Rassegna stampa 10 marzo

 

Giustizia: Confcommercio; 86% di italiani si sente a rischio

 

Dire, 10 marzo 2008

 

Che il tema della sicurezza personale sia importante è evidente, considerato che tutti gli schieramenti lo hanno messo nei loro programmi elettorali, ma in che misura questo problema è sentito dagli italiani lo descrive una ricerca di Confcommercio realizzata dalla Mercurio Misura, secondo cui per otto intervistati su dieci questo problema dovrebbe essere considerato una priorità dal nuovo governo, al primo o al secondo posto addirittura.

L’83,6% degli italiani si sente esposto a tutti i tipi di reato "comuni" (rapina, furto, scippo e borseggio) la stragrande maggioranza, tra il 70 e l’80%, ritiene che l’aumento del fenomeno della criminalità sia legato all’aumento dell’immigrazione. Ma, allo stesso tempo, il 54% ritiene che il modo migliore per contrastare l’immigrazione clandestina sia quello di agevolare la regolarizzazione (anche se a questo dato fa in qualche modo da contrappeso a quel 38,6% che ritiene l’intensificazione delle espulsioni la migliore "medicina" per curare l’immigrazione clandestina). Come si combatte la criminalità? Circa il 26% degli intervistati mette al primo posto l’aumento delle forze dell’ordine, al quale si aggiunge un 6% che individua nel poliziotto di quartiere uno strumento ulteriormente utile (questo dato va comunque interpretato alla luce del fatto che l’80% del campione intervistato risiede in centri con meno di 200 mila abitanti). Mentre il 30% ritiene poco efficace l’operato delle forze dell’ordine per mancanza di mezzi.

Quasi un italiano su due (43,5%) pensa che la ricetta giusta sia mettere al primo posto, la certezza della pena. Pena che, sempre uno su due (51,1%) considera adeguata per furto, borseggio e scippo (ora fino a tre anni). Per tutti gli altri reati la maggioranza chiede un aumento, a volte anche rilevante, degli anni di carcere. Tanto allarme non produce comunque reazioni scomposte. Due italiani su tre (63,2%) non ritengono utile armarsi (anche se un significativo 29,5% ritiene necessario farlo); e la pena di morte è vista con favore da appena il 9,4%. Un ultimo dato sulla violenza sessuale: mentre il 61% è favorevole all’inasprimento della pena e quasi il 18% addirittura all’ergastolo, circa il 14% chiede appunto la castrazione chimica per gli stupratori. Aumenti che schizzano alle stelle quando la violenza sessuale è perpetrata sui minori: a chiedere il semplice inasprimento della pena è il 35,5%, mentre la castrazione chimica la invocano il 25,7%, l’ergastolo ben il 26,6% e quasi il 10% addirittura la pena di morte.

Mettendo a confronto le risposte dei commercianti e quelle dei privati, infine, si registrano alcune differenze: l’immigrazione, clandestina e non, è vista come la principale causa della microcriminalità per il 79% dei commercianti contro il 75% dei privati; nel contrasto all’immigrazione, oltre la metà dei cittadini privati (53,6%) si schiera per un’agevolazione della regolarizzazione, mentre i commercianti mettono quasi sullo stesso piano agevolazione (44%) ed espulsione (46,6%); tra i reati più temuti, l’aggressione fisica è al primo posto per entrambi i campioni, ma nel caso dei commercianti, si riscontra un timore altrettanto elevato anche per la rapina (22,1%); l’autodifesa armata, infine, non è ritenuta necessaria da oltre il 60% degli intervistati di entrambi i campioni, anche se il 35,5% dei commercianti, a differenza del 29,5% dei privati, ritiene utile detenere un’arma. (Vedi la ricerca)

Giustizia: Mastella, "Why Not" e... l’ebbrezza del pregiudizio

di Pierluigi Battista

 

Corriere della Sera, 10 marzo 2008

 

La grande ipocrisia che ammorba l’Italia da quindici anni a questa parte esige l’inchino alla formula di prammatica: le vicende giudiziarie non devono interferire con il corso politico della Nazione. Ma ora che la Procura generale di Catanzaro ha chiesto l’archiviazione di Clemente Mastella per l’inchiesta Why Not come si può negare che una clamorosa iniziativa giudiziaria abbia "interferito" nella politica italiana, condizionandone i risultati, le mosse, le scelte, i tempi, le modalità?

Se il mostro non era un mostro, come giudicare il trattamento preventivo cui Mastella è stato brutalmente sottoposto, le trasmissioni televisive che ne hanno reclamato la condanna in effige, il sospetto che l’ex ministro della Giustizia abbia manovrato con arrogante disinvoltura per colpire chi voleva far luce sulle sue (presunte) malefatte, sradicare le sue (presunte) malversazioni, ripulire eroicamente i suoi (presunti) angoli bui?

Nelle parentesi che racchiudono la presunzione d’innocenza si misura la devastazione mentale che ha disintegrato fra tutti noi ogni elementare senso del diritto, del garantismo, della giustizia. Tutti noi, nessuno escluso. Un errore giudiziario è possibile. Uno spunto di indagine che poi si dimostra evanescente non è di per sé indizio di malanimo e di accanimento da parte dei magistrati. Ma diventa mostruosa dilatazione di un pregiudizio quando un’inchiesta si trasforma nella ghigliottina mediatica allestita per decapitare il potente di turno.

Quando nella stampa un’ipotesi si trasfigura ipso facto in certezza. Quando i magistrati si trasformano agli occhi dell’opinione pubblica in eroi senza macchia, in angeli vendicatori e sterminatori. Quando lo stesso diritto alla difesa dell’imputato, dell’indagato, dell’indiziato viene degradato, nel rozzo tribunale dei media che si abbevera alle fonti dell’accusa come un devoto si accosta tremebondo alle sacre scritture, a deplorevole esercizio ostruzionistico nutrito di cavilli, formalismi, strategie dilatorie messe in atto da chi, anziché nel processo, pretenderebbe difendersi dal processo.

Inebriati dalla gogna giudiziaria che ha distrutto buona parte della classe politica della Prima Repubblica (buona parte, non tutta), abbiamo perduto ogni percezione del dramma vissuto da chi, in mezzo a tante condanne, si è visto assolto, prosciolto, archiviato, magari dopo aver scontato giorni o mesi di carcere preventivo. Ma nel ricordo collettivo resta un "indagato", macchiato per sempre per un reato mai commesso. La presunzione d’innocenza fino a condanna definitiva, costituzionalmente protetta, viene vissuta oramai come una formula vuota, un principio polveroso cui rendere formale omaggio ma senza convinzione autentica.

Inquinata dall’odio politico, persino la constatazione di sentenze che hanno demolito l’impianto accusatorio di un processo - esemplare il caso Andreotti - viene revocata in dubbio, distorta, ritoccata, caricata di significati e sottintesi che giustifichino la permanenza di un sospetto di colpevolezza, malgrado la smentita di pesantissime assoluzioni. La vicenda giudiziaria di Mastella viene "archiviata" ma non è archiviato il discorso pubblico che su quella vicenda è cresciuto come un’escrescenza, stavolta non archiviabile. Avanti il prossimo.

Giustizia: Ugl; insoddisfatti dall’operato del governo Prodi

di Carlo Garzia

 

L’Avanti, 10 marzo 2008

 

La sicurezza dei cittadini è certamente un campo fondamentale dove si affronteranno in campagna elettorale i partiti che aspirano a governare l’Italia. I cittadini, soprattutto nelle grandi città, ma non solo, non si sentono affatto sicuri e le risposte dei governi non sempre si sono mostrate all’altezza di questa sfida. Ci spiega il perché Paolo Varesi, responsabile dell’ufficio per le politiche di sicurezza del sindacato Ugl (Unione Generale del Lavoro).

 

Dottor Varesi, c’è molta domanda di sicurezza da parte dei cittadini, ma il problema è ancora lontano dall’essere adeguatamente affrontato e risolto. Come mai?

"C’è un problema strutturale che riguarda l’impostazione della politica della sicurezza. In realtà non si fa politica della sicurezza, ma slogan di sicurezza che sono, a secondo dei governi che vincono, o un po’ più rigidi, o un po’ più liberali, per accontentare le frange estreme dei partiti. Il problema profondo è che questo Paese non riesce a darsi un indirizzo e a fare in modo che le forze di polizia, e la sicurezza in genere, siano innanzitutto un problema sociale ed economico".

 

A cosa si riferisce in particolare?

"Quello che dice la nostra confederazione sindacale, rispetto alle altre, è che la sicurezza è il primo elemento per lo sviluppo economico del Paese. Noi viviamo in un Paese dove la metà del territorio è in mano alla criminalità organizzata. È inutile parlare quindi, ad esempio, di non far pagare l’Ici sulla prima casa, di investimenti nel Mezzogiorno, di abbattimento dei costi sul lavoro, quando poi non si riesce a garantire uno sviluppo socio-economico di metà del Paese".

 

Quali sono le maggiori emergenze che lamentate e che il prossimo governo dovrà affrontare?

"Quello che abbiamo chiesto è una politica che ci indichi gli obiettivi, in termini ampi e in termini specifici. Poi c’è un altro problema, quello che purtroppo le politiche economiche sono predominanti anche sulle politiche sociali e quindi anche su quelle della sicurezza. Siccome le forze di polizia fanno debito pubblico, non si può investire un euro per quanto riguarda le forze di polizia. Noi abbiamo subito anche quest’anno, con la legge finanziaria per il 2008, il venti per cento di tagli sulle risorse disponibili. In realtà c’è un approccio su certe tematiche che si basa sul risparmio di bilancio: non ci sono i soldi e di conseguenza girano meno poliziotti, meno macchine e si fa meno politica della sicurezza".

 

L’aspetto economico è importante ma si innesta in un contesto più ampio...

"Viviamo in un Paese che è un po’ allo sbando, dove c’è crisi economica, crisi di lavoro, conflitto sociale. E quando c’è conflitto sociale vuoi dire che stanno saltando le regole che uniscono la comunità. In questi casi le forze di polizia sono un riferimento importante".

 

In certi casi queste regole sembrano già saltate, pensiamo all’emergenza rifiuti in Campania...

"Nel caso delle discariche in Campania noi ci siamo trovati di fronte a persone che rivendicavano il diritto alla salute: queste persone non erano contro il commissario De Gennaro o contro le forze di polizia, ma contro un sistema politico che non dava loro garanzie per il futuro, perché sono anni che vivono in questa emergenza. Da una parte, quindi, c’è il diritto alla protesta, e dall’altra la necessità di arginare questa protesta, di fare in modo che la manifestazione di malcontento dei cittadini, che è conflitto sociale, sia contenuto e governato. Questo meccanismo, che è molto delicato, spesso salta anche se le forze di polizia, da Genova in poi, hanno fatto grossi passi in avanti".

 

In quale direzione?

"I fatti di Genova, che voglio richiamare espressamente, ci hanno consentito di capire che il Paese era cambiato, che non ci si poteva permettere più certi comportamenti e certi atteggiamenti e anche l’uso della forza in un determinato modo, anche se in nome e per conto della legge. L’ordine pubblico, che è il meccanismo che consente di governare queste dinamiche, oggi è fortemente cambiato."

 

Fra i crimini che vi trovate ad affrontare, quali sono quelli che i cittadini patiscono maggiormente?

"I crimini predatori. È la criminalità più sofferta perché è quella più percepita, ed è percepita in modo concreto non perché c’è un indebolimento psicologico della cittadinanza, ma perché in realtà i crimini predatori sono aumentati. Quello che i cittadini vogliono sapere è perché se uno esce di casa deve aver paura". Ma come mai questo tipo di criminalità è tanto difficile da sconfìggere? "Perché le forze di polizia sono disorganizzate, perché abbiamo un sacco di gente in divisa e non si sa chi fa cosa. Il cittadino vede persone con le uniformi più disparate, ma poi in realtà non riesce a capire la competenza che distingue un vigile urbano rispetto ad un poliziotto o ad una guardia giurata".

 

Ma questo dipende specificamente dai singoli corpi di polizia o dalla politica di sicurezza generale impostata dal governo?

"Manca la politica della sicurezza del governo, il quale dovrebbe indicare quali sono gli obiettivi che si pone in materia nei prossimi anni, ad esempio lotta alla criminalità organizzata, lotta all’immigrazione clandestina, alla microcriminalità eccetera, il che vuoi dire indicare anche con quali strumenti raggiungerli. Insomma ci vuole una politica della sicurezza che faccia scelte e che dia indirizzi precisi, senza voler per forza accontentare tutti; un governo con idee chiare che fissi obiettivi chiari, e piani pluriennali di investimento, con risorse sicure, per poter contare di raggiungere gli obiettivi prefissati".

 

Si dice che la sicurezza non sia ne di destra, ne di sinistra, che sia insomma bipartisan. È vero?

"Tutti siamo d’accordo che in una città sicura si vive meglio, sia se si è di centrosinistra che di centrodestra, ma il problema è capire cosa nei fatti fanno i governi. E l’ultimo governo in materia di politica di sicurezza ha fatto riforme di natura ideologica, liberalizzando l’uso delle droghe, benché in questo Paese ci sia una emergenza legata al consumo delle droghe che vede tanti ragazzi morire; ha liberalizzato l’uso dell’alcol, e noi viviamo in un Paese dove seimila giovani l’anno muoiono in seguito a incidenti per uso di alcol. Ha liberalizzato un certo tipo di immigrazione solo in termini solidaristici, senza pensare all’effetto che questa immigrazione avrebbe avuto sulla comunità. Quello che distingue il centrodestra dal centrosinistra è come si fanno le cose, poi certi temi sono sicuramente bipartisan".

 

Il tema sicurezza è senz’altro legato a quello dell’amministrazione della giustizia. Si pensi alla certezza della pena, alle scarcerazioni facili...

"C’è un problema di impostazione culturale della pena, perché da noi la pena serve a recuperare il reo, cosa che è anche bella dal punto di vista religioso ed etico, ma non produce soddisfazione ed effetto sulla società. Innanzitutto la pena deve servire a sanare il danno che il reo ha prodotto. Chi ha prodotto un danno deve avere l’impegno, attraverso la pena, di risarcire la società e la vittima del reato che ha fatto, e poi viene anche il recupero. Occorre fermezza, il che vuoi dire che se si commette un reato, poi si sconta la pena su quel reato, mentre capita che si commettono delitti gravi ma poi non si va in carcere. E anche le forme di agevolazione devono essere contenute."

 

Immagino pertanto che non siate rimasti molto soddisfatti dell’indulto...

"Non siamo stati molto soddisfatti dell’indulto perché per noi non era una priorità del Paese e poi perché sapevamo, poiché facciamo questo lavoro, che l’ottanta per cento di queste persone naturalmente sarebbero state costrette a ricommettere reati perché è quello l’ambito sociale in cui vivono."

Giustizia: Sappe; oltre 51mila detenuti, vanificato l’indulto

 

Comunicato Sappe, 10 marzo 2008

 

"Crediamo sia arrivato il momento di chiedersi cosa intende fare il Ministro della Giustizia Luigi Scotti per il sistema carcere e soprattutto per chi in esso lavora in prima linea, ovvero le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. Da quando si è insediato in via Arenula, non ci risulta aver posto la questione carcere tra le sue priorità nonostante la drammaticità della situazione penitenziaria.

Passato "l’effetto indulto", di cui hanno beneficiato 26mila persone, oggi ci troviamo ad avere nelle 200 carceri italiane già più di 51mila detenuti, un numero considerevole tenuto conto che la capienza regolamentare è di circa 43mila posti. L’assenza di provvedimenti legislativi per "ripensare" il carcere da approvarsi congiuntamente all’indulto hanno dunque posto una pietra tombale sugli effetti benefici di sfollamento dei penitenziari per effetto del provvedimento di clemenza".

A dichiararlo è Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione della Categoria.

"Avevamo denunciato da subito che per risolvere i problemi del carcere e dei poliziotti penitenziari l’indulto, da solo, non sarebbe bastato. Era necessario "ripensare" il carcere, insomma, e adottare con urgenza rimedi di fondo al sistema penitenziario, come ha chiesto più volte anche il Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Nulla di tutto questo ci risulta però abbia fatto il Governo e il Ministro della Giustizia Scotti, che ci sembra navighi a vista sul tema carceri non avendo adottato alcun intervento strutturale sul sistema penitenziario nazionale".

Giustizia: dei morti (sul lavoro) e delle pene… (non inutili)

di Nicola Cacace

 

L’ Unità, 10 marzo 2008

 

Non mi pare che i regolamenti applicativi della legge 123/2007 sulla sicurezza del lavoro, approvati dal governo per combattere il primato italiano degli infortuni sul lavoro siano "inutilmente punitivi" e tanto meno che "privilegino le pene rispetto alla prevenzione e alla formazione" come improvvidamente viene sostenuto da alcuni. Che mostrano di non conoscere né la gravità dei dati, né i 303 articoli del testo che ha sostituito più di 1.200 articoli precedentemente in vigore con varie normative.

Anzitutto la gravità della situazione italiana è espressa dai dati che pochi media hanno ricordato. Sia il livello assoluto delle morti sul lavoro in Italia sia la tendenza alla riduzione vedono il nostro Paese in coda ai Paesi concorrenti, Francia, Germania, Gran Bretagna. Su questi dati nessun imprenditore italiano ha mai avanzato una spiegazione, in particolare su due aspetti.

Primo: perché in Italia si muore di lavoro quasi due volte più che in Francia e Germania e addirittura sei volte più che in Gran Bretagna? Secondo, perché il processo di riduzione degli infortuni gravi nei Paesi industriali vede l’Italia, che pur parte da livelli superiori, con una riduzione degli infortuni mortali nettamente inferiore alla riduzione del 30% realizzata nell’Europa a 12?

Secondo i dati della fonti internazionali negli anni 2003-2005 ci sarebbero stati circa 1300 morti l’anno per incidenti sul lavoro in Italia e in Germania, 640 in Francia e 230 il Gran Bretagna. Questi dati, rapportati alla popolazione e all’occupazione, danno i coefficienti di mortalità per abitante e per occupato che vedono l’Italia come il paese più pericoloso per i lavoratori tra tutti i Paesi dell’Europa. Solo Spagna, Turchia e Portogallo sono un po’ dietro, con Cina e Romania al vertice mondiale dell’infortunistica grave.

Qualche rappresentante dell’industria si è lanciato in affermazioni tra l’incauto e lo strumentale, del tipo "Il Testo Unico sulla Sicurezza è l’ultimo atto di una sinistra demagogica e anti industriale". Sicuramente il signore non ha letto il testo approvato che dispone agevolazioni per formazione e prevenzione come mai nessuna norma precedente aveva fatto.

Quanto alle sanzioni, bisognerebbe dar atto a quel noto "demagogo e anti industriale" del Presidente del Consiglio, che si è battuto coerentemente con le promesse fatte in più di un’occasione agli operai, di aver anche attenuato le sanzioni precedentemente concordate.

Così, fermo restando l’arresto da 6 a 18 mesi per "il datore che ha omesso di effettuare la valutazione dei rischi nelle aziende ad elevata pericolosità (chimiche, esplosivi, etc.), nei casi meno gravi, il testo della legge prevede che si applichi l’arresto da 4 a 8 mesi (invece che da 6 a 12 mesi) ovvero l’ammenda da 4 a 12mila (invece che 5-15mila come precedentemente concordato). "Inasprendo le pene non si salva la vita" L’ha detto il più grande imprenditore italiano. Un’altra frase che, applicata al contesto italiano, aspettavamo al più da qualche piccolo imprenditore in nero, non dal più grande imprenditore italiano. In verità sanzioni più lievi avrebbero avuto sapore di burla dopo tante promesse di attenzione e contrasto al fenomeno.

Medicina Penitenziaria: comunicato Sumai su passaggio a Ssn

 

Comunicato Sunai, 10 marzo 2008

 

Comunicato del Sumai - Sindacato Unico Medicina Ambulatoriale Italiana e Professionalità dell’Area Sanitaria, sul passaggio della Sanità Penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale.

Il Sumai informa i colleghi psicologi che venerdì 15 febbraio 2008 durante il convegno "Difendere Abele recuperando Caino", promosso da Luigi Cancrini, il nuovo Ministro della Giustizia ha annunciato la bozza di un Dpcm sul passaggio della Sanità Penitenziaria dove per la prima volta si parla degli esperti ex art. 80 (adulti e minori). Si tratta di una importantissima novità in quanto fino a questo momento non erano stati inseriti nel passaggio.

Nell’articolo 3 (trasferimento dei rapporti di lavoro) il comma 6 è dedicato esplicitamente agli esperti. Da parte delle organizzazioni sindacali presenti: (Aupi) e non, come la Società Italiana di Medicina Penitenziaria, sono state fatte esplicite richieste, affinché venga data immediata applicazione alla convenzione ambulatoriale e alla introduzione di garanzie per il rinnovo delle convenzioni anche dopo i 12 mesi previsti nella bozza del Dpcm.

L’approvazione del Dpcm (prevista per la fine di marzo) sarà accompagnata da una stabilizzazione del rapporto di lavoro attraverso l’applicazione dell’Accordo Collettivo Nazionale. Attualmente il Sumai sta lavorando affinché tutti i professionisti transitanti possano, in base all’Art. 13 dell’ACN:

"1. Il presente Accordo Collettivo Nazionale, di seguito denominato Accordo, regola, ai sensi dell’art.8, del D. L.vo 30 dicembre 1992, n.502 e successive modificazioni e integrazioni e sulla base delle determinazioni regionali in materia, il rapporto di lavoro autonomo convenzionato, che si instaura tra le Aziende Sanitarie (di seguito denominate aziende) e:

- medici specialisti ed odontoiatri (di seguito denominati specialisti ambulatoriali), ivi compresi i medici provenienti dal Ministero di Grazia e Giustizia operanti nell’attività penitenziaria, per la erogazione in forma diretta delle prestazioni specialistiche a scopo diagnostico, curativo, preventivo e di riabilitazione;

- biologi, chimici e psicologi (di seguito denominati professionisti), ivi compresi i professionisti provenienti dal Ministero di Grazia e Giustizia operanti nell’attività penitenziaria, per l’esecuzione delle prestazioni professionali proprie delle categorie così come regolamentate dalle relative leggi di ordinamento e dall’art. 1 del Dpr n.458/98;

- medici veterinari a rapporto convenzionale con le aziende Usl, per l’espletamento di attività istituzionali, con le modalità di cui alla norma finale n° 6.

2. Gli specialisti ambulatoriali e i professionisti di cui al comma 1, operano in modo coordinato ed integrato con le strutture aziendali e gli altri professionisti ed operatori nell’ambito delle attività di assistenza sanitaria territoriale. In tale contesto, essi concorrono a garantire i livelli essenziali di assistenza e la realizzazione degli obiettivi definiti dalla programmazione sanitaria regionale e dai programmi attuativi aziendali.

3. Il rapporto con il Ssn è da intendersi unico a tutti gli effetti, anche se lo specialista ambulatoriale o il professionista svolge la propria attività presso più servizi della stessa azienda o per conto di più aziende.

4. Agli specialisti ambulatoriali e ai professionisti di cui al comma 1 è riconosciuta e garantita la piena autonomia professionale; essi comunque garantiscono la piena disponibilità a forme di coordinamento organizzativo ed operativo finalizzato all’integrazione funzionale con gli altri servizi dell’azienda coinvolti e all’integrazione interprofessionale, secondo le rispettive competenze, sulla base degli accordi decentrati.

5. Le aziende, nell’ambito dei propri poteri, si avvalgono, per l’erogazione delle prestazioni specialistiche, degli specialisti ambulatoriali e dei professionisti di cui al presente Accordo, utilizzando le ore di attività formalmente deliberate in sede aziendale e garantendo, comunque, la partecipazione della componente specialistica ambulatoriale (con le altre componenti) alla copertura delle espansioni di attività dell’area complessiva dell’assistenza specialistica, in relazione alle future esigenze, secondo regole e modalità della programmazione sanitaria regionale, con la partecipazione della rappresentanza aziendale dei medici specialisti ambulatoriali e delle altre professionalità".

Il Sumai si sta impegnando perché l’applicazione dell’ACN venga recepita ed accettata dalle Regioni e dalle singole Asl, su tutto il territorio nazionale, al fine di evitare discriminazioni tra professionisti.

Sicilia: i detenuti aumentano, l’inclusione sociale resta scarsa

 

Adnkronos, 10 marzo 2008

 

Finanziamenti a pioggia, scarsa comunicazione interistituzionale e coordinamento insufficiente, mancanza di dati certi, lavoro nero, non disponibilità delle aziende ad assumere ex detenuti ed ex tossicodipendenti e assenza di un sistema normativo ad hoc che rassicuri i datori di lavoro. Sono queste le criticità dell’inclusione sociale in Sicilia, emerse durante la conferenza stampa finale della "Progettazione integrata tra autorità pubbliche e privato sociale per il prossimo Nap Italia", finanziato dalla Commissione Europea, all’interno del "Programma di Azione Comunitaria per combattere l’emarginazione sociale 2002-2006" , coordinato dalla Fenice Società Cooperativa Sociale Onlus.

Prima dell’applicazione dell’indulto (30 giugno 2006) i detenuti nelle carceri siciliane erano 6.546, al 31 dicembre del 2006 sono scesi a 3.789, di cui 629, pari al 16,60% del totale, sono tossicodipendenti, il 31,41% i soggetti ad alta sicurezza per reati più gravi e il 12,33% sono gli stranieri. Nei primi mesi del 2006 i soggetti segnalati presi in carico dai servizi della giustizia minorile della Regione siciliana sono stati 1394, di cui il 5,73% tossicodipendenti. Il dato più preoccupante è l’abbassamento della soglia della prima assunzione di sostanza stupefacente o alcolica: sempre più sono i ragazzini di 11 anni che ingeriscono pasticche di ecstasy per rimanere svegli e più attenti a scuola.

Per Gianfranco De Gesù, dirigente vicario del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per la Sicilia (Prap), "in Sicilia, come del resto in tutta Italia, la popolazione carceraria è in continuo aumento. L’indulto è servito a poco, solo per svuotare temporaneamente le carceri senza risolvere definitivamente il problema.

Le carceri non solo continuano a sovraffollarsi, ma sono sempre più luoghi di esclusione sociale dove confluiscono stranieri e tossicodipendenti, che non vengono né rieducati né accompagnati in un processo di recupero e reintegrazione sociale e professionale. Per non parlare dell’alto costo del sistema penitenziario".

Non a caso indagini recenti "attestano altissime percentuali di recidivi - ha puntualizzato - : ex detenuti che tornano a delinquere dopo il carcere, mentre una bassa percentuale riguarda coloro che sono stati sottoposti a misure alternative. Questo vuol dire - ha concluso De Gesù - che le carceri oltre a costare troppo non rieducano".

A fronte di un bilancio negativo si registrano nell’Isola alcuni esempi positivi come a Messina e provincia, dove il sociale funziona: gli ex detenuti trovano un lavoro imparato all’interno delle carceri e lo mettono a frutto una volta fuori. Un esempio per tutti: nel 2004, a seguito di un protocollo d’intesa siglato tra Uepe di Messina e assessorato provinciale Formazione e Politiche sociali, il 30% degli affidati all’esecuzione penale esterna hanno trovato un’occupazione definitiva nel settore dei servizi, ambiente, e manutenzione.

Nota positiva anche a Caltanissetta dove gli ex detenuti usciti dal carcere usufruiscono di borse lavoro tramite le quali imparano un mestiere, ricevono uno stipendio di circa 500 euro al mese e iniziano il processo di reinserimento sociale e professionale.

All’interno della Casa Circondariale Di Siracusa, invece, è stato realizzato un vero e proprio biscottificio, grande circa 600 metri. In comodato d’uso alla cooperativa sociale "Arcolaio", tra impastatrici e forni, fa lavorare a turno 5 detenuti che vengono pagati dalla cooperativa presieduta da Giovanni Romano circa 700 euro al mese, realizzano biscotti al pistacchio, agli agrumi, alle mandorle, alla carruba, al caffè e si servono di ingredienti provenienti da agricoltura biologica e dal commercio equo solidale.

Perugia: con il "Patto" aumenta sicurezza per fasce deboli

 

La Nazione, 10 marzo 2008

 

"Un appuntamento particolarmente significativo". Così la Governatrice Maria Rita Lorenzetti definisce la firma del Patto per Perugia sicura, che è avvenuto stamani con la presenza del ministro dell’interno Giuliano Amato in Prefettura, proprio assieme al presidente della Regione. "È un atto - afferma la Lorenzetti - che risponde a una sollecitazione forte da parte delle istituzioni locali, perché si affrontasse in maniera coerente e completato si accentuerà l’azione di contrasto della criminalità con una maggiore integrazione delle azioni delle diverse forze di polizia e con il crescente impegno delle istituzioni per l’aumento dei presìdi di sicurezza nel territorio".

E la Governatrice insiste: "Grazie alla competenza delle forze dell’ordine e alle maggiori risorse finanziarie e di uomini e di mezzi sarà possibile monitorare e contrastare costantemente e in modo sempre più efficace lo spaccio della droga e gli altri fenomeni di microcriminalità connessi, ma anche la criminalità organizzata, che sta cercando di infiltrarsi nella nostra regione, il terrorismo e l’eversione. Sarà così possibile rispondere a quel bisogno di sicurezza di tutti i cittadini e soprattutto di quelle fasce più deboli quali sono i giovani, le donne e gli anziani non solo del centro storico della città ma anche in altri importanti quartieri. Una esigenza di cui anche la Regione, con Provincia e Comune - conclude - si era fatta interprete e che riceverà una significativa risposta con la firma del Patto"

Napoli: a Secondigliano nasce il catering fatto dai detenuti

 

Ansa, 10 marzo 2008

 

Da un corso di formazione per commis di cucina nasce nel carcere di Secondigliano, a Napoli, il primo catering fatto dai detenuti. L’iniziativa è promossa da Gesco in collaborazione con la direzione del Centro Penitenziario napoletano e la Regione Campania e sarà illustrata, insieme con i risultati del percorso formativo, in conferenza stampa mercoledì prossimo, 12 marzo nell’istituto penitenziario.

Il corso è stato realizzato dalla Scuola di formazione di Gesco nell’ambito della misura 3.4 del Por Campania, specificamente rivolta all’inclusione lavorativa di soggetti svantaggiati, tra cui i detenuti: cominciato il 18 giugno 2007 e terminato il 28 febbraio scorso, ha permesso di formare alcuni detenuti come "commis di cucina" (addetto alla preparazione dei pasti) e di dare loro un’opportunità di inclusione lavorativa. I nuovi commis, infatti, saranno impiegati sia per la produzione di pasti interna al carcere sia per la fornitura esterna, per un servizio catering che sarà svolto in collegamento con una cooperativa sociale del settore. Alla conferenza stampa parteciperanno Liberato Guerriero, direttore del Centro Penitenziario di Secondigliano, Corrado Gabriele, assessore regionale alla Formazione e al Lavoro, Sergio D’Angelo, presidente di Gesco.

Bollate: reparto femminile, qui è possibile sentirsi più libere

di Michele Perla

 

Il Giornale, 10 marzo 2008

 

Per la festa della Donna, le trenta detenute sino a qualche giorno fa ospitate a Opera, di regali ne hanno ricevuti diversi. Ma quello più importante è stato il loro trasferimento nel carcere di Bollate dove, per la ricorrenza, è stato inaugurato ufficialmente il reparto femminile. Sedici celle di cui 8 singole, il resto triple e quadruple, tutte dotate di servizi igienici completi, docce escluse.

"Da quando siamo arrivate - ha raccontato Pamela, 21 anni, che sta scontando una pena di tre per spaccio di stupefacenti - ci sembra di rivivere: paghiamo il prezzo delle nostre colpe, ma senza essere trattate da reiette. Qui a Bollate il rapporto con il personale è molto più umano, l’accoglienza è stata veramente familiare e soprattutto la possibilità di rieducazione è veramente concreta. Io già lavoro in cucina e le giornate volano".

Nell’istituto di pena, inoltre, le donne possono usufruire di spazi particolari e studiati su misura, per potersi intrattenere con i propri figli; locali difficili da trovare in altre carceri italiane. Per gestire il reparto, per quanto attiene alla sorveglianza, è stata formata un’équipe di agenti penitenziari, tutte ragazze giovani e sensibili.

Con loro collaborerà il personale della cooperativa "Articolo 3", che si occuperà dell’organizzazione e dell’accompagnamento all’esterno delle detenute. Ieri pomeriggio l’inaugurazione, alla quale hanno preso parte il provveditore regionale all’amministrazione penitenziaria, Luigi Pagano, l’assessore provinciale ai Diritti dei detenuti, Francesca Corso e l’assessore ai servizi sociali di Milano, Mariolina Moioli.

Tutti hanno avuto parole di apprezzamento sulla conduzione del carcere, un modello di riferimento nella realtà italiana degli istituti di pena. Al battesimo del nuovo reparto ha voluto esserci anche Daria Bignardi, giornalista, che ha regalato un libro a tutte le detenute. Ma, insieme alle mimose, regali sono arrivati anche dalla Provincia e dal Comune di Milano.

L’assessore provinciale ha donato alle recluse grandi specchi in materiale plastico, la collega del Comune phon professionali e ferri da stiro. "Grazie per il calore umano e la professionalità che ci state regalando - ha detto a nome delle detenute una di loro -; non più ristrette da rigidi regolamenti, qui ci sentiamo già libere".

Forlì: apre cantiere nuovo carcere, apertura forse nel 2010

 

Romagna Oggi, 10 marzo 2008

 

Questione di ore, qualche giorno al massimo: poi finalmente potrà spiccare il volo il cantiere di un’altra opera fondamentale per la città di Forlì, il nuovo carcere, che sorgerà nella zona del quartiere Quattro. Un cantiere da 34 milioni di euro che probabilmente potrà essere inaugurato (secondo una ottimistica previsione) solo nel 2010.

Nel frattempo c’è tutto il tempo per ragionare su quale futuro destinare alla Rocca. Intanto l’attuale carcere rischia di "scoppiare". Nella casa circondariale forlivese, infatti, si è passati dai 170 ospiti di poche settimane fa ai 200 di oggi, di cui oltre il 60% di origine extracomunitaria. Al punto che, secondo quanto rivela un agente di polizia penitenziaria al Resto del Carlino, "si creano fazioni: tunisini contro marocchini, algerini contro albanesi".

E poi dispetti, tensioni e talvolta addirittura risse; anche per le questioni più insignificanti. La situazione, dunque, è al limite della sopportazione. Gli spazi sono angusti e capita che nella stessa cella ci siano cinque o sei detenuti stipati in pochi metri quadrati.

Situazione esasperante anche per il personale del carcere. Gli agenti sono sempre meno a fronte di un lavoro e di una difficoltà sempre crescenti. A fronte delle 36 ore settimanali previste da contratto, capita spesso che se ne facciano molte di più, con conseguenze negative derivanti dalla mancanza di recupero psicofisico, stress e situazioni di tensione.

Lucca: domani si terrà un seminario sulla giustizia riparativa

 

Comunicato stampa, 10 marzo 2008

 

Martedì 11 marzo 2008, a partire dalle ore 15, nella Sala Maria Luisa del Palazzo Ducale di Lucca, si terrà il seminario dal titolo "Giustizia riparativa: quali prospettive oggi? Esperienze con adulti e minori a Lucca".

Tale incontro è promosso dal Gruppo Volontari Carcere in collaborazione con il Cesvot, la Provincia di Lucca, l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Pisa-Lucca e l’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Firenze - sede staccata di Lucca.

L’incontro offrirà l’occasione di ascoltare dalla voce degli operatori lucchesi quale è la situazione dei progetti di giustizia riparativa, una forma nuova e diversa di "amministrazione" della stessa, nell’ambito minorile e degli adulti della nostra città. Inoltre ci saranno interventi dalla commissione nazionale giustizia riparativa e dal Provveditorato Regionale dell’amministrazione penitenziaria, dai quali trarre nuovi stimoli su ciò che si sta muovendo in questo ambito anche in altre realtà.

Il Gruppo Volontari Carcere di Lucca da anni è impegnato su questo fronte, come su quello della mediazione penale, perché da tempo riteniamo che solo un nuovo modello di giustizia, che permetta un reale incontro tra "un Tu ed un Io", anche là dove è stato infranto il patto sociale, possa condurre ad una vera situazione di giustizia e sicurezza.

 

Gruppo Volontari Carcere di Lucca

Milano: Antigone; un convegno sulle pene... del "fine pena"

 

Vita, 10 marzo 2008

 

A Milano il 12 marzo l’associazione Antigone promuove un incontro sugli ostacoli al reinserimento sociale degli ex detenuti. L’associazione "Antigone Lombardia", in collaborazione con la Camera penale di Milano organizza l’incontro pubblico "Le pene del fine pena - ostacoli sulla via del reinserimento sociale", mercoledì 12 marzo alle ore 18.00 presso la Camera del Lavoro di Milano, Corso di Porta Vittoria, 43.

All’incontro interverranno tra gli altri: il giornalista Riccardo Bocca, caporedattore de "L’Espresso", che ha documentato - anche con un video che verrà proiettato nel corso dell’iniziativa - le difficoltà concrete che incontra una persona che esce dal carcere; l’avvocato Giuliano Spazzali e Giorgio Bertazzini, Garante dei diritti delle persone limitate nella libertà della Provincia di Milano.

"La gran parte delle persone detenute in Italia - dichiara Alessandra Naldi, responsabile dell’associazione Antigone Lombardia - non sono in carcere per aver commesso reati di particolare gravità come omicidi, stupri o violenze fisiche; si tratta per lo più di individui ritenuti responsabili di reati minori come furti, reati legati al consumo di stupefacenti. Molti anche gli stranieri detenuti che non hanno commesso veri e propri crimini ma che restano in carcere per mesi solo per aver violato le norme della "Bossi-Fini", la legge sull’immigrazione. Per queste persone sarebbe molto più utile (oltreché meno oneroso per la comunità) predisporre interventi sociali efficaci e ricorrere a pene alternative alla detenzione. Il carcere finisce invece spesso per trasformarsi in un ostacolo insormontabile a quel reinserimento sociale che dovrebbe costituire, secondo la nostra Costituzione, il vero scopo della pena".

Chiunque esca dal carcere, anche dopo brevi periodi di detenzione, ha enormi difficoltà a trovare un lavoro in regola e a ricominciare una vita onesta, senza contare che per molti è proprio in carcere che si viene a contatto con un mondo criminale molto più organizzato e potente rispetto a quello che si conosceva prima.

"Da sempre l’Osservatorio carcere e territorio insiste sulla necessità che gli enti locali cittadini si facciano carico dei problemi delle persone detenute, anche nel delicatissimo momento della scarcerazione Invece - denuncia Corrado Mandreoli, uno dei portavoce di questa importante rete di realtà milanesi che si occupano di carcere - in questi ultimi tempi a Milano abbiamo dovuto registrare ulteriori tagli nei servizi che si occupano di questi problemi, mettendo perfino a rischio la continuità di interventi fondamentali nel campo dell’accoglienza e dell’accompagnamento sociale e lavorativo all’uscita dal carcere".

Antigone, associazione "per i diritti e le garanzie nel sistema penale", è nata alla fine degli anni ottanta nel solco dell’omonima rivista contro l’emergenza promossa, tra gli altri, da Luigi Ferrajoli, Massimo Cacciari, Stefano Rodotà e Rossana Rossanda. È un’associazione politico-culturale a cui aderiscono prevalentemente studiosi, magistrati, operatori penitenziari, parlamentari, insegnanti, cittadine e cittadini che a diverso titolo si interessano di giustizia penale.

Ha come finalità statutarie lo studio, la ricerca e la sensibilizzazione culturale sul tema del diritto, dei diritti, della giustizia, delle pene. Promuove iniziative finalizzate a estendere il dibattito su tali tematiche e sugli aspetti che da esse derivano nel confronto politico; a sviluppare una crescente attenzione sociale sul tema dei diritti e delle garanzie nel sistema penale; ad analizzare e diffondere informazioni e conoscenze sulla condizione carceraria con lo scopo di perseguire il rispetto delle finalità costituzionalmente previste per la pena detentiva. Da anni, inoltre, Antigone partecipa anche a livello lombardo alla Conferenza Volontariato Giustizia ed è membro dell’Osservatorio carcere e territorio della città di Milano.

Locri: 3 dipendenti Asl detenuti da 10 anni... ma stipendiati

 

Apcom, 10 marzo 2008

 

Per circa 10 anni tre dipendenti dell’Asl di Locri, in provincia di Reggio Calabria, pur essendo definitivamente condannati e detenuti in carcere per associazione mafiosa e traffico di droga, hanno continuato a percepire lo stipendio grazie alla compiacenza di alcuni dirigenti amministrativi dell’azienda. Lo ha scoperto la Guardia di Finanza, che ha denunciato all’autorità giudiziaria 32 persone per peculato e truffa nei confronti della Pubblica Amministrazione.

I tre, pur non esercitando alcuna attività lavorativa poiché in stato di detenzione carceraria, dal 1992 in poi hanno ricevuto dall’Asl 375mila euro in tutto. Somma che, fra l’altro, non si può recuperare. Due di questi dipendenti, secondo le Fiamme Gialle, sono stati tardivamente licenziati (cioè molto tempo dopo la notifica della sentenza di condanna definitiva all’Asl) senza che nessuno procedesse al recupero delle somme di denaro erogate illecitamente.

Nella denuncia, la GdF parla di "presenza all’interno dell’Ente di personale, medico e non, legato da stretti vincoli di parentela con elementi di spicco della criminalità locali o interessati da precedenti di polizia per reati comunque riconducibili ai consolidati interessi mafiosi, che ha permesso di confermare non solo la presenza di un contatto tra le organizzazioni malavitose e l’Azienda, bensì una vera e propria infiltrazione in quest’ultima".

Immigrazione: evviva i clandestini, dove fratellanza è morta

di Piero Sansonetti

 

Liberazione, 10 marzo 2008

 

Ieri si è saputo che una signora moldava, Victoria, di 28 anni, immigrata clandestinamente in Italia, che lavorava come badante nella casa di due anziani italiani a Venezia (percependo uno stipendio di 700 euro al mese), è riuscita a salvare una dei sue due datori di lavoro, la signora Angela Viviani, 88 anni, che era rimasta stordita nel sonno da una foga di monossido di carbonio.

Il marito Umberto, di un anno più vecchio, non ce l’ha fatta. La signora Angela ora è in ospedale, sta meglio. È in ospedale anche Victoria, intossicata. Però lei è piantonata. Perché la polizia, che è intervenuta dopo l’incidente, chiamata proprio da Victoria, si è accorta che la giovane moldava è clandestina e dunque va punita, tenuta agli arresti, processata e poi espulsa.

Nel vangelo dei cristiani c’è scritto che Victoria è nostra sorella. Nel nostro gergo di gente di sinistra si usa la parola compagna. Per la legge italiana invece Victoria è semplicemente clandestina e quindi autrice di reato. Se ne frega, la legge italiana, di tanti particolari, tra i quali il coraggio di Victoria che ha salvato Angela. Ieri mattina ho visto sui muri di Roma un manifesto di Forza Italia, o forse del partito delle libertà - insomma, dei berlusconiani - che baldanzoso proclamava: "Con noi non avrai più un clandestino alla porta di casa".

Se Angela non avesse avuto la clandestina oltre la porta di casa, ora sarebbe al cimitero. Il cinismo feroce, la codardia di quelli che fanno la campagna elettorale promettendoci la sferza contro i nostri fratelli o compagni stranieri che non hanno un permesso di soggiorno, ci dà la misura di quanto già sia stata secca, devastante, la svolta reazionaria del senso comune italiano.

Dicendo una oscenità come quella che è scritta nel manifesto del Pdl, loro pensano di prendere voti. E hanno ragione. Tanto che il Pd, con qualche eleganza in più, li insegue. Il Pd però dice (e anche talvolta il Pdl, e spesso la Lega, e persino qualche persona di sinistra): "Noi non abbiamo nulla contro gli stranieri autorizzati, che lavorano e spingono la carretta. Ma la caccia al clandestino è giusta...".

Dimentichiamoci un momento i toni da Ku Klux Klan di queste campagne. Pensiamo solo al ragionamento che sta dietro la rivendicazione "regolare sì - clandestino no". Qual è il ragionamento? È questo: se vengono qui a lavorare per noi, e lo fanno bene, e a buon prezzo, accettando di svolgere i servizi che gli italiani disdegnano, bene, accogliamoli. Perché? Ci servono.

"Servono" non solo nel senso che sono utili, ma che sono servi. Altrimenti è giusto cacciarli. Il migrante è buono solo se "serve". Non esiste di per sé, esiste in funzione nostra. Nessuno è sfiorato dall’idea che l’immigrazione non può essere solo un fenomeno di utile "asservimento", o un problema di convenienza; ma che è il drammatico risultato della fuga di massa di popolazioni grandissime, e poverissime, che il distorto sviluppo del pianeta - e la "rapina" di ricchezze, imposta, con le armi, dall’occidente, ha ridotto alla fame nera, alla disperazione.

A nessuno viene in mente che la civiltà cresce solo se riesce ad accettare il concetto di collettività, e poi di genere umano, e che i principi sacri della rivoluzione francese ancora non sono stati superati da nessuna delle teorie politiche moderne (di Berlusconi, o di Veltroni, o di Bossi o di Sarkozy).

E i principi sono quelli: libertà, uguaglianza, fratellanza (o fraternità, o sorellanza, come dicono le femministe). Voi conoscete dei partiti politici, degli "enti", degli opinionisti, oggi, che considerino come fondante della civiltà il termine fratellanza? Al momento, a insegnarcelo, è venuta Victoria. Non c’è da stupirsi se l’hanno incarcerata.

Droghe: Ferrero; Pd non volle riformare la Fini-Giovanardi

 

Ansa, 10 marzo 2008

 

Intervenendo alla trasmissione "Viva voce" di Radio Rai 24, da Vienna, dove si trova per partecipare ad una riunione dell’Unodc, il Ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero ha spiegato di non essere riuscito a modificare la legge in vigore, la Fini-Giovanardi, che ha definito "repressiva", a causa della "indisponibilità" del Partito Democratico. La legge, ha detto "ha provocato e sta provocando enormi danni equiparando droghe leggere e pesanti. Con le quantità introdotte la gente va in galera anche per il semplice consumo, basta che sia recidivo. Le sanzioni amministrative, poi, provocano emarginazione sociale". Il Ministro ha poi commentato il "kit" in distribuzione a Milano dicendo che "all’interno di rapporti non sempre buoni tra genitori e figli, l’uso di uno strumento come il kit antidroga sicuramente non li migliora. Ci si avvicina sempre più all’idea della caserma".

"Il kit non mi sembra una buona misura ci sono dei motivi per cui il ragazzo consuma e quello che va fatto è spezzare il legame tra la sostanza e l’immaginario che c’è intorno alla sostanza". Ferrero ha anche fatto cenno al problema dell’alcol, dicendosi contrario al proibizionismo: "Il problema, anche qui è di cambiare l’immaginario che è stato costruito intorno alle sostanze".

Droghe: Onu; "star" tossicodipendenti? da stigmatizzare

 

Notiziario Aduc, 10 marzo 2008

 

Antonio Maria Costa, il Direttore Esecutivo dell’Unodc (Ufficio delle Nazioni Unite per il Controllo della Droga e la Prevenzione del Crimine), ha criticato il comportamento di Kate Moss e Amy Winehouse in merito alle sostanze stupefacenti.

All’Observer, Costa ha dichiarato che le due star britanniche - che hanno già avuto problemi di droga - rappresentano un cattivo esempio. "Le modelle che sniffano cocaina non danneggiano soltanto il loro naso e il loro cervello, contribuiscono anche alla decadenza degli stati dall’altra parte del mondo e in particolare in Africa", ha dichiarato.

Il direttore esecutivo dell’Unodc si è rammaricato che l’impegno degli idoli musicali o degli attori affermati come Bono o Bob Geldof sia minato dal rapporto con gli stupefacenti di altri vip incoscienti come Kate Moss, che era stata filmata in procinto di sniffare cocaina nel 2005, o Amy Winehouse che ha iniziato l’ennesima cura disintossicante dopo essere stata ripresa mentre stava per assumere, lo scorso gennaio, quello che è sembrato crack. Un portavoce di Amy Winehouse ha respinto queste accuse spiegando che la cantante non si è mai espressa sulla droga, che non ne ha mai difeso l’uso. "Ha avuto dei problemi e tenta di uscirne", ha dichiarato all’Observer. La relazione annuale dell’Onudc ha denunciato il lassismo delle autorità di fronte alle celebrità che si drogano e che in questo modo inviano un messaggio sbagliato ai giovani.

Droghe: contro traffici telecamere che vedono sotto i vestiti

 

Notiziario Aduc, 10 marzo 2008

 

In Gran Bretagna è stata messa a punto un’avveniristica videocamera che vede sotto i vestiti e che già a venticinque metri di distanza può scoprire se una persona in movimento ha indosso armi, esplosivi o sostanze stupefacenti.

Inventata a Oxford dagli ingegneri della società ThruVision in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Europea, chiamata T5000, la videocamera sarà presentata ufficialmente il 12 marzo nell’ambito di una mostra sullo sviluppo scientifico organizzata dal ministero britannico degli Interni in una base dell’aeronautica militare nella contea del Buchinghamshire.

"La capacità di vedere oggetti nascosti sulle persone fino ad una distanza di venticinque metri - ha sottolineato Clive Beattle, amministratore delegato di ThruVision - rafforzerà tutti i sistemi globali di sicurezza".

La speciale videocamera (collegata ovviamente ad un computer) riesce a vedere sotto i vestiti (senza rivelare nulla dei dettagli anatomici del corpo) captando gli specifici raggi a bassa intensità - terahertz, chiamati anche raggi T- emessi da tutti gli oggetti animati e inanimati. Questi raggi sono diversi da oggetto a oggetto e permettono quindi a colpo sicuro di individuare in una frazione di secondo se quella polvere bianca che avete con voi è farina o cocaina. Alla T5000 si è arrivati nell’ambito di un programma di ricerche di natura astronomica e spaziale che puntava alla realizzazione di un congegno in grado di vedere attraverso nubi di polvere cosmica. La videocamera si è rivelata più utile del previsto in quanto vede anche attraverso i vestiti. In prospettiva dovrebbe essere preziosa per i controlli di sicurezza in aeroporti, stazioni ferroviarie, stadi e centri commerciali.

ThruVision ha già installato una videocamera di questo tipo (ma meno sofisticata e potente) alla Borsa di Dubai e a Canary Wharf, il complesso edilizio dell’East London dove si sono installate molte banche di prima grandezza. La T5000 sembra destinata ad alimentare i timori dei difensori della privacy allarmati per il fatto che nelle società occidentali alle prese con la piaga del terrorismo imperversa sempre più una "sorveglianza da Grande Fratello".

India: detenuti da 12 mesi Angelo Falcone e Simone Nobili

 

News Italia Press, 10 marzo 2008

 

10 marzo 2007 - 10 marzo 2008 un anno di detenzione in India di Angelo Falcone e Simone Nobili. Giovanni Falcone (papà di Angelo) fa il punto e chiede alla Farnesina maggiore impegno sul problema dei detenuti italiani all’estero e ai candidati della Circoscrizione Estero di esprimersi.

Sono passati 12 mesi da quel giorno: il 10 marzo 2007, giorno in cui Angelo Falcone e Simone Nobili, in vacanza in India, sono stati arrestati dalla polizia indiana con l’accusa di possesso di 18 chilogrammi di hascisc. A distanza di un anno, i due giovani - Angelo originario di Rotondella, dove tutt’ora vive il padre, e Simone di Fidenza, entrambi residenti a Bobbio - restano detenuti a Mandi, nell’Himachal Pradesh.

Secondo la polizia indiana, che il 10 marzo 2007 fece irruzione nell’abitazione dove i due giovani erano ospiti, la droga sarebbe stata rinvenuta nell’auto nella quale viaggiavano, intenzionati a portarla in Italia. "Non è vero" affermano, in una dichiarazione congiunta, stilata il 19 marzo 2007, Angelo e Simone, "non avevamo assolutamente alcun tipo di droga con noi".

I due giovani aggiungono: "La stessa notte dell’arresto la polizia ha fumato dell’hascisc e ha cercato di offrircela, ma abbiamo rifiutato", "tutto questo all’interno della stazione di polizia di Mandi", e dopo che "ci hanno forzato a firmare delle dichiarazioni in hindy", ovvero la confessione di essere stati arrestati con 18 chilogrammi di droga, appunto, "e non ci hanno permesso di telefonare alla nostra Ambasciata, se non dopo aver firmato".

Di "gravi violazioni dei diritti umani" parla l’Onorevole Marco Zacchera, Responsabile esteri di Alleanza Nazionale, da tempo impegnato a favore di una politica di "vera assistenza" dei detenuti italiani all’estero. Sul caso di Angelo Falcone, prosegue il parlamentare, "si potrebbero riempire pagine intere di giornali su cosa sarebbe stato possibile fare e non si è fatto, nonostante il mio personale impegno e quello di altri colleghi parlamentari; tuttavia in questo momento politico elettorale sono convinto che la cosa più importante sia quella di non strumentalizzare i drammi umani e familiari che vivono i nostri tremila detenuti italiani all’estero".

"Erano in India per turismo. Angelo, poi, era la prima volta in assoluto che andava in vacanza fuori dell’Italia. Angelo era incensurato, ma anche Simone" racconta Giovanni Falcone, padre di Angelo, carabiniere in pensione, che da un anno a questa parte ha dedicato la sua esistenza "a pensare e studiare cosa fare, come e con chi. Sembra assurdo ma è così. Quando c’è tanto da fare e così pochi che ti aiutano inevitabilmente si finisce così", e ora, nel primo anniversario dell’arresto del figlio, lancia la proposta della responsabilità sociale delle imprese che operano nei Paesi dove sono detenuti cittadini italiani - chiedendo ai candidati della Circoscrizione Estero di esprimersi in proposito - e torna a richiedere il patrocinio gratuito "come previsto dall’articolo 24 della Costituzione" dice.

L’ex carabiniere lamenta l’assenza delle istituzioni e il silenzio dei media, "non abbiamo potuto godere del diritto di cronaca, come previsto dall’articolo 21 della Costituzione, perché i grossi giornali e tv nazionali non si sono voluti occupare del caso, perché, mi hanno detto apertamente, "non fa notizia"; infatti sono pochi i media che se ne sono occupati, e solo diversi mesi dopo l’arresto.

Per tale motivo il 19 ottobre ho presentato formale denuncia al Garante delle comunicazioni e al Presidente della Commissione Vigilanza Rai, ma a tutt’oggi nessuna comunicazione mi è stata data in merito. Mi chiedo a questo proposito: è o no omissioni di atti d’ufficio?". Alla latitanza delle istituzioni, al silenzio dei media, si aggiunge il costo insostenibile dell’assistenza legale. "Abbiamo avvocati indiani che speriamo riescano in qualcosa, quelli buoni mi hanno chiesto minimo 100.000 Euro che non abbiamo, io sono pensionato, ex brigadiere dei Carabinieri, la mia ex moglie non lavora, e ho una figlia che studia all’Università di Parma" dice Giovanni Falcone.

 

 

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