Rassegna stampa 15 marzo

 

Giustizia: detenuti a "quota" 60.000 entro la fine dell’anno

 

Il Tempo, 15 marzo 2008

 

Le carceri italiane sono al collasso. "Sono ormai esauriti gli effetti dell’indulto, siamo a una situazione drammatica, con 51 mila detenuti e un aumento di ben oltre mille unità al mese". A lanciare l’allarme è il Capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap), Ettore Ferrara, che ieri, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Istituto per gli Studi Penitenziari, ha messo il dito nella piaga del sovraffollamento nelle carceri italiane.

Una situazione preoccupante che l’indulto varato dal Governo Prodi un anno e mezzo fa non ha minimente risolto. Anzi. La popolazione carceraria continua crescere al ritmo di mille unità al mese. Di questo passo, entro la fine dell’anno, si arriverà a quota 60 mila.

Il capo del Dap fa notare che ad aggravare il problema è "la costante impennata" della presenza di detenuti stranieri che ricoprono il 38 per cento della popolazione carceraria. E un detenuto su quattro è tossicodipendente. Ma se Ferrara boccia l’indulto, il ministro della Giustizia Luigi Scotti lo assolve: "Non è vero che ci sia stato aumento della recidiva per coloro che hanno beneficiato del provvedimento".

Giustizia: Castelli (Lega); creare posti per 100.000 detenuti

 

Il Tempo, 15 marzo 2008

 

"L’indulto è stato un disastro e non si è fatto nulla per rimediare. Abbiamo tempo ancora un anno per costruire nuove carceri. Altrimenti sarà vera crisi". L’ex Guardasigilli leghista Roberto Castelli non vede altre soluzioni. "Il limite sopportabile è di 65mila detenuti. O si rendono disponibili nuovi penitenziari o si dovrà fare un altro indulto, tertium non datur".

 

Un altro indulto senatore?

"Se si vuole continuare a vivere in un paese demenziale sì. Se invece si vuole risolvere il problema dobbiamo costruire almeno venti nuove carceri. Sono già state progettate, ma per farle serve un forte finanziamento".

 

L’ultima Finanziaria ha stanziato 70 milioni per l’edilizia carceraria…

"Una goccia nel mare. Con quei soldi si possono fare solo due carceri di 400 persone l’uno. Invece servono subito diecimila posti in più".

 

Quali gli interventi più urgenti?

"Bisogna reperire edifici vuoti per mandarci i detenuti a bassa pericolosità che necessitano di poca sorveglianza. E poi chi è stato condannato deve essere mandato in carceri anche lontane da dove è stato giudicato. In Sardegna ci sono penitenziari semideserti, mentre San Vittore a Milano è stracolmo, e gli immigrati sono il 75 per cento del totale. Per trovarci un lombardo bisogna cercarlo col lanternino".

 

Molti detenuti aspettano troppo tempo prima di ottenere giudizio. Questo non aggrava il problema?

"Non è determinante. La maggior parte di chi è in attesa di giudizio viene condannato. Nella prossima legislatura servirà un grande sforzo per reperire molti più fondi. Tutti hanno capito l’assurdità dell’indulto. Siamo il Paese dei paradossi: abbiamo il minor numero di detenuti dei Paesi del mondo occidentale e le carceri più sovraffollate. Solo nei cinque anni del nostro Governo la ricezione è aumentata di seimila unità. Per essere in media con l’Europa la capienza dovrebbe arrivare a centomila".

Giustizia: Osapp; Scotti sbaglia, più recidiva dopo l’indulto

 

Agi, 15 marzo 2008

 

"Non è vero che non ci sia stato aumento della recidiva per coloro che hanno beneficiato del provvedimento d’indulto". Replica così l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) per bocca del segretario Generale Leo Beneduci, al Ministro Scotti che, intervenuto stamane all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Istituto superiore di studi penitenziari, aveva sottolineato il fatto che cresce il numero dei detenuti ma non la recidività che si temeva.

Secondo Beneduci, il Ministro "è stato informato male, o non tiene conto dei dati. Quegli stessi dati di cui siamo a conoscenza anche noi, come sindacato rappresentativo e partecipativo di quella stessa situazione allarmante di cui il Dap informa solo oggi. La realtà è inequivocabile e l’abbiamo denunciata da tempo, ci mostra come su 27.236 beneficiari dell’indulto (a cui devono aggiungersene 7.061 per misure alternative al carcere), 8.508 siano già rientrati nelle celle, e di questi oltre il 90% in relazione a reati diversi commessi successivamente all’indulto".

"Peraltro - prosegue Beneduci - nella realtà dei fatti i detenuti presenti nelle carceri italiane dovrebbero già avere raggiunto e superato le 52.000 presenze, tenuto conto che nelle statistiche fornite dall’Amministrazione penitenziaria (50.931 presenze al 4 marzo 2008) non sono considerate le assenze temporanee per trasferimenti o fruizione di permessi speciali o premio". "Se il Ministro ha inteso giustificare la fallimentare gestione del Governo, e del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, non è questo il modo migliore per rappresentare un quadro che già di per sé parla da solo. Lo sforzo di accostare l’indulto alla soppressione del fenomeno della recidiva non sembra un esperimento riuscito se 1/3 degli indultati si è ritrovato dentro nel giro di pochi mesi. La verità è un’altra - conclude -: sono le promesse formulate allora, anche agli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, che sono state tradite".

Giustizia: Scotti; su separazione carriere voglio un confronto

 

Ansa, 15 marzo 2008

 

"Se prima ero rocciosamente convinto, oggi, con tutta umiltà, voglio il confronto". Così il ministro della Giustizia, Luigi Scotti, torna a parlare della separazione delle carriere in Magistratura. "I magistrati hanno sempre detto no alla separazione - ha affermato il guardasigilli nel corso del suo intervento ad un convegno dei penalisti - anch’io ci ho creduto e un po’ continuo a crederci.

Ho sempre avuto due preoccupazioni: con la separazione ci sarebbe la perdita da parte del Pm della cultura della giurisdizione? Ed è possibile che un potere politico lasci duemila Pm divisi dai giudici a gestire da soli l’esercizio dell’azione penale? Sono preoccupazioni valide? Se prima ero rocciosamente convinto, oggi continuo a proporre quelle obiezioni per dire che mi voglio ancora confrontare".

Il ministro, poi, ha dichiarato di continuare ad avere quelle preoccupazioni "e finché le avrò considererò preferibile il sistema attuale". Quello della separazione delle carriere non è stato l’unico tema affrontato dal Guardasigilli nel suo intervento. Il ministro ha parlato di Csm esprimendo la sua "preoccupazione per l’invadenza correntizia.

Qualunque ispessimento del rapporto tra correnti ed eletti - ha detto riferendosi ai componenti togati - è un danno per il governo autonomo della magistratura, per l’imparzialità di gestione del Csm". Ma il ministro è fiducioso: "L’autocorrezione è sufficiente se fatta con responsabilità".

Il Guardasigilli ha, inoltre, ribadito il suo giudizio critico sui programmi elettorali dei principali schieramenti in tema di giustizia. "Mi hanno lasciato un tantino freddo; dovrebbero partire da quello che si aspetta il cittadino e cioè una giustizia più rapida ed equa". Ma al di là dei programmi resta il fatto che "di giustizia in campagna elettorale purtroppo se ne parla poco".

Giustizia: lettera Simspe su riforma medicina penitenziaria

 

Comunicato Simspe, 15 marzo 2008

 

La Simspe è stata convocata presso il Ministero della Salute per essere ascoltata assieme ad altre sigle, anche sindacali, sulle ultime osservazioni relative alla più recente versione del Dpcm che, se firmato, sancirà il passaggio della sanità penitenziaria al Ssn.

A prima vista il testo sembra essere quantomeno limitato e sembra non fornire indicazioni stringenti per le regioni, ma ci è stato fatto notare che un simile decreto non può disciplinare i contratti ma solo delegare le Regioni ad affrontare il problema con le indicazioni fornite dalle linee guida allegate al decreto stesso.

Nel corso della discussione sono stati esplicitati gli intendimenti trasmessi alle Regioni ed i significati del testo, che possono essere, alla luce di questi, interpretati benignamente. Ci è stato assicurato che è interesse del Ssn acquisire tutti gli operatori della sanità penitenziaria attraverso contratti formulati nella sanità pubblica. Il termine di 12 mesi di sopravvivenza dei contratti stipulati con la normativa 740 è una indicazione di tempo per le Asl e servirebbe non ad eliminare l’ attuale classe operativa, ma a garantire il rinnovo dei contratti nel frattempo scaduti e quindi la permanenza del personale a convenzione fino all’ offerta da parte delle Regioni dei nuovi contratti Ssn.

I Medici Incaricati non hanno contratti a termine e quindi la loro posizione è più stabile ma anche per essi saranno contrattate nuove posizioni nel Ssn. Alla fine la 740/70 sarà completamente superata, per… mancanza di personale 740. Le assicurazioni sono pervenute congiuntamente dal Dr. Viggiano del Ministero della Salute e dal Dr. De Pascalis del Ministero della Giustizia. Entrambe mi sono sembrate persone credibili.

Ho chiesto di esplicitare questo percorso e questi intendimenti al personale penitenziario ed alle Regioni attraverso una lettera informativa ministeriale, perché i primi non siano più tenuti nell’incertezza e nel dubbio, e le seconde si sentano vincolate a questo percorso.

Ritengo che il Dpcm verrà firmato intorno al 20 marzo. Quanto era possibile ottenere come garanzia, anche se a parole, sembra ottenuto ed ora bisognerà stare a vedere quel che succederà nei prossimi giorni. Dopo il nostro impegno continuerà nel percorso nazionale e dovrà estendersi a quello regionale

 

Andrea Franceschini, Presidente Simspe

Giustizia: Quirinale; grazia a Sofri, non ci sono le condizioni

di Sara Menafra

 

Il Manifesto, 15 marzo 2008

 

Il Presidente della Repubblica non darà la grazia ad Adriano Sofri finché non ci saranno "eccezionali esigenze di natura umanitaria". Dopo la richiesta di un intervento rapido, fatta sulle pagine del manifesto dal garante dei detenuti Franco Corleone, Giorgio Napolitano chiude ogni spiraglio: "Sofri è ai domiciliari, le sue condizioni di salute non impongono interventi diversi", fa rispondere con una nuova lettera.

In una lettera che risponde a un editoriale sul Manifesto, la Presidenza della Repubblica fa sapere che non ha intenzione di intervenire: "Non ci sono esigenze umanitarie, è agli arresti domiciliari".

Sta male ma non abbastanza, il detenuto Sofri. Visto che il Tribunale di Sorveglianza l’ha messo agli arresti domiciliari, non c’è ragione per cui il Quirinale debba intervenire a "far fronte ad eccezionali esigenze di natura umanitaria". È duro il contenuto della lettera con cui il direttore dell’ufficio quirinalizio "per la concessione delle grazie e la commutazione delle pene", Loris D’Ambrosio, ha risposto all’appello che Franco Corleone aveva indirizzato a Napolitano lo scorso 3 marzo, pubblicandola sul Manifesto.

Il Garante dei detenuti di Firenze aveva scritto al presidente Napolitano spiegando di attendere da tempo una sua iniziativa in favore di Adriano Sofri, l’ex leader di Lotta continua in carcere dal 2000 con l’accusa di aver sparato al commissario di polizia Luigi Calabresi nel 1972. Un anno e mezzo prima, il 3 novembre 2006, lo stesso D’Ambrosio aveva scritto che "l’esistenza di situazioni nuove, connesse allo stato di salute e all’applicazione della legge sull’indulto, imponeva aggiornamenti istruttori per l’ulteriore corso della relativa procedura".

Allora, Sofri era fuori dal carcere dopo ima grave malattia e rischiava di tornarci proprio nei giorni di Natale, quando il tribunale del riesame di Pisa decise di concedergli gli arresti domiciliari. La nuova missiva di D’Ambrosio, che dice di parlare "su incarico del capo dello stato" chiude ogni spiraglio: il Quirinale non può intervenire, si spiega, perché il Tribunale del riesame ha messo Sofri ai domiciliari "ritenendo, per un verso, che le condizioni di salute - pur serie - non erano tali da imporre un nuovo differimento dell’esecuzione e, per altro verso, che la detenzione domiciliare era funzionale alla fruizione delle cure necessarie e al reinserimento sociale".

Quindi, niente da fare: "Nessun elemento fa oggi ritenere che le esigenze umanitarie debbano essere garantite ricorrendo a istituti diversi da quello penitenziario in atto". Fino ad oggi, nello scegliere le persone cui concedere la grazia il presidente Napolitano ha badato poco alle condizioni di salute dei detenuti, sebbene la sentenza costituzionale in cui si parla di "esigenze di natura umanitaria" sia stata emessa giusto dopo la sua nomina.

Ivan Liggi aveva trentaquattro anni quando il presidente della repubblica decise di graziarlo, nel dicembre 2006. L’uomo, ex poliziotto, era accusato di omicidio volontario per aver sparato contro un guidatore che non aveva rispettato un posto di blocco. Nessun problema di salute neppure per i cinque altoatesini graziati il 3 agosto 2007, quattro dei quali dovevano scontare solo le pene accessorie.

Persino per Bompressi, condannato assieme al leader di Lotta Continua, questa valutazione non è stata applicata, visto che al momento della grazia era già ai domiciliari (a causa di gravi condizioni di salute) esattamente come accade oggi a Soni. Dal Quirinale spiegano che il criterio "di salute" è speciale perché speciale è la condizione di Sofri, che non ha mai chiesto la grazia.

Eppure di questa regola non hanno mai parlato né la Corte Costituzionale né nessun altro Presidente della Repubblica. Sofri ha lasciato il carcere, per la prima volta, il 25 novembre del 2005, quando fu sottoposto ad un intervento chirurgico d’urgenza perché una rara malattia gli aveva causato una lesione all’esofago di 6 centimetri. Fu salvato in extremis e da allora "motu proprio" il Tribunale di Sorveglianza di Pisa l’ha messo ai domiciliari, perché le sue condizioni di salute non sono compatibili col carcere.

La decisione, temporanea, sarà riesaminata il prossimo giugno. A pesare sulla scelta di Napolitano potrebbe essere stato "l’incidente" con la famiglia Calabresi. Nel 2006, appena eletto, il Presidente concesse la grazia ad Ovidio Bompressi, ponendo fine al lungo braccio di ferro tra l’ex ministro Castelli e il suo predecessore Ciampi. La famiglia Calabresi apprese la notizia dalla stampa e, sia il ministro Mastella sia Napolitano dovettero scusarsi per lo sgarbo. Da allora, il tema della grazia ad Adriano Sofri è finito in un angolo.

Giustizia: Bolzaneto; ecco il medico che terrorizzò gli anti-G8

di Alessandra Fava

 

Il Manifesto, 15 marzo 2008

 

Tre anni e sei mesi. Probabilmente in prescrizione tra poco: quando è stata letta la richiesta delle pene per il responsabile dell’infermeria alla caserma di Bolzaneto, il medico Giacomo Toccafondi, persino i giudici del Tribunale hanno mosso il sopracciglio. Ai più è sembrata una pena limitata rispetto ai reati e alla figura di Toccafondi che a Bolzaneto avrebbe dovuto medicare i detenuti e invece si è rivelato uno dei massimi torturatori.

Accusato di lesioni, omissione di soccorso, abuso d’atti d’ufficio, protagonista di vari episodi di percosse, ingiurie e violenza privata, Toccafondi "sembra aver prestato giuramento a Menghele più che a Ippocrate" come ha detto l’avvocato Stefano Bigliazzi, il primo dei difensori, che ha chiesto le provvisionali per i suoi assistiti, dopo la richiesta delle pene dei pm.

È quello che irride i fermati nudi davanti a lui per la visita medica, dicendo "manganelli manganelli", avvicinandoli alla faccia dei fermati. È quello che costringe una donna con le mestruazioni a togliersi un piercing nelle parti intime e ne strappa altri secondo alcune testimonianze. È quello che assiste senza commentare ai canti fascisti nell’infermeria, veste anfibi (dirà stivaletti nell’udienza dello scorso ottobre) e indossa la mimetica invece del camice.

54 anni, impiegato prima del G8 nel carcere di Marassi e in quello femminile di Bolzaneto, famoso per la sua passione per le armi e le arti marziali, Toccafondi non è mai stato sospeso dai suoi incarichi, continua a essere medico dell’ospedale di Pontedecimo come dipendente dell’Asl 3 di Genova e lo scorso anno è stato anche scelto dall’esercito per missioni "di pace" all’estero. Missioni che ha fatto prima del G8 in Kossovo come membro della Croce rossa militare. Intervistato da chi scrive il 30 luglio 2001, diceva che "a Bolzaneto c’era un clima duro ma non sono state fatte nefandezze"; che i fermati "non erano educande"; "ne sono arrivati che puzzavano di benzina lontano un chilometro" e "bisogna tenere sotto controllo degli eversivi".

Tra le frasi chiave "le misure di sicurezza prevedono di tenere la gente addossata al muro, di rimuovere i piercing. Che abbiamo strappato i piercing è una balla e li avevano ovunque". Fu lui il primo a parlare di piercing anche se l’intervistatore nulla ne sapeva. E per finire "per fortuna i ragazzi del Gom non si sono fatti reprimendo rivolte contadine ma trattando con mafiosi e pentiti. E poi non è che ci fosse il corteo di Gandhi, era guerriglia urbana, ci sentivamo in guerra".

Trani: il Consorzio Meridia formerà 30 detenuti-pasticcieri

 

www.barilive.it, 15 marzo 2008

 

Il progetto della Cooperativa Campo dei Miracoli intende stabilizzare contrattualmente almeno 30 detenuti del carcere di Trani.

Un progetto di formazione e occupazione per detenuti impegnati nella lavorazione artigianale di taralli. È l’iniziativa della Cooperativa Sociale Campo dei Miracoli, che aderisce al Consorzio Meridia, presentata nei giorni scorsi nell’Ipercoop di Barletta. I taralli salati, preparati secondo la tradizione pugliese, saranno messi in vendita a partire da sabato prossimo nei supermercati Ipercoop di Bari, Andria, Barletta e Molfetta.

"È stata una sana follia - ha detto Valeria Pirè, direttrice degli Istituti penali di Trani - che ha richiesto molto lavoro, sacrificio e professionalità. Dal 2003 è partita la collaborazione tra l’Istituto di pena e la cooperativa Campo dei Miracoli, per la produzione di pasti per i detenuti. Ad un’attività autoreferenziale, abbiamo inteso aggiungere un’attività di formazione e lavoro che si rivolgesse al mercato. Abbiamo contattato l’Ipercoop, che ha sposato l’idea, scegliendo un prodotto a lunga conservazione. Il progetto intende dare formazione e professionalità ai detenuti coinvolti, che attualmente sono sei, selezionati all’interno dei condannati in maniera definitiva, in totale 30 sui circa 140 detenuti attualmente presenti nel carcere".

Il presidente della cooperativa Campo dei Miracoli, Salvatore Loglisci, ha sottolineato come la produzione dei taralli preveda l’utilizzazione dei prodotti del territorio. "Dal punto di vista organizzativo - ha aggiunto Loglisci - abbiamo dovuto affrontare e risolvere numerosi problemi. Siamo riusciti a superarli grazie alla convinzione che questo progetto ha una forte valenza sociale e rappresenta, per i detenuti coinvolti, una forma di riscatto sociale. Le persone coinvolte non avevano mai firmato un contratto di lavoro e sono diventati ora, a tutti gli effetti, dei lavoratori, anche se con un contratto part-time. Faremo di tutto per aggiungere altri detenuti a quelli attualmente impegnati".

Il presidente del Consorzio Meridia, Gianfranco Visicchio, ha espresso tutta la sua soddisfazione per l’iniziativa. "Ci sono voluti otto anni, perché è del 2001 la firma del protocollo d’intesa con il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria", ha affermato. "È stato un tempo speso bene, faticoso, che ha portato i suoi frutti". Alla presentazione hanno partecipato, inoltre, don Raffaele Bruno, dell’Associazione Libera Terra, il sindaco e il vicesindaco di Barletta, Eugenio Maffei e Franco Caputo, e il vicepresidente della Confindustria di Bari, Giancarlo Di Paola.

Venezia: un permesso di soggiorno per la badante coraggiosa

 

Liberazione, 15 marzo 2008

 

Victoria salvò la vita ad una anziana. Rischiava l’espulsione Venezia, permesso di soggiorno umanitario alla badante coraggiosa Un permesso di soggiorno per morivi umanitari a Victoria Gojan, la ventisettenne moldava che la settimana scorsa a Venezia aveva salvato la vita alla anziana che accudiva, Angela Viviani di 88 anni, lanciando l’allarme per una fuga di monossido di carbonio.

Victoria era clandestina, e per questo motivo era piantonata all’ospedale in attesa della probabile espulsione. Ma la sua storia era finita sulle cronache nazionali e il sindaco Massimo Cacciari si era augurate che Victoria potesse rimanere in Italia, mentre la municipalità di Lido-Pellestrina aveva votato nei giorni scorsi una delibera per conferire alla giovane moldava la cittadinanza onoraria della città di Venezia.

La Questura di Venezia ha deciso di revocare i provvedimenti penali nei confronti di Victoria, alla quale era già stato intimato di allontanarsi dall’Italia, concedendole un permesso di soggiorno per motivi umanitari della durata di un anno. Raccontano le cronache locali che negli uffici della Questura la ragazza ha avuto un malore ed è stata immediatamente portata al Pronto Soccorso per un rapido accertamento.

Niente di grave: "Sapere di essere sorvegliata dalle forze dell’ordine in ospedale mi ha fatto tanto male" ha detto. Victoria faceva la "badante" a due anziani del Lido di Venezia per 700 euro al mese. La notte del 5 marzo si è accorta che qualche cosa non andava e, intontita, ha chiamato i soccorsi. Il monossido di carbonio aveva invaso l’appartamento uccidendo Umberto Viviani, il marito di Angela che invece, in coma, è stata trasportata all’ospedale civile di Venezia con Victoria, anche lei intossicata dalle esalazioni. Il 12 marzo la signora Angela è uscita dal coma e sta bene.

Victoria aveva chiesto un lavoro stabile e regolare, ed è stata accontentata: nei prossimi giorni, con tanto di permesso di soggiorno, sarà assunta dalla cooperativa "Il Cerchio" in qualità di sarta. L’unica voce contraria alla regolarizzazione della moldava è stata quella di Alberto Mazzonetto, capogruppo della Lega Nord al Comune di Venezia. Per Mazzonetto la giunta farebbe meglio a occuparsi "del dilagare della criminalità, degli accampamenti abusivi a San Giuliano, dei borseggi e dello spaccio di droga". Il suo appello è rimasto inascoltato.

E giusto ieri la candidata premier della Destra ha proposto una raffinata ricetta contro l’immigrazione: "per gli immigrati e i clandestini una sola visita al Pronto soccorso e poi basta. Poi li accompagniamo nel loro Paese". Daniela Santanché propone inoltre di mandare nel proprio Paese a scontare la pena i migranti attualmente rinchiusi nelle carceri italiane, che secondo l’ex deputata di Alleanza Nazionale costituiscono l’80% della popolazione carceraria. Sbagliato: sono il 35%.

 

 

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