Rassegna stampa 24 marzo

 

Giustizia: abusi e violenze sui detenuti, un dossier infinito…

di Giacomo Russo Spena

 

Il Manifesto, 24 marzo 2008

 

Oltre al G8, i casi più eclatanti e "politici" sono il pestaggio nel carcere San Sebastiano di Sassari nel 2000, le botte e gli inni fascisti al Global forum di Napoli nel 2001. In entrambi i casi governava il centrosinistra. Federico Aldrovandi 17 anni, muore durante un controllo di polizia a Ferrara. Sotto processo ci sono quattro poliziotti. Aldo Bianzino, arrestato per possesso di marijuana, non uscirà vivo dal carcere di Perugia. L’inchiesta è stata archiviata.

Storie di pestaggi, di abusi, di violenze usate per estorcere notizie. Ma anche di soprusi su "diversi" e luogo di numerose morti "misteriose". Il carcere italiano è anche questo: la sospensione dello stato diritto avviene spesso.

Analizzando la situazione penitenziaria degli ultimi anni si ottiene un dossier infinito che evidenzia testimonianze, accertate, di "maltrattamenti" e casi di tortura. Quella tortura assente nel codice penale, considerata erroneamente dalla maggior parte della popolazione un affare lontano. Non è così. Il film della tortura in Italia passa per tre istantanee: il pestaggio contro i detenuti al carcere di San Sebastiano (Sassari) nel 2000, la repressione del movimento no global a Napoli, il 17 marzo 2001 e a Genova tra il 20 e 22 luglio dello stesso anno. Tutto senza soluzione di continuità tra governi di centrosinistra o centrodestra.

Lunga è la lista di persone che si sarebbero suicidate in carcere o morte per "cause naturali". Solo la testardaggine dei familiari o l’inchiesta di qualche pm hanno permesso di riaprire casi che hanno portato alla condanna di agenti di polizia penitenziaria. Qualche esempio. Il 4 febbraio 2008 un internato dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario "Filippo Saporito" di Aversa muore "suicida" in circostanze ancora da definire. All’età di 17 anni gli era stata diagnosticata una "schizofrenia paranoidea". "Come fa un paziente schizofrenico - sostiene la madre - a impiccarsi con tutta tranquillità, di notte? Dove stavano le guardie?". Si attendono ancora gli sviluppi. Intanto ad Aversa i "suicidi" non si sono arrestati.

Uno dei casi più eclatanti è quello di Marcello Lonzi. L’11 luglio 2003 il giovane, 29 anni, viene trovato morto, coperto di sangue e con il volto tumefatto. Secondo l’autopsia la morte sarebbe avvenuta a seguito di arresto cardiaco, quindi per cause naturali. La madre, pensando a un violento pestaggio, sporge denuncia: "Ci sono i segni di vere e proprie vergate, striature viola sulla pelle gonfia e rialzata, ecchimosi che possono essere state fatte solo con un manganello. Non sono i segni di una caduta". Il caso è stato archiviato. Con tanti dubbi. Non molto differenti le circostanze della morte di Aldo Bianzino, non sopravvissuto alla prima notte di fermo per possesso di marijuana. Anche in questo caso l’inchiesta è stata archiviata.

Ma i casi raccolti dall’associazione Antigone sono tantissimi. La formula legale è sempre la stessa: "Gli accertamenti medico-legali hanno dimostrato che il decesso era avvenuto a seguito di violenze perpetrate da persone accanitesi contro di lui con calci, pugni e corpi contundenti, sì da procurare lesioni letali".

Episodi di "semplice" maltrattamento sono invece ancor più numerosi. Tra i soggetti più colpiti gli immigrati. "Mettiti in ginocchio, prega la Madonna e bacia la bandiera italiana", sono gli ordini diretti a B. M., detenuto marocchino, da un agente di polizia penitenziaria rinviato a giudizio per violenza privata. L’episodio risale al marzo 2006 nella casa circondariale di Nuoro. A Biella, all’interno del carcere, nel 2002 è stata trovata una "cella liscia" dove i detenuti sarebbero stati perquisiti e poi colpiti con violenti getti d’acqua sparati da un idrante. Nel fascicolo aperto dalla magistratura si parla di abusi e pestaggi, di omissioni e silenzi dei medici, di intimidazioni da parte degli agenti. In tutto vi sono a tutt’oggi cinquantanove persone indagate. Denunce analoghe a Palermo, Firenze, Forlì, Frosinone, Lecce e Milano. Qui, a San Vittore, O. R., meglio noto come Mohamed l’egiziano, considerato la "mente" dell’attentato dell’11 marzo a Madrid 2006, ha denunciato per maltrattamenti, abusi, torture e umiliazioni: come le richieste di "pregare per loro", "insulti a Dio, al Corano e all’Islam", oltre a minacce di "stupri alle donne musulmane".

In base alle convenzioni internazionali c’è però una differenza tra il "maltrattamento", anche grave, e la "tortura". "Sono questi tre elementi a distinguerli - spiega Mauro Palma, presidente del comitato europeo per la prevenzione della tortura - la gravissima sofferenza inflitta, la volontà di infliggerla e la finalizzazione". E a Genova e a Napoli c’era una volontà politica, una cabina di regia. "Durante le giornate genovesi non si tratta di abusi di una o più mele marce, bensì emerge un quadro in cui la struttura nel suo complesso si è caratterizzata in questo tipo di funzionamento", sostiene Palma. Le testimonianze gli danno ragione: dita intenzionalmente divaricate fino a determinare la rottura dei legamenti fino all’osso, persone ferite picchiate sulla ferita stessa e altri trattamenti inumani e degradanti inflitti ai manifestanti.

Una volontà di infliggere sofferenza motivata dal volere umiliare e punire la persona detenuta. Le situazioni a Napoli nel marzo 2001 (esecutivo Amato) sono state descritte con modalità analoghe: polizia e carabinieri caricano il corteo e trattengono 80 persone anche prelevandole dal pronto soccorso. Gli arrestati, condotti nella caserma Raniero, subiscono lesioni. Così come il sistematico pestaggio avvenuto il 3 aprile 2000 nel carcere di San Sebastiano a Sassari è una punizione collettiva ai detenuti che avevano "osato" protestare per la mancanza di viveri e acqua. "Tutto ciò mi fa dire che questi tre episodi vanno al di là dei pur gravissimi casi di pestaggi individuali", aggiunge Palma che poi conclude: "Anche se comunque non vanno sottovalutati, in quanto anch’essi indicativi di una cultura pericolosa".

Giustizia: legge su tortura, una vergogna per destra e sinistra

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

Associazione Antigone, 24 marzo 2008

 

Avvocato, insegnante, comunista, friulano: Nereo Battello è stato il senatore che nel lontano 4 aprile del 1989 presentò il primo disegno di legge per l’introduzione del crimine di tortura nel nostro codice penale. Erano passati due anni dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite che obbligava il nostro paese ad adeguare le norme interne a quelle internazionali. Tra gli altri firmatari c’erano i magistrati Ferdinando Imposimato e Pierluigi Onorato, le senatrici del Pci Giglia Tatò Tedesco ed Ersilia Salvato.

Uomini e donne libere. Il grosso del Partito Comunista fece finta di niente. Cantautore e interprete famoso in tutto il mondo, barese, radicale: Domenico Modugno fu uno dei cinque firmatari del secondo disegno di legge, presentato il 19 febbraio del 1991 da Franco Corleone. In quello stesso anno si scioglieva il Pci. Nasceva il Prc. La tortura viene a lungo dimenticata. Nel 1997 si celebra il primo decennale dell’inadempienza italiana. Ci pensa Stefano Semenzato dei Verdi a ricordarlo. Presenta una proposta che fa il pari con quella di Salvatore Cicu di Forza Italia. Non siamo ancora alla vergogna, ma ci si avvicina lentamente. A sette anni e mezzo dall’iniziativa di Corleone, simbolicamente il 10 dicembre del 1998 in occasione della giornata delle Nazioni Unite sui diritti umani, Ersilia Salvato compie un simil miracolo. Presenta un disegno di legge che reca firme sorprendenti (Francesco Cossiga e Tommaso Contestabile di Forza Italia, Adriana Pasquali di An, Melchiorre e Cirami dell’Udr, Guido Brignone della Lega Nord) e firme autorevoli della galassia garantista (primi fra tutti Giovanni Russo Spena e Luigi Manconi). Ben settanta nomi. Mancano due anni e mezzo alla fine della legislatura. Tutto fa pensare che il cammino sia in discesa. Il centro-sinistra, quello con il trattino, è al governo. Rifondazione - si dice - appoggerà sicuramente il disegno di legge. I numeri ci sono. Il Presidente del Senato era Nicola Mancino del Ppi. Il Presidente della Commissione Giustizia era Michele Pinto del Ppi.

In quei due anni e mezzo non succede niente. Eppure il 28 agosto del 2000 il governo guidato da Giuliano Amato presenta una proposta governativa. Mancava un anno e mezzo allo scioglimento delle Camere. Il tempo c’era. Evidentemente non c’era la volontà. Arriva Berlusconi al governo. Vengono presentati vari disegni di legge, tra cui quelli di Cesare Salvi, Tana De Zulueta e Gaetano Pecorella. Era il dicembre del 2004. Era iniziata la discussione alla Camera. Sembrava che tutto filasse liscio. Ebbene no.

Dalle file diessine e dipietriste si alzarono voci contrarie a far rientrare nella nozione di tortura anche la inflizione di sofferenza psicologica: a loro dire così facendo si impedirebbero le indagini dei Pm contro i tengentopolari, i Previti, i Berlusconi. Nell’aprile 2005 si consuma la beffa. La leghista Carolina Lussana ci fa coprire di ridicolo di fronte al mondo intero. Passa un suo emendamento in base al quale affinché si compia il reato di tortura sarebbe necessario torturare almeno due volte.

A quel punto la proposta di legge finisce nel cestino. Il Governo Prodi si insedia più o meno a cinque anni dalle violenze di Bolzaneto. Il famoso programma dell’Unione prevede l’introduzione del crimine di tortura nel codice. Si riparte dalla Camera. In soli sette mesi Montecitorio licenzia il testo. Non è il migliore dei testi possibili (la tortura diventa un reato che chiunque può commettere e non solo i pubblici ufficiali), ma non ci si può permettere di storcere il naso. Pino Pisicchio, democristiano dell’Italia dei Valori, era presidente della Commissione Giustizia della Camera.

Il testo arriva a Palazzo Madama. Ogni giorno il governo è a rischio. Noi di Antigone e Amnesty International chiediamo velocità. L’occasione è da non perdere. Passano altri sette mesi e la Commissione presieduta da Cesare Salvi approva il testo. Un buon testo. Ci hanno lavorato lui e il senatore di An Nicola Buccico. Ritorna il silenzio. Ci si inizia a preoccupare della crisi imminente, del proprio seggio a rischio.

A gennaio 2008 arriva la calendarizzazione in Aula. Arriva anche però la crisi di governo. Quella della legge sulla tortura è una vergogna italiana. Una vergogna per la destra, ma anche per la sinistra. Nel frattempo la pattuglia dei garantisti di sinistra in Parlamento si assottiglia ulteriormente.

Giustizia: Palidda; coperture politiche sulle violenze di polizia

 

Il Manifesto, 24 marzo 2008

 

Parla il sociologo Salvatore Palidda, studioso delle forze dell’ordine. "Impunità garantita da coperture politiche e sociali". "Violenze di polizia? È colpa anche della sinistra"

Le denunce di violazioni nelle carceri sono tante: è un’istantanea di un Paese con un problema da risolvere. Ma chi si aspetta d’esser rincuorato da un esperto in materia rimane deluso. Salvatore Palidda, sociologo, mette il carico da novanta. Distribuisce responsabilità a chiunque: "Il quadro è nerissimo, sono in aumento i piccoli rambo. È colpa della destra come della sinistra".

 

Perché nelle forze dell’ordine si stanno diffondendo pratiche violente?

Gli abusi all’interno delle carceri ci sono sempre stati, ma negli ultimi anni sono aumentati. In un contesto in cui tutti i governi senza distinzione di colore fanno anatemi sulla "tolleranza zero" qualsiasi membro all’interno delle forze di polizia si sente legittimato a compiere azioni di violenza. Questi hanno preso piede e ora contano. Ad esempio al G8 di Genova erano ringalluzziti perché il segnale che aveva dato Berlusconi era di totale copertura e così loro hanno agito senza problemi.

 

Ma la loro rabbia contro chi si scaglia?

Si scatenano contro gli immigrati, i comunisti, i tossicodipendenti. In generale contro qualsiasi soggetto sociale che secondo la rappresentazione dell’ordine perbenista non è diverso. E in quanto tale deve essere eliminato dalla scena pubblica o almeno massacrato in modo che impari a auto dissolversi. In questo clima nelle forze dell’ordine i pochi democratici presenti sono in estrema minoranza e hanno paura a esporsi e a denunciare.

 

Detto così sembra che ci siano infiltrazioni fasciste all’interno delle forze dell’ordine?

È inutile parlare di infiltrazioni, i fascisti nelle forze di polizia ci sono sempre stati. Tra l’altro non c’è bisogno che si dichiarino fascisti, se poi si comportano come tali: purtroppo soprusi contro i "diversi" si stanno diffondendo in maniera spontanea nella società. Soprattutto tra i giovani.

 

Il centrodestra da anni è il partito delle forze armate.

Attenzione, non è solo il centrodestra. I più strenui difensori delle forze dell’ordine negli ultimi anni sono stati Violante, D’Alema, Minniti. Da anni la sinistra fa a gara per chi deve essere il referente politico. I Gom, squadre speciali violentissime che all’interno delle carceri ristabiliscono l’ordine con vere e proprie spedizioni punitive, sono i protagonisti della "visita" a Bolzaneto. Nell’atto costitutivo avevano a capo un generale dei carabinieri, ex noto iscritto alla P2. E lo sa chi li ha creati?

 

Lo dica lei...

Eh sì. Sua eccellenza Diliberto. Da Guardasigilli fu lui a firmare il decreto di nascita dei Gom. Non ha mai spiegato all’elettorato di sinistra il perché.

 

E l’impunità su queste pratiche da che deriva?

Dalla copertura politica, ma anche sociale. Quando un comportamento è socialmente condiviso da una buona parte della popolazione, questo passa come azione legittima. L’esempio dei 21 carabinieri e vigili urbani indagati nella provincia di Bergamo è emblematico. Quelli della Panda nera ogni venerdì sera facevano la "caccia al negro". Per 2 anni. Eppure sono apparse scritte di solidarietà per gli indagati come "hanno arrestato i nostri difensori".

 

In quella vicenda c’è anche la corruzione...

Sì, ma c’è sempre stata. Non mi scandalizza: ultimamente si è scoperto a Genova che 3 della narcotici per 12 anni di fila si intascavano dosi e soldi durante i loro "interventi".

Giustizia: abolizione dell’ergastolo, un’ipotesi controcorrente

di Giovanni Negri

 

Il Sole 24 Ore, 24 marzo 2008

 

Cancellare l’ergastolo dal nostro Codice penale. È questa una delle proposte più significative della Commissione Pisapia che ieri ha consegnato il progetto del nuovo Codice penale nelle mani del Ministro della Giustizia, Luigi Scotti.

Una scelta che, in termini di politica del diritto, al netto di considerazioni sul tempismo politico, ha almeno il pregio dell’anti conformismo e il coraggio dell’impopolarità. Gli umori dell’opinione pubblica in Italia come in Europa sono infatti tutt’altro che in sintonia con decisioni di riduzione delle sanzioni.

E al di là delle Alpi Sarkozy ha da poco introdotto una legge che prevede una sorta di "fine pena mai" anche per chi ha già terminato di scontare la condanna. È vero che, in sostituzione, viene comunque introdotto un tetto di pena che può arrivare sino a 38 anni, con carica afflittiva certo non irrilevante e deterrenza non inferiore all’ergastolo. Ma è innegabile che poche misure sanzionatorie hanno la forza evocativa del carcere a vita.

Un Codice penale senza ergastolo. Con uno spazio maggiore per le pene alternative. Con una prescrizione articolata in due fasi e una disciplina per le piccole imprese in materia di responsabilità: la nuova parte generale, contenuta in 56 articoli, per effetto della conclusione anticipata della legislatura, costituisce per ora un segnale importante di politica del diritto, dal quale la futura maggioranza potrà decidere eventualmente di ripartire.

Anche per voltare pagina rispetto alla sequenza di commissioni ministeriali (ricordiamo le ultime tre: Grosso, Nordio e, appunto, Pisapia) concluse con esiti solo testimoniali. La commissione, "a larga maggioranza", ha scelto di cancellare la pena dell’ergastolo sostituendola con la "detenzione di massima durata", nella consapevolezza, scrivono i tecnici nella relazione, che la decisione sulla conservazione del "fine pena mai" non potrà che essere di natura innanzitutto politica.

Cautela in qualche misura obbligata, fiutata l’aria che tira in Europa, con una Francia, per esempio, dove da poche settimane il presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy ha introdotto, per i soggetti considerati ancora "a rischio" e condannati per alcune tipologie di reato, una forma di reclusione aggiuntiva rispetto alla sanzione inflitta all’esito del procedimento penale.

Al netto di tutte le riserve di ordine etico e costituzionale, la Commissione Pisapia ha ritenuto che la forza deterrente dell’ergastolo, tutta da verificare peraltro, possa trovare un sostanziale equivalente nella previsione di un regime sanzionatorio che prevede nel massimo una reclusione di 32 anni, elevabili sino a 38. "Una prospettiva non meno terribile della pena perpetua - sottolineano i tecnici -.

La sola differenza è che si lascerà comunque aperta una speranza di vita: di una vita che, dopo decenni di reclusione, non potrà che essere una vita diversa, così come una persona diversa non potrà comunque non essere il condannato". È anche per questo che la bozza di legge delega con la riforma del Codice Rocco apre a un ampio ventaglio di pene alternative al carcere. A partire da un dato di fatto significativo che non può non orientare le scelte del legislatore: di anni in carcere se ne fanno sempre meno.

A provarlo è un’indagine dell’Eures, istituto di ricerche economiche e sociali, che ha rilevato come dal 1995 al 2005 sono stati inflitti e non scontati oltre 85omila anni di detenzione. Il rapporto tra anni scontati e anni di reclusione previsti da sentenze passate in giudicato, si sottolinea, "dimostra che l’indice di certezza della pena, vale a dire gli anni effettivamente trascorsi in carcere rispetto a quelli inflitti, ha toccato nel 2001 la punta più bassa (38.4%) e nel 1995 la punta più alta (44.9%)".

Apertura quindi alle pene pecuniarie "per tassi" in maniera da renderle aderenti all’effettiva consistenza del patrimonio del condannato; oppure alle misure interdittive e a quelle prescrittive, a partire dall’ampliamento della possibilità di messa alla prova, già sperimentata con un certo successo nel diritto penale minorile. Quanto alla prescrizione, la bozza Pisapia stabilisce una drastica riscrittura della disciplina introdotta per effetto della legge ex Cirielli. Inedita la distinzione tra una fase che precede l’esercizio dell’azione penale e un’altra che la segue. Nel primo caso i termini sarebbero modulati sulla gravita del reato e sul massimo di pena stabilita. Una volta che l’interesse pubblico alla punizione del colpevole si è espresso attraverso l’esercizio, dell’azione penale i tempi aderiscono invece alle diverse fasi processuali, con la previsione di cause di sospensione dettagliate in caso, per esempio, di rogatoria internazionale, di perizie particolarmente complesse, di impedimento dell’imputato o del suo difensore. Sul fronte dell’imputabilità alle società di reati commessi da dipendenti (dai quali le stesse società hanno ricavato un vantaggio), la bozza di riforma, oltre ad estendere la responsabilità ai reati ambientali, introduce un’esclusione per gli enti di piccole dimensioni privi di personalità giuridica.

La Commissione infine sottolinea che il carcere a vita non c’è in molti paesi europei, come Norvegia, Portogallo, Spagna, Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina. In altri Stati, ricorda la commissione, seppure previsto in astratto l’ergastolo "non viene applicato in concreto", come in Olanda, Polonia, Albania, Serbia e Ungheria.

 

Dopo le elezioni cosa succederà?

 

Abolire l’ergastolo dal Codice penale può essere una buona misura di politica della giustizia: un modo per ridare dignità al condannato e per non escluderne qualsiasi possibilità di riabilitazione. E peraltro la condanna "senza fine" è, di fatto, già ora effettiva per pochi e limitatissimi casi. Ma sorprende che proprio in tempi di campagna elettorale venga consegnato al ministro Scotti il lavoro della commissione Pisapia (come riferiamo a pagina 23). È più che probabile che, chiunque vincerà le elezioni, di premesse così nobili si faccia ben poco conto. Via via che il dibattito si accende, la sintesi brutale potrebbe piuttosto essere l’immagine dell’incertezza (o dell’eccessiva mitezza) della pena. Come è stato detto per l’indulto (votato proprio all’inizio di questa sfortunata legislatura, soli contrari An, Lega e Italia dei valori). A un obiettivo meritorio corrisponde quindi una tempistica quantomeno sospetta. Si potrebbe ricordare che Pisapia e Scotti fanno riferimento l’uno a Rifondazione Comunista e l’altro ai Comunisti Italiani: due partiti ancora al Governo, ma da qualche settimana anche all’opposizione.

Giustizia: Franceschini (Pd); l’indulto? fu voluto da RC e FI

 

Asca, 24 marzo 2008

 

"C’è stata una forte pressione politica di Rifondazione Comunista, Forza Italia - ha spiegato Franceschini - per fare l’indulto. Noi ci siamo messi a lavorare su quel terreno e l’indulto è stato approvato a larghissima maggioranza". "Abbiamo sbagliato - ha detto ancora il numero due del Pd - perché non ha ottenuto l’effetto desiderato e anzi ha accentuato il senso di insicurezza dei cittadini. Abbiamo subito quella scelta e sbagliato a subirla". A questo punto il rimedio è "non farlo mai più, dare certezza della pena, migliorare il sistema giudiziario, costruire nuove carceri, ma soprattutto fare in modo che chi commette un reato sconti intera la pena".

Giustizia: Pecorella (Fi); custodia cautelare è "dolce tortura"

 

Asca, 24 marzo 2008

 

"Alcuni episodi mettono in mostra una tortura visibile, la faccia cattiva del potere, ma ci si dimentica che c’è una forma di tortura quotidiana che riguarda quanti sono tenuti in carcere non per esigenze processuali ma con l’obiettivo di portarli a confessare e a collaborare. È quella che i giuristi chiamano la dolce tortura".

Lo ha detto Gaetano Pecorella, capogruppo di Forza Italia. "Al di la di episodi che fanno clamore come Napoli e Genova, - ha detto il parlamentare azzurro riferendosi ai fatti del G8 - c’è una tortura diffusa e sotterranea che viene praticata in funzione di far confessare, e che si ha ogni volta che il soggetto non è né pericoloso né potrebbe reiterare il reato.

Ci sono centinaia di persone che subiscono una grave limitazione della libertà, magari con forme interne al carcere di maggiore sofferenza. Basta essere messi in cella con un soggetto pericoloso perché più facilmente si confessa". Pecorella propone di "affidare a un tribunale l’emissione di un provvedimento di carcerazione preventiva dopo un contraddittorio tra le parti", di prevedere una "seria responsabilità civile e penale del giudice, non come quella di oggi", e un indennizzo per ingiusta detenzione "che non sia come oggi limitato nei casi e nella quantità: ogni volta che uno subisce un carcere preventivo e poi sia riconosciuto innocente deve ricevere un indennizzo calcolando la quantità quantomeno sulla misura dei giorni passati in carcere, per non parlare di eventuali altri danni familiari e di lavoro".

Giustizia: la salute dei detenuti affidata alle Regioni e alle Asl

 

Il Gazzettino, 24 marzo 2008

 

"La considero una grande conquista di civiltà e di equità. Il nostro problema era quello di avere un riconoscimento della presenza delle popolazione carceraria rispetto a quanto ci viene riconosciuto pro capite con il Fondo Sanitario Nazionale. Ora invece le somme aggiuntive ci permetteranno di investire sempre di più anche in favore dei carcerati la cui situazione sanitaria presenta alcuni aspetti di criticità". L’assessore regionale alle politiche sanitarie del Veneto, Francesca Martini, commenta così il trasferimento delle competenze, del personale e delle risorse della sanità penitenziaria dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale al quale approvato ieri dalla Conferenza Stato-Regioni.

Il decreto del presidente del consiglio dei ministri corona un progetto che il Veneto aveva portato avanti con forza in questi ultimi anni con il coordinamento degli assessori regionali alla sanità e quindi c’è ora la soddisfazione per una decisione che permette di completare il percorso cominciato con la modifica del Titolo V della Costituzione che ha garantito alla Regioni la possibilità di gestire in maniera autonoma la programmazione sanitaria. "L’obiettivo è stato raggiunto con un lavoro impegnativo - ha commentato Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni - che ha visto come protagonisti i ministeri della Giustizia, della Sanità e le Regioni".

Queste ultime avranno a disposizione 157 milioni di euro per il 2008, 162 per il 2009 e 177 per il 2010 che saranno divisi, non senza battaglie, secondo i criteri con cui viene spartito il Fondo sanitario nazionale. Il trasferimento di risorse, personale e competenze sarà completato, secondo gli accordi, entro dicembre di quest’anno. Da quel momento le persone che si troveranno in carcere per scontare una pena saranno quindi in carico alle aziende socio sanitarie del territorio come già accade per i tossicodipendenti.

Sono otto le carceri operanti in Veneto a Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia Giudecca (l’unico femminile), Venezia Santa Maria Maggiore, Verona, Vicenza.Secondo dati relativi al 31 dicembre scorso, ospitano 2.772 detenuti rispetto a una capienza di 1.865 posti: si tratta per il 93,4 per cento di uomini e per il 6,6 per cento di donne e per il 49 per cento di italiani e il 51 di stranieri.

Contrari alla riforma gli infermieri che lavorano nelle carceri e che sono stati attaccati dalla Conferenza nazionale volontariato giustizia. "Vogliamo specificare - afferma una nota della segreteria del Sindacato autonomo infermieri (Sai) - che le attuali resistenze, malgrado il completo abbandono da parte del ministero della Giustizia di migliaia di lavoratori che per il ministero hanno lavorato ricevendo solo dispregio, non provengono da una difesa corporativa in quanto moltissimi di noi sono a lavorare nel carcere perché lo hanno scelto e non perché non avevano alternative". "La nostra resistenza - sottolinea ancora la nota - deriva dal fatto che si cerca di far passare come panacea di tutti i mali la legge che prossimamente sarà varata senza minimamente affrontare i veri problemi che aveva di fronte la sanità penitenziaria, e cioè i rapporti con la custodia e con i ritardi che questi comportavano nelle diagnosi e cure".

Giustizia: ora standard di qualità nell’assistenza per i detenuti

 

Ansa, 24 marzo 2008

 

Parere positivo dei presidenti delle Regioni sullo schema di Dpcm sul passaggio di competenze, in particolare di tutta la medicina carceraria, dal ministero di Grazia e Giustizia al Sistema Sanitario Nazionale. È quanto comunica in una nota il Sottosegretario Antonio Gaglione, delegato in materia di Medicina Penitenziaria.

Secondo quanto riferisce Gaglione, coordinatore del tavolo tecnico che ha redatto lo schema di Dpcm "in serata la Conferenza Stato-Regioni esaminerà la materia, tuttavia l’accordo dei Presidenti è un risultato fondamentale che preannuncia la conclusione favorevole dell’iter tra poche ore. Abbiamo compiuto un considerevole lavoro di approfondimento e mediazione fra tutte le istituzioni interessate dal passaggio e finalmente, tutta la medicina carceraria, transiterà dal ministero della Giustizia al Sistema sanitario nazionale".

In particolare, "l’ingresso del Sistema Sanitario Nazionale nel carcere - spiega Gaglione - non è solo un passaggio burocratico di competenze ma costituisce un importante passo avanti nell’introduzione di standard di qualità in favore dei detenuti". In conclusione "tutelare la salute dei detenuti al pari dei cittadini liberi è una conquista di civiltà - afferma il sottosegretario - e registro con grande soddisfazione il compimento del nostro lavoro in un solo anno e dopo ben nove anni dal varo del Dlgs n. 230/99 che stabiliva l’introduzione di questa riforma".

Giustizia: sanità in carcere, alcune cifre per una riflessione...

di Paolo Brama

 

www.dazebao.org, 24 marzo 2008

 

Un recente rapporto del febbraio 2008 della Simspe (Società Italiana di Medicina e Sanità penitenziaria) segnala una situazione di allarme nelle carceri italiane.

Su un campione di 1.300 detenuti, emergono cifre allarmanti che parlano di più della metà della popolazione carceraria italiana affetta da varie patologie. Per citare una famosa opera di Pirandello, sei detenuti (su dieci) sono in cerca di un medico, o di assistenza medica, per meglio dire.

Il sessantadue per cento dei detenuti, per azzardare una percentuale statistica, hanno bisogno di urgenti cure. Tra le patologie segnalate, emergono un 27% di soggetti affetti da problemi psicologico- psichiatrici, un 10% affetti da disturbi osteoarticolari, un altro 10% (poco meno) alle prese con scompensi cardiovascolari ed un 12% circa equamente divisi tra malattie dermatologiche e problemi vari legati al metabolismo. Quindi, la cifra più allarmante; un 17% di detenuti affetti da patologie virali croniche; fra queste, in proporzione di reale e dilagante allarme, l’epatite C.

L’incidenza di tale patologia si annuncia come una vera e propria piaga riguardante non solo la popolazione carceraria ma anche quella civile, una volta che gli stessi detenuti verranno riammessi a questa. Una serie concomitante di fattori, in particolare, favorisce il diffondersi della malattia in oggetto; le indigenti e malsane condizioni di vita in cui molti dei detenuti hanno versato prima del carcere; la pratica diffusa di alcuni comportamenti a rischio - tatuaggio su tutti -, le precarie condizioni igieniche apportate dall’annoso problema del sovraffollamento e, soprattutto, esperienze di tossicodipendenza pregressa.

Non ultima fra le cause di diffusione dell’epidemia nelle patrie galere, il rifiuto delle cure da parte dei detenuti, nella speranza di usufruire della legge per il trasferimento negli ospedali civili e, nei casi più gravi, di essere rimessi in libertà.

Per porre un argine a tale deflagrante fenomeno, la Simspe, nel documento di indirizzo 2007-08 suggerisce di riconvertire e potenziare i centri clinici presenti nelle strutture penitenziarie e di riattivare in maniera operativa lo staff sanitario presso la Direzione Generale ei detenuti, organo questo che finora ricoperto un ruolo esclusivamente burocratico e di coordinamento delle carceri. In tale misura, si dovrebbe dotare l’organo in oggetto di strumenti tali da poter affrontare la dilagante emergenza sanitaria, in grado di contrastare, assieme al fenomeno epatite, anche altre malattie a notevole e preoccupante diffusione, come depressione e psoriasi

Emilia Romagna: il lavoro per i detenuti e la sicurezza sociale

 

Equal Pegaso, 24 marzo 2008

 

L’obiettivo comune di imprese e Amministrazione Penitenziaria: siglata Carta d’Intenti regionale con Unioncamere Emilia-Romagna sul progetto Equal Pegaso.

Anche le imprese possono offrire il proprio contributo per contrastare l’isolamento sociale di chi sta scontando una condanna dando loro un’opportunità di formazione professionale con percorsi di inserimento lavorativo. Per favorire la sensibilizzazione del mondo economico-produttivo sulle tematiche del reinserimento lavorativo di queste persone in esecuzione di pena, anche in relazione al tema della "Responsabilità sociale d’impresa", il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria, Unioncamere Emilia-Romagna, Partnership Equal Pegaso (un progetto comunitario che mette insieme soggetti pubblici e privati) hanno siglato nei giorni scorsi a Bologna una Carta di Intenti.

Con il documento si punta a rafforzare un rapporto di collaborazione da poco avviato, attuando anche a livello regionale quanto già previsto tra il Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e Unioncamere italiana che, qualche tempo fa, hanno sottoscritto un Protocollo nazionale di intesa per l’attivazione di una rete stabile di comunicazione tra Camere di commercio e Provveditorati regionali dell’Amministrazione penitenziaria al fine di favorire il reinserimento dei detenuti in ambito lavorativo, sia in carcere che nelle imprese del territorio.

L’accordo siglato in Emilia-Romagna punta a sviluppare azioni finalizzate a promuovere la collaborazione tra le Camere di Commercio, gli Istituti penitenziari e gli Uffici di esecuzione penale esterna presenti sul territorio regionale, individuando attività produttive che risultino attivabili sia all’interno delle carceri (esternalizzando qui parte dei processi produttivi) sia nelle imprese del territorio (con l’inserimento delle persone detenute/ex detenute sul posto di lavoro) per favorire un reinserimento socio-lavorativo stabile e utile per le stesse imprese.

Questa direzione di scelta "etica" dell’impresa nasce sul territorio emiliano-romagnolo dall’iniziativa comunitaria Equal Pegaso - un progetto cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo e dalla Regione - che promuove su Bologna, Ferrara, Forlì Cesena, strategie e interventi in questo settore. Tra i protagonisti del reinserimento, si contano quindi molti imprenditori locali che hanno sperimentato positivamente la collaborazione con le carceri e che vanno comunicate e diffuse.

"La firma della Carta di Intenti in ambito regionale - dice Nello Cesari, Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria - si pone l’obiettivo di avviare un dialogo effettivo con il mondo economico produttivo, le imprese, le associazioni, le istituzioni interessate, anche a favore del pieno rientro di chi è stato in carcere nella legalità e nella vita civile delle nostre comunità".

Aggiunge il presidente di Unioncamere Emilia-Romagna, Andrea Zanlari che "Le Camere di commercio possono assolvere un ruolo importante nel contribuire al coinvolgimento delle imprese sui temi del lavoro e del superamento dei fenomeni di esclusione sociale, anche tramite iniziative di promozione della "Responsabilità sociale delle imprese".

Tra i soggetti coinvolti nella partnership Equal Pegaso c’è il capofila Techne s.c.p.a., il cui presidente Paolo Celli, in rappresentanza di Pegaso, sottolinea "Vogliamo restituire alle imprese il ruolo di testimoni privilegiati delle esperienze di inserimento nelle proprie unità produttive: i tanti imprenditori socialmente responsabili sono senza dubbio gli sponsor più convincenti dei risultati di "inclusione sociale e sostenibilità economica" che può produrre l’investimento etico".

Roma: Alemanno (An); chiudere Regina Coeli e farne museo

 

Omniroma, 24 marzo 2008

 

"Credo che questo carcere debba essere chiuso. A Regina Coeli sono state fatte tante opere di manutenzione, alcune celle sono state accorpate e dotate di servizi igienici, ma la struttura di fondo è molto antica e non può essere modificata". Lo ha detto il candidato sindaco Gianni Alemanno che, questo pomeriggio, si è recato in visita ai detenuti del carcere di Regina Coeli per la Via crucis. "Secondo me - ha aggiunto - questo carcere deve essere abbandonato per costruirne uno nuovo e permettere poi di riutilizzare questa struttura".

"Regina Coeli - ha proseguito Alemanno - rappresenta un grande problema, perché, da un lato, è un istituto carcerario che sta dentro la città e quindi ha dei vantaggi, dall’altro, è un istituto molto antico che molte volte si è ipotizzato di chiudere per utilizzarlo in altro modo.

Credo debba essere fatta una riflessione in questo senso perché è opportuno costruire un nuovo carcere oltre a quello di Rebibbia che è già strapieno, per poter liberare Regina Coeli e utilizzare la struttura come museo o come luogo di attività culturali. Bisogna ragionare con il ministero della Giustizia per fare questa trasformazione".

A chi gli chiede cosa gli abbiano detto i detenuti, Alemanno risponde: "Non mi hanno fatto richieste particolari, c’è stato un apprezzamento per la presenza. In certi momenti, c’è bisogno di sentirsi parte non esclusa di una comunità cittadina".

Roma: Osapp; un nuovo carcere? servirebbero 200 milioni...

 

Comunicato Osapp, 24 marzo 2008

 

Il rischio che corriamo, ancora una volta, è quello di riproporre il binomio carcere-periferia quale esempio di esperienza emarginante per una città importante come Roma". Così il segretario generale del sindacato di Polizia penitenziaria Osapp, Leo Beneduci, risponde ad Alemanno che ha considerato oggi la chiusura del carcere di Regina Coeli come soluzione del problema carcerario nella Capitale.

"Nella struttura che oggi si intenderebbe chiudere abbiamo 950 detenuti e 560 unità di Personale di Polizia Penitenziaria, sono stati progettati lavori di ristrutturazione della VI sezione e delle rotonde, con ripristino degli impianti di riscaldamento finanziati dalla regione Lazio, mentre le sezioni I, II, III e VII sono state rinnovate da pochi anni".

"Regina Coeli ospita, inoltre, un Centro Clinico all’avanguardia, considerato il fiore all’occhiello dell’Amministrazione penitenziaria in ambito nazionale, una Caserma per il Personale, anch’essa ristrutturata da poco tempo e che è tra le migliori sul territorio: questa è oggi Regina Coeli".

"Immaginare, come dichiarato dal candidato sindaco Alemanno, di chiudere un carcere che per adeguare agli standard alloggiativi è costato nel tempo - aggiunge il segretario dell’Osapp - decine di milioni di euro ai contribuenti, e che tuttora si sta provvedendo a migliorare, significa vagheggiare la costruzione, all’esterno dell’Area metropolitana, di ulteriori 2 nuovi istituti in tempi lunghissimi, con una spesa che dovrebbe aggirarsi in non meno di 200 milioni di Euro. Spesa certamente utile per la formazione e gli approvvigionamenti delle unità di personale.

Milano: i detenuti al Card. Tettamanzi; "sepolti in celle piene"

 

Ansa, 24 marzo 2008

 

A San Vittore "stiamo male e viviamo male. Ci sembra di essere sepolti e dimenticati. In questo periodo anche le più piccole celle sono piene di persone. Denunciamo una situazione disumana che peggiora sempre di più. Le condizioni di vita sono difficili, spesso assurde e non rispettose della nostra dignità ". Lo ha denunciato stamane, rivolgendosi al cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi giunto a celebrare la messa, il detenuto Secondo Borghi, 52 anni, di Reggio Emilia, in attesa di giudizio da un anno e quattro mesi per un’accusa di armi e rapina che respinge proclamandosi innocente.

Le sue parole sono state fatte proprie dal presule che all’inizio dell’omelia ha commentato: "Esse possono essere state da me dette, non saprei che cosa aggiungere". "Abbiamo riflettuto a lungo sulle parole di Gesù - ha detto ancora il detenuto -: "Misericordia voglio e non vendetta". Questa frase poco alla volta è diventata in noi una preghiera autentica. Anche noi diciamo: ‘abbiamo bisogno di misericordia, abbiamo fame di amore, abbiamo sete di perdono, la nostra vita vuole aprirsi alla bontà, non vogliamo ricevere sempre giudizio, condanna e vendetta".

La società "continua a parcheggiare qui le povertà più estreme e ogni disagio sociale. Cerchiamo misericordia e rispetto, e non solo pena e castigo. In questo giorno di Pasqua l’annuncio che Cristo è risorto è vero se in noi non muore la speranza, se i cristiani rimangono attenti alla nostra croce, se la società intera ci offre opportunità concrete di reinserimento". E ha concluso: "Nominiamo nostro Avvocato di fiducia Lei che spesso ha chiesto accoglienza per le persone extracomunitarie, che ricorda ai responsabili il diritto al lavoro per noi detenuti, che sempre esprime un grande amore per i bambini che hanno genitori in difficoltà".

Pordenone: a Pasqua la San Vincenzo de Paoli per i detenuti

 

Il Gazzettino, 24 marzo 2008

 

Sempre schierata dalla parte dei più deboli la San Vincenzo de Paoli anche per queste feste pasquali si sta dando un gran daffare per portare conforto e dare un piccolo aiuto ai bisognosi, agli ammalati e anche ai carcerati. Ormai da giorni, in varie occasioni, sta infatti raccogliendo offerte, in cambio di una piccola confezione di ulivo, con all’interno la preghiera che la contraddistingue, al fine di aiutare le famiglie più bisognose, alle quali in questa occasione, oltre alle borse alimentari darà un contributo economico. "Inoltre - ha detto il presidente Paolo Pitton - contando sulla buona volontà dei pordenonesi, nella nostra sede in via Del mercato stiamo raccogliendo uova di cioccolato da donare alle famiglie povere che non possono permettersi di comperarle per i loro figli".

Altra iniziativa degna di nota, è quella che ormai si replica da anni, a favore dei detenuti, ai quali saranno portate delle torte fatte in casa, oltre ad altri prodotti per arricchire e rendere più piacevole il loro pranzo pasquale. "Il nostro intento - ha detto la vicepresidente Alida Vampa - è quello di far capire loro che qualcuno li pensa e li vuole far sentire in un certo qual modo parte di una famiglia. Appositamente per i detenuti abbiamo anche preparato dei bigliettini pasquali di cartoncino fatti a mano e personalizzati, con una frase del Vangelo. Una cosa che sino ad oggi si è rivelata molto gradita". Se da una parte ricevono, i detenuti del Castello, dimostrano però anche di sapere dare. Di essere sensibili sul fronte della solidarietà. Nei giorni scorsi infatti, rinunciando alle sigarette, hanno fatto una colletta a favore di un bimbo veronese, che abbisogna di cure molto costose, rispondendo all’appello della madre, Emanuela Zanetti, lanciato a livello nazionale attraverso i media e on line. "Francesco è un bimbo di due anni - spiega la sua mamma - che per problemi sopraggiunti durante il parto non parla, non vede, non cammina, non sostiene né capo né schiena, non sa stare seduto, mangia attraverso un sondino gastrico e soffre di convulsioni epilettiche. La sua situazione potrebbe migliorare sottoponendolo a una terapia molto costosa in America. Aiutateci". A favore del piccolo i detenuti, senza distinzione di sezione, hanno raccolto 342 euro.

Viterbo: ieri due senatori in visita al carcere di "Mammagialla"

 

www.tusciaweb.it, 24 marzo 2008

 

Su invito del Sindacato della Polizia Penitenziaria Osap, la Senatrice Allegrini e il Senatore Marini hanno visitato, accompagnati dal Consigliere comunale Contardo, il carcere di Mammagialla. "Il direttore e i rappresentanti del sindacato - dice la senatrice Allegrini - hanno evidenziato numerose criticità dell’Istituto Penitenziario.

Il 23 luglio scorso avevo visitato l’Istituto, e poi verificato al Ministero, che quello che i sindacati locali dicono risponde pienamente alla realtà e, ad oggi la situazione è peggiorata e non migliorata. L’istituto sconta, in termini di risorse finanziarie ma soprattutto umane, la presenza nella Regione dei grandi Istituti romani e della concentrazione di personale presso il Dap.

Dopo l’indulto - continua la senatrice Allegrini - che aveva dimezzato le presenze di detenuti, sono stati di nuovo smistati a Viterbo i soprannumerari di molti Penitenziari del Sud e romani. Insomma, rispetto al numero attuale di detenuti che necessita di 530 unità di personale il carcere ne ha 380. Sarà per me il primo impegno della prossima legislatura anche in considerazione del fatto che si intende aprire a Viterbo una sezione da 25 posti per gli ex 41bis che aggraverà gli oneri del personale." "Mi sono interessato del carcere quando ero Presidente della provincia - ha detto il Senatore Marini- ed ora, spero da sindaco e deputato, vorrò un rapporto costante con tutti quelli che lavorano a Mammagialla così come ho fatto con i militari di Viterbo quale membro della commissione difesa". Anche il senatore Marini ha assicurato il massimo impegno per l’aumento del personale a Mammagialla.

Immigrazione: manca una legge sulle... "espulsioni difficili"

di Alberto Gaino

 

La Stampa, 24 marzo 2008

 

Un cittadino marocchino, espulso perché privo di permesso di soggiorno ed oppo-stosi al provvedimento del prefetto, potrà restare in Italia, ma non per il motivo da lui sostenuto: "Sono omosessuale, nel mio paese sarei perseguitato". Il giudice Vincenzo Toscano ha semplicemente preso atto che il decreto legge del governo che spostava la competenza dai giudici di pace a quelli togati non è stato convertito dal Parlamento ed Sentenza innovativa dopo che il decreto non è stato convertito è decaduto il 29 febbraio: "Il governo ha creato un vuoto di potere giurisdizionale".

Anziché limitarsi a dichiararsi incompetente e a trasmettere gli atti ai giudici di pace, a differenza di molti colleghi il dottor Toscano ha ritenuto di annullare l’espulsione per "violazione del diritto alla difesa sancito dalla Costituzione e delle norme sulla trasparenza degli atti pubblici che impongono un dovere di cooperazione con il privato, per agevolarlo al fine dell’individuazione dei termini e dell’autorità cui è possibile ricorrere". Il suo provvedimento è del 3 marzo.

La situazione normativa attuale è questa: sulla base della legge delega che fissava i principi di una nuova normativa organica sull’immigrazione, il Consiglio dei ministri ha ripartito le competenze fra giudici ordinari (per le violazioni dei cittadini comunitari) e quelli di pace (per gli extracomunitari senza permesso di soggiorno). Il giudice Toscano va oltre e scioglie a modo suo il nodo del decreto legge che, "quando non sia stato convertito dal Parlamento, perde d’efficacia anche rispetto al passato, irreversibilmente".

Lo ribadisce per non essere frainteso: "Tale giurisdizione e competenza del tribunale, in composizione monocratica, sulla disciplina dell’immigrazione è come non ci fosse mai stata, anche per il passato". Dice pure di più: "Un atto politico del Governo della Repubblica si è sostituito alla legge. Ciò ha, comportato una serie di violazioni di norme costituzionali. In primo luogo, quella per cui la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge, m questo caso, la giurisdizione è stata attivata da un atto del governo, a termine e a condizioni mai verificatesi".

Drastica, radicale, l’ordinanza del giudice Toscano aprirà una breccia nell’impalcatura giuridica sulle espulsioni dei cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno? Di sicuro. Toscano non è nuovo a bocciature dei decreti di espulsione decisi dal prefetto. A metà febbraio, ha accolto l’opposizione di un moldavo di 26 anni, finito nel centro di permanenza temporanea di corso Brunelleschi perché senza permesso di soggiorno.

Il suo avvocato, Lorenzo Trucco, aveva motivato il ricorso sulla base del visto turistico con cui, anni fa, il cliente era entrato regolarmente in Italia. Il visto era poi scaduto e il giovane moldavo a Torino aveva trovato lavoro in nero. E si era infortunato gravemente ad una gamba, investito dal carrello guidato dal suo datore di lavoro. Espulso, dopo aver ottenuto un’indennità Inail. Il giudice Toscano ha provveduto accogliendo l’opposizione dell’avvocato. E adesso dice: "I nostri provvedimenti possono essere impugnati in Cassazione".

Droghe: Radicali; lieti che Bertinotti "scopra" le narco-sale

 

Notiziario Aduc, 24 marzo 2008

 

Dichiarazione di Giulio Manfredi (Giunta di segreteria Radicali Italiani) e Domenico Massano (Giunta di segreteria Associazione Radicale Adelaide Aglietta): "Siamo lieti di apprendere che il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, ha scoperto l’esistenza delle narco-sale. Veramente Bertinotti le chiama "stanze del buco", utilizzando il termine dispregiativo coniato da coloro che non vogliono che in Italia vi sia questo strumento di riduzione del danno, utilizzato nell’Europa più civile. Ma si sa, i neofiti sono soggetti a questi errori terminologici. Quando, lo scorso autunno, per cinque mesi, vi fu la polemica sulla proposta di istituire una narco-sala a Torino, non ricordiamo nessuna dichiarazione di Bertinotti a favore dell’iniziativa.

E ancora: il 20 dicembre scorso, i promotori della petizione pro narco-sala (Associazione Radicale Adelaide Aglietta, Forum Droghe, Malega 9) scrissero a Paolo Ferrero, compagno di partito di Bertinotti nonché ministro della Solidarietà Sociale, chiedendogli di prendere posizione, di contrastare il "No alla narco-sala" espresso pubblicamente sia dal sindaco Chiamparino sia dal ministro Livia Turco. Ferrero non prese nessuna iniziativa politica seria, limitandosi a sporadiche dichiarazioni, buone per lavarsene le mani. Anzi: il "compagno ministro" non si è neppure degnato di rispondere ai promotori della petizione.

Ora scende in campo per le "stanze del buco" pure il "compagno presidente"; cosa non si fa per cercare di raccattare qualche voto in più!".

Droghe: per noi Radicali una storia di disobbedienza civile

 

Notiziario Aduc, 24 marzo 2008

 

Rita Bernardini, segretaria dei Radicali Italiani e candidata al Senato per il Partito Democratico, replica così ad un articolo non firmato pubblicato su "Il Foglio" il 22 marzo scorso dal titolo: "I radicali intruppati nel loft sostengono che nel PD non sono intruppati affatto": Siamo in difficoltà, deboli, diluiti, spenti, tramontati, finiti. Siamo i radicali "intruppati" nel PD, presenti "soltanto" (?!) sul Tibet e superati a destra e a sinistra. È questo il ritratto che fa dei radicali Il Foglio di ieri e sceglie il mancato impegno sull’antiproibizionismo come segnale di questa disfatta mentre Bertinotti, con la sua "capacità comunicativa", e la Sinistra Arcobaleno ne fanno in questi giorni di campagna elettorale una bandiera.

A me pare che questo attacco del Foglio corrisponda più ai desideri del suo direttore - tutto impegnato nella battaglia per far dilagare l’aborto clandestino - che alla realtà dei fatti. Anche se non mi nascondo che fa parte del rischio che corrono i radicali, da decenni, l’ipotesi della definitiva scomparsa. Mi riprometto però di fare una raccolta di tutti gli articoli scritti in trent’anni sulla "fine dei radicali" e di farne regalo all’ultimo becchino in ordine di tempo.

Peccato che Il Foglio, proprio sul tema dell’antiproibizionismo sia un po’ distratto e si lasci affascinare, più che dalla lotta costante e - per alcuni versi - vincente, che i radicali conducono da anni, dalla "lotta" dei soli giorni della campagna elettorale dei comunisti di ogni risma e, in primo luogo, del rifondatore del comunismo Bertinotti. Se fosse stato meno distratto, si sarebbe accorto che proprio chi scrive, cioè la Segretaria di Radicali Italiani, è stata più volte processata insieme a Marco Pannella per le disobbedienze civili in materia di stupefacenti, e che alcune sentenze di assoluzione hanno fatto giurisprudenza e sono servite a non far finire in galera giovani colpevoli solamente di essere consumatori di sostanze illegali ma certo non più dannose di alcol e tabacco regolamentate e diffuse.

Non so cosa abbiano fatto i comunisti in questi anni, se non qualche spinellata in cui gridavano allo scandalo se un poliziotto si azzardava a fermarli per far applicare la legge. Quello che so è che 43 dirigenti e militanti radicali si sono fatti processare e che 13 condannati in via definitiva come me, Pannella, Della Vedova, Stanzani e Vigevano non possono più candidarsi ad elezioni regionali, provinciali e comunali. Ma per noi sono i prezzi che si pagano e si debbono pagare per chi fa lotta politica usando nonviolenza e disobbedienza civile.

Una cosa dovrebbe far riflettere il Foglio, come fa riflettere noi radicali consapevoli del rischio costante di essere annientati: negli ultimi due anni Fausto Bertinotti ha parlato a Porta a Porta per 5 ore e 42 minuti mentre Marco Pannella, nello stesso periodo, ha avuto voce per 26 minuti (dati del Centro d’Ascolto). Sì, è probabile che si scompaia definitivamente ma, osservando la resistenza di cui siamo stati capaci noi radicali, il nostro saper essere "cellule staminali" che rigenerano i tessuti sociali, è possibile che le nostre idee di democrazia e di libertà non muoiano e che continuino a trovare gambe su cui marciare a lungo attraverso il vissuto di questo Paese.

Droghe: Milano; muore a 19 anni dopo un "rave party"

 

Notiziario Aduc, 24 marzo 2008

 

Non ce l’ha fatta il giovane di 19 anni soccorso ieri mattina all’alba in fin di vita in un rave party nell’hinterland di Milano. È morto nel pomeriggio di ieri, dopo 12 ore di agonia, nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Cinisello Balsamo. Il ragazzo avrebbe ingerito un acido in dose eccessiva o avrebbe assunto altre droghe: saranno gli accertamenti e l’autopsia, nei prossimi giorni, a dare le prime risposte. Il rave party si sta svolgendo a Segrate. È iniziato ieri e dovrebbe finire martedì. Negli spazi dismessi delle Ferrovie sono arrivati fra ieri e la notte scorsa centinaia di giovani da ogni zona d’Italia.

Stamani alle 4 sono stati alcuni partecipanti a portare di peso il 19enne, che era residente a Castellanza (Varese), fino all’ingresso del rave party: lì il personale del 118 l’ha soccorso e trasportato in ospedale dove il giovane ha subito quattro arresti cardiaci. I medici erano riusciti ogni volta a rianimarlo.

Nel corso della notte il 118 era intervenuto altre due volte sul posto. La prima per soccorrere un ragazzo che era caduto per cinque metri in un pozzo. Era stato riportato in superficie da altri giovani, poi aveva accettato le cure (un trauma cranico e alcune lesioni al viso) ma aveva rifiutato il ricovero e si era allontanato facendo perdere le proprie tracce. Alle 7.30 un nuovo allarme. Una segnalazione anonima aveva indicato nei pressi del raduno una persona che si sentiva male e che era diventata cianotica. I soccorritori dell’ambulanza però non avevano trovato nessuno nonostante le ricerche nei capannoni dove si svolge l’iniziativa e che una volta ospitavano la dogana ferroviaria. Il rave party, intanto, prosegue, giorno e notte, senza sosta fino a martedì.

Venezuela: 9 detenuti morti in scontri fra bande in carcere

 

Associated Press, 24 marzo 2008

 

Nove persone sono morte e altre 20 sono rimaste ferite ieri nel carcere di San Fernando, nello stato di Apure (sud del Venezuela) a causa di scontri fra due bande di detenuti, informa oggi il quotidiano El Nacional.

Secondo fonti locali citate dal giornale, all’interno del carcere di sono affrontati in una sparatoria per poco più di un’ora gli appartenenti alle bande degli ‘apureños’ (cioè, provenienti da Apure) con i "valencianos" (provenienti dallo Stato di Valencia), che rivaleggiano per il controllo dello stabilimento penale.

Per riportare la calma è stato necessario l’intervento di unità della Guardia Nazionale, il corpo di polizia militarizzato del Venezuela. Secondo le stime dell’Osservatorio Venezuelano delle Prigioni, una Ong che segue la situazione nelle carceri del paese sudamericano, 498 prigionieri sono morti e altri 1.023 sono rimasti feriti in episodi di violenza all’interno dei stabilimenti del paese durante l’anno scorso.

 

 

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