Rassegna stampa 6 settembre

 

Forlì: purtroppo è vero, "drogato" fa morte inumana in cella

 

Ristretti Orizzonti, 6 settembre 2008

 

La prima segnalazione, arrivata ieri mattina, descriveva uno scenario così vergognoso da sembrare quasi incredibile, tanto che abbiamo riportato la notizia in maniera molto asciutta e prudente, invitando però i nostri lettori a darci una mano per fare luce sul caso della "presunta morte" di un detenuto nel carcere di Forlì.

Molti di voi si sono attivati - per questo vi diciamo un "grazie" collettivo - ed è arrivata, purtroppo, piena conferma a ciò che non volevamo fosse vero: una morte orribile, che fa venire in mente i peggiori racconti dei manicomi e dei lager, di internati espropriati della dignità umana, di "regole" e "abitudini" che schiacciano ogni residuo di sensibilità e finiscono per giustificare anche l’ingiustificabile (leggete l’articolo della "Voce di Romagna", sotto riportato).

Ma cosa stanno diventando le carceri italiane? Dei manicomi? Dei "Centri di detenzione per immigrati", come ha detto Luigi Pagano, Provveditore Regionale del Dap per la Lombardia? Dei lazzaretti, nei quali relegare i "drogati"? Dei "grandi depositi di carne umana", come denuncia il sociologo svedese Thomas Mathiesen?

Adolfo Ferraro, direttore dell’Opg di Aversa, ha dichiarato ieri - con evidente sollievo - che con la riforma della sanità penitenziaria è diventato primario dell’Asl e, quindi, ora può anche "rifiutare nuovi ricoveri, se in Opg non c’è posto". Nel frattempo, il direttore di un altro carcere, quello di Sulmona, denuncia l’insufficiente assistenza psichiatrica per i detenuti, tanto da ritenere l’istituto che dirige "inadatto ad accogliere soggetti psicotici".

Infine, il Sindacato della Polizia Penitenziaria Osapp rivela lo scandalo del carcere di Aosta, dove nel mese di agosto ci sono state "162 ore di vuoto sanitario", perché "tutti i medici erano in ferie e il dirigente sanitario assente per malattia". Ad Aosta sono recluse 150 persone e, per 8 giorni consecutivi, hanno dovuto "essere sani"… per forza!

Agosto è finito ("grazie a Dio", pensano i detenuti, sopravvissuti anche quest’anno all’abbandono… feriale), sono tornati al lavoro i medici e gli altri operatori, i giudici, e anche gli amministratori e i politici.

Quello che chiediamo a tutti - al di fuori da ogni retorica - è di prestare molta molta attenzione a ciò che sta succedendo nelle carceri, a ciò "che stanno diventando" le carceri italiane, perché se tutti auspicano una "rieducazione" dei detenuti è improbabile si riesca a realizzarla se gli istituti di pena assomigliano sempre di più a dei manicomi, o a dei lazzaretti. Tragedie come quella di Forlì non rappresentano la norma - e ci mancherebbe altro! - però possono succedere, come si è visto succedono, e già questo è inaccettabile, per noi e per tutti coloro che credono - con Voltaire e Dostoevskij - che "il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri".

 

Francesco Morelli, di Ristretti Orizzonti

 

Articolo de "La Voce di Romagna" del 29 agosto 2008

 

Dramma in cella. Franco Paglioni, 44 anni, in carcere da pochi giorni, è morto il 25 agosto abbandonato alla sua malattia e tra le sue feci. I detenuti, compagni di cella, denunciano: "Una fine assurda, stava male, ma nessuno l’ha curato. Episodi come questi, non devono succedere Neanche i cani si abbandonano così, si curano. E lui era una persona".

Paglioni era entrato in via della Rocca il 21 agosto scorso per spaccio di droga. È morto tra le sue feci, dopo giorni di agonia e di richieste di aiuto cadute nel vuoto. È morto il 25 agosto in carcere, tra la rabbia e il disappunto dei compagni di cella. Una fine disumana, quella di Franco Paglioni, 44 anni, dentro per droga, tanto disumana da sollevare le proteste degli altri carcerati. Franco Paglioni era finito in carcere pochi giorni prima per spaccio. Stando al racconto dei compagni di cella, appena arrivato in via della Rocca, il detenuto è stato sottoposto ad una visita medica perché già accusava forti dolori.

"Stava talmente male - scrivono i detenuti dal carcere - che non poteva alzarsi dal letto e neppure mangiare. I suoi piatti rimanevano quindi pieni, e l’assistente di turno, anziché preoccuparsi, ordinava di mettere il cibo nuovo sopra a quello vecchio. In quei giorni di detenzione andava avanti solo a tè o camomilla, grazie ad un detenuto che ogni sera gli preparava gli infusi. Abbiamo chiesto più volte alle guardie di turno l’intervento urgente di un medico per Paglioni, ma nessuno si è mai visto e l’infermiere che è passato in sezione per la consegna della terapia per ben 2 volte (alle 20.30 del 24 sera e alle 7.30 del 25 agosto), non si è preoccupato neppure di chiamarlo nonostante l’uomo, perché è di questo che stiamo parlando, stesse già malissimo".

Franco Paglioni aveva problemi di droga. Era uno di quei detenuti che entrano ed escono dal carcere. L’ultimo arresto, risale al 21 agosto. Era uscito dal carcere con l’indulto e si pagava l’albergo con i soldi dello spaccio di eroina. Così è finito di nuovo in cella, con l’accusa di aver allestito un micro mercato di spaccio proprio nelle viuzze intorno alla Questura. L’uomo, già condannato per una serie di reati tra cui rapine e furti, era stato anche in comunità di recupero, poi era stato ospite di un amico col quale aveva litigato, fino ad alloggiare in un hotel del centro storico dove aveva l’obbligo di farsi trovare dalle 10 di sera fino alle 7 del mattino (era stato colpito da un provvedimento di restrizione della libertà). Obbligo che non rispettava, dando nell’occhio per i suoi continui contatti con tossicodipendenti del posto. Da qui, l’ennesimo ingresso nella casa circondariale forlivese di via della Rocca, dove nel giro di pochi giorni è deceduto.

"Il fondo è stato toccato la mattina del 25 agosto - lamentano i compagni detenuti che si firmano con nome e cognome -, quando il lavorante davanti alla cella ha fatto presente lo stato del Paglioni, riverso tra le sue feci. Noi tutti eravamo presenti. L’assistente di turno, l’ha visitato e, assieme ad un detenuto, l’ha portato sotto alla doccia, nonostante lo stato esamine in cui quel poveretto si trovava. Poi è stato riportato in cella. Quando finalmente è stato chiamato il dottore, era troppo tardi: ne ha potuto solo constatare il decesso. Noi vorremmo che una volta tanto, anche un detenuto riceva giustizia. Crediamo che una persona non debba e non possa essere lasciata morire così, come un cane. Anzi, se si lascia morire un cane si rischia fino a 6 mesi di carcere. Questa era una persona. Noi chiediamo giustizia non per noi, ma per Paglioni, perché vogliamo che fatti di questo genere non si debbano ripetere più per colpa del menefreghismo di chi ha l’obbligo invece di intervenire".

 

Telefonata senza risposta: la direttrice è fuori servizio

 

Abbiamo tentato di contattare la direttrice del carcere Rosalba Casella per avere delucidazioni sulla morte del detenuto e sulla denuncia scritta e firmata dai suoi compagni di cella. Ma la direttrice nel primo pomeriggio era fuori in servizio; per avere risposte bisogna aspettare lunedì prossimo. A nulla sono valse le nostre insistenze, né gli appelli alla moderna epoca dei cellulari che permettono di comunicare anche con chi si trova fuori sede.

Niente, La direttrice, sul caso della morte di Franco Paglioni, non può rispondere perché non è in servizio. Una morte, una vita, valgono forse il disturbo di una chiamata al cellulare anche fuori servizio. O forse, ci stiamo sbagliando noi. Forse non è così. Auspichiamo solo che le stesse risposte vengano girate, se non altro, a quei detenuti che impotenti l’hanno visto morire, nel totale abbandono e in mezzo alle sue feci.

 

Rosalba Casella

Giustizia: Anm; il comunicato sull’ipotesi di Riforma "Alfano"

 

www.radiocarcere.com, 6 settembre 2008

 

"La giustizia in Italia ha urgente bisogno di riforme. I cittadini italiani hanno diritto ad ottenere decisioni in tempi ragionevoli. La sicurezza dei cittadini può essere garantita solo se il processo penale è in grado di funzionare. L’Associazione Nazionale Magistrati è favorevole ad un ampio processo di riforme per assicurare il funzionamento della giustizia.

Siamo favorevoli alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie con la soppressione degli uffici giudiziari minori. Siamo favorevoli alla riforma del processo civile, alla semplificazione dei riti, al processo civile telematico. Siamo favorevoli alla depenalizzazione dei reati minori e alla introduzione di pene alternative alla pena carceraria. Siamo favorevoli alla riforma del processo penale, con la eliminazione di tutti quei formalismi che di fatto impediscono di arrivare ad una sentenza in tempi ragionevoli. Siamo favorevoli alla introduzione della posta elettronica certificata nel processo penale e nel processo civile.

Dopo un ampio e sofferto dibattito durato oltre sei anni il Parlamento ha approvato una complessiva riforma dell’ordinamento giudiziario. Una riforma approvata con il consenso di quasi tutti i gruppi parlamentari È stata interamente riformata la responsabilità disciplinare dei magistrati. Sono state previste rigorose valutazioni di professionalità ogni quattro anni. È stata inserita la temporaneità delle funzioni direttive. È stata prevista una netta distinzione tra le funzioni di giudice e di pubblico ministero.

L’Associazione Nazionale Magistrati ritiene che le radicali riforme introdotte nell’ordinamento giudiziario richiedano di essere sperimentate e verificate sul campo. Una nuova riforma dell’assetto della magistratura non serve ai cittadini e al paese. Né serve al funzionamento della giustizia riaprire il dibattito e il confronto sul sistema costituzionale della magistratura.

L’Associazione Nazionale Magistrati è contraria a modifiche costituzionali del sistema delle garanzie. Siamo contrari alla separazione delle carriere del giudice e del pubblico ministero e alla creazione di un Csm separato per i pubblici ministeri, in quanto ne discenderebbe inevitabilmente la perdita di autonomia e di indipendenza del pubblico ministero. Siamo contrari alla riforma della composizione del Csm e alla riforma del sistema disciplinare.

Il sistema di autogoverno non è certamente immune da difetti e disfunzioni. Ma aumentare il peso della politica nell’organo di autogoverno e in sede di giudizio disciplinare non servirà a risolvere i problemi reali, servirà solo a dare maggiore potere alla politica sui giudici e a ridurre la indipendenza e l’autonomia della magistratura. Sfidiamo chiunque a sostenere che i magistrati scelti per dirigere gli uffici giudiziari da parte di un Csm a maggioranza politica sarebbero migliori di quelli attuali."

 

La Giunta del Csm

Giustizia: il magistrato; con riforma rischia nostra autonomia

di Giacomo Ebner

 

www.radiocarcere.com, 6 settembre 2008

 

Diciamo subito che questa giunta dell’Anm, giovane e dinamica, si sta facendo apprezzare per la disponibilità al dialogo con le forze politiche e con le altre componenti del mondo della giustizia (sono di questi giorni le prove di intesa al convegno organizzato dall’Udc) e per il tentativo di rendere comprensibili ai cittadini le proprie proposte.

Nel solco della chiarezza e del dialogo appare inserirsi anche l’ultimo comunicato. I magistrati infatti sono da tempo favorevoli alla razionalizzazione delle procedure penale e civile, al fine di rendere il processo snello ed efficace in tempi brevi. Come operatori del diritto, tutti i giorni in prima linea, si rendono infatti conto che una giustizia lenta oltre a rendere un cattivo servizio ai cittadini, rende difficile e frustrante il proprio lavoro.

Il comunicato sottolinea quello che pensano gran parte dei colleghi: ben vengano le riforme, ma quelle annunciate per lo più non convincono. Si pensa infatti che separare le carriere dei giudici e dei Pm e aumentare il peso della politica all’interno del Csm e della sua sezione disciplinare, non aumenterebbe di un solo giorno la rapidità dei procedimenti, ma servirebbe solo a rendere più influenzabili i magistrati e meno tutelati i cittadini.

La questione infatti gira intorno ad un equivoco di fondo. Molti pensano che la difesa dell’autonomia della magistratura e dei suoi poteri sia frutto di uno spirito corporativo da parte dei magistrati. In realtà, questa autonomia è una garanzia per tutti.

I magistrati ritengono, ad esempio, sulla separazione delle carriere, che un cittadino possa essere più tutelato se il pubblico ministero, mentre svolge le indagini, valuta i fatti con equilibrio, come se fosse egli stesso un giudice; e non che, avulso da questa cultura, abbia come unico scopo quello di perseguire la colpevolezza dell’indagato.

Lo sveltimento dei processi non passa però solo dallo snellimento delle procedure. A tal proposito bene ha fatto l’Anm ad evidenziare come, col proprio consenso e contributo, le ultime riforme legislative abbiano imposto ai magistrati una frequente valutazione della professionalità.

In magistratura infatti, forse per rafforzare la percezione di autonomia, tutto è rapportato all’anzianità (dalla progressione in carriera alla scelta del periodo di ferie). Più invecchiano e più i magistrati sono bravi? L’esperienza non sempre conforta questa tesi. È tempo quindi di sanzionare i meno virtuosi e soprattutto di premiare il merito.

Si condivide infine l’assenza di accenni nel comunicato al tema scottante delle intercettazioni.

In materia di intercettazioni il dibattito è aperto e anche lo sforzo della magistratura associata è volto alla ricerca del giusto punto di equilibrio tra esigenze d’indagini, legittima tutela della privacy, e diritto dei cittadini ad essere informati. Coloro che ritengono che anche qui i giudici si siano arroccati in difesa delle proprie prerogative non considera che dal punto di vista strettamente economico, i magistrati ci guadagnerebbero certo da una riduzione dell’ambito delle intercettazioni.

Infatti, il bilancio della giustizia è unico e l’eventuale risparmio di spesa derivante dalla riduzione nell’uso di questo costosissimo strumento, sarebbe certamente reinvestito ad esempio per comprare i codici, la carta, e i computer.

L’obiezione più frequente, quella per cui i magistrati debbano tornare agli strumenti d’indagine tradizionali, non tiene conto delle numerose novelle legislative degli ultimi anni che hanno stravolto e ristretto notevolmente la possibilità di utilizzo da parte del giudice per la sua decisione, delle dichiarazioni raccolte dal Pm nelle indagini preliminari.

Ad esempio non tutti tengono in conto che, davanti al giudice, gli agenti di pubblica sicurezza non possono più riferire ciò che hanno appreso da altri nel corso delle indagini. L’auspicio è che in un clima che appare sempre più sereno vengano finalmente prese decisioni frutto di un progetto, lungimiranti ed equilibrate.

Giustizia: l’avvocato; vanno evitate le discussioni ideologiche

di Fabio Lattanzi

 

www.radiocarcere.com, 6 settembre 2008

 

Roma, 1 settembre 2008, l’Anm è arroccata nel Palazzaccio. Ore 19 viene diramato un comunicato. L’incipit sottolinea l’urgente necessità di riformare la giustizia. L’affermazione successiva lega indissolubilmente sicurezza dei cittadini al corretto funzionamento del processo penale. Seguono una parte propositiva e una reiettiva.

La prima. Dato il contenuto necessariamente asfittico, proprio di un comunicato, non permette di capire appieno. Si sottolinea l’irragionevole durata del processo penale. L’anamnesi è quanto meno limitata. I tempi dell’accertamento penale sono sicuramente intollerabili, ma non sono l’unico difetto di una macchina giudiziaria disastrata.

Nessun accenno alle modalità di utilizzo di strumenti quali custodia cautelare ed intercettazioni di comunicazioni. Nessuna riflessione sulla qualità delle decisioni. S’individuano alcune riforme finalizzate a ricondurre i tempi processuali nell’ambito della ragionevolezza. Rivedere le circoscrizioni giudiziarie ed eliminare i formalismi. Un’aspirina prescritta ad un malato terminale.

La seconda. Le affermazioni sono connotate da cristallina chiarezza. Al categorico rifiuto "a riaprire il dibattito e il confronto sul sistema costituzionale della magistratura" segue la netta contrarietà a modifiche dell’ordinamento giudiziario e all’introduzione della così detta separazione delle carriere.

Autonomia ed indipendenza della magistratura vengono posti che come baluardi che impediscono anche la sola discussione di questi argomenti. Inutile il dibattito e il confronto sul sistema costituzionale della magistratura perché non servirebbero al funzionamento della giustizia. Una chiusura ideologica, astratta, che prescinde dalla realtà e dalla necessità di affrontare effettive problematiche, che ricorda quella assunta da taluni a proposito di tematiche quali quelle dell’eugenetica e della procreazione assistita.

Il rifiuto di ogni discussione relativa alla separazione delle carriere perché comporterebbe una perdita d’indipendenza del pubblico ministero. Il codice di procedura penale ha realizzato un sistema processuale che differenzia il giudice dalle parti: accusa e difesa.

L’indipendenza tout court, di conseguenza, se può apparire giustificabile per il giudice non sembra sia altrettanto giustificabile per i rappresentanti dell’accusa. Prevedere la dipendenza del singolo p.m. dal procuratore della repubblica e di questo dal procuratore generale, in altre parole organizzare gerarchicamente i ruoli dell’accusa non sembra costituisca argomento non discutibile e aprioristicamente dannoso per la giustizia.

Peraltro non è l’indipendenza su cui si deve riflettere relativamente alla separazione delle carriere. Nel concreto occorre stabilire se sia preferibile un pubblico ministero che provenga dai ranghi della giurisdizione o un pubblico ministero cresciuto nella mentalità accusatoria: un pm giudice o un pm poliziotto.

Discussione e concreta verifica delle riforme non possono che essere auspicabili. Una discussione pragmatica deve essere sostituita ad una discussione ideologica, che non trova nessuna giustificazione soprattutto se riferita ad una tematica quale quella della giustizia. Rifiutare la riforma dell’organo di autogoverno di cui i "difetti" sono noti paventando la paura di una sua politicizzazione sembra quanto meno ipocrita, soprattutto se si considera che il suo funzionamento oggi s’ispira a logiche politico-correntizie e non a logiche meritocratiche.

Una discussione che abbia un obbiettivo concreto: la realizzazione di un sistema che attraverso un processo che rispetti l’individuo conduca a decisioni celeri e giuste. Obbiettivo che si raggiunge sia attraverso modifiche normative del processo penale sia attraverso la riforma dell’assetto della magistratura. Riforma che deve radicare principi quali meritocrazia e responsabilità. Principi che assolutamente non si pongono in contrasto con l’esigenza di preservare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura dal potere esecutivo.

Giustizia: decreto legge invierà magistrati nelle sedi del Sud

di Marco Bellinazzi

 

Il Sole 24 Ore, 6 settembre 2008

 

Benefici economici e trasferimenti d’ufficio "obbligatori" per i magistrati con oltre dieci anni di anzianità. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ricorre a questo mix di misure per scongiurare la paralisi delle sedi giudiziarie "disagiate". Il decreto legge predisposto dai tecnici di Via Arenula è pronto e potrebbe essere approvato dal Consiglio dei ministri già la prossima settimana (sarà esaminato martedì 9 nel preconsiglio).

Il Governo risponde così ai ripetuti allarmi del Csm e alla risoluzione con la quale in estate l’organo di autogoverno della magistratura aveva in pratica messo in mora il Guardasigilli sui rischi causati dalle voragini che si stanno aprendo, in particolare, nelle Procure e nei tribunali delle Regioni con più alto tasso di criminalità. Realtà nelle quali negli ultimi anni si era sopperito alle croniche carenze di personale con l’invio dei "giudici ragazzini", uditori e freschi vincitori di concorso.

Con la riforma dell’ordinamento giudiziario (l’articolo 13, comma 2, del Dlgs 160/06, modificato dall’articolo 2, comma 4, della legge 111/07), invece, ai magistrati più giovani, al termine del tirocinio, non possono essere più affidate le funzioni di Pm, di giudice monocratico nelle sezioni penali, né quelle di Gip o Gup, per le quali servono almeno quattro anni di esperienza. Questo blocco ha provocato una scopertura in moltissime Procure di oltre il 30% (con punte dell’80 a Lucerà e del 75 a Enna). Solo in Sicilia, Calabria e Campania mancano 80 Pm.

Per correre ai ripari - oltre a inserire nella nuova pianta organica 42 ex giudici militari, come previsto dalla Finanziaria 2008, e a fissare in 250 il numero massimo di magistrati destinati a svolgere funzioni non giudiziarie - lo schema di decreto legge (in tutto 4 articoli), da un lato, potenzia gli incentivi economici e di carriera per i magistrati che manifestino la disponibilità ad andare in una sede disagiata e, dall’altro lato, introduce un sorta di trasferimento d’ufficio "obbligatorio" per assicurare il funzionamento delle sedi "a copertura immediata" (al massimo dieci che spetterà al Csm individuare),

I benefici per il trasferimento in sedi disagiate (quelle Con posti vacanti superiori alla media nazionale) saranno concessi per spostamenti anche inferiori ai 100 km. Al magistrato sarà corrisposta un’indennità mensile (pari allo stipendio tabellare previsto per il magistrato ordinario con tre anni di anzianità) e un’indennità fissa (cosiddetta di prima sistemazione). Inoltre, sarà riconosciuta un’anzianità di servizio doppia per ogni anno di effettivo servizio prestato.

Per quanto riguarda le sedi a copertura immediata, potranno esservi destinati i magistrati che svolgono le medesime funzioni nello stesso ufficio da più di 10 anni e che non abbiano già presentato una domanda di trasferimento in un altra sede. In queste circostanze, il Csm potrà disporre il cambio di sede anche se non sia stato manifestato il preventivo e generico consenso com’è invece necessario nell’ordinario trasferimento d’ufficio.

Giustizia: Idv; dal Governo indicazioni nebulose sulle carceri

 

Apcom, 6 settembre 2008

 

Il governo, sull’emergenza carceri "è confuso". A sostenerlo è l’Italia dei Valori che con Federico Palomba, deputato Idv, spiega: " Questo Governo si trova a gestire una vera e propria emergenza penitenziaria. Come intenda far fronte a tale emergenza è ancora del tutto oscuro. L’unica indicazione è quella, tuttora nebbiosa, del braccialetto elettronico, con una chiara negazione della certezza dell’espiazione della pena e l’aggravamento della sicurezza che, solo a parole, si dice di voler perseguire. Insomma, un turn-over che solo nel nome non viene chiamato indulto, ma che in realtà potrebbe averne molte caratteristiche".

"Italia dei Valori - aggiunge Palomba - ha un’idea completamente diversa sulla riforma della giustizia ed ha presentato un pacchetto di sette proposte di legge per l’accelerazione dei processi, la garanzia della certezza della pena e l’eliminazione della sanzione penale in casi non gravi in presenza di tenuità del fatto, risarcimento del danno, sanzioni sostitutive, sospensione del processo con messa alla prova". "Idee chiare, dunque - conclude il dipietrista - a differenza di quelle del governo, ancora estremamente confuse. Ne chiederò conto alla ripresa dei lavori parlamentari in commissione giustizia e in aula, per far risaltare lo stato di marasma in cui versano Guardasigilli e Governo".

Giustizia: è doveroso agire per la trasformazione della pena

 

Redattore Sociale - Dire, 6 settembre 2008

 

Il direttore della Casa di Reclusione di Spoleto: "L’indulto era un atto dovuto perché c’è troppo carcere. Non siamo capaci di trovare misure diverse da quelle che tolgono la libertà".

"Per quanta intolleranza può suscitare la storia delle persone che sono qui (si tratta di un istituto in cui sono reclusi per lo più membri di clan mafiosi, molti dei 380 che vi alloggiano sono sotto regime di 41 bis), il loro desiderio è di non essere trattati da mostri. Questo tentiamo di fare, senza equivoci sulla certezza della pena o il rischio per l’esterno". Sono le parole del direttore del carcere di massima sicurezza di Spoleto, Ernesto Padovani, dove oggi si è tenuta la presentazione del Rigoletto di Verdi che andrà in scena dal 10 al 14 settembre nella città umbra su iniziativa del Lirico sperimentale e in collaborazione con la casa di reclusione di Spoleto e con la Provincia di Perugia.

Padovani ha colto l’occasione, come gli è proprio in queste circostanze, per veicolare messaggi importanti sulla positività di un rapporto costante tra il carcere e la città e sul ruolo riabilitativo cui deve mirare la pena secondo la nostra Costituzione e il nostro ordinamento giudiziario. "Iniziative come questa del Rigoletto sono il tentativo di ‘normalizzarcì, inteso come considerare il carcere come parte, normale, di un contesto e di una collettività che vive, che costruisce, che va a teatro. Vorrei che progetti come questi non fossero un evento, ma la normalità. Chi lavora in carcere scopre la piccola parte sana che sta dentro quella realtà che spesso ci fa inorridire". Tanto più in questo momento in cui "ci stiamo rivelando intolleranti, arroganti, incapaci di convivere".

Ancora, sulla flessibilità della pena: "È doveroso agire sulla trasformazione della pena, chiederci se le persone giustamente condannate sono, dopo 30 anni, le stesse".

A una domanda sull’indulto (dal carcere spoletino sono uscite 25 persone) e sul nuovo rischio sovraffollamento (dramma che il carcere di Spoleto non vive in quanto strutturato in 380 stanze singole), il direttore che ha sempre creduto nella necessità di questo provvedimento ha risposto con un monito ai giornalisti: "Serve una comunicazione più corretta, non tutti coloro che delinquono sono usciti con l’indulto. L’indulto era un atto dovuto perché c’è troppo carcere". Ma è vero che "si finisce in carcere per aver rubato un detersivo in un supermercato, non siamo capaci di trovare misure diverse da quelle che tolgono la libertà". Infine: "Non è giusto scegliere il parametro dell’eccezione per fare la regola, dobbiamo usare il cervello per fare le regole, non la pancia".

Giustizia: Cassazione; carcere per professori che copiano tesi

 

Il Sole 24 Ore, 6 settembre 2008

 

Un comportamento di questo tipo, infatti, avverte piazza Cavour configura reato di truffa con la conseguente condanna del docente "copione" al carcere oltre che ad una salata multa al risarcimento dei danni subiti dagli studenti.

La Cassazione applica un giro di vite nei confronti dei professori che realizzano pubblicazioni servendosi delle tesi degli studenti. Un comportamento di questo tipo, infatti, avverte piazza Cavour configura reato di truffa con la conseguente condanna del docente "copione" al carcere oltre che ad una salata multa al risarcimento dei danni subiti dagli studenti. Applicando questo principio, la seconda sezione penale (sentenza 34726) ha confermato la condanna a sette mesi di reclusione per truffa oltre nei confronti di Fabio R., un giovane docente presso l’università di Trento che per concorrere alla cattedra di professore ordinario aveva pubblicato un libro che per i due terzi copiava integralmente le tesi di laurea di alcuni suoi studenti.

Il docente, inoltre, è stato condannato anche a 300 euro di multa e a risarcire i due studenti autori delle tesi copiate per i danni patiti. Secondo la Suprema Corte, che ha dichiarato inammissibile il ricorso del prof., legittimamente la Corte d’Appello di Trento aveva ravvisato nel suo comportamento anche il reato di truffa, oltre alla violazione del diritto d’autore, in quanto "l’opera presentata dall’imputato come sua" era "stata redatta con la tecnica del copia e incolla effettuata dai floppy disk" usati dai due studenti e consegnati insieme alla tesi al loro professore relatore.

Inoltre, avvertono ancora i supremi giudici, che la legge 474 del 1925 sulla "la repressione della falsa attribuzione di lavori altrui da parte di aspiranti al conferimento di lauree, diplomi, uffici, titoli" intende punire non soltanto "un lavoro compilato interamente da un soggetto diverso da quello che ne appare l’autore, ma anche il fatto oggettivo che il lavoro non sia proprio, cioè non sia frutto del proprio pensiero, svolto anche in forma riepilogativa o espositiva, ma che esprime tuttavia quello sforzo di ripensamento di problematiche altrui che si richiede per saggiare le qualità espositive di un candidato".

Ed effettivamente grandi sforzi, a quanto rileva la sentenza della Cassazione, il professor Fabio R. non ne aveva fatti dal momento che il suo volume era "per oltre due terzi riconducibile ad altri".

Il caso è finito prima davanti al Tribunale di Trento che, nel luglio 2005 condannava l’insegnante ad una multa di mille euro per violazione del diritto d’autore, oltre al risarcimento dei due studenti dai quali aveva copiato la testi di laurea.

La situazione del prof. si è aggravata davanti alla Corte d’Appello di Trento che, nell’ottobre 2007, lo condannava anche per il reato di truffa a sette mesi di reclusione e a 300 euro di multa. Inutilmente Fabio R. ha tentato il ricorso in Cassazione sostenendo innanzitutto che non c’era violazione del diritto d’autore in quanto "la tutela della norma contestata riguarda solo l’opera di ingegno di carattere creativo con le caratteristiche di novità e originalità e non un lavoro che costituisca una mera opera compilativa priva delle caratteristiche di novità e originalità". E poi, sostenendo che non si era limitato ad un semplice copia e incolla in quanto due capitoli del libro erano farina del suo sacco.

La Suprema Corte ha bocciato il ricorso del docente e ha appunto confermato la pesante condannata avvertendo in questo modo i docenti a guardarsi dall’utilizzare per proprie pubblicazioni il lavoro dei loro studenti. Per effetto dell’inammissibilità del ricorso il professore dovrà versare anche mille euro alla cassa delle ammende e liquidare le spese processuali sostenute dagli studenti in Cassazione, circa 2.500 euro ciascuno.

Aosta: premiato un vino prodotto dai detenuti della Gorgona

 

Ansa, 6 settembre 2008

 

Prodotto dai detenuti del carcere dell’isola di Gorgona (Livorno), il Vermentino passito "Gorgona" ha appena ottenuto un riconoscimento speciale in una vetrina internazionale. La bottiglia è infatti stata segnalata nell’ambito della sedicesima edizione del Concorso "Vini di Montagna", organizzato dal Centro di ricerche studi e valorizzazione della viticoltura di montagna (Cervim), con sede ad Aosta, in collaborazione con l’Associazione enologi enotecnici italiani.

Il riconoscimento sarà consegnato domani, nel parco della Mandria, a Venaria (Torino), in occasione della premiazione ufficiale del concorso, a cui hanno partecipato oltre 500 etichette provenienti da regioni montuose e piccole isole di mezza Europa. "Siamo soddisfatti e sorpresi - dice il comandante del carcere Gisberto Granucci - non ci aspettavamo questo risultato, anche se già in Toscana la nostra produzione aveva iniziato a suscitare un certo interesse". La casa dispone di un ettaro di vigna, dalla quale produce - oltre al Vermentino - anche del Sangiovese e dell’Ansonica. Sono sei i detenuti che lavorano l’appezzamento. "Arriviamo a 500 bottiglie l’anno - continua Granucci - il nostro fine non è la commercializzazione, ma la valorizzazione di un’attività di recupero all’aria aperta, che offre anche competenze per il futuro reinserimento lavorativo dei detenuti".

Firenze: ordinanza sui lavavetri; il Tar da ragione al Comune

di Marisa Maraffino

 

Il Sole 24 Ore, 6 settembre 2008

 

Il mestiere di lavavetri non esiste, quindi il ricorso contro l’ordinanza del sindaco di Firenze non è ammissibile. Inoltre, manca l’interesse a ricorrere. Si conclude così la lunga polemica dell’estate scorsa innescata dalla decisione di Leonardo Domenici di vietare la pulizia dei vetri ai semafori.

Secondo il Tar della Toscana (sentenza 1889/2008 depositata il 27 agosto), la figura del lavavetri non è un’attività lavorativa giuridicamente riconosciuta "non sussistendo alcun obbligo di corrispettivo di denaro da parte dell’automobilista". E poi, anche quando si dà qualche moneta, la somma "riveste mero carattere di liberalità non sussistendo, peraltro, al riguardo, alcun tariffario".

Infine - concludono i giudici - esistono "apposite strutture, come le stazioni di servizio e i garage, debitamente autorizzate al lavaggio di automezzi". È dunque inammissibile il ricorso presentato dalla senatrice Donatella Poretti dell’Aduc contro il Comune di Firenze e volto a ottenere l’annullamento dell’ordinanza contro i lavavetri.

Il Tar ha accolto le eccezioni del Comune di Firenze, giustificando di fatto il divieto dell’esercizio abusivo di girovaghi e ambulanti su tutto il territorio comunale. Secondo i giudici, non esiste un interesse sociale che giustifichi il rilascio di un’autorizzazione a svolgere questa attività, come richiesto, invece, dalla ricorrente.

Il Tribunale ricorda che l’ordinanza oggetto del ricorso era comunque stata sostituita da un successivo provvedimento che aveva esteso e rafforzato il divieto per motivi di sicurezza e ordine pubblico. Così per il Tar è fondata la censura del Comune di Firenze che lamentava anche la mancanza dell’interesse ad agire della ricorrente. Si può inoltre sostenere, afferma il Tar, che la senatrice ha introdotto il giudizio "nell’interesse di terzi senza aver subito alcun pregiudizio della propria sfera giuridica".

Non solo. Resta in piedi anche il reato previsto dall’articolo 650 del Codice penale per chi non ottempera all’ordinanza del sindaco, ora pienamente legittima, e che comunque, "non sarebbe stato compromesso neppure da un eventuale accoglimento del ricorso". Una bocciatura pesante che rilancia di fatto la battaglia dei Comuni contro ambulanti e lavavetri.

Roma: il piano di Alemanno contro il degrado? è solo facciata

 

Il Riformista, 6 settembre 2008

 

La rete c’è e non c’è. Un po’ come il pugno di ferro del governo contro i tifosi violenti. C’è quando serve mostrarlo alle telecamere. Sparisce quando le telecamere si spengono. Quella rete, tirata su in fretta e furia, dovrebbe impedire l’accesso al casale in cui furono aggrediti due turisti olandesi a Ponte Galeria, periferia sud della capitale. Il giorno in cui la rete venne realizzata furono convocati i giornalisti che si presentarono in massa.

Oggi, però, dal vialetto di accesso al casale basta proseguire per qualche centinaio di metri lungo la strada - a destra o a sinistra è lo stesso - per scoprire che quella recinzione ancora si interrompe improvvisamente. E così - dicono da queste parti - potrebbe rimanere: "Serve più che altro come dissuasione". E infatti le prostitute - evidentemente dissuase - si sono spostate appena un po’ più in là. Era la notte tra il 19 e il 20 agosto. Due cicloturisti olandesi trovarono rifugio in un casale abbandonato sulla via Portuense utilizzato come ricovero da un gruppo di rumeni e come luogo di lavoro da alcune prostitute. I due piantarono la tenda. Poi furono selvaggiamente aggrediti. Lei fu violentata. Scoppiò un caso. Alemanno parlò di imprudenza dei due turisti e poi se ne uscì con una

frase alla quale fu crocifisso, parlando di un "posto sperduto, dimenticato da Dio e dagli uomini". Qualche giorno dopo - non prima di essere passato a Rimini per fare una puntata al Meeting di Cl dove lo attendeva a braccia aperte Roberto Formigoni per parlare di sussidiarietà - Alemanno fece ritorno a Roma e convocò i giornalisti.

Si era ormai al 26 agosto. E i giornalisti si presentarono numerosissimi. Il sindaco spiegò che entro 5 giorni il casale doveva essere messo in sicurezza - e dunque ogni entrata e ogni finestra doveva essere murata - oppure abbattuto. E prospettò l’estensione del patto per la sicurezza alle aree agricole. Poi mostrò la recinzione metallica che la Protezione civile stava montando proprio in quelle ore.

A distanza di giorni, effettivamente, ogni entrata è stata murata. Quella recinzione, però, è rimasta come allora, se non fosse per un cancello chiuso con un paio di lucchetti. Vista dalla strada quella rete sembra impedire il passaggio a chiunque. Eppure, due cani se ne stanno tranquilli a scodinzolare proprio accanto alle sedie prima utilizzate dalle prostitute.

Non hanno ovviamente scavalcato, né - vista l’aria assolutamente amichevole - sembrano lasciati lì a fare la guardia. Semplicemente, devono aver fatto il giro. Come chiunque potrebbe fare. La recinzione, infatti, termina qualche centinaio di metri più in là. Ma se poi non si avesse voglia di fare troppa strada per fare il giro, per entrare basterebbe utilizzare uno dei tanti avvallamenti del terreno e infilarsi semplicemente sotto la recinzione.

Sul cancello un cartello avverte che i lavori di manutenzione straordinaria termineranno entro il 10 settembre. Sul muro del vecchio edificio è appeso un cartello che ricorda le norme sulla sicurezza sul posto di lavoro. L’immondizia, però, continua a essere ovunque. Dietro il casale si intravedono le macerie delle baracche utilizzate dai rumeni. Sono ancora bene in vista, invece, le sedie bianche sulle quali le prostitute aspettavano i clienti. Oggi li attendono soltanto qualche metro più in là. Africane per lo più ma non soltanto. Ammiccano agli automobilisti, sorridono, chiamano a gesti.

Mostrano quello che ormai viene chiamato "lato B" ma che bisognerebbe chiamare col suo nome - "culo" - perché è un culo - e non un "lato B" - che chi passa da queste parti, incolonnato sulla Portuense, vuole vedere; anche alle 13 di un giorno feriale, nonostante un caldo feroce e un sole che suggerirebbe ben altre attività: altro che un bestiale scuotimento di viscere, l’immobilità assoluta, pena un bagno di sudore.

Ad ascoltare ciò che dice la gente di qui, non è cambiato nulla in questi giorni. C’è il solito via vai di stranieri, soprattutto rumeni ubriachi. A sentire i carabinieri le cose non stanno proprio così. Si parla anzi di esagerazioni, si spiega che la situazione è monitorata e che come in tutte le periferie c’è una percentuale di stranieri superiore a quella del centro. Ma si dice anche che la maggior parte di questi sono ben integrati, lavorano, mentre i delinquenti sono pochi, quasi un fatto fisiologico. Insomma, non c’è nessun allarme sociale. E lo confermano anche nella vicina farmacia, punto di osservazione privilegiato. Altri però raccontano una storia diversa. E dicono di avere paura.

Comunque sia, tutti o quasi fanno capire che nel bene e nel male la vita qui scorre esattamente come prima. Come il lavoro delle prostitute, dissuase dallo stare proprio davanti a quel casale, e costrette a spostarsi qualche metro più in là. Proprio lì, dove il muro di Alemanno finisce.

Diritti: ddl per vietare la prostituzione è sbagliato e inefficace

di Iuri Maria Prado

 

Libero, 6 settembre 2008

 

Lo spaccio di droga è vietato e costituisce un illecito penale, ma dica qualcuno se con il divieto e la sanzione abbiamo "eliminato" lo spaccio. Ora la maggioranza di governo vuole "eliminare" la prostituzione di strada e nei luoghi aperti al pubblico, la quale costituirebbe, si spiega, il fenomeno di "maggiore allarme sociale".

Già su questo potremmo discutere, nel senso che se è vero che con le prostitute e i prostituti ci vanno in tanti, tantissimi, allora vuol dire che una buona fetta di società guarda a questo fenomeno, o almeno lo vive, in modo assai poco allarmato. Ma il punto non è questo. Piuttosto, è che il fenomeno difficilmente lo elimini inventandoti il reato di prostituzione nei luoghi pubblici; né tanto meno riesci nell’opera se alla pena per chi si prostituisce aggiungi quella per il cliente, come vorrebbe il forse pur ben intenzionato disegno di legge che pare in presentazione.

Non è bello che le strade offrano questa rassegna di esseri umani che fanno commercio di se stessi, con file di acquirenti sempre più lunghe. Ma dietro il progetto di togliere dalle strade quella esposizione e contrattazione c’è probabilmente una spinta moraleggiante, anche più ignobile, che non ha nulla a che fare con la preoccupazione per le "condizioni di miseria sociale e morale in cu in prevalenza si consuma il fenomeno della prostituzione" (così la relazione che accompagna il disegno di legge). E si tratta dell’inconfessata pretesa che i maschi possano continuare a comprarsi i servizi delle prostitute (o dei prostituii, è uguale) a patto che non facciano scandalo per le strade e cioè non offendano la vista delle persone cosiddette perbene, le quali in maggioranza son quelle che con le prostitute ci vanno eccome, stasera, reclamandone però lo sgombero domani mattina.

Fuori dai denti: il segno distintivo di questa legislazione è l’ipocrisia maschilista per cui le donne è giusto poterle comprare ma bisogna che non si veda, perché le strade son fatte per le famiglie e i buoni cristiani, non per le puttane. Chiaramente, finché i bambini non sono a letto, perché dopo quel bordello stradale è il regno irrinunciabile di questi gentiluomini.

C’è poi un particolare insieme furbesco e illiberale in questa normativa. Si prevede infatti che non è punibile la persona che sia indotta con violenza a prostituirsi. Ed è una previsione furbesca perché si sa benissimo che la stragrande maggioranza degli inquisiti avrebbe a disposizione quella difesa: ci obbligavano. E ti saluto a quel punto l’efficacia della sanzione. Ma è poi una previsione illiberale perché s’incattivisce allora su chi - ed esisterà pure - sceglie in libertà di prostituirsi in pubblico. Qualcosa che si può fare senza strepito, senza scoperture oscene e sguaiataggini e cioè, per intendersi, con buone maniere. Cioè le cose che mancano (questo lo vedono tutti) lungo le strade della prostituzione: ma non sono mancanze cui si rimedia a suon di norme penali.

Infine: giustissimo essere severi con lo sfruttamento, specie con violenza, della prostituzione, ciò che pure le nuove norme prometterebbero. Ma l’arresto e le ammende per chi vende e compra prestazioni sessuali sono un’altra cosa, sbagliata e inefficace.

Immigrazione: le "comode ovvietà" che la politica ci propina

di Giovanna Zinconi

 

La Stampa, 6 settembre 2008

 

Sempre di più i tentativi di governare l’immigrazione ripropongono ovvie considerazioni, sulle quali però i decisori pubblici preferiscono glissare. Prima considerazione: le leggi, anche quelle solo in cantiere, producono anche effetti perversi. Il progetto sulla sicurezza in discussione al Senato vuole introdurre il reato di ingresso clandestino, quindi intende scoraggiare i disperati che sbarcano sulle nostre coste, prevedendo per loro arresto obbligatorio e processo immediato. Di fatto, questa prospettiva, ha spinto e spingerà molti a imbarcarsi prima che la legge passi. Nel mese di luglio, gli sbarchi sono raddoppiati rispetto all’anno precedente. Non sappiamo i dati di agosto, ma le drammatiche tragedie del mare e gli sbarchi di questi giorni ci dicono che troppi hanno sfidato e sfideranno la sorte in una corsa contro il tempo. La conclusione lampo del contenzioso con la Libia dovrebbe servire anche a limitare questa tragica corsa. È un’ottima mossa, ma non priva di costi, e non mi riferisco solo ai costi economici e a qualche emergente costo politico. I costi di cui parlo sono umanitari e questo ci porta alla seconda considerazione di nuovo ovvia ma oscurata. Obiettivi proclamati come ugualmente importanti, sono spesso difficili da conciliare, quindi di norma se ne sacrifica qualcuno, non troppo apertamente.

 

I flussi dalla Libia

 

Bloccare i potenziali immigrati in Libia può ridurre i flussi clandestini verso l’Italia (primo obiettivo), ma non mette gli stessi migranti al riparo da sorti terribili (secondo presunto obiettivo). Le carceri libiche di Kufrah, Sebah e Gahran, destinate agli immigrati fermati o respinti, che già il precedente governo Berlusconi aveva finanziato, non sono permanenze salubri. Sigillare le frontiere meridionali della Libia, come prevede l’accordo, non tiene conto delle sorti di quei migranti che possono essere respinti verso il deserto. A partire dal 1996, si calcola che più di mille persone abbiano perso la vita tra le dune nel tentativo di raggiungere la Libia o l’Algeria, per poi dirigersi verso le sponde europee del Mediterraneo. Queste soluzioni hanno però un vantaggio: provocano tragedie facili da ignorare. Sono lontane dai nostri occhi, dalla percezione dei nostri media.

Le frontiere dell’Europa ancora benestante slittano e scaricano ove possibile i problemi all’esterno, al di fuori dei propri territori, senza troppa attenzione al modo in cui altrove saranno affrontati. Le frontiere interne che permangono diventano più sorvegliate, le punizioni più severe. E quando il gioco si fa duro a giocare restano i più duri. Il confine rinforzato degli Usa con il Messico ha ridotto sì i flussi da quell’ingresso, ma ha aumentato le attività criminali e il numero di morti. La formula dell’immigration choisie, dell’immigrazione selezionata e non subita, lanciata da Sarkozy e ampiamente condivisa a livello europeo, è più che ragionevole. L’Europa sull’orlo della recessione ha bisogno di mansioni e professionalità mancanti, non può permettersi il lusso di flussi superflui e indiscriminati. Il sistema delle quote programmate, come ha concluso una Commissione di esperti voluta dal governo francese, non funziona perché è unilaterale e quindi i paesi di origine non lo accettano, non funziona perché è rigido e non risponde alle domande del mercato; in sintesi perché antieconomico e incoraggia l’irregolarità. Ma questo non implica che sia opportuno e utile aprire le porte a chiunque.

 

Le strategie selettive

 

Il ritorno in auge di una strategia selettiva e fortemente utilitaristica dell’immigrazione è comprensibile, forse necessario in una fase congiunturale negativa, ma è difficile da conciliare con obiettivi umanitari. E, infatti, gli obiettivi umanitari sono crescentemente accantonati: in molti paesi europei sono state socchiuse anche le porte rimaste aperte dei ricongiungimenti familiari e dell’asilo. Si aggiunga che non è facile distinguere tra immigrati irregolari e rifugiati, perché i Paesi da cui provengono sono spesso poveri di risorse vitali come di rispetto dei diritti umani. Gli appelli di Benedetto XVI muovono da queste constatazioni e richiamano i legislatori dei Paesi europei a non esagerare nel premiare l’utilità a discapito degli obiettivi umanitari. La Chiesa può e deve farlo perché non è solo europea, non è solo del Nord del mondo, perché non basa il proprio mandato sugli umori della pubblica opinione. Ma i politici del nostro Continente, inclusi quelli che si professano cattolici, al di là delle dichiarazioni d’ufficio, vogliono e possono ascoltarla?

Immigrazione: Gelmini; niente scuola per i figli degli irregolari

 

Redattore Sociale - Dire, 6 settembre 2008

 

Il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini è contraria all’idea che un immigrato irregolare possa iscrivere il proprio figlio a scuola. "È un torto - ha spiegato il ministro in un’intervista rilasciata al "Magazine" del Corriere della sera ieri in edicola - soprattutto nei confronti degli immigrati regolari. Non ci possono essere due pesi e due misure. Credo che la maggior parte degli italiani la pensi come me".

E le reazioni non mancano. La prima ad insorgere è la senatrice del Pd, Vittoria Franco, secondo cui "si tratta di una barbarie: si violano i principi fondamentali dei diritti dei bambini, che davvero non c’entrano alcunché con la posizione dei loro genitori nei confronti dello Stato".

Per il ministro ombra delle Pari Opportunità del Pd "questa proposta del ministro Gelmini è la ciliegina sulla torta, una concessione alla Lega e alla parte più retriva della destra, una disposizione che creerà segregazione, emarginazione e illegalità. È un altro tassello - continua - al mosaico dell’autoritarismo e della restaurazione che questo governo sta delineando per la scuola".

Secondo Franco, "Gelmini in questo sta dimostrando di poter superare anche Moratti, che credevamo potesse vantare il primato dell’indebolimento della scuola pubblica". E proprio Letizia Moratti, a Milano, lo scorso anno, insieme al suo assessore comunale alla Scuola, Mariolina Moioli, aveva tentato di mettere un blocco alle iscrizioni dei figli degli immigrati irregolari alle scuole materne gestite dal Comune. Ne era scaturita una battaglia con il ministero dell’Istruzione che aveva portato alla diffida nei confronti del Comune (con il rischio di un blocco dei fondi statali), costretto poi a fare dietro-front.

Droghe: Iss; finiti i soldi per le ricerche sugli effetti dell’alcool

 

Notiziario Aduc, 6 settembre 2008

 

A "secco" la ricerca in Italia sugli effetti dell’alcol. I fondi necessari per prevenire i danni devono essere reperiti in Europa. Lo denuncia all’Agi Emanuele Scafato, direttore del centro Oms per la ricerca sull’alcol all’Istituto superiore di sanità (Iss).

"In Italia per la ricerca sugli effetti dell’alcol non si investe un euro: eppure è la prima causa di morte tra giovani e giovanissimi in Italia". A causa dell’alcool infatti muoiono ogni anno in Italia 6.000 persone di cui metà giovani. "Mi chiedo perché 3.000 giovani l’anno devono morire in questo modo senza che nessuno batta ciglio. Io devo andarmi a cercare i fondi in Europa - continua Scafato - per fare ricerca sull’alcool. In Italia bisogna cambiare rotta per porre fine a una vera e propria emergenza nazionale".

In Germania è da tempo attivo il "limite zero", che proibisce ai neo-patentati di guidare anche se sotto il livello italiano di 0,5g/l di alcool nel sangue, l’equivalente di una birra. "Da noi una misura del genere sarebbe opportuna: chi guida non deve bere alcolici, eliminare anche il limite di 0,5g/l nel sangue. Quel limite - aggiunge Scafato - non genera ricchezza ma crea solo costi sociali in incidenti e quant’altro, oltre che disperazione".

In Francia sono vietati spot televisivi di alcolici e quelle cartacee possono rappresentare solo le qualità del prodotto, senza associare agli alcolici persone o emozioni. "Il 67 per cento dei ragazzi in discoteca ricevono e consumano bevande alcoliche, quattro bicchieri in media per i maschi e 3 per le ragazze. Il 43% dichiara di ubriacarsi. Non sorprendono questi dati - sottolinea Scafato - visto che è costante la promozione della vendita di alcolici, specie in discoteca". Happy-hour, as you much as you can, biglietti di ingresso in discoteca con consumazione obbligatoria e pubblicità sono tutti "incentivi al consumo che bisogna scoraggiare, rendendo più costoso un alcolico rispetto a un analcolico, per esempio.

Oppure destinando una quota di tutti gli investimenti in pubblicità di alcolici a un fondo per la ricerca". È arrivato il momento di "inseguire le cause di questa emergenza, più che le conseguenze: ben vengano i controlli in strada e la certezza della pena per chi causa incidenti in stato di ebbrezza, ma la realtà quotidiana dice che non basta". Arginare quindi l’emergenza alcol: una priorità di cui si discuterà a Roma in occasione della prima conferenza nazionale sull’alcol il 16 e 17 ottobre, convocata su richiesta della consulta nazionale alcol.

Iraq: durante il Ramadan saranno rilasciati 3 mila detenuti

 

Asca, 6 settembre 2008

 

L’esercito statunitense ha annunciato che durante il periodo del Ramadan rilascerà almeno tremila detenuti iracheni. Dal primo gennaio di quest’anno, ha affermato la coalizione a guida Usa in Iraq, i reclusi scarcerati sono stati circa 12 mila con una media, nelle ultime quattro settimane, di 67 detenuti al giorno contro la detenzione di 24. "Al primo ottobre 2008 i detenuti rilasciati saranno oltre 15 mila", si legge in un comunicato rilasciato dall’esercito americano. Generalmente un detenuto a Camp Cropper o a Camp Bucca (i due centri di detenzione militari in Iraq aperti dagli Usa dopo la chiusura di Abu Ghraib) sconta un anno dietro le sbarre e la maggior parte di loro viene incriminata senza reali motivazioni o accuse formali.

Israele: l’Ue approva risoluzione per il rilascio di leader Fatah

 

Ansa, 6 settembre 2008

 

Il Parlamento europeo di Strasburgo ha approvato una risoluzione che chiede la liberazione di Marwan Barghouti, (storico leader di Fatah condannato all’ergastolo da un tribunale israeliano) e il rispetto dei diritti umani per tutti i prigionieri politici palestinesi attualmente detenuti nelle carceri dello Stato ebraico. Secondo le ultime stime sono circa 11mila i detenuti palestinesi in Israele (circa 400 i bambini) con l’impossibilità, spesso, di beneficiare del diritto di visita da parte delle loro famiglie.

La risoluzione, sostenuta dal gruppo dei socialisti, dei liberali e della sinistra radicale e verde (Gue) è passata con 416 voti favorevoli, 136 contrari e 61 astensioni. Il gruppo Ppe (popolari europei) non era tra i sostenitori della risoluzione, ma molti dei suoi membri nel corso della seduta dell’assemblea plenaria hanno votato a favore del testo.

I deputati europei invitano inoltre Israele a garantire il rispetto degli standard minimi in materia di reclusione e a non ricorrere più alle "detenzioni amministrative" e cioè quelle "senza capi d’accusa, senza processo e senza godere del diritto alla difesa. La liberazione di Barghouti sarebbe in tal senso "un gesto positivo per rafforzare l’Autorità palestinese e per instaurare un clima di fiducia reciproca".

Allo stesso tempo il Parlamento europeo invita l’Autorità palestinese "a fare tutto il possibile per evitare atti violenti o terroristici, specie ad opera di ex detenuti e in particolare di bambini". Chiede inoltre che Israele e Hamas adottino delle iniziative ai fini dell’immediata liberazione del caporale israeliano Gilad Shalit.

"La risoluzione del’europarlamento sui prigionieri palestinesi evidenzia concretamente le violazioni di Israele al diritto internazionale e rappresenta un importante passo in avanti per il rispetto dei diritti umani e la legalità anche perché è il risultato del lavoro congiunto di eurodeputati che appartengono a differenti gruppi politici" - ha commentato soddisfatta Luisa Morgantini, Vice Presidente del Parlamento Europeo e tra i principali fautori della risoluzione.

 

 

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