali in materia di Giustizia.

È chiaro che - puntualizza - chiediamo altrettanta disponibilità al confronto anche all’opposizione: il dialogo non è un infinito bla bla che si conclude nel nulla. Il confronto per noi è un metodo attraverso cui arrivare ad una decisione confortata da una maggioranza maggiore di quella uscita dalle urne. Chiediamo cioè il consenso ed il conforto delle forze di opposizione, ma ci deve essere da parte loro buona volontà. Noi non vogliamo fare marce indietro, non vogliamo abdicare alle tesi del nostro programma; e su di esso vogliamo confrontarci serenamente in Parlamento".

 

Carceri sovraffollate

 

Le carceri italiane sono "idonee" ad ospitare soltanto "i detenuti italiani", altrimenti "si supera la capienza regolamentare e quella tollerabile". Per questo il ministro della Giustizia si appella all’Unione europea: "Deve farsi promotrice di trattati e dare risorse economiche a Stati per costruire nuove carceri". "Ci sono oltre 63mila detenuti, oltre 20mila sono stranieri - ha, infatti, ricordato Alfano - vuol dire che le carceri italiane sono idonee ad ospitare i detenuti italiani. Con l’aggiungersi degli stranieri agli italiani, si supera la capienza regolamentare ma anche quella tollerabile". "Ho fatto un appello all’Ue - ha, poi, detto - non può da un lato esercitare sanzioni e dall’altro chiudere gli occhi sul fenomeno del sovraffollamento carcerario che deriva dalla presenza di detenuti stranieri: un fenomeno a cui la Ue deve prestare attenzione. La Ue deve o farsi promotrice di trattati o dare risorse economiche agli Stati più interessati dal problema per costruire nuove carceri".

 

Nessuno scontro con i giudici

 

"Noi non abbiamo alcuno scontro con i magistrati. Intendiamo portare avanti il progetto di riforme proposto agli elettori che lo hanno approvato con il loro voto partendo da due principi equivalenti - ha puntualizzato Alfano - l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e il fatto che i magistrati sono soggetti solo alla legge, che viene fatta dal Parlamento". "Serve - ha sostenuto il Guardasigilli - che tutti si rendano conto del proprio perimetro di azione. Il Parlamento è sovrano e approva le leggi. Quelle leggi i magistrati le devono applicare. Noi - ha, quindi, concluso - non vogliamo interferire rispetto ai principi sacri di autonomia ed indipendenza della magistratura".

 

Nessun indulto

 

"Non ci saranno nuovo indulti: lo dico chiaramente da un anno", ha spiegato il Guardasigilli. "In Italia ci sono oltre 63mila detenuti, di cui oltre 20mila sono stranieri - ha continuato Alfano - il che vuol dire che le carceri italiane sono idonee ad ospitare i detenuti italiani, ma con l’aggiungersi degli stranieri agli italiani si supera la capienza non solo regolamentare ma anche quella tollerabile dei penitenziari che ci sono". "Ho fatto - ricorda Alfano - un appello all’Ue: non può da un lato esercitare sanzioni e dall’altro chiudere gli occhi sul fenomeno del sovraffollamento carcerario che deriva dalla presenza di detenuti stranieri: un fenomeno a cui la Ue deve prestare attenzione. La Ue o si fa promotrice di trattati o deve dare risorse economiche agli Stati più interessati dal problema dei detenuti stranieri per costruire nuove carceri". "Noi - ha ribadito il Guardasigilli - non intendiamo procedere sulla via seguita per 60 anni dalla Repubblica italiana: 30 provvedimenti di amnistia indulto per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Si fanno uscire ogni 2 anni 30mila detenuti ma il problema non si risolve mai. Noi puntiamo sulla realizzazione di nuove carceri e sul lavoro in carcere per abbassare la recidiva".

Giustizia: Pannella; le carceri di oggi peggiori che nel ventennio

 

Asca, 26 agosto 2009

 

"Il sessantennio di regime partitocratico ha ridotto la giustizia italiana, e la sua appendice carceraria ad una condizione incommensurabilmente più incivile, criminale e criminogena, violenta, illegittima e illegale, socialmente disastrosa e istituzionalmente aberrante, di quel che aveva compiuto e prodotto il ventennio fascista".

Lo dichiara il leader Radicale Marco Pannella in occasione della conferenza stampa per un bilancio della visita di 167 parlamentari, consiglieri regionali e garanti nelle carceri italiane, nei giorni intorno a ferragosto. Per Pannella, "giustizia e universo carcerario sono lo specchio dello Stato, del Regime, vigenti. Oggi più che mai. Ordine e welfare senza libertà, senza Democrazia, senza Stato di diritto producono fatalmente, se si aggiunge strage di legalità come oggi accade (e non nel ventennio ufficialmente totalitario del fascismo), strage di popoli.

Questo oggi non accade ancora perché il popolo italiano sta resistendo in modo mirabile, miracoloso, nel suo vissuto di civiltà e democrazia; sul piano etico, su quello morale, antropologicamente. "Così - prosegue il leader radicale - una società ‘chiusà, come quella carceraria, oggi finisce per vivere come una straordinaria Comunità Penitenziaria, a cominciare, in primo luogo, per merito dei suoi operatori, dirigenti, polizia, amministrazione, letteralmente massacrati dal regime, e per merito di un popolo di detenuti letteralmente sequestrati e martirizzati in una detenzione estranea e contraria a quella prevista dalla Legge fondamentale e dalle leggi e norme attuative. Governi e opposizioni di regime non sono altro che espressione di una realtà da decenni, criminale e criminogena. Si è compiuta così "la metamorfosi del male" del ventennio fascista nel suo opposto: il male "antifascista", partitocratico, traditore delle leggi e dello Stato di diritto, della Costituzione, sul piano tecnico associazione seriale per delinquere, nell’illusione di poter in tal modo legittimare e governare con l’arbitrio il proprio potere".

Giustizia: De Magistris (Idv); Stato colpevole per l'affollamento

 

Asca, 26 agosto 2009

 

"Tema mediatico d’agosto, emergenza umana tutto l’anno. Il sovraffollamento nelle carceri italiane torna sotto il faro dell’attenzione, con cadenza regolare, principalmente nel periodo estivo o al massimo in primavera" pur trattandosi di "un dramma che dura 12 mesi su 12". Una "disattenzione", questa, "che rende lo Stato colpevole: il rispetto della dignità umana all’interno delle mura penitenziarie è infatti un elemento fondamentale per definire un Paese democratico e civile".

Lo scrive su sito e pagina Facebook l’europarlamentare dell’Italia dei Valori Luigi de Magistris. Per l’esponente di Idv occorre quindi "cominciare a ragionare ad una nuova concezione della pena". "In un paese democratico - spiega -, il carcere preventivo dovrebbe essere un’eccezione e i processi dovrebbero avere tempi accettabili, in modo da garantire che la carcerazione avvenga in via definitiva dopo un’altrettanta definitiva sentenza di condanna. Un modo giusto per garantire anche la certezza della pena, in Italia spesso ridotta a miraggio".

Raggiungere questi obiettivi secondo de Magistris è possibile lavorando "a una giustizia dai tempi più rapidi, investendo nell’operato della magistratura e delle forze dell’ordine e pensando alla depenalizzazione di alcuni reati minori, aumentando le sanzioni amministrative, anche di tipo pecuniario". Sarebbe infine opportuno, conclude il parlamentare europeo, "rendere la sanzione penale solo una extrema ratio per i reati più gravi e pensare a punizioni alternative, che risulterebbero inoltre più efficaci a fini rieducativi e preventivi".

Sardegna: associazioni chiedono il Garante regionale detenuti

 

Redattore Sociale - Dire, 26 agosto 2009

 

La richiesta di "5 novembre per i diritti civili" e "Detenuto Ignoto", due delle principali organizzazioni che si occupano di carcere: dovrà essere una figura estera all’amministrazione penitenziaria.

Chiedono che venga istituito un Garante regionale per le carceri: una figura staccata dalla direzione dell’amministrazione penitenziaria (attualmente la guida dei penitenziari regionali), capace di garantire che le pene vengano scontate in strutture idonee e in condizioni corrette per i detenuti. A chiederlo, lanciando un appello al governatore della Sardegna, Ugo Cappellacci, sono le associazioni "Detenuto Ignoto" e "5 novembre per i diritti civili", due delle principali sigle che si occupano dell’universo che vive dietro le sbarre dei cinque maggiori penitenziari isolani.

"Chiediamo che si adoperi - dicono Irene Testa e Roberto Loddo, responsabili delle due associazioni - per l’istituzione di un garante per tutti gli istituti penitenziari della regione. La situazione gravissima delle carceri sarde, che abbiamo rilevato nei giorni scorsi con diverse visite ispettive, necessita di massima attenzione anche da parte delle istituzioni, sia per quanto riguarda le opportunità lavorative per i detenuti, sia per un più generale monitoraggio del rispetto delle leggi e del diritto internazionale".

La legge per l’istituzione del garante - spiegano le associazioni - dovrà prevedere che si tratti di una figura terza (non un magistrato di sorveglianza né il direttore delle carceri), di garanzia e mediazione tra il carcere e il cittadino detenuto. "Dovrà operare in piena autonomia e indipendenza di giudizio - proseguono - così da vigilare e promuovere i diritti delle persone private della libertà, anche di quelle sottoposte a misure alternative alla detenzione.

Non dunque una figura simbolica ma un’autorità che garantisca una presenza settimanale in tutti gli istituti di pena della Sardegna, compresi i centri di prima accoglienza, come quello di Elmas. Un’autorità che segnali agli organi regionali, tutti i fattori di rischio o di danno per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale e solleciti gli stessi organi affinché assumano le necessarie iniziative volte ad assicurare le prestazioni dovute". Numerose le adesioni al documento soprattutto da parte dei familiari dei detenuti o di ex carcerati: è possibile firmare l’appello anche on line (http://www.firmiamo.it/garantedellepersoneprivatedellalibertainsardegna) e già nelle prossime settimane verrà consegnato al presidente della regione Sardegna.

Toscana: Corleone; c’è una gestione "demenziale" delle carceri

 

Ansa, 26 agosto 2009

 

Continua "in modo assolutamente civile" la protesta, nel carcere di Sollicciano a Firenze, dove i detenuti battono oggetti sulle sbarre delle celle per denunciare le condizioni in cui sono costretti a vivere. Lo rende noto il garante dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, che ieri si è recato nella struttura per fare il punto della situazione con il direttore Oreste Cacurri.

La protesta nel carcere fiorentino è cominciata il 18 agosto scorso per l’eccessivo sovraffollamento e per la gestione complessiva dei posti nelle case circondariali in Toscana che viene definita, come riferisce Corleone, "demenziale". "Ieri - informa il garante - a Sollicciano c’erano 955 detenuti più sette bambini a fronte di una capienza di 500. Per domani pomeriggio è previsto un incontro con una folta rappresentanza dei detenuti che hanno preparato un documento nel quale elencano le loro richieste".

Un primo incontro tra detenuti e direzione c’è stato il 19 agosto scorso e, dopo la visita, Corleone ha esposto, al telefono, la situazione al vice capo vicario del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) Emilio Di Somma. "Se non ci saranno a breve risposte positive - ha detto Corleone - non lascerò soli i detenuti e mi impegnerò coinvolgendo associazioni e società civile, parlando col sindaco di Firenze Matteo Renzi e con l’assessore regionale Enrico Rossi".

A Solliciano, informa Corleone, i detenuti sono reclusi in tre, in celle da un posto e in sei in celle da tre. Oltre il 65% è composto da stranieri spesso senza risorse. Nel documento i detenuti chiedono di porre il limite alle presenze a 550-600 posti e anche un incontro con i giornalisti. Intanto è migliorata la questione del vitto e dell’igiene personale. Ai detenuti non danno più pane ammuffito (questo fatto ha originato la protesta), vengono loro consegnati i gelati e possono fare la doccia anche la domenica. Tra le richieste anche estendere almeno a due turni (da uno solo come è ora) l’utilizzo del campo sportivo.

"La questione del sovraffollamento è paradossale - aggiunge Corleone - perché a soli 100 metri da Sollicciano, c’è il Gozzini, o Solliccianino per la custodia attenuata che è semivuoto. Ci sono 40 posti liberi, con due posti a cella sarebbero 80. C’è poi l’ottava sezione di Sollicciano, quella per i tossicodipendenti, dove ci sono altri 40 posti liberi.

Inoltre il femminile di Empoli ha liberi altri 50 posti, ci sono liberi 20 posti a Massa Marittima e ci sono spazi nella casa di reclusione della Gorgona e nel penitenziario Forte San Giacomo a Porto Azzurro sull’isola d’Elba. Hanno ragione i detenuti a dire che l’utilizzo delle strutture in Regione Toscana è demenziale". Riguardo alla presenza nelle carceri dei tossicodipendenti, per Corleone dovrebbe avere applicazione la norma per il loro affidamento speciale, con programmi alternativi e in particolare, l’ingresso in comunità specializzate. "Così facendo - conclude il Garante - in tutta Italia si libererebbero 20 mila posti. Solo a Firenze 200".

Veneto: Michieletto (Pd); a detenuti servono le cure dentistiche

 

Asca, 26 agosto 2009

 

Con una interrogazione alla Giunta Veneto il consigliere regionale Igino Michieletto (Pd) chiede che Regione, Ulss e Ordine degli odontoiatri assumano una iniziativa comune per assicurare la salute dentaria agli oltre 3 mila detenuti nelle carceri venete.

"A seguito delle visite effettuate nelle carceri di Padova e Venezia - dichiara Michieletto - fra le tante situazioni di disagio presenti ed in particolare un non accettabile sovraffollamento, ho constatato il grave problema rappresentato dallo stato di salute dentaria di tanti detenuti". Circa il 40% degli oltre 3.100 detenuti nelle carceri venete sono infatti ex tossicodipendenti, con conseguenti gravi patologie all’apparato dentario.

"C’è un dovere di umanità - afferma Michieletto - che ci impone di dare un aiuto ed un sostegno a chi comunque si trova agli ultimi posti della scala sociale". Per il consigliere regionale la Regione deve pertanto promuovere una iniziativa pubblica "anche sollecitando il concorso volontario dell’ordine degli odontoiatri" per curare i detenuti che hanno urgente bisogno di cure odontoiatriche e di successivi interventi.

Lazio: Uil; aumentano detenuti, ma il personale rimase scarso

 

www.unonotizie.it, 26 agosto 2009

 

"Da una verifica di queste ultime ore, le carceri laziali hanno superato ogni limite regolamentare sulla presenza della popolazione detenuta contro un organico insufficiente del personale di Polizia penitenziaria"; lo dice Daniele Nicastrini, coordinatore regionale Uil Penitenziari a seguito di un incontro odierno con il Provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria del Lazio.

"I dati del sovraffollamento penitenziario sono sotto gli occhi di tutti, e anche quella relativa al nostro personale di Polizia Penitenziaria preoccupa ancora di più perché in caso di urgenze oramai quotidiane si trova costretti a raddoppiare o triplicare i turni con oltre 16 ore consecutive di servizio".

 

Quali sono gli interventi che intende mettere in atto l’Amministrazione Penitenziaria?

"Aprire altri padiglioni a Civitavecchia, Velletri per circa 200 posti e il nuovo carcere di Rieti che dovrebbe ospitare mediamente 200 detenuti ma che sicuramente raddoppierà tale numero perché nel frattempo anche altre regioni sono sottoscacco del sovraffollamento detentivo".

 

Sono previsti incrementi di agenti penitenziari?

"Da disposizioni Dipartimentali rispetto alla mobilità di personale a livello nazionale, sono previsti incrementi significanti per le sedi di Viterbo, Rieti, Frosinone e Regina Coeli entro la metà di ottobre, sulla quale avremo da ridire al momento opportuno,per adesso incassiamo questa notizia".

 

Vuol dire che il problema degli organici saranno risolte?

"Non scherziamo - continua Nicastrini - il problema degli organici si risolve solo se chi ha il governo di questo Paese abbia la volontà di assumere almeno 10.000 unità di Polizia Penitenziaria, che sono oramai indispensabili e non più rinviabili se si vuole avere sicurezza e trattamento dei detenuti, che alloro volta invece sono sicuro che aumenteranno rispetto ai nuovi ingressi che si stanno avendo sul piano nazionale avendo superato da tempo la soglia dei 63.400 presenze.

 

L’estate calda anche in tema carceri, cosa vuole dire in questo caso?

"che il disagio delle persone detenute sono state affrontate con professionalità e umanità dai nostri agenti - conclude Nicastrini - pur essendoci altrettanta difficoltà da parte di questi ultimi ha sopperire alle carenze del sistema penitenziario che sono evidenti a tutti".

Sicilia: Garante; applicare Circolare Dap su emergenza estiva

 

Comunicato stampa, 26 agosto 2009

 

Il Sen. Salvo Fleres, Garante regionale per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti, in relazione alle condizioni di sovraffollamento delle carceri siciliane ha istituito, all’interno dell’Urp del Garante, uno Sportello abilitato a ricevere le segnalazioni sulle condizioni igienico-sanitarie degli Istituti di pena, sull’inadeguatezza degli spazi previsti dalla legge per una detenzione umana e sull’osservanza delle misure atte a garantire la tutela della salute delle persone detenute o internate e degli stessi operatori di polizia penitenziaria.

Le segnalazioni, non in forma anonima, possono essere trasmesse per posta al seguente indirizzo: Ufficio Garante dei diritti fondamentali dei detenuti presso Regione siciliana via Generale Magliocco, 36 - 90141 Palermo. Oppure all’indirizzo mail info@garantedirittidetenutisicilia.it o anche al seguente fax: 091/7075487.

Il Sen. Fleres ha già chiesto da tempo all’amministrazione penitenziaria e ai Direttori degli Istituti di pena la rigorosa applicazione della circolare del capo Dipartimento Dap Dr. Ionta, del 6 luglio 2009 avente per oggetto: "Avvento della stagione estiva e conseguenti difficoltà derivanti dalla condizione di generale sovraffollamento del sistema penitenziario. Tutela della salute e della vita delle persone detenute o internate".

In particolare ha sollecitato l’attuazione delle misure ivi previste per rendere meno afflittiva la detenzione (docce più frequenti, distribuzione di acqua potabile, utilizzazione più prolungata degli spazi comuni e l’apertura diurna delle celle ove non sussistano particolari ragioni di sicurezza) e ogni altro intervento per una più razionale utilizzazione degli spazi all’interno delle stesse carceri (come è già avvenuto per il carcere di Piazza Lanza a Catania). Tali richieste fanno seguito all’invito, più volte rinnovato, di utilizzare, al più presto, le nuove carceri di Gela, Noto e Villalba che, malgrado costruite da tempo, sono (parzialmente per quello di Noto) inspiegabilmente ancora non operative.

Firenze: ancora proteste a Sollicciano e detenuto si cuce bocca

 

Coriere della Sera, 26 agosto 2009

 

La protesta nel carcere fiorentino è cominciata il 18 agosto scorso per l’eccessivo sovraffollamento. Un detenuto che voleva essere rimpatriato si è cucito la bocca.

Continua la protesta, nel carcere di Sollicciano a Firenze, dove i detenuti battono oggetti sulle sbarre delle celle per denunciare le condizioni in cui sono costretti a vivere. Lo rende noto il garante dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, che si è recato nella struttura per fare il punto della situazione con il direttore Oreste Cacurri. La protesta nel carcere fiorentino è cominciata il 18 agosto scorso per l’eccessivo sovraffollamento e per la gestione complessiva dei posti nelle case circondariali in Toscana che viene definita, come riferisce Corleone, "demenziale". "Ieri - informa il garante - a Sollicciano c’erano 955 detenuti più sette bambini a fronte di una capienza di 500. Per domani pomeriggio è previsto un incontro con una folta rappresentanza dei detenuti che hanno preparato un documento nel quale elencano le loro richieste".

Un primo incontro tra detenuti e direzione c’è stato il 19 agosto scorso e, dopo la visita, Corleone ha esposto, al telefono, la situazione al vice capo vicario del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) Emilio Di Somma. "Se non ci saranno a breve risposte positive - ha detto Corleone - non lascerò soli i detenuti e mi impegnerò coinvolgendo associazioni e società civile, parlando col sindaco di Firenze Matteo Renzi e con l’assessore regionale Enrico Rossi".

A Solliciano, informa Corleone, i detenuti sono reclusi in tre, in celle da un posto e in sei in celle da tre. Oltre il 65% è composto da stranieri spesso senza risorse. Nel documento i detenuti chiedono di porre il limite alle presenze a 550-600 posti e anche un incontro con i giornalisti. Intanto è migliorata la questione del vitto e dell’igiene personale. Ai detenuti non danno più pane ammuffito (questo fatto ha originato la protesta), vengono loro consegnati i gelati e possono fare la doccia anche la domenica. Tra le richieste anche estendere almeno a due turni (da uno solo come è ora) l’utilizzo del campo sportivo.

"La questione del sovraffollamento è paradossale - aggiunge Corleone - perché a soli 100 metri da Sollicciano, c’è il Gozzini, o Solliccianino per la custodia attenuata che è semivuoto. Ci sono 40 posti liberi, con due posti a cella sarebbero 80. C’è poi l’ottava sezione di Sollicciano, quella per i tossicodipendenti, dove ci sono altri 40 posti liberi. Inoltre il femminile di Empoli ha liberi altri 50 posti, ci sono liberi 20 posti a Massa Marittima e ci sono spazi nella casa di reclusione della Gorgona e nel penitenziario Forte San Giacomo a Porto Azzurro sull’isola d’Elba. Hanno ragione i detenuti a dire che l’utilizzo delle strutture in Regione Toscana è demenziale".

Riguardo alla presenza nelle carceri dei tossicodipendenti, per Corleone dovrebbe avere applicazione la norma per il loro affidamento speciale, con programmi alternativi e in particolare, l’ingresso in comunità specializzate. "Così facendo - conclude il garante - in tutta Italia si libererebbero 20 mila posti. Solo a Firenze 200".

Per protesta contro il mancato rimpatrio, un detenuto si è cucito materialmente la bocca e così ha ottenuto quanto per legge gli spettava. L’episodio, accaduto nei giorni scorsi nel carcere di Sollicciano a Firenze, è stato reso noto dal garante della carceri del Comune di Firenze Franco Corleone. Al detenuto, marocchino - ha spiegato il garante - restavano due anni da espiare ma la sua richiesta di rimpatrio non veniva accolta; così ha deciso di protestare cucendosi la bocca. Solo a questo punto la magistratura ha accolto la richiesta.

Dopo essere stato medicato, per il marocchino sono cominciate le pratiche per tornare in Marocco. "Questo episodio drammatico - afferma Corleone - mette in luce una questione troppo trascurata. Sono molti in Italia i detenuti stranieri che potrebbero usufruire della norma di legge che prevede la possibilità del rientro in patria come misura alternativa quando mancano loro da scontare due anni. È urgente un monitoraggio per capire quanti sono questi casi".

Pisa: acqua razionata, un gruppo di detenuti incendia cuscini

 

La Nazione, 26 agosto 2009

 

Il Comune l’aveva annunciato, che in questi giorni ci sarebbero stati problemi di carenza idrica a causa di importanti lavori all’acquedotto sussidiario Lucca-Pisa-Livorno. Ma in carcere un gruppo di detenuti non ha "digerito" la scarsità d’acqua e ha messo in atto una protesta, nella notte fra lunedì e ieri: fuoco ai cuscini, oggetti sbattuti contro i cancelli e le inferriate.

A protestare sono stati circa 150 dei 400 detenuti della casa circondariale "Don Bosco", prevalentemente i magrebini detenuti ne i due piani della sezione giudiziaria. Quando si sono accorti che mancava l’acqua, "hanno appiccato il fuoco a cuscini, stracci, indumenti ed effetti personali e hanno lanciato bottiglie, bombolette del gas ed escrementi nei corridoi", riferisce il Sappe, Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria. I detenuti hanno cominciato la protesta intorno alle ore 21 sbattendo oggetti contro i cancelli e le inferriate e la calma è stata ristabilita dopo circa due ore. Per evitare che il fumo sprigionato dal fuoco potesse provocare intossicazione, gli agenti di Polizia Penitenziaria hanno utilizzato gli estintori. Nel giro di un paio d’ore, la protesta è rientrata.

Il Garante dei detenuti, avvocato Andrea Callaioli, ci ha spiegato, ieri, che "con il problema della carenza d"acqua, determinato dagli annunciati lavori all’acquedotto, c’è stata una diminuzione anche nel carcere e la direzione ha deciso di razionarla, sia lunedì, che oggi (ieri, ndr) e, forse, anche domani (oggi, ndr). È stato comunque predisposto un supporto all’approvvigionamento idrico, con una riserva di autobotti e attraverso la distribuzione di bottiglie ai detenuti. Tuttavia, nei due piani della sezione giudiziaria, i detenuti magrebini hanno protestato. È intervenuto il direttore Vittorio Cerri spiegando la situazione. Quindi, l’allarme è rientrato".

duro il commento del sindacato sulla situazione delle carceri in generale, alla luce di quanto successo in quello di Pisa. "La situazione penitenziaria è sempre più incandescente - ha commentato ieri Donato Capece, segretario generale del Sappe: ogni giorno registriamo manifestazioni e proteste di detenuti sempre più violente. Serve una nuova politica della pena. È necessario un ripensamento organico del carcere e dell’istituzione penitenziaria, prevedendo un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo (come il braccialetto elettronico) che hanno finora fornito in molti Paesi europei una prova indubbiamente positiva".

Venezia: il carcere trasformato nell’unica risposta al "disagio"

 

Redattore Sociale - Dire, 26 agosto 2009

 

Nei giorni scorsi giornali bruciati, acqua saponata sui pavimenti, oggetti contro le sbarre al Santa Maria Maggiore. L’associazione "Il granello di senape": "Il rumore si sente anche da fuori, la gente se ne accorge".

È dal terzo piano del carcere veneziano Santa Maria Maggiore che si riaccende la polemica sulle condizioni detentive. Nei giorni scorsi giornali bruciati e acqua saponata sui pavimenti sono stati il segnale con cui i detenuti hanno voluto manifestare il loro disagio: vivere in nove all’interno di celle da quattro, con spazi minimi di movimento. E l’elevato turnover non facilita la convivenza multietnica.

I dati non sono troppo diversi da quelli registrati in molti altri istituti di pena italiani: a fronte di una capienza tollerabile di 240 detenuti se ne contano ad oggi 330, con un tasso di turnover del 60%. "Siamo arrivati a questa situazione per tutta una serie di problemi - commenta la presidente dell’associazione veneziana "Il granello di senape", Maria Teresa Menotto -, ma sicuramente incide il fatto di aver trasformato il carcere nell’unica risposta alla marginalità sociale e al disagio".

La tensione a Venezia si respira nell’aria, soprattutto in queste settimane di caldo afoso e intollerabile, ma secondo Menotto il caso lagunare più che l’eccezione attualmente è la regola per quanto riguarda la qualità di vita dei detenuti: "Il problema è innegabile, è davvero grosso - commenta - e non si può far finta di non vedere né sentire, anche perché quando i detenuti sbattono gli oggetti contro le sbarre per protestare il rumore si sente anche da fuori, la gente se ne accorge".

Alla base dell’emergenza-carceri, secondo la presidente, va collocata la lentezza del sistema giudiziario, oltre che il ricorso basso alle pene alternative. Ma c’è anche "la sottovalutazione del problema storico dell’utilizzo del personale, spesso impiegato anche per incarichi che poco hanno a che fare con la detenzione. Senza contare che molto del lavoro degli agenti è destinato alle traduzioni dei detenuti, che impegnano tempo e risorse".

Cosa fare dunque per arginare la situazione? "Investire sulle opportunità di reinserimento lavorativo - dichiara sicura Menotto -, facendo uno sforzo più generale e cercando di affrontare questa crisi economica incentivando anche i privati ad assumere ex detenuti". E che il lavoro sia la prima preoccupazione una volta scontata la pena lo testimoniano anche i dati dello "Sportello carcere" gestito dall’associazione: oltre il 90% delle richieste sono rivolte infatti all’ottenimento del lavoro e in secondo luogo alla ricerca di una casa. "Ci tengo a precisare - conclude Menotto - che la nostra associazione è presente in carcere durante tutto l’anno, non solo in questo delicato periodo estivo, per cui ben ne conosciamo la situazione e cerchiamo di operare il più possibile a favore dei detenuti".

 

Solo 7 agenti per 330 detenuti

 

In cella dovrebbero stare in 4, ma sono in 9: italiani, magrebini, giovani di diversi paesi dell’Europa dell’Est, in attesa di giudizio. Hanno solo 2 metri liberi dalle brande dove potersi muovere: a rotazione. Con l’afa dei giorni scorsi, la situazione era intollerabile. È da questa cella al 3 piano di Santa Maria Maggiore, che è partita l’ultima protesta, con giornali bruciati e acqua saponata sui pavimenti. "Una situazione di gravissimo sovraffollamento che grava su tutte le celle del terzo piano", osserva il senatore Pd-Radicale Marco Perduca, ieri tornato in visita al carcere veneziano, insieme a Michele Bortoluzzi della direzione nazionale dei Radicali Italiani e al consigliere regionale pd Iginio Michieletto.

Per giorni, i detenuti hanno manifestato battendo forte le pentole su inferiate e porte: una protesta tollerata dalla direzione del carcere. "Sì, la situazione è stata affrontata con grande lungimiranza e attenzione umana dalla direzione", prosegue Perduca, "ma le soluzioni devono arrivare dal governo. In questo carcere che ha una capienza "tollerabile" di 240 detenuti, sono in 330. Il 60% di loro è in attesa di giudizio, anche da un anno.

Gli agenti penitenziari sono encomiabili, ma così sotto organico che di notte sono solo in 7: ma si pensa a cosa potrebbe accadere in caso di incendio? Ai detenuti che abbiamo incontrato abbiamo raccomandato grande attenzione alla salvaguardia fisica: anche acqua e sapone a terra possono essere molto pericolosi in caso di soccorsi". I Radicali hanno chiesto ai detenuti di mettere per iscritto la loro storia, per formare un "dossier Santa Maria Maggiore" da presentare alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

"Personalmente, mi impegnerò per contattare imprenditori veneti e far comprendere loro i vantaggi che possono avere nel dare lavoro ai detenuti", osserva Michele Bortoluzzi, "perché il lavoro è fondamentale per dare un senso alla detenzione: non quello stupido di togliere le viti da fisher difettati, che per altro occupa solo 10 dei 100 detenuti definitivi di Santa Maria Maggiore. Un lavoro vero: al Due Palazzi di Padova lavorano in 350 su 750 tra laboratorio di pasticceria e componentistica per biciclette e gioielli".

Da parte sua, il consigliere Michieletto annuncia "l’immediata presentazione di un disegno di legge per istituire la figura del garante dei detenuti, raccordo tra istituzioni e carcere: spero che l’intero Consiglio regionale l’approvi, immediatamente". Altra urgenza - ma deve intervenire il governo - è quella d’incrementare gli organici della polizia penitenziaria, in vista del completamento dei lavori in un’ala del carcere: se non ci saranno nuovi agenti, non potranno essere aperte celle in grado di ospitare fino a 100 detenuti. I radicali chiedono anche la depenalizzazione dei reati minori. In programma anche una visita del magistrato di sorveglianza: i benefici della legge Gozzini, nel Veneto, vengono concessi con il contagocce.

Roma: Osapp; a Rebibbia, un agente "pestato" da 2 detenuti

 

Ansa, 26 agosto 2009

 

È incandescente la situazione nelle carceri romane. Dopo il principio di rivolta di qualche giorno fa nel carcere di Regina Coeli e le concessioni fatte causa caldo eccessivo a Rebibbia, è di ieri la notizia di un agente di polizia penitenziaria pestato sempre nel carcere di Rebibbia.

Autori della violenza due detenuti che si sono anche avvalsi di un palo per portare a termine quella che l’Osapp, l’organizzazione sindacale autonoma Polizia Penitenziaria, non esita a definire un’imboscata. L’agente, malmenato dai 2 detenuti, se la caverà con 7 giorni di prognosi. Secondo l’Osapp "la gravità dell’accaduto sta proprio nella premeditazione di aggressioni oramai all’ordine nel giorno nei sovraffollati penitenziari italiani".

L’episodio è avvenuto ieri mattina, nel reparto G12 del carcere romano Rebibbia nuovo complesso dove al primo piano ci sono 161 detenuti. Il segretario Osapp Leo Beneduci fornisce anche delle cifre per dare peso alla propria denuncia. "A vigilare su quei 161 detenuti ci dovrebbero essere quattro agenti. A causa della carenza di personale però c’era soltanto il collega che è stato vittima del pestaggio".

Nei giorni scorsi a causa del caldo ai detenuti di Rebibbia erano state fatte delle concessioni soprattutto per quanto riguarda la socialità, estesa fino alle 22, con la possibilità quindi di uscire dalle proprie celle oltre la semplice ora d’aria. Già allora l’Osapp protestò contro questa concessione ed oggi ribadisce: "Questo clima è anche favorito dalle concessioni di alcuni direttori che durante il periodo estivo estendono l’orario di socialità fino alle 22. Quando abbiamo obiettato che non ci sono agenti sufficienti a controllare così tanti detenuti fuori dalle celle ci è stato risposto - conclude Beneduci - che in questo modo stavano buoni e rispettavano personale. E si vede".

Frosinone: Sappe; un suicidio che conferma clima insicurezza

 

Comunicato stampa, 26 agosto 2009

 

La segreteria provinciale Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di categoria, vuole segnalare un fatto gravissimo verificatosi nella giornata di lunedì 24 agosto, allorquando un detenuto, da poco trasferito nel carcere di Frosinone, si è impiccato in cella. Inutili purtroppo sono stati i tentativi di soccorso degli agenti di Polizia Penitenziaria intervenuti.

L’episodio accaduto rappresenta come la situazione lavorativa all’interno dell’Istituto è divenuta insostenibile per il personale di Polizia Penitenziaria che è costretto ad operare ai limiti della legalità e, pertanto, è costantemente esposto a pericoli. La grave carenza d’organico ed il sovraffollamento della popolazione detenuta, mette a rischio l’incolumità stessa dei Poliziotti Penitenziari che, oltre a svolgere turni massacranti e a ricoprire contemporaneamente più posti di servizio, lavora ai livelli minimi di sicurezza 24 ore su 24, sopportando una grave situazione di disagio.

Tale questione, più volte sollevata nelle opportune sedi e a chi di dovere, sfiora il dramma se si considera la cronica carenza di personale che spesso comporta turni di lavoro (12/18 ore continuative) tale da comportare, per i preposti ai servizi, l’esposizione ad eventi critici come quello di lunedì. Il personale di Polizia operante nell’Istituto Penitenziario di Frosinone, nonché tutto il sistema organizzativo locale, sono al collasso, e la relativa emergenza ed esigenza che il periodo particolare sicuramente richiede, procura una instabilità preoccupante sia sulla sicurezza dello stesso istituto che sulla tranquillità del personale. A peggiorare la situazione già precaria, ultimamente ci si è aggiunta la mancanza di relazioni sindacali tra le parti sociali e la stessa Direzione locale, che continua a porre in opera provvedimenti unilaterali senza coinvolgere le OO.SS.

Questo episodio conferma il clima di insicurezza, instabilità, problematicità e tensione che si respira nel carcere di Frosinone e negli altri istituti d’Italia, ed è difficile pensare che solo con la costruzione di nuove carceri si possa uscire da questa emergenza sociale.

 

Il Segretario Provinciale Sappe

Alessandro Corsi

Civitavecchia: (Sl); necessario valorizzare le strutture esistenti

 

 

Adnkronos, 26 agosto 2009

 

"Ho aderito all’iniziativa Ferragosto in Carcere promossa dalla deputata Rita Bernardini verificando le reali condizioni del nuovo complesso penitenziario e della casa di reclusione di Civitavecchia: sovraffollamento e carenza di personale che avevo già avuto modo di registrare nel corso di visite precedenti.

Una condizione statica amaramente diffusa e che caratterizza la quasi totalità delle strutture penitenziarie del nostro territorio, regionale e nazionale". A dichiararlo è Enrico Luciani, consigliere regionale del Lazio per Sinistra e libertà, che domani parteciperà alla conferenza stampa indetta presso la sede dei Radicali a Roma, in via Torre Argentina 76.

"È evidente però - prosegue Luciani - che per quanto riguarda le due strutture visitate sul territorio di Civitavecchia siamo di fronte ad un paradosso inaccettabile. Da una parte infatti abbiamo la struttura del Supercarcere di via Aurelia altamente sovraffollata, che arriva ad ospitare circa il doppio dei detenuti consentiti a fronte di interi reparti, ben tre, inutilizzati e quindi deserti. Una situazione che danneggia in modo grave quel percorso di recupero che il carcere dovrebbe garantire e al contrario infligge ai detenuti pene ulteriori, rispetto alla privazione della libertà cui sono sottoposti".

"A questo si deve aggiungere - continua il consigliere - la carenza di personale di polizia, fortemente sottostimato (264 in servizio contro i 358 necessari) che rende difficilissimo il lavoro quotidiano di gestione della struttura. È banale quindi chiedere il perché della mancanza di volontà di riaprire di quegli spazi, ristrutturati e non utilizzati, che risolverebbe di molto la difficile condizione in cui versano detenuti e operatori".

Parma: Soliani (Pd); la condizione carceraria deve migliorare

 

www.parmadaily.it, 26 agosto 2009

 

Pubblichiamo la lettera aperta che la Senatrice Pd Albertina Soliani ha inviato al Sindaco di Parma e al Presidente della Provincia dopo la sua visita nel carcere di via Burla, il 14 agosto.

Caro Sindaco, Caro Presidente, la vigilia di ferragosto ho visitato il carcere della nostra città nell’ambito della iniziativa nazionale promossa dai radicali, alla quale hanno aderito parlamentari e consiglieri regionali di tutti i gruppi politici.

Ho avuto conferma dei dati strutturali che già conoscevo: la complessità del carcere e la sua rilevanza sul piano regionale con la diversificazione dei reparti, compresi i detenuti di alta sicurezza e in regime di 41 bis e la sezione dei paraplegici, la carenza di agenti della polizia penitenziaria (meno 176 rispetto all’organico), la mancanza degli educatori (meno 7), i tagli sulle risorse finanziarie anche per gli interventi di manutenzione ordinaria, per il pagamento degli straordinari e perfino della benzina dei mezzi. La riduzione del numero degli agenti non può che influire negativamente sulla qualità dell’organizzazione interna del carcere.

Per quanto riguarda il sovraffollamento, la situazione non è preoccupante come altrove, essendo dodici in più i detenuti rispetto alla capienza regolamentare, così che essi possono vivere in due per cella.

Su questi aspetti interrogherò il Governo, insieme con altri parlamentari del territorio, affinché siano risolti i problemi cronici che incidono pesantemente sulla condizione umana dei detenuti e degli operatori del nostro carcere. Ricordo che nel 2009 è avvenuto un suicidio.

Mi rivolgo tuttavia anche a Voi, che rappresentate la città e il territorio, con questa lettera aperta poiché penso che vi siano aspetti della vita del carcere di via Burla che possono essere migliorati grazie all’intervento delle istituzioni locali, delle organizzazioni economiche, sociali, culturali e del volontariato. Gli interventi di carattere sanitario sono a carico dell’Asl: il loro potenziamento sia all’interno sia all’esterno del carcere è quanto mai auspicabile.

I corsi scolastici, sia di prima alfabetizzazione, sia di scuola media inferiore e superiore, sono uno strumento molto importante per la vita dei detenuti: occorre renderli fruibili da molti con spazi e strumenti adeguati. Si tenga presente che molti detenuti sono stranieri. Non mi risulta vi sia una convenzione con l’Università.

L’attività lavorativa dei detenuti è assai limitata. Solo 7 su 472 usufruiscono della semilibertà alle dipendenze di datori di lavoro esterni. Penso che il tessuto economico del nostro territorio consenta, pur tenendo conto della crisi, uno sforzo maggiore in questo senso.

Gli spazi riservati ai colloqui con i familiari sono limitati ed inadeguati, così come la piccola stanza con qualche gioco riservata ai bambini mentre lo spazio esterno attrezzato per loro è privo di alberi e coperto dall’erba alta. La città non può consentire questa povertà e questo abbandono. Non vi sono adeguati spazi e attrezzature per l’attività fisica dei detenuti. Qualche rara iniziativa in atto di carattere culturale induce a ritenere che molto di più potrebbe essere fatto.

Segnalo questi aspetti perché ritengo che solo l’iniziativa esterna del territorio possa rendere migliore la vita della comunità penitenziaria, nel contesto delle norme previste per l’espiazione della pena.

Nello stesso tempo credo che dovrebbero essere adottate sul piano nazionale politiche che facilitino, ove possibile, le esperienze alternative alla pena carceraria, che diano celerità ai processi e certezza alla pena diminuendo il numero dei detenuti, e sono molti, in attesa di giudizio. Così come penso che sarebbe utile adottare politiche di prevenzione e di integrazione, poiché i problemi acuti della società non possono essere risolti solo con il ricorso alla carcerazione.

Per quanto riguarda il rapporto del nostro territorio con il carcere, vi sono iniziative avviate da tempo. Penso a quelle della Provincia sul lavoro e sullo sport, del Comune particolarmente attraverso l’Agenzia per la famiglia, del Teatro Europa e del Teatro Regio. Un ruolo fondamentale è svolto dal volontariato, che andrebbe ulteriormente sostenuto e ascoltato. Gli interventi per facilitare il lavoro, soprattutto, eviterebbero che la vita dei detenuti rimanesse esposta per giorni, mesi e anni all’inattività e all’ozio.

Sono convinta che non possiamo accontentarci di quello che esiste ma che dobbiamo compiere una svolta coinvolgendo di più e sistematicamente le grandi energie economiche, sociali e culturali del territorio. Sarebbe importante una iniziativa pubblica, un momento di analisi, programmazione e condivisione degli interventi coinvolgendo tutti i soggetti interessati. Il Comune e la Provincia di Parma potrebbero essere i capofila di questo impegno.

Il carcere è fuori della città ma non può essere estraneo ad essa. Un tempo il carcere di San Francesco era nel cuore anche fisico di Parma. Certamente era nel suo cuore di carne. Le barriere di un carcere moderno non possono recidere i rapporti sociali, rendendolo quasi invisibile. Non meno rilevante è il rapporto del corpo di polizia penitenziaria con la città. Vi sono attività culturali e sportive che già lo coinvolgono ma si può fare di più. Vi è il problema dell’accoglienza degli agenti e delle loro famiglie anche attraverso l’accesso alla casa. L’impegno degli operatori, svolto in condizioni assai difficili, merita la vicinanza dell’intera città. Così come l’attività della Scuola di polizia penitenziaria che ha sede alla Certosa, un possibile punto di eccellenza dell’amministrazione penitenziaria.

Di questi aspetti e di altri ancora si può parlare insieme in una iniziativa pubblica che coinvolga la città. Non sarebbe la prima volta che accade: negli anni ottanta Parma promosse un innovativo convegno dal titolo "Liberarsi dalla necessità del carcere", che la città ancora oggi ricorda.

Ho costantemente presente l’art. 27 della Costituzione secondo il quale "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Siamo ancora lontani da questo traguardo. Anche a Parma. Ciascuno secondo le proprie competenze, e tutti insieme, possiamo fare di più. Resto convinta che una condizione carceraria migliore renda migliori le persone e prepari una società più sicura. Vi ringrazio dell’attenzione e Vi saluto con la più viva cordialità.

Lucera (Fg): rumorosa protesta detenuti contro l’affollamento

 

Lucera web, 26 agosto 2009

 

Dopo essere partita dal nord Italia e dai penitenziari più grandi e importanti, si estende anche al Sud l’ondata di proteste dei detenuti che lamentano condizioni di restrizione sempre più difficili e precarie, dovute soprattutto al sovraffollamento di quasi tutte le case circondariali e in questo periodo anche al caldo che opprime celle e sezioni. La situazione esplosiva delle carceri italiane è quasi sempre silenziosa, ma con passare delle settimane assume sempre più i connotati della contestazione rumorosa che viene direttamente dall’interno, e si sta estendendo lungo un invisibile filo che percorre tutta la Penisola.

A questo fenomeno non si è sottratto il carcere di Lucera in cui poco fa i detenuti ospitati si sono "fatti sentire" chiaramente all’esterno, anche a causa dell’ubicazione della struttura immersa pienamente nel centro città. Buona parte dei reclusi, infatti, ha cominciato a urlare e a battere ciclicamente stoviglie e posate sulle sbarre esterne delle celle, provocando un frastuono udibile anche da strade e palazzi vicini.

La casa circondariale di Lucera in questo momento conta circa 250 ospiti a fronte di una capienza standard di 170 e nei giorni scorsi era stata visitata anche dal deputato lombardo Antonio Misiani che è entrato nel complesso di Piazza Tribunali il 14 agosto, nell’ambito dell’iniziativa dei Radicali "Ferragosto in carcere" a cui hanno aderito 150 tra parlamentari e consiglieri regionali. Il sovraffollamento è il problema principale da tutti riconosciuto come quello da risolvere per primo, con i sindacati della stessa polizia penitenziaria che più volte hanno denunciato condizioni di detenzione e di lavoro ai limiti della legislazione vigente.

"Servono interventi nel breve termine da parte del governo italiano per risolvere il problema - ha commentato l’esponente del Pd - non solo dal punto di vista logistico e strutturale, ma anche indirizzando verso un uso più selettivo della custodia cautelare e un maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione. In situazioni come quella di Lucera solo l’abnegazione e l’esperienza del direttore Davide Di Florio e degli agenti di polizia penitenziaria permettono di mantenere la situazione sotto controllo, ma questo tipo di contesto non può prolungarsi ancora a lungo".

Lodi: ex direttore; carcere obsoleto, per nuovo mancano soldi

 

Il Giorno, 26 agosto 2009

 

L’ex direttore del carcere di via Cagnola, Luigi Morsello, torna a parlare della situazione della casa circondariale, che già aveva definito "una struttura penitenziaria obsoleta". Morsello cita il caso della visita ferragostana di esponenti Pd e Radicali: "Sorprende che i due parlamentari non abbiano notato che una intera sezione è inutilizzata. Se non se ne sono accorti, cosa ci sono andati a fare?

Il direttore e il provveditore ritengono che l’incremento delle attività trattamentali sia da porre all’origine della mancanza di incidenti. Probabilmente è vero, ma mi si consenta un po’ di scetticismo - prosegue Morsello -. Certo è che attività trattamentali non facevano difetto nel 2004, eppure le proteste di quell’anno per ottenere l’indulto e l’amnistia, che restò nelle intenzioni, anche i detenuti di Lodi protestarono, eccome.

Credo che gli abitanti circostanti il carcere se lo ricordino ancora. Posto che sia vero, ma non ne dubito, che da 20 giorni non sono stati cambiati lenzuola e fodere, mi appare arduo, pur nel periodo estivo, sostenere che così si sta mettendo a rischio la salute dei detenuti e dei poliziotti. Non bisogna dimenticare che esiste un servizio sanitario, con un medico incaricato e tre medici di guardia oltre a svariati ed esperti infermieri. Non sarà un cambio ritardato di lenzuola a causare la parassitosi, ma, semmai, una difettosa sorveglianza del servizio sanitario.

Ciò nulla toglie al disservizio del cambio di lenzuola - prosegue Morsello -. Ciò che mi appare degno di nota è che si suggerisce la costruzione di un carcere nuovo, sostitutivo di quello attuale. Di tale necessità Enzo Tinnirello (sindacalista della polizia penitenziaria, ndr) si farà portavoce al Prefetto di Lodi, al quale ha chiesto un incontro. Anche qui avrei qualche perplessità. Certo, è auspicabile una nuova struttura, ma è realistico oggi formulare una simile richiesta? Per me non lo è - dice Morsello -. Per poco che si è al corrente almeno della situazione dell’Amministrazione penitenziaria e delle risorse che le sono destinate, non è difficile desumere che oggi non si può fare. Non ci sono soldi, l’erario è a secco".

Treviso: detenuto di 55 anni stroncato da un infarto nella cella

 

La Tribuna di Treviso, 26 agosto 2009

 

Adriano Zanin, 55 anni, è morto per un infarto mentre si trovava recluso nel carcere Santa Bona a Treviso. L’uomo, che era pregiudicato, probabilmente in seguito all’ultima condanna non aveva più potuto beneficiare dei benefici di legge e ha dovuto così scontare la sua pena nel penitenziario trevigiano. Nella notte tra sabato e domenica Zanin si è sentito male mentre si trovava nella sua cella. A stroncarlo è stato un infarto che non gli ha lasciato scampo. A nulla sono valsi i soccorsi. Originario di Susegana, il cinquantacinquenne lascia le sorelle. I funerali verranno celebrati in uno dei prossimi giorni nella chiesa di Susegana. Proprio nei giorni scorsi anche il carcere di Santa Bona, come molti altri penitenziari italiani, era stato al centro di malumori e proteste che avevano portato alla presentazione di un esposto alla Corte europea dei diritti di Strasburgo contro il sovraffollamento.

Droghe: ex agente penitenziario uccide figlia tossicodipendente

 

Ansa, 26 agosto 2009

 

Le ha sparato in macchina alla testa uccidendola sul colpo e non in casa. È la ricostruzione fatta dagli inquirenti (il capo della squadra mobile dell’Aquila Salvatore Gava, il vice questore di Avezzano Marco Nicolai e l’ispettore sulmonese Antonio Romanelli), che ieri sera hanno tenuto una conferenza stampa nel commissariato di Sulmona, sul raptus omicida che ha portato Vincenzo Marruccelli di 53 anni ad uccidere la figlia tossicodipendente, Irene di 25 anni.

Avevano trascorso la mattinata insieme ed erano di ritorno dal Sert di Sulmona, dove la ragazza aveva rifiutato per l’ennesima volta le cure. Il rifiuto ha scatenato il raptus omicida dell’uomo che le ha sparato alla nuca con una pistola Beretta 7.65, uccidendola sul colpo. Erano circa le 11 e si trovavano nei pressi della stazione quando l’uomo ha fatto fuoco. Poi, resosi conto del gesto compiuto, è andato al commissariato di Sulmona, dove è entrato approfittando della sbarra alzata. Qui ha provato a suicidarsi, puntandosi la pistola addosso, ma è stato fermato dagli agenti. A loro ha chiesto aiuto, scoppiando in un pianto dirotto.

L’arma non era quella di ordinanza (l’uomo è un ex agente di polizia al penitenziario di Sulmona, riformato per motivi psico-fisici da poco più di un anno), ma era regolarmente detenuta perché lasciatagli in eredità dal padre. Marruccelli non aveva però il porto d’armi e di conseguenza non poteva detenere proiettili. Nella sua casa di San Pietro di Bagnaturo, una frazione di Pratola Peligna, sono stati rinvenuti una cinquantina di proiettili detenuti illegalmente. L’uomo, portato nel carcere dove ha lavorato per anni, è ora accusato di omicidio e porto abusivo di arma. In mattinata dovrebbe esserci l’interrogatorio di garanzia, alla presenza dell’avvocato Alessandro Scelli.

Sul corpo della ragazza, che aveva avuto alcune condanne e procedimenti penali per l’abuso di droga, è stata disposta l’autopsia. La bimba di due anni della vittima, invece, è stata affidata alla nonna materna, che ora dovrà crescerla da sola.

 

 

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