Rassegna stampa 20 settembre

 

Giustizia: Alfano; pm non sarà mai assoggettato all’esecutivo

 

La Repubblica, 20 settembre 2008

 

"Nell’ordinamento non ci sarà mai un principio che assoggetti il pm all’esecutivo". Lo ha detto ad Agrigento il ministro della Giustizia Angelino Alfano, partecipando alla commemorazione del giudice Rosario Livatino assassinato dalla mafia.

"Salvaguarderò l’autonomia dei giudici". "Sono assolutamente d’accordo sull’autonomia e l’indipendenza dei magistrati. Il disegno costituzionale a riguardo è chiaro", ha detto il ministro. "Il giudice è sottoposto alla legge, la legge è fatta dal parlamento che fa le leggi in nome del popolo italiano, che è lo stesso popolo nel nome del quale il giudice emette sentenza".

Incentivi per le sedi disagiate. In merito ai vuoti in organico nelle cosiddette "sedi disagiate", il ministro della Giustizia ha assicurato che "su indicazione del Csm, è stato redatto un decreto legge per coprire posti vacanti nelle Procure. Abbiamo fatto una scelta di efficienza offrendo una serie di incentivi ai magistrati che fanno una scelta forte come quella di recarsi nelle sedi disagiate". Indiscrezioni filtrate nei giorni scorsi, assicuravano per i magistrati che vorranno trasferirsi per quattro anni nelle sedi del Sud, un bonus iniziale di 6mila euro; un’indennità mensile di 2.500 euro e un punteggio doppio in carriera.

Testo unico antimafia. Concludendo l’incontro, il ministro ha assicurato che "nella prossima settimana il governo presenterà alle camere il testo unico delle misure di prevenzione antimafia ad oggi distribuito in una miriade di testi e per questo difficili da ricondurre a sinteticità concettuale. Speriamo che il parlamento lo approvi in tempi rapidi".

Giustizia: ecco il nuovo piano del Premier sulle intercettazioni

di Liana Milella

 

La Repubblica, 20 settembre 2008

 

Quando parla, in Commissione Giustizia, lo ascoltano in quattro. La leghista Lussana che presiede (la Bongiorno è a Brescia per difendere la Forleo), il centrista Rao, la radicale Bernardini, la democratica Concia. La "bomba" di Niccolò Ghedini sulle intercettazioni, raccontata in giuridichese stretto come lui è solito fare, non viene avvertita in tutta la sua distruttiva potenza per il futuro delle indagini, per l’esito dei processi, per le garanzie dei cittadini, per le tasche dei contribuenti. Un fatto è certo: da ieri, il ddl del governo sulle intercettazioni, varato il 3 giugno e firmato dal Guardasigilli Angelino Alfano, non c’è più. Ben altro vuol fare Berlusconi.

Vediamo cosa, con le parole del suo avvocato-consigliere giuridico. Che, con un filo di voce (è quasi afono per via d’una corrente d’aria), ne spiega la strategia: "Il problema è garantire la privacy e bloccare l’uscita delle intercettazioni sui giornali. Per farlo basta ampliare l’ambito di quelle preventive, che non sono mai trascritte e non finiscono nel processo. Per quello si dovranno usare altri strumenti investigativi. Potranno coprire tutti i reati previsti oggi, il pm potrà chiederle al procuratore generale della corte d’appello, non ci sarà più l’iniziativa del ministro dell’Interno". E le altre intercettazioni, quelle che servono per condannare o assolvere l’imputato? Ghedini: "Saranno possibili solo per reati gravi e gravissimi".

Riecco l’idea del Cavaliere, che ne fa un tam tam da mesi. Via la corruzione? Ghedini sfuma: "Ne discuteremo". Quindi, in futuro, i telefoni saranno ascoltati dalla polizia senza il controllo del giudice, e senza che, una volta indagato, il soggetto lo sappia e possa rileggere cosa ha detto. Ghedini: "Sulle attuali intercettazioni preventive nessuno ha mai avuto nulla da ridire, né sono mai uscite sui giornali". Strumento garantista? No, dei servizi segreti e della polizia.

Quando descrivi il progetto al presidente dell’Anm Luca Palamara lui ti chiede basito: "Ma è proprio vero?". Poi acchiappa il codice di procedura penale, le norme di coordinamento, l’articolo 226, lo legge e lo rilegge. Lì si disciplinano "intercettazioni e controlli preventivi sulle comunicazioni". C’è scritto che il ministro dell’Interno, o in sua vece 007 e polizie, possono chiedere al procuratore un ascolto qualora siano "emerse esigenze di prevenzione" per reati come mafia e terrorismo. Solo per quelli. Al sì del magistrato, gli ascolti durano 40 giorni, possono essere rinnovati per altri 20 e così via se l’allarme continua. Ma, si noti bene: "In ogni caso gli elementi acquisiti attraverso le attività preventive non possono essere utilizzati nel procedimento penale, fatti salvi i fini investigativi". Delle conversazioni, "immediatamente distrutte" resta solo un "verbale sintetico".

Dice Palamara: "È inaccettabile. Se si va avanti su questa strada le indagini sfuggiranno del tutto di mano al giudice. Ci sarà un grave abbassamento delle garanzie. Si rischierà di scivolare verso uno stato di polizia". Stroncatura pesante e ragionata. "Accostare le intercettazioni legali a quelle preventive è pericoloso perché esse sono estranee al processo penale in quanto prive di ogni valore ai fini processuali. Tutto quello che sarà ascoltato non potrà essere usato come mezzo di prova".

Il presidente dell’Anm vede contraddizioni e intuisce un progetto che non gli piace affatto: "Prima parlano di troppe intercettazioni e troppo care. Poi ne ipotizzano altrettante, ugualmente costose, per giunta inutili per condannare qualcuno. Un doppio spreco e senza garanzie per chi finisce sotto controllo. Se poi il pm perde pure il controllo sulla polizia giudiziaria il cerchio si chiude definitivamente". Disegno chiaro: polizia sganciata dal pm, polizia con pieni poteri sulle intercettazioni, polizia dipendente dal Viminale, indagini di fatto sotto il controllo dell’esecutivo. Magistratura fatta fuori. Addio reati "scomodi".

Neppure Antonio Di Pietro vuole crederci. Gli pare "troppo" pure per Berlusconi. "Sarà una proposta estemporanea. Se fosse vera avrebbe grossi problemi costituzionali. Solo nelle dittature si può intercettare senza controllo. Sarebbe un’ipotesi troppo restrittiva per il pm, perché riduce l’area degli ascolti consentiti e utilizzabili nel processo, e troppo estensiva, perché amplia a dismisura quelle preventive. Davvero pensano che se nei testi ci fosse la prova d’un omicidio o d’una corruzione dovrei buttare via tutto?". Sì, proprio così, per Ghedini e il premier i processi non si devono più fare con le intercettazioni. Le farà la polizia in segreto, relazionerà al pm "se" lo ritiene opportuno. Tanto poi si ricomincia daccapo con altri mezzi di prova.

Giustizia: il "braccialetto", un’idea del 2001 che non convince

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

www.radiocarcere.com, 20 settembre 2008

 

Il braccialetto elettronico non consentì al centro-sinistra di vincere le elezioni politiche del 2001. Fu infatti pensato dagli allora ministri degli interni Bianco e della giustizia Fassino quale arma di propaganda da inserire nel pacchetto sicurezza approvato pochi mesi prima della scadenza elettorale. Sin da allora il centro-sinistra rincorreva affannosamente e scompostamente la destra sul tema della sicurezza.

La Gazzetta Ufficiale del 15 febbraio 2001 pubblicava il decreto che descriveva le modalità di installazione del sistema di controllo a distanza delle persone sottoposte alla misura cautelare degli arresti domiciliari e alla detenzione domiciliare. In questi sette anni e mezzo il braccialetto non è mai stato usato in modo sistematico. La macchina del controllo elettronico nei confronti di coloro che sono agli arresti domiciliari o in detenzione domiciliare non è mai partita. Ciò è accaduto per almeno due ragioni: 1) i costi eccessivi della strumentazione i quali non sono compensati dalla riduzione dei costi del personale di polizia (visto che i poliziotti sono comunque impegnati nel controllare il funzionamento degli strumenti di controllo e che comunque è impossibile risparmiare licenziando agenti di polizia o carabinieri); 2) la contrarietà delle forze dell’ordine che non si fidano di un controllo spersonalizzato e asettico.

Oggi i controlli sono affidati alla polizia e al servizio sociale. Nel primo semestre 2008 su 3036 persone in detenzione domiciliare (dalla libertà, dal carcere e in detenzione domiciliare provvisoria) solo 11 hanno subito una revoca per commissione di reato. Si dirà: questo accade perché il detenuto ristretto nelle mura domestiche non è di fatto controllato e nessuno scopre il reato che commette. Potrà pure essere così. È però bene sapere che il detenuto agli arresti domiciliari o in detenzione domiciliare continuerà a non essere scoperto anche indossando la cavigliera elettronica visto che quest’ultima segnala spostamenti fisici e non l’invio di lettere, mail, telefonate, incontri a casa con terze persone pregiudicate, spaccio casalingo di droghe o contrabbando di armi domestico. Per prevenire ciò ci vuole il controllo umano.

La sicurezza, quella vera, non avrà benefici. Al massimo si eviterà qualche imputazione per il reato di evasione. L’altro tema è quello del sovraffollamento. È a tutti evidente, come l’indulto ha ampiamente dimostrato, che per contenerlo sono necessarie risposte strutturali e politiche organiche. Per chi non crede all’orgia repressiva e all’adozione di un massiccio programma di edilizia penitenziaria, la via maestra resta quella della depenalizzazione e della decarcerizzazione.

Per ridurre il numero degli ingressi bisognerebbe avere il coraggio di abolire (e non solo riformare) immediatamente le leggi ex Cirielli sulla recidiva e Bossi-Fini sull’immigrazione. A seguire andrebbe tolta di mezzo la legge Fini-Giovanardi sulle droghe, i cui effetti si andranno a dispiegare nei prossimi anni. Inoltre bisognerebbe rimettere in moto la macchina della esecuzione penale esterna. Oggi circa 10 mila detenuti devono scontare un residuo pena inferiore ai tre anni.

Buona parte di questi (ossia quelli non inclusi nell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario) è già nelle condizioni per andare in misura alternativa. Eppure è chiusa in galera. Ciò accade perché le misure alternative sono decise dalla magistratura di sorveglianza sempre più negativamente condizionata dal pessimo clima culturale e sempre meno legata agli insegnamenti dei suoi padri storici (Igino Cappelli, Giancarlo Zappa, Sandro Margara).

In ogni caso, salvo non si modifichi la legge oggi in vigore, la magistratura, con o senza cavigliera, conserverebbe la discrezionalità di azione e nessun politico potrebbe costringerla a mandare a casa i detenuti in prossimità della fine della pena.

Giustizia: costruire le nuove carceri vendendo quelle vecchie

di Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 20 settembre 2008

 

205 carceri. 42.890 posti disponibili. 55.250 detenuti presenti. Totale: 12.360 detenuti in più. 24.063 sono condannati. 14.910 attendono in carcere un primo giudizio. 9.408 devono essere giudicati in appello. 3.884 sono in attesa del giudizio della Cassazione. Totale: 29.500 detenuti sono in misura cautelare.

90 mila: sono le persone che ogni anno entrano nelle carceri per qualche giorno e poi escono. I tecnici lo chiamo "flusso".

28.828 sono le celle delle nostre carceri. Ma di queste solo 4.763 sono a norma. Ovvero sono costruite secondo i canoni dettati dalla legge. L’ordinamento penitenziario varato nel 2000. Le altre no.

Dati. Numeri. Che parlano di sovraffollamento, di strutture inadeguate e di un sistema penitenziario che non funziona. Dati. Numeri. Che sono assai più eloquenti se si calano nella realtà del caso concreto. Nella realtà del singolo carcere.

Per il sovraffollamento, ad esempio, prendiamo il carcere San Vittore di Milano. Ha una capienza regolamentare 700 detenuti. Oggi nel carcere di San Vittore ci sono 1.414 detenuti. Il che significa che in una cella ci sono rinchiusi 10 o 11 detenuti. Lì ammassati per 22 ore al giorno. A San Vittore, come in altre carceri, quando non c’è più spazio nelle celle, sono costretti a far dormire i detenuti per terra o dentro la sala del barbiere. Oppure prendiamo Napoli, carcere Poggioreale. La sua capienza è di 1.380 detenuti. Ora nel carcere di Napoli i detenuti sono più di 2.200. Dentro le celle singole, fatte per un solo detenuto, ce ne stanno in 3. Dentro quelle più grandi ci sono 12 o 13 detenuti.

Quanto alle strutture inadeguate, non c’è da stupirsi se, su un totale di 28.828 celle, solo 4.763 sono a norma. Infatti un numero rilevante delle nostre carceri risale all’800 se non prima. Vecchi conventi, adibiti ad istituti di pena, sistemati nei centri storici delle città. Difficile, se non impossibile, adeguarle ai parametri di detenzione previsti in una legge del 2000.

Un’evidente illegalità, un non rispetto della legge, che forse non si comprende fino in fondo se non si conosce la realtà di una cella dell’800. Buia, sporca, con i muri che trasudano umidità e con i letti arrugginiti. E, dietro a un muretto di 40 cm, la tazza alla turca. Un luogo inadatto per le persone, ma ideale per i topi che infatti lì spesso prolificano.

Sono tante queste strutture bicentenarie. Sono drammaticamente numerose le celle ottocentesche. È estremamente diffuso il degrado descritto. Alcuni esempi: Brescia, Trento, Trieste, Venezia, Belluno, Roma-Regina Coeli, Bari, Palermo e Sassari.

A queste vecchie strutture, si aggiungono le numerose "carceri d’oro". Realizzate negli anni 80, sono chiamate così per via dei processi nati dal giro di tangenti pagate per la loro costruzione. Carceri che, per fare un esempio, sono state consegnate allo Stato prima di essere completate. Carceri che, ancora oggi, non rispettano il dato normativo sulla detenzione.

Se tiriamo le somme, sono veramente poche le strutture carcerarie dove si vive dignitosamente. Sono veramente poche le celle a norma in tutta Italia. 4.763, appunto. È il fallimento del sistema penitenziario. Un sistema che non funziona. Una riforma sulle carceri, anche se complessa, non è più rinviabile. Deve essere però una riforma seria e innovativa. Parametri sconosciuti fino ad oggi.

Il numero dei detenuti si potrebbe ridurre. Si potrebbe ridurre il flusso di quelli che entrano ed escono dopo pochi giorni: i detenuti in stato di custodia cautelare. Questi andrebbero arrestati quando è indispensabile, cosa che evidentemente non avviene se dopo pochi giorni escono. Il sistema delle pene andrebbe riformato, prevedendo sanzioni diverse dalla detenzione in carcere, ma ugualmente punitive. Ma è altrettanto vero che si deve intervenire sull’edilizia penitenziaria.

È evidente che servono nuove carceri. I nuovi istituti dovrebbero essere costruiti considerando chi devono ospitare. Detenuti pericolosi e meno pericolosi, detenuti che scontano una pena o detenuti in attesa di giudizio. È paradossale che quest’ultimi, presunti non colpevoli, sono custoditi nella stessa cella con chi è condannato. Sarebbe opportuno invece pensare a strutture diverse per chi è in misura cautelare e non è persona violenta, ovvero socialmente pericolosa.

Per queste persone, e non sono poche, si potrebbe pensare non tanto a carceri, ma ad una sorta di "alloggi sicuri". Luoghi sorvegliati che impediscano la fuga e l’inquinamento delle prove. Strutture magari già esistenti nelle città, come le vecchie caserme. O di facile realizzazione, perché più economiche di un carcere, e di minor impatto ambientale.

Per chi è condannato, serve invece pensare a strutture modellate sulla pena. Sulla tipologia di reato commesso. È indubbio che nelle carceri, come nella vita, ci sono persone che non cambieranno mai. Ma è altrettanto vero che tanti sono i detenuti che vogliono una possibilità di scelta. Per queste persone servono carceri-fabbrica, carceri-scuola. In Italia ci sono già queste strutture "sperimentali". Bollate, la Gorgona. Danno ottimi risultati e costano meno. Ma, come spesso accade in Italia, ciò che funziona rimane un esperimento.

Indubbiamente, per tali riforme serve non solo serietà e innovazione, ma anche soldi. Risorse che mancano nelle casse dello Stato, ma che possono essere recuperate dai beni dello Stato.

La formula non è complessa. Vendere le vecchie carceri, che stanno nei centro storici delle città, e che hanno un immenso valore sul mercato immobiliare. Con il ricavato realizzare le nuove e diverse strutture carcerarie.

Un esempio. Roma, carcere di Regina Coeli. Costruita nel 1.654, è a Trastevere, nel "core de Roma". Negli ultimi anni ci è costata per lavori di manutenzione straordinaria 21 milioni di euro. Ogni anno ci costa di manutenzione ordinaria 14 milioni di euro. È grande circa 34.000 mq. Valore sul mercato 180 milioni di euro. Una cifra più che sufficiente per realizzare tre strutture diversificate sul territorio. "Ma ci voglio anni per costruire un carcere e costa molto!". È l’antiquata e conveniente bugia che ci ha portato alle condizioni delle carceri di oggi.

Giustizia: dal nord al sud, quanto vale la vita degli immigrati?!

di Giuseppe D’Avanzo

 

La Repubblica, 20 settembre 2008

 

C’è, tra i Casalesi, una banda di latitanti. Non più di sei o sette. In armi e cocainomani persi. C’è un boss (Francesco Bidognetti) che, in galera, potrebbe presto saltare il fosso e "cantare". "Pentito". Le sue incertezze gli fanno cadere la corona dal capo. Il territorio appare libero da ogni influenza (il boss l’ha perduta con i suoi tentennamenti) e i latitanti vogliono prenderselo per loro fin negli angoli, spremerlo fino all’ultimo euro.

Dalla primavera, gli assassini vanno in giro sparando e ammazzando e distruggendo per far sapere chi comanda, ora. In quattro mesi, hanno ucciso il padre di un "pentito"; ammazzato un imprenditore che si era rifiutato di pagare il pizzo (Domenico Noviello) e un altro che si preparava a testimoniare (Michele Orsi); hanno devastato con il fuoco la fabbrica di un terzo restio a piegarsi; hanno mancato per un pelo la nipote della compagna del "pentito" (Anna Carrino). Nelle ultime due settimane, non c’è stato in quell’angolo di Italia, lungo la via Domiziana, tra le province di Napoli e Caserta, una fabbrica, un’impresa, una bottega di qualche pregio che non abbia ricevuto la sua dose di raffiche di mitraglietta 7.62.

Ora, nella notte di San Gennaro, la strage degli africani dinanzi alla sartoria "Ob Ob exotic fashions" di Castelvolturno. Dicono, per punire uno o due spacciatori che non pagavano o che non era stati autorizzati a spacciare. Per gli assassini un nero vale un altro. E per fare un morto, sparando alla cieca 84 bossoli di 9×21 e 7.62, ne hanno lasciato a terra sei, venuti in Italia dal Ghana, dal Togo, dalla Liberia. Le vittime innocenti si raccoglievano davanti a quella piccola fabbrica-sartoria, alla fine della giornata di digiuno per il Ramadan, per consumare insieme l’unico pasto. È stata questa la sola colpa. Erano al posto sbagliato con un amico sbagliato. Erano uomini che lavoravano duramente per pochi euro all’ora, pregavano e rispettavano il loro dio, se ne stavano tra di loro.

Sono stati condannati dal colore della loro pelle e dalla convinzione della Camorra che i neri sono non-uomini, buoni per essere "cavalli" del traffico di stupefacenti, raccoglitori di pomodori per qualche euro l’ora, operai edili nei cantieri del Nord riforniti dal calcestruzzo dei Casalesi, il loro grande affare alla luce del sole.

Non è stato sempre così, da quelle parti. Come racconta Roberto Saviano, c’è stato un tempo che la gente della costa domizia "non era crudele con gli africani, non li guardava con nausea. Anzi". C’è stato un tempo che bianchi e neri lavoravano insieme, festeggiavano insieme, in qualche caso si sposavano anche e le ragazze nere erano ben accolte in casa come babysitter. "Col tempo però - ricorda Saviano - i potenti, i veri potenti, hanno diffuso un senso di paura, una diffidenza, una separazione imposta. Se proprio devono esserci contatti che siano minimi, che siano superficiali, che siano momentanei. Poi ognuno per sé ed il danaro solo per loro, i potenti".

Il comando dei Casalesi ha precipitato i neri in un mondo a parte di baracche, di stenti, di esclusione, sopraffazione, sfruttamento. E ora anche di morte. Una morte così ingiusta e insensata da essere intollerabile anche per chi, emigrato dall’Africa, ha perso ogni speranza di poter essere trattato con la dignità che si deve a un essere umano. È questa intollerabilità che ha provocato le violenze di ieri, quelle ore di devastazioni e rabbia pazza scatenata da un paio di centinaia di uomini, sordi al grido "Basta!" dei loro connazionali.

Quel che accade lungo la costa domizia è una vendetta della realtà contro le semplificazioni del format di governo che - come scriveva qualche giorno fa Edmondo Berselli - non descrive nulla della società contemporanea. È la rivincita del mondo reale sul posticcio affresco italiano diffuso da ministri, a quanto pare, popolarissimi. È "cronaca" che liquida in poche ore e per intero la logica, i paradigmi, si può dire l’universo mentale che sostiene, nella nuova stagione, le politiche pubbliche della sicurezza e dell’immigrazione.

La realtà ci racconta che il nero - l’altro - non è il nemico: è la vittima innocente. La "cronaca" ci dice, con un’evidenza cruda, quale sia il valore, il niente in cui è tenuta in considerazione la vita di un nero (in un disprezzo moltiplicato nella Campania criminale, dopo il pestaggio mortale di Abdul a Milano).

Nel mondo reale di Castelvolturno l’aggressore, il criminale, l’assassino non è l’immigrato ma l’italiano. E un tipo di italiano e di italianità diffusa nel Mezzogiorno, organizzata in Mafia, capace di tenere il potere dello Stato in un cantuccio, di governare il territorio, di succhiarne le risorse pubbliche e private, di decidere della vita e della morte degli altri, di ridurre gli altri, se neri, in uno stato di schiavitù, di non-umanità, dopo aver avvilito a sudditi i cittadini italiani. Nell’arco di una mezza giornata vengono alla luce, nella loro essenzialità, l’inconsistenza e i trucchi, il furbo conformismo di una politica che sa soltanto eccitare e inseguire le paure, gli egoismi e furbizie di italiani confusi e smarriti.

Gli italiani vogliono prostitute, ma non vederle sotto casa: il governo le punisce e le nasconde senza curarsi di chi controlla la "tratta delle schiave" e ne incassa gli utili. Gli italiani vogliono cocaina, ma non lo spacciatore nella strada accanto: il governo mostra qualche soldato in armi per strada per fare la faccia feroce senza curarsi delle 600 tonnellate l’anno di cocaina che ‘ndrangheta e camorra importano in Italia; senza darsi pensiero della grande operazione di marketing lanciata al Nord dalle mafie che vendono ai teenager una bustina di "bianca" per dieci euro. Gli italiani vogliono lavoro a basso costo e in nero, ma non i clandestini. E il governo crea il reato di immigrazione clandestina e il lavoro diventerà ancora più nero e ancora più a basso costo e diffuso e clandestino.

E allora perché meravigliarsi se i Casalesi - una banda di assassini, che controlla gli affari di droga e utilizza nelle sue imprese il lavoro nero - possono pensare di fare una strage di neri solo per ammazzarne uno? Quanto vale un nero? Niente. Davvero qualcuno si scandalizzerà oggi se duecento di quei niente hanno gridato per un pomeriggio la loro rabbia?

Giustizia: Consulta Sicurezza; sì emendamenti a tutela Polizia

 

Comunicato stampa, 20 settembre 2008

 

Esprimo, nella duplice veste di Presidente del più importante Organismo interforze del Comparto Sicurezza e del primo e più rappresentativo Sindacato della Polizia Penitenziaria, soddisfazione per i contenuti degli emendamenti approvati dal ministro Brunetta, di concerto coi colleghi Maroni e La Russa, finalizzati ad escludere il comparto sicurezza dalla riduzione del trattamento economico per malattia. Lo riteniamo un fatto positivo e di significativa sensibilità, forse un primo significativo passo verso quel riconoscimento della specificità professionale rispetto al Pubblico impiego richiesto a gran voce dagli addetti alla sicurezza del Paese aderenti al Sappe ed alla Consulta Sicurezza fin dai rispettivi storici atti costitutivi. Specificità rivendicata nelle scorse settimane nelle piazze italiane da tutte le sigle sindacali e tutti i Cocer del Comparto sicurezza e difesa.

È quanto afferma Donato Capece, presidente della Consulta Sicurezza (l’Organismo interforze che raggruppa i poliziotti del Sap, i penitenziari del Sappe ed i forestali del Sapaf) e segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione della Categoria con 12mila iscritti.

Capece auspica che "il Governo ed il Parlamento arrivino a legiferare quanto prima un atto ufficiale che sganci le Forze di Polizia dal Comparto del Pubblico Impiego, riconoscendone quindi la specificità professionale augurandosi che l’iter parlamentare degli emendamenti approvati dal ministro Brunetta, di concerto coi colleghi Maroni e La Russa, sia rapido e che quindi si metta presto la parola fine alle penalizzazioni previste per gli operatori della sicurezza".

Savona: una galera da medioevo, lesa la dignità dei detenuti

 

Secolo XIX, 20 settembre 2008

 

Recita la Costituzione italiana (articolo 27, 3° comma): "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". L’intuizione appartenne fin dalla metà del Settecento al giurista Cesare Beccaria, che fece scuola, aprendo scenari che permisero alla società di emergere dalle tenebre dell’oscurantismo. Basta visitare il carcere di Savona - come ha fatto il deputato genovese del Pdl, Roberto Cassinelli - per toccare con mano quanto la realtà sia lontana anni luce da quel dettato, figlio della civiltà giuridica e della libertà delle coscienze. Il carcere savonese sta appiccicato in testa ad un cocuzzolo, quasi un’escrescenza terrosa, che da piazza Monticello domina via Paleocapa, la strada che taglia come una lama di coltello il centro della città.

Il carcere non è affatto un carcere ma un antico convento, risalente alla fine del 1300, intitolato a Sant’Agostino. Adibito a casa di detenzione in epoca napoleonica, è stato ciclicamente chiuso, riaperto, richiuso, riaperto. All’alba del terzo millennio l’Uomo punta a sbarcare su Marte ma l’homo italicus convive (tranquillamente?) con questo scandalo che grida vendetta. Anzi giustizia. "L’impressione è veramente devastante, l’ambiente ricorda certe galere che si vedono nei film in costume. - riferisce Cassinelli -.

Devo tuttavia precisare che ho verificato l’altissima professionalità degli operatori penitenziari, costretti essi stessi a convivere con i detenuti in condizioni materiali indecorose; il grande impegno del direttore del carcere, Maria Elisabetta De Gennaro, del comandante del reparto della polizia penitenziaria, Massimo Dibisceglie, e di tutti gli operatori. Tutti si sforzano di ridurre al minimo i problemi causati dalla vetustà della struttura".

Le celle? Bugigattoli bui (le finestre sono simili a bocche di lupo) anche in pieno giorno, cinque metri per sette, abitate da sei-sette ospiti, costretti ad un’imbarazzante promiscuità. Molte si trovano addirittura sotto il livello della strada ed è facile intuirne le condizioni igieniche, La biancheria stesa ad asciugare sui letti, gli oggetti sparsi dovunque rendono il quadro più angosciante. I letti a castello in legno sono accatastati in ogni angolo disponibile. Le celle non sono provviste di docce e il locale adibito a questa imprescindibile pratica igienica non assomiglia esattamente alla toilette di un centro benessere.

Cassinelli riferisce che la sala colloqui è simile all’anticamera della casetta del sette nani, più di tre detenuti alla volta non può ospitare. Gli spazi comuni - palestra, biblioteca, laboratorio, aula scolastica - sono volonterosamente tenuti in uso dagli agenti della polizia penitenziaria con l’aiuto di alcuni detenuti.

All’ora d’aria è consacrato l’angusto cortiletto interno. Ci sarebbe anche un’area esterna, a ridosso della porta carraia, ma stante l’assoluta mancanza di "respiro" all’esterno, è stata adibita a parcheggio. La direttrice dell’Istituto, la genovese Maria Elisabetta De Gennaro, sta scervellandosi assieme al comandante delle guardie, Massimo Dibisceglie, per ritagliare un piccolo spazio verde da destinare ai colloqui, nella buona stagione, soprattutto per evitare ai bambini lo choc dell’ingresso in carcere.

In questi meandri oscuri anni fa venne ristretto Renato Rinino, l’Arsenio Lupin savonese, che conobbe un’abbacinante lampo di celebrità: si introdusse addirittura a Buckingham Palace, rubò una manciata di gioielli appartenenti a Carlo e Diana. Non prima di aver esaminato il sontuoso guardaroba della principessa del Galles. La sua avventura terrena terminò il 12 ottobre 2003, quando venne ucciso per motivi di gelosia da Yuri Scalise.

Dopo 5 anni di galera, trascorsi a Marassi, Scalise ha da poco ottenuto i benefici dell’art. 21, può lasciare il carcere in permesso per svolgere lavori i pubblica utilità. A Sant’Agostino lo ricordano bene, l’estroso Rinino. Una volta, durante l’ora d’aria si arrampicò a mani nude lungo i muri e giunto al terzo piano ridiscese tranquillamente. Non intendeva affatto evadere, semplicemente voleva dimostrare la sua abilità di ladro-scalatore. Ben altra tempra di detenuto l’avvocato Sandro Pertini, che sotto il fascismo qui soggiornò a causa della propria fede politica socialista. Chiusa dietro una piccola porta in ferro, c’è la cella che l’ospitò.

Dentro, riferisce Cassinelli, abbandonati a terra giacciono diversi faldoni in attesa di essere eliminati. Un magazzino, insomma. Meriterebbe di essere ripulita, restaurata e mostrata ai posteri, ammesso che i regolamenti carcerari lo consentano. Servirebbero quattrini, proprio la merce che manca. I tagli nella finanziaria anzi mettono a repentaglio attività di recupero svolte con successo: corsi di yoga e di inglese, laboratori, persino il lavoro esterno autorizzato, ad esempio la pulitura delle spiagge del Savonese.

Cassinelli ha avuto modo di visitare l’intera struttura, ha parlato con gli operatori e raccolto le loro segnalazioni - nessuno si è lamentato - e ha promesso che si farà latore presso il ministro di Grazia e Giustizia, Alfano, dei problemi riscontrati fra le antiche mura agostiniane. Il cosiddetto carcere può contenere in condizioni ottimali da 35 a 45 detenuti. Al momento della visita di Cassinelli se ne contavano 63, ma solo un paio di settimane prima, nella coda della stagione estiva, si era toccata quota 80.

L’organico della guardie penitenziarie è di 59 unità, a disposizione ce ne sono 44, impiegate a rotazione su quattro turni giornalieri di sei ore. Sennonché occorre provvedere alle traduzioni dei detenuti a palazzo di giustizia o in ospedale, assicurare eventuali piantonamenti. Quando ci si trova con l’acqua alla gola, scatta lo straordinario, in media 300 ore al mese. Ed è sempre più dura reperire i fondi per pagarlo.

Il servizio medico è garantito dal dottor Grassi, che opera a Sant’Agostino da 25 anni e ne conosce ogni angolo. Servirebbe l’appoggio degli psichiatri, ma non sempre le convenzioni con l’asl lo prevedono. I clienti non mancano, i detenuti tossicodipendenti sono una forte aliquota, soprattutto nella stagione estiva quando milioni di turisti affollano le località della provincia. In compenso il nuovo laboratorio dentistico attende di entrare in funzione, non appena sarà designato lo specialista.

Monza: interrogazione sul caso del detenuto legato a un palo

 

Comunicato stampa, 20 settembre 2008

 

Interrogazione di Alessia Mosca, deputata del Pd, ai Ministri dell’interno e della giustizia. Per sapere; premesso che: dagli organi di informazione è stata diffusa una fotografia, scattata da un cellulare e diffusa via internet dal Siap, sindacato autonomo di polizia, che mostra un detenuto ammanettato ad un palo all’interno del commissariato di via Romagna, a Monza, a causa della mancanza di celle di sicurezza; in realtà le celle di sicurezza, all’interno della struttura esistono, ma non sono fruibili perché non rispettano le norme, mancano i bagni e le porte si aprono facilmente dall’interno; per non lasciarle inutilizzate, pare vengano usate come deposito-magazzino di marijuana, refurtiva e merce sequestrata.

L’immagine, indubbiamente scioccante e gravemente lesiva della dignità di un essere umano, sia egli libero o detenuto, sicuramente indegna di un paese civile, non può che riportare l’attenzione sull’emergenza legata alle strutture di sicurezza e alle carceri, nonché sul rischio per la sicurezza dei cittadini che può derivare da un tale stato di cose.

Questa grave situazione organizzativa e funzionale, certamente non riguarda solo la realtà di Monza e, mentre da un lato si mette in campo una politica tutta volta alla penalizzazione e alla repressione - vedasi la pressoché totale sostanziale equiparazione tra immigrazione e criminalità - dall’altro non si provvede a rendere adeguate ed efficaci le strutture di sicurezza e carcerarie del nostro paese. Addirittura con la manovra finanziaria di luglio, i fondi per l’edilizia carceraria sono stati decimati, è stato gravemente colpito il reclutamento degli agenti di custodia che si trovano, dunque, a dover sostenere turni massacranti a fronte di retribuzioni assolutamente inadeguate.

Si chiede: quali siano gli elementi a disposizione del Governo sulla vicenda ricordata in premessa e quali iniziative intenda assumere per accertare la reale dinamica dei fatti; quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di rimuovere le cause che possano aver portato a tale situazione di degrado e mancanza di rispetto per i diritti di un cittadino trattenuto dagli organi di sicurezza, nonché per assicurare agli agenti dei corpi di polizia condizioni per l’esercizio delle proprie funzioni con professionalità ed efficacia.

Roma: mancano agenti per gli Istituti della giustizia minorile

 

Comunicato stampa, 20 settembre 2008

 

Mancano gli agenti penitenziari all’istituto minorile di Casal Del Marmo e al Centro di prima accoglienza. Il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni scrive al capo dipartimento della giustizia minorile: "interventi urgenti per garantire i giovani ospiti delle strutture".

Impossibilità di seguire con regolarità le lezioni scolastiche, di praticare sport o di passeggiare, difficoltà a sostenere i colloqui trattamentali con educatori, psicologi e assistenti sociali. È quanto sta accadendo agli ospiti dell’Istituto Penale Minorile di Casal del Marmo e del Centro di Prima Accoglienza del Lazio (che oggi ospita 38 ragazzi e 15 ragazze) a causa della cronica mancanza di agenti di polizia penitenziaria.

Lo segnala il Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni in una lettera inviata all’ex Capo Dipartimento della Giustizia Minorile Carmela Cavallo e alla responsabile del Centro per la Giustizia Minorile per il Lazio, Donatella Caponnetti.

"Già da mesi esiste un grave sottodimensionamento dell’organico di polizia penitenziaria nelle strutture minorili del Lazio - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - che rende difficile l’adempimento delle mansioni di sorveglianza vera e propria e la possibilità che i giovani detenuti possano svolgere attività ricreative e di recupero sociale".

Gli agenti penitenziari sono oggi 55 (42 uomini e 13 donne) e dovrebbero essere almeno un 30% in più; tale con una carenza di organico che incide sulla funzionalità dell’istituto e sull’operatività degli agenti, gravati di lavoro e responsabilità. Inoltre, le carenze rischiano di creare situazioni di tensione fra gli stessi agenti e i ragazzi.

Una situazione, questa, ancor più delicata se si considera che nell’ultimo periodo Casal del Marmo ha ospitato un numero crescente di detenuti provenienti da altre Regioni per alleggerire il sovraffollamento di altri istituti penali minorili. e ciò determina che quotidianamente agenti di PP siano impegnati in traduzione in Tribunali su tutta Italia incidendo ancora di più sulla carenza di organico e sulla funzionalità interna.

Stessi disagi si registrano anche nel Centro di Prima Accoglienza dove, a fronte di un organico assegnato di 18 unità vi ce ne sono presenti solo 13. Da segnalare che gli ingressi nel Centro di Prima Accoglienza sono aumentati in maniera esponenziale fino ad arrivare a 950 ingressi annui.

 

Ufficio del Garante dei detenuti del Lazio

Massa: torneo di calcio nel carcere, anche Lippi tra spettatori

 

Asca, 20 settembre 2008

 

Marcello Lippi sarà spettatore d’eccezione al quadrangolare di calcio che si terrà sul campo del carcere di Massa. Il Ct della nazionale assisterà alla sfida tra una rappresentativa dei detenuti della casa di reclusione massese, la nazionale italiana religiosi guidata per l’occasione da Renzo Ulivieri, ex allenatore tra gli altri di Bologna e Reggina e ora presidente dell’Assoallenatori, una squadra composta da agenti di Polizia penitenziaria e una formazione di politici e amministratori della provincia di Massa-Carrara. Il quadrangolare è in programma nel pomeriggio del 22 settembre. L’iniziativa è arrivata alla quinta edizione. La manifestazione rientra nel progetto ‘carcere: quartiere della città, rivolto, spiega una nota della direzione carceraria, "a favorire il processo rieducativo dei detenuti, anche attraverso la promozione di occasioni di incontro con la società civile".

Immigrazione: Roma; eurodeputati tra rom, nel fango al buio

di Alberto Custodero

 

La Repubblica, 20 settembre 2008

 

Un bambino rom di 8 anni del campo nomadi Casilino 900 chiede all’eurodeputato leghista Mario Borghezio: "Come posso fare i compiti se il Comune ci ha tolto la luce?". Poi, al politico che ha fatto della crociata anti-islam il suo cavallo di battaglia, il piccolo Denis spiega di essere chiamato zingaro "perché sono sporco: ma come faccio a lavarmi se nella baracca non c’è l’acqua?".

È così che Denis, piccolo rom, diventa il protagonista della visita al Casilino 900, ieri sotto una pioggia battente, dei venti eurodeputati della Commissione libertà civili e giustizia ai quali il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha annunciato la retromarcia del governo sulla aggravante di clandestinità per i comunitari.

Di fronte alla denuncia di quel piccolo nomade che gli mostra i piedini che s’è ferito camminando nella discarica a cielo aperto della baraccopoli, il piemontese Borghezio - abituato a rispondere al telefono con un "qui Padania" da campione dell’orgoglio leghista - si trasforma in paladino dei rom romani.

Prima recita un pubblico mea culpa: "Dobbiamo vergognarci tutti: è una situazione da quarto mondo". Poi, chiama in causa il ministro dell’Interno che poche ore prima aveva annunciato nuove strutture ("condomini orizzontali") e "certificati di identità rilasciati dalla Croce Rossa ai nomadi".

"Maroni - sbotta Borghezio - ci ha presentato un progetto di scolarizzazione: ma come fanno i bambini rom a studiare al buio?". Quindi, ospite in una baracca, telefona in viva voce, davanti ai nomadi, al sindaco di Roma Gianni Alemanno - ma gli risponde il capo di gabinetto - per chiedergli di "ripristinare subito acqua e luce". Infine, si vanta coi rom per l’elezione di una nomade sinti a miss Padania del Piemonte.

Fra le pozzanghere, una rissa fra lo stesso Borghezio e il leader no-global Vittorio Agnoletto è moderata, inaspettatamente, da un rom, Najo Adzovic, profugo dall’ex Jugoslavia, e autore del libro "Popolo invisibile". Ad Agnoletto che urla "lo spreco dei 3 milioni di euro per il censimento di Maroni, visto che basta un medico igienista per capire che qui mancano fogne, acqua e luce", replica il leghista domandandogli "che cosa ha fatto Rifondazione durante il governo Prodi". Li calma Adzovic ricordando loro che "ai rom non interessano le risse fra politici, ma il nostro futuro".

"Dove volete mandarci?", è la domanda, rimasta però senza risposta, del portavoce dei nomadi, preoccupato dell’intenzione del sindaco Alemanno di trasferire il campo. "Noi avevano dei generatori elettrici - denuncia ancora Adzovic - ma i vigili ce li hanno sequestrati come refurtiva perché non avevamo le ricevute d’acquisto. E così i nostri 300 bimbi sono rimasti senza luce per studiare".

La visita degli europarlamentari si conclude in serata con l’annuncio del presidente della commissione Libe, Gerard Deprez, che "la clandestinità in caso di reato non sarà un’aggravante per i cittadini comunitari", cosa invece attualmente prevista dal di sicurezza convertito in legge il 23 luglio. "Il ministro Maroni - ha precisato il capo della delegazione di Strasburgo - ci ha assicurato che la misura scomparirà dal "pacchetto sicurezza" per i cittadini dell’Unione europea, dopo il parere negativo del servizio giuridico del Parlamento europeo. La norma non è compatibile con i diritti dei cittadini comunitari". "Resta da capire - ha chiosato Deprez - cosa accadrà ai cittadini extracomunitari, ma farlo non è competenza del parlamento europeo".

Droghe: Ordine dei Medici; non ci sono soldi per i narco-test

 

Notiziario Aduc, 20 settembre 2008

 

I medici sono pronti a collaborare sulle misure per la sicurezza stradale, contro le stragi del sabato sera, ma chiedono di discutere insieme alle Istituzioni gli strumenti e le procedure da utilizzare per i controlli che mirano a scoraggiare l’uso di alcol è droga nei giovani.

È questa la risposta ufficiale dei vertici della Federazione nazionale degli Ordini dei medici e degli Odontoiatri (Fnomceo) alle misure proposte dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi, per contrastare il fenomeno della guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Misure che prevedevano la partecipazione di medici e infermieri e che avevano già ad agosto suscitato polemiche.

Il Comitato centrale della Fnomceo, riunito a Roma, ha valutato le indicazioni proposte "in una prospettiva di collaborazione" contro un fenomeno che "ci preoccupa in quanto cittadini e in quanto medici", spiega in una nota Amedeo Bianco, presidente della Fnomceo.

A fine agosto, ricorda una nota della Fnomceo, "era partita una sperimentazione per sottoporre a test antidroga le persone alla guida. E per i controlli sulle strade il sottosegretario Giovanardi dispose la partecipazione dei medici e degli infermieri, peraltro senza averne mai ufficialmente interpellato le organizzazioni rappresentative".

In quell’occasione la Federazione annunciò che le misure sarebbero state esaminate dopo la pausa estiva. Ora arriva, dunque, la risposta ufficiale che è di completa collaborazione. "Ma è indispensabile - ha aggiunto Bianco - che nella formulazione di questa specifica normativa, i medici vengano sentiti per privilegiare, al di là del sensazionalismo, una seria riflessione sull’efficacia delle procedure e degli strumenti nella prospettiva di conseguire un bene collettivo".

La questione, per tanti aspetti, "è già tutta all’interno della nostra Carta Costituzionale - si legge nella nota - che, all’articolo 32, pone la salute pubblica non solo come fondamentale diritto dell’individuo ma anche come interesse della collettività.

E, facendosi garante dell’autonomia del cittadino, chiaramente sottolinea che nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario se non per disposizione di legge e che tale legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona".

Inoltre, rispetto agli obiettivi dichiarati, "ci appaiono del tutto insufficienti - dicono i camici bianchi - le risorse messe in campo, pari a circa un milione e mezzo di euro previsto già da una legge del 2003, come ha annunciato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Giovanardi, che ha la delega alle Politiche antidroga". I medici, che verificano continuamente come il fenomeno della droga non venga adeguatamente percepito come pericoloso, soprattutto tra i giovani, chiedono anche un impegno educativo più generale.

"Ci aspettiamo, quindi anche misure chiare in direzione non solo della repressione ma anche della prevenzione: per scoraggiare l’uso delle droghe è fondamentale educare i giovani".

Nigeria: 23mila i detenuti all’estero e 50 i condannati a morte

 

Agenzia Fides, 20 settembre 2008

 

Oltre 50 nigeriani sono attualmente nel braccio della morte in diversi Paesi in tutto il mondo, la maggior parte per reati connessi al traffico di droga. Lo rivela il segretario esecutivo della National Human Rights Commission (Nhrc), la signora Kehinde Ajoni (a sinistra nella foto), che in una dichiarazione alla stampa ha affermato che la Commissione è preoccupata per il crescente numero di nigeriani condannati a morte in Stati stranieri per vari reati. La Ajoni ha espresso particolare preoccupazione per il recente caso di 10 nigeriani condannati a morte da un tribunale indonesiano e ha invitato le autorità indonesiane a mostrare clemenza verso i condannati.

Nel giugno di quest’anno due nigeriani giudicati colpevoli di traffico di stupefacenti sono stati giustiziati in Indonesia. La responsabile dell’Nhrc ha esortato il governo federale e le altre autorità a verificare le disposizioni giuridiche esistenti e gli strumenti offerti dalle convenzioni internazionali per far sì che la pena di morte dei nigeriani possa essere commutata in ergastolo e i condannati possano essere rimpatriati per scontare la pena in Nigeria.

Secondo il Ministro degli Esteri nigeriano, vi sono 23mila nigeriani detenuti in diverse parti del mondo per reati di varia natura. In Europa vi sono 20mila detenuti di nazionalità nigeriana; di questi circa 1.500 sono rinchiusi nelle prigioni britanniche. In Africa vi sono 1.500 nigeriani che scontano una sentenza in carcere in Libia, 120 in Togo e 40 in Niger.

Il Ministro degli Esteri ha dichiarato che il suo governo intende difendere e proteggere gli interessi di tutti i cittadini nigeriani all’estero. Questo non significa, ha aggiunto il Ministro, che le autorità nigeriane incoraggino i propri cittadini a commettere reati in Paesi stranieri: anzi il governo di Abuja raccomanda ai nigeriani che vivono all’estero di rispettare le leggi del Paese di residenza e di lavorare per costruire un’immagine positiva della Nigeria.

Usa: salvo grazie al dna dopo 14 anni nel braccio della morte

 

Ansa, 20 settembre 2008

 

Un cittadino del Texas, che si trovava nel braccio della morte di un carcere locale da circa 14 anni, è stato scagionato, grazie ad un test sul Dna, dall’omicidio di una bambina nel 1993: lo ha confermato il Death Penalty Information Center. Michael Blair non verrà scarcerato perché è stato condannato all’ergastolo per altri delitti, ma lascerà il braccio della morte. Blair è il 130esimo condannato a morte salvato dall’esame del Dna da quando sono riprese le esecuzioni negli Usa, nel 1976 e il quarto quest’anno. L’uomo era accusato dell’assassinio di una bambina. È stato proprio l’esame del Dna sui capelli della piccola a dimostrare la sua innocenza.

 

 

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