Rassegna stampa 18 ottobre

 

Giustizia: allarme carceri; Alfano un ministro senza soluzioni

di Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 18 ottobre 2008

 

Roma 14 ottobre 2008. Ore 13.13. Il Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, è dinanzi alla commissione giustizia della Camera per relazionare sulla condizione delle carceri.

"Questa notte hanno dormito nelle carceri italiane 57.187 detenuti." Afferma il Ministro. Un’affermazione importante. È la misura del sovraffollamento. Infatti, la capienza regolamentare delle nostre carceri è di 43.262 posti. Il che vuol dire che oggi ci sono circa 14 mila detenuti in più. Anzi no! Il numero del sovraffollamento è ancora maggiore. E già perché il Ministro, con onestà, subito precisa: "La capienza regolamentare di 43 mila posti è solo virtuale. Nella realtà, per ragioni strutturali o per mancanza di personale, possiamo contare solo su 37.742 posti."

Una seconda affermazione del Ministro Alfano che contraddice quanto ha sempre affermato Roberto Castelli mentre era Guardasigilli. Un’affermazione che ci consegna una realtà più drammatica rispetto a quella che ci immaginiamo. La realtà è: nelle carceri ci sono 20 mila detenuti in più. E non 14 mila. Una differenza non da poco.

La relazione del Ministro prosegue fotografando in modo preciso la realtà delle italiche prigioni. Prigioni non solo sovraffollate ma anche vecchie. Secondo il Ministro, infatti, il 50% delle carceri devono essere chiuse perché vetuste. Infatti tra queste il 20% è stato realizzato tra il 1200 e il 1500. Mentre il restante 30% risale all’800.

Poi, il Ministro snocciola i dati sui detenuti. La ragione della loro detenzione. La nazionalità.

"Su 57.187 detenuti solo 24.285 sono condannati, mentre gli altri sono in attesa di giudizio." Tradotto: le nostre carceri sono sì sovraffollate, ma da presunti non colpevoli! Ed ancora. "Su 57.187 detenuti, 21.366 sono stranieri. Ovvero il 38%" Come dire che le carceri sono sì sovraffollate, ma non da italiani!

A questo proposito il Ministro spiega che ciò che non funziona è il meccanismo dell’espulsione dello straniero. Espulsione prevista nella legge Bossi-Fini. Non a caso, precisa Alfano, nel 2007 le espulsioni sono state solo 282. Mentre, fino al giugno del 2008, appena 150. Ma non è tutto.

Secondo il Guardasigilli, c’è un enorme via vai di detenuti che resta in carcere per pochi giorni e poi esce. Un flusso impressionante, una marea umana di 170 mila persone all’anno.

Punto. Si, punto. Perché finisce qui la parte della relazione del Ministro sul dato reale delle carceri. Sulla loro attuale condizione.

Si passa alle soluzioni. Poche e poco convincenti. Il Ministro dice che è meglio ampliare le carcere esistenti che costruirne di nuove. Uno spunto interessante ed anche più economico. Infatti creare in un carcere 200 posti nuovi costa circa 10 milioni di euro, mentre costruirne uno di sana pianta costa circa 50 milioni. Peccato che il Ministro appaia legato alla vecchia logica del cemento e non sembra aver verificato la validità di nuove tecniche di costruzione. Ovvero di quelle strutture prefabbricate, brevettate negli Usa ma disponibili anche in Italia, che costano meno e hanno dei tempi di realizzazione minori. Nuove tecnologie che consentirebbero di costruire un padiglione da 200 posti in un anno, e non in tre, al costo di 6 milioni di euro.

Ed ancora. Il Ministro lamenta la mancanza di soldi per la realizzazione di nuove carceri. È possibile. Peccato che il Ministro non abbia però predisposto un progetto per reperire le risorse che già oggi sarebbero disponibili. Come le ingenti risorse finanziarie ricavabili dalla vendita delle vecchie carceri che, situate nei centri storici delle nostre città, hanno un notevole valore sul mercato immobiliare. Peccato che il Ministro non abbia reso concreta l’idea, a suo tempo scritta su questa pagina dall’attuale Ministro della Difesa Ignazio La Russa, di utilizzare le caserme disabitate per detenere chi è in misura cautelare e non è pericoloso.

Poi il Ministro si sofferma su quei 170 mila detenuti che subiscono ogni anno detenzioni brevi. Per risolvere il problema suggerisce di detenere nelle camere di sicurezza della polizia giudiziaria e non in carcere chi è sottoposto a fermo. Inoltre afferma che sarebbe il caso di non portare l’arrestato dinanzi al giudice per la convalida, se non in casi eccezionali.

Ora, a parte che sarebbe utile capire dove la polizia giudiziaria possa mettere nelle proprie strutture 170 mila detenuti all’anno, sembra che il Ministro dimentichi qualcosa. Ovvero il principio sacrosanto previsto dalla legge per cui l’essere presente dinanzi al giudice è un diritto dell’arrestato. Un diritto a cui solo lui può giustamente rinunciare.

Infine, il Ministro ha parlato dei bambini detenuti. Della necessita di imitare l’esperienza di Milano, l’unica in Italia dove 12 bambini e le loro mamme sono stati fatti uscire dal carcere e portati in un appartamento "protetto". Peccato che in tutta Italia sono una sessantina questi bambini detenuti. Un numero talmente ridotto da rendere immediatamente realizzato, e non solo annunciato, il felice precedente di Milano. Fine delle soluzioni indicate dal Ministro. Parole, parole, parole. Non un progetto concreto. Non una prospettiva utile e innovativa.

Giustizia: Uil; Finanziaria taglia i fondi per le carceri del 30%

 

Agi, 18 ottobre 2008

 

"Voglio dirlo con estrema chiarezza perché ancora c’è il tempo di correre ai ripari: con la prevista legge finanziaria il sistema penitenziario faticherà a reggere nel prossimo anno. A rischio è addirittura il diritto alla difesa per persone imputate e detenute". A lanciare l’allarme è Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil-Pa (Pubblica amministrazione) Penitenziari, intervenuto a Bari ad un dibattito sulla sicurezza.

"Voglio sperare che il Ministro Alfano approfondisca immediatamente la questione dei tagli indiscriminati previsti al sistema carcere. Con l’inarrestabile aumento della popolazione detenuta, oramai a 57mila unità, trovo francamente contraddittorio e rischioso - sottolinea Sarno - prevedere tagli sostanziosi finanche ai fondi per le spese di vitto e mantenimento. Evidentemente non è solo una operazione matematica, altrimenti non si spiegano i tagli del 30%. Voglio chiarire che questi tagli incideranno direttamente sulla qualità del vitto e sulla possibilità di remunerare il lavoro intramurario. Si costringono, di fatto, i detenuti all’ozio. Ovvero si creano le condizioni ottimali all’insofferenza, all’intolleranza e alla violenza. Tutto ciò coniugato alla mancanza di spazi e alle deficienti condizioni strutturali degli istituti costituisce una miscela esplosiva che non tarderà a deflagrare".

La Uil-Pa Penitenziari si dice preoccupata anche per i tagli al servizio Traduzioni e allo straordinario del personale addetto. "Un altro 30% di tagli - continua Sarno - è previsto per le spese al servizio Traduzioni e per le missioni del personale. Questo comporterà, tra l’altro, il mancato acquisto di mezzi nuovi e idonei. Ad oggi il parco macchine è vetusto e inadeguato. Tantissimi sono i mezzi che se in uso a privati sarebbero oggetto di immediato sequestro. Per questo se il parco mezzi non sarà immediatamente e idoneamente integrato potrebbero non essere garantite la traduzioni dei detenuti in udienza.

Si affermerebbe, in tal modo, una gravissima violazione al principio costituzionale del diritto alla difesa per le persone detenute. Nel qual caso, ovviamente, le responsabilità non potranno riferirsi al personale della polizia penitenziaria che già oggi è costretto ad anticipare fondi propri per garantire il servizio svolto permanentemente in precarie condizioni di operatività. Frenare il pendolarismo giudiziario - conclude Sarno - si può, basta avere la volontà di approcciare al problema.

Ma quando si viaggia con autovetture nuove ed efficienti, per giunta scortati, certi problemi potrebbero anche non interessare. Per questo faccio appello ai tanti parlamentari che hanno sempre dichiarato di avere a cuore il sistema carcere ad intraprendere ogni utile iniziativa atta ad impedire che la mannaia della finanziaria si abbatta con inusitata ferocia su un sistema già agonizzante".

Giustizia: "ronde padane"... la Lega vuole farne una polizia?

 

Il Manifesto, 18 ottobre 2008

 

In futuro gli enti locali potranno stringere accordi e avvalersi della "collaborazione" delle organizzazioni di cittadini che desiderano attivarsi per il controllo del territorio in cui vivono. Detto in altre parole: per le ronde di quartiere, di qualunque colore siano, sta per arrivare la prima legalizzazione ufficiale.

A togliere le ronde dall’ambiguità normativa in cui oggi si muovono, è un emendamento della Lega al disegno di legge sulla sicurezza in discussione nelle commissioni Giustizia e Affari Costituzionali del Senato. Emendamento che punta soprattutto a legittimare le ronde padane, già oggi attive in molti comuni del nord-est. "Più che di una vera e propria legalizzazione - minimizza il vicepresidente del Carroccio al Senato, Lorenzo Bodega - parlerei piuttosto di un modo per favorire quelle organizzazioni di cittadini che già oggi affiancano le forze dell’ordine".

E non si tratta dell’unica novità. Un altro emendamento leghista al disegno di legge interviene infatti sulle violenze domestiche, prevedendo di assegnare alla moglie o convivente vittima di violenza sessuale da parte del partner, la casa in cui vive, anche se di proprietà dell’uomo. Un modo, spiega sempre la Lega, "per rompere l’omertà che spesso accompagna queste violenze".

La nuova norma pro-ronde inserisce un nuovo articolo (il 18 bis) al ddl in discussione. Sei righe per affermare la possibilità per Comuni e Province di "avvalersi della collaborazione di guardie giurate particolari, nonché di associazioni tra cittadini", per "segnalare" a polizia e carabinieri "eventi che possano arrecare danno o disagio alla sicurezza urbana".

"L’esigenza - spiega sempre Bodega - era quella di togliere a queste organizzazioni quella patina un po’ folkloristica con cui oggi vengono viste, rendendole in qualche modo più serie". Che poi la Lega sia la maggiore promotrice di iniziative simili, per Bodega questo non significa automaticamente cercare di dare una maggiore visibilità e ufficialità all’azione delle ronde padane.

"La filosofia è quella di aiutare a rendere più sicuro il territorio, segnalando le eventuali illegalità alle forze dell’ordine", dice. Unico strumento concesso ai cittadini-vigilantes sarà il cellulare, con quale dare l’allarme in caso di necessità. La passione del Carroccio per le ronde non è certo una novità. Più volte, infatti, la Lega ha sollecitato la creazione di squadre di cittadini per sorvegliare strade e piazze, Iniziativa sollecitata dallo stesso ministro degli Interni Roberto Maroni, che in passato ha liquidato come semplici "cavilli" i dubbi di incostituzionalità delle ronde espressi dall’ex procuratore antimafia Pierluigi Vigna e dal leader dell’Idv Antonio Di Pietro.

Una convinzione che ha portato la Lega fino al punto di organizzare direttamente i proprio militanti in azioni di controllo. Come accaduto, ad esempio, a Treviso nel gennaio del 2007, quando annunciò la creazione di un "esercito" di cento uomini pronti a pattugliare l’intera provincia, o come le pattuglie organizzate il 10 ottobre scorso dal capogruppo del Carroccio al comune di Venezia, Alberto Mazzonetto, contro i venditori ambulanti abusivi, la maggior parte dei quali guarda caso immigrati. "Scendiamo in strada - ha spiegato Mazzonetto - per fare ciò che non fanno le forze dell’ordine purtroppo mal coordinate da chi deve di dovere".

I timori di eventuali degenerazioni, con le ronde impegnate più nella caccia di immigrati e ladruncoli che nella semplice segnalazione di eventuali illeciti alla polizia, vengono però cancellati da Bodega. "Questo rischio non esiste", spiega il senatore leghista. "Per come le vedo io le ronde devono avere soprattutto un ruolo di osservazione del territorio e di segnalazione alle forze dell’ordine: È chiaro poi che se l’emendamento dovesse essere approvato andrebbe preparato un regolamento con norme severe e sanzioni per chi non le rispetta".

Giustizia: caso Bianzino; la famiglia chiede "nuove indagini"

 

La Nazione, 18 ottobre 2008

 

I parenti di Aldo Bianzino vogliono dimostrare che il falegname fu ucciso in carcere. Tra le circostanze anomale sottolineate dai difensori dei familiari, la posizione del corpo sulla branda, l’essere nudo in periodo autunnale, l’immediato trasferimento del corpo fuori dalla cella e la sua deposizione avanti la porta chiusa dell’infermeria.

L’immediata iscrizione nel registro degli indagati del personale in servizio nella sezione del carcere di Capanne la notte in cui morì Aldo Bianzino, una perizia medico-legale che sgombri il campo da equivoci e stabilisca le cause della morte del falegname di 44 anni in cella per aver coltivato alcune piantine di canapa indiana; accertamenti sui tabulati telefonici degli agenti di turno e un’analisi dei filmati delle telecamere a circuito chiuso.

Tutto questo per dimostrare che - come ritiene la famiglia - Bianzino fu ucciso: l’avvocato Massimo Zaganelli che assiste la compagna e il figlio elenca le sue richieste istruttorie davanti al gip Massimo Ricciarelli che dovrà decidere sull’opposizione alla richiesta di archiviazione. E la storia del detenuto morto in cella ricomincia a fare rumore. Il pm Giuseppe Petrazzini ha ritenuto insussistente l’ipotesi di omicidio volontario chiedendo al giudice l’archiviazione del fascicolo aperto contro ignoti.

Ad avviso della procura, forte della consulenza medico-legale, il decesso del detenuto fu dovuto a cause naturali, ovvero la rottura di un aneurisma cerebrale. "Le indagini eseguite - scrive il pm - non hanno consentito di evidenziare, anche nella forma del minimo sospetto, l’esistenza di aggressioni del Bianzino, né occasioni in cui le stesse potessero essersi verificate". Richiesta alla quale i familiari hanno presentato opposizione: istanza discussa ieri mattina in aula.

L’avvocato Zaganelli, insieme ai colleghi Donatella Donati e Cristina Di Natale, ha illustrato le conclusioni del consulente medico-legale, Giuseppe Fortuni secondo il quale la morte fu dovuta ad un "violento trauma addominale da schiacciamento con conseguente lacerazione epatica, crisi ipertensiva arteriosa correlata alla sintomatologia dolorosa e alla paura con conseguente reazione adrenergica e successiva rottura di una sacca aneurismatica di una vaso arterioso cerebrale".

In sostanza mentre secondo gli esperti del pm non c’è alcun nesso tra la lesione al fegato - dovuta alle manovre rianimatorie - e l’aneurisma, per Fortuni il nesso c’è ed è provato dal fatto che la lesione epatica avvenne in vita mentre quando i medici praticarono i massaggio Bianzino era già morto. In aula il legale ha parlato di "istruttoria lacunosa che non ha consentito di far luce su una vicenda oscura". Tra le circostanze anomale sottolineate dai difensori dei familiari (si sono fatti avanti l’ex moglie, il padre e il fratello) la posizione anomala del corpo sulla branda, l’essere nudo in periodo autunnale, l’immediato trasferimento del corpo fuori dalla cella e la sua deposizione avanti la porta chiusa dell’infermeria.

Circostanze ritenute strane anche dal medico e dall’infermiere. "Di fatto - scrive l’avvocato Zaganelli nella richiesta di opposizione - pur in presenza di un’ipotesi di omicidio, incomprensibilmente la cella e gli oggetti ivi contenuti non vennero sottoposti a sequestro, né disposte indagini tecnico scientifiche... pure la nudità del corpo - sottolinea - poteva suggerire l’ipotesi di un oltraggio fisico o morale anteriore al decesso che si presume sia stato portato a immediata conoscenza del direttore, dell’ispettore capo e dei medici del carcere". Ora la soluzione del caso Bianzino, che tante polemiche ha sollevato, passa al gip che entro dieci giorni dovrà dire se riaprire l’inchiesta oppure chiudere per sempre il giallo del morto in cella.

Roma: Pd; chiuso l’Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti

 

Adnkronos, 18 ottobre 2008

 

"Dopo le dimissioni di Gianfranco Spadaccia dall’incarico di Garante, presentate alla nuova amministrazione capitolina, la Giunta non ha ritenuto necessario provvedere alla nomina di un nuovo incaricato, né tanto meno alla riconferma dello stesso Spadaccia. C’è di più, i dipendenti dell’ufficio vengono trasferiti in altri dipartimenti". Lo dichiara il Consigliere comunale di Roma, Athos De Luca (Pd) in merito alla chiusura dell’Ufficio del Garante dei detenuti, nato nel 2003.

"Si abbassa la guardia sui diritti umani e su una situazione carceraria di vera e propria urgenza - protesta De Luca - inoltre la figura del Garante non può essere assimilata da altro assessorato in quanto gode di una sua autonomia legata alla tutela dei diritti delle persone. Tutto questo per risparmiare su cosa? Il Garante è un ufficio non remunerato.

Lanceremo come Pd un appello a tutti i direttori degli istituti di pena presenti sul nostro territorio per sollecitare un loro intervento nei confronti del Sindaco - prosegue il consigliere del Pd - affinché permanga una necessaria e costante iniziativa dell’Amministrazione capitolina indirizzata a promuovere e facilitare il percorso del reinserimento sociale e la tutela dei diritti durante la detenzione. Ciò anche e soprattutto in considerazione del fatto che il 10 dicembre sarà il 60esimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti umani, una data importante che speriamo la nostra amministrazione voglia onorare", conclude De Luca.

Padova: Cisl; celle stracolme, e condizioni sanitarie proibitive

 

Padova News, 18 ottobre 2008

 

Sovraffollamento e preoccupanti condizioni igienico sanitarie nel nuovo reparto della Casa circondariale di Padova. A lanciare l’ennesimo grido d’allarme sono i sindacalisti della Funzione Pubblica della Cisl.

"L’istituto - osserva Giuseppe Terracciano, coordinatore provinciale del settore penitenziario della Cisl-Fp - ospita in questo periodo un numero di detenuti due volte e mezzo superiore alla capienza massima. Il personale in forza alla Casa circondariale affronta quotidianamente mille disagi, in spazi ristretti e in condizioni logistiche inaccettabili. Non possiamo accettare che i nuovi detenuti vengano sistemati con materassi per terra o nelle sale destinate alla ricreazione visto che le celle scoppiano di reclusi".

La Cisl-Fp ha inviato una lettera al prefetto di Padova Michele Lepri Gallerano e al Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria Felice Bocchino sollecitando drastici provvedimenti. Nel mese di giugno gli agenti di polizia penitenziaria avevano inscenato una manifestazione con sit in di protesta davanti alla Prefettura.

"In quell’occasione - puntualizza Bernardo Diana, coordinatore regionale del settore penitenziario della Cisl-Fp - avevamo ottenuto precisi impegni a cui non è stato dato però alcun seguito. I continui trasferimenti di detenuti non bastano più a riportare a regime la capienza del carcere".

Nel solo mese di settembre sono stati ristretti nella Casa circondariale di Padova 83 nuovi detenuti. Nello stesso periodo il Provveditorato ha disposto appena 41 trasferimenti. Attualmente la popolazione carceraria è attestata stabilmente sulle 190-200 unità. Un numero eccessivo per un istituto con una capienza certificata di 82 detenuti.

"Dall’apertura del nuovo reparto - prosegue Diana aggiunge - si lavora in condizioni di grave emergenza. Chiediamo che, almeno in via provvisoria, i nuovi arrestati vengano dirottati verso le strutture penitenziarie più vicine. Occorre poi creare le condizioni per la definitiva soluzione del problema. L’Amministrazione penitenziaria deve necessariamente dare il via alla ristrutturazione del vecchio corpo detentivo, oggi abbandonato. Una volta rimesso in funzione, potrebbe ospitare fino ad un massimo di 150 detenuti. Ci sembra il percorso più semplice. L’eventuale ammodernamento di vecchie caserme o altre strutture militari richiederebbe tempi troppo lunghi".

"Purtroppo - conclude Alessandro Peruzzi, segretario generale della Cisl Funzione Pubblica di Padova - quando si attuano razionalizzazioni per risparmiare risorse e non si fanno investimenti si creano gravi disagi al personale, alle prese con turni e carichi di lavoro sempre più insopportabili. I lavoratori della Casa circondariale hanno sempre manifestato la massima disponibilità ma dalla struttura penitenziaria e dalle autorità preposte ci attendiamo provvedimenti urgenti".

Chiavari: inaugurata "area verde" per i colloqui con famiglie

di Debora Badinelli

 

Il Secolo XIX, 18 ottobre 2008

 

Inaugurata questa mattina la prima area verde carceraria della Liguria. Si trova a Chiavari, l’hanno costruita i detenuti bonificando una porzione di intercinta (lo spazio che si trova tra il muro di cinta e quello dell’edificio penitenziario) con un finanziamento di 20 mila euro stanziato dalla Provincia di Genova e una serie di collaborazioni provenienti dal territorio.

"Lo spazio sarà utilizzato dai detenuti per i colloqui con le famiglie - ha detto il direttore del carcere chiavarese, Maria Milano - è pensato, in particolare, per chi ha figli piccoli: l’obiettivo, infatti, è quello di consentire ai reclusi di coltivare gli affetti con la famiglia, in particolare con i bambini".

L’idea nacque l’anno scorso, durante lo spettacolo "L’ora d’amore", messo in scena per aiutare i detenuti a parlare delle loro carenze affettive. Fu proprio un ospite della casa circondariale di via Brizzolara a rilevare la necessità di avere uno spazio adeguato in cui incontrare i figli. Il presidente della Provincia, Alessandro Repetto, raccolse l’appello e si impegnò a rispondere a quell’esigenza. "Abbiamo accettato la sfida - ha spiegato Repetto - che si è realizzata in modo eccezionale. Siamo riusciti a dare un significato profondo al fatto che dentro a ogni malvagità esiste un aspetto umano, una dignità che deve essere salvaguardata".

Questa mattina, alla presenza del vescovo diocesano, monsignor Alberto Tanasini (che ha impartito la benedizione), si è svolta l’inaugurazione dell’area verde, la prima della regione, allestita anche grazie al contributo degli istituti scolastici superiori Caboto, Marsano e della media di Chiavari e del sostegno di Coop Liguria e della Fiera di Genova.

L’area verde si inserisce in un più ampio progetto di rieducazione che comprende anche il corso alla genitorialità, curato da Chiara Bellini, psicologo e psicoterapeuta, al quale ha partecipato una decina di ospiti della struttura penitenziaria chiavarese. "Il carcere non è un mondo a parte - ha spiegato l’assessore provinciale alle Carceri, Milò Bertolotto, madrina della cerimonia - Le persone recluse hanno il diritto di conservare e alimentare lo spazio personale degli affetti e delle relazioni umane che aiutano ad andare avanti anche nei momenti più difficili. Nelle situazioni in cui la sofferenza ha lasciato più segni - aggiunge - un gesto affettuoso, una carezza sono fondamentali per trovare la dignità e la voglia di migliorarsi".

Allo spazio verde le famiglie accederanno dall’ingresso esterno del carcere, senza dover passare attraverso l’istituto di pena. Cammineranno lungo un percorso pavimentato e abbellito con aiuole fino ad arrivare allo spazio attrezzato per i colloqui. I carcerati, invece, accederanno dall’interno del penitenziario. "I colloqui - ha precisato il comandante della polizia penitenziaria, Andrea Tonellotto - si svolgeranno nel rispetto delle misure di sicurezza".

Tra le autorità presenti alla cerimonia anche Giovanni Salamone, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, che nel suo intervento ha sottolineato la professionalità del direttore Milano. "Uno dei migliori funzionari - ha detto - dotato di alta professionalità, sensibilità e ardimento, qualità che in questo lavoro sono necessarie". L’area deve essere completata con l’allestimento di alcuni giochi per i bambini (lo scivolo, l’altalena, il recinto con i palloni), le panchine e alcuni terrari per alberelli di limone e alloro. C’è già, invece, il gazebo per allestire picnic. Il carcere di Chiavari è solo maschile, ospita 79 detenuti, il 40 per cento è straniero, gli agenti di polizia penitenziaria in servizio sono 43.

Immigrazione: Msf; a rischio diritto salute immigrati irregolari

 

Redattore Sociale - Dire, 18 ottobre 2008

 

È in discussione alla Commissione Affari Costituzionali e Giustizia del Senato un emendamento al disegno di legge 733 che punta a eliminare il principio di non segnalazione all’autorità da parte dei medici degli stranieri irregolari.

Il diritto alla salute? È a rischio. A denunciarlo è l’associazione Medici Senza Frontiere che in una nota si dichiara "seriamente allarmata per l’intenzione di porre delle barriere all’assistenza sanitaria per gli immigrati irregolari, mettendo in pericolo il principio universale di accesso alle cure mediche". In questi giorni - prosegue la nota -alla Commissione congiunta Affari Costituzionali e Giustizia del Senato è in discussione un emendamento al disegno di legge 733 sull’immigrazione che punta a eliminare il principio di non segnalazione all’autorità da parte dei medici. In sostanza, fanno notare i Medici Senza Frontiere "si intende sopprimere il punto fondamentale del decreto 286/1998" che stabilisce che "l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano".

Un tale emendamento - secondo Loris de Filippi, responsabile delle operazioni di Msf in Italia - creerebbe delle "barriere all’accesso alle cure mediche", condannando gli stranieri irregolari a "una pericolosa marginalizzazione sanitaria". L’associazione si dice, inoltre, preoccupata anche dall’intenzione, contenuta nell’emendamento, "di legare la segnalazione all’autorità competente anche all’impossibilità dello straniero irregolare di partecipare alle spese per la prestazione sanitaria ricevuta, ledendo, anche in questo caso, il principio costituzionale per cui la Repubblica garantisce cure gratuite agli indigenti". Il timore - in altre parole - è che venga esacerbato il processo di esclusione sociale ai danni di queste persone, con il rischio che diventino così ancora più vulnerabili.

Dal 2003 ad oggi Medici Senza Frontiere ha attivato e gestito sull’intero territorio nazionale 35 ambulatori per stranieri privi di permesso di soggiorno visitando 18 mila pazienti, grazie a protocolli d’intesa con le Asl di riferimento, per favorire l’applicazione delle normativa italiana che riconosce il diritto alla salute come un diritto umano fondamentale.

Immigrazione: Asgi; è grave sopprimere la gratuità delle cure

 

Redattore Sociale - Dire, 18 ottobre 2008

 

"Profonda preoccupazione per la gravità della proposta, avanzata da alcuni senatori in sede di esame del ddl 773, di modificare l’attuale art. 35 del D.Lgs 286/98, mettendo in serio pericolo il principio costituzionale di accesso alle cure mediche".

È quanto esprime l’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) che sottolinea in particolare "come la previsione di sopprimere la gratuità della prestazione urgente o essenziale erogata agli stranieri non iscritti al servizio sanitario nazionale e privi di risorse economiche sufficienti, si ponga in contrasto irrimediabile con l’art.32 della Costituzione, che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, garantendo cure gratuite agli indigenti".

Gli stranieri, secondo Asgi, "verrebbero quindi sempre più marginalizzati, costituendo facile bacino di interesse e lucro in relazione alla loro difficile condizione. Inoltre- aggiunge- non devono essere sottovalutate le potenziali ma assai gravi ricadute che la misura potrebbe avere sulla salute pubblica".

Per questo l’Asgi rivolge "un forte appello" a tutte le forze politiche affinché il Parlamento "respinga con decisione la citata proposta emendativa". E accolga invece la proposta che prevede che "in conformità con la Convenzione Onu di New York sui diritti del fanciullo ogni minore straniero abbia pieno diritto di usufruire delle prestazioni mediche pediatriche a prescindere dalla regolarità del soggiorno".

Droghe: fra i giovani aumenta il consumo dell'eroina "fumata"

 

Notiziario Aduc, 18 ottobre 2008

 

Si trova facilmente e costa poco, pochissimo, ovvero quanto un pacchetto di sigarette. Con 5 o 10 euro "porti a casa eroina da fumare, con gli amici o anche solo", conferma Francesco, un ragazzino romano di 16 anni appena.

"Ormai conviene più dell’hashish, costa di gran lunga meno dell’erba mentre lo sballo è altamente superiore. L’eroina fa viaggiare, e te la vendono gli stessi da cui prima trovavi solo fumo e marijuana. La sera a Ponte Milvio, uno dei punti di ritrovo dei giovanissimi della capitale, ad esempio basta passeggiare per sentirne nell’aria l’odore acre".

Ed è subito boom. Tanto che al Sert dell’Asl Roma C, il centro in Piazza San Giovanni, confermano che sono sempre più i ragazzini che a 14-15 anni ne fanno già uso. "Purtroppo la prova arriva anche dalle nostre indagini - asserisce Sebastiano Vitali, direttore superiore della Polizia di Stato del Servizio operativo antidroga del Dcsa (Direzione centrale servizi antidroga).

C’è un pericoloso mutamento di mercato. Se prima l’eroina era concepita come una droga da disperato", il tossicomane con i buchi sulle braccia, laccio emostatico e siringa pronti all’uso, "ora, con questa nuova modalità di consumo, sta diventando una droga socializzante e non invasiva, esattamente come la cocaina". E intanto il mercato cresce a passi da gigante.

"Il 92% della produzione mondiale appartiene all’Afghanistan, e tra il 2006 e il 2007 l’aumento di produzione di eroina all’interno del Paese asiatico è stato di ben il 63%". Con ripercussioni inevitabili anche sul nostro mercato. "Che, non a caso, serve anche il Centro e Nord Europa e detiene il secondo posto nel vecchio continente per numeri di sequestri messi a segno". A far schizzare la produzione afghana è stata la perdita di potere dei talebani, passati dal ruolo di rigidi moralizzatori e censori dell’uso e della produzione di eroina "a quello di principali detentori del mercato", spiega Vitali.

Un mercato senz’altro redditizio, "da cui i talebani tirano fuori grandi quantitativi di denaro per finanziare armi e esplosivi", spiega Vitali. Oltre alla raccolta di oppio, "si sono appropriati anche della raffinazione, un tempo demandata ai turchi. Ora, invece, i talebani hanno aperto laboratori di lavorazione nel Sud del Paese, ai confini con Turchia e Siria: è lì che l’oppio viene trasformato in eroina e quant’altro".

Più disponibilità, dunque, e nuove strategie di marketing messi a punto dalla malavita: "Mini-dosi da 5 e 10 euro - spiega il capo del Servizio operativo antidroga - per promuoverne la circolazione. L’eroina si fuma e non ci si buca, dunque viene meno la paura della siringa e la percezione del tossico, di cui le nuove generazioni non hanno neanche il ricordo. Tira maggiormente perché non riesce più a far scattare il campanello d’allarme".

"Il principio attivo", in queste dosi a prezzi stracciati, "si aggira intorno al 15% della sostanza, il resto è composto da schifezze. Ma visto il grande quantitativo che si sta riversando sul mercato non è da escludere che giri anche eroina purissima, a cui il corpo di chi ne fa uso non è abituato e che pertanto potrebbe rivelarsi letale".

La strategia messe a punto per conquistare nuovi consumatori sembra funzionare ed essere destinata a fare ulteriori proseliti. "Nell’immediato futuro - stima Roberta Pacifici, dell’Osservatorio fumo, alcol e droga (Ossfad) dell’Istituto superiore di sanità - ci aspettiamo lo stesso trend di crescita che ha contraddistinto la cocaina negli ultimi anni. Ormai fumare eroina - fa notare la ricercatrice - costa davvero poco. In più la sostanza si trova nei posti più semplici: accessibile ed economica, ideale per giovanissimi alla ricerca di sballo".

Fumare eroina, dunque, fa meno paura, ma i pericoli sono quelli di sempre, con o senza siringa. "Certo senza il buco si evitano i rischi collaterali legati all’uso della siringa, vedi infezioni e Hiv. Ma a livello cerebrale gli effetti sono gli stessi. Tanto che si diventa dipendenti esattamente come avviene iniettandosi l’eroina in vena".

"In più ci sono tutti i problemi e le ripercussioni a livello polmonare, legati all’inalazione della sostanza". Ma i giovani che ne fanno uso sembrano non curarsene. "L’abbiamo provata quasi per caso - racconta Francesco, il sedicenne che ha deciso di narrare la sua esperienza - il tipo che ci vende il fumo un giorno ci ha chiesto se volevamo provarla, e così io e gli amici che erano con me l’abbiamo fumata. Ne avevamo già parlato con altri, alcuni compagni di scuola, e ci avevano garantito che era un viaggio pazzesco, da provare. Così l’abbiamo fatto, senza pensarci più di tanto. Eravamo incuriositi e l’occasione era a portata di mano". Tre dosi da cinque euro riscaldate su un pezzo di carta stagnola e inalate a giro. "Un mio amico mi aveva detto che fumata così - spiega - era di gran lunga meglio".

Il problema, secondo chi lotta ogni giorno contro la droga, è anche nella mancanza di prevenzione, che vede il nostro Paese fanalino di coda in Europa. "Eravamo gli unici insieme a Malta a non avere, tra i 27 Paesi dell’Ue, un Piano nazionale antidroga, che lavorasse sul duplice fronte della prevenzione e della repressione. La Svezia ne è dotata dal lontano ‘39, quello italiano è stato varato nell’ultimo giorno del Governo Prodi".

Non si inietta in vena, si fuma. Ma il nuovo trend di consumo di eroina che si sta affermando tra i giovanissimi "buca comunque il cervello, mettendo fuori gioco i neuroni in modo irreversibile". Parola del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega al contrasto delle tossicodipendenze Carlo Giovanardi, che commenta il fenomeno dell’eroina da fumare tra teenager, sottolineando la necessità "di informare, allertando soprattutto i giovani e le loro famiglie, e mi riferisco - sottolinea il sottosegretario - in particolare alla fascia 13-18 anni".

"Gli adolescenti, i ragazzi - spiega Giovanardi - devono capire che usando queste sostanze si autocondannano, rovinandosi la vita e bruciando quella degli altri: pensiamo agli incidenti d’auto provocati da gente che si mette al volante in condizioni pietose. Se il prezzo dell’eroina è sceso vertiginosamente - fa notare il sottosegretario - è solo perché i trafficanti stanno coltivando consumatori in erba per alimentare il mercato nei prossimi 20 anni".

E riguardo alla possibilità che la mancata distinzione - stralciata dalla legge Fini-Giovanardi - tra droghe leggere e pesanti possa agevolare la diffusione di eroina tra i giovani, il sottosegretario è categorico: "quella divisione - afferma - era legata a un’ideologia tutta italiana. La cannabis è nociva come l’eroina, fanno male entrambe. Tutte le droghe lavorano sul cervello e creano dipendenza, questo è il messaggio che deve raggiungere tutti. Del resto anche le tabelle delle Nazioni Unite non fanno distinzioni di alcun tipo, dividendo droghe buone da quelle cattive".

Piuttosto una stilettata per il precedente Esecutivo. "A causa del Governo Prodi - sostiene Giovanardi - siamo stati ben 2 anni e mezzo senza dipartimento anti-droga, privi dunque di qualsiasi programmazione istituzionale sul tema. Ora, per fortuna, il servizio è stato ripristinato, ed è al lavoro per allertare i giovani".

Droghe: a Bologna, nel 2007, dimezzate le morti per overdose

 

Redattore Sociale - Dire, 18 ottobre 2008

 

Sono state 14 nel 2007, contro le 19 del 2005 e le 30 del 2006. Gli stranieri deceduti per droga sono il 14%: i dati del rapporto dell’Osservatorio Ausl. Il responsabile Pavarin: "Ridurre le diseguaglianze nell’accesso ai trattamenti".

Meno morti per overdose (ma sempre più stranieri) e diminuzione dei i malati di epatite e Aids, con un numero crescente di consumatori "problematici" che si rivolgono gli ospedali anziché ai Sert (Servizi per la tossicodipendenza). È quanto rileva il Rapporto 2007 sulle droghe sotto le Due Torri, compilato dall’Osservatorio epidemiologico metropolitano sulle dipendenze patologiche dell’Ausl di Bologna e illustrato oggi dal responsabile Raimondo Maria Pavarin. I consumatori "problematici" di sostanze pesanti (ovvero coloro che a causa dell’uso di sostanze hanno avuto problemi di diverso tipo, anche sanitari) continuano a crescere e sono passati, secondo le stime dell’Osservatorio, dai 4 mila 764 del 2004 ai 6 mila 482 dell’anno scorso: tra essi, spiega Pavarin, c’è "una prevalenza elevata di residenti". Gli stranieri che abitano a Bologna si drogano molto meno degli italiani (si stima una media di 5,7 consumatori ogni mille residenti, contro l’8,5 tra gli italiani), ma sono in netta crescita e muoiono per overdose "molto di più che nel resto d’Italia" dice Pavarin: nonostante il calo delle morti (14 nel 2007, contro le 19 del 2005 e le 30 del 2006), sotto le Due Torri gli stranieri deceduti per droga sono il 14% del totale mentre la media sul territorio nazionale è dell’8%.

Pavarin suggerisce allora di "ridurre le diseguaglianze nell’accesso ai trattamenti per particolari categorie di soggetti svantaggiati: stranieri, non residenti e senza fissa dimora". Tra questi ultimi in particolare, dopo una diminuzione registrata negli ultimi anni, comincia a crescere il numero di eroinomani. In parallelo alla diminuzione dei decessi, crescono gli interventi del 118, concentrati soprattutto nella zona universitaria di piazza Verdi (37%), intorno alla stazione ferroviaria (15%) e nell’area di via Don Minzoni (10%) e diminuiscono, tra gli utenti del Sert, le positività all’epatite C o al virus dell’Hiv.

Crescono poi gli accessi al Pronto soccorso anche "da parte di persone che non pensano di doversi rivolgere ai servizi" perché non si sentono tossicodipendenti: tra i 339 soggetti ricoverati in ospedale per problemi collegati all’uso di sostanze, sono in aumento soprattutto i consumatori di cocaina (dal 22,3% del 2006 al 31,6% del 2007) e cannabinoidi (dal 12,3 al 15,9%). "Ci sono molte persone che fanno consumo di droghe e per questo hanno problemi giudiziari, relazionali o economici - continua Pavarin -: per questo dobbiamo spostare l’assistenza dalla fascia delle dipendenze a quella del consumo problematico".

In totale i consumatori contattati nel corso del 2007 attraverso il Sert, il carcere, gli ospedali, i dormitori e le unità mobili di aiuto sono 3 mila 966 e hanno un’età media di 35 anni. Una persona su tre rappresenta un "volto nuovo" per i servizi e l’80% dei consumatori è seguito dal Sert. Il 74,6% di essi fa uso di eroina (contro il 71,6% nel 2006) con una crescita di consumo che tocca soprattutto gli stranieri (650 quelli contattati in totale), i residenti, i senza fissa dimora e i lavoratori. Mentre crescono (da 1.401 a 1.431, pari al 36,1% dei consumatori contattati) i soggetti che usano cocaina e altre sostanze (prevalentemente eroina), sono in calo (da 369 a 366, per una quantità stimata di 928 persone) i consumatori "puri" di cocaina.

I dati rivelano anche una cambiamento nelle modalità di consumo: in diminuzione l’uso per via endovenosa (dal 49,6% al 47,9% dei consumatori) mentre aumenta il numero di chi "sniffa" o fuma. Secondo un’indagine effettuata con interviste a circa 2 mila bolognesi, solo un soggetto su quattro non ha mai usato droghe e uno su tre le ha provate e poi ha smesso, mentre diversi soggetti hanno iniziato l’uso di sostanze in "tarda età". Tra le sostanze più abusate al primo posto c’è l’alcol, seguito da marijuana, hashish, cocaina e funghi allucinogeni.

Droghe: 3 adulti su 4 consumano alcol, la fotografia dell’Istat

 

Redattore Sociale - Dire, 18 ottobre 2008

 

Il quadro del fenomeno in Italia: nella popolazione tra i 25 e 64 anni circa 3 persone su 4 dichiarano di aver assunto alcol. L’identikit del bevitore: adulto e colto, all’aumentare del titolo di studio aumenta la tendenza al consumo.

Roma - In vista della conferenza nazionale sull’alcol che si terrà a Roma il 20 e 21 ottobre vediamo qual è il quadro del consumo in Italia in base ai dati Istat del 2007 (indagine multiscopo "L’uso e l’abuso di alcol in Italia"). Nella popolazione tra i 25 e 64 anni circa 3 persone su 4 dichiarano di aver assunto alcol. Tra i maschi delle stesse fasce di età, le quote sono tutte oltre l’85%, mentre per le donne i livelli sono molto inferiori (al massimo del 64,7%). Il campione comprende più di 19 mila famiglie per un totale di circa 49 mila individui. Nella fascia d’età dagli 11 anni in su sono in tutto il 68,2% le persone, quasi 36 milioni, che hanno dichiarato di aver consumato almeno una volta negli ultimi 12 mesi una o più bevande alcoliche. Molto elevate sono le differenze di genere considerando che consuma alcol l’81% degli uomini di 11 anni e più, contro il 56,3% delle donne. Quasi un quinto (19,9%) dei ragazzi di 11-15 anni ha assunto alcolici negli ultimi 12 mesi. Già a partire dai 18-19 anni (69,6%) i valori di consumo sono, anche se di poco, superiori alla media e solo a partire dai 65 anni (67%) si collocano su valori inferiori.

All’aumentare del titolo di studio aumenta la tendenza a consumare alcol. Ciò avviene soprattutto per le donne: tra le meno istruite (con al massimo la licenza elementare) il 43% consuma alcol, mentre per le laureate la quota raggiunge il 73,7%. Tali differenze emergono anche a parità di età, ma sono più evidenti tra le donne di 25-44 anni (dal 47,1% al 72,7%). Inoltre, le distanze nel consumo di alcol tra uomini e donne diminuiscono all’aumentare del titolo di studio.

Il consumo di alcol è più diffuso nelle regioni del Nord-est (73%) e in particolare in Veneto (74,9%) e Trentino-Alto Adige (72,2%). Per gli uomini, oltre al Veneto (84,8%), ai primi posti troviamo le regioni del Nord-ovest (82,4%), mentre per le donne ai primi posti troviamo tutte regioni del Nord-est (63,7%). Va comunque segnalato che questo indicatore rispetto al 2006 sta mostrando un decremento significativo proprio nel Nord-est (dal 75% al 73%), ed in particolare in Trentino Alto Adige (era il 75,1% nel 2006) ed Emilia Romagna (dal 76,1% al 71,5%).

Passando ad analizzare i diversi tipi di bevande alcoliche consumate, emerge come nel 2007 oltre la metà delle persone di 11 anni e più consumano vino (54,4%), il 44,9% consuma birra. Più contenuta la quota di coloro che consumano altri tipi di alcolici (39,3%).

Nel periodo 1998-2007, il trend temporale del consumo dei diversi tipi di bevande alcoliche mostra come la percentuale di persone di 14 anni e più che bevono vino, dopo alcune oscillazioni, si sia stabilizzata intorno al 56%. I bevitori di birra sono stabili (circa il 46%) in tutto il periodo considerato. Un segnale positivo si ha per il consumo di altri tipi di alcolici: rispetto al 2006 si registra un calo dei consumatori dal 42,5% al 40,5%, soprattutto uomini.

In particolare, a livello territoriale, la riduzione si verifica su tutto il territorio nazionale, ed è statisticamente significativa nel Nord-Ovest e in Trentino Alto Adige.

 

Due ragazzi su tre sotto i 15 anni bevono

 

In Italia si beve tanto. E non certo solo acqua minerale. Cresce infatti l’uso di alcolici da parte dei giovani e degli adolescenti in particolare, ma si consolida in generale l’uso di alcolici durante e fuori dai pasti tra tutte le fasce della popolazione. Per alcune associazioni che si occupano di alcolisti siamo a una vera emergenza sociale, se si considerano le cifre relative a tutti i problemi "alcol correlati", a partire dagli incidenti stradali mortali. Per questo è stata ideata e confermata la prima Conferenza Nazionale sull’alcol (20-21 ottobre prossimi), novità assoluta per il nostro paese, visto che finora questi problemi sono sempre stati "correlati" ad altre sostanze: di alcol si è sempre parlato all’interno del contesto più generale delle tossicodipendenze. Ma vediamo qualche cifra per renderci conto dell’entità del problema.

La legge dice che non dovrebbero toccare alcol, e invece due ragazzi sotto i 15 anni su tre bevono. Lo dice uno studio dell’Istituto superiore di sanità, presentato al convegno Alcohol prevention day 2008: "Il 67% dei giovani al di sotto dell’età legale - spiega Emanuele Scafato, che ha coordinato lo studio - riceve e consuma in una serata tipica quantità significative di tutte le bevande alcoliche". La maggior parte di loro si concede "due drink- aggiunge- sono il 25% dei ragazzi e il 31% delle ragazze". Si beve "soprattutto il sabato sera, ma anche, in prevalenza ridotta, negli altri giorni della settimana".

Se guardiamo ai ragazzi sopra i 15 anni, continua Scafato, "la modalità di consumo prevalente è quella sopra i due drink: così fa il 46,8% dei ragazzi e il 30,6% delle ragazze". Impressionante la media: "In una serata - così risulta dal progetto Il Pilota realizzato nelle discoteche dall’Osservatorio nazionale alcol dell’Istituto superiore di sanità, in collaborazione con la Società italiana di alcologia - un ragazzo italiano beve in media 4 bicchieri di cui 1,5 di breezer o aperitivo alcolico, 1,5 di birra e 1 di superalcolico. E le cose non vanno meglio per le ragazze che consumano 3 bicchieri in media, appena uno in meno dei coetanei, di cui 1,2 di breezer o aperitivo alcolico, 1,1 di birra e 0,7 di superalcolico".

Il picco di prevalenza dei consumatori a rischio, spiega l’Iss, si verifica tra i 19-24enni, per poi diminuire oltre i 25 anni per entrambi i sessi; è nel corso dell’intero decennio 13-24 anni che si registrano parallelamente gli esiti fatali e non fatali conseguenti ai più elevati livelli di rischio alcol correlato per i giovani, come dimostrato dal fenomeno delle morti del fine settimana. "I consumi al di sotto dei 15 anni - sottolinea Emanuele Scafato - dovrebbero essere pari a zero litri, è questo l’obiettivo sul quale si sono impegnati tutti gli stati membri dell’Oms per il 2010". Obiettivo, aggiunge, "arduo da raggiungere, considerato il fallimento parlamentare delle proposte di misure orientate alla tutela dei minori e che miravano ad impedire la vendita ai minori e ad innalzare l’età minima legale a 18 anni, così come peraltro sollecitato dal Parlamento Europeo". Contro queste scelte, Scafato vede in "una resistenza culturale, oltre che di valenza economica, la vera causa del diniego di quanto sarebbe necessario per invertire una tendenza che, invece, è destinata ad incrementarsi".

È un altro segnale di come la situazione stia peggiorando è il fenomeno del binge drinking, bere esclusivamente allo scopo di ubriacarsi, è cresciuto nel 2007 di circa il 5% rispetto a dieci anni prima. Una pratica che raggiunge il valore più alto, 17,2 %, tra i 20 e i 24 anni. Il fenomeno è più diffuso nel Nord Est, dove coinvolge un ragazzo su dieci al di sotto dei 29 anni.

 

Roccella: è emergenza giovani

 

"Il dato preoccupante, in Italia, è l’accesso precoce dei giovanissimi (tra i 14 e i 17 anni) all’alcol rispetto agli altri paesi europei. Il 19.5% degli under 18 fa uso di bevande alcoliche". A dirlo il sottosegretario al Welfare, Eugenia Roccella, presentando la I Conferenza nazionale sull’alcol "Più salute, meno rischi".

"Per i giovanissimi si può parlare di emergenza - sottolinea Roccella -. Il consumo di drink, birre e superalcolici è legato soprattutto al sabato sera". Tra l’altro, oltre il 46% delle morti tra i 15 e i 24 anni è causata da incidenti stradali. Quella che è cambiata, inoltre, "è la modalità del consumo di alcolici - aggiunge Roccella -. Oggi il consumo di vino è in calo, mentre si alzano le percentuali di uso alcolico presenti in altri paesi europei: si beve fuori pasto e si beve per ubriacarsi. E il problema è che noi non siamo ancora adeguati alle mutate modalità del bere".

C’è un problema di "maggiori controlli nei luoghi del bere", ma anche legislativo. Nel codice civile è contemplato il divieto di somministrazione di alcolici ai minori di 16 anni, ma non c’è un divieto di vendita e "questo è un buco enorme". Di fronte al picco italiano di accesso all’alcol, Roccella non nasconde ci sia anche un problema di "sempre maggiore autoreferenzialità educativa".

Ma c’è anche un dato positivo: "In Italia abbiamo - aggiunge il sottosegretario Roccella - un numero di bevitori relativamente basso rispetto al resto dell’Unione europea". Nell’Ue il 25% della mortalità giovanile tra i maschi è dovuta all’alcol. Ma sono alcol correlati anche 1 omicidio su 4 e 1 suicidio su 6. Più in generale, l’alcol (che su 26 fattori di rischio per la salute si colloca al terzo posto) nell’Unione europea è responsabile ogni anno della morte di 195 mila persone.

 

Patussi: basta vendere alcolici ai minorenni

 

"Il problema dell’alcol non è solo un problema di dipendenza. Ci sono da affrontare soprattutto gli aspetti correlati, come per esempio gli incidenti stradali. E gli incidenti, quando si beve, possono succedere in qualsiasi occasione. Si tratta quindi di avere il coraggio di cominciare ad affrontare i tabù e le ipocrisie: noi adulti diciamo per esempio ai giovani che non si può bere, ma poi vendiamo loro tranquillamente le bevande alcoliche" . Un invito a superare ogni ipocrisia e a mettere sul tappeto della prima Conferenza nazionale sull’alcol i problemi reali e più urgenti viene da Valentino Patussi, studioso della materia e presidente della Società italiana di alcologia. "Non possiamo continuare a dire ai nostri giovani di non bere e poi non fare nulla nei confronti di chi continua a vendere indisturbato ai giovani". Secondo Patussi, per cominciare a impostare bene il problema dell’alcol è necessario anche cominciare a distinguere nettamente gli interessi. "Oggi, in molte situazioni, assistiamo alla compresenza di rappresentanti degli utenti e dei produttori nelle sede istituzionali che devono occuparsi degli effetti dannosi dell’alcol".

Un altro tema importante che sarà affrontato durante la prossima Conferenza nazionale riguarda la trasparenza e l’informazione relativa ai prodotti alcolici. "E vero che mettere l’elenco delle sostanze presenti nelle bevande potrebbe anche non servire a nulla, ma è anche noto che sulle bottiglie di vino - tanto per fare un esempio - non sono mai state stampate le sostanze presenti. Sulle bottiglie dell’acqua minerale troviamo l’elenco di tutti i componenti chimici. Su quelle di vino e dei superalcolici non c’è mai nulla, salvo il riferimento al luogo di produzione e all’annata". Con la Conferenza nazionale gli esperti e i tecnici della materia sperano quindi che si possano cominciare a porre dei primi "paletti". "Non si può fare tutto in una volta - spiega ancora Patussi - ma è importante cominciare a fissare dei punti certi. Faccio solo due esempi: quando si guida, non si deve bere. In gravidanza le donne non devono bere alcolici. È necessario cominciare a pensare grandi campagne di sensibilizzazione e prevenzione".

 

Le tabelle sui tassi alcolici nei bar, solo un primo passo

 

"Le tabelle che oggi vedete affisse nei locali sono uno strumento tecnico, sono un invito alla lettura e quindi un primo passo verso una nuova consapevolezza sull’alcol". Lo dice Emanuele Scafato, Direttore dell’Osservatorio nazionale sull’alcol presso l’Istituto Superiore di Sanità. Scafato ha partecipato direttamente ai lavori della commissione che ha redatto le tabelle sui tassi alcolici in rapporto al peso, alle caratteristiche fisiche dei fruitori delle bevande alcoliche. "Abbiamo fatto solo il primo passo - ci spiega Scafato - molta strada è ancora da fare. Si tratta di avviare una grande campagna di sensibilizzazione e informazione che faccia capire gli effetti dell’alcol sul corpo umano e che chiarisca soprattutto tutti i rischi per la salute e per la convivenza civile che sono appunto correlati all’alcol".

Secondo Scafato, si tratta di abituarci per esempio a trattare il grave problema degli incidenti stradali (6000 morti in media ogni anno) con lo stesso approccio con cui trattiamo il fenomeno degli incidenti mortali nei luoghi di lavoro. "Tutti i paesi europei - ci spiega ancora Scafato in partenza per il Lussemburgo dove incontrerà i suoi colleghi di altri paesi della Ue - si stanno ponendo il problema della regolamentazione e dell’informazione, dal livello del tasso zero per i neopatenti alla definizione del tasso dello 0,2% di alcol ammesso. Tutti i paesi europei stanno comunque tentando di ridurre i livelli ammessi".

Anche per Aurelio Baselice, presidente dell’Aicat (alcolisti in trattamento), le tabelle sono una prima sperimentazione utile. "Si era partiti qualche anno fa con una sperimentazione attraverso i regoli - ricorda Baselice - si tratta di trovare la formula e lo strumento più efficace. Io vedo che tra i giovani le tabelle hanno ottenuto un certo successo, al di là delle nostre previsioni. I giovani guardano infatti con un certo interesse alle esperienze di autovalutazione e dai nostri riscontri si mostrano in media anche molto sensibili nei confronti dei problemi della tutela della salute e dell’integrità fisica".

 

Vino e birra non sono alimenti

 

"Sono anni che sento dire sciocchezze a proposito dell’alcol. Quante volte abbiamo per esempio sentito dire che il caffè non è un alimento, mentre al contrario il vino sarebbe un alimento? Ebbene oggi siamo in grado di smentire questo modo di pensare e dobbiamo cominiciare a far circolare un’informazione seria". Chi parla è Valentino Patussi, uno dei curatori della prossima Conferenza nazionale sull’alcol.

Il presidente della Società italiana di alcologia, racconta che in molti convegni gli è capitato negli ultimi anni di recitare la parte del rompiscatole. "A volte mi sono trovato a contrastare discorsi insostenibili, da parte di chi magari aveva tutto l’interesse (anche commerciale) di difendere le bevande alcoliche relativizzando sui loro effetti e sul rischio insito per la salute". In uno di quei convegni, il dottor Patussi decise di passare al contrattacco e provocatoriamente propose di definire una volta per sempre "alimenti" le bevande tipo vino o birra. "Siccome in molti parlavano in questo senso - ci dice Patussi - allora io dissi: va bene, allora da domani diciamo che il vino e la birra sono degli alimenti come tanti altri. In quello stesso convegno, però, un rappresentante dei produttori intervenne per dire che forse era meglio soprassedere. Aveva capito benissimo che se fosse stata accettata, anche a livello legislativo, la mia proposta, allora sulle bottiglie di vino e di birra sarebbe stato necessario cominciare a riportare tutte le sostanze, così come si fa appunto per gli alimenti e per l’acqua potabile".

Gran Bretagna: critiche dall’Ue su sistema giudiziario minorile

 

Ansa, 18 ottobre 2008

 

La Commissione Europea per i diritti umani ha fortemente criticato il sistema giudiziario minorile in Gran Bretagna, "perché troppo punitivo e troppo poco focalizzato verso la riabilitazione". Thomas Hammarberg, capo della Commissione europea, ha poi criticato il fatto che in Scozia, a otto anni, un bambino può essere considerato penalmente responsabile delle proprie azioni, e in Inghilterra a dieci: età molto più basse della media europea che di solito si situano fra i 14 e i 18 anni. Hammarberg si è poi detto preoccupato dall’uso massiccio della carcerazione e dall’alto numero di bambini detenuti in Inghilterra e nel Galles. "La repressione non è l’unica risposta alla criminalità minorile - ha detto - approcci alternativi possono portare a risposte migliori". Inoltre - ha proseguito - l’alto tasso di giovani che tornano a delinquere dopo essere stati in custodia, "pone una questione seria sull’efficacia e sul fine di tutto il sistema di giustizia giovanile".

Palestina: salvate il detenuto Mohammad, è malato di cancro

 

Infopal, 18 ottobre 2008

 

L’associazione Waed per la Difesa dei Detenuti ha invitato le organizzazioni umanitarie e la Croce Rossa Internazionale a salvare la vita del prigioniero Mohammad Awad ash-Shaer, della città di Rafah, malato di cancro ai polmoni e di recente colpito da infarto. La famiglia del detenuto ha riferito all’associazione Waed che Mohammad, 63 anni, è malato di cancro ai polmoni - gli è stata asportata una parte del polmone malato -, e che in prigione è stato colpito da infarto. Ash-Shaer è sposato, ha dieci figlie, ed è l’unico sostegno economico per la famiglia. Mohammad è stato arrestato dalla sua abitazione, a Rafah, un anno fa e condannato a 11 anni di reclusione.

1.500 detenuti malati. L’associazione Waed ha confermato che "le condizioni di salute dei detenuti palestinesi stanno peggiorando: non ci sono cure adeguate a causa della politica di abbandono sanitario programmato e intenzionale". E ha aggiunto che nelle prigioni israeliane ci sono circa 1.500 detenuti malati e che molti hanno bisogno di operazioni chirurgiche. L’associazione ha aggiunto che alcuni, a causa delle torture, stanno perdendo la vista o l’udito: "Nessuno risponde al richiamo d’aiuto. I medici delle prigioni somministrano solo dei calmanti, l’Akamol. Il disinteresse per la sopravvivenza dei malati è totale". Nel 2007 sono deceduti 9 detenuti, 7 di loro per mancanza di cure.

 

 

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