Rassegna stampa 22 agosto

 

Giustizia: protesta dei detenuti continua; appelli per fermarla

di Sandro De Riccardis

 

La Repubblica, 22 agosto 2009

 

Lenzuola in fiamme a Venezia, una maxi-rissa a Padova, posate sbattute contro le sbarre a Trani e Como, un nordafricano in fin di vita nel carcere milanese di San Vittore, dove una settimana fa si è impiccato un altro detenuto. La protesta nelle carceri si estende in tutta Italia, con un "rischio emulazione - dice il Sappe, il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria - che rischia di piegare le gambe a un sistema ogni giorno più traballante".

Un effetto-domino evidente soprattutto al nord, dov’è più alta la popolazione carceraria. Al Santa Maria Maggiore di Venezia i disordini scoppiano nella notte tra ieri e giovedì al terzo piano della struttura. "Una vera e propria rivolta" denuncia la Uil-pa penitenziari. Poche ore prima, a Padova, la rissa esplosa fra 60 detenuti stranieri aveva infiammato le sezioni. Una situazione di estrema tensione che preoccupa Enrico Sbriglia, segretario del Sindacato direttori penitenziari: "Ogni atto di violenza - è il suo appello - è un ostacolo per una soluzione dei problemi".

Le tensioni nascono dal sovraffollamento. A San Vittore una settimana fa un ragazzo si è impiccato, giovedì un nordafricano è stato investito dalla fiammata di gas della bomboletta che maneggiava durante la protesta. Era al sesto raggio, un vero inferno: oltre 500 detenuti, celle da tre posti con otto persone, letti a tre piani da cui spesso si cade, docce a giorni alterni. Un "provvedimento di sfollamento" avrebbe dovuto alleggerirlo entro il 31 agosto di 250 detenuti.

Male ferie, la carenza di personale, la mancanza di veicoli in grado di raggiungere Puglia e Calabria, hanno bloccato tutto. "Non siamo al collasso, siamo già collassati" dice Nicolino La Bella, vicesegretario del Sappe lombardo. E anche in alcune strutture del meridione, la situazione è già grave: a Trani si protesta per un eccesso di presenze del 50% rispetto alla capienza di 220 reclusi.

Oggi in Italia 64mila detenuti vivono in spazi idonei a contenerne 43mila, con un rapporto disarmante di un agente ogni 15 reclusi. Per questo Eugenio Sarno, segretario della Uil-pa, invoca "l’intervento diretto" del ministro della Giustizia Angelino Alfano: "Aspettiamo un disegno di legge per assunzioni straordinarie". "Sconcerta la mancanza di provvedimenti concreti e urgenti" rincarala dose il segretario del Sappe, Donato Capece, che chiede "almeno cinquemila agenti". Intanto 156 detenuti a Trento hanno presentato una richiesta di indennizzo per le condizioni della detenzione, citando la sentenza della Corte europea che ha condannato l’Italia a risarcire con mille euro un detenuto bosniaco.

Giustizia: carceri troppo affollate; l’Italia rischia multe record

di Giacomo Russo Spena

 

Il Manifesto, 22 agosto 2009

 

Scioperi della fame, risse, incendi, proteste. I detenuti chiedono giustizia all'Europa contro una detenzione "disumana e degradante". La sentenza del 16 luglio scorso della Corte dei diritti umani apre la strada dei risarcimenti e inchioda il governo italiano alle sue responsabilità. Nel silenzio del Parlamento si mobilitano le associazioni. Esposto collettivo a Trento: sovraffollamento, muffa e niente estintori. Proteste a Como, Venezia e Trani.

Celle distrutte, suppellettili battute contro le inferriate, coperte e giornali dati alle fiamme. Ma anche denunce alla Corte europea di Strasburgo per vedere riconosciuto un indennizzo perla detenzione "disumana" trascorsa in galera. Nei penitenziari italiani la situazione è sempre più esplosiva.

Ieri, 156 persone rinchiuse nel carcere di Trento hanno dato mandato all’associazione "Diritti dei detenuti" di presentare un esposto: "Viviamo in una condizione inaccettabile - scrivono i detenuti - Nella struttura i termini di vivibilità minimi non sono stati rispettati. Le celle presentano segni di muffa e il bagno non rispetta le leggi sanitarie".

Il sovraffollamento è cronico, la terza branda nelle celle (teoricamente non a norma) una costante. E la sicurezza? "Totalmente assente, un solo estintore per ogni braccio". Da qui la scelta di denunciare la situazione alla Corte europea dei diritti dell’uomo, la stessa che un mese fa ha condannato l’Italia a risarcire con mille euro un detenuto bosniaco rinchiuso nel carcere romano di Rebibbia perché non erano stati rispettati i parametri fissati. Per Strasburgo, infatti, ad ogni detenuto spetterebbero 7,5 metri quadri, mentre nelle carceri italiane la media è intorno ai 3. Intanto, in altri penitenziari, invece di agire per vie legali si è passati a proteste più "muscolari".

Nella casa circondariale di Santa Maria Maggiore, a Venezia, ore di tensione con piccoli roghi in un braccio del carcere. Mentre a Padova una maxirissa con 60 immigrati coinvolti. "L’inizio del Ramadan è stato sempre un momento di tensione. Questa degenerazione violenta delle proteste, tuttavia, nulla ha a che fare con la religione", spiega Leo Angiulli, segretario regionale del Triveneto della Uil Penitenziari, che condivide la linea rigida dettata dal capo del Dap, Franco Ionta.

"Se è legittimo manifestare e protestare non è consentito degenerare - afferma il sindacalista -Pertanto ci appelliamo al senso di responsabilità perché non si acceleri il precipitare di una situazione colpevolmente lasciata fermentare nell’indifferenza e che ben presto potrebbe connotarsi per una estrema ingestibilità". Ogni giorno è già troppo tardi.

Altre proteste sono scoppiate, sempre ieri, a Como, Trani e Roma. In molti altri penitenziari è in corso lo sciopero della fame. Il Sappe lancia l’allarme di un effetto "domino ed emulazione negli istituti che, se messi in pratica, piegherebbero le gambe a un sistema carcere ogni giorno sempre più traballante". Non solo per i detenuti, ma anche per gli agenti che lavorano nelle galere.

"Sono in aumento gli attacchi al personale che ormai è demotivato, stanco e malpagato - denuncia Francesco Quinti della Fp-Cgil - Gli uomini in servizio diminuiscono mentre i detenuti crescono di almeno mille unità al mese". Dello stesso avviso l’Osapp che lancia una provocazione ai parlamentari: "Un turno di sorveglianza effettuato alle stesse condizioni di chi svolge il lavoro di sorveglianza negli istituti di pena - spiega il segretario nazionale Leo Beneduci - una proposta dura, indirizzata agli stomaci più resistenti, quello che avete visto durante le ispezioni di ferragosto non basta a descrivere il quadro entro il quale ci muoviamo".

In questo clima cosa sta facendo il ministro della Giustizia Alfano? "Il suo atteggiamento è di palese immobilismo, basta pensare che il piano carceri di Ionta ancora non è arrivato in consiglio dei ministri - aggiunge Quinti - il governo ha delle responsabilità su quel che sta succedendo". Né l’appello all’Europa del Guardasigilli (ha chiesto una soluzione per rimpatriare i detenuti immigrati) né la costruzione di nuovi istituti (ci vorrebbero almeno 5 anni di tempo) appaiono soluzioni convincenti.

Per questo i Radicali, dopo aver promosso l’ispezione parlamentare, tornano alla carica per trovare misure alternative alla galera (come la "messa alla prova" che ha portato ottimi risultati negli istituti minorili) e per la depenalizzazione di alcuni reati. Finora il governo non ha fatto nulla per intervenire. Rischia di pagare in multe e rivolte.

Giustizia: Casellati; costruire nuove carceri è l’unica soluzione

 

La Stampa, 22 agosto 2009

 

Senatrice Maria Elisabetta Alberti Casellati, sottosegretario alla Giustizia, è davvero in nuove carceri la soluzione?

"È una vera emergenza e va combattuta da più fronti: quello dell’edilizia è il più importante. Abbiamo già creato 546 nuovi posti, in 5 anni dovremmo assicurarne altri 5mila, e con la costruzione di 18 istituti li porteremo a 18mila".

 

Don Spriano, cappellano di Rebibbia, propone la depenalizzazione, perché lo Stato non avrebbe né il tempo né le risorse perii piano edilizio.

"Anche noi abbiamo pensato alla depenalizzazione per reati di minor pericolosità sociale. Ma ci sono i primi 200 milioni del Cipe, e altri 120 dalla Cassa delle Ammende".

 

Su un totale necessario di un miliardo e mezzo. Non rischiate di iniziare qualcosa che non avrete i soldi per completare?

"Dimentichiamo i privati e gli aiuti dall’Europa. Le carceri sono anche un problema loro: il 40 per cento dei detenuti è straniero. Nel Nord il tasso arriva all’80-85%".

 

È oltreconfine la soluzione?

"Con rapporti bilaterali con Romania, Albania, Marocco e Algeria molti dei detenuti potrebbero scontare la pena nel loro Paese. Poi assumeremo 300 agenti entro fine anno. E c’è l’idea di utilizzare l’esercito"

Giustizia: Sappe; situazione drammatica, Governo intervenga

 

Il Velino, 22 agosto 2009

 

"Nelle carceri italiane, sovraffollate da 64 mila detenuti nonostante una capienza regolamentare degli istituti di 43 mila posti e un provvedimento di indulto che nel 2006 ne fece uscire 27 mila, continuano i focolai di protesta dei ristretti e c’è il pericolo di effetti domino ed emulazione che, se messi in pratica, piegherebbero le gambe a un sistema carcere ogni giorno sempre più traballante.

Le proteste sono riprese a Como, a Venezia, a Roma e non sempre sono pacifiche, a tutto discapito della sicurezza dei penitenziari e delle donne e degli uomini del Corpo, a cui mancano ben cinquemila agenti, che stanno 24 ore su 24 nella prima linea delle sezioni detentive. In tutto questo drammatico contesto, sconcerta la mancanza di provvedimenti concreti ed urgenti da parte dell’amministrazione penitenziaria.

Per queste ragioni, rinnovo il mio appello al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e al ministro della Giustizia Angelino Alfano per l’adozione di urgenti interventi per il sistema carcere, a cominciare dall’assunzione straordinaria dei cinquemila agenti che mancano, magari con concorsi nazionali a livello regionale".

A lanciare questo appello è Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, in relazione alle continue manifestazioni di protesta di detenuti in atto in alcuni penitenziari del Paese.

"Le manifestazioni e le proteste dei detenuti in atto da diversi giorni - insiste Capece - sono estremamente significativi per comprendere la quotidiana difficoltà lavorativa delle donne e degli uomini del Corpo di polizia penitenziaria e rafforzano il nostro appello dei giorni scorsi alla classe governativa e parlamentare finalizzato a porre tra le priorità di intervento quello dell’emergenza penitenziaria adottando con urgenza rimedi strutturali al sistema penitenziario.

Primo tra tutti l’assunzione dei cinquemila agenti che mancano dagli organici del Corpo. Ma anche la necessità di una modifica del sistema penale sostanziale e processuale che renda stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi affidando a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale, prevedendo che i compiti di controllo sull’esecuzione penale e sulle misure alternative alla detenzione siano affidati alla polizia penitenziaria. È anche necessario prevedere che gli stranieri scontino la pena nei penitenziari dei loro Paesi d’origine. E sarebbe anche necessario istituire, nell’ambito di una non più rinviabile riorganizzazione del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, dipartimento che oggi assiste passivo e silente all’implosione del sistema carcere, una direzione generale del Corpo di polizia penitenziaria, sulla cui ragion d’essere ogni giorno di più siamo fermi e convinti sostenitori.

Giustizia: Osapp; riportare la "normalità", con l'intransigenza

 

Il Velino, 22 agosto 2009

 

"L’attuale situazione degli istituti penitenziari, caratterizzata da gravi e ricorrenti fatti lesivi dell’ordine e della sicurezza, può considerarsi veramente eccezionale. Nulla, pertanto deve essere lasciato di intentato, al fine di riportare la normalità in tutti gli istituti, condizione assolutamente indispensabile per procedere ad ogni forma di trattamento".

È quanto sostiene oggi Leo Beneduci, segretario generale e leader del sindacato Osapp, all’indomani dei gravi incidenti avvenuti a Sollicciano e a Perugia, e dopo le manifestazioni di protesta dei detenuti di Como e di Biella. "Con parole che non sono nostre - spiega Beneduci - intendiamo esprime tutto il nostro rammarico per una situazione che rischia veramente di precipitare. Rispolveriamo, e pensiamo faccia bene a farlo anche il ministro Alfano, una circolare emanata nel 1977, dall’allora ministro Bonifacio, quando cioè il titolare del dicastero aveva lo scrupolo di occuparsi anche di problemi carcerari".

"Il segretario generale ricorda come la situazione attuale potrà apparire ben lontana da quella di 30 anni, ma lo spirito con cui si affrontava il problema del sovraffollamento, espressione già allora utilizzata, non giustificava certo che certi avvenimenti e certi atti di ribellione potessero passare in secondo piano, come sta invece succedendo - precisa il sindacalista - adesso al dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. La situazione di sovraffollamento degli stabilimenti, citando ancora la circolare, non deve d’altra parte condizionare la vita penitenziaria più di quanto non sia necessario. A trent’anni di distanza a noi sembra che stia accadendo tutto il contrario".

"Capiamo le ragioni di disagio, a Ferragosto anche noi siamo intervenuti in visita a Napoli, capiamo che certi moti di ribellioni siano dovuti, e non solo, al sovraffollamento (ma al cibo che è scadente, al sopravitto troppo costoso, alla completa assenza di educatori e operatori penitenziari e alla mancata possibilità di ciascun recluso di vedersi confermato un permesso premio, etc.) ma d’altra parte siamo fermamente convinti, come sosteneva nel 1977 il ministro Bonifacio, che "il ripristino della normalità assuma indiscutibile carattere prioritario rispetto alle altre pur apprezzabili esigenze". "Sta di fatto che l’ordine e la disciplina non sono più le parole chiave dell’istituto penitenziario di oggi. Probabilmente il ministro e il capo del Dap conoscono soltanto la parola ‘socialità’, che per noi della polizia penitenziaria significa più sorveglianza e più assistenza".

"Come detto - insiste Beneduci - si può condividere o meno una politica più permissiva, ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ci chiediamo quante saranno le azioni disciplinari per i danneggiamenti causati. Se per qualche detenuto si apra o meno un fascicolo giudiziario. Se per chi ha sfasciato e picchiato venga rivisto il trattamento e il regime di detenzione fuori e dentro il carcere. Se si disponga il risarcimento di un danno che grava, sempre e soltanto, sulla collettività.

Si ha la netta sensazione che il lasciar correre sia all’ordine del giorno nonostante che, l’attuare e con rigore le leggi e le regole vigenti costituirebbe un deterrente indispensabile per atti ancora più gravi che non devono accadere. Altrettanto, ci sembra importante indicare come almeno in tre dei casi di ribellione avvenuti nei giorni scorsi le proteste si siano inasprite subito dopo le visite agli istituti di alcuni parlamentari, e adesso si grida al rischio di emulazione.

Ovviamente, non è il parlamentare la causa della protesta ma andare negli istituti e confermare anche a voce nei confronti dei detenuti che le condizioni di vivibilità sono pessime può a volte essere percepito come una sorta di ‘confortò per determinati atti, soprattutto quando le visite sono preannunciate giorni o addirittura settimane prima, e successivamente a tali visite, come in passato sin troppo spesso accaduto, di miglioramenti concreti non se ne vedono. I 150 parlamentari, se vogliono, hanno il potere di proporre riforme tese a rivedere il sistema penitenziario e per riorganizzare e potenziare il Corpo di polizia penitenziaria".

Giustizia: Uil; preoccupati per aumento tensione tra i detenuti

 

Il Velino, 22 agosto 2009

 

"Una protesta che ha assunto tutti gli aspetti di una vera rivolta quella che è stata sedata nella nottata al terzo piano della Casa circondariale di Santa Maria Maggiore a Venezia. Celle distrutte, suppellettili divelte, coperte e giornali date alle fiamme. Nel pomeriggio di ieri presso la Casa di reclusione di Padova, una sessantina di detenuti stranieri hanno dato vita, nella fruizione del campo sportivo, a una maxi rissa continuata nelle sezioni quando sono stati fatti rientrare".

A darne notizia è la segreteria regionale del Triveneto della Uil Pa penitenziari, attraverso il segretario regionale, Leo Angiulli, per il quale "L’inizio del Ramadan è stato sempre un momento di tensione accresciuta. Ma questa degenerazione violenta delle proteste nulla ha a che fare con la religione, anche se è auspicabile che l’Amministrazione faccia ogni sforzo per gestire questa delicata fase".

Da Roma intervene anche Eugenio Sarno, segretario generale, che già nei giorni scorsi aveva lanciato un appello alla calma: "Ci sono molti modi per essere solidali e aderire alla protesta, persino legittima, viste le condizioni degli istituti penitenziari. Ma i fatti di Venezia come quelli di Padova, come ancora prima quelli di Firenze, Perugia, Como e così via con la loro natura violenta non sono una dimostrazione di solidarietà, tantomeno possono essere ascritti nel campo delle proteste. Sono fatti violenti e basta. In quanto tali li condanniamo con fermezza.

Con quella stessa fermezza con cui denunciamo le incivili e indegne condizioni strutturali dei nostri penitenziari aggravate dal traboccante sovrappopolamento e le penalizzati, afflittive , indecorose condizioni di lavoro del personale penitenziario. Se è legittimo manifestare e protestare non è consentito degenerare. Pertanto ci appelliamo al senso di responsabilità perché non si acceleri il precipitare di una situazione colpevolmente lasciata fermentare nell’indifferenza e che ben presto potrebbe connotarsi per un’estrema ingestibilità".

Per la Uil le prove di disponibilità fornite dal Dap sono più che giustificabili, se a esse si contrappone una gestione ferma e rigorosa dei facinorosi e dei violenti: "Sento parlare di buonismo in relazione a concessioni fatte dal Dap in questi giorni . Non sono d’accordo, credo che si tratti semplicemente di buon senso derivante da uno stato di necessità. Però per non dare adito a dubbi sulla tolleranza e sulla disponibilità occorre perseguire con fermezza e rigore gli autori di atti violenti, applicando nei loro confronti le sanzioni previste dal regolamento penitenziario e se del caso perseguirli anche in via penale. Ciò a tutela dei tanti che intendono manifestare con la forza della non violenza". La polizia penitenziaria, si legge in una nota "è in trincea, tra ferie non godute, riposi non fruiti ed emolumenti non percepiti". Per tali ragioni l’Uil invita nuovamente il Guardasigilli a intraprendere iniziative concrete.

"In questa baraonda - conclude il sindacato - a pagarne le più dirette conseguenze sono gli uomini e le donne della polizia penitenziaria cui, tra l’altro, non si negano solo ferie e riposi ma persino gli emolumenti economici spettanti. Dall’inizio dell’anno non sono pagati gli straordinari e missioni; tantomeno nelle buste paga non si vedono ancora gli aumenti contrattuali contrattati ad aprile.

A questo punto credo sia necessario un intervento diretto del ministro Alfano. Faccia sentire la sua voce e dia un segnale concreto di vicinanza al personale penitenziario abbandonato nelle trincee delle prime linee penitenziarie. Sarebbe un modo concreto per rendere credibili i suoi apprezzamenti, più volte, rivolti alla polizia penitenziaria. Aspettiamo alla ripresa dei lavori non solo una sua convocazione ma anche che il ministro presenti un disegno di legge per assunzioni straordinarie e che dia corso a provvedimenti di razionalizzazione delle risorse umane perseguendo quella lotta agli imboscati nei palazzi del potere che ha, verbalmente, condiviso. Cominciando proprio da via Arenula".

Giustizia: tra evasioni e agenti aggrediti, nelle carceri da incubo

 

Ansa, 22 agosto 2009

 

Dopo le recentissime evasioni di Bologna e Voghera, si deve registrare l’ennesima beffa. Un altro detenuto, infatti, è evaso nella giornata di ieri dalla Casa Circondariale di Monza. "Tre evasioni in pochi giorni sono davvero troppe da digerire in silenzio" afferma Angelo Urso, componente della Segreteria Nazionale della Uil Pa, dando notizia anche dell’aggressione a un agente penitenziario da parte di un detenuto nel carcere di Como.

"Il detenuto evaso - riferisce il sindacato - a Monza è un extracomunitario con fine pena 2012, condannato per rapina: lavorante addetto al trasporto dell’immondizia, l’uomo ha eluso la sorveglianza di un agente mentre si trovava nella zona dell’intercinta e dopo aver scavalcato la rete che delimita l’area si è dato alla fuga".

Bologna - La procura di Bologna ha aperto un’inchiesta sulla doppia evasione avvenuta il 18 agosto nel carcere minorile del Pratello. I due evasi sono Ofori Bright, ghanese che a ottobre compirà 20 anni e che è in carcere per violenza sessuale (fine pena nel 2017) e uno slavo di 17 anni in attesa dell’appello per scippo.

Voghera - Lo scorso 19 agosto invece è toccato a Voghera, dove il killer ergastolano della mala meneghina Luciano Vella è riuscito a mettere a segno la sua progettata evasione.

Giustizia: gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari; sono necessari?

di Rosalia Grande

 

Agenzia Radicale, 22 agosto 2009

 

Il giorno 16 agosto, nel quadro dell’iniziativa Ferragosto nelle carceri promossa dalla deputata radicale eletta nelle liste Pd Rita Bernardini, e che ha visto la collaborazione di circa 150 deputati di varie parti politiche, dopo aver visitato il carcere di Bologna, (con la deputata del Pd Donata Lenzi ed altri) mi sono recata, con il consigliere regionale Gianluca Borghi (Pd) e la dirigente dell’associazione nazionale di volontariato che opera nelle carceri, Laganà, all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia, dove ho visitato, in circa un’ora, alcuni reparti maschili.

A fronte di reparti tradizionalmente chiusi, vi sono alcuni padiglioni aperti. Cioè i detenuti-degenti, all’interno di un ‘area specifica chiusa, possono stare nei corridoi preposti, le celle sono aperte dalle 8 di mattina alle 8 di sera, vi sono tavolini a disposizione per leggere, scrivere, disegnare, alcuni divanetti, una cucina (molto spoglia) e un’anticucina in cui ascoltare radio, vedere tv e socializzare. Sono previste alcune attività per qualche ora settimanale; gli ospiti sono controllati da psichiatri e tenuti in terapia farmacologica.

Le celle, comunque, non sono migliori di altre zone dell’Opg o di altri carceri, (come per esempio quello di Modena dove sono andata successivamente): in circa 10 metri quadri vi sono tre persone, letti, mobiletti per effetti personali e, come si può capire, questo sovraffollamento, per spazi che prevederebbero una o al massimo due persone, non è certo un aiuto per la riabilitazione.

Per quanto riguarda i reparti non aperti, abbiamo trovato molte persone stese sui letti, in stato di sedazione, addormentate o inerti, come oggetti lasciati lì, in balia del giorno e della notte, certamente non in grado, almeno in quel momento, di parlare o di salutare, come altri non così sedati.

Colpisce, e non solo in questo ospedale-carcere, il saluto dei degenti-detenuti, sorrisi veri, strette di mano franche, a volte richieste di aiuto (molte contenute) o dichiarazioni di innocenza o richieste ai dirigenti che ci accompagnavano, di monitorare il loro percorso, per alcuni incomprensibile nei suoi vari passaggi, e dar loro delle risposte.

Nell’infermeria dell’Opg, ci è venuto in contro un degente molto anziano, magrissimo e dolce che si aggirava in modo sonnambolico per lo stanzone con cinque-sei letti, questo invero spazioso; accanto a lui, un detenuto enorme, quattro volte tanto, un quadro degno delle descrizioni di un Jodorowsky o di un Fellini, affidati, insieme ad altri, ad una infermiera che deve coprire da sola un lungo turno, sia di giorno che, quando è necessario, di notte.

Qui come altrove il numero degli agenti carcerari e degli infermieri è al di sotto dell’organico previsto; il loro impegno e la loro fatica sarebbero degni di encomio, ma soprattutto sarebbe necessario, e urgente, che vi fosse un numero adeguato di agenti, in modo che quelli presenti non fossero costretti a straordinari a volte molto lunghi e non sempre retribuiti in tempo reale.

Tra le tante difficoltà di gestione, è perfino un ‘impresa avere una normale dotazione di carta igienica, lenzuoli ed altri effetti necessari all’igiene. Certo, che vi sia necessità di una custodia sorvegliata, soprattutto per i detenuti più pericolosi è normale, ma per quanti è veramente indispensabile questa detenzione, questo regime?

Io credo, e del resto mi pare che questo sia anche il pensiero di alcuni responsabili della struttura, che situazioni protette ma meno costrittive come case-famiglia o cose simili, potrebbero molto meglio rispondere all’obbiettivo, che è quello, in questo caso, duplice, ossia guarire nella misura del possibile dalla malattia mentale e riabilitarsi come soggetti, da criminali a persone che, avendo preso coscienza, avendo compiuto un percorso sia di consapevolezza che di re-inserimento in attività lavorative, come accade già per alcuni che lavorano all’interno dell’Opg, possono, scontata la pena, tornare ad essere o forse essere per la prima volta, cittadini responsabili.

Non abbiamo visitato tutta la struttura, in cui anche qui come altrove, colpisce l’elevato numero di stranieri, ma ci hanno detto che sono pochi e rari i casi di contenzione (detenuti-degenti legati ai letti) che comunque, come anche sappiamo da altre fonti (Forum di salute mentale ecc) esistono.

Il collegamento tra disagio mentale ed azioni contro la legge, in particolare reati contro la persona (stupri, rapine con ferimento, omicidi, tentati omicidi ) è campo di studio ancora più complesso dei due campi separati, quello psichico e quello strettamente giudiziale. La complessità deriva da teorie non univoche né in accordo tra loro, da pratiche non sempre controllate e controllabili, ma anche, come in altri settori in Italia, da uno scarso finanziamento alla ricerca e un aiuto davvero esiguo che riceve chi istituisce strutture alternative.

Certo, alcune cose sono cambiate, in meglio, rispetto a trenta-quaranta anni fa. Prima della legge Basaglia i ricoverati in manicomi vivevano come animali o peggio, e se alcune strutture (per es. il manicomio di Maggiano) avevano condizioni migliori, questo era dovuto all’umanità, alla solerzia, alla strenua battaglia che alcuni medici portavano avanti, anche investendo risorse personali, come il prof. Tobino. Una cosa analoga la si può osservare nelle carceri. Le strutture sono assurde, il sovraffollamento è enorme, e un tempo il personale carcerario era noto per non essere certo tenero né sollecito. Grazie, credo, al lavoro di tante persone, amministratori, scienziati, medici, operatori, politici sensibili ai diritti umani, i sindacati di polizia e quant’altro, oggi gli agenti carcerari sono cambiati.

Abbiamo incontrato persone gentili, disponibili, umane, che non considerano i detenuti come rifiuti da punire sadicamente, al contrario li abbiamo ascoltati parlare e denunciare anch’essi la disumanità di queste condizioni in cui si trovano detenuti e degenti, anch’essi spezzare una lancia a difesa delle misure alternative, dei corsi di addestramento professionale, della possibilità per i detenuti di avviarsi ad un lavoro, dell’importanza, per una effettiva possibilità di riabilitazione, di un guadagno economico a cui alcuni, purtroppo pochi, già accedono.

Ma io credo che il problema principale sia quello se sia necessario che tante persone in attesa di giudizio scientifico-legale, o con una sentenza non definitiva, siano rinchiuse in queste strutture, dove, peraltro, il numero dei cancelli chiusi a chiave è impressionante, si va da un corridoio all’altro e il percorso è segnato da in ferriate su inferriate, veri labirinti e rumori di chiavi di ferro che ricordano tempi ottocenteschi.

Molti sono i reati per droga, dunque non è il sistema che ha tutto un suo schema mentale punitivo e vendicativo, o indifferente a questi disagi, mentre indirettamente, attraverso la proibizione dell’uso perfino di sostanze leggere, favorisce il mantenimento di un circuito di mafia e criminalità organizzata? Nel 2008, all’Opg di Reggio Emilia, sono stati registrati 3 decessi, 2 per morte naturale, 1 per suicidio. I dati sono stati forniti dalla direzione in risposta ad un questionario Radicale e cortesemente spediti dal Consigliere Regionale dr. Borghi.

 

Alcuni dati

 

Capienza regolamentare : 132 posti. Ricoverati - detenuti al 16.8.2009: 354. Definitivi: 238. In attesa di giudizio: 116. Agenti affettivi: 82. Educatori: 4.

Giustizia: scarcerato sindaco Lampedusa; arresto necessario?

di Lelio Castaldo

 

www.agrigentoweb.it, 22 agosto 2009

 

Quando si parla della libertà di ognuno di noi si mandano a quel paese anche gli ultimi spiccioli di ferie che stanno completando un lungo periodo di riposo. La vicenda della scarcerazione del sindaco di Lampedusa Dino De Rubeis consente una serie di riflessioni che eufemisticamente vogliamo definire quantomeno inquietanti.

Un mese di prigionia ad una persona che, di fatto, secondo il tribunale del riesame di Palermo non ha commesso i reati che la procura di Agrigento gli aveva contestato, tanto da metterlo in prigione fra tanto scalpore nazionale. Già quando il tribunale del riesame aveva annullato la prima ordinanza di custodia cautelare a seguito delle dichiarazioni dell’imprenditore Vella, un nugolo di perplessità aveva invaso la coscienza di ognuno di noi.

Nel precedente articolo riguardante il primo annullamento avevamo concluso quelle poche righe con l’auspicio che il tribunale del riesame potesse confermare tutte le accuse mosse dal secondo imprenditore; accuse, quelle, talmente forti da convincere il gip a far continuare i giorni di De Rubeis in "area Petrusa". Attenzione, chiariamo subito una cosa: non è che la nostra speranza era quella di vedere in carcere il sindaco di Lampedusa. Assolutamente no! Il problema semmai era un altro: non creare ancora una volta una profonda contraddizione tra la procura agrigentina e il tribunale del riesame di Palermo; ma soprattutto, la nostra speranza era quella di non vedere un presunto innocente in carcere.

Già, un innocente. Adesso davvero ci stiamo capendo poco o nulla. Secondo il riesame di Palermo si, o quanto meno, lo stesso tribunale, non ha riscontrato tutti quegli elementi nelle dichiarazioni dei due imprenditori tali da infliggere al "lungo" di Lampedusa la pena carceraria. Ed anche in questo caso, purtroppo per me, sono costretto ancora una volta a difendere una persona che, come uomo, ha dimostrato in passato di valere poco o nulla. Tale circostanza è stata anche da me evidenziata in alcuni articoli che si sono susseguiti subito dopo la sua elezione a primo cittadino delle Pelagie. La stessa cosa, però, non posso dire dell’amministratore e del sindaco De Rubeis il quale, almeno fino ad oggi, ha dimostrato grazie ai suoi avvocati e al tribunale del riesame, di essere vittima di una ingiusta detenzione.

Una domanda sorge spontanea: ma la libertà di ognuno di noi come viene gestita o stabilita? È possibile che due organi, uno requirente e un altro giudicante possano avere prove e controprove cosi divergenti e diametralmente opposte tanto da infilare e fare uscire una persona dalle patrie galere sulla scorta di stesse dichiarazioni?

Ma cosa avranno mai detto i due imprenditori che hanno inchiodato De Rubeis in una cella di sedici metri quadri da condividere con altri detenuti? Qualcosa di sconvolgente sicuramente. E perché le stesse dichiarazioni non sono state così sconvolgenti per il tribunale del riesame di Palermo? Non nascondiamo un certo imbarazzo. In ballo c’è la libertà di ognuno di noi. Ci chiediamo altresì che fine ha fatto l’operato da parte della Guardia di Finanza di Agrigento che grazie al suo capillare lavoro ha convinto il giudice a mettere le manette al sindaco di Lampedusa? E perché lo stesso capillare lavoro delle Fiamme Gialle non ha convinto i giudici del tribunale del riesame? Che fare e cosa pensare?

Toscana: Cgil; manca 40% degli agenti e 50% degli educatori

 

Asca, 22 agosto 2009

 

Nelle carceri della regione manca il 40% degli agenti e il 50% degli educatori. Questi sono i dati enumerati dalla Cgil Funzione pubblica che si lamenta di come i problemi del carcere siano di attualità solo durante la stagione estiva. Mi pare che ci sia una certa strumentalizzazione politica nel parlare di carcere solo in estate - nota Santi Bursacchio, sindacalista della Cgil - i problemi dei detenuti e di coloro che nel carcere vi lavorano sono permanenti 365 giorni all’anno.

Se Voltaire diceva che per valutare un paese bisogna prima visitarne le carceri, la Toscana ne esce bocciata. La nostra regione ha carenze più gravi di altre - continua Bursacchio - in aprile ho visitato Arezzo, Livorno e Pistoia e ho visto condizioni davvero invivibili. Nel carcere di Santa Caterina a Pistoia ad esempio in celle destinate ad una sola persona erano stipati tre detenuti. La soluzione del governo di costruire nuove carceri sembra un palliativo. Può essere un aiuto, ma non è l’unica strada - attacca il sindacalista - a parte il fatto che di carcere nuove ancora non se ne vedono, anche se fossero costruite e poi il numero degli agenti di polizia, di psicologi e di assistenti sociali rimane bloccato questo non serve a nulla. Il carcere serve anche per il reinserimento della persona.

Vibo Valentia: alcuni detenuti appiccano incendio nel carcere

 

Ansa, 22 agosto 2009

 

Alcuni immigrati hanno appiccato un incendio nella cella del carcere di Vibo Valentia in cui sono detenuti. A riferire l’episodio, che risale a giovedì scorso, è Gennarino De Fazio, della Direzione nazionale del sindaco Uilpa Penitenziari. Gli immigrati hanno appiccato l’incendio, secondo quanto riferisce De Fazio, per protestare contro il sovraffollamento del settore del carcere in cui sono ristretti.

Le fiamme, alimentate con giornali, oggetti di arredo in legno, coperte e materiale plastico, sono state spente dal personale della polizia penitenziaria, che ha fatto anche evacuare la sezione del carcere in cui è stato appiccato l’incendio. "Siamo stati i primi a prevedere e denunciare - afferma De Fazio - il degrado in cui ci saremmo ritrovati in assenza di misure idonee a fronteggiare il sovraffollamento delle carceri e la polizia penitenziaria, più di tutti, si prodiga quotidianamente per cercare di mantenere la pena entro i confini dettati dalla Costituzione. Ma una cosa sono le legittime rivendicazioni, che non possono non trovarci solidali, ed un’altra è la violenza, che va contrastata e perseguita con fermezza".

Viterbo: Uil; carcere non più in grado sostenere affollamento

 

www.tusciaweb.it, 22 agosto 2009

 

"Il carcere di Viterbo non è in grado più di sostenere il sovraffollamento di detenuti con 690 detenuti, contro una capienza regolamentare prevista per 430 posti (+120%), limite consentito rispetto all’organico di polizia penitenziaria presente che non supera le 360 unità effettivamente presenti".

Lo sostiene Daniele Nicastrini coordinatore regionale Uil-Pa, a seguito di una riunione tenutasi oggi con la direzione del carcere di Mammagialla. "Se si vuole continuare ad aumentare la popolazione detenuta - continua Nicastrini -, sopratutto tra i detenuti ad alta sorveglianza che hanno raggiunto le 65 presenze, senza tenere conto che l’organico di polizia penitenziaria era già inferiore di 130 unità, significa volere il male di quest’ultimi, e il responsabile non può che essere l’amministrazione penitenziaria che non comprende che oltre il limite è già arrivata".

"Tra l’altro la Uil ha chiesto un interesse del prefetto Giacchetti sul problema sicurezza , che sta mettendo a dura prova il personale presente sulla quale attendiamo anche un incontro con le rappresentanze sindacali locali dopo una richiesta inviata proprio stamani". "Il rischio è - incalza Nicastrini - che il personale si trovi costretto ad adottare tutte le modalità previste per ridurre le attività trattamentali, perché non in grado più di assicurare la sicurezza del penitenziario, con ulteriori difficoltà a contenere il malessere della popolazione detenuta".

"Nei prossimi giorni - conclude Nicastrini - incontrerò personalmente il provveditore regionale Lazio perché si adoperi a evitare ulteriori assegnazioni di detenuti ad alta sicurezza e addirittura provvedere a diminuirne la presenza".

Trento: Cgil; pene alternative, contro affollamento e recidiva

 

L’Adige, 22 agosto 2009

 

Sulla questione dei mille euro di indennizzo per il detenuto rinchiuso in uno spazio inferiore ai 7 metri e la richiesta di ottenere quei soldi da parte dei 156 detenuti del carcere di Trento è intervenuto Luigi Diaspro della Funzione pubblica della Cgil del Trentino. "Non è accettabile non perseguire una seria politica per incentivare per le misure alternative al carcere", scrive il sindacalista che spiega come sia "statisticamente dimostrato che mentre la percentuale di recidiva delle persone ristrette in carcere è pari al 60-70 %, per le persone che hanno fruito di una misura alternativa essa si riduce al 18-20%". Ma anche Trento pare non ci siano i mezzi. "Emblematico il caso dell’Ufficio Esecuzioni Penali Esterne di Trento, che opera con 4 assistenti sociali a fronte dei 15 previsti, e retto dalla dirigente di Udine, titolare anche della sede staccata di Gorizia, che può assicurare la propria presenza per non più di un paio di volte, ma anche meno, a settimana".

Bologna: il Garante; l’evasione dall’Ipm non ci riporti indietro

 

www.viaemilianet.it, 22 agosto 2009

 

Per la Garante per i detenuti di Bologna, Desi Bruno, i veri problemi del carcere del Pratello sono altri: soltanto quattro agenti penitenziari, niente mediatori culturali (con il 50% di detenuti stranieri) e da ottobre tagliati anche tutti gli psicologi.

"Quello che è successo e fisiologico e può capitare, invece è inaccettabile che fossero in servizio solo quattro agenti penitenziari". È la posizione di Desi Bruno, garante delle persone private della libertà di Bologna, dopo la doppia evasione dal carcere minorile del Pratello dei giorni scorsi. La Bruno ha auspicato che "nonostante quanto accaduto, si vada avanti: l’evasione non deve costituire uno strumento di arretramento". Anzi, ha proseguito, durante la conferenza stampa di presentazione alcuni appuntamenti teatrali al Pratello a cui parteciperanno anche otto ragazzi dell’area esterna del carcere, "non solo bisogna andare avanti e non scandalizzarsi, ma chiedersi perché e indignarsi di quei soli quattro agenti".

A Ferragosto, ha ricordato la Bruno, un senatore radicale ha chiesto di visitare la struttura del Pratello, ma la direttrice si è trovata in imbarazzo per l’esiguo numero di agenti in servizio. Un problema che va a aggiungersi al fatto che "da ottobre non avremo più psicologi e che ora non abbiamo mediatori culturali nonostante la presenza di oltre il 50% di stranieri". La garante, infine, ha risposto a chi aveva criticato la ristrutturazione del Pratello, le cui impalcature sono state l’ideale via di fuga per gli evasi: "L’Usl diceva che era pericolante e pericolosa per chi ci lavorava, il passaggio al nuovo edificio era una fatto dovuto", ha ricordato la Bruno.

L’ultima stoccata, invece, l’ha riservata al Ministero della giustizia: "Abbiamo chiesto che un progetto voluto da noi e dagli enti locali per seguire gli aspetti educativi, riabilitativi e formativi dei ragazzi possa avere un po’ di risorse dalla Banca Ammende: da due anni, però, non abbiamo risposte, questo non è dignitoso", ha concluso.

 

Il Direttore: servono soldi per il reinserimento

 

Giuseppe Centomani chiede al presidente della Cassa delle Ammende fondi per il reinserimento sociale dei detenuti. Dopo l’evasione delle polemiche, il carcere minorile del Pratello prova a guardare avanti: con un appello perché venga finanziato il reinserimento dei giovani detenuti. Una richiesta in realtà già avanzata nel febbraio del 2008, ma finora rimasta inascoltata. Così il direttore del centro di giustizia minorile dell’Emilia-Romagna Giuseppe Centomani e la garante comunale dei diritti dei detenuti Desi Bruno hanno scritto di nuovo al presidente della Cassa delle ammende e, per conoscenza, a tutti i livelli di responsabilità dal guardasigilli Angelino Alfano in giù.

Si tratta appunto di finanziare con fondi della Cassa delle ammende il progetto "percorsi: progetti formativi e lavorativi per l’inclusione", da tempo in bilico. "Come è noto - si legge nella lettera, datata 5 agosto e resa pubblica oggi nel corso di una conferenza stampa - l’istituto penale minorile di Bologna si è ritrovato per un lungo periodo in una situazione di grave sofferenza ambientale, dovuta ai necessari lavori di ristrutturazione, ed in questi periodi i giovani detenuti sono stati ospitati in spazi di vita particolarmente ristretti e non adeguati". La nuova struttura, adesso, "costituisce l’ambiente ideale per la realizzazioni delle azioni rivolte a minori sottoposti a procedimento penale". Ma, appunto, servono soldi.

Lodi: Ugl; carcere da chiudere, contrari il Direttore e il Prap

di Cristina Vercellone

 

Il Cittadino, 22 agosto 2009

 

"Il carcere di Lodi scoppia, deve chiudere. Al suo posto ne deve arrivare un nuovo". A lanciare l’allarme e ad invocare l’intervento del prefetto è Enzo Tinnirello, segretario regionale dell’Ugl, il sindacato di polizia penitenziaria vicino alla destra: "Non bastano un’amministrazione festaiola e qualche concerto a cancellare i problemi", dice.

La sua denuncia arriva all’indomani dell’iniziativa "Ferragosto in carcere" che ha visto l’ingresso, in via Cagnola, dei due parlamentari Sergio Ravelli (Radicali) e Cinzia Fontana (Pd). Questi avevano trovato il carcere sovraffollato, come nel resto delle strutture penitenziarie italiane, ma si erano complimentati con la direttrice per la vivacità culturale dell’istituto. "Le condizioni sono senza dubbio difficili - avevano detto i parlamentari -.

Tuttavia abbiamo riscontrato un buon clima tra la polizia penitenziaria, la direzione e i detenuti. Svariate e meritevoli sono poi, le iniziative che vengono portate avanti". Tinnirello non è d’accordo: "La situazione è divenuta insostenibile - commenta - e, visti i recenti accadimenti tumultuosi avvenuti sia in Lombardia che in tutta Italia, adesso si rischia anche qui a Lodi di assistere ad episodi di turbativa all’interno del carcere, visto che il clima tra detenuti e poliziotti è abbastanza teso".

Stizzita la reazione da parte della direttrice di via Cagnola Stefania Mussio: "Io non ne so nulla di questo comunicato - afferma -, ho appreso della sua esistenza dalla stampa, ma non ne sono stata informata ufficialmente in qualità di direttore. Quindi non mi metto a replicare". Per lei a contare è l’esito della verifica più recente in carcere, quella fatta dai parlamentari.

"Mi chiedono se è vero che il carcere è sovraffollato? Rispondo di sì, oscilliamo sempre tra i 98, i 101, 102 detenuti, a fronte dei 56 posti tollerati. Siamo sotto organico? Sì, lo siamo. La situazione da noi è esattamente uguale, per entrambi gli aspetti, al resto del Nord Italia. Lodi è diversa solo perché organizza tante iniziative di qualità e questo anche grazie alla polizia penitenziaria e a tutto il personale presente nella struttura.

Noi ci sforziamo, tutti i giorni, di far vivere ai detenuti una vita il più possibile dignitosa, nel rispetto dei ruoli e in un equilibrio corretto tra detenuti e personale. Ed è lo stesso ministero, nell’ultima circolare, che ci esorta a favorire diverse attività. A luglio ho ricevuto una lettera dal prefetto: ci ringrazia e rinnova l’apprezzamento per le nostre iniziative".

Secondo Tinnirello, però, "il carcere di Lodi ora garantisce solo una condizione disumana e fuorilegge, sia rispetto all’articolo 27 della Costituzione che agli standard minimi dettati dalla convenzione europea per la prevenzione delle tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti". Anche per il provveditore regionale Luigi Pagano però "non si tratta affatto di un problema di Lodi.

Il sovraffollamento, purtroppo - dice -, riguarda tutte le carceri italiane, dal Nord al Sud. Anzi, Lodi può essere considerata migliore anche per l’attività trattamentale. Esiste una rete di socializzazioni che pochi istituti, anche in condizioni migliori, sono riusciti a creare. Le celle avranno anche uno spazio minimo, ma quello che deve essere considerato è tutto il contesto delle relazioni che si vengono a creare".

Massa: riparte la "Galeotta", squadra con detenuti e agenti

 

Il Tirreno, 22 agosto 2009

 

"Il nostro obiettivo è conquistare la coppa disciplina per far continuare a crescere il nostro progetto". Sono le parole del presidente della Galeotta Lorenzo Porzano, alla vigilia della presentazione della squadra che è in programma questo pomeriggio alle 18 nella cornice del Meeting place. Proprio Porzano - diventato dirigente della Massese - lascerà il testimone ad Armando Ferretti, rimanendo comunque presidente onorario.

La Galeotta, che, è bene ricordare, annovera tra le sue fila agenti delle forze dell’ordine, di polizia penitenziaria e detenuti stessi, vuole bissare il buon campionato della scorsa stagione, spazzando via i fatti emersi nei giorni scorsi che hanno coinvolto alcuni detenuti immediatamente espulsi dalla squadra. Alla guida tecnica è stato confermato Aldo Poggi.

"Ci sono giocatori nuovi - ha chiuso Porzano - e vogliamo cancellare quello che è successo recentemente confermando la validità di questa esperienza che senza l’impegno del direttore della casa circondariale Salvatore Iodice non sarebbe mai potuto partire". Chiaramente, la Galeotta disputerà il campionato di terza categoria dove nella scorsa stagione ha ottenuto dei buoni risultati, stazionando per buona parte della campionato nelle prime posizioni.

Immigrazione: l’umanità calpestata e il cinismo del Governo

di Gad Lerner

 

La Repubblica, 22 agosto 2009

 

La prima reazione del governo italiano alla morte di 73 cittadini eritrei nel Canale di Sicilia è stata di fastidio e incredulità. Per bocca del suo ministro dell’Interno, che si è ben guardato dall’esprimere cordoglio e pietà, si è gettato discredito sul racconto dei cinque sopravvissuti.

Sopravvissuti che - non fossero apparsi in pericolo di vita - sarebbero stati quasi certamente respinti, nonostante il diritto internazionale assegni loro lo status di rifugiati politici. I notiziari televisivi hanno fatto da cassa di risonanza a tale ignominia, lasciando sottintendere l’insinuazione che i disperati giunti a Lampedusa dopo aver visto morire di stenti i loro congiunti, potessero avere chissà quale interesse a mentire.

Sul piano morale, una tale prova di cinismo nei confronti di vittime inermi, che non ha precedenti nella storia repubblicana, giustifica il paragone avanzato ieri da Marina Corradi su "Avvenire": evoca cioè l’indifferenza di tanti europei, 65 anni fa, di fronte alla discriminazione e alla deportazione degli ebrei considerati untermensch, sottouomini. Pure allora una martellante propaganda sollecitava a distinguere fra vite degne e vite indegne.

La pietà, come la bontà, è tornata a essere, nella propaganda governativa, un lusso che non ci potremmo permettere. Il dovere assoluto del soccorso in mare rischia di procurare a chi vi ottemperi accuse di favoreggiamento del reato di immigrazione illegale. Le motovedette della Guardia di finanza hanno ricevuto l’ordine di procedere in mezzo al mare, frettolosamente, alla selezione degli stranieri dei paesi in guerra, titolati a richiedere asilo; anche se è palese l’impossibilità di condurre a bordo le indagini accurate che sarebbero obbligatorie.

Così lo scandalo del prolungato omesso soccorso in mare, denunciato dai pochi superstiti di un’odissea lunga venti giorni, ha trovato legittimazione postuma nell’insensibilità conclamata del ministro Maroni. Assistiamo a un abbrutimento delle coscienze che produce un guasto di civiltà e disonora chi l’ha perseguito. Non è solo la dottrina evangelica a uscirne calpestata, come denuncia la Conferenza episcopale italiana, ma il più elementare senso di umanità.

Damesi assistiamo allo spettacolo di esponenti politici che esultano per i respingimenti, quasi che ci liberassimo di scorie tossiche e non di persone bisognose. Quando un partito di governo come la Lega diffonde su Facebook un gioco di società intitolato "Rimbalza il clandestino", festeggiando col suono di un campanello la sparizione di ogni barca di migranti, vuol dire che la velenosa ideologia dell’untermensch è di nuovo entrata a far parte del nostro senso comune.

La viltà di tale comportamento è suggellata dallo scaricabarile delle colpe su di una nazione infinitamente più piccola e meno attrezzata della nostra, qual è Malta. Crediamo forse di lavarci la coscienza addossando su La Valletta la responsabilità dei soccorsi? O non stiamo piuttosto assistendo a una lugubre replica della favola del lupo e dell’agnello?

La Libia sta giocando spregiudicatamente con la vita di migliaia di persone e con le aspettative politiche mirabolanti del governo italiano. I migranti vengono trattenuti per mesi nei suoi campi di lavoro e di prigionia; vengono sfruttati con la promessa di guadagnarsi i soldi necessari a salpare verso la sponda nord; e ora vengono di nuovo mandati allo sbaraglio in mare: perché ogni tanto bisogna pur saziare l’avidità dei trafficanti che godono di protezione all’interno del regime corrotto di Tripoli.

Rivelando che fra il 1° giugno e il 20 agosto 2009 le nostre motovedette hanno effettuato 13 interventi, prestando soccorso a 420 profughi del mare, il Viminale riconosce implicitamente che l’accordo bilaterale con la Libia, spacciato sui mass media di regime come risolutivo, è invece un colabrodo. Invece di rifugiarsi dietro al mancato sos di un gommone con 78 persone a bordo prive di strumenti di comunicazione, il ministro Maroni farebbe meglio a chiedere scusa alle persone di cui ha messo in dubbio la parola. Commettendo una bassezza morale.

Per mesi egli ha cercato di darci a bere un’altra favola, secondo cui sarebbe possibile fermare un esodo biblico dall’Africa all’Europa rinforzando la marina militare di Gheddafi. Come se potessimo ignorare che gli affamati nel mondo sono 1 miliardo e 20 milioni di persone, 100 milioni in piùdel2008 (stima Fao del 19 giugno). Di questi affamati, 265 milioni vivono nell’Africa sub sahariana, 42 milioni nel Vicino Oriente e nell’Africa del nord.

Di fronte a una tragedia di tale portata, l’Italia ha finora reagito tagliando i fondi per la cooperazione allo sviluppo e disinteressandosi al rispetto dei diritti umani concernenti le persone che respinge.

Può capitare che per fare buoni affari petroliferi i nostri manager corrompano dei funzionari governativi, come in Nigeria; o che il fior fiore della nostra imprenditoria vada a rendere omaggio a Gheddafi sotto la tenda che un governo compiacente gli ha lasciato piantare nel parco di Villa Pamphili a Roma. Ma di progetti per lo sviluppo, per combattere la fame e le malattie, ci si riempie la bocca solo di fronte alle telecamere del G8, salvo poi dimenticarsene. Perché una cultura miope e razzista trova più conveniente assecondare l’istinto popolare. Sì prendono più voti dicendo che abbiamo già troppi problemi noi per poterci interessare ai problemi di persone talmente disperate e diverse da apparirci minacciose.

Immigrazione: Milano; ribelli Cie alla sbarra, insulti a Polizia

di Emilio Randacio

 

La Repubblica, 22 agosto 2009

 

Giusto il tempo di sedersi sulla sedia dei testimoni e da dietro le sbarre parte una rabbia violenta e improvvisa. "Assassino", "sei un torturatore", "mi ha cercato di violentare", inveisce una prostituta nigeriana chiusa in gabbia. Eccolo il "benvenuto" all’ispettore capo del Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di via Corelli di Milano.

Chiamato insieme ai suoi uomini a chiarire la dinamica della rivolta che, giovedì 13, era sfociata nell’arresto di 14 ospiti del centro per resistenza, danneggiamento e lesioni, l’ispettore è diventato improvvisamente il bersaglio di una dura protesta, supportata dagli slogan di una quarantina di manifestanti del "Comitato antirazzista" milanese. "A Corelli si tortura", recitava uno striscione srotolato all’improvviso dal pubblico. Troppo per il giudice Antonella Lai che, con l’aiuto di una nutrita schiera di carabinieri e poliziotti in tenuta antisommossa, ha fatto sgombrare l’aula. Clima arroventato, dunque,

per la prima udienza del processo a carico dei nove uomini, in gran parte maghrebini, e cinque prostitute nigeriane. Accusati di aver inscenato una rivolta dopo aver appreso che la legge del ministro Maroni in tema di immigrazione clandestina, sarebbe stata applicata in maniera retroattiva. In soldoni, gran parte dei 104 ospiti del centro, ormai prossimi a tornare in libertà con il precedente limite dei 60 giorni, si sono visti protrarre l’obbligo di permanenza di altri 4 mesi.

Già ad inizio agosto in 19 avevano iniziato uno sciopero della fame contro le condizioni in cui erano costretti a vivere. Poco prima della rivolta, i manifestanti avevano redatto un volantino in cui si chiedeva che venissero migliorate le condizioni sanitarie e del cibo. Ma secondo la loro versione, nulla sarebbe stato fatto. All’antivigilia di Ferragosto, la protesta si è trasformata in una vera e propria aggressione. Prima, alcuni ospiti hanno dato alle fiamme cuscini e lenzuola. Poi, all’arrivo degli agenti, sarebbe partita una sassaiola. Undici, tra carabinieri e poliziotti, hanno dovuto essere medicati al pronto soccorso del San Raffaele.

Ieri pomeriggio, dopo la pausa distensiva decisa dal giudice, per l’ispettore non c’è stato verso di deporre. Due ore dopo le prime dure proteste, la tensione era ancora troppo alta. Per lui, appuntamento rinviato a martedì prossimo, alla ripresa del processo per direttissima. Non è stata accolta la richiesta di convocare come testimoni il ministro Maroni, il prefetto e il questore di Milano. C’è stato solo il tempo per ascoltare un carabiniere che ha ripercorso le fasi del blitz in via Corelli.

Il militare ha spiegato il momento in cui con i colleghi ha tentato di entrare nelle stanze dove decine di persone protestavano e lanciavano pietre. I legali degli imputati, Mauro Straini e Massimiliano D’Alessio, hanno più volte cercato di evidenziare le contraddizioni emerse dai verbali d’arresto. Il militare, chiamato a identificare i più facinorosi della rivolta, ha riconosciuto il maghrebino Kaleb chiuso in gabbia. Martedì prossimo, sono attesi 12 testimoni. Dovrebbe essere la volta buona anche per l’ispettore capo.

Droghe: ingerisce metadone genitori, grave bimbo di 2 anni

 

Ansa, 22 agosto 2009

 

Un bimbo di circa due anni è in gravi condizioni per aver ingerito - secondo quanto reso noto dai Carabinieri - del metadone in casa mentre stava giocando. I genitori del bimbo sono ex tossicodipendenti. È accaduto questa sera presso la loro abitazione a Figline Valdarno (Firenze). Dopo essersi accorti di quanto era successo, i genitori hanno chiamato il 118 e il bimbo è stato portato in un presidio ospedaliero di Figline dove è stato intubato. Non appena si sarà stabilizzato, sarà portato all’ospedale pediatrico Meyer di Firenze dove i medici sono già pronti ad accoglierlo. Il 13 agosto scorso, in provincia di Pisa, una ragazza di 16 anni è morta dopo aver ingerito un cocktail di farmaci in cui potrebbe esserci stato anche il metadone di cui fanno uso i genitori tossicodipendenti. Il decesso della ragazza è avvenuto a Ferragosto all’ospedale Santa Chiara di Pisa dove era stata trasportata in condizioni disperate.

Diritti: pena di morte; alcune limitazioni alla "morte di stato"

di Elena Romanello

 

www.nuovasocieta.it, 22 agosto 2009

 

Se il cammino per arrivare all’abolizione completa della pena di morte è ancora lungo, sono da registrare comunque tre fatti di una certa importanza in tal senso.

In Kenya il presidente Kibaki, come aveva annunciato, ha svuotato il braccio della morte degli oltre 4mila detenuti, che hanno visto la loro pena commutata in ergastolo. Erano comunque 22 anni che in Kenya non si registravano più esecuzioni. Kibaki ha ricordato che "La lunga permanenza nel braccio della morte causa angoscia e sofferenza eccessiva, un trauma psichico, il che potrebbe costituire un trattamento inumano" e ha incaricato il Governo di fare ricerche su quanto la pena di morte serva effettivamente come deterrente contro il crimine.

La Cina è il Paese al mondo in cui avvengono più esecuzioni capitali, insieme ad Iran ed Arabia Saudita: Zhang Jun, vice presidente della Corte Suprema del Popolo, ha dichiarato di voler ridurre ad un numero esiguo le condanne a morte, aggiungendo che la Corte in futuro pronuncerà molte più condanne con sospensione dell’esecuzione. Due anni fa la Corte Suprema del Popolo aveva già riacquistato il potere di poter rivedere le condanne capitali, e questo aveva già portato ad una riduzione comunque delle esecuzioni. Inoltre la Corte Suprema rafforzerà le restrizioni sull’uso della pena di morte. Un’abolizione completa della pena di morte resta impossibile però in Cina, al momento attuale.

Dovrà invece rispondere del suo comportamento il giudice texano Sharon Keller, che nel 2007 rifiutò di sottoscrivere l’appello per bloccare l’esecuzione di un detenuto, perché era al di fuori del suo orario di lavoro e lei doveva andare a seguire i lavori di ristrutturazione del suo appartamento. La Keller è da sempre uno dei più fervidi sostenitori della pena di morte: ora rischia la radiazione o la sospensione, mentre in Texas dopo l’esecuzione non fermata da lei si sta assistendo ad una moratoria, in uno degli Stati americani con più detenuti nel braccio della morte.

Europa: maggiore chiarezza, sulle "carceri segrete" della Cia

 

Apcom, 22 agosto 2009

 

L’Unione europea deve fare chiarezza una volta per tutte sul suo ruolo nel "vergognoso episodio" delle carceri segrete della Cia. È quanto chiede lo svizzero Dick Marty, relatore dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa sulle detenzioni segrete.

"Con la notizia di ieri che la Lituania ha ospitato un carcere segreto della Cia, così come altre recenti rivelazioni sui siti neri in Polonia e in Romania, è giunto il momento che l’Europa renda conto pienamente del suo coinvolgimento in questo vergognoso episodio", ha spiegato Marty. "Ho sempre creduto che la ‘dinamica della verità’ avrebbe prevalso davanti al segreto di Stato", ha aggiunto Marty, osservando: "Ma la credibilità europea è danneggiata dalle ripetute fuoriuscite di verità parziali che emergono ogni tanto. Bisogna voltare pagina, una volta per tutte, e fare chiarezza".

"Le mie fonti - ha aggiunto - sembrano confermare le notizie di ieri secondo cui alcuni detenuti di alto valore statunitensi sono stati incarcerati in Lituania. Le autorità ora dovrebbero portare avanti un’indagine piena, indipendente e credibile. Inoltre, l’uso ingiustificato della dottrina del segreto di Stato non deve fornire una barriera verso la completa rivelazione di quello che è successo nei dintorni di Vilius". "Negare ed essere evasivi non sono più strategie credibili: i paesi europei devono fare chiarezza", ha concluso.

Secondo quanto rivelato da alcuni funzionari Cia coinvolti nel programma le autorità lituane misero a disposizione degli agenti americani una struttura alle porte della capitale Vilnius, dove sarebbero stati incarcerati per oltre un anno almeno otto sospetti. Il carcere in Lituania era uno delle otto strutture a disposizione della Cia in tutto il mondo per imprigionare e interrogare presunti membri di al Qaida, hanno aggiunto le fonti. Fino ad oggi sono state individuati centri di detenzione segreti in Thailandia, Romania, Polonia, Marocco e Afghanistan.

 

Presunto terrorista sottoposto a torture e minacce

 

Abd al Rahim al Nashiri, uno dei presunti responsabili dell’attentato contro la nave statunitense Uss Cole, venne sottoposto a minacce e torture nel corso degli interrogatori condotti dai funzionari della Cia: è quanto si legge in un rapporto interno dell’Agenzia, che verrà diffuso la settimana prossima. Catturato nel novembre del 2002, Al Nashri venne sottoposto alla pratica del "water boarding" - resa illegale dall’Amministrazione Obama perché ritenuta una forma di tortura - e minacciato con armi e con un trapano elettrico. I dettagli degli interrogatori sono contenuti nel rapporto dell’ispettorato generale della Cia relativo al 2004, del quale un tribunale federale ha ordinato la pubblicazione.

 

 

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