Rassegna stampa 3 settembre

 

Giustizia: Alfano; se le carceri si rivoltassero sarebbe colpa mia

di Liana Milella

 

La Repubblica, 3 settembre 2008

 

Le proiezioni sono sul suo tavolo da alcuni giorni. E turbano le notti del Guardasigilli Angelino Alfano. Le ha messe a punto il Dipartimento delle carceri. Contengono una previsione che fa stare sulle spine il ministro e tutti coloro che, nelle sue consultazioni sulla riforma della giustizia, le hanno apprese. Capo dello Stato, colleghi di governo a partire dal ministro dell’Interno Roberto Maroni, Silvio Berlusconi, la Presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno.

Il rapporto dice che, giusto tra otto mesi, il numero dei detenuti in Italia supererà quota 63mila (oggi sono 55.369). È il tetto che, nel maggio 2006, portò il governo Prodi a imboccare la via dell’indulto. "Inutile", dunque, la misura di allora. "Improponibile" oggi.

Alfano l’ha detto una settimana fa al meeting di Cl, lo ha ripetuto ieri a Pier Ferdinando Casini durante il seminario a porte chiuse dell’Udc e del Ps di Riccardo Nencini sulla giustizia, dove c’era anche il consigliere giuridico del Colle Loris D’Ambrosio, quando ha rivelato che le carceri stanno di nuovo per scoppiare.

"Che pensi di fare?" gli ha chiesto il leader centrista. Lui, di rimando: "Certo non possiamo pensare a un nuovo indulto". Anche perché, Alfano ne ha avuto la conferma dopo gli incontri con Bongiorno e Maroni, né An né la Lega sarebbero d’accordo su una misura svuota carceri. Eppure la situazione si preannuncia disperata. Al punto da fargli dire ieri: "È chiaro che se dovesse scoppiare una rivolta ne sarei il responsabile. Non c’è tempo da perdere, sono urgenti misure drastiche ed efficaci sul carcere".

Nell’agenda di Alfano, prima delle riforme costituzionali (Csm, camere, obbligatorietà) e assieme agli interventi sul processo civile e penale, c’è il pacchetto carceri. Che non conterrà la via più semplice, costruire nuovi penitenziari, perché una verifica col ministro dell’Economia Tremonti ha confermato che la cassa della giustizia è vuota.

Il ministro pensa a un ddl illustrato, nelle linee essenziali, a Napolitano. Di cui ha iniziato a discutere con Maroni, in un paio d’ore di colloquio al Viminale, dopo il lasciapassare di massima dell’aennina Bongiorno sulla filosofia d’intervento. Se l’obiettivo è far calare il numero dei detenuti le mosse di Alfano sono tre: rimandare nei paesi d’origine quelli condannati per reati lievi; rispolverare il braccialetto elettronico (varato nel 2001 in via sperimentale, non è mai decollato, i 500 esemplari disponibili giacciono inutilizzati); sanzioni sostitutive per le condanne sotto una certa pena (da stabilire).

Un progetto che potrebbe ottenere il placet dell’Udc di Casini, partito pronto al dialogo sulla giustizia, ma a patto che le riforme puntino ad accelerarne i tempi e non siano "uno scambio tra cannibali" come nella stagione delle leggi ad personam.

Casini non considera urgente la separazione delle carriere, ma apre sul Csm nella formula del democratico Violante (tre fasce, scelte da capo dello Stato, Camere, toghe). Alfano offre il dialogo, ma nel Pd se Violante e Franceschini sono disponibili, la Finocchiaro accetta solo leggi sull’efficienza e boccia le modifiche costituzionali.

Giustizia: Osapp; carceri invivibili si respira aria di rappresaglia

 

Apcom, 3 settembre 2008

 

Gli episodi di violenza della domenica calcistica, denuncia il Segretario Generale dell’organizzazione sindacale autonoma Polizia Penitenziaria (Osapp), Leo Beneduci, hanno purtroppo sui media più rilevanza delle agitazioni nelle carceri. "Queste vicende - dice - secondo il Governo e il dibattito che si è sviluppato in questi giorni, assumono rilevanza maggiore rispetto a fatti identici, che invece, si verificano negli istituti di pena".

Da giorni - denuncia Beneduci - si verificano assalti alla polizia penitenziaria, anche peggiori di quelli che si registrano allo stadio". A Lecce, qualche giorno fa, o a Milano, dove per una rissa tra marocchini e albanesi l’altro giorno un agente è rimasto gravemente ferito. A Sulmona, una bomboletta del gas è stata lanciata contro gli addetti alla sicurezza. Ancora a Firenze, invece, dove una detenuta ha aggredito tre volte una poliziotta, con degli escrementi.

"Si respira aria di rappresaglia - dice Beneduci - siamo stanchi: essere aggrediti non è rischio professionale come non è rischio professionale per l’agente essere aggredito dagli ultras. L’introduzione di nuovi strumenti deterrenti - continua - potrebbero essere il segnale giusto.

Tra questi: il reato di lesioni o lesioni gravissime nei confronti di pubblico ufficiale addetto alla vigilanza negli istituti penitenziari, di cani antisommossa negli istituti di maggiore affollamento, e già teatro di episodi di violenza, e una differenziazione dei detenuti con applicazione rigida dell’articolo 14 bis dell’ordinamento penitenziario", conclude Beneduci.

Giustizia: Anfu; fuori dal carcere parte dell’esecuzione penale

 

Il Velino, 3 settembre 2008

 

"Troviamo assolutamente condivisibile la volontà del ministro della Giustizia Angelino Alfano, espressa oggi dalle colonne del Foglio, di voler riformare strutturalmente il sistema penitenziario nazionale". Lo rende noto in un comunicato il commissario Mariano Salvatore, segretario nazionale dell’Associazione nazionale dei funzionari della polizia penitenziaria (Anfu), in relazione alle dichiarazioni del ministro della Giustizia Angelino Alfano al Foglio. "In analogia alla posizione del sindacato maggiormente rappresentativo di Polizia penitenziaria, il Sappe, anche noi da tempo - prosegue la nota - sosteniamo la necessità di spostare parte dell’esecuzione penale dai penitenziari ad altri contesti a questo alternativi".

Per Salvatore "è una considerazione sinonimo di una attenta valutazione del futuro scenario in cui ci troveremo ad operare, attesa l’attuale presenza di più di 55 mila detenuti che determina l’attuale sovraffollamento delle carceri nazionali".

Nella nota, il segretario nazionale dell’Anfu spiega che "tali futuri contesti di potenziamento dell’area penale esterna, per essere funzionali, non possono prescindere da primarie analisi nonché confronti lungimiranti che tengano conto di tutte le componenti in gioco. Il nostro auspicio è anche l’Associazione nazionale dei funzionari del corpo di polizia penitenziaria possa partecipare, a breve e congiuntamente al Sappe e alle altre organizzazioni sindacali di categoria, a un incontro urgente con il ministro della Giustizia Angelino Alfano".

Giustizia: Sappe; per pene brevi meglio lavoro e "braccialetto"

 

Adnkronos, 3 settembre 2008

 

"Accogliamo molto favorevolmente gli interventi che il ministro della Giustizia, Angelino Alfano intende adottare per risolvere il problema del sovraffollamento delle strutture penitenziarie del Paese". È quanto dichiara il segretario generale del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria, donato Capece, per il quale "è davvero necessario ricostruire il sistema carcerario del Paese.

Sosteniamo di rendere stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi, affidando però a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale, potenziando quindi l’area penale esterna e prevedendo, per coloro che hanno pene brevi da scontare, l’impiego in lavori socialmente utili all’esterno del carcere, con l’introduzione del sistema di controllo del braccialetto elettronico in dotazione al Corpo di Polizia penitenziaria".

Per Capece, "una nuova politica della pena, che preveda un ripensamento organico del carcere e dell’istituzione penitenziaria con al centro un nuovo ruolo professionale ed operativo della Polizia penitenziaria, adottando anche procedure di controllo mediante dispositivi tecnici come il braccialetto elettronico, è necessaria e indifferibile. E sarà quindi massima la nostra collaborazione, per realizzare una nuova politica penitenziaria del Paese".

L’auspicio espresso dal Sappe è che "il ministro Alfano tenga conto che un ampliamento delle misure alternative alla detenzione e dell’area penale esterna con contestuale adozione del braccialetto elettronico di controllo dei soggetti detenuti che vi accedono, dovrà necessariamente prevedere un nuovo ruolo della polizia penitenziaria. Se la pena evolve verso soluzioni diverse da quella detentiva, anche la polizia penitenziaria dovrà spostare le sue competenze al di là delle mura del carcere. Il controllo sulle pene eseguite all’esterno, oltre che qualificare il ruolo della polizia penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione".

Giustizia: "braccialetto elettronico", e ora il governo ci riprova

di Stefano Sofi

 

Il Messaggero, 3 settembre 2008

 

Una corsia preferenziale per l’uso del braccialetto elettronico ma anche l’espulsione dei detenuti stranieri con condanne lievi. Nel difficile percorso per dare soluzione all’ormai cronico problema del sovraffollamento delle carceri, sono intanto queste le due direttrici operative concordate ieri tra il ministro dell’Interno Roberto Maroni e il Guardasigilli Angelo Alfano.

Il responsabile del Viminale ne hanno discusso con il ministro della Giu-stizia per circa due ore prima di passare - nell’ambito dell’Osservatorio sulle manifestazioni sportive - all’analisi delle strategie da adottare contro il tifo violento dopo gli incredibili episodi registrati tra Napoli e Roma nella prima giornata di campionato. La contemporaneità dei due ap-puntamenti ha inevitabilmente fatto. ipotizzare la possibilità di utilizzare l’electroning monitoring anche sugli ultras già diffidati. Ma l’argomento è rimasto fuori dall’analisi elaborata dall’Osservatorio. Maroni e Alfano sono intenzionati a lavorare insieme per decongestionare le carceri e hanno deciso di costituire un team paritetico di tecnici per valutare efficacia, modalità e tempi delle soluzioni possibili.

Attualmente i detenuti sono più di 55mila a fronte di una capienza regolamentare di circa 43mila posti. Inoltre sono circa 4.300 i detenuti stranieri condannati a pene inferiori a due anni, i quali - in base alla Bossi-Fini - potrebbero essere espulsi. Ma per fargli finire di scontare la pena nei loro Paesi servirebbero accordi bilaterali. Da fare.

Sia questo che l’uso (anzi la reintroduzione) del braccialetto elettronico, ai due ministri sembra comunque una strada praticabile, anche se c’è in entrambi la consapevolezza che i tempi non potranno essere rapidi. In molti altri Paesi l’electroning monitoring viene applicato regolarmente (nei paesi di Common Law la gestione e il controllo sono affidati a privati, mentre in Svezia ai servizi sociali). In Italia se ne parla sin dal 1996.

L’uso di questo strumento viene introdotto in via sperimentale durante il governo D’Alema con decreto legge del novembre 2000 come alternativa al carcere (ma solo con il consenso del condannato) e solo nei casi di reclusi per reati lievi che avrebbero comunque ottenuto gli arresti domiciliari. La sperimentazione, però, si arena quasi subito davanti ad una ragnatela di problematiche che a tutt’oggi non sembra essere stata del tutto risolta.

Già un anno e mezzo dopo il via, dei circa 500 braccialetti in dotazione al Viminale - gestiti attraverso un contratto con Telecom - ne rimanevano attivi solo 13. E ancora per poco. Problemi relativi all’affidabilità ma soprattutto alle competenze sulle verifiche in caso di allarme. Chi deve intervenire? Le diverse forze di polizia hanno sempre, chi più chi meno, lamentato scarsità di mezzi e di uomini tale da non potersi accollare ulteriori impegni.

Su questo punto, però, ieri tra Maroni e Alfano sembrerebbe essere stata fatta chiarezza. Dal Viminale smentiscono, ma secondo quanto riportato da alcune agenzie i controlli su eventuali violazioni spetteranno a polizia, carabinieri e guardia di finanza. Resterebbe fuori la polizia penitenziaria.

Giustizia: Donadi (Idv); braccialetto elettronico è mini indulto

 

Agi, 3 settembre 2008

 

"Utilizzare il braccialetto elettronico per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri è assurdo, sarebbe un mini indulto, alla faccia della certezza della pena". Lo afferma il capogruppo dell’Italia dei valori alla Camera, Massimo Donadi, che aggiunge: "Alfano e Maroni a parole intendono garantire la sicurezza dei cittadini, nei fatti, invece, lavorano per mettere in libertà alcuni detenuti. L’inefficacia del braccialetto elettronico è dimostrata dai pessimi risultati ottenuti in tutti i paesi in cui è stato utilizzato, per questo siamo contrari al suo utilizzo".

Giustizia: dal Viminale dubbi sull'affidabilità del "braccialetto"

 

Il Sole 24 Ore, 3 settembre 2008

 

Se il braccialetto elettronico finora non è decollato, è anche perché il Viminale ha sempre avuto dubbi sulla sua reale efficacia. Ora il ministro Alfano lo rilancia: serve, sostiene, a decongestionare le carceri e si possono mandare agli arresti domiciliari molte centinaia di detenuti.

Ma la questione non è così semplice ed è noto che il progetto finora non è decollato perché non aveva i requisiti tecnici per garantire l’effettiva rintracciabilità del detenuto. Il braccialetto, insomma, funziona se in ogni momento è possibile sapere dove sta chi lo indossa. Le verifiche fatte finora, su alcuni casi sperimentali, sono state invece un mezzo fallimento. Tra i corridoi del ministero si racconta di prove fatte con l’interessato che, nella vasca da bagno, non mandava più il segnale: l’acqua azzerava il segnale. O di case con i muri troppo spessi che impediscono il passaggio delle onde elettromagnetiche.

Ecco perché le perplessità del ministero dell’Interno e, in particolare, del Dipartimento di pubblica sicurezza, sono sempre state forti e hanno frenato, fino alla scorsa legislatura, un’idea nata sul modello americano ma che non trovava adeguate garanzie (anzi). Dunque: per rilanciare il progetto non basterà solo la volontà politica, ma ci vorrà anche un aggiornamento tecnologico molto robusto.

Giustizia: la diga s’è rotta, destra e sinistra possono dialogare

di Pierluigi Battista

 

Corriere della Sera, 3 settembre 2008

 

Molti segnali indicano che è diventato possibile scongelare la militarizzazione degli schieramenti sulla giustizia. Sarebbe una doppia, rivoluzionaria frattura con il passato. Perché dimostrerebbe che, pur mantenendo intatta la diversità tra gli orientamenti politici in competizione, ci si può almeno parlare e tenere aperto un canale di interlocuzione sul tema più incandescente dei quindici anni della cosiddetta Seconda Repubblica.

E perché inizierebbe a sanare una terribile malattia culturale, quella che distorce il bipolarismo nelle sue forme più selvagge e primitive, che ha degradato l’eventualità stessa del dialogo a sintomo di cedimento e di scarsa fibra morale, equiparando l’attenzione alle ragioni dell’avversario a una manifestazione di debolezza, di compromissione, addirittura (si è insinuato anche questo) a un peccato di "collaborazionismo" con il nemico. Ma l’intimazione ricattatoria alla guerra permanente funziona sempre meno. A sinistra come a destra.

Ovviamente pioveranno i fulmini dell’indignazione su Luciano Violante che in un’intervista al Giornale vede nella riforma della giustizia un tema cruciale sul quale il Partito democratico non può rinchiudersi nelle litanie auto rassicuranti del fronte del no; o su Emma Bonino e sul Gruppo Radicale (ancora parte integrante del gruppo parlamentare del Pd) che non considerano un tabù per la sinistra la separazione delle carriere dei magistrati e il superamento dell’obbligatorietà dell’azione penale; su Lorenzo Cesa e sull’Udc di Casini che contrastano la deriva giustizialista di Di Pietro ("la politica come inquisizione") e non vogliono rifugiarsi sull’Aventino quando si parla della giustizia.

Stupore o ostilità nell’area che ha resuscitato a Piazza Navona l’oltranzismo girotondino si appunteranno sull’ex portavoce del governo Prodi Silvio Sircana che sul Riformista auspica (sembra di capire in assoluta sintonia con le intenzioni dell’ex premier) "la convergenza più ampia possibile sui temi della giustizia"; o su Anna Finocchiaro e Dario Franceschini che non vogliono un Partito democratico arroccato sulla strenua difesa dell’esistente; o su Nicola Latorre che considera il dialogo con l’avversario una necessità per la democrazia bipolare.

Si griderà ancora al tradimento, o all’inciucio, ma la diga si è rotta. Si afferma il principio che sulla giustizia si parla e si discute senza remore, come frutto di una rottura culturale avviata nei mesi scorsi dallo stesso Veltroni. Si delinea un ruolo dell’opposizione che non si esaurisca nella protesta risentita, nel nullismo, nell’ossessiva e inconcludente ripetizione di un eterno no.

Segnali numerosi e concordi che non è scontato ottengano i risultati sperati e che possono vanificarsi se la maggioranza di governo decidesse stoltamente di andare per la sua strada senza nemmeno ascoltare critiche e obiezioni. Che però indicano la possibilità per l’opposizione di distinguere tra temi su cui esercitare con intransigenza un contrasto anche aspro e riforme su cui in nessuna democrazia occidentale si mena scandalo se si ottiene una convergenza tra forze collocate in Parlamento su trincee opposte. Un’altra eccezione italiana destinata, forse, a essere archiviata senza rimpianti.

Giustizia: Alfano; sulle riforme costituzionali non faremo "blitz" 

di Dino Martirano

 

Corriere della Sera, 3 settembre 2008

 

Casini media tra Pdl e Pd. Franceschini: non ci sottrarremo al confronto. Annunciato il sì al decreto legge sugli incentivi economici ai magistrati per coprire le sedi disagiate.

Giustizia, la resa dei conti con le toghe è rinviata ma sull’orizzonte prossimo del Pdl non scompaiono le riforme costituzionali per ristabilire un nuovo equilibrio tra politica e magistratura. "Non ci saranno blitz sulle riforme costituzionali che non sono la priorità", ha detto il Guardasigilli Angelino Alfano alla "bicameralina" promossa da Udc e socialisti confermando però che il governo intende andare fino in fondo su obbligatorietà dell’azione penale, separazione delle carriere, diversa composizione del Csm.

Così il decreto legge che vedrà la luce al prossimo consiglio dei ministri introduce quegli incentivi economici e di carriera per le sedi disagiate sollecitati dal Csm e dall’Anni per colmare i vuoti di organico nelle procure di frontiera del Sud. Poi si passerà al ddl per snellire il processo civile che conta 8 milioni di cause pendenti.

Sul versante carceri sovraffollate, il ministro ha infine avviato un confronto con Roberto Maroni per provare a districare il problema mai risolto del braccialetto elettronico: al Viminale, i due ministri hanno fatto il punto sui sistemi operativi che consentono di controllare a distanza i condannati ammessi alle misure alternative e gli indagati sottoposti a misure cautelari.

Se questo è l’antipasto, che comprende pure il ddl sulle intercettazioni dal 10 in discussione alla Camera, poi si vedrà la successione con cui il governo presenterà i piatti forti della riforma. Al tavolo della "bicameralina", Alfano ha usato parole taglienti con i magistrati: "Non ci avete fatto mancare i vostri commenti zelanti su immigrazione clandestina, prostituzione, superprocura, decreto blocca processi,...".

Il presidente Luca Palamara ha replicato: l’Anm non è "né collaborazionista né opposizione del governo" e i magistrati non sono "responsabili del disastro della giustizia". Ma il ministro ha insistito: "Il Csm è prigioniero di logiche correntizie".

Il merito di aver avviato le prove di dialogo - coordinati da Giuliano Vassalli e da Giovanni Verde - viene rivendicato da Pierferdinando Casini: "Abbiamo le credenziali per avviare un confronto senza pregiudiziali". E anche Dario Franceschini (Pd) preme sullo stesso tasto: "Al confronto parlamentare non ci sottraiamo, ci mancherebbe altro che un grande partito usasse un atteggiamento di rifiuto verso il confronto perché dall’altra parte c’è Berlusconi".

Ma anche la mediazione degli ex Dc deve fare i conti con un Gaetano Pecorella (Forza Italia) che già boccia l’idea Luciano Violante (Pd) di affidare al capo dello Stato la nomina di un terzo dei non togati del Csm: "Meglio due Csm, uno per i giudici affidato alla guida del presidente della Repubblica e uno per i pm presieduto dal ministro, con il 50% di laici e il 50% di togati".

Giustizia: Veltroni; la "linea" del Pd? non è quella di Violante

di Maria Teresa Meli

 

Corriere della Sera, 3 settembre 2008

 

"La nostra linea sulla giustizia non è quella di Luciano Violante": di questo argomento Walter Veltroni farebbe volentieri a meno di parlare, ma tant’è, il tema si è imposto in questi giorni e tacere non si può. Soprattutto perché la linea del Pd in materia non si è capita.

Di più, nel partito molti contestano il fatto che non si sia mai discusso di giustizia nelle sedi deputate, ovvero la direzione e i gruppi parlamentari di Camera e Senato. Per questa ragione, per esempio, Luciano Violante ha deciso di aprire a Silvio Berlusconi sulle colonne del giornale del di lui fratello. Scatenando, com’era ovvio, le reazioni dei dipietristi e della sinistra dura e pura.

E proprio per frenare la deriva di Violante (che non è isolato nel Pd) il segretario del Partito Democratico ieri ha chiesto alla capogruppo al Senato Anna Finocchiaro di diffondere un comunicato per aggiustare la rotta: dialogo sì, ma non sulle proposte berlusconiane di riforma del Csm e di separazione delle carriere. Un segnale per far capire, appunto, che "la nostra linea sulla giustizia non è quella di Luciano Violante".

L’aggiustamento di tiro, ovviamente, serve anche a calmare Antonio Di Pietro che si è lanciato alla rincorsa dei voti degli elettori giustizialisti del Pd, che certo non sono pochi. Anche se il responsabile organizzativo del Partito Democratico, Beppe Fioroni, è convinto che il leader dell’Italia dei Valori "non strapperà più di un uno per cento al Pd".

Che il problema di Di Pietro ci sia, comunque, lo dimostra anche il fatto che è stato assai faticoso decidere chi dovesse partecipare alla Festa democratica di Firenze il giorno in cui c’era l’ex pubblico ministero di Mani pulite.

Ne è passato di tempo prima di compiere una scelta. Chi mandare? Alla fine si è deciso che la persona adatta era Rosy Bindi, perché non fa parte del gruppo dirigente veltroniano e perciò Di Pietro non avrebbe potuto attaccarla. Così è stato, ma l’ovazione ricevuta dal leader dell’Idv in quel di Firenze finora non l’ha avuta nessuno. Il che la dice lunga sull’elettorato del centrosinistra.

Di Pietro, dunque. Ma non solo, perché Veltroni, se da una parte ha il problema dell’ex magistrato, dall’altra ha anche quello del suo partito, in cui la maggioranza - radicali in testa, seguiti a breve distanza da D’Alema - tende al garantismo più che al dipietrismo. Tant’è vero che i parlamentari di fede pannelliana stanno già trattando in proprio con il Pdl. E comunque, oltre a queste considerazioni, c’è anche il fatto che chiudere del tutto la porta in faccia al centrodestra condannerebbe il Partito Democratico all’isolamento. Così rischierebbe di avverarsi la profezia dalemiana che vede il Pd come una "minoranza strutturale" destinata a rimanere tale.

Per questo motivo, mentre Anna Finocchiaro inviava una nota per arginare il Di Pietro dilagante, il vice di Veltroni, Dario Franceschini, partecipava alla "bicameralina" messa su dall’Udc di Pier Ferdinando Casini. E lo faceva per aprire a Berlusconi. Non nel senso di Violante, ovviamente, ma "perché sennò sembra che siamo intimoriti da Di Pietro e in più diamo modo al centrodestra di dipingerci come appiattiti su posizioni giustizialiste che non sono nostre", argomentava Franceschini ai suoi.

Per questo il vicesegretario del Partito democratico ha spiegato di "non avere problema a siglare delle intese con la maggioranza, se c’è l’accordo, anche prima delle elezioni europee". Come a dire: non abbiamo paura di farci scippare i voti da Italia dei Valori. Del resto, è il ragionamento che sono andati facendo in questi giorni Veltroni e Franceschini, "chiudere al dialogo in modo netto significherebbe dare la scusa al centrodestra di fare la riforma della giustizia per conto suo, chissà con quali conseguenze".

Ma si tratta di tattica: nella realtà, Veltroni non ha intenzione alcuna di stringere un patto con Berlusconi sulla giustizia, "perché - come spiega Fioroni - noi sappiamo benissimo che il presidente del consiglio non vuole una riforma che favorisca i cittadini accelerando i tempi dei processi, ma punta a gestire i magistrati e a indirizzare le sentenze".

Alla fine, perciò, il dialogo si fermerà lì, sullo scoglio della giustizia. Benché gran parte del Pd - i dalemiani e non solo - vorrebbe andare avanti, anche a rischio di perdere consensi. Ma è stato lo stesso D’Alema, che pure è sensibile alle ragioni del garantismo, a spiegare ai suoi, prima della pausa estiva, che "purtroppo finché c’è Berlusconi è molto difficile riuscire a fare la riforma della giustizia", il che non esclude, però, che nel Pd ci sia chi prevede che sulla giustizia il partito potrebbe spaccarsi platealmente in Parlamento quest’autunno.

Giustizia: socialisti; serve vera responsabilizzazione magistrati

 

Apcom, 3 settembre 2008

 

Velocizzazione della giustizia civile e garanzia di una parità effettiva tra accusa e difesa con una reale responsabilizzazione dei magistrati; è stato questo il punto centrale dell’intervento di Riccardo Nencini, segretario nazionale del Partito Socialista, nel corso del seminario di studi promosso dall’Istituto Luigi Sturzo, dalla Fondazione Liberal e da Mondoperaio in programma oggi e domani a Roma.

I socialisti pensano ad una riforma che, a partire dai prossimi giorni verrà portata in giro per l’Italia e sottoposta al vaglio dei cittadini come petizione; nelle loro intenzioni c’è "l’abolizione della obbligatorietà dell’azione penale, la separazione delle carriere dei magistrati con modalità tali da garantire l’indipendenza assoluta del giudice, riduzione della lunghissima sospensione feriale (45 giorni, nella prassi almeno 60), la responsabilizzazione del Pubblico Ministero nell’osservanza delle priorità fissate, il potenziamento delle risorse e delle strutture e promozione di una moderna tecnologia degli uffici giudiziari, la riforma del Csm sullo schema previsto per la Consulta, e la valutazioni per merito e competenza nel corso della carriera del magistrato oltre che la revisione della legge Gozzini per le tipologie di reato più gravi".

Quanto alla questione intercettazione per Necini è necessario introdurre "divieto di pubblicazione, con responsabilità diretta del magistrato tutore, di notizie non attinenti le indagini in corso e di notizie che il magistrato tiene riservate nell’interesse dell’inchiesta".

Giustizia: medici spagnoli scoprono il "crepacuore da carcere"

 

Adnkronos, 3 settembre 2008

 

Quando ai polsi scattano le manette della polizia, anche un cuore sano può non reggere allo shock. La prova arriva dalla Spagna, dove negli ultimi 10 anni sono stati registrati 60 casi di morte improvvisa in carcere. Decessi che hanno fulminato i detenuti nelle prime 24 ore di reclusione. A scoprire la nuova sindrome, una sorta di "crepacuore da prigione", è un gruppo coordinato da Manuel Martinez Selles, dell’Hospital Gregorio Maranon di Madrid, che ha presentato i suoi dati al Congresso 2008 della Società europea di cardiologia (Esc) in corso fino a domani a Monaco di Baviera.

Maschio, giovane e con un cuore che non aveva mai mostrato prima segni di sofferenza. Questo l’identikit del detenuto a rischio di morte improvvisa, descritto dal team madrileno. Dei 60 casi riportati, infatti, soltanto uno riguardava una donna. Gli altri 59 morti dietro le sbarre erano invece uomini, in media 33enni e senza una storia di rischio cardiovascolare alle spalle. Nel 29% dei casi (17 decessi) la morte era immediata e si consumava sul posto, al momento dell’arresto.

La nuova sindrome - spiegano gli autori - è la versione umana della morte improvvisa post-cattura, ben nota nel mondo animale. Ma assomiglia anche alla cosiddetta "sindrome di Tako-Tsubo", attacco coronarico acuto legato a situazioni di forte stress e descritto per la prima volta in Giappone. In tutti queste forme, e probabilmente anche nel "crepacuore da carcere" - si ipotizza - all’origine c’è un picco dei livelli di adrenalina o di altre catecolamine.

Giustizia: da Garante privacy stop alle telefonate dei venditori

di Gianluca Nicoletti

 

La Stampa, 3 settembre 2008

 

Nessuno potrà più chiamarci a casa per offrirci servizi commerciali, a meno che abbia avuto il nostro permesso a disturbarci. Il Garante della privacy ha espressamente vietato la raccolta illecita e la vendita di dati personali di utenti telefonici che non abbiano fornito uno specifico consenso alla cessione delle loro informazioni personali ad altre società.

Da oggi in poi finalmente si spera sia finito lo strazio del telefono che squilla sempre in orario strategico, sempre mentre siamo con la forchetta in mano, ma solo per illustrarci le meraviglie di un’ offerta internet, di un decoder o di quanto altro, secondo il gentile operatore noi non potremmo più vivere senza. Le società che avrebbero acquistato e usato informazioni personali senza consenso sono tutte di primo piano: l’Autorità ha infatti vietato a Wind, Fastweb, Tiscali e Sky, come ai loro call center, l’uso dei dati di milioni di persone contenuti in database risultati irregolari.

Le compagnie interessate avevano acquistato i database per poter contattare gli utenti da altre società che avevano spesso illecitamente raccolto e trattato i dati personali. Anche per queste è scattato il divieto del Garante.

L’operazione dovrebbe almeno porre un limite a quella forma di marketing selvaggio chiamato tele-sellig, in sostanza un fuoco incrociato di telefonate da call center verso le utenze domestiche di famiglie. Spesso ignari cittadini che ricevono la telefonata molesta proprio nei momenti che maggiormente desiderano starsene in pace.

Chi chiama sa bene che è meglio farlo negli orari strategici in cui la casa è presidiata dai suoi abitanti. Ecco così che la voce dell’operatore, che si annuncia sempre con la formula: "Buonasera sono tizio....", parte a snocciolare velocissimo i termini dell’impareggiabile privilegio che si potrebbe ottenere dall’accettare la sua offerta, sempre unica, speciale, esclusiva e limitatissima nel tempo.

Naturalmente è un gioco basato sull’intorpidimento e la sorpresa della vittima, non sempre in grado di realizzare all’istante che in realtà gli viene proposto di comprare qualcosa. Molti timidamente avranno anche chiesto al telefonista qualche ragguaglio su come avesse avuto il loro numero telefonico, nella maggior parte dei casi però la risposta non poteva che essere fumosa; infatti per quello che ora si sa la compravendita del dato personale era fiorentissima.

Una delle società specializzate nella vendita di banche dati, colpite dal divieto del Garante, vendeva dal proprio sito database completi di redditi, stili di vita e profilo attraverso dati commercialmente utili, di oltre 15 milioni di famiglie italiane. Tutto naturalmente senza che gli interessati fossero stati informati o avessero dato il loro assenso alla comunicazione dei dati a terzi.

Nei provvedimenti (di cui è stato relatore Mauro Paissan, che ha dichiarato: "Se qualcuno vuole entrare in casa nostra deve bussare. Così se qualcuno vuole chiamarci per vendere un prodotto deve avere il nostro consenso") l’Autorità ha anche ricordato che per svolgere lecitamente attività di carattere promozionale, pubblicitario e commerciale si possono utilizzare solo alcune categorie di dati: quelli presenti negli elenchi "alfabetici" per i quali è stato manifestato il consenso (accanto al nominativo compare una cornetta telefonica o una bustina); quelli presenti negli elenchi cosiddetti "categorici"; quelli presenti nelle banche dati costituite utilizzando anche dati estratti da elenchi telefonici, create prima del 1° agosto 2005, e per i quali le società siano in grado di dimostrare di aver fornito, prima di tale data, l’informativa agli interessati.

 

Garante Francesco Pizzetti possiamo stare tranquilli, o dai call center continueranno a telefonarci a tutte le ore?

"Immaginiamo che aver dichiarato illecito questo comportamento inciderà a ridurre le chiamate di disturbo".

 

Come facevano le società a procurarsi i nostri dati?

"Chi ne faceva commercio spesso li aveva ottenuti anche in modo del tutto lecito, ma da cittadini che avevano dato il loro consenso a utilizzarli per fini promozionali, non a venderli a terzi".

 

Come è possibile che circoli una massa di dati di queste dimensioni?

"Bisognerà che i cittadini si abituino a leggere bene quello che firmano. Spesso, per entrare in una mostra, assistere a uno spettacolo, registrarsi a un convegno o fare un acquisto in un negozio ci viene chiesto di compilare un modulo informativo sulle nostre abitudini, gusti, letture e altro".

 

Cosa potrà fare, da oggi, chi continuerà a ricevere offerte commerciali con telefonate a casa propria?

"Ovviamente ha la possibilità di rivolgersi a noi. Faremo un contraddittorio con chi lo ha chiamato. Nel caso di mancato consenso ci sarebbero responsabilità penali".

 

Se diamo il consenso ad essere chiamati, possiamo ripensarci?

"Certamente. E c’è sempre il diritto di essere cancellati dal database e di non essere più disturbati. Basta chiederlo esplicitamente e in quel caso scatta l’obbligo per la società di provvedere in tal senso".

Lettera: gli ergastolani di Spoleto, ai detenuti di tutta Europa

 

Ristretti Orizzonti, 3 settembre 2008

 

È questo che si richiede all’uomo: di giovare agli uomini. Se è possibile, a molti, se no a pochi; se no a sé stesso (Seneca). Chi non lotta è un uomo inutile ed affida il suo destino agli uomini peggiori (Musumeci).

Bisogna che ogni detenuto si faccia innanzitutto libero dentro di se medesimo e lotti per rivendicare i suoi diritti inviolabili: diritto alla legalità in carcere; diritto al futuro e alla speranza; diritto all’affettività. Gli ergastolani d’Italia il primo dicembre 2008, inizieranno uno sciopero della fame a staffetta a livello nazionale per chiedere l’abolizione dell’ergastolo. Ci hanno tolto la vita. E per sempre. Perché non lottare? Ci lasciate soli?

La nostra lotta può anche essere la vostra per richiedere: no all’ergastolo inteso come condanna che dura tutta la vita, perché la speranza di tornare liberi è indispensabile per non trasformare la pena in una morte psicologica e sociale; no alle differenziazioni che nascondono minacce, intimidazioni, violenze, abusi, soprusi e trattamenti crudeli.

La nostra lotta può anche essere la vostra per chiedere: il rispetto dell’Articolo 5 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1948, secondo cui nessuno dovrà essere soggetto a torture o a trattamento o a pena crudele, inumana o degradante.

Il rispetto della risoluzione Onu del 30/08/1955, delle regole minime per il trattamento dei detenuti, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, della Convenzione contro la tortura ed altre pene e trattamenti crudeli, disumani o degradanti, firmato a New York il 10/12/1984, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle raccomandazioni e regole penitenziarie europee.

Un giudice americano della California, ha rifiutato l’estradizione verso un paese in Europa perché vi è il rischio di tortura. Pure la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato questo paese (che osa criticare la Cina in merito di rispetto dei diritti umani) perché ha sottomesso alcuni detenuti a totale isolamento, perché dalle loro finestre non possono vedere il cielo, le stelle e la luna, perché molti di loro non hanno la possibilità non solo di dare o ricevere baci e carezze da mogli, madri e figli da decenni ma ad essi viene pure negata la possibilità di toccare i familiari. Perché in questo paese esistono detenuti a cui è precluso non solo cantare ma addirittura parlare, cosa che non era negato neppure agli schiavi nei campi di raccolta del cotone!

Ed inoltre, perché in questo paese esiste una pena - ed è l’unico paese al mondo dove essa è in vigore - che non finisce realmente mai perché è stata resa ostativa a qualsiasi beneficio. L’ergastolano di quel paese è un morto che vive e non può essere resuscitato perché esiste una legge che lo proibisce.

La nostra lotta può essere anche la vostra per chiedere una Commissione d’Inchiesta del Parlamento Europeo. Il primo di dicembre 2008, unitevi e digiunate assieme a noi. Per saperne di più i vostri parenti ed avvocati possono visitare la sezione "Mai Dire Mai" del sito www.informacarcere.it o scrivere all’Associazione Pantagruel, Via Tavanti 20, 50134, Firenze. Inoltre, esiste un Collettivo Femminile di Sostegno agli Ergastolani in Lotta, contattabile attraverso i contatti sopra elencati

Pisa: "Colmare le distanze", progetto per reinserire i detenuti

 

Il Tirreno, 3 settembre 2008

 

È "Colmare le distanze" il titolo del nuovo progetto promosso dalla Provincia per facilitare il reinserimento sociale e lavorativo di detenuti ed ex detenuti. L’iniziativa, la cui valenza territoriale abbraccia anche Lucca, prevede un budget di 81mila euro (con un finanziamento della Regione di 30mila euro) per la messa in atto di varie azioni, tra le quali tirocini formativi e sondaggi sulle opportunità d’impiego tra le piccole e medie imprese locali.

Il cartello dei soggetti attuatori, accanto alla stessa Provincia - capofila attraverso il Servizio politiche sociali, con il partenariato del servizio formazione-lavoro e con un impegno in proprio di 28mila euro - comprende la Provincia di Lucca e le Società della salute di area pisana e Alta Valdicecina, la cooperativa Il Ponte di Pontedera, le carceri di Pisa, Lucca e Volterra, l’Ufficio esecuzioni penali esterne (Uepe) di Lucca e Pisa.

"Avere un lavoro è un passo fondamentale per un pieno reinserimento sociale", spiega per la Provincia l’assessore al sociale Manola Guazzini, insieme agli assessori comunali al sociale Valentina Settimelli (Pisa) e Pierluigi Dei (Volterra). Sul piano pratico il progetto, in partenza a ottobre, lavorerà su tre livelli. Tirocini. La prima linea operativa prevede l’attivazione di tirocini per 17 persone: 4 detenuti del Maschio di Volterra, 3 del Don Bosco di Pisa, 4 della casa circondariale di Lucca, 3 ex detenuti e 3 che stanno scontando pene fuori dal carcere in affidamento all’Uepe.

I componenti di questo gruppo effettueranno preselezioni e incontri per la costruzione dei rispettivi "bilanci delle competenze". Quindi, dopo la verifica delle possibilità d’inserimento in aziende del territorio, saranno seguiti da tutor durante lo svolgimento del tirocinio. Dell’attività di accompagnamento si occuperà la cooperativa Il Ponte. Sensibilizzazione. Il secondo livello d’intervento, sempre in raccordo con i Centri per l’impiego, è rappresentato da una campagna di sensibilizzazione sulle piccole e medie imprese locali, e sulle loro associazioni di categoria.

"Ciò - specifica l’assessore Romei - per ampliare il campo delle aziende disponibili". Per questo sarà prodotto materiale informativo e saranno organizzati seminari tematici. "Se questa azione darà buoni risultati - prosegue Guazzini - potranno beneficiarne in futuro anche altre categorie di persone svantaggiate". Piena cittadinanza. Terzo punto del programma, "colmare le distanze" tra dentro e fuori le mura penitenziarie. In tale ottica il servizio degli Sportelli orientamento-formazione-lavoro sarà potenziato nel carcere di Volterra e riattivato in quello di Pisa.

Trieste: torna Deganutti, lettere con proiettili a Presidenti Fvg

 

Ansa, 3 settembre 2008

 

Due lettere di minacce con proiettili, indirizzate al Presidente della Giunta e del Consiglio Regionale del Friuli-Venezia Giulia, Renzo Tondo ed Edouard Ballaman, sono state recapitate a Trieste all’emittente televisiva Telequattro e alla sede di Rifondazione Comunista. Responsabile del gesto - secondo la Digos della Questura del capoluogo giuliano - è Giuseppe Deganutti, di 51 anni, sedicente fondatore della Pot (Prima Organizzazione Triestina), autore in passato di gesti analoghi, detenuto nel carcere di Padova e tornato in libertà per effetto dell’indulto del 2006. La Polizia lo ha denunciato per minacce, procurato allarme, detenzione illegale di munizioni e di sostanze stupefacenti.

Durante una perquisizione nella sua abitazione, gli agenti della Digos hanno trovato un grammo e mezzo di eroina. Le buste - da quanto si è saputo - sono state recapitate ieri e non contenevano altro oltre ai proiettili, ma sulla parte esterna e su quella interna, insieme a Tondo e Ballaman, erano citati anche il Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, della Camera, Gianfranco Fini, e il sindaco Sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza, insieme alla scritta "colpirne uno per educarne cento".

Ferrara: l’esperienza del teatro in carcere fa il giro del mondo

 

La Nuova Ferrara, 3 settembre 2008

 

Nell’arco dell’estate Horacio Czertok, responsabile per il Teatro Nucleo del progetto teatro/carcere, ha portato i risultati del lavoro dell’ultimo triennio presso la Casa Circondariale di Ferrara a confronto con importanti realtà europee e argentine. Preziosa la collaborazione e la partecipazione dell’Amministrazione comunale, committente del progetto e partner associato nel progetto di partenariato del programma europeo Grundtvig.

A illustrare le varie fasi del lavoro un video-film, "Lavori in corso", prodotto tra il 2006 e il 2007, e un video reportage realizzato dalla Regione Emilia-Romagna nel corrente anno. A giugno, presso la Kunst Haus di Bielefeld (DE), l’occasione fu il convegno realizzato dall’Alarm Theater, partner tedesco del progetto europeo, nel quale speciale risalto ebbero le particolarità dell’esperienza ferrarese e cioè il fatto di operare in rete, dove diversi soggetti (Casa Circondariale, Comune, Associazionismo, società civile) trovano modo di partecipare attivamente, sostanziando e rendendo efficace il lavoro del teatro.

Ad agosto c’è stata la partecipazione al lavoro condotto in Provenza dal Theatre du Fil (partner francese del progetto europeo). A Digne les Bains è stato realizzato un incontro con la direzione della locale Maison d’Arret, nella quale i partner francesi sostenevano un’esperienza teatrale con i detenuti, e successivamente a Tolone un seminario propedeutico sulle metodologie. Infine a Buenos Aires, l’incontro con "Salvatablas" un progetto teatrale con detenuti di vari Istituti di pena.

A differenza di altri, questo lavoro nasce dall’interesse di personale del Ministero della Giustizia, che riesce a coinvolgere l’Università delle Madri di Piazza di Maggio. I detenuti -circa 30, maschi e femmine - possono uscire con un permesso specifico di sette ore dalle carceri e dirigersi presso l’Università, nel cui teatro realizzano le pratiche teatrali, ispirate a tecniche di psicodramma e sociodramma, partecipate dal pubblico che affolla le sessioni.

In una di queste Czertok ha presentato, alla presenza di giudici, dell’avvocatura d’ufficio di difesa penale e della sezione di Probation, oltre ai detenuti e pubblico, l’esperienza ferrarese, ottenendo ampia attenzione e consenso. L’esperienza argentina di "Salvatablas", di grande novità, sarà presentata prossimamente a Ferrara con uno specifico film.

Vicenza: progetto Csi; la partita in carcere è lezione di scuola

 

Giornale di Vicenza, 3 settembre 2008

 

Il Centro sportivo Italiano da diversi anni porta lo sport in carcere al San Pio X, dove insegnanti di educazione fisica organizzano lezioni in palestra e i volontari del Real Csi Vicenza (selezione del campionato di calcio dilettanti) si incontrano con le squadre dei detenuti una volta al mese sul manto erboso interno alla struttura di via Dalla Scola.

"Da cinque anni sulla scia di un’esperienza già rodata dal Csi di Verona - afferma il presidente del Csi di Vicenza, Enrico Mastella - anche a Vicenza è stato sviluppato il progetto Carcere e Scuola che vede nello sport un mezzo di socialità, istruzione e di integrazione".

"Siamo partiti nel 2003 solo con l’Istituto Rossi di Vicenza - afferma Mastella - quest’anno siamo arrivati a coinvolgere otto scuole superiori, tra cui due della zona di Bassano e due medie inferiori per ora della città capoluogo". Il progetto consiste in tre fasi: la partita in carcere, che vede protagonisti solo i maschi maggiorenni, un’assemblea di istituto dedicata alle tematiche del carcere con diverse testimonianze e un corso alla legalità in classe che può essere inserito come attività opzionale e integrativa.

"La partita o la gara di atletica è un’esperienza forte, che rende possibile visitare il carcere - prosegue il presidente del Csi - e i ragazzi in questo modo si rendono conto dell’ambiente, ma nello stesso tempo portano una ventata di allegria ai detenuti: si rendono conto che ci sono molti giovani come loro che per varie ragioni hanno commesso dei reati e devono pagare per questo. La presenza degli studenti e dei volontari del Csi all’interno delle mura del San Pio X - prosegue Mastella - è un segno di solidarietà attiva verso i detenuti: capiscono che non sono stati dimenticati lì, che fuori c’è un mondo che li può accogliere a pena conclusa e che ci sono persone che possono aiutarli ad integrarsi nella società e quindi possono smettere di delinquere".

"Prendendo contatto con questa realtà i ragazzi acquisiscono anche una coscienza sociale - afferma il presidente dell’associazione di promozione sportiva -. Questi nostri studenti saranno un giorno amministratori, politici, imprenditori, professionisti e così via. Potranno contribuire in futuro all’integrazione, come previsto dalle leggi, del detenuto che ha scontato la sua pena".

Ed il progetto ha avuto successo visto che alcuni insegnanti hanno chiesto di poter organizzare una giornata in carcere per i ragazzi maggiorenni di quarta e di quinta. "Stiamo studiando la possibilità di allargare la presenza degli studenti che per ora è relegata nel primo pomeriggio alla partita nell’ora d’aria dei detenuti - spiega Mastella -. Vorremmo organizzare un "tempo lungo in carcere" che consiste in una visita alla struttura, a cui si aggiunge un incontro con un gruppo di detenuti, il rinfresco e la partita".

"Molti insegnanti che abbiamo incontrato in questi anni si sono resi conto che l’esperienza ha una valenza educativa forte - prosegue Mastella - ed è per questo che continuiamo ad incentivarla".

Immigrazione: il Papa li chiama "irregolari", non "clandestini"

 

Liberazione, 3 settembre 2008

 

Monsignor Agostino Marchetto ci risponde al telefono da Frisinga, in Germania, dove ha introdotto il sesto congresso mondiale della pastorale per gli zingari: 150 partecipanti da 25 paesi, vescovi, preti, religiosi e laici impegnati tra le varie popolazioni nomadi. Quest’anno si discute della condizione e del ruolo dei giovani nelle comunità zingare. La loro gioventù si consuma in fretta, si diventa grandi a sedici anni e spesso si paga il prezzo più pesante della discriminazione, tagliati fuori dalla scuola e dal lavoro.

Marchetto è segretario del Pontificio Consiglio per i migranti che è presieduto dal cardinale Renato Martino, il quale proprio ieri ha annunciato un prossimo documento vaticano sulla povertà. Né l’arcivescovo né il cardinale hanno mai usato troppi giri di parole per rivendicare i diritti degli immigrati ed in particolare per denunciare le violazioni al diritto d’asilo. Stavolta Marchetto può citare direttamente il discorso pronunciato dal Papa dopo l’Angelus di domenica scorsa.

 

Monsignor Marchetto, l’appello del Papa ha sorpreso per la forza con cui ha richiamato all’accoglienza verso gli immigrati irregolari. È questo il senso del messaggio? E che cosa ha spinto Ratzinger a lanciarlo?

Il susseguirsi di tragedie alle quali assistiamo quasi impotenti. La Chiesa è madre in modo preferenziale verso i suoi figli più poveri. Ciò spinge il Santo Padre ad affrontare questi drammi che non sono limitati al Mediterraneo ma si soffrono anche in Atlantico o nei deserti tra Messico e Usa. Si acuiscono questioni gravissime, segno dei nostri tempi di enorme mobilità umana. Mi sembra importante inoltre che Benedetto XVI usi l’aggettivo "irregolari".

 

Anziché clandestini...

Questa è stata una nostra battaglia: non identificare l’immigrazione irregolare con il crimine, non criminalizzare tale condizione. È perciò significativo che il Papa usi questo aggettivo così come, del resto, fa anche dall’Osservatore romano.

 

C’è chi, ad esempio "Avvenire", sottolinea però che quello del Papa sarebbe in realtà un richiamo al "realismo politico" in tema di immigrazione.

Il Papa conferma ciò che il Pontificio Consiglio per i migranti ha sottolineato: la necessità di verificare la realizzazione dei cosiddetti principi della sicurezza perché ci siano sempre accanto quelli dell’accoglienza. Questo equilibrio è instabile e difficile. Siccome la Chiesa è madre oltre che maestra, con umiltà e convinzione, deve indicare la parte del binomio che viene a mancare. È dunque legittimo che il Papa, cui giungono molti segnali delle tragedie nel mondo, dica qualcosa per raddrizzare la barca, se vogliamo anche quella di Pietro, e più in generale orienti le nostre società verso un umanesimo.

 

Benedetto XVI ha chiesto ai paesi ricchi "iniziative sempre più adeguate alle necessità degli immigrati irregolari".

Il Papa applica il celebre principio "unicuique sum tribuere" quando specifica le diverse responsabilità di istituzioni e persone coinvolte, a partire dai paesi di provenienza affinché combattano il traffico di esseri umani e si impegnino a garantire condizioni minime di vita; richiama i nostri paesi all’equilibrio necessario tra accoglienza e sicurezza; esorta gli stessi immigrati a non mettere a repentaglio la loro vita; presta un’attenzione tutta particolare ai richiedenti asilo. Nei nostri orientamenti per la pastorale dei migranti abbiamo scritto che è compito della stessa Chiesa istruire gli emigranti sulla realtà delle terre in cui intendono recarsi, le ideologie, le mentalità e i rischi che incontreranno. In questo momento il Santo Padre ha giudicato che fosse necessario richiamare in particolare proprio le esigenze che lei ha ricordato.

 

Se valutiamo il precedente appello del Papa contro il razzismo insieme a quello più recente sull’immigrazione la Chiesa appare davvero preoccupata per un’ondata di xenofobia e razzismo.

La gigantesca mobilità umana può ingenerare complessi di accerchiamento e reazioni inconsulte. La Chiesa che, istituì 50 anni fa una pastorale specifica, vede con preoccupazione il rinascere di queste reazioni, certamente non cristiane, anche da parte di persone che si dicono cattoliche. Se ribadiamo la necessità di accogliere è, come dicevo, per cercare di equilibrare. Il cattolico è per la congiunzione et-et, non per l’aut-aut.

 

Un congresso per gli zingari: davvero lei va controcorrente mentre si prendono le impronte ai bimbi rom e si bruciano i campi...

Siamo preoccupati, sì. Il rapporto Osce a proposito degli zingari offre molti motivi di allarme. Tutti i paesi hanno qualcosa da rivedere alla luce dei grandi principi internazionali. D’altra parte il Consiglio d’Europa, l’Osce, il Forum di rappresentanza costituito presso il Consiglio d’Europa e la Chiesa stessa mostrano una presa di coscienza: dobbiamo rispettare le norme di tutela della dignità umana e delle minoranze. Gli zingari sono la minoranza più numerosa d’Europa, dobbiamo aiutare gli stati a capire che è il momento per uno sforzo straordinario di integrazione delle popolazioni zingare. Non di assimilazione. In Europa ci sono 4,5 milioni di ragazzi zingari che devono andare a scuola, ciò rende chiara la sfida per il bene della stessa Europa.

 

Lei ha parlato dei fenomeni delinquenziali tra giovani zingari come "conseguenza di una coercizione precedente e collegata a situazione di povertà, discriminazione ed emarginazione".

Ho parlato anche del traffico di esseri umani; ho cercato di mettere assieme diversi fattori, ma ho anche citato le grandi possibilità positive offerte dalla popolazione giovanile zingara.

Proprio oggi uno studio Caritas-Migrantes evidenzia che gli immigrati albanesi in Italia, un tempo considerati più o meno tutti criminali, siano ormai ritenuti tra i meglio integrati. Per questo credo che il fattore speranza debba essere nel Dna di tutti per cambiare i pregiudizi trasformando le discriminazioni in accoglienza. Noi cristiani dobbiamo essere i primi ad operare verso questa "utopia" peraltro realizzabile.

 

Il "ministro degli esteri" vaticano Mamberti ha chiesto la regolarizzazione dei cristiani iracheni immigrati irregolarmente. Il vostro Consiglio opera in questo senso?

Abbiamo compiuto interventi sugli Stati per aiutare i fratelli iracheni, sia quelli rifugiati sia i migranti attualmente irregolari affinché fossero regolarizzati. D’altra parte le chiese locali temono la caduta della presenza cristiana in Iraq. Inoltre, ad esempio qui in Germania, è stato obiettato che vanno evitate discriminazioni tra immigrati cristiani e non cristiani.

Immigrazione: Cgil; concessione voto, è un diritto sacrosanto

 

Dire, 3 settembre 2008

 

"Consentire agli immigrati che sono stabilmente residenti nel nostro paese da cinque anni di votare alle elezioni amministrative, ed aggiungerei anche alle elezioni Europee, è un diritto sacrosanto che farebbe bene alle nostra democrazia". È quanto sostiene il responsabile dell’ufficio per le Politiche dell’immigrazione della Cgil Nazionale, Pietro Soldini, in merito alla proposta lanciata dal leader del Pd, Walter Veltroni, e dall’ex ministro della Salute, Livia Turco.

Un’iniziativa, aggiunge Soldini, "sicuramente positiva perché riapre la discussione sul diritto di voto per gli immigrati; e se si vuole fare una discussione seria non serve molto rivangare le contraddizioni e gli errori che su questo tema hanno caratterizzato l’azione e le posizioni espresse in passato sia dal centro sinistra che dal centro destra".

Riguardo alla proposta del segretario del Pd, spiega però il sindacalista, "non mi convince, ancora una volta, la proposta di legge costituzionale di riforma dell’articolo 48 della nostra Costituzione: è una posizione vecchia e sbagliata, sulla quale si è incagliato questo tema negli ultimi dieci anni". Al contrario, suggerisce Soldini, "a mio avviso, e anche di autorevoli costituzionalisti, sarebbe sufficiente, per concedere il diritto di voto agli immigrati non comunitari, una legge ordinaria di recepimento del capitolo C della Convenzione fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992; così è stato fatto anche per i cittadini europei, che non sono italiani, e che possono votare alle elezioni amministrative senza inciampi costituzionali".

In conclusione, conclude Soldini, "bando alle chiacchiere e ai tatticismi: ci vuole convinzione, determinazione e chiarezza per fare una battaglia limpida, credibile, convincente e, auspichiamo, vincente".

Immigrazione: don Albanesi; sul voto non c’è motivo di attesa

 

Dire, 3 settembre 2008

 

La proposta di Veltroni piace al presidente della comunità di Capodarco: "È ragionevole e giusta. Fermarsi alla cronaca nera, alle leggi sulla sicurezza, ai proclami dei sindaci significa dimenticare chi vive con dignità".

"Non c’è ragione di aspettare, il voto agli immigrati è indispensabile segnale di integrazione". A sostenerlo è don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco. "La proposta dell’onorevole Veltroni per il diritto al voto degli immigrati - spiega don Albanesi - è ragionevole e giusta. Sono milioni oramai le persone straniere che vivono da molto tempo in Italia, lavorando, vivendo nelle città con le proprie famiglie, mandando i figli a scuola, contribuendo allo sviluppo economico del paese. Come sempre la politica sembra (o vuole) essere in ritardo: non si sa bene se per presa di posizione ideologica, per interesse, per miopia".

"La tutela dei diritti dei cittadini - prosegue don Albanesi - è stata la spina dorsale che ha portato democrazia in Italia dal dopoguerra: spesso costata fatiche e dolori. Gli stessi immigrati hanno pagato prezzi di sangue: il nostro mare è pieno di morti in cerca di lavoro. Non ci sono motivi di attendere per concedere loro il diritto ad essere rappresentati. Si tratterà di vedere in quali termini e con quali modalità. Però è indispensabile lanciare un segnale importante di integrazione".

"Fermarsi alla cronaca nera, alle leggi sulla sicurezza, ai proclami dei sindaci significa dimenticare quanti vivono con dignità, nel rispetto delle leggi. È pericoloso e dannoso ingigantire le storture dell’immigrazione irregolare , dimenticando il bene dei molti immigrati regolari. Essi sono oramai indispensabili per noi tutti: per il nostro invecchiamento, per la manodopera giovane che fornisce, per la produzione di beni e servizi. Ci auguriamo che l’ottusità di pochi non continui a gestire il paese con la convinzione che l’immigrazione è un fenomeno emergenziale. Siamo diventati meticci per necessità e non per generosità. Tanto vale prenderne atto", conclude don Albanesi.

Immigrazione: Cantù; un numero verde per delazioni anonime

 

Liberazione, 3 settembre 2008

 

È straniero? Sembra sospetto? Denunciatelo! È Tiziana Sala, sindaco leghista di Cantù (provincia di Como) a chiederlo alla cittadinanza. Sarà facile, basterà chiamare un numero verde e, anche restando nell’anonimato, i vigili si metteranno sulle tracce del malcapitato. Giovedì scorso il consiglio comunale canturino ha messo in atto ciò che era previsto nel decreto Maroni: autonomia e creatività dei sindaci.

Peccato che gli sforzi creativi abbiano trascurato alcuni particolari, non irrilevanti. La delibera intitolata "provvedimenti contro la permanenza degli stranieri clandestini sul territorio" prevede l’istituzione di un ufficio comunale da inserire all’interno del comando di polizia locale. Le persone che vi lavoreranno saranno investite del ruolo di "agenti anti immigrazione", con tanto di formazione professionale prevista. Sarebbero garantite una, due "ronde" a cadenza settimanale, di verifica delle segnalazioni ricevute.

Ma qual è il limite tra "un invito alla partecipazione politica della cittadinanza", come si è giustificata la Sala, e una richiesta di diffidare dall’altro, perché straniero? Stefano Galieni, responsabile immigrazione del Prc, risponde: "C’è una gara in atto tra amministratori locali di centrodestra e centrosinistra a chi inventa la migliore ordinanza xenofoba. Il sindaco di Cantù è in buona posizione. Si teme che qualcuno si impegni per sorpassarlo a destra. Dal punto di vista prettamente giuridico il reato, o presunto reato, si denuncia se lo si vede. Credo che essere presenti su un territorio, passeggiare, chiacchierare, non sia ancora considerabile come prova di reato".

Il rischio è evidente, è quello di incentivare la popolazione al razzismo. Di condurlo al sospetto. Ma Il sindaco di Cantù giudica positiva la sua invenzione: "Nel nostro territorio sono presenti troppi immobili affittati a clandestini. In queste case l’illegalità deborda. Dallo spaccio alla prostituzione, sono tutti reati da perseguire. Noi vogliamo essere d’aiuto alle forze dell’ordine". Sul documento comunale si legge che "il provvedimento perseguirebbe l’obbiettivo di combattere lo sfruttamento di gente animata da principi onesti ma che, per via del suo irregolare stato di permanenza sul territorio ospite, si trova esposta alla mercé di persone disoneste e pronte ad approfittare della situazione".

Poi però si associa la lotta allo straniero alla lotta agli affitti in nero. Anzi l’una agevolerebbe le famiglie italiane sul tema forte della casa: "La collaborazione tra enti locali e cittadinanza creerà le condizioni per cui le persone oneste e che lavorano regolarmente non vedano i proprio diritti ingiustamente sviliti da situazioni di irregolarità e disonestà". E si fa preciso riferimento "al lavoratore dipendente che non riesce a prendere in affitto una casa per sé e la propria famiglia ad un costo ragionevole perché il proprietario preferisce affittare irregolarmente la stessa abitazione a stranieri irregolari disposti a pagare più del dovuto e di abitare magari in 7 o 8 in uno spazio abitativo adeguato a non più di 3 o 4 persone".

Il rischio è quello di fomentare un’ondata di "razzismo" anonimo. E per quanto il comune si sia affrettato a spiegare che le forze dell’ordine "prenderanno i riferimenti di chi chiama, ma ne tuteleranno l’identità", qualcosa continua a non tornare. Alessandro Gilioli, un giornalista, ha fatto un esperimento e lo ha raccontato sul suo blog: "Il numero verde non esiste ancora, ma solo per motivi tecnici.

Già adesso si può fare la segnalazione allo 031.717411, il centralino dei vigili. Io l’ho fatta - falsa ovviamente - da numero anonimo, senza dire chi ero e dicendo una via a caso presa su Google Maps. "Ho visto un negro che vendeva chincaglieria, per me quello il permesso di soggiorno non ce l’ha, andatelo a prendere".

Droghe: test ad automobilisti, Giovanardi ha distorto la realtà

di Marco Sedda

 

Il Verona, 3 settembre 2008

 

"Il danno d’immagine per Verona è enorme e la qualifica, agli occhi del Paese, come una realtà ormai persa e senza speranza di essere recuperata Un realtà in cui prevale il vizio e l stragrande maggioranza dei giovani sono dediti a pratiche illecite". È questa una frase estrapolata dalla mozione urgente presentata dal consigliere provinciale del Pd Vincenzo D’Arienzo al presidente della Provincia Elio Mosele, dove lo invita "ad agire con immediatezza in ogni sede affinché siano corretti i messaggi negativi che hanno lordato la città".

D’Arienzo fa riferimento ai dati divulgati durante la conferenza stampa organizzata il giorno dopo i controlli effettuati la notte del 29 agosto sulle strade di Verona e del Lago di Garda. La conferenza aveva lo scopo di pubblicizzare il progetto Drugs on Street, iniziativa che mira a contrastare l’uso di droghe e alcol da parte degli automobilisti.

Alla presenza del promotore del progetto, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla droga Carlo Giovanardi, e del direttore del Dipartimento antidroga, il veronese Giovanni Serpelloni, è emerso, o così avevano interpretato la gran parte dei mass media, che poco meno della metà dei conducenti fermati, 37 su 80, era risultato positivo al test dell’alcol e della droga. Un dato che, se fosse stato vero, avrebbe dipinto i veronesi come un popolo di tossici e ubriaconi.

In verità 80 furono le persone sottoposte al test mentre i conducenti fermati quel 29 agosto furono 576, e dunque le persone positive ad alcol e/o droga furono 37 su 576, una percentuale del 6,4 per cento. Da questo deriva il danno di immagine denunciato da D’Arienzo. Il quale comunque sottolinea che "Il progetto è valido. La sinergia che si determina tra diverse Istituzioni e competenze rappresenta un deterrente verso il consumo e, pertanto, credo che debba continuare. Penso, inoltre, che la Provincia debba offrire il proprio supporto in termini di autorevolezza e, se necessario, anche con mirati investimenti economici".

Ma fatta questa premessa, D’Arienzo aggiunge che l’immagine passata sui media nazionale "è inaccettabile". E ipotizza, malizioso, una possibile spiegazione: "Non ne conosco le ragioni, ma è probabile che la presenza dell’onorevole Giovanardi, e le affermazioni da questi proferite, abbiano volutamente distorto la realtà per amplificarne il messaggio in modo da propagandare artatamente la lotta contro questi fenomeni e spillare al Governo le risorse necessarie per estendere il progetto in altre zone d’Italia.

Ma perché farlo sulla pelle di Verona? Chi ripaga la città ed i residenti da questa gogna?". La conclusione di D’Arienzo è che "Il Governo ha sacrificato la nostra città Verona è stata triturata e messa al bando per esigenze di propaganda governativa. Ritengo necessaria la correzione, peraltro, semplicemente riproponendo i dati veri".

 

Giovanni Serpelloni, Direttore del Dipartimento Dipendenze di Verona

 

Personalmente non vedo il motivo della polemica. I dati che abbiamo registrato lo scorso fine settimana, voglio sottolinearlo, sono coerenti con quelli delle operazioni effettuate durante il resto dell’anno. A mio avviso, l’operazione è andata benissimo, perché siamo riusciti a intercettare molte persone che si sono messe alla guida pur avendo bevuto o assunto droghe, e quindi pericolose per l’incolumità di chi viaggia sulle nostre strade.

Droghe: narco-test per avere patente, sperimentazione al via

 

Dire, 3 settembre 2008

 

Da fine settembre, i giovani cagliaritani che chiedono il foglio rosa dovranno sottoporsi al test: niente patente ai positivi. Allarme sugli abusi: 1 studente su 4 ha provato spinelli. Sperimentazione prossima anche a Foggia, Verona e Perugia.

Chi usa droghe non potrà prendere la patente. Manca meno di un mese, poi a Cagliari scatterà la mini rivoluzione che renderà obbligatorio il test anti-droga per i giovani che vogliono imparare a guidare. In contemporanea, l’iniziativa interessa anche Foggia, Verona e Perugia. E nel capoluogo sardo i preparativi sono già iniziati da qualche settimana, così da consentire al massimo entro i primi di ottobre il decollo del progetto. L’annuncio è arrivato nei giorni scorsi dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi, titolare delle deleghe per la lotta contro le droghe e per il servizio civile . Completata la sperimentazione a Cagliari, la nuova norma potrebbe essere estesa a tutta la nazione, già prima del 2011 che, per intenderci, è il termine ultimo deciso dall’Unione Europea per l’entrata in vigore in tutto il continente delle nuove leggi contro gli abusi di alcol e di droghe che vieteranno a tutti la possibilità di guidare se le analisi certificheranno l’assunzione abituale o una dipendenza.

È scattato, dunque, il conto alla rovescia per l’operazione che punta ad arginare il drammatico fenomeno degli incidenti stradali legati all’uso di stupefacenti, togliendo di fatto l’autorizzazione alla guida ai consumatori abituali di droghe. Già da giorni alla Motorizzazione Civile di Cagliari i dipendenti stanno lavorando per informare le scuole guida del capoluogo e mettere appunto gli ultimi dettagli per l’avvio della sperimentazione. Manca ancora una data, ma le indiscrezione trapelate in queste ore confermano che il provvedimento ministeriale sarebbe ormai pronto e in procinto di essere firmato. Resta da capire quale sarà l’analisi utilizzata per effettuare il narco-test sugli aspiranti possessori del foglio rosa. Nei laboratori del Sert di Cagliari, il servizio regionale tossicodipendenze, esistono varie possibilità di accertamento: oltre ai marcatori che segnalano l’uso di stupefacenti attraverso la saliva o gli altri liquidi corporei, esistono infatti anche ricerche più approfondite che consentono di risalire al passato, verificando anche la presenza "storica". L’indagine sui capelli, ad esempio, consente di andare a ritroso nel tempo, verificando anche l’assunzione di droghe entro i novanta giorni. E se il test dovesse risultare positivo, allora il ragazzo dovrà dire addio alla patente (ma vale anche per il patentino obbligatorio per i motorini) e, nel caso di un minorenne, scatterà immediatamente anche la segnalazione alle famiglie.

La decisione di inserire Cagliari tra le città-cantiere per la sperimentazione potrebbe essere legata non tanto all’elevato numero degli incidenti stradali mortali, che pure sono stati numerosi, bensì alle indagini effettuate dalla Asl sui consumi di stupefacenti. Nell’ultima, completata la scorsa primavera, era emerso che un quarto dei ragazzi sardi si era già ubriacato a 15 anni, mentre uno studente su quattro delle superiori ha fumato uno spinello almeno una volta.

 

 

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