Rassegna stampa 30 ottobre

 

Giustizia: dal Senato via libera a decreto Maroni su sicurezza

 

Ansa, 30 ottobre 2008

 

Con 135 voti favorevoli, 107 contrari e 3 astenuti, il senato ha approvato in prima lettura il decreto Maroni per il contrasto alla criminalità organizzata e all’immigrazione clandestina. Il provvedimento, che scade il primo dicembre, passa ora alla Camera. A votare contro sono stati i senatori del Pd e dell’Idv, mentre quelli dell’Udc si sono astenuti.

Il decreto legge prevede lo stanziamento di 500 soldati nel Casertano e la costruzioni di nuovi Centri per l’identificazione e l’espulsione, gli ex Cpt, che potranno ospitare fino a 1.000 immigrati. È prevista inoltre la proroga, fino al 31 marzo 2009, della disciplina sulla conservazione dei dati del traffico telefonico e telematico in supporto alle attività di prevenzione e repressione dei reati.

Tra le modifiche apportate dal Senato vi sono norme più stringenti per l’accesso ai benefici previsti per le vittime dei reati di criminalità organizzata al fine di escludere chi continua a operare in contesti criminali; più risorse al fondo per le vittime di mafia; un aumento straordinario di 30 milioni per il fondo di solidarietà delle vittime dei reati di tipo mafioso, da recuperare "a prestito" dal fondo unificato per le vittime dell’usura e del racket.

Giustizia: detenute con figli fuori carcere, proposta bipartisan

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

Italia Oggi, 30 ottobre 2008

 

Una proposta bipartisan per portare fuori dalle carceri i bambini di età inferiore ai tre anni reclusi con le loro mamme. La prima firmataria è Donatella Poretti (senatrice radicale in quota Pd). Tra gli altri hanno firmato il disegno di legge intitolato "Misure per la creazione di case famiglia per detenute con figli minori" anche Emma Bonino (vicepresidente del senato) Franca Chiaromonte e Vincenzo Vita (Pd), Maria Pia Garavaglia (ministro ombra dell’istruzione e dell’università del Pd), Enrico Musso e Adriana Poli Bortone (Pdl), Salvatore Cuffaro (Udc).

Alla conferenza stampa di presentazione tenutasi a palazzo Madama la sottosegretaria alla giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati ha confermato il pieno appoggio del governo alla proposta radicale, che già nella precedente legislatura aveva fatto passi in avanti su iniziativa di Enrico Buemi (socialista). Anche il ministro Angelino Alfano si è apertamente schierato contro la detenzione di bambini e madri.

Le donne recluse sono oggi 2.599 pari al 4,3% del totale della popolazione detenuta. Sono 1.207 le donne madri detenute e 68 di queste hanno figli in carcere. Settanta sono i bambini di età inferiore ai tre anni reclusi negli istituti di pena con le mamme; mentre altre 23 donne detenute risultano in gravidanza. In Europa sono complessivamente circa 800.000 i bambini figli di genitori detenuti, 43.000 gli italiani. Il punto centrale del ddl è la realizzazione di case-famiglia protette, o l’individuazione di strutture analoghe con cui convenzionarsi.

L’articolo 5 del ddl introduce l’articolo 47-septies nella legge penitenziaria. Esso prevede che le madri di prole fino a dieci anni d’età devono espiare la propria pena nelle case-famiglia protette salvo che non possano beneficiare di misure alternative alla detenzione, ossia di un regime penitenziario ancora più favorevole. È altresì riconosciuto al giudice dell’esecuzione la possibilità di estendere tale opportunità anche alle madri con figli di età superiore ai dieci anni nell’interesse superiore dello sviluppo psico-fisico del minore.

Anche la custodia cautelare, nei casi di eccezionale rilevanza, deve avvenire nelle case protette. In base a quanto indicato nel disegno di legge le case-famiglia protette devono essere realizzate fuori dagli istituti penitenziari e organizzate con caratteristiche che tengano conto in modo adeguato delle esigenze psico-fisiche dei minori. Il personale impiegato nelle case-famiglia protette deve essere almeno per il 65% composto da persone con formazione di educatore e/o psicologo e/o pedagogo.

L’obiettivo è quello di evitare che prevalga l’aspetto custodiale su quello educativo. La sicurezza nelle case-famiglia protette verrà garantita dalle prefetture, in coordinamento con la magistratura di sorveglianza e con la direzione della casa-famiglia. Un’altra importante novità consiste nella possibilità che il ministero della giustizia con proprio regolamento individui nel territorio strutture, tra quelle rette da enti locali, associazioni, fondazioni, cooperative, che siano idonee a espletare le funzioni di casa-famiglia protetta.

A seguito di tale mappatura il ministero della giustizia provvederà a stipulare con dette strutture apposite convenzioni. Il regolamento deve essere emanato con decreto del ministero della giustizia, in concerto con i ministeri della salute, dell’istruzione pubblica e degli interni, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge.

Il disegno di legge prevede anche che la madre detenuta possa accompagnare il figlio al pronto soccorso o in ospedale in caso di ricovero. Inoltre, al fine di garantire l’unità familiare, in deroga alla legge Bossi-Fini sull’immigrazione, è assicurato un permesso di soggiorno ai figli stranieri di donne detenute in Italia. L’anno scorso, su iniziativa della provincia di Milano, è stata inaugurata una prima casa-famiglia per detenute madri in Lombardia. A legislazione invariata le possibilità di decarcerizzare sono però ovviamente legate alla discrezionalità degli operatori territoriali.

Giustizia: Stato non paga, intercettazioni a rischio sospensione

di Giusi Fasano

 

Corriere della Sera, 30 ottobre 2008

 

C’è un debito: 140 milioni di euro. E un ultimatum per pagarlo: 1° dicembre. Il debitore è lo Stato e i creditori sono Research Control Systems, Area e Sio, le tre società lombarde che gestiscono in Italia oltre il 70% del mercato delle intercettazioni telefoniche e ambientali.

Gli amministratori delegati delle tre aziende ieri erano a Roma, al ministero della Giustizia, per consegnare una lettera che spiega del loro "gravissimo dissesto finanziario" e che promette la paralisi delle inchieste nella maggior parte delle procure d’Italia. "Permanendo questa situazione del blocco dei pagamenti - c’è scritto nella lettera - i nostri servizi non potranno più essere garantiti a partire dal 1° dicembre".

Qualche esempio? Blocco delle intercettazioni per le indagini sul clan dei casalesi e quindi sugli uomini che hanno giurato vendetta contro lo scrittore Roberto Saviano. Se Area, Sio e Research Control Systems fra un mese premeranno il tasto "stop" sarà la fine per le registrazioni ordinate dai magistrati calabresi sulla ‘ndrangheta del dopo Duisburg. Sarà il fermo per le inchieste siciliane sui grandi latitanti della mafia e per quelle milanesi sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nell’economia lombarda. Stop anche alle intercettazioni (volute dai magistrati di Firenze, Bologna, Torino, Milano e non solo) sul terrorismo islamico.

Di fatto si bloccherebbero le indagini telefoniche, ambientali, gps, video, di tre quarti delle procure italiane e di quasi tutte le sedi di Direzione distrettuale antimafia. E per il momento niente fa pensare che la situazione potrebbe sbloccarsi.

"Da più di due anni - scrivono Andrea Formenti (Area), Roberto Raffaelli (Research Control Systems) ed Elio Cattaneo (Sio) - i pagamenti dei corrispettivi che abbiamo maturato subiscono ritardi o interruzioni che sono non più sostenibili e compromettono la nostra sopravvivenza: 140 milioni sono una cifra enorme - dicono - che abbiamo anticipato chiedendo soldi alle banche. Qui non c’è una situazione Alitalia, siamo aziende sane. Però ci manca la liquidità e 500 giorni di ritardo nei pagamenti sono troppi dato che lo Stato è il nostro unico cliente". Con quell’unico cliente le tre società hanno lavorato per le inchieste più importati dell’ultimo ventennio: dalla cattura di Provenzano all’omicidio D’Antona, dal caso Biagi all’uccisione del piccolo Tommy, da Calciopoli alle indagini di Woodcock.

I problemi sono cominciati a luglio del 2006. Il decreto Bersani stabilì che non fossero più le Poste ad anticipare le spese delle procure per poi rivalersi sul ministero della Giustizia. Da allora in poi si decise che i servizi "di ausilio alle indagini", quindi anche le intercettazioni, fossero liquidati direttamente dalla Banca d’Italia, di certo più lunga nel saldare i conti.

"In questa storia ci sono paradossi a non finire" lamentano i tre amministratori delegati. "Per esempio: il 30 novembre ci toccherà pagare le tasse su entrate che non abbiamo mai visto. La sola cosa che ci pare di aver capito negli incontri avuti a Roma è che si tenderà a stabilire un budget per le spese di giustizia. Ma è possibile fissare cifre su una materia come la giustizia?".

Per ora la sola cifra certa è quella del debito, alla quale andrebbero sommati almeno altri venti milioni di interessi maturati in 21 mesi. Sio, Research Control Systems ed Area occupano trecento persone: ingegneri, esperti di informatica, elettronica e telecomunicazioni, teoricamente tutti posti di lavoro a rischio. Nel settore si calcola siano un migliaio gli addetti e, contando i debiti accumulati dallo Stato anche con le altre aziende, si arriva alla quota record di 300 milioni di euro.

Giustizia: i graffitari non andranno in galera, saranno multati

di Francesco Grignetti

 

La Stampa, 30 ottobre 2008

 

Tempi duri per gli sporcaccioni. Berlusconi insiste: ci vogliono pene più severe per chi non ha rispetto per il paesaggio e per le città. "Un costume deteriore". E quindi domani il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare il decreto legge sui rifiuti. Lo ha annunciato lo stesso Silvio Berlusconi, spiegando che "approveremo, se ci riusciremo, il decreto sui rifiuti che introdurrà il reato e le pene per chi imbratta i muri o butta la carta per terra".

In verità, però, per i writers l’ipotesi di finire in cella è molto sfumata. Il testo di legge si sdoppierà tra un decreto in nove articoli su chi abbandona in giro i rifiuti ingombranti e un ddl, da rinviare all’esame del Parlamento, che riguarderà i comportamenti più lievi di chi imbratta i muri.

Ci saranno più poteri ai comuni per la videosorveglianza e la possibilità di procedere d’ufficio contro chi sporca muri dei palazzi. L’idea è che i Comuni possano dotarsi di sistemi di telecamere per tutelare non solo gli edifici pubblici, ma anche quelli privati. L’uso delle videocamere, naturalmente, dovrà rispettare le prescrizioni del Garante per la Privacy. Quanto alle sanzioni, si parla di una multa fino a diecimila euro (trentamila se il deturpamento riguarda beni di interesse storico e artistico). Non è escluso che in alternativa alla multa il giudice possa disporre il lavoro di pubblica utilità per il ripristino dei palazzi danneggiati. Un’ipotesi che era già prevista nel Pacchetto Amato e che torna d’attualità.

Sarebbe questa, alla fine, la mediazione che s’è raggiunta dentro il governo dopo che una prima bozza del decreto era stata bloccata dalle perplessità di vari ministri, in un consiglio che si tenne a Napoli. Quella volta, di fronte a misure draconiane che avrebbero spalancato le porte del carcere per i graffitari, insorsero il ministro leghista Roberto Calderoli ("Così - disse - rischia pure chi scrive W Milan sul muro"), l’aennino Altero Matteoli ("Io sono uno di quelli che ci pensa due volte prima di usare il carcere"), la forzista Stefania Prestigiacomo ("Va distinto chi fa un uso artistico da chi imbratta e basta") e pure Roberto Maroni, che se l’era presa soprattutto sul fatto che venisse previsto il commissariamento di un Comune che non organizza a dovere la raccolta differenziata a opera del consiglio dei ministri quando è una facoltà esclusiva del ministro dell’Interno.

Anche il Parlamento è pronto a fare la sua parte. Per i campioni della "aerosol art", gli acrobati con la bomboletta spray, sono in arrivo tempi duri. All’esame delle commissioni parlamentari ci sono infatti sette proposte di legge per modificare l’articolo 639 del codice penale, prevedendo, come nel caso del testo depositato da Siegfried Brugger, presidente del gruppo Misto a Montecitorio, fino a due anni di carcere, una multa da cinquemila euro e l’obbligo di ripulire a proprie spese i beni deturpati.

L’articolo 639 del codice penale prevede già sanzioni contro i vandali, evidentemente considerate troppo lievi (una multa di 103 euro e che scatta solo in presenza di una querela) dai firmatari delle proposte di legge a fronte di un fenomeno che sembra in crescita e che colpisce indiscriminatamente edifici pubblici e privati, monumenti, chiese, mezzi di trasporto, parchi pubblici. E anche Bobo Maroni, a sua volta, aveva previsto modifiche all’articolo 639 nel Pacchetto Sicurezza.

"Non so se il decreto sia lo strumento giusto da utilizzare", così il parlamentare del Pdl Giancarlo Mazzuca. "In ogni caso il governo fa bene ad intervenire perché i sindaci non riescono a tenere a bada un fenomeno purtroppo in espansione". L’esplosione dei graffiti, secondo stime, costa 5 milioni di euro allo Stato.

Giustizia: la polizia manifesta e chiede più soldi in Finanziaria

 

Il Velino, 30 ottobre 2008

 

"Mi auguro che l’alta adesione alle manifestazioni odierne indette su tutto il territorio nazionale dai sindacati delle Forze di polizia per ottenere maggiori risorse con la finanziaria 2009, manovra che così com’è articolata produrrà inevitabilmente un abbassamento del livello complessivo di sicurezza nel paese e di tutela degli operatori, induca il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il governo tutto ad una seria riflessione".

È quanto afferma Donato Capece, presidente della Consulta Sicurezza (l’organismo interforze che raggruppa i poliziotti del Sap, i penitenziari del Sappe ed i forestali del Sapaf) e segretario generale del sindacato autonomo Polizia penitenziaria Sappe, organizzazione di categoria con 12 mila iscritti.

"Il governo, che durante gli incontri ufficiali con le organizzazioni sindacali del comparto aveva assunto precisi impegni volti a realizzare investimenti sulla sicurezza e la difesa, con la legge finanziaria per il 2009 non ha, ad oggi, ancora aperto un confronto né ha assunto alcun formale impegno in ordine alla previsione, entità, tempi e modalità circa la corresponsione degli stanziamenti economici per il 2009".

Secondo Capece "l’attuale manovra finanziaria, che prevede ingenti tagli alle risorse per le Forze di polizia, non prevede, invece, sufficienti stanziamenti per il contratto di lavoro per il biennio 2008-2009 né il riconoscimento sul versante economico della specificità approvata ieri dalla Camera, né le ulteriori risorse che, aggiunte a quelle già esistenti, potrebbero consentire una riforma strutturale delle carriere degli appartenenti alle Forze di polizia e alle Forze armate italiane".

Capece sottolinea inoltre che "per la sola amministrazione penitenziaria, ad esempio, è previsto un taglio netto da 133 milioni di euro, un terzo dello scotto imposto dalla manovra triennale all’intera amministrazione della giustizia. E la situazione delle carceri italiane è semplicemente drammatica. Attualmente abbiamo circa 58 mila detenuti (più di 2.500 le donne) rispetto ad una capienza regolamentare degli istituti già abbondantemente superata pari a 42.992 posti. Tutto questo aggrava notevolmente i carichi di lavoro dei poliziotti penitenziari, sotto organico di ben 4,500 unità: siamo tornati ai tempi drammatici in cui un solo agente controllo 100/150 detenuti".

Giustizia: omicidio Kercher; processo di durata "ragionevole"

di Vittorio Grevi

 

Corriere della Sera, 30 ottobre 2008

 

Di fronte alla conclusione dell’udienza preliminare, e del contestuale giudizio abbreviato, per l’assassinio della studentessa inglese Meredith Kercher, non sembra dubbio che il competente giudice di Perugia abbia per larga parte fatto propria l’impostazione accusatoria del pubblico ministero. Altra questione è se tale impostazione sia stata accolta anche per quanto riguarda la ricostruzione prospettata dallo stesso pm circa i rispettivi ruoli dei tre imputati, quali concorrenti materiali nel delitto, ed è questo un interrogativo che potrà essere risolto soltanto dalle motivazioni della sentenza di condanna a carico di Rudy Guede.

In ogni caso, per quanto riguarda il contenuto dei provvedimenti emessi al termine di una lunga sequenza di udienze, appare evidente come il gup perugino abbia nella sostanza aderito alle richieste avanzate dal pubblico ministero. Tali richieste erano state di condanna all’ergastolo per Rudy Guede (non solo per l’omicidio, ma anche per la violenza sessuale a danno della vittima, e per furto), oltreché di rinvio a giudizio per i due coimputati Amanda Knox e Raffaele Sollecito.

E di questo tenore sono state, per l’appunto, le decisioni pronunciate dal giudice. L’unica differenza di un certo rilievo riguarda l’entità della pena irrogata con la sentenza di condanna, poiché in luogo dell’ergastolo Guede è stato condannato a 30 anni di reclusione: da un canto in virtù dello sconto di pena conseguente alla richiesta di giudizio abbreviato, dall’altro avendo il giudice ritenuto il reato di violenza sessuale "assorbito" come aggravante nel delitto di omicidio e avendo per altro verso assolto l’imputato dall’accusa di furto.

Si è esaurita così la fase iniziale di un processo delicato e complesso, che per due dei tre imputati proseguirà tra poche settimane con l’apertura del dibattimento di fronte alla Corte d’assise di Perugia, mentre per l’imputato Guede, ormai condannato nell’ambito dello stesso giudizio abbreviato da lui richiesto (verosimilmente allo scopo di poter usufruire, nel caso di condanna, della diminuente prevista per chi accetta di essere giudicato in udienza preliminare), l’unica prospettiva è ormai solo quella del giudizio di appello.

Senza dubbio nel dibattimento previsto già per l’inizio di dicembre i difensori dei due giovani imputati (Amanda e Raffaele) rinviati a giudizio, avranno modo di esplicare in forma completa tutte le loro strategie difensive, nella pienezza del contraddittorio, con particolare riguardo all’esame dei testimoni, e soprattutto alla valutazione degli accertamenti tecnici, che avranno certamente un peso decisivo sul convincimento della Corte.

Anche se bisogna dire che la singolare peculiarità di svolgimento della prima fase di questo processo (per cui nell’ordinaria udienza preliminare, prevista per tutti gli imputati, si è innestato il giudizio abbreviato richiesto dal solo Rudy Guede, tra l’altro con l’aggiunta di significative integrazioni probatorie) ha già consentito di delineare quali saranno i principali temi della discussione in sede dibattimentale.

E non si tratterà di tempi secondari, giacché specialmente dall’analisi degli esiti delle prove scientifiche (per esempio, tracce del Dna dei vari imputati riscontrate sul coltello, sul reggiseno e sul corpo della vittima) dipenderà l’esatta ricostruzione della dinamica dell’omicidio e quindi dei ruoli rivestiti dagli stessi imputati.

Tanto più che, sul punto, sono già emerse sintomatiche divergenze tra le loro difese. Le quali, comunque, dovranno in primo luogo evitare che la condanna di Guede gravi con effetti pregiudizievoli sulla sorte dei loro assistiti. Un’ultima annotazione riguarda i tempi di sviluppo di questo processo perugino. Nonostante le sue obiettive difficoltà, il giudizio abbreviato si è concluso entro nemmeno un anno dal delitto ed entro lo stesso termine è stato disposto anche il rinvio a giudizio degli altri imputati.

Davvero una durata "ragionevole", tutto sommato, di cui fa piacere prendere atto. Allo stesso modo, la carcerazione preventiva degli imputati è rimasta circoscritta al di sotto dei termini massimi relativi alle fasi iniziali, salvo riprendere a decorrere con riferimento alle fasi successive. E anche questo non è un risultato da poco, pur alla luce del provvedimento che (come era prevedibile) ha rigettato la richiesta degli arresti domiciliari.

Giustizia: omicidio Reggiani; 29 anni per Mailat… le reazioni

 

Il Velino, 30 ottobre 2008

 

La sentenza che ha condannato a 29 anni di reclusione Romulus Mailat per l’omicidio di Giovanna Reggiani, 47 anni, aggredita il 30 ottobre 2007 alla stazione ferroviaria di Tor di Quinto a Roma e morta in ospedale 48 ore dopo, ha "azzerato" il peso delle aggravanti concedendo le attenuanti generiche "equivalenti alle aggravanti".

Questo il dispositivo letto in aula, poco prima delle 16, dal presidente della terza corte d’assise Angelo Gargani: "La Terza Corte d’Assise dichiara Nicolae Romulus Mailat colpevole dei reati a lui in rubrica ascritti, unificati dal vincolo della continuazione e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, lo condanna alla pena di anni 29 di reclusione e a euro mille di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare.

Lo condanna altresì all’interdizione perpetua dai pubblici uffici". L’imputato è stato inoltre condannato a pagare una provvisionale di 500mila euro alla parte civile, il marito della signora Reggiani, l’ammiraglio Giovanni Gumiero. I giudici hanno inoltre interdetto Mailat dalla potestà genitoriale per tutta la durata della pena e hanno disposto che venga espulso dall’Italia una volta espiata la pena.

Sotto questo profilo, però, gli accordi internazionali con la Romania, che fa parte dell’Unione Europea, prevedono che una volta che la sentenza sarà definitiva, la pena potrà essere scontata nel Paese di origine dell’imputato. I giudici hanno fissato in 60 giorni il termine entro il quale depositeranno le motivazioni della sentenza. L’unica reazione di Mailat, dalla gabbia degli imputati detenuti, alla sentenza, è stato un "no" gridato mentre il giudice terminava la lettura del dispositivo.

In mattinata, quando il presidente Galgani gli ha chiesto se aveva qualcosa da dire prima della camera di consiglio, Romulus Nicolae Mailat si era alzato in piedi e per la prima volta, da quando è cominciato il processo, ha pronunciato alcune parole in uno stentato italiano: "Chiedo perdono innanzi a Dio - ha detto - e spero che giustizia sia fatta. Io mi sento colpevole per quello che ho fatto, ma ho solo rubato la borsa alla signora Reggiani. Non ho fatto altro, non l’ho ammazzata. Mi dispiace di ciò che è successo quella sera. Chiedo scusa a lei, signor presidente, alla corte, e a tutti i presenti in aula".

L’avvocato difensore di Mailat, Piero Piccinini, al termine della sua arringa aveva chiesto l’assoluzione per insufficienza di prove. Una formula che è stata abrogata dal codice di procedura penale del 1989, ma che - tecnicamente - sopravvive nel secondo comma dell’articolo 530 dello stesso codice, secondo il quale il giudice deve assolvere l’imputato (utilizzando dunque la formula piena di assoluzione) "anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova". "La colpevolezza di Mailat - aveva detto il difensore - non è certa, le testimonianze che lo accusano sono contraddittorie. E se sussiste un dubbio ragionevole sulla sua responsabilità si impone l’assoluzione".

L’avvocato Piccinini aveva inoltre aggiunto alle sue richieste conclusive una "subordinata": se la Corte avesse deciso di condannare Mailat, il difensore aveva chiesto di non accogliere la richiesta di ergastolo avanzata dal pm escludendo in particolare l’aggravante della violenza sessuale. Una subordinata che, in parte, è stata accolta dalla Corte: Mailat è stato riconosciuto colpevole anche di violenza sessuale, secondo il dispositivo della sentenza, ma con quello che in gergo si chiama "bilanciamento tra attenuanti e aggravanti" ha comunque evitato l’ergastolo.

Ciò vuol dire, in teoria, che se la sentenza fosse confermata, tra circa 15 anni Mailat potrebbe ottenere la semilibertà o l’affidamento in prova ai servizi sociali, o ancora un permesso di lavoro. L’avvocato, naturalmente, ha già annunciato che presenterà appello per sostenere la sua richiesta principale di assoluzione per contraddittorietà delle prove, mentre la procura della Repubblica potrebbe anche rinunciare ad un appello e non insistere nella richiesta di ergastolo.

È quanto ipotizzato anche dall’ex procuratore aggiunto di Roma, Italo Ormanni, attualmente capo del Dipartimento affari di giustizia del ministero, che condusse le indagini sull’omicidio, secondo il quale "il lavoro è stato fatto bene anche grazie alla collega Barborini che ha sostenuto validamente l’accusa in dibattimento. Dato il tipo di sentenza che ha riconosciuto le attenuanti equivalenti alle aggravanti - ha proseguito - penso che la procura possa ritenersi soddisfatta".

Di opposto parere il sindaco di Roma, Gianni Alemanno: "Non voglio entrare in polemica con la decisione dei magistrati, ma la sentenza di oggi su Mailat mi lascia molto amareggiato. Come è possibile - si chiede Alemanno - che una persona riconosciuta colpevole di un crimine così grave non venga condannata all’ergastolo? Mi auguro - conclude il sindaco - che il pm si appelli contro questa decisione che turba la coscienza dei romani".

Giustizia: con proposte Brunetta i processi saranno più veloci?

di Carlo Rimini (Ordinario di diritto privato Università di Milano)

 

La Stampa, 30 ottobre 2008

 

Il ministro Brunetta vuole istituire un sistema di controllo degli orari di lavoro e della presenza dei magistrati all’interno delle sedi giudiziarie. Questa proposta prende le mosse da due fatti difficilmente contestabili: a) i tempi della giustizia italiana sono indegni di un Paese civile; b) chiunque abbia la sventura di aggirarsi per un tribunale, durante un pomeriggio qualsiasi, ha la sensazione di trovarsi in un luogo poco frequentato. I magistrati ribattono che, oltre alle udienze, deve essere considerato il tempo dedicato alla stesura delle sentenze, un lavoro che viene spesso svolto a casa.

Le polemiche suscitate dal riferimento, forse solo simbolico, ai tornelli attraverso cui i magistrati sarebbero costretti a passare rischiano di distrarre il dibattito dal problema reale. Chiunque frequenti i nostri tribunali sa che vi sono tanti giudici che lavorano molto e qualche giudice che lavora poco. Non vi è dubbio che bisognerebbe indurre questi ultimi a lavorare di più. Non credo che a questo fine avrebbe una qualche utilità prevedere una forma di controllo sul tempo fisicamente passato all’interno del tribunale. Piuttosto bisognerebbe attribuire ai capi degli uffici giudiziari un maggior potere nelle decisioni relative alla progressione di carriera, in modo che i magistrati che lavorano di più e meglio possano essere premiati con una carriera più brillante di coloro che lavorano poco e male.

Ma anche l’obiezione dei magistrati relativa al tempo dedicato a scrivere le sentenze merita attenzione. Le sentenze, almeno nel processo civile, sono infatti ancora strutturate secondo il modello delineato dal legislatore ottocentesco. Il codice obbliga il giudice a esporre in ordine cronologico tutto ciò che è avvenuto nel corso del giudizio e in ordine logico tutte le questioni discusse.

L’applicazione pratica di questa norma conduce alla scrittura di un testo lungo, tedioso quanto inutile. Nel momento in cui il magistrato si dedica alla scrittura della sentenza si trova di fronte un voluminoso fascicolo attraverso il quale deve ricostruire la storia della causa. Non si può ragionevolmente ritenere che la materiale stesura di una sentenza, seguendo queste regole, richieda in media meno di tre ore, senza considerare il tempo che spesso è necessario al giudice per formare il proprio convincimento.

Considerando che, almeno nei grandi tribunali, ogni giudice ha oltre 350 fascicoli nuovi all’anno, il tempo richiesto per la materiale stesura delle sentenze di un anno è di circa mille ore di lavoro, cioè oltre 120 giorni di lavoro pieno. È evidente che i conti non tornano. La prova di ciò è che l’attesa maggiore nel processo civile passa fra l’ultima udienza della fase istruttoria e il deposito della sentenza. In molti tribunali sono necessari anni. Si forma insomma una sorta di lista di attesa delle sentenze che attendono di essere scritte.

Negli ultimi anni sono stati fatti molti sforzi per migliorare i processi e renderli più spediti, ma i tempi della giustizia non sono diminuiti, e ciò per una ragione sola: nessuna riforma ha modificato la norma che descrive come le sentenze devono essere scritte. L’unica riforma che consentirebbe invece finalmente di abbreviare i tempi della decisione è semplice e non costerebbe nulla.

Bisognerebbe prevedere che, nei giudizi di primo grado, la sentenza sia pronunciata con motivazione sommaria: poche righe per dire quali fatti si sono accertati e quali principi di diritto si sono applicati. Il risparmio di tempo sarebbe enorme. Il giudice potrebbe allora studiare la causa, guidare la fase istruttoria e pronunciare la sentenza subito dopo. Come per magia, e senza tornelli, i tempi della giustizia si abbrevierebbero.

Lombardia: carceri disumane, qui è lo Stato a violare i diritti

di Marco Marcuccio

 

www.voceditalia.it, 30 ottobre 2008

 

Trapela in questi giorni, peraltro senza troppi clamori, la notizia che un nuovo rapporto dell’Azienda sanitaria locale ufficializza una situazione insostenibile per le prigioni ambrosiane a causa di condizioni igieniche inadeguate e di pessima vivibilità generale. Sappiamo da tempo che la questione soffre di un problema strutturale. Sappiamo benissimo che nelle carceri siamo normalmente oltre il 40% della capienza ammissibile. E - anime belle - sappiamo a turno denunciare indignarci e protestare quando a violare i diritti umani sono altri, magari remoti stranieri con mantenere interessi economici e da cui temere ritorsioni di sorta; non sia mai essere politicamente scorretti. Poi però facciamo spallucce quando a perpetrare crimini contro l’umanità è il nostro paese, magari nel centro della nostra "capitale morale".

Ultimo di una lunga ed inascoltata serie, è stato Pasquale Nobile De Santis, presidente del tribunale di sorveglianza di Milano, a ricordare al guardasigilli Alfano "l’assoluta esigenza che cessi questa situazione", come d’altronde il presidente della corte d’appello Giuseppe Griechi a lamentare "condizioni vergognose". Ecco ora un altro timbro ufficiale: a Busto Arsizio, a Varese, a Monza e Milano San Vittore c’è un "ampio superamento della capacità tollerabile", tanto che i reclusi dormono su materassi adagiati a terra, spesso in mezzo agli scarafaggi, a volte in 6 detenuti in celle di 6 metri quadrati dove non si sta in piedi contemporaneamente. D’altronde viviamo tempi in cui la realtà non trova parole, le parole mascherano i fatti e i fatti perdono valore.

Senza agganciarsi a dichiarazioni universali o alla opportunità rieducativa della condanna, basta ricordare che la stessa costituzione - articolo 27 - prevede si possa in nessun caso determinare pene contrarie al senso di umanità. E invece (ri)eccoci. Parole per parole? Apriamo le celle! Perché se non sappiamo garantire condizioni umane minime sarebbe comunque un male minore; perché di fronte al fatto eclatante si inizierebbe per una volta a fare davvero qualcosa di concreto.

Sardegna: da gennaio a rischio assistenza sanitaria ai detenuti

 

Agi, 30 ottobre 2008

 

"L’assistenza sanitaria ai detenuti negli istituti di pena della Sardegna non sarà più garantita dal prossimo gennaio quando il Dap non riceverà più dal Ministero della Sanità i fondi necessari". Lo sostiene il consigliere socialista Maria Grazia Caligaris (Ps), componente della commissione Diritti Civili, che cita una nota recapitata ieri al provveditore Francesco Massidda e ritiene quindi "indispensabile che la Giunta regionale adotti provvedimenti urgenti e straordinari per garantire che il passaggio delle competenze dal Ministero alla Regione avvenga senza conseguenze per i detenuti, per i medici e gli infermieri".

L’esponente del Ps in un’interrogazione urgente ha chiesto "e la Commissione di esperti impegnata nella stesura delle direttive per il passaggio al servizio sanitario regionale della sanità penitenziaria, abbia concluso i lavori preparatori e in caso contrario se debba rispettare un tempo limite per la presentazione delle conclusioni" La Caligaris vuole anche conoscere "i criteri in base ai quali le Aziende Sanitarie Locali individueranno il personale medico e quello infermieristico per lo svolgimento dell’assistenza negli istituti di pena" e quali iniziative l’assessore intende assumere nei confronti delle Asl "perché negli ospedali dei capoluoghi di provincia, come previsto da un Decreto Legge di 15 anni fa, siano aperti dei mini-reparti per il ricovero di detenuti che non possono essere curati nelle infermerie delle case circondariali e nel Centro clinico di Cagliari".

"L’incertezza di ciò che accadrà all’inizio del prossimo anno sta creando - sottolinea Caligaris - un preoccupante stato di confusione e di incertezza negli istituti di pena dell’isola. Il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, in considerazione della consistente presenza di detenuti sofferenti di disturbi psichici e tossicodipendenti, ha chiesto alla Regione di assicurare il servizio sanitario con figure professionali - medici e infermieri - a tempo pieno per garantire la continuità assistenziale ai singoli detenuti. È anche necessario confermare la collaborazione con le comunità terapeutiche in modo da consentire agli ammalati ristretti, specialmente per quelli tossicodipendenti con doppia diagnosi, di accedere alle pene alternative Non è più, infine, eludibile, dopo 15 anni dall’approvazione del decreto legge 14 giugno 1993, n. 187 (Nuove Misure in materia di trattamento penitenziario, nonché sull’espulsione di cittadini stranieri), l’apertura - conclude Caligaris - di appositi reparti negli ospedali dei capoluoghi di provincia dove sono ubicate le case circondariali per il ricovero di detenuti affetti da particolari patologie non curabili nelle strutture penitenziarie".

Lazio: detenuti sono quasi 5.500, una situazione drammatica

 

Il Velino, 30 ottobre 2008

 

"Anche oggi abbiamo dovuto prendere atto della drammatica realtà del momento che vive il sistema carcere nel Paese. I numeri elencati dal Provveditore regionale sono da brividi e confermano anche nel Lazio una criticità che va immediatamente affrontata".

Questo il commento di Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari, a margine della festa della Polizia penitenziaria di Roma celebrata stamani a Rebibbia. Nel corso della celebrazione, si legge in una nota, sono stati resi noti alcuni dati. I detenuti ristretti negli istituti laziali sono 5.408 di cui solo 2.512 (circa il 46 per cento) ha una condanna definitiva. Il 39 per cento (2.124 di cui 1.886 maschi 238 donne) della popolazione detenuta ha origini non italiane. I detenuti tossicodipendenti o alcool dipendenti assommano a 1.659 e i bambini di età inferiore a tre anni che sono in cella con le madri sono 23. I suicidi registratisi nelle carceri laziali da Gennaio sono quattro; i tentati suicidi 18; 246 atti di autolesionismo; 283 astensioni dal vitto per proteste. "Sono numeri che si commentano da soli e che danno il triste quadro dell’esistente ma che definiscono anche il grande sforzo profuso dai poliziotti penitenziari".

"Oramai l’effetto indulto è esaurito da tempo ed occorrono soluzioni immediate - ha spiegato Sarno - una delle quali è certamente la costruzione di nuovi carceri e padiglioni. Ma tale soluzione è da considerarsi valida solo in presenza di una necessaria implementazione degli organici degli operatori penitenziari, in primis della polizia penitenziaria. Su questo abbiamo notizia che il ministro Alfano sta alacremente impegnandosi e vogliamo auspicare che le sue richieste trovino accoglimento in seno al governo e alla maggioranza.

Noi siamo pronti ad un confronto di merito ma le convocazioni le fa Alfano, noi aspettiamo ma non all’infinito. Non si può certo pensare di aprire - ha spiegato - il nuovo istituto di Rieti o il nuovo padiglione di Velletri con le vecchie dotazioni organiche. Di certo va superata con immediatezza anche la barbarie di vedere bambini reclusi con le proprie madri. Su questo gli Enti, Comune e Regione possono e debbono trovare in sinergia con il Ministero della Giustizia alternative credibili ed efficaci".

A supporto delle difficoltà operative, si legge nella nota, la Uil Pa Penitenziari rende noto che nel Lazio dal 1 gennaio del 2008 la polizia penitenziaria ha svolto 11.460 servizi di traduzione per una movimentazione di 23.627 detenuti tradotti. Assommano a poco più di due milioni di km effettuati dai mezzi in dotazione ai vari nuclei per espletare tali servizi. "Quella dei mezzi e delle dotazioni è una delle criticità più avvertite e costituisce senza dubbio un reale pericolo per l’incolumità degli operatori.

Eppure nonostante questi dati siano ben noti la finanziaria taglia del 30 per cento i fondi destinati a questo specifico servizio. Di questo passo, nel peggiore dei casi, il prossimo anno dovremo tradurre i detenuti in udienza ricorrendo agli autostop. Non sarebbe nemmeno da escludere anche la soluzione di permessi temporanei da rilasciare ai detenuti meno pericolosi per presenziare alle loro udienze. Male che vada ci sono sempre le auto degli agenti che già oggi sono costretti ad anticipare di proprio le spese". La celebrazione si è conclusa con la consegna di encomi solenni e lodi ad undici agenti penitenziari distintisi in servizio. Gli attestati di benemerenza sono stati consegnati dal capo del Dap, Francesco Ionta.

Aversa: convegno su "Pericolosità sociale e società pericolosa"

di Enza Picone

 

Il Mattino, 30 ottobre 2008

 

L’Opg "Saporito" di Aversa è oggi, con i suoi trecento internati, una struttura sovraffollata. Il 60% degli internati, inoltre, è nelle condizioni di essere dimesso, ma non ci sono le famiglie disposte ad ospitarli, né le Asl d’appartenenza possono seguire la vita dei pazienti oltre il muro. Una condizione drammatica, insomma, dimostrata dai cinque suicidi in poco più un anno. "Pericolosità sociale e società pericolosa": è questo il tema del convegno che si terrà al Castello Aragonese dal sei all’otto novembre.

Organizzato dalla Società Italiana Formazione Psichiatria Forense e Penitenziaria e dalla direzione sanitaria dell’ospedale psichiatrico giudiziario "Filippo Saporito", con il patrocinio del Ministero della Giustizia e del Comune di Aversa, il convegno - che condivide gli scopi dell’associazione Libera - porterà sul territorio i maggiori esperti nazionali del settore.

"L’accertamento della pericolosità sociale nei soggetti affetti da patologia mentale e autori di reato - spiega Adolfo Ferraro, dirigente sanitario dell’Opg - è talmente difficile da realizzare che spesso molti psichiatri hanno risolto il problema negando la possibilità medica di questa valutazione, oppure accentuandone l’aspetto patologico.

In realtà, il concetto giuridico, previsto dall’art. 203 del codice penale, individua una condizione di probabilità che, nel tempo, è stata influenzata da diversi fattori, tutti da mettere in relazione con le variazioni sociali e culturali dell’epoca che si vive. E se i concetti dell’art. 203 e del 133 del codice penale indicano i parametri di riferimento, questi possono modificarsi a seconda dei tempi".

Nel programma del convegno saranno analizzati gli indicatori della pericolosità sociale nel paziente psichiatrico in uso in psichiatria, in psichiatria forense e in medicina legale, e saranno presentati e analizzati i mezzi attualmente a disposizione per riconoscere correttamente e prevenire o curare le cause che spingono un paziente psichiatrico verso una condizione di pericolosità sociale. Il convegno permetterà di mettere a confronto il punto di vista di psichiatri - presenti, tra gli altri, Romolo Rossi, Luigi Ferrannini, Giancarlo Nivoli, Francesco Catalano, Ugo Fornari, Vittorio Volterra, Stefano Ferracuti, medici legali - come Antonello Crisci - giuristi del calibro di Giuliano Balbi, Lorenzo Chieffi e Luigi Kalb, farmacologi, magistrati e filosofi.

La Spezia: "lavori in corso", nel 2009 il carcere sarà rinnovato

di Renzo Parodi

 

Secolo XIX, 30 ottobre 2008

 

La Casa Circondariale di Via Fontevivo, costruita nel 1930 e consegnata nel 1936, occupa una porzione della antica Villa Andreino, a ridosso della collina di Montepertico, che un tempo racchiudeva un convento. Dal 2003 sono in corso lavori di ristrutturazione.

"Si procede abbastanza speditamente, contiamo di tornare in possesso della struttura principale (capace di 200 posti) già a gennaio del 2009 - spiega la direttrice del carcere, la dottoressa Maria Cristina Bigi - Gli interventi hanno riguardato inizialmente l’edificio che ospitava la sezione di sicurezza e che ora dà alloggio a quasi quaranta detenuti, in genere per reati contro il patrimonio. Questo edificio, completato da circa un anno, dovrebbe tornare ad essere destinato all’alta sicurezza".

Le celle già ristrutturate ospitano da cinque a sei persone, non sono spaziose ma ciascuna è dotata di servizi igienici (un water e il vano doccia) e sembrano in buone condizioni igieniche. Ne riferisce l’on. Roberto Cassinelli che, in qualità di parlamentare, ha visitato il carcere spezzino. "L’80 per cento degli attuali settanta detenuti sono stranieri, in maggioranza extracomunitari. - dice la dottoressa Bigi - Alcuni di loro, in genere i più giovani, frequentano la scuola interna e studiano l’italiano, altri la scuola professionale.

Una volta trasferiti gli uffici nella palazzina in costruzione appena oltre il muro di cinta, anche il terzo corpo sarà sottoposto a ristrutturazione e trasformato in reparto detentivo. Terminati i lavori - si prevede nel luglio 2009 - il carcere spezzino potrà accogliere 346 detenuti".

"Lavoriamo in stretto contatto con il tavolo della prefettura che raccoglie e coordina i vari interventi a favore della popolazione carceraria - spiega la direttrice - Nata con l’indulto, la commissione ha il compito facilitare l’inserimento lavorativo degli ex detenuti o l’accesso a misure alternative alla detenzione. Anche Confindustria è stata invitata a sedere al tavolo e mi sembra un segnale incoraggiante. Non direi che esistono preconcetti da parte delle aziende rispetto all’assunzione di detenuti o ex detenuti.

Occorre offrire ai datori di lavoro elementi di rassicurazione, è naturale che un imprenditore nutra dei dubbi prima di assumere una persona che ha precedenti penali". Educatori, psicologi, personale specializzato lavorano all’interno del carcere per favorire il recupero sociale dei detenuti, offrendo sostegno psicologico, principalmente ai giudicabili che, magari, affrontano per la prima volta l’esperienza della detenzione e attendono in carcere il processo.

Due concorsi sono stati regolarmente banditi e si sono conclusi, con tanto di graduatorie di assegnazione del personale di sostegno, che però non raggiunge i rispettivi luoghi di lavoro, tra i quali la Spezia. Motivo? Non ci sono i soldi per pagarlo.

Proprio l’onorevole Roberto Cassinelli, del Pdl, ha rivolto due interrogazioni al ministro della giustizia, Alfano. Nella prima, presentata il 16 settembre, il deputato genovese chiede conto delle effettiva destinazione al lavoro di 397 educatori penitenziari "promossi" dal concorso, concluso il 13 giugno scorso.

Nella seconda, del 25 settembre, Cassinelli domanda notizie dei 39 posti di psicologo per i quali il Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) aveva stanziato 16,5 milioni di euro (per il biennio 2008-2010) salvo dirottare i fondi per l’assunzione di contabili, dovendo poi, scrive, "stipulare circa 450 contratti di convenzione con altrettanti professionisti per sopperire alla carenza di psicologi, ciò con gli ovvii aggravi per l’amministrazione in termini giudiziari". I vincitori del concorso per i 39 posti di psicologo sono stati infine informati che gli atti relativi al concorso sono stati trasmessi al Ministero della Salute. E dunque l’effettiva destinazione dei vincitori resta in alto mare.

Al termine della sua visita alla struttura spezzina, Cassinelli ne offre un resoconto moderatamente positivo: "Si tratta certamente di una struttura moderna o in corso di ammodernamento ma c’è da chiedersi se ristrutturazioni edilizie di questo genere siano sempre convenienti oppure non siano preferibili edificazioni ex novo che permetterebbero di liberare aree in genere collocate in posizioni centrali o comunque strategiche per le città interessate. Vanno considerate anche le obiettive difficoltà che si incontrano nella realizzazione di interventi edilizi radicali, come questo in corso alla Spezia, realizzati in presenza della popolazione carceraria".

L’intervento sul carcere spezzino costerà 14 milioni di euro. Secondo alcuni operatori giudiziari che hanno chiesto di restare anonimi, la nuova struttura carceraria non risulterebbe idonea a garantire i massimi standard di funzionalità e sicurezza. Telecamere fisse anziché rotanti, portoni di ferro comandati manualmente e non elettricamente, persino vetri collocati nelle celle e subito rimossi.

Teramo: Mohamed, ex detenuto, trova un lavoro in fabbrica

 

Il Centro, 30 ottobre 2008

 

Mohamed è nato in Marocco ma è arrivato in Italia come tanti con la speranza di un lavoro e quindi di una vita diversa. Nel 2000 è stato rinchiuso nel carcere di Castrogno, ora ha scontato la sua pena e ha voltato pagina. Il suo è uno dei 70 casi di detenuti che hanno usufruito dei servizi dei Centri per l’impiego nella della casa circondariale, grazie al progetto Intra, di cui ieri sono stati presentati i risultati in un convegno all’Alberghiero Di Poppa.

Il caso di Maohamed è esemplare e anche abbastanza unico: per la maggior parte dei detenuti coinvolti, infatti, il progetto si è concretizzato con l’avvicinamento al mondo del lavoro e delle imprese, attraverso l’iscrizione al Centro per l’impiego e la maturazione della presenza in graduatoria. Mohamed invece è riuscito ad ottenere molto di più, un lavoro. "Mi hanno insegnato un mestiere, sono diventato metalmeccanico, esperto di attrezzature meccaniche", racconta, "e lavoro da diversi mesi in un azienda di Tossicia. Da dove vengo io, dal carcere, se ti fanno un sorriso è anche tanto", spiega, "ma a me hanno dato molto di più, la possibilità di ricominciare a vivere".

Il risultato ottenuto da Mohamed è solo uno dei primi frutti del progetto Intra. Lo sportello del Centro per l’impiego è attivo a Castrogno da un anno con servizio di inserimento per le persone svantaggiate, di orientamento e mediazione linguistica e presto anche corsi per la creazione d’impresa. Purtroppo rimangono ancora molte le criticità dell’iniziativa che, come spiega la coordinatrice Gabriella Sacchetti "sono dovute soprattutto alle resistenze e ai pregiudizi, dentro le aziende e nell’opinione pubblica".

Cagliari: polizia penitenziaria ai "ferri corti" con il provveditore

 

La Nuova Sardegna, 30 ottobre 2008

 

I sindacati degli agenti della polizia penitenziaria hanno abbandonato il tavolo delle trattative con il Provveditorato regionale degli istituti di pena sui distacchi e le piante organiche.

"Il confronto è diventato impossibile - è scritto in un documento firmato da Cgil, Sinappe, Fsa-Cnpp, Uspp e Osapp - per l’atteggiamento di chiusura dimostrato dall’amministrazione regionale sulla nostra richiesta di invertire l’ordine del giorno della riunione". Le cinque sigle avevano chiesto di parlare subito, all’inizio della riunione convocata ieri, dei distacchi e della pianta organica in generale senza entrare nello specifico della situazione della casa circondariale di Sassari e della colonia penale di Mamone.

"Ma il provveditore regionale ha sfruttato il no di altre tre sindacati per non accogliere la nostra proposta che era spinta dall’attuale emergenza nelle carceri isolane". Questo no è stato visto dai sindacati che hanno firmato il documento come "una decisione illogica alla luce del fatto che la riunione di ieri era il primo riavvicinamento dopo la lunga interruzione nelle relazioni sindacali". A questo punto le cinque sigle hanno abbonato la riunione e confermato lo stato di agitazione.

Terni: si è svolta oggi festa del Corpo di Polizia penitenziaria

 

Comunicato stampa, 30 ottobre 2008

 

Nel pomeriggio di giovedì 30 ottobre nella Casa Circondariale di Terni è stato celebrato il 191° Annuale del Corpo di Polizia Penitenziaria. Come già lo scorso anno, la cerimonia rappresenta la dimensione Provinciale dell’Amministrazione Penitenziaria con gli istituti di Terni e di Orvieto.

Il Corpo della Polizia Penitenziaria si configura come una forza di polizia moderna che con le sue specifiche competenze nell’ambito della esecuzione penale e che coniugano sicurezza e trattamento, interagisce con l’autorità giudiziaria e con le altre forze dell’ordine per un risultato comune.

Nell’istituto di Terni il personale di Polizia Penitenziaria è di circa 200 unità, 154 uomini e 19 donne del quadro permanente e 27 appartenenti al Gruppo operativo mobile. L’istituto penitenziario di Terni dopo l’indulto, è tornato ai livelli di capienza del 2006 con una presenza media vicina ai 300 detenuti, ma la momentanea deflazione ha permesso di effettuare interventi di ammodernamento e adeguamento delle sei sezioni detentive rendendo l’istituto più funzionale e vivibile.

Nel discorso di saluto il Direttore Dr. Francesco Dell’Aira ha sottolineato i difficili ed impegnativi compiti della Polizia Penitenziaria e di tutto il personale dell’amministrazione che "ha ben presente il mandato e profonde concretamente il proprio impegno lavorativo attraverso un coinvolgimento professionale che coniuga con quello emotivo".

Ha poi sottolineato la grande sinergia con tutte le istituzioni ed il vario mondo del volontariato ed ha aggiunto che "solo il pieno utilizzo di misure alternative alla detenzione e delle norme sull’estradizione potrebbero validamente mantenere in equilibrio il sistema senza ricorrere ancora a strumenti di deflazione emergenziali di cui ben conosciamo gli effetti. Ma questi devono coniugarsi con una più efficace ed adeguata gestione del Personale ed una equilibrata distribuzione delle risorse". Alla cerimonia sono intervenute le massime autorità cittadine. Fra queste il prefetto, il sindaco, magistrati del Tribunale e della Sorveglianza il questore, i comandanti di tutte le altre forze di polizia.

Immigrazione: presentato oggi il "Dossier" Caritas-Migrantes

 

Redattore Sociale - Dire, 30 ottobre 2008

 

In pillole i dati salienti della diciottesima edizione del rapporto di Caritas e Migrantes. Dall’incidenza demografica alla criminalità, dalla burocrazia ai flussi difficili.

Il Dossier Statistico Immigrazione Caritas-Migrantes 2008, 18ma edizione, presentato oggi a Roma e in tutte le regioni italiane è diventato negli anni un punto di riferimento obbligato per tutti coloro che si occupano della tematica. Per certi versi è ormai una fonte prioritaria, anche se nel passato sono state sollevate questioni a proposito delle cifre. Nel Dossier di quest’anno la questione cifre viene affrontata direttamente, spiegando anche i criteri adottati e contribuendo quindi a svelare il mistero delle cifre dissonanti rispetto a quelle ufficiali dell’Istat e del ministero dell’Interno.

 

Le cifre

 

La consistenza degli immigrati regolari in Italia si aggira tra i 3,5 milioni di residenti accertati dall’Istat e i 4 milioni ipotizzati dal Dossier, spiega Franco Pittau. "Noi includiamo nel conteggio anche le presenze regolari che, a causa delle procedure molto lunghe, ancora non sono registrate in anagrafe: è come se anticipassimo di un anno l’inserimento dei nuovi venuti presso i rispettivi Comuni". Sia per l’Istat che per il Dossier la popolazione immigrata è aumentata di diverse centinaia di migliaia. In Italia risultano presenti 3.987.000 persone che sono regolarmente registrate. La cifra non comprende quindi tutta la fascia dell’immigrazione irregolare ed è comunque superiore a quella registrata ufficialmente nelle statistiche dell’Istat che parlano di 3.432.651 immigrati regolari. Si tratta quindi di una differenza rilevante di circa il 16%.

 

La presenza nel territorio

 

Gli immigrati sono 1 ogni 15 residenti in Italia e 1 ogni 15 studenti a scuola, ma quasi 1 ogni 10 lavoratori occupati; inoltre, in un decimo dei matrimoni celebrati in Italia è coinvolto un partner straniero, così come un decimo delle nuove nascite va attribuito a entrambi i genitori stranieri. La maggior parte vive nel nord Italia. La Lombardia è ancora la prima regione in quanto a presenza. Il Lazio ha una numero di immigrati pari a quello di tutte le regioni meridionali.

 

I romeni i più numerosi

 

La comunità romena, raddoppiata nel giro di soli due anni, conta 625mila residenti e, secondo le stime del Dossier quasi 1 milione di presenze regolari. Al secondo posto gli albanesi con 402 mila presenze e subito dopo i marocchini a quota 366 mila. Mentre un poco al di sopra e un poco al di sotto delle 150mila unità si collocano, rispettivamente, le collettività cinese e ucraina. In termini percentuali gli europei rappresentano il 52% del totale degli stranieri residenti in Italia, gli africani il 23,2%, gli asiatici il 16,1% e gli americani l’8,6%. Secondo le stime del Dossier la regione con il maggior numero di stranieri regolari è la Lombardia (953.600 presenze pari al 23.9% del totale), seguita dal Lazio (480.700 pari al 12,1% del totale) e dal Veneto (473.800 pari all’11,9% del totale).

 

Il lavoro e il sindacato

 

In Italia lavorano circa un milione e mezzo di immigrati, che rappresentano il 10% degli occupati in diversi comparti. Come è successo in tutta la storia dell’immigrazione italiana (fenomeno recente, ma ormai consolidato), la maggior parte degli immigrati occupati si concentra al nord. A Brescia, si legge nel Dossier Caritas-Migrantes, è nato all’estero un lavoratore su cinque occupati. A Mantova, Lodi e Bergamo uno su sei. A Milano, uno su sette. In tutta la Lombardia quasi la metà dei nuovi assunti (45,6%) è nata all’estero. Nel Veneto, all’inizio del 2000, c’erano nelle aziende di diversi comparti industriali circa 20 mila immigrati. Ora sono diventati 40 mila.

Un segnale della trasformazione radicale del mondo del lavoro che sta avvenendo in questo periodo riguarda le iscrizioni al sindacato. Il tasso di iscrizione è molto alto e in numero assoluto i tesserati immigrati hanno ampiamente superato la cifra di 800 mila lavoratori. E siccome una fascia di consistente di iscritti ai sindacati italiana è attualmente pensionata, il grado di adesione degli immigrati al sindacato risulta ancora più alto se si misura solo sui lavoratori attivi. Mentre infatti la percentuale di iscritti al sindacato sul totale dei lavoratori è del 5%, la percentuale sul totale degli iscritti tra i lavoratori attivi raggiunge ormai il 12%.

 

La cittadinanza e l’incidenza demografica

 

Come spiega Franco Pittau, la consistenza dei numeri sulla presenza di immigrati regolari è rafforzata dal dinamismo della loro crescita. Le acquisizioni di cittadinanza sfiorano le 40 mila unità; le nuove nascite sono 64 mila; gli studenti aumentano al ritmo di 70 mila l’anno; i minori tra nuovi nati e venuti dall’estero sono più di 100 mila; le nuove assunzioni "ufficiali" sono più di 200 mila l’anno; l’aumento minimale della popolazione si aggira sulle 350 mila unità. Tra il 2000 e oggi il raddoppio è generalizzato. Per avere un’idea più pregnante di quanto stia avvenendo dobbiamo ritornare all’immediato dopoguerra, quando eravamo noi a prendere le vie dell’esodo, 300 mila l’anno e qualche volta anche di più.

Ipotizzando 250 mila nuovi ingressi l’anno, nel 2050 la popolazione attiva in Italia scenderà da 39 a 31 milioni, mentre gli ultra sessantacinquenni, attualmente 12 milioni, diventeranno 22 milioni. Sempre nel 2050 la presenza degli immigrati risulterà più che triplicata, con 12,4 milioni di persone e un’incidenza del 18%: senza di loro il nostro accentuato processo di invecchiamento pregiudicherebbe seriamente le capacità produttive del paese.

 

La ricchezza prodotta e la spesa sociale

 

Secondo una stima di Unioncamere, gli immigrati concorrono per il 9% alla creazione del Pil, tre punti in più rispetto all’incidenza sulla popolazione, maggiorazione ben comprensibile alla luce del loro più alto tasso di attività. Gli immigrati hanno un costo in termini di servizi e assistenza. I Comuni italiani spendono specificamente per gli immigrati il 2,4% della loro spesa sociale (nel 2005, ultimo dato disponibile, 137 milioni di euro). Tenendo conto che gli immigrati sono fruitori anche di servizi a carattere generale, si può stimare che attualmente per loro si possa arrivare a una spesa sociale di un miliardo di euro, ampiamente coperti dai 3,7 miliardi di euro che, secondo una stima del Dossier, essi assicurano come gettito fiscale.

 

La criminalità

 

Il Dossier 2008 mette a confronto fonti diverse. L’analisi congiunta delle statistiche giudiziarie e penitenziarie relative agli anni Duemila porta a queste conclusioni: gli immigrati regolari, quelli della porta accanto per così dire, hanno all’incirca lo stesso tasso di devianza degli italiani; prevalgono le collettività di immigrati solo marginalmente toccate dalle statistiche criminali; gli addebiti giudiziari sono più ricorrenti per gli immigrati che si trovano in situazione irregolare, senza peraltro che debbano essere trasformati per principio in delinquenti; la maggiore preoccupazione va riferita alle "mele marce" delle diverse collettività immigrate e alla criminalità straniera organizzata, che sta prendendo piede anche in collaborazione con le organizzazioni malavitose locali.

 

I flussi annuali e il sommerso

 

Tra il 2005 e il 2007 sono state presentate circa 1 milione e 500 mila domande di assunzione di lavoratori stranieri da parte delle aziende e delle famiglie italiane: 251 mila nel 2005, 520 mila nel 2006 e 741 mila nel 2007, con una incidenza sulla popolazione straniera già residente rispettivamente del 10%, del 20% e del 25% (ma addirittura del 33% rispetto ai lavoratori stranieri già occupati). I flussi registrati nell’ultimo decennio sono tra i più alti nella storia d’Italia - rileva il Dossier. Poiché nel 2007 la quota iniziale di 170 mila ingressi non è stata integrata - e tenendo conto delle domande presentate - è possibile ipotizzare la presenza di almeno mezzo milione di persone già insediate in Italia e inserite nel mercato del lavoro nero (e a volte sprovviste di permesso di soggiorno). Il che solleva dalla necessità di una più efficace gestione del mercato occupazionale. Per questo Caritas-Migrantes chiedono interventi più organici. E infatti - si legge nel Dossier - non potranno essere i Centri di identificazione e di espulsione e gli interventi repressivi a regolare il fenomeno.

È necessario rendere più flessibile il ricorso alle quote, anziché chiudere pregiudizialmente l’afflusso di immigrati in Italia. Così la pensano i responsabili del Dossier. Invece di irrigidirsi su tetti di entrata e di regolarizzazione decisi a tavolino, sarebbe molto più proficuo ragionare in modo elastico sulle quote, anche in base alle esigenze delle imprese e del sistema economico in generale.

 

La burocrazia

 

Il numero degli immigrati e il ritmo della loro crescita impongono che le procedure burocratiche per il soggiorno siano più agibili. Attualmente i termini di legge costituiscono un "diritto di carta" che non viene rispettato è di grave pregiudizio nell’educazione alla legalità e nel perseguimento di una strategia concreta di accoglienza. L’acquisizione dei documenti necessari per il disbrigo delle pratiche è diventata una sorta di corsa a ostacoli, costosa in termini di tempo e di soldi. Pensiamo ai visti ai permessi di soggiorno, ai ricongiungimenti familiari, alle pratiche per la cittadinanza. Le procedure per l’inserimento nel mondo del lavoro erano già problematiche al momento della loro introduzione nel 1986 e lo sono diventate ancor di più a partire dal 2002, quando sono state rese più rigorose, anche perché nel frattempo è aumentato notevolmente il numero degli immigrati di cui gestire il collocamento. È lo stesso decreto annuale sui flussi a registrare le sacche di regolarità che si formano.

 

Imprenditori

 

L’85% delle aziende con titolari immigrati è stato costituito dal 2000 in poi. La collettività straniera che vanta tra le sue fila il maggior numero di imprenditori è quella marocchina, con 20 mila figure di questo tipo. Subito dopo arriva quella romena, tuttora in forte crescita, seguita dalla comunità cinese. Anche gli imprenditori albanesi non sono pochi con le loro 17 mila presenze. Il grosso dell’iniziativa degli immigrati che decidono di mettersi in proprio si concentra tra l’edilizia e il commercio: per entrambi i settori risultano 4 imprese su 10.

Immigrazione: in 5 anni stranieri raddoppiati, denunce +45%

 

Redattore Sociale - Dire, 30 ottobre 2008

 

Dal 2001 al 2005 l’incidenza della criminalità straniera (regolare e non) è passata dal 17,4% al 23,7%, mentre la presenza straniera regolare è raddoppiata: da 1.334.889 a 2.670.514.

Nei cinque anni che vanno dal 2001 al 2005 le denunce contro cittadini stranieri sono aumentate del 45,9% - rende noto il Dossier Immigrazione 2008 - passando da 89.390 del 2001 a 130.458 del 2005, su un totale di 550.990 (ultimo dato Istat disponibile). Nello stesso periodo l’incidenza della criminalità straniera (regolare e non) è passata dal 17,4% al 23,7%, mentre la presenza straniera regolare è raddoppiata (da 1.334.889 a 2.670.514 residenti stranieri). Solitamente - affermano i curatori del Dossier - si ritiene che gli stranieri abbiano un tasso di delinquenza più alta degli italiani, senza tenere conto che la "popolazione straniera" coinvolta nelle denunce include anche gli immigrati irregolari e le persone di passaggio, non quantificabili con esattezza.

Secondo il Rapporto sulla criminalità 2007 del Ministero, citato dal Dossier, i cittadini stranieri regolari incidono sulle denunce penali complessive all’incirca nello stesso modo in cui sul totale della popolazione residente, anche se emerge un particolare coinvolgimento in reati quali lo sfruttamento della prostituzione, l’estorsione, il contrabbando e la ricettazione.

Senza sottovalutare la negativa incidenza della criminalità su una corretta convivenza societaria, i curatori del Dossier fanno però notare che la cultura della legalità non è la mera risultante di interventi repressivi, ma ha bisogno di politiche sociali più inclusive, perché prevenzione e integrazione devono andare di pari passo, mentre espressioni del tipo "tolleranza zero " sono più che abusate nel nostro Paese.

Immigrazione: Circolare rende più difficili i ricongiungimenti

di Antonio Ciccia

 

Italia Oggi, 30 ottobre 2008

 

Partono subito le nuove regole, restrittive, sui ricongiungimenti familiari per i cittadini extracomunitari. La Circolare del Ministero dell’Interno (protocollo 0004660 del 28 ottobre 2008) firmata dal direttore della direzione per le politiche dell’immigrazione e dell’asilo, chiarisce che in assenza di norme transitorie le disposizioni introdotte dal decreto legislativo 160/2008 sono immediatamente applicabili dagli uffici amministrativi, avvocati e magistrati dal 5 novembre 2008, e cioè dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, avvenuta lo scorso 21 ottobre 2008.

Tra l’altro uffici e legali devono fare i conti con l’introduzione dell’esame del Dna per documentare i rapporti di famiglia e lo stato di salute. Le disposizioni dovranno essere tenute in considerazione dagli operatori del diritto anche per le domande pendenti, per le quali risulti ancora aperta l’istruttoria. La circolare in commento, infatti, prescrive che per queste pratiche, per le quali non sia stata acquisita la documentazione, all’atto della convocazione dovrà essere attestato dall’interessato il possesso dei requisiti imposti dalla nuova normativa. Le novità riguardano sia i requisiti soggettivi sia i requisiti oggettivi del ricongiungimento.

Il livello soglia di reddito in genere cresce e lo straniero che chiede il ricongiungimento deve dimostrare di avere un reddito pari all’assegno sociale, aumentato della metà per ogni familiare da ricongiungere. È obbligatoria, poi, una polizza si assicurazione per il ricongiungimento di genitori ultra sessantacinquenni o una equivalente iscrizione al servizio sanitario nazionale con un contributo a carico dell’interessato. Altrettanto restrittivi sono i nuovi requisiti soggettivi.

Per il coniuge è necessaria l’età maggiorenne; per i figli maggiorenni, solo se non possono permanentemente, a causa di totale invalidità, provvedere al proprio sostentamento; per i genitori è ammesso il ricongiungimento solo in mancanza di altri figli in grado di mantenerli. Una circostanza che dovrà essere approfondita da uffici, magistrati e avvocati riguarda la documentazione probatoria dei rapporti di parentela e dello stato di salute.

Se mancano certificati o attestazioni rilasciati da autorità straniere o in caso di fondato dubbio sulla autenticità di certificati o documenti, le rappresentanze diplomatiche e consolari provvederanno al rilascio delle certificazioni anche sulla base dell’esame del Dna. L’esame del Dna deve essere effettuato a spese degli interessati. In materia si è anche pronunciato il garante della privacy e il parere del garante è espressamente richiamato anche dalla circolare in commento. Infine diventano 180 (sono quindi raddoppiati) i giorni dalla richiesta del nulla osta, decorsi i quali l’interessato può ottenere il visto di ingresso direttamente dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, dietro esibizione della copia degli atti contrassegnata dallo sportello unico per l’immigrazione, da cui risulti la data di presentazione della domanda e della relativa documentazione.

Contemporanea alla nuova normativa sul ricongiungimento è anche la novella sulle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato politico. Il decreto legislativo n. 159 del 3 ottobre 2008 ha modificato il decreto legislativo 25/2008. In particolare durante l’esame della domanda lo straniero ha diritto di rimanere nel territorio italiano, ma il prefetto competente stabilisce un luogo di residenza o un’area geografica in cui i richiedenti asilo possano circolare.

Lo straniero, inoltre, viene investito dell’obbligo, se convocato, di comparire personalmente davanti alla Commissione territoriale e di consegnare i documenti in suo possesso pertinenti ai fini della domanda, incluso il passaporto: chiaro l’intento di impedire che la richiesta di asilo sia un pretesto per entrare in Italia e diventare poi un clandestino non rintracciabile. La domanda di asilo potrà essere respinta anche per manifesta infondatezza quando risulta la palese insussistenza dei presupposti, oppure quando risulta che la domanda è stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento.

Droghe: Federserd Lombardia contro il vicesindaco di Milano

 

Notiziario Aduc, 30 ottobre 2008

 

Federserd Lombardia vuole stigmatizzare le gravissime ed inaudite dichiarazioni rese alcuni giorni fa dal vice Sindaco di Milano. Confondere la luna con il dito, attribuendo la responsabilità di un problema alle strutture create per affrontarlo, è un esercizio abituale per chi ha la necessità di fare cattiva informazione.

Ci rendiamo conto che il controllo del territorio e la gestione dell’ordine pubblico sono, oggi, un grande problema per tutti i comuni delle grandi città. Ma non è certo lanciando assurde accuse alle Strutture del Sistema Sanitario Nazionale che i Comuni miglioreranno le proprie performance nel garantire la sicurezza ai cittadini.

La Federazione accoglie con soddisfazione la netta presa di distanza della Direzione Strategica della Asl Città di Milano, che ha voluto sottolineare la qualità del lavoro dei propri Servizi per le Dipendenze e la necessità di potenziarli. Vogliamo cogliere, nella dichiarazione della Regione Lombardia relativa alla necessità di riformare i Ser.T., la condivisione delle necessarie inversioni di tendenza rispetto a problemi che affliggono i Servizi da anni, e che da altrettanti anni Federserd Lombardia segnala: Personale, perduto in cinque anni il 60% (rapportato all’aumento della popolazione in carico ai Servizi); Adeguamento delle sedi sia dal punto di vista della logistica e delle attrezzature, che dal punto di vista del comfort e del decoro generale; Investimenti finalizzati alla formazione e alla supervisione dei gruppi di lavoro; Investimenti finalizzati a progetti di monitoraggio e sperimentazione delle attività innovative

 

Per il Direttivo di Federserd Lombardia

Il Presidente regionale Edoardo Cozzolino

Droghe: bimbo è morto per aver (forse) ingerito del metadone

 

Notiziario Aduc, 30 ottobre 2008

 

Potrebbe avere ingerito una sostanza tossica - forse del metadone incustodito - il bambino di un anno arrivato esanime intorno alle 18 di ieri pomeriggio in braccio ai genitori al pronto soccorso dell’ospedale di Ronciglione, in provincia di Viterbo. I sanitari hanno tentato in tutti i modi di rianimare il piccolo, ma ogni tentativo è risultato inutile e non è rimasto che constatarne il decesso.

La successiva perquisizione effettuata in casa della coppia dai carabinieri della locale Compagnia, comandati dal capitano Marco Nasponi, ha portato al rinvenimento e al sequestro di diversi flaconi di metadone (alcuni pieni e alcuni vuoti), di 11 piantine di marijuana, di semi di cannabis e di una vera e propria una serra artigianale - ricavata all’interno del locale - destinata alla coltivazione di canapa indiana.

L’uomo, 35 anni, e la sua convivente, di 25, sono stati arrestati per detenzione di droga: lui, in cura presso il Ser.T. di Ronciglione, ha precedenti specifici legati allo spaccio.

"Nell’appartamento - spiega il capitano Nasponi -, in pratica un’unica grande stanza adibita a più usi, regnava una grandissima confusione: il piccolo dormiva quando i genitori si sono accorti che stava male". "Aveva le manine e i piedini freddissimi", avrebbe raccontato la mamma in lacrime agli inquirenti. "Lo abbiamo avvolto in un accappatoio e l’abbiamo subito portato in ospedale".

Solo l’autopsia, in programma domani, potrà accertare le reali case del decesso: gli esami di laboratorio riguarderanno anche quanto rigurgitato dal bimbo quando i sanitari hanno provato ad intubarlo e le tracce di vomito rimaste sugli abiti indossati dalla madre al momento della corsa in ospedale.

Il bambino morto per avvelenamento da metadone, un oppioide sintetico utilizzato nella terapia di mantenimento per la dipendenza da eroina, potrebbe avere avuto una depressione dei centri del respiro. È questo infatti l’effetto più pericoloso del farmaco utilizzato nella terapia di mantenimento per tossicodipendenti da eroina.

Il metadone si assume sotto forma di sciroppo o supposte e passa nel latte materno; con l’analisi dei liquidi biologici (sangue, urine) si può determinare se e in che dosaggio è stato assunto. Il metadone ingerito, probabilmente in modo accidentale, potrebbe essere stata la causa o aver aggravato una condizione preesistente.

Viene utilizzato, ha spiegato Piergiorgio Zuccaro dell’Istituto Superiore di Sanità, in pediatria solo nei neonati che nascono in crisi d’astinenza da madri eroinomani, ma viene somministrato dal neonatologo, e non è previsto l’uso domiciliare. Ci sono altri precedenti di intossicazioni da metadone nei bambini, che in due recenti casi era stato dato dai genitori per farli addormentare. Si è trattato di un bambino di due anni a Venezia e una bambina di tre anni a Campobasso poi morta.

Zuccaro spiega che l’intossicazione da farmaci è una delle principali cause di accesso ai centri antiveleno e i più a rischio sono proprio i bambini più piccoli, quelli sotto i 5 anni che sono il 70% dei pazienti che vengono ricoverati per questa causa.

"La notizia della morte del bambino di Viterbo, deceduto per aver ingerito metadone in possesso dei genitori tossicodipendenti, lascia sgomenti". Lo afferma Isabella Bertolini, componente del direttivo del Pdl alla Camera in merito alla morte di bambino di un anno a Ronciglione, nel viterbese, per aver ingerito accidentalmente sostanze stupefacenti. "Se le indiscrezioni saranno confermate - ha spiegato la Bertolini - si aprono interrogativi inquietanti sulla bontà e sull’efficacia delle leggi che regolano la somministrazione e la prescrizione del metadone ai drogati. Questa morte orribile - ha concluso - testimonia il fallimento delle politiche basate sulla filosofia della riduzione del danno. Le forze politiche devono interrogarsi sulle modifiche legislative necessarie ed opportune da apportare rapidamente alla normativa vigente, per impedire che si consumino altre tragedie come quella avvenuta oggi".

Droghe: Maisto a Faenza per parlare di dipendenze e carcere

 

Notiziario Aduc, 30 ottobre 2008

 

Entra nel vivo "Parole Stupefacenti", il ciclo organizzato dal Ser.T. col Comune, martedì 4 novembre, con "Tossicodipendenza, carcere e alternative", incontro tenuto da Francesco Maisto, magistrato. Il relatore è presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, con competenza sulla Dozza e su tutti gli istituti di pena dell’Emilia Romagna. Giudice a volte definito "di frontiera", già Sostituto Procuratore alla Procura generale di Milano, per dieci anni giudice di sorveglianza a S. Vittore, è anche scrittore e conferenziere, esperto di droga e di criminologia clinica.

È legato a molti dei processi di appello di Tangentopoli, ma soprattutto a un periodo cruciale delle carceri italiane, gli anni ‘80, che portarono al varo della legge Gozzini di cui Maisto è stato sostenitore già nella fase di preparazione. Ha tenuto la conferenza "Il carcere oggi, tra indulto negato e leg-gi inattuale" e ha partecipato ai convegni: "L’ipotesi di riforma dell’ordinamento penitenziario", "Due decadi di riduzione del danno: dall’emergenza aids ad un modello innovativo di politiche pubbliche", "Presentazione della IV Conferenza Latina sulla riduzione dei danni correlati al consumo di droghe (Clat4)" e "Trattamento rieducativo e tutela della persona nel sistema penitenziario".

Spagna: detenuti fanno cammino di Santiago di Compostela

 

Radio Vaticana, 30 ottobre 2008

 

Cento chilometri contro i cento passi di una cella. È l’equazione che rende il senso dell’iniziativa che si sta svolgendo grazie alla pastorale penitenziaria della diocesi di Vitoria, nei Paesi Baschi. Dodici detenuti stanno percorrendo sei tappe del Cammino di Santiago per camminare poi verso la libertà. Un modo, si legge su Zenit, per mettere a disposizione dei carcerati "le risorse necessarie per superare gli aspetti della loro personalità e del loro ambiente sociale e familiare che li hanno portati a contravvenire alle regole, e preparare il ritorno alla vita in libertà". "Altri obiettivi - si legge ancora - sono quelli di promuovere i valori positivi, rafforzare le relazioni interpersonali in un ambiente diverso dal penitenziario, migliorare le capacità sociali, potenziare il rispetto di se stessi e del gruppo, osservare in modo più approfondito i problemi specifici dei reclusi, promuovere la conoscenza dell’ambiente culturale e artistico delle zone che si visitano, migliorare la convivenza tra reclusi e personale". Il cammino si concluderà il primo novembre ma già nel mese di maggio si propone un altro pellegrinaggio da Nanclares a Santiago passando per Álava.

Stati Uniti: giudice autorizza segreto su torture a Guantanamo

 

Ansa, 30 ottobre 2008

 

Un giudice federale ha autorizzato il governo americano a rifiutare di fornire documenti su torture e abusi commessi su 14 prigionieri di Guantanamo, come aveva chiesto un gruppo di difesa dei diritti umani. L’amministrazione Usa aveva autorizzato l’uso della tortura negli interrogatori di presunti terroristi detenuti nella base cubana di Guantanamo e nelle prigioni americane in Iraq. La Aclu, importante associazione statunitense per la difesa delle libertà civili, ha denunciato che la sua richiesta è stata respinta non tanto per ragioni di sicurezza nazionale, quanto per proteggere il governo da qualsiasi critica e responsabilità.

 

 

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