Rassegna stampa 1 settembre

 

Giustizia: allarme di Grasso; su barricate, per difendere i pm

di Silvio Buzzanca

 

La Repubblica, 1 settembre 2008

 

L’autonomia e l’indipendenza dei magistrati va difesa. Anche a costo di fare le barricate. E lasciate stare in pace Giovanni Falcone, non strumentalizzate le sue parole. Altrimenti si rivolta nella tomba. Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia, legato da grande amicizia con il magistrato ucciso dalla mafia, interviene nello scontro in atto sulla riforma della giustizia e si schiera nettamente. Davanti al pubblico della Festa democratica di Firenze dice che "occorre difendere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e dei pm in particolare, a costo di barricate". E cerca di mettere un punto fermo sul pensiero di Falcone in materia di riforma della giustizia.

Grasso spiega che "per riportare nei giusti termini il pensiero di Falcone, per evitare che egli si rivolti nella tomba, bisogna storicizzarlo". Bisogna collocarlo, ricorda il procuratore, "nel periodo dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, cioè al momento in cui il pm in sostituzione del giudice istruttore, acquisiva i compiti di effettiva direzione e impulso delle indagini per la individuazione degli elementi di prova da utilizzare in fase di dibattimento, nel contraddittorio tra le parti".

In quel contesto, Falcone, continua, Grasso, "metteva l’accento sulla necessità di una diversa professionalità del pm in relazione alle specificità delle funzioni requirenti rispetto alle giudicanti. Dunque diversa doveva essere la formazione, la regolamentazione, l’organizzazione degli uffici, la stessa carriera, essendo necessariamente diverse rispetto al giudice le attitudini, l’abitus mentale, l’attività investigativa del pm".

Ma sulla separazione delle carriere, il magistrato assassinato, continua Grasso, diceva anche che "il punto fondamentale è avere un pm autonomo e indipendente, ma anche efficiente. Il pm deve avere una regolamentazione ordinamentale diversa rispetto a quella del giudice, non necessariamente separata. Questo non per assoggettare il pm all’esecutivo, come si afferma, ma al contrario per esaltarne l’indipendenza e l’autonomia". E sull’obbligatorietà dell’azione penale, conclude Grasso, Falcone diceva che "bisognava creare le condizioni affinché acquistasse effettività l’esercizio dell’azione penale".

Nell’attesa che il ministro Angelino Alfano presenti le sue proposte di riforma nel dettaglio, l’altro grande tema di discussione sulla giustizia resta quello delle intercettazioni. A maggior ragione dopo la pubblicazione delle conversazioni di Romano Prodi pubblicate da Panorama. "Nessuno pensi al governo o in Parlamento di sfruttare la vicenda per accelerare l’approvazione di un ddl incompatibile con il diritto dovere dei giornalisti di informare e con il diritto dei cittadini a conoscere fatti di rilevanza pubblica", dice il sindacato dei giornalisti.

Il Pdl, intanto, insiste nel tentativo di coinvolgere il Pd nel varo della nuova legge sulle intercettazioni. "Bisogna trovare una soluzione condivisa per dire basta all’uso indiscriminato delle intercettazioni", dice il ministro per l’Attuazione del programma Gianfranco Rotondi. E anche Italo Bocchino, vicepresidente dei deputati, chiede al Pd di collaborare. "È innegabile l’eccesso e l’abuso di intercettazioni in Italia, cosi come è innegabile che serva una riforma, che auspichiamo sia rapida e condivisa dal Partito democratico", dice Bocchino.

Il centrodestra trova una parziale sponda nell’avvocato Guido Calvi. L’ex senatore diessino, si dice infatti convinto che nella materia bisogna mettere le mani. Una disponibilità a discutere arriva anche da Michele Vietti, Udc. Ma i centristi vogliono vedere le proposte e chiedono al governo di presentarle in Parlamento. Infine c’è Francesco Cossiga: il presidente emerito della Repubblica ha presentato un disegno di legge costituzionale per reintrodurre l’immunità parlamentare e il divieto di intercettare senatori e deputati.

Giustizia: Pd; sì legge intercettazioni, ma non imbrigliare pm

 

Corriere della Sera, 1 settembre 2008

 

La maggioranza preme sempre più per l’approvazione del disegno di legge, varato a giugno dal consiglio di ministri, che restringe l’uso delle intercettazioni telefoniche. "Intervenire è urgente - dice il capogruppo del Popolo delle libertà al Senato, Maurizio Gasparri - e il Partito democratico non può eludere la questione". "E assolutamente necessaria una nuova legge che regoli la materia - aggiunge il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto - per evitare che la vita di ognuno di noi sia dominata da un grande fratello". Anche il Partito democratico vuole cambiare le regole ma indica una strada diversa e cioè il proprio disegno di legge, meno restrittivo rispetto a quello del governo Berlusconi. "Anche noi - dice intervistata dall’Unità Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato - riteniamo necessaria una legge che regoli la materia. Ma il problema riguarda le finalità".

È la stessa Finocchiaro ad indicare gli obiettivi: "Occorre impedire la pubblicazione di conversazioni personali non attinenti alle indagini e di notizie che la magistratura ha interesse a tenere riservate perché turberebbero le indagini". Secondo il capogruppo del Pd, invece, "il disegno di legge del governo svela che si persegue altro.

Il premier vuole bloccare l’azione investigativa su reati sensibili per lui. E tradisce la necessità di imbrigliare i giudici e la stampa: 3 anni di carcere ai giornalisti sono un segnale chiaro". Quando parla di reati sensibili per il premier, Finocchiaro si riferisce a quelli contro la pubblica amministrazione, cioè corruzione e concussione. Secondo lo stesso Berlusconi era stato un "errore" includerli nell’elenco dei reati per i quali sarebbe ancora possibile mettere i telefoni sotto controllo. E adesso nella maggioranza c’è chi vorrebbe fare marcia indietro. Ma nella maggioranza la Lega non è d’accordo: il testo del governo "è equilibrato", sottolinea il capogruppo del Carroccio alla Camera, Roberto Cota.

È invece contraria a qualsiasi tipo di legge l’Italia dei Valori: "Il trappolone malriuscito con la pubblicazione delle intercettazioni di Prodi - dice la deputata dell’Idv Silvana Mura - dimostra che Berlusconi non è credibile. Dietro le belle parole si cela la solita fregatura, e cioè la volontà di impedire le intercettazioni e la loro pubblicazione per le indagini sulle tangenti. Noi non ci faremo fregare e l’opposizione in parlamento sarà intransigente".

Parole che non vanno giù a Italo Bocchino, vice capogruppo del Popolo della libertà alla Camera: "Chi parla di trappolone mina il dialogo e dice il falso. Una legge che metta mano all’eccesso e all’abuso di intercettazioni è necessaria". Dialogo? È Nicolò Ghedini, deputato del Pdl e avvocato di Berlusconi, a far capire fin a che punto sarà necessaria l’intesa tra maggioranza ed opposizione: "Se ci sarà accordo bene - avverte - se no pazienza. La legge si farà lo stesso". Mentre l’Udc, con Michele Vietti, sottolinea che il "tormentone delle intercettazioni sembra aver fatto incagliare i grandi annunci della riforma della giustizia".

Giustizia: Maroni; priorità sono chiare, adesso dobbiamo agire

 

Corriere della Sera, 1 settembre 2008

 

L’accordo con la Libia? "Noi siamo pronti ai pattugliamenti delle coste, dunque mi aspetto che sia subito operativo. Ma adesso è l’Europa a dover intervenire per fermare i flussi". Il monito del Papa? "L’Italia ha già fatto la sua parte, altri devono rispondere all’appello". Lo scontro sulla giustizia? "Basta con le questioni personali e le polemiche strumentali, abbiamo i numeri e il consenso per approvare una grande riforma".

Agosto è trascorso senza particolari emergenze da affrontare, ma Roberto Maroni ha ben presente quali problemi attendono la ripresa dell’attività del governo e in particolare del ministro dell’Interno.

 

I risarcimenti concessi al regime di Tripoli saranno sufficienti a fermare gli sbarchi?

"Il nostro accordo era subordinato alla realizzazione e al finanziamento di un sistema di protezione dei confini libici a sud, nel deserto, che è stato studiato da Finmeccanica. La parte più rilevante del patto, a parte l’autostrada, è questa perché rappresenta la contropartita per avviare i nostri controlli nelle acque libiche".

 

È convinto che saranno consentiti?

"Motovedette ed equipaggi sono pronti da tempo. Nei prossimi giorni sentirò l’ambasciatore Abdul Hafed Gaddur con il quale avevamo già un’intesa. Manca soltanto il via libera operativo, ma intanto mi aspetto che la polizia locale aumenti i controlli per fermare i flussi. Il nostro obiettivo è la chiusura della rotta, proprio come avvenne con l’Albania".

 

Fino al 15 agosto gli arrivi erano raddoppiati rispetto allo scorso anno. C’è ancora una situazione di emergenza?

"Il vero problema è che la maggior parte dei clandestini provengono da Paesi in guerra e dunque non ci sono le condizioni per rimpatriarli. Chiedono asilo politico e molti hanno i requisiti per ottenerlo. La collaborazione con Tripoli diventerà fondamentale per il nostro Paese, ma certo non risolverà il problema dell’immigrazione in Europa".

 

Come si deve intervenire?

"Lunedì prossimo sarò a Parigi e chiederò alla presidenza francese interventi forti e decisivi, anche perché il rischio forte è che si apra una nuova rotta che passa dal Marocco e arriva in Spagna. Il vero rimedio è la trattativa con i Paesi d’origine, ma è l’Unione europea a doverla affrontare in maniera strutturale".

 

Papa Benedetto XVI chiede ai governi azioni politiche più efficaci per fermare le stragi in mare.

"Condivido le sue parole al cento per cento perché la soluzione è in un grande progetto comune. In assenza di una politica europea ogni Stato cerca di tamponare l’emergenza dei flussi senza però risolvere il problema. L’appello del Pontefice arriva nel momento in cui l’Italia ha dimostrato l’efficacia della politica, adesso tocca all’Europa".

 

Le carrette affondano nel canale di Sicilia. Rivolgersi a Bruxelles non è un modo per scaricare il problema?

"No, anche perché con l’ampliamento dell’area Schengen l’Italia è espropriata dal controllo sulle frontiere terrestri. Chiudere la porta di Lampedusa non basta. Io propongo un comitato permanente composto da Spagna, Francia, Italia, Malta, Portogallo e Grecia che affronti l’emergenza e definisca le strategie".

 

Questo secondo lei risponde all’appello del Pontefice?

"La gestione dei flussi migratori è una grande sfida che deve essere affrontata come si fa per l’economia con il consiglio Ecofin e la Banca centrale. La Commissione europea deve avere potere sull’immigrazione e non lasciare iniziativa a singoli Stati. Qualche giorno fa Laura Boldrini, portavoce dell’Alto commissariato per i rifugiati, ha denunciato le pessime condizioni dei centri di accoglienza maltesi. Perché non si interviene?".

 

Resta convinto della necessità di rendere l’immigrazione clandestina un reato?

"Ho già chiesto ai capigruppo del Senato di mettere subito in calendario il disegno di legge per approvarlo con urgenza".

 

Secondo Silvio Berlusconi la vera emergenza sono le intercettazioni. Non è d’accordo?

"Alla Camera c’è il disegno di legge del governo e noi stiamo cercando di capire che cosa ha intenzione di fare il ministro Alfano. Siamo favorevoli alla sua approvazione con la precisazione che deve rimanere la possibilità di eseguire intercettazioni per i reati di mafia e per quelli contro la pubblica amministrazione".

 

Il premier vuole eliminare corruzione e concussione.

"Il provvedimento è stato approvato dal Consiglio dei ministri: questi reati ci sono e rimarranno".

 

Nessuna possibilità di modifica?

"Ascolteremo gli argomenti di Berlusconi, ma la posizione della Lega non è cambiata e non può cambiare. Anche perché non ce ne sarebbe motivo. Dobbiamo avere l’ambizione di lavorare nei prossimi cinque anni per un sistema più moderno efficace senza curarci delle polemiche fasulle e senza farci condizionare dalle convenienze o dalle contingenze".

 

Si riferisce a Berlusconi?

"Proprio no. Mi riferisco a chi gli sta intorno, a quei consiglieri che pensano di fare i suoi interessi, come è avvenuto con il provvedimento per la sospensione dei processi".

 

Nella lettera spedita al presidente Schifani è stato lo stesso presidente del Consiglio a rivendicarne la paternità della norma.

"Abbiamo la forza e i numeri per fare una riforma ambiziosa che renda la giustizia equa e utile per i cittadini: questo è il nostro obiettivo. Dobbiamo spoliticizzare quella piccola parte della magistratura che si muove per fini propri e mettere il resto in condizione di perseguire i reati. Sbaglia chi ritiene che dietro questo progetto ci siano chissà quali interessi o addirittura la P2. Noi abbiamo in mente la tutela dei cittadini, le intercettazioni sono soltanto un aspetto".

 

Quali sono gli altri?

"Separazione delle carriere, obbligatorietà dell’azione penale, giustizia civile. Io dico: superiamo le divisioni e lo scontro con le toghe eliminando l’aspetto punitivo e recuperando una collaborazione fra poteri".

Giustizia: Dule e Nicola, due drammi di malasanità in carcere

di Angiolo Marroni (Garante dei diritti dei detenuti del Lazio)

 

Il Manifesto, 1 settembre 2008

 

Si chiamava Dule, era un detenuto albanese di 41 anni del carcere di Regina Coeli che fra sette mesi avrebbe riacquistato la libertà. Dule, colpito da un tumore, è morto l’8 marzo scorso nel Centro Clinico del carcere mentre attendeva invano che le autorità decidessero sulle richieste di scontare i pochi mesi di pena residua a casa, visto il progressivo peggioramento della sua salute.

Dule (che aveva una figlia di 6 anni e conviveva con una donna, con cui aveva regolari colloqui e che ha saputo del decesso del compagno dagli operatori del carcere) era stato trasferito a Regina Coeli dal carcere di Velletri lo scorso maggio e, in poco più di 3 mesi, aveva sostenuto quattro visite mediche specialistiche e presentato due istanze di detenzione domiciliare per motivi di salute. Al momento della sua morte, non risultavano fissate udienze per discutere di queste istanze.

Nato a Valona nel 1967, era arrivato in Italia nel 1991 da regolare. Dopo aver lavorato come operaio edile al Nord, era arrivato a Roma nel 1996: arrestato per reati legati alla droga, era stato condannato a 5 anni e mezzo di carcere, con fine pena a marzo 2009. Dopo un primo periodo di detenzione a Civitavecchia, dove lavorava per contribuire a mantenere la famiglia, era stato trasferito a Velletri. Qui, lo scorso aprile, il tribunale di sorveglianza aveva rigettato una sua richiesta di differimento pena per motivi di salute in base a una relazione firmata dalla direzione sanitaria del carcere che aveva giudicato la sua patologia (un melanoma maligno nodulare in regione toracica trattato con interferone) compatibile con il regime carcerario.

Il 18 agosto un altro detenuto nelle carceri del Lazio malato di epatite C e Hiv - un italiano di 47 anni, Nicola G. - era morto all’ospedale di Civitacastellana proprio mentre il Tribunale della libertà concedeva il differimento della pena per le sue gravi condizioni di salute. Nicola, attraverso i suoi avvocati, aveva chiesto questa misura a giugno, i giudici avevano chiesto alla direzione del carcere una relazione medica fissando, per il 19 settembre, l’udienza per decidere sull’istanza. Il 13 agosto scorso, cinque giorni prima di morire, Nicola peggiora e viene ricoverato all’ospedale "Sandro Pertini", poi viene trasferito all’ospedale "Belcolle" di Viterbo, dove arriva in coma. Muore il 18 agosto all’ospedale di Civitacastellana, proprio quando il Tribunale, di fronte al peggioramento delle sue condizioni di salute, finalmente aveva deciso di differire la pena.

Trovo incredibile che malati che versano in queste condizioni non abbiano avuto risposte immediate alle loro richieste di trascorrere serenamente in casa gli ultimi mesi di vita, quasi che le patologie gravi non siano elementi da valutare con urgenza. Una vicenda ancor più grave se si considera che questi due uomini, date anche le loro condizioni di salute, non erano in condizioni di poter essere pericolosi per la società. Queste due terribili storie confermano come i tempi della giustizia siano ancora drammaticamente più lunghi di quelli delle malattie.

Giustizia: quando fantasia e creatività oltrepassano le sbarre

di Francesco Gallo

 

Il Denaro, 1 settembre 2008

 

L’arte serve alla contemplazione, ma la contemplazione è una funzione del pensiero e il pensiero è l’espressione più alta della vita, di cui la libertà è la forma per eccellenza senza di cui il pensiero si riduce ad una sconnessione della parola, dell’immagine, del gesto, d’essere manifestazione vera che corrisponde al sentire ed al volere dell’etica e dell’estetica che governa ogni pensiero complesso, che non sia solo il riflesso di pensieri, primari ed elementari, ma anche di procedure fantastiche che vanno oltre il reale e si rifanno ai desideri, a quelli che Agnes Heller ha chiamato i "bisogni radicali" di tutti noi, che non corrispondono ai bisogni materiali.

Molta arte, principalmente poesia, narrativa, ma anche disegni e soprattutto tante poetiche sono nate in carcere, imparando ad usare le armi della simulazione e della dissimulazione, per difendersi dallo schiacciamento e dalla sostanziale morte; voglio ricordare il corpus di disegni di Anton Zoran Music, fatti nel campo di sterminio nazista, i quaderni del carcere di Antonio Gramsci, i romanzi di Alexander Solgenitsin, ma anche tanta poesia di Erza Pound, scritta in una gogna a Pisa.

Presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino (fino al 12 ottobre 2008) ecco allora artisti come Yung Ho Chang che fa della cella la misura del corpo umano e del corpo umano la misura della cella, Ines & Eyal Weizman che hanno pensato a San Paolo, a Jean Genet, ad Antonio Gramsci, con una vera e propria biblioteca di letture e opere nate nel carcere, a testimonianza che l’oppressione del corpo può rimanere lontana dalla mente, come hanno testimoniato sia Bernardino Telesio che Tommaso Campanella, mentre Alexander Brodsky ha trasformato la cella in un set teatrale, dove la fantasia può inventare e creare altri mondi, anche se il corpo è recluso. You Prison, nasce dalla richiesta ad architetti di proporre cubicoli carcerari, essenziali a riprodurre la vita materiale e per quello che è possibile mentale del detenuto, in un ambito di repressione inteso come altro volto della normalità e persino dell’economia ordinaria della società.

Nessun progetto esecutivo è venuto fuori da questa idea propositiva di Francesco Bonami, bensì tante riflessioni legate al concetto di sorveglianza, con tutto quello che essa significa in termini di sottrazione dell’individuo da se stesso, in termini di identità e personalità, partendo dalla circolarità di tutto il reale, registrato da telecamere, carte di credito, tracciati di telefonini, alla spazialità specifica di un reclusorio, dove tutto è realistico e alienante. In questa escursione si sono situate le operazioni sociologiche di Anna Miljacki e di Marco Navarra, che hanno indagato tra il macro e il micro, del rapporto tra spazio e libertà, nel senso del maltrattamento implicito nella condanna.

Sul versante video, legato all’aspetto attuale dell’informazione, come alienazione del reale insita nell’entità della pena, giusta o ingiusta che sia, che deve rieducare, perché altrimenti manda in circolazione, al fine pena, o frustrati destinati al crimine, all’emarginazione, al suicidio, oppure "laureati" del crimine, che metteranno a frutto quanto imparato a memoria, richiamando l’attenzione sulla responsabilità dell’architettura e dell’arte, che si deve a sua volta difendere da aggressioni di ogni genere, ma deve positivamente essere emblema di Dedalo, che deve superare il suo stesso ingegno del labirinto, con nobili ali, senza finire nell’accesso del calore del sole, fonte di vita ma anche di morte.

Catanzaro: violentato dai compagni, punito con l’isolamento

di Maurizio Mequio

 

Liberazione, 1 settembre 2008

 

Un incubo infernale: stuprato, picchiato e messo in isolamento. È omosessuale e ha l’Aids. Quaranta anni, calabrese e una fragilità di cristallo. Orfano di tutti e due i genitori, si ritrova in una cella a Catanzaro, senza aver subito un processo, senza una condanna. Reo di aver tentato di rubare un tubo di rame in un’azienda. Ha subito dichiarato la sua omosessualità, la sua sieropositività: la prigione gli ha risposto con un muro di indifferenza e cattiveria.

A denunciare la storia al ministro Alfano è stato ieri Franco Corbelli, presidente del Movimento diritti civili: "Purtroppo in Calabria non esiste un garante, è un anno e mezzo che aspettiamo che qualcosa si muova. Ma non accade niente. Il mio numero è stato dato al ragazzo da altri detenuti. Quando è stato messo agli arresti domiciliari, dieci giorni fa, mi ha subito chiamato. Prima non ha potuto in nessun modo far sentire la sua voce. Era disperato.

La sua è una vita spezzata. Una vergogna: questa persona non sarebbe nemmeno dovuta entrare in prigione. Poi l’errore più grave, quello di non tutelarlo. Di non assegnarlo a una sezione "sensibile". Un’odissea lancinante, fatta di torture e violenze di ogni genere.

"È entrato a giugno", racconta Corbelli. "Prima era solo in stanza, poi l’ha divisa con un detenuto. Qualche presa in giro, qualche toccatina, delle minacce, fino a luglio, all’aggressione subita nell’ora d’aria. Erano sei, forse sette. Sono entrati nella cella in un momento di caos, lo hanno messo faccia al muro e da dietro hanno ripetutamente abusato di lui".

Il ragazzo ha detto di avere l’Aids ed è stato l’inferno. Gli altri detenuti lo hanno malmenato. "Dalle violenze subite al provvedimento che avrebbe dovuto tutelare il ragazzo sono passati tre giorni. Tre giorni con gli altri detenuti in preda a una psicosi dovuta alla paura di aver contratto la malattia. Poi l’isolamento, un mese di isolamento.

Dal 7 luglio al 6 agosto. Senza acqua e con topi e scarafaggi che gli camminavano addosso. Lo hanno punito, invece di aiutarlo". In seguito lo hanno trasferito in un carcere siciliano: "Lo hanno sbattuto in un braccio con detenuti condannati per reati sessuali. Resta in questo reparto per tre giorni, finché si accorgono del caso e lo mettono nuovamente in isolamento. Questa volta per pochi giorni. Infine il ritorno nella struttura di Catanzaro, dove è rimasto fino alla concessione dei domiciliari".

Il processo sarà a settembre, il giovane dice che "non ha senso la sua esistenza": quando era rinchiuso avrebbe mostrato dei potenziali istinti suicidi, ora avrebbe realmente pensato di togliersi la vita. "Le istituzioni hanno il dovere di intervenire", riprende il responsabile del Movimento dei diritti civili. "Che lo venissero a trovare! Questa persona è stata abbandonata, ha un grande bisogno di essere tranquillizzata. Occorrerà riaffermare la sua dignità di essere umano".

Aurelio Mancuso, presidente dell’Arcigay ha definito "orribile" l’accaduto: "Purtroppo il sistema carcerario non è preparato ad avere una serie di protezioni per gli omosessuali. Le trans spesso vengono messe in appositi bracci, dove alle volte finiscono anche alcuni gay, ma occorrono maggiori tutele. Facciamo assistenza legale ai detenuti, ma ammetto che entrare nelle carceri è molto difficile.

Chiediamo da anni un protocollo tra gay e istituzione carceraria, ma non abbiamo mai ottenuto risposte. Inoltre sembra non esserci alcun interesse sulla prevenzione delle malattie in questi luoghi e, nel caso dei malati di Hiv, abbiamo raccolto diverse lamentele sulla mancanza di assistenza e sui ritardi di consegna delle terapie".

Solidarietà al ragazzo da parte di Vladimir Luxuria, che commenta: "Ha subito violenze perché omosessuale e perché sieropositivo. È stato vittima di omosessualità coatta, non ha potuto proteggersi, non ha potuto chiedere il preservativo e è stato picchiato anche per questo. Per essere stato violentato. L’omofobia continua a essere un’emergenza, ma non è stata affrontata dal governo con il pacchetto sicurezza. Noi non facciamo parte di quelli che devono essere più sicuri".

L’associazione Anlaids non ha una sede in Calabria, Tullio Prestileo, coordinatore della sede siciliana spiega: "Solitamente nelle carceri c’è una buona gestione dei pazienti. In cella si tende a mettere insieme i pazienti con la stessa malattia. Se ne fanno richiesta. Dove c’è collaborazione con i reparti di malattie infettive degli ospedali, le visite hanno una cadenza settimanale. In Sicilia, lo scorso anno, abbiamo anche tenuto dei corsi di aggiornamento professionale per le guardie carcerarie.

Questa storia fortunatamente è un caso isolato. Per lo meno per quanto concerne le violenze sui sieropositivi". E sulla sorte degli altri detenuti: "Sul piano teorico non dovrebbero essere sottoposti a test se non su loro specifica richiesta. È la legge n°135 del 1990 che lo impone. Se lo faranno dovranno essere assistiti nel migliore dei modi. Credo che le psicosi collettive si gestiscano anche grazie al rispetto della privacy".

Sulmona: in soli 15 giorni due tentati suicidi e un’aggressione

 

www.primadanoi.it, 1 settembre 2008

 

Da quando l’ex presidente della Regione Ottaviano Del Turco ha lasciato il carcere di Sulmona nessun parlamentare italiano ha più fatto ispezioni all’interno del penitenziario. Eppure lì la vita scorre ma non tranquilla.

Ieri si è verificato un incidente al secondo piano della sezione penale del supercarcere. Un detenuto ha fatto esplodere una bombola di gas, quelle che si usano in campeggio, tenuta in cella per cucinare.

Ma ieri l’uomo ne ha fatto un altro uso: l’ha scaraventata contro quattro agenti di polizia penitenziaria entrati per calmarlo, poiché manifestava evidenti segni di ebbrezza. Tre poliziotti, rimasti leggermente feriti dalle fiamme, sono stati medicati all’ospedale di Sulmona e subito dimessi.

Sull’episodio la direzione del carcere ha aperto un’inchiesta interna. Il responsabile del gesto è recluso in una sezione dove ai detenuti è permesso acquistare bevande alcoliche presso lo spaccio interno: il regolamento carcerario italiano consente, di norma, un consumo giornaliero di non oltre mezzo litro di vino o non più di un litro di birra.

Da quanto si è appreso, il detenuto avrebbe chiesto un’ulteriore dose dell’ansiolitico di cui fa uso normalmente, che però gli sarebbe stata negata per questioni precauzionali, in quanto aveva già avuto la sua quantità quotidiana. A quel punto avrebbe reagito scagliando contro gli agenti la bomboletta che alimentava un fornellino a gas, in quel momento acceso.

Anche nei giorni scorsi non sono mancati episodi gravi, (che sono stati resi noti solo sabato): due collaboratori di giustizia hanno tentato il suicidio ingerendo dosi elevate di medicinale, ma sono stati salvati dagli agenti di polizia penitenziaria e ricoverati nell’infermeria del carcere rispettivamente per tre giorni e un giorno.

I fatti sono avvenuti uno a Ferragosto e l’altro il 18 successivo. I due sono poi tornati nelle rispettive celle e vengono controllati a vista. Secondo quanto si è appreso, i due detenuti sono entrambi campani e sono reclusi in celle separate, nello stesso reparto riservato ai collaboratori di giustizia, nel quale ve ne sono in tutto nove. I due hanno ingerito le pasticche che il medico del carcere consegna tutti i giorni per curare stati depressivi. Anziché prenderle giornalmente, le avrebbero accumulate, ingerendole tutte insieme.

Ed è ancora nella bufera l’agente "destinato ad altra mansione" perché accusato di aver avuto un comportamento fuori dalle regole durante la detenzione di Del Turco. L’uomo avrebbe portato un caffè e due bottiglie d’acqua a Ottaviano Del Turco durante la sua detenzione in un orario non consentito. Lui si è difeso sostenendo di aver avuto un comportamento corretto. "Ho solo avuto un contatto telefonico con il nostro delegato che opera come agente di polizia penitenziaria all’interno del carcere di Sulmona", ha detto Gennaro D’Alia, segretario del sindacato autonomo polizia Penitenziaria. "Mi riservo, nei modi e nei termini previsti, di approfondire la questione che lo ha portato a fare una comunicazione autonoma a nome del sindacato senza interpellarci".

 

Dal 2003 si sono tolti la vita 6 detenuti

 

Un carcere di massima sicurezza dove al rigore delle norme i detenuti trovano anche un grande senso di umanità. Un luogo dove si lavora, si studia e si paga il debito dovuto alla società sotto il segno della riabilitazione della persona. Un istituto di pena "modello" sul quale però pesa l’ombra di tanti suicidi "eccellenti".

Una lunga scia di sangue iniziata nel 2003 con la morte della direttrice del carcere di Sulmona che si uccise con un colpo di pistola alla tempia nell’alloggio di servizio della casa circondariale. Nel 2004, invece, fu Camillo Valentini, sindaco di Roccaraso a togliersi la vita.

Il supercarcere di via Lamaccio ospita circa 400 detenuti finiti in cella per reati pesanti come omicidi o condanne per associazione a delinquere di stampo mafioso. Fino al febbraio scorso era rinchiuso a Sulmona anche Giuseppe Salvatore Riina, figlio terzogenito del boss corleonese Totò.

La casa di pena, forse anche per la trasparenza con quale affronta gli eventi, positivi o negarivi, che accadono tra le sua mura è però salita spesso alla ribalta delle cronache a causa dei suicidi. Ben sei dal 2003 ad oggi. Il primo tragico evento che sconvolse l’opinione pubblica fu il suicidio di Armida Miserere, 44 anni, "una donna determinata che non indulgeva a chiacchiere", ma minata nell’intimo da un grande dolore: la perdita del suo compagno, un educatore del carcere di Opera, morto in un attentato.

Una separazione inaccettabile che la portò a premere il grilletto della pistola d’ordinanza il 13 aprile del 2003. Nell’arco dei due anni successivi si sono tolti la vita Diego Aleci, mafioso 41enne di Marsala; Francesco Di Piazza (58), del clan di Giovanni Brusca. Mentre il 16 agosto 2004 a suicidarsi fu il sindaco di Roccaraso, finito in carcere per concussione, Camillo Valentini. Una morte per soffocamento, provocata da un sacchetto di plastica serrato intorno al collo con un laccio delle scarpe da jogging.

Poi fu la volta di Guido Cercola, braccio destro di Pippo Calò e il pentito Nunzio Gallo, 28 anni, di Torre Annunziata (Napoli). L’ultimo a togliersi la vita nel carcere più grande d’Abruzzo è stato il pugliese Francesco Vedruccio (36 anni) trovato impiccato nel bagno con la cinta della sua tuta. Dopo l’ennesimo suicidio a Sulmona arrivò d’urgenza l’allora guardasigilli Roberto Castelli. Vennero valutati attentamente problemi, come il sovraffollamento di casi "difficili", (una quarantina i detenuti in regime di massima sicurezza), ma la direzione penitenziaria venne assolta dalle inchieste.

 

Petrilli: occorre prevenzione

 

"Le notizie che giungono dal supercarcere di Sulmona, sono allarmanti, nel giro di due mesi ci sono stati quattro tentativi di suicidio e prima che ritorni l’escalation dei suicidi degli anni scorsi, sarebbe il caso di intervenire preventivamente". Lo dice Giulio Petrilli dell’Associazione Diritti dei detenuti/e.

"Conosco molto bene il carcere di Sulmona in quanto negli ultimi anni l’ho visitato accompagnando diversi parlamentari (almeno quindici volte) e devo dire che ha sempre avuto una complessità estrema". Petrilli ricorda che vi sono rinchiusi quasi quattrocento detenuti. Sessantadue di loro sono ergastolani, 100 detenuti sono classificati come soggetti in difficoltà psichica, ci sono due sezioni con 100 detenuti sottoposti ad elevato indice di sorveglianza ed alta sicurezza, che vuol dire regimi di detenzione quasi simili al 41 bis.

Al piano terra c’è la casa lavoro, dove sono detenute persone che hanno scontato tanti anni di carcere, diversi hanno superato i trenta e si trovano reclusi a tempo pieno per provvedimenti di sicurezza, quindi in una situazione incredibile non a scontare la pena ma per forme preventive. Poi - prosegue - c’è una piccola sezione con i collaboratori di giustizia.

Questo quadro è sufficiente per capire l’enorme complessità di un carcere così e per questo io credo sia l’unico in Italia e non è sufficiente l’arrivo di un direttore come il dott. Romice che cerca di impegnarsi al meglio per risolvere queste situazioni. Le forze politiche abruzzesi, i parlamentari così come i consiglieri ed assessori regionali, devono visitare il carcere e devono richiedere urgentemente un incontro con il Ministro della giustizia Alfano chiedendo di rivedere la composizione detentiva del carcere di Sulmona". Per Petrilli, infine, "è inammissibile la presenza nello stesso carcere di cinque strutture e composizioni carcerarie completamente diverse una dall’altra, con complessità totalmente dissimili".

Sulmona: la medicina penitenziaria all’Asl, i medici preoccupati

 

Il Centro, 1 settembre 2008

 

"La sanità all’interno del carcere: una situazione molto critica che potrebbe diventare ancora più delicata già dal prossimo mese di ottobre". A lanciare l’allarme è il responsabile del settore medico della struttura penitenziaria di Sulmona, Fabio Federico, che punta il dito sulle novità in arrivo.

"Stiamo cercando di sopperire alle carenze strutturali e di personale con grande spirito di sacrificio", sottolinea Fabio Federico, "lo abbiamo fatto da sempre. Non so se il personale sarà disposto a farlo dal prossimo mese quando non avrà più lo stipendio assicurato". Fino ad oggi è stata l’amministrazione penitenziaria a elargire il giusto compenso agli operatori medici del carcere. Dal mese di ottobre dovrà provvedere direttamente la Asl.

E le preoccupazioni dei medici e degli infermieri sono evidenti, amplificate anche dalla situazione che sta attraversando la sanità regionale. "I soldi destinati a chi lavora nelle carceri sono stati inglobati nel resto del calderone della sanità regionale", sottolinea Federico, "e con l’aria che tira non si sa cosa succederà sia per quanto riguarda gli stipendi sia per la fornitura dei medicinali e di tutte le altre necessità". Inoltre la responsabilità del delicato settore medico sarà affidato a un dirigente sanitario esterno, individuato dalla direzione generale della Asl.

Lecce: rissa con ferito; nuovo episodio di violenza nel carcere

 

Asca, 1 settembre 2008

 

Appare senza via d’uscita l’emergenza nel penitenziario di Borgo San Nicola. I disagi in cui riversa ormai da tempo il carcere di Lecce hanno innescato negli ultimi tempi un innalzamento della tensione tra i detenuti sfociata molto spesso in risse sedate a fatica dagli agenti di polizia penitenziaria. Sabato mattina, durante l’ora d’aria, l’ennesimo intervento per dividere due opposte fazioni. Gruppi rivali di napoletani e leccesi si sarebbero fronteggiati. Una rissa, nata a quanto pare, per determinare le gerarchie all’interno delle celle.

Durante la gazzarra, un detenuto partenopeo è stato colpito in pieno volto con un’arma rudimentale subendo una ferita allo zigomo sinistro. Dopo le prime medicazioni prestate in infermeria, si è reso necessario il trasporto del detenuto all’ospedale "Vito Fazzi". La ferita guarirà in una decina di giorni. Dieci aggressioni in tre mesi, oltre venti agenti rimasti feriti, risse continue tra i carcerati. All’interno del carcere di Borgo San Nicola, la tensione rimane alta.

Ad arroventare un clima già estremamente surriscaldato le carenze denunciate dal personale sanitario, con un solo infermiere a dover fronteggiare una massa di 1200 detenuti. Il Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, nei giorni scorsi ha presentato un esposto in Procura per una prima richiesta di intervento della magistratura in merito alla situazione della sanità a Borgo San Nicola, giudicata a dir poco esplosiva da chi lavora a stretto contatto con i detenuti.

Il fuoco delle polemiche è stato alimentato nei giorni scorsi anche dal sindacato della Uil che in una nota ha rimarcato come i "berretti azzurri" siano costretti a convivere con ataviche lagnanze: in un rapporto di 440 detenuti, capienza massima del penitenziario, sui 1200 effettivi, segnalano la mancanza di un impianto di condizionamento, garanzie sulla loro sicurezza, l’assenza di acqua e la latitanza delle istituzioni.

Padova: "panettone di Ferragosto", record al Meeting di Rimini

 

www.padovanews.it, 1 settembre 2008

 

In un meeting di Rimini dai grandi numeri (ci si avvia a un’ennesima performance di presenze) c’è un ulteriore piccolo grande record: la quantità di panettone distribuita. Non è un errore. Panettone, non piadina.

Sì, perché anche se non è ancora terminato il terzo giorno della manifestazione, nello stand della mostra "Libertà va cercando ch’è sì cara - Vigilando redimere", dedicata a testimonianze dal mondo del carcere, fino ad oggi sono stati distribuiti oltre mille chilogrammi del dolce ormai non più solo natalizio, per un totale di 25mila assaggi. E si prevede che per la fine della manifestazione saranno oltre tre le tonnellate e 75mila gli spuntini.

A benedire questa eresia mangereccia - impossibile fino ad oggi pensare un panettone lontano da presepio e addobbi natalizi - un fuoriclasse della gastronomia nazionale, il Gastronauta di Radio24 Davide Paolini, accolto da un suo degno collega, Paolo Massobrio, ideatore e presidente del Club Papillon.

Forse potrà non essere del tutto intuitivo il legame tra carcere e ferragosto, tra panettoni e Meeting. Il fatto è che la mostra sulla detenzione, forse la più affollata di questa edizione della rassegna, nasce, tra le altre di rilevanza internazionale, da un’esperienza unica in Italia, la pasticceria del carcere Due Palazzi di Padova, uno degli otto laboratori attivati nella casa di reclusione veneta dal consorzio Rebus di Padova, a cui fanno capo le cooperative Giotto Work Crossing. I detenuti pasticceri, regolarmente assunti dal consorzio, sfornano dolci in continuazione - celebre, oltre al panettone, anche la colomba pasquale in più versioni - e così si preparano a un reinserimento "morbido" nel mondo esterno. Da Padova la pasticceria ha creato una dependance nella fiera riminese e così al termine della mostra, i visitatori ricevono gli assaggi dei dolci appena sfornati.

L’occasione è stata così "cavalcata" da Davide Paolini, per rilanciare un suo vecchio pallino, il panettone a Ferragosto. Un’idea geniale, ma che fino ad oggi non era riuscita a sfondare al di là degli aficionados del grande critico. "Cosa del tutto comprensibile, d’altra parte", spiega Nicola Boscoletto, presidente del consorzio di cooperative padovano. "Non si mette facilmente in discussione una storia plurisecolare. Però questa volta ci siamo riusciti. E, in coda alle Olimpiadi appena concluse, abbiamo vinto per ko la medaglia d’oro più importante, altro che Phelps! La medaglia del miglior panettone di Ferragosto. E questo i cinesi non riusciranno a portarcelo via ai punti o a copiarlo..."

L’entusiasmo dell’imprenditore è più che giustificato. Grazie alla collaborazione con il Meeting di Rimini, le adesioni sono giunte a centinaia, soprattutto da parte di pasticcerie e piccoli laboratori artigianali. A Milano Marittima addirittura in questi giorni si è tenuto il "Panettone a Ferragosto Day". Per la soddisfazione di Paolini, che ieri ha visitato la mostra soffermandosi a lungo sulle immagini e i racconti provenienti da tutto il mondo e poi, dopo essersi intrattenuto con gli emozionati pasticceri, si è trasferito nel Caffè Pedrocchi ricostruito in scala reale del padiglione B3.

Qui il panettone ferragostano ha ricevuto la definitiva consacrazione, grazie al Club Sandwich di panettone al branzino ideato dallo chef del Caffè Lorenzo Chillon e al panettone con sorbetto al gusto malaga, per concludere con il "Pedrocchi", un caffè al gusto di menta con panna e altri ingredienti segreti, pezzo forte del locale storico capitanato da Federico Menetto.

Un successo insomma che probabilmente lo stesso Paolini non si aspettava, visto che, ha confessato, la puntata riminese è stato una giornata fuori programma che ha interrotto le sua vacanze in Sardegna. Ora il consorzio, assieme ad altre realtà del privato sociale, si prepara a varare un nuovo progetto che abbina bello e buono, il "Paniere della bontà", che, sempre con la benedizione di Massobrio e Paolini, lancerà in un’unica offerta i prodotti del carcere padovano, i vini romagnoli di San Patrignano, il cioccolato e la birra dei ragazzi torinesi della Piazza dei Mestieri, le marmellate rigorosamente artigianali delle monache trappiste di Vitorchiano, in Lazio. Perfino la scatola che li contiene ha significato: è ideata dall’Associazione Cometa, impegnata nell’accoglienza, nell’educazione di minori e nel sostegno alle famiglie.

Diritti: un avvocato per seguire i casi dei minori fuori famiglia

 

Dire, 1 settembre 2008

 

Proposta contenuta nella Carta dei diritti redatta dall’associazione. L’obiettivo: rompere il "circolo infinito" degli affidi e permettere l’adozione in tempi più brevi. Tra gli altri diritti: non essere separati dai fratelli.

Una Carta dei diritti per i minori in affidamento oppure che vivono in comunità o in istituti. A proporla è l’associazione Amici dei bambini (Aibi), a conclusione del convegno di Cervia (in provincia di Ravenna) "Legàmi, il mito della famiglia di origine" organizzato in collaborazione con il ministero degli Affari esteri, a cui hanno partecipato psicologi, sociologi, assistenti sociali e legali provenienti un po’ da tutta Italia. Il fulcro della proposta sta nella nomina di un avvocato che segua il caso del minore fin dal momento in cui viene allontanato dalla famiglia naturale. Compito dell’avvocato sarà quello di diminuire i tempi di permanenza dei ragazzini nella categoria di "minore fuori famiglia", per far sì che il bambino stia solo temporaneamente nelle strutture di accoglienza e sia accolto il prima possibile da una nuova famiglia.

Altro diritto è la definizione chiara dello stato di abbandono, che permette di rendere esigibile il diritto del minore a essere adottato per rompere il circolo infinito degli affidi e dell’assistenza in strutture residenziali. "Gli affidamenti familiari che si protraggono per anni, fino a quando i ragazzini diventano maggiorenni, costituiscono delle vere e proprie adozioni mascherate senza però averne tutti i benefici", ha commentato Leonardo Luzzatto, presidente del Centro aiuto adozione di Roma. Di altro avviso Donata Nova Micucci, presidente dell’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, che ha sostenuto invece come l’affido sia "lo strumento più adeguato a rispondere al bisogno del minore di vivere con una famiglia senza perdere al contempo i rapporti affettivi con i genitori biologici".

Tra gli altri diritti enunciati dalla carta c’è poi quello a non essere separato da fratelli e sorelle, il diritto a essere seguito anche da un tutore, da un’équipe di psicologi e assistenti sociali e da un’associazione, oltre al diritto al risarcimento del danno esistenziale per il minore che non vede garantito il diritto alla famiglia e alla creazione di strumenti di informatizzazione comuni ai servizi minorili, amministrativi e giudiziari per far conoscere lo status di bambini "fuori famiglia" nel rispetto della legge sulla privacy. La "Carta dei diritti del minore fuori famiglia" pensata dall’Aibi, ha sottolineato Benedetta Ammassari, si propone di "stimolare nuovi orientamenti legislativi e politici per garantire il diritto alla famiglia per quei 34 mila minori che in Italia vivono senza stabili relazioni di parentela".

Diritti: Telefono Arcobaleno; censiti 30mila siti pedopornografici

 

Vita, 1 settembre 2008

 

Oltre 30mila siti internet a contenuto pedo-pornografico denunciati da Telefono Arcobaleno nei primi otto mesi del 2008, con un incremento del 40% rispetto allo stesso periodo del 2007, che già presentava un dato record. In media l’Organizzazione, da dodici anni in prima linea nel contrasto internazionale della pedofilia on-line, ha segnalato 3.790 siti al mese, 875 siti alla settimana, 125 siti al giorno. Con punte che hanno sfiorato i 5.000 siti in un mese e superato i 300 in un giorno.

"Solo nel mese di agosto" dichiara il presidente Giovanni Arena, "Telefono Arcobaleno ha presentato 4.125 denunce in tutto il mondo, qualcosa è cambiato nella particolare geografia dei siti pedofili: al di sotto della prima posizione, nella quale si conferma ancora una volta la Germania, si colloca la Cina, vera e propria novità nello scenario della pedofilia on-line, segno che la massiccia presenza internazionale in quel Paese, in occasione dello svolgimento dei Giochi Olimpici, ha imposto l’apertura delle maglie della censura della rete internet."

"Nulla purtroppo è cambiato," sottolinea Giovanni Arena "sul fronte del pedo-business, che pare una macchina inarrestabile e che si conferma come l’unico settore della new economy che non ha minimamente risentito della crisi e anzi procede con tassi di sviluppo da capogiro. Sistematica è la qualificazione e la differenziazione dell’offerta, continua è l’immissione nel mercato di nuovi visi e nuovi corpi, massiva è l’utilizzazione di ogni possibile risorsa di promozione diretta e indiretta realizzando piani di marketing da far invidia alle più blasonate multinazionali. Ormai la promozione pedofila si dissimula in ogni modo possibile e ha contaminato moltissime comunità, gruppi e bacheche nate magari per scopi e con contenuti del tutto estranei alla pedofilia."

Sono questi alcuni dei dati, tutti formalmente documentati, che emergono dal report mensile presentato oggi dall’Osservatorio Internazionale sulla pedofilia on-line di Telefono Arcobaleno, dati che invitano ad una riflessione attenta sull’evoluzione continua della pedofilia in internet e sul ruolo che ciascun soggetto (legislatore, istituzioni, polizie, provider, ong) è chiamato a svolgere per porre sotto controllo questo fenomeno, con particolare attenzione a evitare ritardi, latenze, omissioni, indecisioni, inerzie, i cui costi per le bambine e i bambini coinvolti sono ancora tanto alti da risultare realmente incalcolabili.

Il report di Telefono Arcobaleno riguarda esclusivamente i siti con espliciti contenuti e materiali pedofili e pedo-pornografici che sono segnalati a Interpol e polizie nazionali, secondo le rispettive competenze, e sono resi immediatamente disponibili all’Autorità giudiziaria italiana e al N.I.T. (Nucleo Investigativo Telematico), che ha accesso al database delle segnalazioni di Telefono Arcobaleno.

Diritti: lettera di Beppe Battaglia; ancora sugli incidenti stradali

 

Ristretti Orizzonti, 1 settembre 2008

 

Una carneficina che supera di gran lunga gli omicidi della delinquenza eppure non riscuote alcuna attenzione seria da parte dei "difensori della sicurezza".

Dall’inchiesta di Enrico Bonerandi e Michele Serra (Repubblica del 15 agosto, pagg. 1, 25, 26, 27) emerge per l’ennesima volta un quadro tragico. I dati completi si riferiscono all’anno 2006: 238.124 incidenti; 5.669 morti; 332.955 feriti; 1 milione di accessi al pronto soccorso;

15.000 invalidi permanenti.

Una media di 652 incidenti; 16 morti e 912 feriti ogni santo giorno, di cui solo il 2% causati da persone in preda all’alcol e alle droghe (eccola la famigerata "percezione", quella che consente di prendere in giro tutti). Un bilancio che richiederebbe sì la massima attenzione da parte di quanti hanno cavalcato il tema della "sicurezza" per finire poi col fare la guerra ai poveri chiedendo manforte ai sindaci-sceriffi che si sono affrettati a produrre ordinanze su ordinanze con multe e divieti i più incredibili.

Fino a prova del contrario, i lavavetri, i barboni, gli accattoni, i cercatori di cibo nei cassonetti della spazzatura, le prostitute, i vagabondi, i fumatori che buttano le cicche per le strade, i dispensatori di briciole ai piccioni, le coppiette che si scambiano un bacio nella loro auto, i fissati dei piercing nelle parti intime, l’uso delle panchine nei giardini pubblici dopo le 23,30, i massaggiatori sulle spiagge, non hanno ammazzato mai nessuno! Indicare queste persone come trasgressori della "sicurezza urbana", è solo un’offesa all’intelligenza umana. Un’offesa gratuita e profondamente immorale, al limite del disumano. Volgarità politiche che suscitano, peraltro, perversioni asociali mascherate di civilismo tronfio e misantropia crescente, oltre che solitudini crudeli. La follia lucida, insomma, ora si chiama "sicurezza"!

Mentre la carneficina autentica dilaga in silenzio (o quasi) per le strade (non diversamente dai luoghi di lavoro!). Ma anche quando viene preso in esame questo tragico problema degli incidenti stradali, tutta la "fantasia creativa" si esaurisce in modo assillante sul controllo e le sanzioni (molti bilanci preventivi dei Comuni programmano la quantità di multe da rilevare per fare quadrare i conti). Per dirne solo una, le fanfare argute sulla "patente a punti" pare aver esaurito l’effetto deterrenza (attribuitogli gratuitamente) lasciando però un codone burocratico e un notevole business per le scuole guida, senza alcuna incidenza sui morti ammazzati tra le lamiere. Tutti i provvedimenti legislativi vertono sulla quantità di sanzioni amministrative, sulle punizioni, sugli effetti di un determinato fenomeno sociale libero di realizzarsi. L’occhio è sempre sulla cassa, sui soldi, su come sfondare letteralmente le tasche dei cittadini.

Dopodiché si può anche essere contenti di ammazzare e farsi ammazzare per le strade senza soluzione di continuità! Basta controllare e rilevare multe! Dove non bastano i corpi di polizia si può pensare anche all’esercito. Ma si tratta pur sempre di rilevare e sanzionare la trasgressione dopo che essa si è dispiegata, dopo che ha ucciso. Chissà come sarà contento il morto sapendo che chi l’ha ucciso è stato multato! E le cause? Su quelle è meglio non indagare troppo. Al massimo è sufficiente rilevare sociologicamente e con petulanza la maleducazione degli automobilisti, l’incoscienza, l’alcol, le droghe, la prepotenza. Come dire, la colpa è della natura umana!

Ma qualcuno potrebbe almeno interrogarsi su che senso ha costruire degli ordigni e metterli in strada fregandosene altamente di ciò che succederà. Che significa sfidare le leggi basilari della fisica inseguendo il mito tecnologico da un lato e dall’altro il business mercantile, tralasciando deliberatamente il fattore umano con tutte le sue variabili?

Infatti, non c’è più un’automobile, neppure le utilitarie, che non superino abbondantemente i limiti massimi di velocità consentiti dalla legge. Perché mai deve essere consentito ad un costruttore di automobili di produrre e vendere una mercanzia, la prestazione velocistica, che di fatto e per legge è inutilizzabile? Qualcuno sarebbe disposto ad andare al mercato, comprare un chilo di patate con l’impegno legale di non poter mangiare una parte del prodotto pagato? Invece con le auto (e le motociclette!) succede proprio questo: compro e pago per intero con tutte le sue caratteristiche una merce, le cui prestazioni non posso fruire per intero senza diventare un delinquente! Come dire: per l’acquirente ci sono regole da rispettare, per il produttore non ci sono limiti conformi a leggi circa l’utilizzo del prodotto acquistato.

Alcuni dicono che "dipende da come la usi" un’automobile (non diversamente dal computer, dal telefonino, dal televisore...). In realtà, secondo me, "dipende da come la fai" e perché la fai in quel modo piuttosto che in un altro. Non si può produrre una bomba a mano e poi sostenere che è una biglia per giocare a bocce perché intanto ha la "sicura". Non si può costruire un carro armato e poi sostenere che è un trattore perché "dipende da come lo usi"!

Altri potrebbero dire: ma tu sei per il ...lume a petrolio. E non è vero neppure questo giacché la tecnologia dovrebbe avere anche un’etica, dovrebbe badare a servire l’umanità non a distruggerla solo perché distruggendola si ricavano dei profitti.

Varrebbe la pena d’interrogarsi sulla causa per prevenire gli effetti di ogni ritrovato tecnologico piuttosto che inveire inutilmente contro la maleducazione. Gli ordigni che viaggiano sulle nostre strade hanno un sedile anatomico dietro il volante, il che significa che a sedersi sopra è un essere umano con tutte le sue pulsioni e stati d’animo per fortuna incontrollabili, e non una scheda programmata!

Naturalmente c’è una ragione per costruire ordigni con le sembianze di automobili. È il mercato, il business, i soldi. E c’è anche una ragione per sanzionare amministrativamente i trasgressori trascurando le cause prime: fa cassa anche la Pubblica Amministrazione. Peccato che né l’una, né l’altra vanno nella direzione di ridurre i morti e le disabilità permanenti. Si potrebbe dire che la morte dei tanti fa la fortuna dei pochi. Il primato è la cassa, l’umanità è solo un mezzo e come tale può anche perire! Alla faccia della "sicurezza"!

Eppure basterebbe poco per salvare ...capra e cavoli: imporre ai costruttori di produrre automobili (e motociclette) comprensive di un limitatore di velocità obbligatorio che in nessun caso consenta il superamento dei livelli massimi di velocità previsti per legge. Non si eliminerebbero i morti sulle strade ma sicuramente se ne ridurrebbe di molto la quantità. Un’ulteriore chance potrebbe essere consentita (approdando ad un nuovo tipo di business, per lo meno più sicuro): la possibilità di accedere a pagamento (per i fissati della velocità, o gli amanti della trasgressione) a circuiti locali dove poter rimuovere sotto controllo il limitatore di velocità, per reinserirlo - obbligatoriamente - all’uscita dalla pista.

Stupisce e indigna questa follia della "sicurezza" (che presuppone la fabbrica della paura) a tutti i costi (quindi anche al costo delle carneficine). Non c’è alcun decoro morale, politico ed amministrativo quando si spaccia per "sicurezza" la guerra ai poveri che è come rubare le caramelle ai bambini! Le ordinanze dei sindaci-sceriffo (che non temono il senso del ridicolo), non diversamente dal vassallaggio parlamentare che sostiene questa maggioranza governativa, sono il prodotto inverecondo della grettezza, un’opera da saltimbanco che non sa e non vuole affrontare la realtà quale essa è, preferendovi un’invenzione "fantasiosa" su cui focalizzare l’attenzione. Il resto lo fa …l’editoria dei media.

Questa degli incidenti stradali (non diversamente dalla carneficina nei luoghi di lavoro) è davvero una pagina penosa (coi media che inchiodano l’attenzione sul 2% degli autori di incidenti stradali - consumatori di alcol e droghe -, trascurando il 98%!).

Forse ciò che interessa i nuovi e vecchi padroni del vapore è proprio …l’ordine da cimitero. Succede così che il povero Pininfarina, dopo aver retto il mercato velocistico in tutta la sua vita, andando a lavorare di buon mattino, nel mese d’agosto, con un motorino, trova il suo epilogo proprio sulla strada, verso il cimitero...

 

Beppe Battaglia

Immigrazione: Papa; basta stragi, Europa accolga gli irregolari

di Orazio La Rocca

 

La Repubblica, 1 settembre 2008

 

Nuovo grido di "dolore" di papa Ratzinger - ieri alla domenicale preghiera dell’Angelus - per "le stragi in mare di immigrati in fuga da guerre, fame e malattie". Una "piaga" che, stando al monito di Benedetto XVI, "interroga le coscienze di tutti gli uomini di buona volontà", ma soprattutto dei governi "sia europei che dei paesi di provenienza" sollecitati a "varare efficaci politiche di salvaguardia e di accoglienza per tutte le popolazioni migranti, compresi anche irregolari e clandestini". Il Papa ha fatto espressamente riferimento ai 71 immigrati morti nei giorni scorsi nelle acque del Canale di Sicilia. Per i quali ha espresso "dolore e misericordia cristiana", invocando - con un esplicito pensiero rivolto anche ai "tanti immigrati che continuano ad arrivare" sulle coste italiane - "nuove politiche di accoglienza" da parte dei paesi della Ue. Quella stessa Europa che proprio ieri è stata severamente criticata proprio in materia di immigrazione da uno dei più stretti collaboratori di Ratzinger, l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio dei migranti e degli itineranti. Presentando alla Radio Vaticana il Congresso mondiale sugli zingari che si apre oggi a Frisinga, in Germania sotto l’egida vaticana - i lavori si concluderanno il 4 settembre - , monsignor Marchetto ha avvertito che "crescono nei paesi della Ue atteggiamenti razzistici e xenofobi contro nomadi ed immigrati", una vera e propria "piaga sociale" alla quale "la Chiesa dirà sempre no con tutte le sue forze".

Esortazioni e richiami che hanno trovato, sebbene indirettamente, piena legittimità nella preghiera papale pro-immigrati. "In queste ultime settimane - ha infatti ricordato Ratzinger parlando dal palazzo apostolico di Castel Gandolfo - la cronaca ha registrato l’aumento degli episodi di immigrazione irregolare dall’Africa. Non di rado, la traversata del Mediterraneo verso il continente europeo, visto come un approdo di speranza per sfuggire a situazioni avverse e spesso insostenibili, si trasforma in tragedia; quella avvenuta qualche giorno fa - con chiaro riferimento ai morti del Canale di Sicilia - sembra aver superato le precedenti per l’alto numero di vittime". Anche se "la migrazione è fenomeno presente fin dagli albori della storia dell’umanità", oggi "c’è una vera e propria emergenza" che - è il monito papale - "ci interpella e, mentre sollecita la nostra solidarietà, impone efficaci risposte politiche". Ma un forte richiamo Ratzinger lo dedica anche alle istanze legate alla "migrazione irregolare" per le quali - puntualizza - molte istituzioni "regionali, nazionali e internazionali già si stanno occupando: ad esse va il mio plauso e il mio incoraggiamento affinché continuino la loro meritevole azione con senso di responsabilità e spirito umanitario". Ma occorre fare di più, avverte il Papa, che accanto all’Europa chiama in causa anche "il senso di responsabilità dei paesi di origine degli immigrati, non solo perché si tratta di loro concittadini, ma in particolare per rimuovere le cause di migrazione irregolare, come pure per stroncare, alle radici, tutte le forme di criminalità ad essa collegate".

Immigrazione: gli sbarchi sono aumentati anche in Sardegna 

 

Dire, 1 settembre 2008

 

Dato aggiornato ad agosto. Il 90% lascia l’Isola già dopo pochissime settimane dall’arrivo. Il Sap chiede più uomini e mezzi per il centro di prima accoglienza di Elmas.

Lo scorso anno sono sbarcati sulle coste della Sardegna oltre 1.300 immigrati provenienti dall’Algeria. Quest’anno, contando tutto agosto, gli arrivi sono stati 1.223: in buona parte ospitati per qualche giorno nel Centro di prima accoglienza di Elmas, altri accolti in alcuni alberghi del litorale di Cagliari che hanno stipulato convenzioni con la Questura.

Ma il 90% degli immigrati lascia l’Isola già dopo pochissime settimane dall’arrivo. È quanto emerge dagli studi sui flussi in transito nella regione, presentato di recente in un convegno del Sindacato autonomo di polizia in collaborazione con l’Università di Cagliari. La maggior parte dei migranti, quasi l’80% di quelli che ricevono poi un decreto di espulsione, non arrivano con le barche o i mezzi di fortuna che salpano dalle coste africane, bensì riescono a raggiungere l’Italia da Senegal, Nigeria e dai paesi dell’Europa dell’Est, oltrepassando i controlli della frontiera.

Ai recenti rinforzi giunti per affrontare il fenomeno degli sbarchi tra Cagliari e il Sulcis, risponde il Sindacato autonomo di polizia (Sap) che chiede un potenziamento di uomini e mezzi, soprattutto dopo l’apertura del centro di prima accoglienza di Elmas e l’impegno anche di una quarantina di soldati per la vigilanza.

"Prima che fosse aperto il centro di Elmas - spiega Luca Piras, responsabile della onlus Senza Confine, "gli immigrati che sbarcano dall’Algeria lasciavano il territorio sardo nella stessa giornata in cui venivano identificati, oppure comunque entro un paio di giorni dopo essere stati fermati. Ora non è più così. Arrivano nel centro e, dopo l’identificazione, vengono spediti nei centri di permanenza e poi espulsi".

Dopo l’apertura della struttura nell’ex caserma dell’aeronautica di Elmas, è cresciuto il confronto tra le varie realtà che operano nel mondo dell’immigrazione: dai medici impegnati già dalle prime fasi con visite mediche sui clandestini recuperati, alle varie sigle del volontariato che poi si occupano dell’accoglienza e del sostentamento di chi ne ha bisogno.

"Servono uomini e soprattutto mezzi per affrontare questi fenomeni - chiarisce Daniele Sechi, segretario regionale del Sap - superata la fase dell’emergenza, resta la necessità di dotare le forze di polizia di strumenti idonei per questi delicati interventi. Dotazioni che potrebbero migliorare anche la capacità di vigilare e prevenire eventuali presenze della criminalità". Indispensabile, infine, l’impegno dei servizi sociali del comune e della Caritas diocesana che gestisce, tra le altre cose, anche la mensa e i dormitori di viale Sant’Ignazio a cui si rivolgono ogni giorno decine di persone che vivono o transitano per la città. L’analisi sull’ultima ondata di immigrazione proveniente dall’Algeria è stata studiata da Cristina Cabras, docente di Psicologia giuridica e criminologia dell’università di Cagliari.

Droghe: il ministro Meloni; chi s’impasticca "è un mezzo fallito"

 

Notiziario Aduc, 1 settembre 2008

 

"Chi non si droga è il vero anticonformista, è il vero ribelle alla melassa del caliamoci e via. E questi sono la maggioranza di una generazione": così il Ministro della gioventù, Giorgia Meloni, in un’intervista al Giornale commenta il rischio-droga fra i giovani. Una "vera emergenza" sottolinea il ministro, che afferma di parlare con cognizione di causa, vista la sua età (30 anni) e quella dei suoi amici.

"La mia, la nostra, è la generazione dell’insicurezza strutturale" dice, e spiega: "è l’assenza di qualsiasi certezza che espone i giovani alla tentazione dell’evasione perenne". Facile, quindi, passare dall’insicurezza alle pasticche, e per questo "è vitale far capire ai ragazzi che chi si impasticca dalla mattina alla sera è uno sfigato. Non è un vincente, ma un mezzo fallito". Il ministro afferma poi di credere molto nella "educazione alla cittadinanza", all’esempio. Cita il caso della madre che si è lanciata dal balcone col figlio in preda alle allucinazioni e che ora "è diventata la prima combattente contro le droghe" e quello della ragazza "che è finita in coma per una pasticca e ora gira le scuole a raccontare la sua storia".

Droghe: i primi dati dei "test" stradali; il 45% era fuori regola

 

Notiziario Aduc, 1 settembre 2008

 

Il 45% delle 31 persone controllate fino alle 2.00 nel centro del Dipartimento delle Dipendenze di Verona e in quello mobile di Peschiera del Garda è risultato positivo ai controlli anti alcol e droga estesi per la prima volta a livello nazionale dopo un anno di sperimentazione nel Veronese. Il 70% aveva assunto alcol prima di mettersi alla guida, un 30% droga o droga e alcol insieme.

Le sostanze stupefacenti più rappresentate sono risultate cocaina e derivati della cannabis. I primi risultati dei controlli sono in linea con il trend riscontrato l’anno precedente nel Veronese, quando un 47,5% delle persone fermate risultò positivo. Nel centro di Verona, il caso più eclatante nel corso della notte è stato quello di un automobilista fermato con 3,15 microgrammi per millilitro, quando il tasso consentito non può superare lo 0,5.

"Ai tre microgrammi si è praticamente in coma etilico - ha spiegato Giovanni Serpelloni, direttore del Centro politiche antidroga che dipende dal sottosegretario Carlo Giovanardi, presente durante le operazioni -. È un caso limite". Tra le persone che si sono viste la patente sospesa ed il mezzo sequestrato prevale la rassegnazione, ma qualcuno protesta vibratamente: "Ho bevuto solo una birra e un limoncello - spiega per esempio Mirko, fermato dopo una cena con la moglie in un ristorante - ed ora mi ritrovo qui".

C’è anche chi, però, come Fabio, 21 anni, esce soddisfatto, con libretto e patente in mano, dal tendone sotto il quale si attendono i responsi dei test: "Ero tranquillo, non avevo bevuto o fumato nulla".

Gran Bretagna: come Far West, diecimila sparatorie all’anno

di Francesca Marretta

 

Liberazione, 31 agosto 2008

 

Se cerchi una pistola per le strade di Londra o Manchester quasi certamente ti ritroverai per le mani una Baikal 8mm di fabbricazione russa modificata. Da almeno tre anni è l’arma che va per la maggiore nel sottobosco criminale del Regno Unito. Su ordinazione si può poi ottenere di tutto, pistole, fucili, mitragliatori. A quanto? Una pistola Webley costa 150 sterline, mentre un’automatica "pulita", ovvero mai usata, per esempio una Glick 9mm, è dieci volte più cara. "Ne trovi in circolazione almeno una per ogni zona malfamata nel paese, in ogni quartiere di Londra e anche di più a Manchester dove ci sono posti in cui la polizia non si avventura".

A parlare è una fonte coinvolta nel giro delle armi illegali in circolazione nel paese, citata dal Guardian. La ragione per cui la Baikal è il pezzo forte in mano alle gang e a chi fa soldi con il traffico di armi è che può essere acquistata per poco in Germania come pistola a gas, per poi essere modificata nel Regno Unito. La pistola viene comprata a sessanta euro "nel continente". Passata la Manica modificarla comporterà una spesa di trenta sterline. Grazie a qualche alterazione nella canna la stessa pistola è pronta a esplodere un proiettile da 9mm. Modificata costa tra le 700 e le 800 sterline. Le Baikal sono modificate a basso costo anche in Lituania e poi rivendute in Gran Bretagna.

Secondo il ministero dell’Interno britannico alcune armi modificate si possono acquistare addirittura a 50 sterline. Se ha già sparato, il valore di mercato di un’arma può diminuire notevolmente. David Dyson, consulente in materia di armamenti, ritiene che siano centinaia questo tipo di aggeggi di morte disponibili Gran Bretagna. Armi che a centinaia verrebbero regolarmente sequestrate dalla polizia. Per fornire un’idea più precisa del business delle armi modificate, vale la pena di citare il recentissimo caso di Grant Wilkinson, 34 anni, un uomo dall’aspetto normale, di quelli appesantiti da troppa birra che vedi dall’ora di pranzo al Pub, condannato all’ergastolo la settimana scorsa. Wilkinson aveva messo su una "fabbrichetta" in cui modificava vecchie armi che rivendeva senza problemi a numerosi acquirenti. "L’imprenditore" aveva acquistato in contanti 90 fucili Mac-10 (tipo quelli usati nella guerra del Vietnam e di scarsa precisione) nel 2004, dalla Sabre Defence Industries dicendo che le armi dovevano essere usate sul set del film di James Bond Casino Royale.

La stessa azienda aveva fornito armi per altri film del genere. Fucili trasformati da Wilkinson in mitragliatori a ripetizione automatica. Le armi, che costavano 500 sterline alla fonte, sono state rivendute modificate da Wilkinson per 2500 sterline a pezzo. Nella sua casa in un villaggio del Berkshire la polizia ha trovato i macchinari per fondere e tagliare il metallo e un vero e proprio arsenale. Arsenale che ha fornito armi risultate usate in nove casi di omicidio e almeno cinquantacinque sparatorie. Si tratta della punta di un iceberg. Perché i delitti che si consumano tra gang di malviventi non vengono denunciati.

Nonostante il raddoppio della pena per il reato di detenzione di armi, tra Inghilterra e Galles sono state registrate in un anno (marzo 2007-2008) 9803 sparatorie. A maggio il ministro dell’Interno Smith ha stanziato cinque milioni di sterline per contrastare i crimini commessi con armi e coltelli in alcune grandi città ad alto tasso di reati come Londra, Manchester e Liverpool. A gennaio il ministro aveva promesso di intervenire per regolare in via restrittiva il possesso di armi disattivate, che i collezionisti possono detenere legalmente. Armi suscettibili di modifiche che le rendono letali. L’omicidio del giovanissimo Rhys Jones, un ragazzino come tanti a cui piaceva giocare a pallone, freddato con un colpo di pistola nel parcheggio di un pub a Liverpool che un anno ha scioccato il paese, è stato probabilmente commesso con una Baikal modificata.

Anche se le statistiche dicono che, in via generale, il crimine è in diminuzione nel paese, coloro che risultano coinvolti in attività malavitose sono sempre più giovani. Manovalanza a buon mercato indispensabile nel circolo armi-droga, cocaina in particolare, modificato negli ultimi anni dall’ingresso nel "business" anche di russi, polacchi e albanesi. Nella cospicua offerta di armi nelle strade del Regno Unito vanno annoverate anche quelle usate nelle guerre in cui è o è stato coinvolto l’esercito di Sua maestà britannica.

Un esempio? Il mese scorso Duncan Mac Gillivray, sergente scozzese di 40 anni in servizio, è stato condannato per possesso illegale di armi usate Iraq e Irlanda del Nord, tipo mitragliatori Ak-47 o Mk4. Quando è stato arrestato il sergente ha dichiarato che le armi erano del fratello, che aveva debiti perché consumatore di droga. Mac Gillivray si occupava degli approvvigionamenti di armi delle truppe. Le armi trovate a casa sua avevano un valore di mercato di 10mila sterline. Non si tratta di un caso isolato. Nonostante nel Regno Unito vi siano state diverse "amnistie" per le armi, sembra che per ogni pistola consegnata ce ne siano almeno dieci disponibili a rimpiazzarla. Così si muore per niente. Come Sean Jenkins, professione lavavetri, freddato a 36 anni perché aveva guardato storto il ragazzotto imbottito di droga di turno. Che aveva in mano una pistola.

Venezuela: rissa e bomba in carcere, dieci morti e sedici feriti

 

Associated Press, 1 settembre 2008

 

Almeno dieci carcerati sono morti e altri 16 sono rimasti feriti nella prigione di Sabaneta (stato venezuelano di Zulia) in seguito a violenze scoppiate fra i detenuti. Lo ha comunicato il direttore dell’istituto di pena, Eli Salgado. I disordini sono cominciati dopo il trasferimento di un gruppo di detenuti da un ala del carcere all’altra. Cinque carcerati sono morti e altri 11 feriti in una rissa fra i reclusi. Più tardi, l’esplosione di un ordigno ha ucciso altri tre carcerati e ne ha feriti cinque. Ora la situazione sembra tornata calma. La violenza è all’ordine del giorno nelle carceri venezuelane. Quest’anno ci sono stati più di 260 morti, secondo il Venezuela.

Stati Uniti: California; presto i detenuti gay potranno sposarsi

 

Associated Press, 1 settembre 2008

 

I detenuti gay nelle prigioni dello Stato della California potranno presto sposare i loro compagni. Lo ha annunciato il portavoce del Dipartimento di Correzione, che ha poi precisato: "Non ci saranno richieste basate sull’identità sessuale, esattamente come accade fuori dalle mura delle prigioni". In California, dopo una storica sentenza della Corte Suprema, sono stati legalizzati i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Lo scorso anno, gli Istituti di pena della California avevano ammesso già la possibilità per i detenuti gay di incontrare in prigione i propri conviventi.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su