Rassegna stampa 5 settembre

 

Giustizia: Grosso; dopo tutto faccio auguri al ministro Alfano

di Carlo Federico Grosso (Ordinario di Diritto Penale Università di Torino)

 

La Stampa, 5 settembre 2008

 

A un importante seminario sulla giustizia organizzato a Roma dall’Udc, il ministro Alfano, intervenendo nella discussione, ha assunto una posizione di grande equilibrio. Era la prima volta che egli esponeva pubblicamente le sue intenzioni in tema di riforma complessiva della giustizia. Fra gli oppositori dell’attuale maggioranza politica c’era una certa apprensione per ciò che egli avrebbe annunciato. Creavano infatti timori e preoccupazioni le infauste precedenti iniziative del governo, volte ad assicurare l’immunità penale al presidente del Consiglio. E le frequenti dichiarazioni dello stesso presidente su possibili interventi di natura costituzionale in materia di processo e di ordinamento giudiziario.

La proposta del ministro, nel metodo, è stata invece ineccepibile. Egli ha osservato che la giustizia è una delle grandi emergenze del Paese: otto milioni di processi pendenti e ritardi di anni nella soluzione delle controversie costituiscono un’urgenza ineludibile. Di qui la grande sfida che ci attende: una riforma che sappia restituire tempi ragionevoli e certezza ai processi civili e penali, ponendo il cittadino al centro dell’azione riformatrice.

"Metterò pertanto innanzitutto in cantiere - ha affermato - la riforma della giustizia civile, ormai al limite della denegata giustizia; affronterò subito dopo i problemi del processo penale, imponendo ritmi più serrati, semplificando il sistema dei reati, restituendo certezza alla pena; mi occuperò infine del tema della detenzione, cercando di privilegiare in ogni modo la strada della sanzioni alternative e dell’esecuzione penale fuori dal carcere".

Quanto ai temi di rilevanza costituzionale, quali l’obbligatorietà dell’azione penale, la struttura ed i poteri del Csm, la separazione delle carriere, sui quali v’è stata, ancora di recente, polemica tra le forze politiche, egli ha garantito che non avrebbe forzato i tempi di un’eventuale riforma. Essa, se necessario, sarebbe stata affrontata a tempo debito e con le dovute cautele, cercando comunque il confronto e la maggiore condivisione possibile.

Poiché, in quel convegno, mi è toccato di prendere la parola subito dopo il ministro, non ho esitato ad esprimere il mio apprezzamento per quanto avevo appena ascoltato. E l’ho fatto con convinzione. Forse le parole pronunciate dal Guardasigilli erano troppo generiche e lasciavano pertanto aperti molti interrogativi, forse nascondevano le reali intenzioni del governo sulla ridefinizione, nel lungo periodo, dei rapporti di forza tra i poteri dello Stato. Era comunque importante, mi pareva, che il ministro, anziché minacciare sfracelli immediati come si poteva paventare, mostrasse moderazione e, soprattutto, metodo condivisibile nell’indicare modalità, obbiettivi e priorità di intervento.

Davvero tutto bene, dunque? Sicuramente meglio di quanto si poteva temere. Le preoccupazioni, comunque, permangono. Ne accennerò alcune. Mi domando, prima di tutto, che cosa accadrebbe se il Presidente del Consiglio tornasse a dettare l’agenda in materia di giustizia, chiedendo interventi immediati e radicali diretti a stravolgere gli equilibri di potere fra politica e magistratura come aveva fatto a fine luglio. Che farebbe il ministro, saprebbe proseguire sulla linea di saggezza che ha tracciato ieri l’altro o sarebbe costretto ad allinearsi? E se decidesse di non allinearsi, che cosa accadrebbe?

Ancora, quale opposizione di fronte alle proposte della maggioranza? Un’opposizione dura alla Di Pietro? Un’opposizione ragionata caso per caso? La ricerca di un’intesa, nella speranza di riuscire a condizionare comunque in qualche modo la maggioranza? E fino a che punto cercare accordi o condivisioni? La prima opzione mi sembrerebbe una scelta comunque sciagurata. Negli altri casi, nella condizione dell’attuale opposizione, trovare il giusto equilibrio potrebbe essere peraltro non sempre facile.

Ma torniamo al tema dal quale sono partito. Il ministro, come ho riferito, ha fornito le sue, apprezzabili, indicazioni di metodo in materia di riforma della giustizia. Se il metodo indicato verrà rispettato, al momento della pubblicazione dei relativi disegni di legge si potrà giudicare il merito delle proposte concretamente formulate.

Ottenere i risultati prefissi, data la condizione attuale della giustizia, sarà comunque molto difficile. Sarà tanto più difficile se le riforme delle leggi e dell’organizzazione degli uffici giudiziari, in controtendenza rispetto alle scelte operate dalla legge finanziaria, non saranno sostenute da adeguati investimenti.

Ministro Alfano, comunque auguri. Spero davvero che lei, con i suoi collaboratori, riesca a confezionare con abilità gli ingredienti necessari ad una riforma efficace dell’ordinario sistema della giustizia civile e penale, senza stravolgere gli equilibri costituzionali e senza introdurre normative inutilmente punitive per l’ordine giudiziario. Sarebbe un grande servizio per il Paese e sarei il primo a rallegrarmi per il suo successo.

Giustizia: Maroni; chiederò di aumentare i militari nelle città

di Carlo Mercuri

 

Il Messaggero, 5 settembre 2008

 

Ministro Maroni, oggi è un mese che sono entrate in funzione le pattuglie miste. Quali sono i risultati?

"I risultati sono molto interessanti. In questo periodo ci sono stati 93 arrestati (di cui 66 extracomunitari) per reati predatori, 263 denunciati e 242 auto sequestrate. I militari e le Forze dell’Ordine insieme hanno fatto un ottimo lavoro. La valutazione è perciò positiva e l’elevato gradimento dimostrato dall’opinione pubblica aumenta la percezione della sicurezza. Entro la fine dell’anno faremo una valutazione complessiva dell’attività delle pattuglie miste nelle varie città ma posso già dire che i risultati sono andati al di là delle aspettative".

 

Però gli Stati maggiori delle Forze armate hanno fatto capire che non gradirebbero l’eventuale prolungamento dell’esperimento e la stessa Polizia continua a masticare amaro vedendosi affiancata dai militari, quasi che da sola non riuscisse a garantire la sicurezza. Le risulta che ci sia malcontento tra gli operatori delle Forze dell’Ordine?

"Assolutamente no, tutto il contrario. C’è stata una polemica pretestuosa solo da parte di un sindacato di Polizia ma io ho parlato con i poliziotti e so che tra loro e i militari c’è un buon affiatamento. È un dato condiviso da tutti, tanto che ciò mi spingerà a chiedere di aumentare il contingente militare".

 

Vuole dire che gli attuali tremila soldati potrebbero raddoppiare?

"Confermo che il contingente militare aumenterà. E di molto. Consentiremo poi ai militari utilizzati nelle pattuglie miste di poter accedere ai moli delle Forze dell’Ordine".

 

Ministro, la Commissione Ue ha detto che i provvedimenti assunti dall’Italia per gestire il fenomeno dei campi nomadi non violano le norme della Ue. Una promozione per le misure da lei volute, o no?

"Sì, sono soddisfatto. Non ho mai avuto dubbi, del resto, sulla correttezza delle nostre, iniziative. Ma il parere della e fa giustizia di tutte le accuse e gli insulti che abbiamo ricevuto. Questo ci conforta e ci spinge ad andare avanti. Domani avrò una riunione con i tre commissari per definire meglio le prossime tappe legate al censimento dei campi nomadi".

 

Quali sono le prossime tappe?

"Entro il 15 ottobre concluderemo il censimento. Poi partiranno i piani di scolarizzazione per i minori, con la collaborazione del ministro Gelmini e dell’Unicef, e la definizione della "‘mappa" dei campi di accoglienza dove si possa vivere decentemente".

 

Quanti sono questi campi?

"Dipenderà dai dati che raccoglieremo. In ogni caso ribadisco che in questi campo resteranno solo coloro che possono stare in Italia".

 

Ministro, il presidente Fini si è detto favorevole al voto agli immigrati. Lei che ne pensa?

"La Lega è da sempre contraria al voto agli immigrati. La Costituzione italiana afferma che il diritto di voto è strettamente collegato alla cittadinanza. Gli extracomunitari hanno tutti i diritti, dall’assistenza sociale alla previdenza: l’unico diritto che non possono avere è quello di voto. Fini parlò del voto agli immigrati già 5 anni fa e anche allora noi ci esprimemmo contro. La concessione del volo agli immigrati non è nel programma di Governo".

 

Che cosa pensa del Capo della Polizia che dice che c’è la camorra dietro gli ultra del tifo napoletano, del ministro La Russa che invece si dice scettico e di Veltroni che, a stretto giro, afferma che il Governo è contro la Polizia?

"Quelle di Veltroni sono opinioni, ma sono come quelle sulle impronti digitali: sciocchezze. Il Governo sostiene le opinioni del Capo della Polizia, le sue opinioni sono le mie stesse opinioni. D’altronde io per primo ho parlato della presenza della criminalità organizzata dietro le tifoserie. Quanto a La Russa, ha rettificato. Non c’è alcuna polemica".

 

Ministro, lei domani incontrerà l’ambasciatore della Libia. Di che cosa parlerete?

"Del pattugliamento congiunto delle coste della Libia. Il piano era già stato deciso dal ministro Amato nel 2007 ma era rimasto bloccato, perché la Libia subordinava la sua attuazione a una serie di richieste che oggi sono state accolte nell’accordo di amicizia italo-libica. Ciò significherà la fine degli sbarchi dei clandestini a Lampedusa".

 

Ma gli sbarchi a Lampedusa costituiscono solo una piccola parte degli ingressi dei clandestini in Italia. Non è così?

"Sì, è così. A Lampedusa arrivano oltre il 20 per cento degli immigrati clandestini: ma già chiudere questo canale non è poi così male. Gli altri arrivano per altre vie. Entrano in Italia per motivi turistici, senza bisogno di visto, possono restare tre mesi e poi invece fanno perdere le loro tracce".

 

E quali misure ha preso allora contro la grande massa degli immigrati clandestini?

"Quelle già previste nel pacchetto-sicurezza, e cioè la reintroduzione del visto anche per motivi turistici fino a tre mesi".

 

Ha già ottenuto risultati?

"I voli charter di rimpatrio di questa fattispecie di clandestini sono aumentati negli ultimi tre mesi del 57 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso".

 

Nei prossimi giorni una missione del Parlamento europeo verrà in Italia per monitorare i campi nomadi di Roma. Tutto tranquillo?

"Non c’è problema. Se uno viene, controlla e lascia a casa i pregiudizi politici e ideologici non può che essere d’accordo con noi".

Giustizia: la lotta armata non è un reality, eravamo assassini

di Massimo Numa

 

La Stampa, 5 settembre 2008

 

Francesco Pagani Cesa, 49 anni, milanese, oggi è direttore del giornale dei detenuti di Novara, "La Gazza Ladra". Fu un capo-colonna, tra l’80 e l’82, delle Brigate Rosse. È il periodo in cui l’organizzazione si frammenta in anime diverse, spesso in contrasto: il più feroce e sanguinario. Pagani Cesa fu arrestato e condannato all’ergastolo. Ed è il suo impegno nei media il punto di partenza di un’intervista, la prima dopo 25 anni di silenzio. Ventidue anni di carcere, poi la semilibertà. Niente foto. È l’unica richiesta di Pagani Cesa.

 

Il suo giornale si batte contro la pena di morte. Però lei, nel suo passato, non ebbe pietà...

"Nel contesto degli articoli pubblicati, in uno in particolare, è scritto in modo chiaro che se io fossi stato in un altro Paese non potrei oggi, a causa del mio passato, essere qui a battermi contro la pena capitale. Sarei stato condannato a morte. Non ho mai nascosto quanto è avvenuto".

 

Lei, in tutti questi anni, a differenza di altri ex Br o Prima Linea, non è mai intervenuto nel dibattito sul post-terrorismo. Perché?

"È stata una scelta precisa. Sono contrario al "reducismo professionale", sul modello di Sergio Segio, Adriana Faranda e Susanna Ronconi. Intanto per rispetto del dolore dei familiari delle nostre vittime, e credo sia l’aspetto più importante: ferite ancora aperte, e che non si chiuderanno mai. Poi per ovvie ragioni di credibilità. Io rispetto tutti, per carità, non voglio giudicare nessuno. Ma il silenzio, per me, è stato un dovere".

 

Cioè?

"Nel percorso di alcuni ex brigatisti c’è questa insana voglia di una massima esposizione. Io ho avuto moltissimi inviti a partecipare a trasmissioni tv, a rilasciare interviste e quant’altro. Insomma, riapparire e quindi resistere. Ma il reducismo è in realtà un vissuto che attira, che fa richiamo, è dunque spettacolarizzato, da consumare. Come un reality".

 

Sul suo giornale non ha mai pensato di recensire libri o film sulle Br? L’ultimo film, il "Sol dell’Avvenire", tratto dal libro di Alberto Franceschini, ha sollevato polemiche...

"Non li recensirei, né, confesso, li andrei a vedere. Troppo presto per la storia, troppo tardi per la cronaca. C’è ancora bisogno di tempo, di rileggere a mente fredda gli Anni di piombo. Non possono che essere realizzati in modo approssimativo, con una cifra artistica di basso livello".

 

È rimasto in contatto con gli ex compagni?

"Non m’interessa coltivare questo tipo di rapporti, non credo alle rimpatriate".

 

Passa mai in via Domodossola?

"No, assolutamente, me ne guardo bene. Sono ferite, ripeto, ferite profonde, che non si chiuderanno mai. Accetto di essere chiamato assassino, che è la verità, non solo giudiziaria. Ma contesto il "taglio" che viene dato dai media su quei fatti. Non furono il frutto dell’azione di pazzi, di schegge impazzite. Allora, le Brigate Rosse erano il prodotto delle contraddizioni sociali e politiche nate dopo il boom. Avevano una forte e radicata rappresentatività nel movimento operaio. Io stesso, giovanissimo, ero operaio, lavoravo in fabbrica, all’Innocenti di Milano. Questo non può non essere riconosciuto. Resta l’amarezza di avere sbagliato tutto. Ma non eravamo soli. Leggo sui giornali le firme, vedo le loro facce in tv, non mi piace. Parlo della gente che negli anni delle Br discuteva se entrare in clandestinità o no. Avevamo torto marcio, ok. Ma non eravamo solo noi i pazzi, gli scoppiati, a scrivere comunicati "deliranti". Forse non è ancora chiaro".

 

Non ha mai pensato di parlare, di chiedere perdono, ai familiari delle vittime?

"Sarebbe solo di cattivo gusto. Nei documenti dei processi questo aspetto, chiedere il perdono, è stato affrontato. Se si potesse risarcire il male coi soldi, con una lettera, con le parole, lo avrei sicuramente fatto. Ma non servirebbe a nulla. Ho troppo rispetto per il dolore delle famiglie, lo condivido. E penso con rabbia e pena alle mille vite spezzate, anche dalla nostra parte, alle mille vite inutilmente rovinate. Adesso, meglio il silenzio. L’unico viatico, forse, è quello di fare in modo che altri, i giovani, non cadano di nuovo in errore".

 

Come giudica le nuove Brigate Rosse?

"L’improvviso comparire di terze linee attempate, di ragazzini senza storia, mi ha fatto riflettere. Il terrorismo è morto nei primi anni ‘80. Il resto è, davvero, solo un’inutile follia. A quei tempi le azioni terroristiche si misuravano sull’arco delle ore; oggi, con gli anni. E non solo in Italia, ma in tutta Europa. Le Br non esistono più. Certo, qualche pazzo può prendere una pistola e compiere gesti criminali isolati. Nella personalità degli anziani neo brigatisti c’è forse il rammarico di essere rimasti in seconda linea nei tempi in cui la guerriglia c’era davvero. Il riemergere di questi fantasmi è semplicemente un’assurdità. Non rappresentano nulla, se non le loro frustrazioni".

 

E i terroristi-ragazzini?

"I sessantenni, i cinquantenni di oggi, quando avevano vent’anni vivevano in un’atmosfera politica stimolante, forse unica, ricca di movimenti, di curiosità culturali, con una società al centro di profondi cambiamenti socio-economici. Oggi, niente di niente. Sono generazioni vuote, senza valori di riferimento. Chi sogna di imbracciare un’arma non sa neppure di che cosa si sta parlando. Avventurismo, gente isolata. Auto-referenziale".

 

Quali sono le sue idee di oggi? In quale partito, in quale schieramento, si identifica?

"Esaurite per sempre le due grandi scuole politiche, mi sento un liberista. Ho un punto di riferimento nel Partito Democratico. A volte lo critico da destra, a volte da sinistra. Certamente non ho nostalgie di alcun tipo per il marxismo ortodosso".

 

Leggendo il suo giornale, ci si imbatte spesso nel lessico politico anni 70.

"C’è il luogo comune che i giornali dei detenuti debbano comunque essere un po’ patetici, un po’ sentimentali, un po’ retorici. Non potremo mai rinnegare la cultura dove ci siamo formati, giovanissimi, il modo di esprimerci. Effettivamente, la "Gazza" non è per tutti".

 

Qualcuno, a Novara, le fa pesare il suo passato?

"La scelta di un profilo più basso possibile mi consente di lavorare in modo sereno. Mi spiacerebbe, dopo il tempo passato, vedere tornare ombre negli occhi delle persone. Ma è un rischio che devo accettare".

Forlì: tossicodipendente muore in cella, nel silenzio dei media

 

Ristretti Orizzonti, 5 settembre 2008

 

Un detenuto tossicodipendente, di nome Franco, sarebbe morto nel carcere di Forlì il 23 o il 24 agosto scorso. Era stato arrestato 3-4 giorni prima e messo in cella di isolamento. Il cadavere sarebbe stato ritrovato dagli agenti sul pavimento, nudo e in mezzo alla sporcizia.

Per il momento non sappiamo nient’altro di preciso sull’ennesima "morte di carcere" (da gennaio i detenuti morti nelle galere italiane sono oltre 80): abbiamo attivato la nostra Rete per raccogliere maggiori informazioni e contiamo di potervele fornire nelle prossime edizioni del notiziario.

Cagliari: 42 giorni sciopero della fame, ricovero in psichiatria

 

La Nuova Sardegna, 5 settembre 2008

 

È stato ricoverato nel Servizio psichiatrico diagnosi e cura (Spdc) dell’ospedale Santissima Trinità il detenuto di 31 anni che da 42 giorni era in sciopero della fame nel carcere cagliaritano di Buoncammino.

"La decisione è stata adottata, con l’autorizzazione del giudice Daniela Amato e del sostituto procuratore Gilberto Ganassi in considerazione dello stato psico-fisico del trentunenne", fa sapere il consigliere regionale socialista Maria Grazia Caligaris, componente della Commissione "Diritti Civili", che nei giorni scorsi aveva visitato in carcere il giovane, in attesa di giudizio da un anno e quattro mesi, che sarà processato il prossimo novembre. "La solidarietà nei suoi confronti da parte di numerosi detenuti è stato un segnale inequivocabile della gravità della situazione", sottolinea Caligaris. "Il ricovero - continua la consigliera regionale - è un risultato positivo che consentirà ai medici di effettuare una ricognizione più approfondita sulle condizioni di salute del ragazzo verificando la fondatezza degli evidenti segnali psicotici".

Sulmona: scritte minatorie, contro medico e direttore carcere

di Barbara Delle Monache

 

Il Tempo, 5 settembre 2008

 

Sono arrivati nella notte, hanno imbrattato i muri con una bomboletta a spray nera e sono andati via. Parliamo con molta probabilità di un gruppo di anarchici che hanno voluto lasciare un messaggio sui muri della città per il direttore del carcere di Sulmona, Sergio Romice e il responsabile sanitario Fabio Federico, forse a seguito dei recenti fatti di cronoca accaduti nel penitenziario di via Lamaccio.

Due le scritte "Federico e Romice boia di via Lamaccio" e "Fuoco al carcere e ai suoi carcerieri" siglati dalla "A" tracciata nel cerchio simbolo usato da cospiratori anarchici che usano un solo motto: "Né dio, né stato, né servi, né padroni".

Immediatamente nelle prime ore della mattina di ieri sono scattate le segnalazioni al Commissariato di Polizia di Sulmona e i messaggi sparpagliati su alcuni muri principali della città sono stati immediatamente ricoperti dalla vernice bianca. Presi di mira il Palazzo della Provincia in via Mazara, il muro di fronte alla scuola della Dottrina Cristiana in via Papa Giovanni XXIII, la posta centrale in piazza Majella, la stazione di rifornimento della Total in via Circonvallazione Occidentale e lo Stadio Pallozzi.

Sulla vicenda sta indagando la Digos che al momento non esclude nessuna ipotesi anche se sembra ci si muova in due direzioni: gruppo anarchico per la vicenda del detenuto che con un fornellino da campeggio ha ustionato degli agenti, viste le scritte che si riferiscono al fuoco e, su una bravata, anche se quest’ultima sembra essere la meno considerata.

Ma ad individuare i colpevoli da qui a qualche ora saranno le telecamere posizionate nei vari punti della città che a detta degli inquirenti avrebbero ripreso i responsabili. Si sta lavorando, comunque, per riuscire ad agguantare chi la notte scorsa ha voluto lasciare messaggi "poco cordiali" verso Romice e Federico. L’accaduto è stato stigmatizzato dal responsabile sanitario del carcere e sindaco della città, che ha imputato il fatto ad una bravata dopo la questione "sicurezza in città" e il vertice di mercoledì.

Aosta: tutti medici del carcere sono in ferie, vietato ammalarsi

 

La Stampa, 5 settembre 2008

 

Detenuti e agenti di polizia penitenziaria della Casa Circondariale di Brissogne "abbandonati" da medici e direttore sanitario. I medici risultano tutti in ferie, il direttore sanitario in malattia. Assente anche il direttore della struttura penitenziaria Giorgio Leggeri, in ferie. Dal carcere parla per tutti il comandante Maria Grazia Bonifacio, dicendo di non avere risposte in merito alla protesta di malasanità sollevata dall’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria. "Il caso - spiega in una nota il vice segretario Osapp di Piemonte e Valle d’Aosta inviata al Provveditore regionale, al magistrato di sorveglianza di Novara e al direttore del carcere - è davanti agli occhi di tutti. Oltre 150 detenuti e poco meno di 100 agenti di polizia penitenziaria, per tutto il mese di agosto non hanno potuto ricevere assistenza sanitaria".

I medici di base che svolgono un servizio convenzionato per garantire la copertura 24 ore su 24 sono stati in vacanza, nessun presidio a garanzia dei turni di servizio per fornire assistenza medica a detenuti e personale. Il direttore sanitario del carcere, la dottoressa Anita Prezzavento, risulta in congedo per malattia. "Una situazione per niente nuova e avallata dal direttore del carcere - dicono i sindacalisti Carmelo Passafiume e Luciano Giglio -.

In agosto ci sono state 162 ore di vuoto sanitario in cui nessuno si è preso cura della salute dei detenuti". "Evidentemente - dice Passafiume - il direttore sanitario che avrebbe dovuto gestire la copertura dei turni di guardia medica non è stato in grado di farlo, forse perché ha concesso in contemporanea a tutto il personale di guardia medica lo stesso periodo di ferie".

La situazione è pesante: ci sono oltre 150 detenuti, molti bisognosi di cure giornaliere, senza contare le esigenze sanitarie del personale. Il malumore del sindacato cresce quando la direzione del carcere, con una disposizione, informa che suggerimenti e modo di operare nell’ambito sanitario saranno forniti tramite la reperibilità telefonica della responsabile sanitaria. "Significa - si chiede il sindacalista - che il personale di polizia sarà costretto a effettuare diagnosi di malattie per telefono?" Ad aggravare la situazione ci sono poi i nuovi arrivati, che per legge vanno sottoposti a visita medica. "E per le emergenze - si chiede ancora Passafiume - a chi ci rivolgiamo? La situazione potrebbe sfuggire di mano e noi non sappiamo chi interpellare".

La Spezia: Cisl; l’istituzione denigrata, rimuovere il direttore

 

Comunicato stampa, 5 settembre 2008

 

Da tempo la Cisl segnala i limiti della gestione della C.C. di La Spezia, dove sempre più frequentemente si registrano iniziative che creano difficoltà al personale, ma anche al livello Centrale dell’Amministrazione Penitenziaria, che è stata spesso costretta ad intervenire sulla Direzione per chiedere spiegazioni e per correggere modalità e scelte operate in ambito locale. È di questi giorni un ennesimo fatto di cronaca, riportato dagli Organi d’Informazione, che getta ombre sull’istituzione penitenziaria spezzina.

Una indagine condotta dall’Arma dei Carabinieri avrebbe accertato che una ditta edile, che sta eseguendo lavori all’interno del carcere, avrebbe introdotto materiali provenienti da attività illecite. Nello specifico pare intendere che materiali ed attrezzature edili, sottratte illecitamente da altre imprese edili, siano state portate al carcere di La Spezia. "Evidentemente qualcuno ha pensato che quello era il luogo più tranquillo dove ricollocare quanto appena rubato altrove".

Sicuramente non sono addebitabili alla Direzione responsabilità afferenti all’accaduto, ma un aspetto rimane ineludibile: anche questa occasione ha portato alla denigrazione dell’immagine del carcere, proposto alla conoscenza dell’Opinione Pubblica come un luogo dove la presenza dello Stato è un "qualcosa" di aleatorio (sono dovuti venire i carabinieri al carcere per scoprire che lì era il materiale rubato in altri cantieri). Riteniamo che si debba intervenire e che sia stato superato ogni limite temporale legittimo per continuare ad affidare l’incarico all’attuale dirigente. Anni di esperienza dovrebbe aver convinto anche il Dap che quella è una decisione da superare.

Aversa: direttore Opg; sono primario, posso rifiutare ricoveri

 

Il Mattino, 5 settembre 2008

 

Di Adolfo Ferraro, storico direttore dell’ospedale psichiatrico giudiziario "Filippo Saporito" di Aversa, non si può dire certamente che non sia intimamente legato al suo lavoro.

Responsabile della struttura manicomiale-carceraria sin dal 1997 (dal 1980 era stato vice), ha sempre fatto di tutto per umanizzarla, in concomitanza con la "legge Basaglia" che prevedeva l’abolizione dei "manicomi civili". Da parte sua un continuo denunziare, ed anche adoperarsi, per rendere il manicomio un luogo di cura e di recupero. Tantissime le iniziative in questo senso. Ultima, in ordine di tempo, quella del laboratorio teatrale che, poi, nello scorso inverno, ha portato gli internati a mettere in scena, al teatro Galleria Toledo, di Napoli, ai quartieri spagnoli, "Noi aspettiamo (Godot?)", liberamente tratto dal testo di Samuel Beckett.

 

Direttore Ferraro come giudica questo passaggio che, forse, definire epocale non è esagerato?

"Si sta finalmente attuando quanto previsto dalla normativa vigente. Gli ospedali psichiatrici giudiziari sono sempre meno giudiziari e più ospedali. Da anni vado affermando che la sanità pubblica non può non farsi carico di persone, costrette, di fatto, ad essere tenute nella loro condizione di detenuti, nonostante non ne ricorressero più i presupposti. Il passaggio sarà, ovviamente, graduale. Da parte mia sono contento di essere passato dall’amministrazione penitenziaria a quella sanitaria".

 

In pratica, Ferraro diventa una sorta di primario di quello che sarà un ospedale per pazienti lungodegenti. Quanti sono attualmente gli ospiti del "Saporito" di Aversa e come potrà cambiare in meglio la loro situazione?

"Negli ultimi mesi, dopo i noti casi di cronaca, il numero di ricoverati era sensibilmente calato. Ora, siamo di nuovo a circa duecentosettanta ospiti. Un numero sproporzionato rispetto alla capacità ricettiva della struttura. Una situazione che, però, nel volgere di breve tempo cambierà. Infatti, essendo io responsabile della struttura dal punto di vista sanitario, potrò non accettare nuovi ricoverati e fare in modo che la degenza nel nosocomio sia a misura umana".

Libro: "Cia: una questione di tortura", di Alfred William McCoy

 

Galileo, 5 settembre 2008

 

Un grande filosofo, Roland Barthes, sosteneva che se esiste un’epoca per cui è possibile, con assoluta certezza, segnarne la data e l’ora d’inizio, quella è l’età moderna. La data è il sette giugno del 1831, primo pomeriggio; nello studio di Jacques Daguerre - quello dei dagherrotipi - e Nicéphore Niepce, su una lastra d’argento trattata con iodio comparve l’immagine della casa dirimpetto. Si trattava della prima eliografia, che prendeva forma senza la mediazione dell’immagine formatasi nel cervello di un pittore.

Nasceva in quel momento la fotografia, e con essa un’epoca dominata dal positivismo, dal pensiero scientifico, dove si cominciò a considerare solo ciò che era impresso in bianco e nero su una lastra. Era l’inizio di un’epoca dominata dallo sguardo, in cui la vista sarebbe divenuta regina tra i cinque sensi e in cui poteva ritenersi reale soltanto ciò che era visibile. La realtà, tutta, sarebbe stata racchiusa nell’immagine, senza lasciar fuori nulla: la scienza, le arti, la storia finalmente vista e non più solo raccontata, le meraviglie naturali e, ovviamente, gli orrori. Auschwitz, i gulag, il Vietnam, i grandi genocidi; nulla sarebbe sfuggito allo sguardo dei posteri.

Per tutti coloro che non si sono ancora assuefatti al bombardamento accecante delle immagini ed hanno provato orrore e sconcerto nel vedere, di recente, le foto raccapriccianti di un ennesimo orrore, quello dei prigionieri di Guantanamo e Abu Ghraib, ecco un libro, da oggi in uscita per i tipi di Socrates editore, da leggere tutto d’un fiato.

Da leggere perché è un bel libro, prima di tutto, e perché documenta in maniera certosina come i recenti orrori messi in atto dalla CIA attraverso l’esercizio della tortura non siano affatto frutto di singoli comportamenti devianti, ma il risultato di strategie studiate a tavolino e sperimentate nel corso di interi decenni.

Non orrore casuale, quindi, ma orrore sistematico; esercizio del male programmato e organizzato, teso al raggiungimento di risultati tangibili ad opera del grande paese sedicente esportatore di democrazia.

L’autore, Alfred W. McCoy, professore di Storia all’Università del Wisconsin, tra i massimi esperti della storia segreta della CIA e già autore de "La politica dell’eroina" - sul consumo di droga dei militari americani in Vietnam - (Rizzoli, 1973; tradotto in oltre 35 edizioni) in questo nuovo libro punta la torcia sui labirinti segreti della cosiddetta "scienza crudele", termina da lui coniato durante una conferenza svoltasi alcuni anni or sono nell’ex isola prigione di Nelson Mandela.

McCoy mostra come la CIA, a partire dal 1945, abbia messo in atto dei sistemi di controllo sulla mente, elaborati nelle università e nei laboratori, usando come cavie del tutto inconsapevoli detenuti, militari e guerriglieri.

A questi si sono aggiunti, assolutamente consapevoli, ricercatori e docenti universitari, principalmente canadesi e statunitensi, che profusero studi e ricerche in tema di deprivazione sensoriale, dolore inflitto e controllo sui detenuti. Un libro prezioso, questo di McCoy; un resoconto "indispensabile e inchiodante", come lo ha definito Naomi Klein sulle pagine di "The Nation", da non lasciarsi scappare. Per riflettere sui concetti di "democrazia" e "diritti umani espressi", purtroppo non a parole, dalla più grande potenza mondiale.

Immigrazione: Berlusconi contro Fini; no al voto per stranieri

 

La Repubblica, 5 settembre 2008

 

Il voto agli immigrati "non è nel nostro programma". Silvio Berlusconi chiude la porta in faccia a Gianfranco Fini, che aveva risposto positivamente a Walter Veltroni confermando la sua apertura sul diritto di voto amministrativo per gli stranieri regolari.

Dopo gli altolà della Lega e della stessa An, da Napoli il presidente del Consiglio declassa la tesi di Fini, ribadita dal palco della festa del Pd, a opinione personale: "Credo che il presidente Fini abbia espresso un suo parere", afferma infatti Berlusconi, "ma mi risulta che anche da parte di esponenti importanti di An come Gasparri non ci sia all’ordine del giorno del Parlamento un intervento di legge per la concessione del voto ai cittadini stranieri".

Fini - che da vicepremier, nel 2003, aveva per primo lanciato il sasso nello stagno - viene preso di mira anche da Umberto Bossi. "La legge è chiara - puntualizza il ministro delle Riforme dopo un incontro a Verona con lo "sceriffo" Tosi - solo i cittadini italiani possono votare. Gli immigrati che non hanno la cittadinanza italiana non possono farlo. Punto". Dare il voto agli immigrati, aggiunge Bossi, "è una follia, lasciamo che sia la gente a decidere, magari con un referendum, e vedrete come risponderanno. La gente vuole comandare a casa sua". Del resto, per tutto il giorno, gli esponenti della Lega avevano martellato contro la proposta. Fino alla netta chiusura del ministro dell’Interno Maroni: "Non credo che questa iniziativa andrà avanti. Non è nel programma di governo".

Fini resta così isolato, insieme alle poche voci che nel Pdl si dichiarano disponibili a ragionare sulla concessione del diritto di voto. Come il portavoce di Forza Italia Daniele Capezzone e il liberal Benedetto Della Vedova. O il ministro Gianfranco Rotondi, che apprezza Fini perché il diritto di voto alle comunali sarebbe "il suggello dell’integrazione". Ma persino An, il partito di Fini, è costretto a prendere le distanze dal presidente della Camera per non restare schiacciato dalla Lega. Così Ignazio La Russa (primo firmatario di una proposta di legge costituzionale nel 2003 per la concessione del voto amministrativo agli immigrati), parlando da reggente di An, abbandona Fini al suo destino: "Quella è l’opinione del presidente della Camera, come dirigenti di An possiamo dire che questa non è una priorità: la priorità è la lotta all’immigrazione clandestina".

Le chiusure della maggioranza e l’imbarazzo generale per le posizioni di Fini concedono al Pd un’insperata boccata di ossigeno. Se dunque Dario Franceschini fa notare come "il presidente del Consiglio tratti il presidente della Camera e leader di uno dei maggiori partiti, come fosse uno che passa lì per caso", per Piero Fassino la bocciatura di Fini "conferma quanto Berlusconi sia prigioniero dei settori più chiusi e oltranzisti della Lega".

In serata anche Walter Veltroni, autore della lettera a Fini che ha fatto da innesco alla polemica, ha buon gioco a evidenziare "il fatto che Berlusconi abbia opinioni diverse dal presidente della Camera". Il segretario del Pd approfitta dell’occasione per un affondo contro Antonio Di Pietro: "In qualsiasi paese civile c’è il diritto di voto agli immigrati. Mi preoccupa il fatto che a dire no, a parte Fini che ha dimostrato coerenza e responsabilità, si siano scatenati tutti e mi ha colpito che anche Di Pietro abbia detto no. In fondo è la stessa posizione di quando disse sì al reato di immigrazione clandestina". Un modo per segnalare agli elettori delusi dal Pd che Di Pietro condivide alcune delle posizioni più di destra del Carroccio.

Immigrazione: Bongiorno; il voto solo per gli stranieri integrati

 

Il Mattino, 5 settembre 2008

 

Giulia Bongiorno, An, Presidente della Commissione Giustizia della Camera, è per il voto agli immigrati integrati. E al governo suggerisce di pensare subito al funzionamento dei processi ma di avviare un confronto che consenta una riforma più ampia ma condivisa.

 

Berlusconi e la Lega dicono no a Fini che, come Veltroni pensa di concedere il voto agli immigrati integrati. Le cosa pensa?

"Distinguerei tra chi si integra e ne dà dimostrazione e chi non io fa e, anzi, va contro il sistema. Se l’immigrato dimostra concretamente e di rispettare le nostre leggi, impara la nostra lingua, versa le imposte e si adegua ai costumi che tipo di obiezione si può fare? Il diritto di voto può assolutamente essere concesso".

 

Riuscirete a integrare la Lega nella maggioranza? Diffida di molte proposte. Sugli immigrati come sulla giustizia, a cominciare dalle intercettazioni…

"Sulle intercettazioni, posso dirle che non c’è differenza di posizioni. C’è stato dibattito sulla lista dei reati e io, per An, e Maroni abbiamo fatto presente che per i nostri gruppi era importantissimo includervi quelli contro la pubblica amministrazione. Nel testo di Alfano ci sono, e questo è il disegno che dal 10 riprenderà ad essere discusso in commissione".

 

A proposito di intercettazioni, succede sul caso Latorre quel che è accaduto per Prodi? Berlusconi nega il sì all’autorizzazione a procedere per chiamare il Pd al giro di vite contro i magistrati?

"Si cerca sempre, nelle parole di Berlusconi, una manovra politica. Invece ha solo l’atteggiamento che chiede per sé: garantista".

 

Sulla riforma, cosa pensa sui due punti che più fanno discutere: doppio Csm e separazione delle carriere?

"Devo fare una premessa. Per me la priorità delle priorità è restituire efficienza alla giustizia e velocità ai processi pur senza ridurre le garanzie. Parallelamente si devono fare riforme di sistema. Ma, prima di discutere, sarebbe il caso di esaminare il merito. Anche perché al seminario dell’Udc ho registrato, sui principi, un clima estremamente costruttivo".

 

Nel merito, vuole un doppio Csm?

"Non sono tra chi condanna il Csm, convinta che abbia avuto dei meriti. Ma alla magistratura chiedo: l’eccessiva politicizzazione del Csm è un dato di fatto? Se la risposta è sì, la soluzione condivisa si trova. Senza fissarci su un modello. Quel che non condivido dell’Anm è la difesa dello status quo".

 

E sulla separazione delle carriere?

"Per me la priorità è l’accesso alla magistratura: bisogna prevedere periodi di tirocinio intenso negli uffici prima dell’esame e non dopo. E poi, sì, la separazione delle carriere che non vuol dire diffidare dei giudici, semmai diffidenza nel giudizio: se devo essere giudicato da una persona, desidero che sia indipendente".

 

Invece il sospetto è che Berlusconi intenda piegare la magistratura premettendo alla riforma del processo quella di sistema. Come lo fugherete?

"È facile. Innanzitutto, la priorità l’ha dichiarata Alfano pubblicamente. Le grandi riforme hanno bisogno di un dibattito molto ampio che porti a risultati definitivi e condivisi. Devono essere coinvolti gli operatori del diritto e l’opposizione: non possiamo avere una vittoria parziale, una riforma che successivamente venga messa in discussione da una maggioranza diversa. Serve un sistema stabile e che funzioni".

Immigrazione: Maroni; Ue ha fatto giustizia di tutte le accuse

 

La Repubblica, 5 settembre 2008

 

Dopo le accuse del parlamento dell’Ue di xenofobia e razzismo, la Commissione europea assolve il censimento nei campi nomadi a Roma, Milano e Napoli. Il caso era scoppiato dopo che il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, aveva annunciato l’intenzione di "prendere le impronte digitali di tutti, anche minori, gli abitanti dei campi nomadi, rom, italiani, comunitari e extracomunitari".

Mentre la bocciatura politica portava la firma dei partiti della sinistra, dei liberali, più una fetta del Ppe, la promozione è di un esponente del partito di Sarkozy, il Commissario Ue alla Giustizia Jacques Barrot. Il suo portavoce ha commentato che le impronte "sono prese solo al fine di identificare i minori quando non è possibile in altro modo".

Ma il via libera della commissione europea scatena in Italia una bagarre politica. Da una parte la soddisfazione della maggioranza ("Non avevo dubbi - ha detto il premier - le misure per l’emergenza nomadi non sono discriminatorie"). Dall’altra, le critiche dell’opposizione, in testa il Pd, che si assume il merito di aver fatto cambiare idea al governo (in merito ai riferimenti ad "etnia" e "religione" che comparivano nelle primissime schede del censimento a Napoli). E di "aver evitato all’Italia una pessima figura". "È del tutto fuori luogo l’esultanza del centrodestra, il giudizio positivo è grazie alle correzioni del governo dopo la denuncia del Pd", dicono i senatori democratici Roberto Di Giovan Paolo e Anna Serafini.

Maroni, (che il 10 luglio alla Stampa Estera aveva ammesso "un difetto di comunicazione"), si schermisce dicendo di non aver mai parlato di schedature etniche. Spiega che "i bambini rom disporranno di un "accompagnamento coatto" a scuola". E ribadisce che il provvedimento Barrot "fa giustizia di tutte le accuse, le offese, gli insulti ricevuti da chi non sapeva di cosa stesse parlando e utilizzava questo argomento per bassa polemica politica".

Il j’accuse di Maroni si rivolge a mezzo mondo, visto che il censimento con l’uso anche delle impronte dattiloscopiche per identificare i minori rom aveva sollevato le critiche, oltreché dei partiti di opposizione italiani e europei, anche delle associazioni religiose e laiche.

Degli esperti dell’Onu. E perfino del Consiglio d’Europa, l’organismo non Ue con sede a Strasburgo che vigila sul rispetto dei diritti umani. A bocciare il giudizio di Barrot, però, sono i nomadi italiani. "Evidentemente - dichiara Alexian Santino Spinelli, leader dei rom italiani - Berlusconi ha attivato i suoi amici, ma per noi il censimento resta una forma di discriminazione razziale". La partita con l’Europa comunque non è finita. Nei prossimi giorni la Commissione dovrà pronunciarsi sul pacchetto sicurezza del governo Berlusconi, in particolare sull’aggravante di clandestinità, sulle espulsioni di cittadini comunitari, e sulle norme sul ricongiungimento familiare.

Immigrazione: mostra; vita quotidiana dei migranti di ieri e oggi

 

Redattore Sociale - Dire, 5 settembre 2008

 

Sarà inaugurata domani a Lainate la mostra "Migranti. In viaggio verso un altro cielo" di Maurizio Totaro. Tredici pannelli divisi a metà, ciascuno con un’immagine scattata al tempo dell’emigrazione italiana e una degli anni più recenti

Il viaggio dei migranti stranieri di oggi accostato all’esodo degli italiani di ieri. La mostra "Migranti. In viaggio verso un altro cielo", che sarà inaugurata domani a Lainate dal centro di documentazione "Il filo della memoria", racconta il parallelismo tra gli episodi di vita vissuti cento anni fa da 25 milioni di italiani e quelli osservati in Italia in questi anni, protagonisti i migranti di oggi.

"Siamo un’associazione che si occupa del recupero della memoria - spiega Maurizio Nazzari, presidente del Centro documentazione - . Siamo partiti dalla Resistenza, per poi trattare di operaismo e precariato. Adesso ci occupiamo di immigrazione, strettamente connessa con i temi precedenti, perché ci sembra che in molti italiani non ricordino più ciò che accadde cento anni fa a così tanti nostri connazionali".

Tredici pannelli divisi a metà, ciascuno con un’immagine scattata al tempo dell’emigrazione italiana (gli scatti sono della Fondazione Paolo Cresci di Lucca) e una degli anni più recenti (1990-2002). Le fotografie che documentano il viaggio e la vita quotidiana dei migranti di oggi sono di Maurizio Totaro.

"Il nostro metodo - continua Maurizio Nazzari - è stato dare voce alla persone. Verso un altro cielo è una metafora che riassume le storie di coloro che partono dalla propria terra alla ricerca di una nuova dignità". "Migranti" sarà inaugurata a Villa Borromeo Visconti Litta di Lainate e sarà aperta il 6, 7, 13 e 14 settembre.

Droghe: Giovanardi; il "test" per gli automobilisti in tutta Italia

 

Redattore Sociale - Dire, 5 settembre 2008

 

Controlli anti-droga sulle strade estesi anche a Ravenna, dopo la sperimentazione di Verona, e obiettivo tutta Italia entro la fine del 2009. Lo annuncia il sottosegretario alla presidenza del Consiglio per la famiglia, la prevenzione della droga ed il servizio civile, Carlo Giovanardi, sottolineando che "il modello sperimentato a Verona è già pronto per essere sperimentato in altre realtà, qualora queste realtà lo vogliano. Dipende da una collaborazione tra Stato, Regioni, enti locali e aziende sanitarie locali".

La prossima sperimentazione, annuncia il sottosegretario, "sarà a Ravenna, che lo ha chiesto. Dove può essere trasferita anche la struttura mobile che consente di fare le analisi della droga in modo da avere immediatamente il polso della situazione rispetto ai fermati. Ne parlerò poi nella Conferenza Stato-Regioni per vedere di estendere questo modello anche ad altre realtà".

Inoltre, aggiunge il sottosegretario, "entro la fine del 2009 si potrebbe arrivare ad avere controlli anti-droga su tutte le strade d’Italia, anche perché non è una questione di risorse, non ci sono spese aggiuntive. Per quanto riguarda il governo la risposta è sì, ma si può fare se le regioni e gli enti locali sono d’accordo".

Riguardo infine ai dati su Verona Giovanardi evidenzia che "sono stati fermati circa 600 automobilisti e sono stati portati nelle strutture per fare le analisi su droga e alcool un’ottantina. Di questi il 43% è risultato positivo o all’alcol o alla droga. O insieme droga e alcool. Una percentuale molto alta, certo, ma bisogna premettere che era venerdì notte, il momento più a rischio".

Droghe: narco-test per patente, dubbi su tipo analisi mediche

 

Redattore Sociale - Dire, 5 settembre 2008

 

La sperimentazione dovrebbe scattare già a fine settembre, massimo entro i primi di ottobre, ma ancora non si sa nulla (o quasi) sul test antidroga che dovrebbe consentire ai giovani cagliaritani di ottenere il via-libera per la patente. Nei giorni scorsi, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi, titolare delle deleghe per la lotta contro le droghe e per il servizio civile, ha confermato che l’esperimento scatterà entro il prossimo mese oltre che nel capoluogo sardo anche a Foggia, Verona e Perugia.

A mettere appunto gli ultimi dettagli è il Dipartimento nazionale politiche antidroga (Dnpa) che in queste ore sta contattando le regioni per completare la preparazione del progetto. "Con ogni probabilità la sperimentazione decollerà ad ottobre nelle quattro città scelte - spiega Giovanni Serpelloni, direttore del dipartimento - ma non è escluso che in seguito possa estendersi anche ad altre regioni.

L’idea è semplice: prevedere l’inserimento del drug-test nel momento in cui il candidato sta presentato i documenti per il foglio rosa, chiedendo al medico certificatore di indicarlo nell’idoneità alla guida". Già oggi, infatti, gli aspiranti patentati devono superare la visita medica per ottenere il lasciapassare sanitario: visita oculistica, riflessi e il colloquio per l’anamnesi del medico. Presto, almeno nelle città-campione, ci sarà anche la voce relativa alle droghe.

"Ovviamente il medico chiederà al soggetto se faccia uso di droghe - prosegue Serpelloni - e nel caso abbia dei dubbi, chiedere al candidato di sottoporsi al drug-test sulle urine per poter rilasciare il certificato. Il test ha tre valenze: capire se il soggetto abbia fatto uso di droghe rilevabili nell’immediatezza dell’esame o, comunque, quattro o cinque giorni prima. Poi c’è la funzione deterrente e la terza è quella di rendere più specifico e completo il certificato di idoneità alla guida, che sino a oggi non prevedeva in alcun modo questo tipo di analisi". Ma in pratica, cosa succederà?

"Tutta dipende dal medico certificatore - conclude il direttore del Dipartimento nazionale politiche antidroga - potrà chiedere al candidato di sottoporsi al test e, in caso di positività, sospendere temporaneamente il rilascio del certificato. In caso di rifiuto, invece, spetterà a lui decidere se rilasciare o meno la certificazione sotto la sua diretta responsabilità. È chiaro che questa campagna ha una finalità soprattutto deterrente, anche perché sappiamo bene che esistono droghe che non possono essere rilevate in questo modo come l’Lsd, la chetamina o i funghi allucinogeni, per i quali occorrono altri tipi di analisi.

I costi del drug-test sono minimi e restano a carico del candidato, proprio per questo abbiamo escluso il rilevamento dai capelli che sarebbe stato troppo costoso". Già in queste ore il Dnpa contatterà le regioni dove sta per decollare la sperimentazione, riunendo attorno ad un tavolo anche motorizzazioni civili e aziende sanitarie. Completati i preparativi, verrà firmato il decreto per il via definitivo, probabilmente entro la prima decade di ottobre.

Francia: Lucien Léger, lottò contro l’ergastolo fino alla morte

di Sandro Padula

 

Liberazione, 5 settembre 2008

 

Sul sito Internet della Corte europea dei diritti umani si legge, ancora in questi giorni di settembre, che di fronte alla Grande Camera è pendente il caso del francese Lucien Léger.

Nel luglio del 1964 Léger fu arrestato e accusato di sequestro e omicidio di Luc Taron, un ragazzo di 11 anni. Fece una "confessione" mentre era sotto la custodia della polizia, ma la ritrattò alcuni mesi dopo. Da quel momento si dichiarò sempre innocente. In una sentenza del 7 maggio 1966, la Corte d’Assise di Seine-et-Oise lo condannò all’ergastolo. Lui fece vanamente delle richieste per l’apertura di un nuovo procedimento, prima nel 1971 e poi nel 1974. Il caso Léger non era per niente chiaro. L’unica prova d’accusa si basava su quella "confessione" poi ritrattata.

Sul suo certificato di detenzione c’era comunque il "fine pena" alla data del 5 luglio 1979, dopo 15 anni di carcere. In seguito a quella data, diventò ammissibile alla libertà condizionale, la quale - si badi bene - è costituita da una sorta di reclusione notturna in un proprio e privato domicilio, da controlli di polizia e dalla limitazione dei movimenti diurni. In pratica, diventò teoricamente "liberabile", sia pur in questo modo condizionato, ma rimase in carcere. Tre volte, negli anni 1981, 1992 e 1998, i suoi avvocati chiesero invano la grazia per lui e molte volte ne sollecitarono una liberazione condizionale che fu sistematicamente rifiutata dalle autorità competenti.

Nel 1984 Lucien Léger ricevette il sostegno del presidente della Lega dei diritti dell’uomo. La parte civile minacciò allora di morte il signor Léger se quest’ultimo fosse uscito dal carcere.

Anche se c’era una "documentazione favorevole", come disse il sig. Toubon, guardasigilli dal 1995 al 1997, in un articolo pubblicato il giorno 8 giugno 2000 da un quotidiano francese, numerose domande di liberazione condizionale presentate da Léger furono respinte con motivazioni connesse alla sua sicurezza.

Nel gennaio 2001, Léger presentò una nuova domanda per il rilascio. Nell’eventualità di una sua liberazione condizionale, alcuni amici gli avevano offerto la possibilità sia di ospitarlo in casa loro che di farlo lavorare in una panetteria. La Corte del Tribunale penale diede, in modo unanime, parere favore alla sua liberazione, ma il Tribunale di Sorveglianza Regionale di Douai rigettò la richiesta il 6 luglio 2001 luglio con la principale motivazione secondo cui Léger continuava a negare di aver commesso il reato per cui era stato condannato. Come a dire: non ha diritto a dichiararsi innocente chi è stato condannato alla pena carceraria!

Nel gennaio del 2005 Léger fece ancora una richiesta per la liberazione condizionale. A tale riguardo ci furono il parere favorevole delle autorità del carcere e quello contrario del pubblico ministero, secondo cui ci sarebbe stato il rischio che egli potesse commettere dei reati. Alla fine il Tribunale responsabile dell’esecuzione della pena stabilì che la pericolosità sociale di Léger era deperita. Conseguentemente, il 3 ottobre 2005 ottobre, dopo aver trascorso più di 41 anni in prigione, egli ottenne la libertà condizionale.

Secondo Léger la sua continua detenzione era diventata arbitraria, soprattutto dopo il rifiuto del 2001 all’istanza per la liberazione (condizionale!). Precisò anche che la sua pena detentiva era stata equivalente ad un trattamento inumano e degradante.

Presentò allora un ricorso alla Corte di Strasburgo per il mancato rispetto del paragrafo 1 dell’articolo 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza) e dell’articolo 3 (proibizione di torture o punizioni inumane o degradanti) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Il 30 aprile 2008, dopo alterne vicende, la Corte di Strasburgo inviò la questione alla Grande Camera che l’avrebbe dovuta discutere in questi giorni, ma ecco il colpo di scena: venerdì 18 luglio Lucien Léger è stato trovato morto nella sua abitazione di Laon. Ha cessato di vivere, solo come un cane, una quindicina di giorni prima. All’inizio di luglio e all’età di 71 anni, tanto per dimostrare che nell’area dell’Unione Europea, pur essendo stata abolita da molto tempo la pena di morte, in alcuni paesi esiste ancora il più aberrante dei supplizi: la pena di morte lenta.

Iraq: il carcere di Abu Ghraib ristrutturato diventerà un museo

 

Associated Press, 5 settembre 2008

 

Il governo iracheno sta pensando a un lifting per il tristemente famoso carcere di Abu Ghraib, che dovrebbe in futuro ospitare un museo per documentare i crimini di Saddam Hussein, ma non le torture inflitte dai soldati statunitensi. Il governo ha dichiarato che il complesso carcerario, che dal 2006 non ospita più detenuti, sarà rinnovato per accoglierli di nuovo entro un anno circa. Una sezione a ovest di Baghdad sarà riconvertita a museo, dando risalto a mostre con camere di esecuzione e strumenti di tortura utilizzati dal regime di Saddam, compresa una catena di ferro per tenere legati insieme i prigionieri.

Il governo a maggioranza sciita iracheno non pensa invece di inserire nel museo rassegne dedicate allo scandalo degli abusi dell’esercito Usa, scoppiato nel 2004.

Pakistan: 30 detenuti nascondevano telefono cellulare nell’ano

 

Associated Press, 5 settembre 2008

 

Il divieto di utilizzare telefoni cellulari ha stimolato i prigionieri dei penitenziari del Pakistan ad aguzzare l’ingegno e ad aggirare l’ostacolo. Ma come nascondere un telefonino agli occhi delle guardie carcerarie? La soluzione più efficace deve essere sembrata l’occultamento anatomico. Ma alcuni fra i prigionieri che hanno nascosto un cellulare nel proprio corpo hanno incontrato non pochi problemi e sono stati operati chirurgicamente.

Secondo quanto riferito, in seguito ad alcune perquisizioni effettuate da parte del Dipartimento Penitenziario, è emerso che molti detenuti - per effettuare telefonare senza subire le restrizioni imposte dal regime carcerario - hanno escogitato lo stratagemma di nascondere un telefonino nel proprio corpo, inserendolo nell’unica cavità in grado di accoglierlo, l’ano.

Dalle prime ispezioni - effettuate su alcuni detenuti con l’impiego di metal detector - sono emersi ben 30 telefonini, accuratamente occultati nel singolare nascondiglio. Un escamotage impegnativo e non privo di complicazioni, dal momento che per sette persone è stato necessario un intervento chirurgico per la rimozione degli apparecchi.

Stati Uniti: un condannato a morte dona il suo corpo "per l’arte"

 

Associated Press, 5 settembre 2008

 

Un detenuto in attesa di esecuzione capitale ha concesso all’artista cileno (residente in Danimarca) Marco Evaristti di utilizzare il suo cadavere come opera d’arte (sempre che il suo ultimo appello non abbia successo). Gene Hathorn, condannato nel 1985 per aver ucciso il padre, la matrigna e il fratellastro, potrebbe quindi diventare un’installazione. L’artista spera di utilizzare l’opera come parte di un più ampio progetto contro la pena capitale. Il progetto, di per sé discutibile, ha in più qualcosa di orrido. Evaristti vuole congelare il corpo del criminale e poi farne cibo per i pesci, che verranno nutriti dagli stessi visitatori dell’esposizione.

 

 

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