Rassegna stampa 24 maggio

 

Giustizia: la politica "militarizzata" che non conosce il diritto

di Giuseppe D’Avanzo

 

La Repubblica, 24 maggio 2008

 

Stefano Rodotà (Repubblica) e Valerio Onida (Sole24ore) scovano strappi e buchi nel pacchetto di provvedimenti preparato dal governo "per dare più sicurezza al Paese". La nascita di un diritto della diseguaglianza, con il reato di immigrazione clandestina, trasforma "una semplice condizione personale" in reato ignorando l’accertata o presunta pericolosità sociale, dimenticando che in uno Stato democratico "lo strumento penale e la pena detentiva non sono utilizzabili ad libitum dal legislatore" (Rodotà).

L’incostituzionalità delle circostanze aggravanti da infliggere a chi "si trova illegalmente sul territorio nazionale" dà vita a un doppio binario di giudizio per il cittadino italiano e lo straniero, che paga - con la maggiore severità della pena - soltanto la sua "condizione soggettiva" (Onida).

Sono interpretazioni neutrali dei principi costituzionali e delle norme esistenti. Forse si può, forse è addirittura necessario andare oltre questo confine "tecnico" affrontando, con radicalità, il paradigma che affiora in questi provvedimenti che connotano il governo di destra. Forse, potremmo familiarizzare con quel ci attende. Con una formula provvisoria, lo si può definire la "militarizzazione della decisione". Proprio alla luce dei rilievi giuridico - costituzionali di Rodotà e Onida si può dire come, per il governo, il diritto non sia la norma, soltanto la decisione lo è.

C’è al fondo dei provvedimenti dell’esecutivo una sorta di decisionismo schmittiano, una concezione del diritto che privilegia, rispetto alla norma, "il suo aspetto di prassi rivolta a una decisione", quasi in antagonismo alla legge. Per l’esecutivo di Berlusconi non appaiono pertinenti e vincolanti i precetti dello Stato di diritto né lo Stato né il diritto. Quel che conta per i ministri è "dare risposte all’insicurezza dei cittadini"; è "decidere", "interpretare il potere costituente del popolo" per usare la formula di Carl Schmitt.

Quest’urgenza - vissuta, raccontata, immaginata come estrema o improrogabile - è sufficiente a creare "uno stato d’eccezione", un "vuoto", quel "vuoto del diritto" che sospende la norma e trasforma il diritto in "prassi, processo, cioè in qualcosa la cui decisione non può essere mai interamente determinata dalla norma". Naturale che saltino fuori distorsioni, incostituzionalità, un "diritto penal-amministrativo della diseguaglianza".

C’è in questo esito un presupposto inedito per l’Italia e perversamente moderno perché, come ha scritto Giorgio Agamben, "la creazione volontaria di uno stato d’eccezione permanente è divenuta una delle pratiche essenziali degli Stati contemporanei, anche quelli cosiddetti democratici". Questa condizione crea un sostanziale svuotamento della partecipazione politica a vantaggio della verticalizzazione della decisione politica (il ricorso al decreto legge). Sollecita la "militarizzazione" della sua applicazione, anche in opposizione alle leggi e in violazione della Costituzione. Appare coerente, allora, che il primo Consiglio dei ministri si sia tenuto a Napoli e abbia affrontato il collasso della raccolta dei rifiuti in Campania e le questioni dell’immigrazione.

Napoli è la città che rende più credibile - quasi indiscutibile - la creazione dello "stato d’eccezione". In quell’area metropolitana si misurano, senza apparenti limiti la catastrofe delle istituzioni; il fallimento delle amministrazioni del centro-sinistra; l’arretratezza della società civile; l’impotenza dello Stato; la pervasività dei poteri criminali; lo sfacelo di ogni rapporto di cooperazione; la frattura di ogni strategia della fiducia.

Questo paesaggio rovinoso, minacciato da calamità sanitarie, consente di realizzare, con diffuso consenso, quel "vuoto del diritto" che sospende temporaneamente l’esercizio della norma. Autorizza a declinare la "governabilità" come decisione assoluta e non partecipata fino a ipotizzare l’uso delle forze armate per applicarla. La militarizzazione della decisione, appunto.

È coerente che, nella città della spazzatura non smaltita, si siano affrontate anche le questioni dell’immigrazione perché se i rifiuti minacciano l’integrità di Napoli, i "rifiuti umani", gli "scarti" della modernità, gli "esuberi" impauriscono la società e inceppano la vita dello Stato. Così anche in questo caso sarà legittimo, in forza della necessità, la sospensione dell’ordinamento giuridico, la produzione di quel "vuoto" che inghiotte anche i principi costituzionali, la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la convenzione europea dei diritti, il patto internazionale sui diritti civili e politici, liquidando per decreto lo "stato d’emergenza" in cui gli "scartati" sono costretti a vivere. Necessitas legem non habet.

Lo "stato d’eccezione" è creato, voluto, organizzato volontariamente. È una scelta politica. È strategia. Quindi concederà di non guardare alle regioni meridionali oppresse dalle mafie. Berlusconi, che ha glorificato come eroe Vittorio Mangano, un mafioso, in campagna elettorale, potrà non vedere quei pericoli e riservare soltanto poche, pleonastiche righe al ricordo di Giovanni Falcone ("La ricorrenza dell’eccidio di Capaci è un momento di memore riflessione"). Per la creazione artefatta e permanente di uno stato d’eccezione, per la militarizzazione delle decisioni, per il nuovo, modernissimo "paradigma di governo", sarà più urgente nominare i direttori dei servizi segreti e affidarli alle cure di De Gennaro.

Giustizia: reato di clandestinità non vale per chi è già in Italia

di Antonio De Florio

 

Il Messaggero, 24 maggio 2008

 

Di fronte al ministro dell’Interno-ombra, Marco Minniti, Maroni scherza e dice: "Io sono il ministro-sole". È molto sollevato l’uomo della Lega al Viminale, quando arriva davanti alle telecamere di Matrix per duellare con il suo collega-virtuale. Il capo dello Stato ha appena firmato il decreto-sicurezza, che prevede tra l’altro l’aggravante con un aumento di un terzo della pena per il clandestino che commette un reato, il vertice dei servizi è stato cambiato con De Gennaro, "l’uomo giusto al posto giusto".

Maroni ripete: sono pronto a collaborare con l’opposizione. Il decreto-legge sarà per prima discusso in Senato. Il pacchetto sicurezza, assicura Maroni "non è chiuso: siamo aperti a discutere in Parlamento di tutti i miglioramenti e se delle norme risulteranno inefficaci o sbagliate sono pronto a ritirarle".

L’unico punto che fa discutere il ministro vero da quello ombra è il reato di immigrazione clandestina, che è stato inserito non nel decreto ma nel disegno di legge. "E un deterrente. Non è retroattivo - insiste Maroni - Non è che si mette in galera mezzo milione di clandestini perché si trovano in Italia. La norma è proiettata nel futuro. Dopo il processo di primo grado scatta immediatamente l’espulsione, il clandestino può tornare in Italia se fa appello o per il ricorso in Cassazione, ma se gli si dà torto "deve andare via": Minniti ribatte: "Sono contro, non per ragioni ideologiche, ma perché quella norma è sbagliata e inefficace. Lo dice anche Giovanardi, che è sottosegretario nel vostro governo. Quella procedura è demenziale".

Arriviamo alle seicentomila badanti e colf che si sono autodenunciate. Il ministro del Welfare Sacconi ha fatto capire che solo per chi fa assistenza ad anziani e disabili italiani saranno riaperte le quote d’ingresso. Restano fuori le colf. Il 46% di presentatori di domande, come datori di lavoro, sono stranieri e su queste calerà la scure del governo. Minniti incalza: "Incriminarli non serve. Se sono clandestini o vengono sanati o vengono allontanati. Noi siamo per un provvedimento amministrativo, pronti a collaborare in questa direzione".

Ma Maroni non arretra di un centimetro. Intanto il Presidente della Camera Gianfranco Fini a Strasburgo dice: "Non c’è stata alcuna necessità di rassicurare, né alcun interlocutore mi ha chiesto alcunché. Semplicemente, è evidente a tutti che da noi non ci sono rischi di alcun tipo per il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo". E aggiunge: "È ovvio che il Presidente della Camera non deve difendere l’azione del governo, né quella dell’opposizione".

Sul pacchetto sicurezza l’opposizione annuncia comunque in Senato una raffica di emendamenti. "Non certo per la parte che riprende il pacchetto Amato - assicura il ministro-ombra della Giustizia Lanfranco Tenaglia - ma su tutta una serie di altre norme come quella che prevede il carcere e la confisca della casa per chi affitta od ospita uno straniero presente in Italia "irregolarmente". E anche Di Pietro (Idv) e l’Udc sono pronti a battersi per modificare le norme sulla sicurezza approvate dal governo.

Giustizia: Anm; il "problema immigrati" è scaricato su giudici

di Liana Milella

 

La Repubblica, 24 maggio 2008

 

Il presidente dell’Anm è preoccupato: "Non scarichino su di noi il problema degli immigrati". Luca Palamara, il Pm romano di Calciopoli, prevede "tribunali intasati più di quanto già non lo siano". Il Guardasigilli Alfano non demorde, il reato di clandestinità va bene com’è. Si sono incontrati a Palermo, alle cerimonie per Falcone, per la prima volta. "Solo uno scambio di saluti, mercoledì ci sarà il primo vertice formale".

 

L’Anm non boccia il pacchetto, ma è critica sull’immigrazione?

"Alcune norme sono positive e condivisibili, come quelle contro la mafia, ma sul nuovo reato e sull’aggravante fino a tre anni per il clandestino che delinque siamo perplessi. Che differenza c’è tra il delitto commesso da tal Palamara e quello fatto da tal Mitrescu? I comportamenti vanno colpiti nello stesso modo. Non si può tornare al diritto penale dell’autore, la teoria lombrosiana per cui delinquenti si nasce e non si diventa".

 

Napolitano ha firmato il dl e l’aggravante è operativa. Che succede di fronte al furto commesso dall’italiano e dallo straniero?

"Non potremo far altro che applicare la legge, ciò non si discute, ma saranno studiati e valutati eventuali profili di costituzionalità".

 

Ci saranno ricorsi alla Consulta?

"Potrebbero esserci, ma sia chiaro che anche a noi sta a cuore il problema della sicurezza, perché nel lavoro quotidiano abbiamo ben presente la necessità di punire chi ha commesso un crimine".

 

Il futuro reato è un aiuto o un ostacolo?

"Ciò che conta è che le condanne siano realmente scontate. Quindi bisogna che il processo funzioni, se tutto si blocca anche la pena non può essere eseguita, visto che nel nostro ordinamento la condanna diventa esecutiva solo dopo l’ultimo grado di giudizio".

 

Il reato crea problemi?

"È condivisibile che il legislatore voglia espellere chi sta irregolarmente in Italia, ma un reato ad hoc rischia di essere inutile".

 

E come mai?

"La misura più efficace è accompagnare lo straniero alla frontiera per farlo tornare nel suo paese. Ciò è già possibile con la Bossi-Fini, anche se più oneroso per lo Stato. Il reato ad hoc non solo può aumentare la popolazione carceraria, ma affida al sistema giudiziario la soluzione del problema".

 

È uno scaricabarile del governo sulle toghe?

"L’espressione è forte, e io non la userei, ma dei problemi si pongono. Un esempio: una nave di clandestini arriva a Crotone o ad Agrigento. Urgono molti processi per direttissima senza che sia possibile farli per mancanza di aule, giudici, cancellieri. Stessi ostacoli nelle grandi città".

 

A Roma che accadrebbe?

"Abbiamo tre aule per le direttissime dove in media registriamo 20 arresti ciascuna. Superare il limite impone di trovare altre aule, altri giudici, altri pm, magari impegnati in un processo per violenza sessuale o per pedofilia".

 

Ma questo reato allora è un libro dei sogni?

"Anziché agevolare le espulsioni, rischia di appesantire il sistema, ma non cambia il risultato, perché con o senza il processo il clandestino va allontanato lo stesso. Altro discorso è se fa una violenza sessuale. Qui s’impongono processi e condanna".

 

Che succede nelle procure del sud che rischiano di restare senza magistrati per la norma che impedisce alle giovani toghe di diventare subito pm o giudice monocratico?

"Potremmo trovarci con uffici fantasma che non potranno fronteggiare né la mafia, né tantomeno l’immigrazione"

 

Alfano vuole distinguere con più nettezza il lavoro di giudice e pm. L’Anm farà le barricate?

"Siamo per l’unicità delle carriere e ci riconosciamo in questo valore. E poi esiste già una netta distinzione tra le due funzioni".

 

E se Alfano va avanti?

"Su questo non è possibile un incontro a mezza strada".

Giustizia: il Pm Grasso; serve una stretta sul "carcere duro"

 

Il Sole 24 Ore, 24 maggio 2008

 

Il confronto avviene all’interno dell’aula bunker dell’Ucciardone, luogo simbolo della lotta alla mafia, in cui sui celebrò il primo maxiprocesso contro Cosa nostra, cui lavorarono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Due le tavole rotonde. La prima per raccontare ai ragazzi cosa fu il maxiprocesso e coordinata dal direttore di Radio 24 Giancarlo Santalmassi. La seconda per fare il punto sui risultati nella lotta alla mafia coordinata dal direttore del Sole 24 Ore Ferruccio De Bortoli.

In ambedue gli appuntamenti c’è Piero Grasso, che del maxi processo fu giudice a latere e oggi è capo della Procura antimafia. Lui racconta un parte del maxi ed è chiamato a dare un giudizio sull’oggi e su questioni importanti: la mafia, degli affari i cui boss reclusi in regime di 41-bis riescono a dare i ordini all’esterno, oppure la necessità di riformare il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

"La mafia oggi-spiega Grasso- è sempre più mafia degli affari: i boss con i loro intermediari e i loro consulenti sono in grado di conquistare i mercati. Che ciò possa avvenire anche quando sono in regime di 41-bis non ci meraviglia: i colloqui con i familiari sono consentiti, così come quelli con i legali, che non possono essere intercettati.

Sarebbe tutto più difficile con un regime più rigoroso. Quanto al concorso esterno, ci sono dei comportamenti che è difficile ricondurre all’interno della fattispecie. Bisogna trovare un modo legale per far pagare l’appoggio al sistema mafioso. La vera forza di Cosa nostra è l’interfaccia con il mondo imprenditoriale e politico".

Dei risultati sul fronte della lotta all’ala militare di Cosa nostra ha parlato il procuratore aggiunto di Palermo Alfredo Morvillo: "Negli ultimi mesi - ha detto - nel solo mandamento di San Lorenzo, quello di Lo Piccolo per intendersi, sono state arrestate un centinaio di persone e sono state avviate indagini per 300 fatti estorsivi e abbiamo registrato la collaborazione delle parti offese".

Risultati su cui è tornato anche il Presidente degli industriali siciliani Ivan Lo Bello, secondo cui "si è modificata anche la percezione da parte della società siciliana" che non ritiene più il pizzo un fenomeno ineluttabile. "Con una solida alleanza tra lo Stato e la società si può andare fino in fondo"

Giustizia: Pocar (Tpi); non generalizziamo reato clandestinità

di Umberto De Giovannangeli

 

L’Unità, 24 maggio 2008

 

"Se un consiglio mi sento di poter dare ai legislatori, è di evitare ogni generalizzazione. Non si possono trattare tutte le situazioni allo stesso modo. E quando si parla di emigrazione clandestina occorre saper distinguere tra i trafficanti di uomini, che vanno colpiti duramente, da una umanità sofferente che di questi trafficanti è vittima".

A parlare è una delle massime autorità nel campo del Diritto internazionale: Fausto Pocar, presidente del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja - sui crimini nella ex-Jugoslavia, docente di Diritto internazionale all’Università Statale di Milano.

Pocar condivide il rischio paventato dall’ex vice premier Massimo D’Alema nell’intervista all’Unità: "In effetti - afferma il Presidente del Tpi dell’Aja - introdurre il reato di immigrazione clandestina potrebbe fare dell’irregolare una facile preda per la manovalanza criminale". E sui Rom, Pocar ricorda che "molti di quelli che hanno trovato riparo in Italia fuggivano dall’inferno balcanico".

 

Professor Pocar, in Italia si discute e si polemizza sulle misure da prendere, anche sul piano normativo, nel campo dell’Immigrazione. Ci aiuti a districarci in questa complessa matassa...

"Lo straniero che una volta nel territorio italiano commette un reato, è ovvio che sia soggetto alla giurisdizione per quel reato e come conseguenza, se il reato presenta una pericolosità sociale rilevante, potrebbe essere espulso per questo. Ma ciò vale anche se fosse entrato legalmente nel territorio italiano.

Altra cosa, però, è dire che uno straniero che entra irregolarmente in Italia per ciò stesso commette un reato. Vi è poi un altro aspetto della questione che andrebbe tenuto ben presente..."

 

Di quale aspetto si tratta?

"In molti casi gli stranieri che entrano nel nostro Paese sono vittime di trafficanti e pensano di entrare regolarmente, pagando per questo, perché gli viene detto che così è, che tutto è regolare. In un caso del genere mancherebbe il dolo, e quindi non ci sarebbe reato. E poi bisognerebbe tener conto nel definire un reato di questo tipo, delle norme internazionali sul diritto d’asilo, sulla protezione dei rifugiati, sulla tutela dei diritti dell’uomo che impegnano l’Italia a non espone le persone alla violazione dei loro diritti fondamentali. La definizione normativa di un reato in questa materia, è una questione complessa che richiede un attento approfondimento di tutti gli aspetti".

Giustizia: dopo 10 anni, finalmente, la salute entra in carcere

 

Fuoriluogo, 24 maggio 2008

 

Il 1° di aprile Romano Prodi ha firmato il decreto che chiude la lunga vicenda del passaggio delle competenze della sanità in carcere al Servizio sanitario nazionale. Dieci anni ci sono voluti per superare resistenze corporative e preoccupazioni legate alla sicurezza e dare attuazione al Decreto legislativo 230 del 1999 che molti avrebbero voluto vedere morto e sepolto. Sulla carta tutto cambia, perché non solo gli interventi legati alla tossicodipendenza e alla prevenzione, ma tutte le funzioni sanitarie (assistenza di base, interventi di urgenza, interventi specialistici, ricovero per acuti e per patologie croniche - Centri clinici, Ospedali psichiatrici giudiziari, reparti per Hiv, reparti per l’osservazione psichiatrica, reparti per la disabilità neuromotoria - valutazioni e provvedimenti medico legali) finora svolte dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria passano alle Regioni che attraverso le aziende sanitarie dovranno garantire l’attuazione della Riforma.

È una facile previsione che, grazie anche al pacchetto sicurezza, a fine anno i detenuti supereranno le sessantamila unità: con il 27% di tossicodipendenti, con il 38% affetto da epatite C, con numerosi casi di tubercolosi e con il 7% portatore di Hiv, una umanità sofferente a cui garantire "la piena parità di trattamento degli individui liberi" anche per l’interesse della collettività.

Anche gli Ospedali psichiatrici giudiziari saranno investiti dalle nuove competenze; le linee di indirizzo prevedono un programma di superamento graduale del vecchio manicomio criminale sopravvissuto alle legge 180. Questa trasformazione assai delicata dal punto di vista di principio e per le ricadute pratiche, andrà attentamente valutata e monitorata.

Giustizia: Osapp; nuove carceri... ma occorre riformare polizia

 

Asca, 24 maggio 2008

 

Va bene costruire nuove carceri ma senza una riforma della Polizia Penitenziaria i propositi rischiano di non realizzarsi mai. Lo dice Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, commentando le affermazioni del ministro della Giustizia Angelino Alfano pubblicate oggi da alcuni quotidiani.

"Condividiamo le parole del Guardasigilli laddove rivendica la funzione rieducativa della pena e la necessità di strumenti idonei per offrire un regime di vita tollerabile in cella" - osserva Beneduci -. "Ci permettiamo però di manifestare un pensiero diverso quando il ministro cita gli effetti del post indulto come ragione impellente per la costruzione di nuovi istituti". Secondo Beneduci "si grida all’emergenza più di quanto non lo si facesse prima. Da 10 anni a questa parte, ogni anno, si invoca la necessità di costruire nuovi istituti, senza che se ne abbia il benché minimo riscontro".

Nel sottolineare che "negli ultimi 10 anni la politica non ha prodotto uno straccio di piano valido per un’edilizia carceraria adeguata alle esigenze, e ai flussi, il segretario dell’Osapp sostiene che "per recuperare la funzione rieducativa, la pena ha certo bisogno di luoghi, di spazi, ma anche di strumenti alternativi alla detenzione. Ma prima di qualunque impegno su questo fronte, chiediamo una riforma della Polizia Penitenziaria che riveda il ruolo che come operatori della Giustizia siamo chiamati a compiere".

Livorno: morte Marcello Lonzi; due gli indagati per omicidio

 

Ansa, 24 maggio 2008

 

Dopo l’iscrizione nel registro degli indagati di Gabriele Ghelardini, uno dei compagni di cella del giovane la Procura della repubblica di Livorno ha iscritto anche una seconda persona, ma il pm che coordina le indagini, Antonio Giaconi, non ha voluto rivelarne il nome, né dare spiegazioni sul tipo di accuse. Il magistrato ha anche avuto un colloquio con la madre di Marcello Lonzi, Maria Ciuffi, informandola delle novità riguardanti le indagini. Fu proprio la donna a chiedere la riapertura dell’inchiesta perché non ha mai creduto all’ipotesi che la morte del figlio fosse avvenuta per cause naturali.

Emilia: con il "Progetto Indulto" 132 tirocini e 46 assunzioni

 

Asca, 24 maggio 2008

 

Centotrentadue borse lavoro erogate nel corso del 2007, che per 46 persone si sono trasformate in assunzione a tutti gli effetti. È il bilancio del progetto Indulto (acronimo di "Inserimento necessario dopo l’uscita in libertà sul territorio ospitante") messo a punto dal Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria (Prap) dell’Emilia-Romagna con la collaborazione della Regione (assessorato Promozione politiche sociali) e dell’intera rete dei Comitati locali per l’Area penale.

Il progetto è stato finanziato dal Governo (ministero della Giustizia - Dipartimento amministrazione penitenziaria con finanziamento della Cassa delle Ammende), con un budget di 319mila euro, e ha potuto contare sul contributo di Comuni, Province, consorzi e Aziende Usl per la copertura assicurativa, l’orientamento al lavoro e il tutoraggio.

"La nostra regione si può considerare un esempio positivo di collaborazione tra Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, autonomie locali e associazioni di volontariato. Se in Emilia-Romagna si sono raggiunti risultati apprezzabili lo si deve anche a questo".

È il commento di Anna Maria Dapporto, assessore alla Promozione delle politiche sociali della Regione. "Ora però - prosegue l’assessore - la situazione delle carceri dell’Emilia-Romagna è di nuovo molto delicata. Di fatto siamo tornati alla situazione pre-indulto. Il sovraffollamento sta toccando punte pericolose. Il provveditorato regionale, dottor Nello Cesari, ha scritto opportunamente a Roma qualche settimana fa sollecitando anche trasferimenti in altre regioni. È quindi dal nuovo ministro della Giustizia che ci aspettiamo ora delle risposte. In queste condizioni qualunque politica di reinserimento sociale e lavorativo diventa molto problematica e bisogna agire in fretta".

Friuli: detenuti di Tolmezzo al lavoro nei boschi della Carnia

 

Asca, 24 maggio 2008

 

Detenuti al lavoro nei boschi del Friuli Venezia Giulia. Il progetto, proposto dall’assessore regionale alle Risorse forestali, Claudio Violino, e approvato dalla Giunta, si avvierà a breve e prevede che i detenuti della casa circondariale di Tolmezzo siano impiegati nei settori della manutenzione ambientale e sistemazione idraulico-forestale.

La prospettiva riguarda in particolare sei detenuti e ha come finalità il loro reinserimento socio-lavorativo e l’impegno in attività di pubblica utilità. "Con questo provvedimento - spiega Violino - i carcerati saranno messi nelle condizioni di erogare servizi alla comunità cui avevano arrecato danno. Ritengo - commenta l’assessore - sia un rilevante progetto per rendere produttiva la popolazione reclusa".

Al progetto, coordinato dalla direzione centrale Risorse agricole, naturali, forestali e Montagna, tramite il Centro servizi per le Foreste e le Attività della montagna ed il servizio Territorio montano e Manutenzioni, partecipano la casa circondariale di Tolmezzo, l’Ufficio esecuzione penale esterna di Udine, Pordenone e Gorizia ed il Comune di Tolmezzo.

Il piano prevede tre fasi di attuazione: il primo stadio, della durata di una settimana, contempla la formazione teorica e le esercitazioni da svolgere presso la sede del Centro servizi di Paluzza ed i suoi cantieri didattici nella foresta regionale di Pramosio. La fase successiva riguarderà uno stage formativo di tre settimane presso i cantieri del servizio Territorio montano e Manutenzioni, mentre il terzo passo si concretizzerà in un’esercitazione, della durata di una settimana, presso un cantiere dimostrativo dove gli allievi potranno dare prova delle competenze acquisite con un intervento di sistemazione ambientale.

La Spezia: detenuti puliranno le spiagge del litorale di Ameglia

 

Secolo XIX, 24 maggio 2008

 

I detenuti del carcere della Spezia saranno impiegati nel progetto di pulizia delle spiagge del litorale di Ameglia. La prefettura ha dato in suo assenso all’iniziativa organizzata dal tavolo spezzino di coordinamento per l’indulto, su proposta della Casa Circondariale della Spezia. L’operazione avverrà nelle giornate dal 26 al 29 maggio, dalle 8 alle 14 circa. Il luogo prescelto è il tratto di spiaggia compreso tra gli stabilimenti balneari Bagno Neda e Bagno Arcobaleno. I soggetti coinvolti sono un gruppo di otto detenuti definitivi e venti studenti del Liceo Classico Parentucelli di Sarzana.

La finalità del progetto, in base alle direttive del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è quella di utilizzare lo strumento normativo del permesso premio: non solo al fine di consentire che il detenuto curi gli affetti personali mantenendo rapporti stabili con il nucleo familiare di appartenenza, ma anche per sensibilizzarli a svolgere delle attività utili per la collettività, soprattutto nel campo della salvaguardia dell’ambiente.

Il messaggio - spiega la Prefettura della Spezia - contiene una forte componente pedagogica che deve essere incentivata e perseguita con continuità nel tempo. La sorveglianza sui detenuti verrà svolta dal Corpo della Polizia Penitenziaria che provvederà a condurre i detenuti sul posto ed al controllo durante i lavori di pulitura. Il progetto vede la fondamentale partecipazione della Caritas di Sarzana.

"Tutti in spiaggia - così si chiama il progetto, spiega il responsabile della Caritas sarzanese Giancarlo Mione -, fa parte di un trittico di iniziative alle quali diamo grande importanza perché certamente molto utili". Si tratta di "Insieme in cucina", con lo chef Gervasio Ciotti del ristorante New Feeling a Sarzana, che permette ai detenuti di apprendere e migliorare le loro capacità culinarie fruendo dell’aiuto di un professionista e della struttura interna al carcere, prevista l’assegnazione a fine corso di attestato di partecipazione e, di "mercoledì andiamo al cinema", ovvero la proiezione di film (molti i titoli al vaglio) preceduti e seguiti da dibattito. Un cineforum a tutti gli effetti che inizierà nelle prossime settimane. "Devo ringraziare tutti i soggetti che ci consentono di portare avanti questo lavoro - chiude Mione -, in particolare il preside Marco Mezzana e lo chef Gervasio Ciotti".

Bologna: visite per la Franzoni, e presto trasferita a Venezia

 

La Stampa, 24 maggio 2008

 

Paola Savio esce dal carcere della Dozza, dove ha incontrato per la prima volta Annamaria Franzoni dopo l’arresto. Non ha il tempo di guardarsi intorno. È assalto di microfoni e telecamere. Non c’è nemmeno modo di riordinare i pensieri dopo un colloquio che ha avuto "momenti molto coinvolgenti". Sovente si sono ritrovate a parlarsi in ruoli che non erano più quelli di avvocato e imputata. Donne e madri. Del legale d’ufficio, poi diventato di fiducia al posto di Taormina, Annamaria Franzoni un giorno disse: "Mi capisce".

Non sorprende che con Paola Savio la "condannata" si sia aperta anche ieri, nel momento più difficile della sua vita dopo quel 30 gennaio di 6 anni fa in cui ha ucciso - così ha stabilito la magistratura - il suo secondogenito, Samuele. L’avvocato è disponibile a riferire solo le preoccupazioni della cliente verso l’esterno. Ma non può, non riesce a sottrarsi al forte impatto emotivo della donna in carcere da mercoledì notte. Sembra raccogliere i propri pensieri, poi, di slancio, dice: "Lei è molto provata, l’ho vista molto...". Cerca la parola, riflette, e la trova: "Distrutta".

L’ha distrutta l’ultima sentenza o il mondo nuovo del carcere o, piuttosto, la separazione dai figli e dal marito, o, com’è evidente, l’insieme di tutti questi traumi? Savio: "Ovviamente era preoccupata di non potere vedere Stefano e i bambini. Poi, dopo di me, Stefano è riuscito ad andare al colloquio". Stefano, ingobbito in un giubbino blu, occhi bassi, che sfila di fronte alle telecamere con un sussurro per risposta alle domande dei cronisti: "No, mi dispiace".

Nell’ora di colloquio con Paola Savio, Annamaria le ha affidato questi messaggi per l’"esterno": "Non è vero, dica che non è vero che sono stata trattata male al mio ingresso in carcere. Quella frase che mi avrebbero urlato, "assassina", ma no. Tutti, gli agenti e le detenute mi hanno dato solidarietà, perfino affetto. E anche quella storia che ho chiesto di essere messa in cella con un’italiana... è un’invenzione. Perché dicono queste cose?".

Annamaria segue distrattamente le cronache dei quotidiani e dei programmi televisivi. Distrattamente perché vive "momento per momento" questi primi giorni da carcerata. Non ha programmi, non fa programmi. È semmai il carcere a dettarle le scansioni delle giornate e delle notti. L’avvocato aggiunge: "È stata una cattiveria attribuirle la richiesta di non voler condividere la cella con un’extracomunitaria. "Paola", mi ha ripetuto più volte, "per me va bene qualsiasi compagna". E mi ha detto subito, a sottolineare quanto ci teneva, che le è stata di conforto la grande solidarietà ricevuta in carcere. "In particolare dalle altre detenute". La direzione l’ha confermato".

"Anche la storia della sorveglianza speciale che sarebbe stata disposta per lei non è vera. Nei suoi confronti sono state adottate le misure precauzionali di attenzione, da parte del personale di custodia, riservate a tutti i "nuovi giunti" che abbiano vissuto una vicenda drammatica e travagliata come la sua. In questi primi giorni è in cella da sola, come da routine. E le sue giornate vengono parzialmente assorbite dalle pratiche previste per l’ingresso in carcere". Compresi i colloqui con lo psicologo e il cappellano. E poi? "Mi ha chiesto: "Adesso cosa si potrà fare?" Io le ho parlato a grandi linee della revisione del processo. È giusto darle una speranza. Nessuno può escludere che una nuova tecnica scientifica, più affidabile della Bpa contro cui tanto e inutilmente ci siamo battuti, un giorno o l’altro ci consenta di ribaltare la costruzione dell’accusa rispetto al pigiama di Annamaria indossato dall’assassino di Samuele".

I benefici dell’ordinamento penitenziario le consentirebbero di lasciare il carcere per gli arresti domiciliari, vicina ai figli, nel 2012. Annamaria Franzoni riesce a pensarci? "No, non riesce. L’emotività la porta a saltare da un argomento all’altro. I discorsi fra noi sono passati così". Annamaria piangeva spesso, forte. Non di continuo. Non la cantilena che ci aveva abituati in lontane, ormai, interviste televisive. "Chissà cosa faranno i bambini in questo momento. Aspetto di sapere da Stefano se stanno soffrendo", i pensieri che saltavano in ogni discorso processuale. L’avvocato: "Stefano e i bambini rappresentano la sua prima preoccupazione".

Separata da loro e "distrutta". Possibile che non fosse preparata al peggio? "Vedendola così mi sono resa conto che la speranza di qualcosa di positivo l’aveva avuta prima della sentenza della Cassazione". L’avvocato Paolo Chicco, uno degli altri legali di Annamaria, sarà alla Dozza la prossima settimana: "Cercheremo di essere più presenti come sostegno professionale, ma anche perché non si senta abbandonata a se stessa". Tra qualche mese Annamaria Franzoni potrebbe essere trasferita in una struttura meno "pesante" del carcere di massima sicurezza della Dozza, a Bologna, dove è detenuta dalla notte dell’arresto.

La destinazione più probabile è il carcere veneziano della Giudecca: un antico convento del 1300 con giardini interni, chiostri, porticati, e grandi stanze che ospita soltanto donne che devono scontare una pena definitiva. La struttura, che ha anche un asilo nido e un ambulatorio pediatrico per bambini piccolissimi, dispone di laboratori di cosmetica, ceramica e sartoria, un orto chiamato "delle meraviglie" e un grande cortile con porticato e un giardino con giochi per bambini, adibito a spazio per i colloqui familiari. Attualmente la Giudecca ospita una quarantina di detenute, tra loro Katarina Miroslawa, l’ex ballerina polacca finita in carcere per l’uccisione nel 1986 dell’imprenditore Carlo Mazza.

 

Nessun insulto alla Franzoni da carcerate

 

"Ho incontrato una rappresentanza delle donne detenute e mi hanno chiesto di essere portavoce di una fortissima smentita di ciò che è apparso sui giornali e cioè che la Franzoni sia stata accolta con insulti e ingiurie. Non è successo nulla di tutto ciò e non c’è stata alcuna reazione, me lo ha confermato anche il personale della sicurezza". È quanto riferisce l’avvocato Desi Bruno, garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà del Comune di Bologna, uscendo questo pomeriggio poco dopo le 15 dal carcere del capoluogo emiliano dove è rinchiusa da mercoledì notte Annamaria Franzoni, condanna per l’omicidio del piccolo Samuele.

Milano: un’anziana riduce in schiavitù la badante romena…

 

La Repubblica, 24 maggio 2008

 

L’ha cercata tra le più disperate, in una comunità d’accoglienza per donne straniere sole, a Milano, ha fatto finta di prenderla in servizio a casa sua come badante, e invece l’ha schiavizzata, umiliandola, picchiandola e facendole fare una vita miserabile perché tanto era "solo una romena". La storia, di per sé squallida, ha però anche dell’incredibile se si considera che la presunta aguzzina è una pensionata di 75 anni, una tranquilla signora di provincia, con un discreto gruzzolo e una villetta. Ma nel seminterrato faceva vivere, come una specie di novella Cenerentola, una contadina di 54 anni che nemmeno sapeva di essere cittadina comunitaria e sopportava tutte le angherie per timore di essere espulsa.

Ieri, alla fine, la libertà le è stata restituita dai carabinieri, dopo la denuncia di una delle figlie che cominciava a sospettare che sua madre, dopo un anno di mezze parole sussurrate e mai nemmeno un incontro, fosse trattenuta contro la sua volontà in quella casa a Lainate, a nord di Milano. L’accusa, per l’anziana, è molto grave: riduzione in schiavitù. Solo l’età avanzata le ha permesso di essere posta agli arresti domiciliari.

"Vorrei precisare che la pensionata, pur bisognosa di essere accudita - ha spiegato il capitano Necci, comandante della Compagnia di Rho - era perfettamente lucida, anche se evidentemente al limite della maniacalità. L’impressione è stata quella di trovarsi di fronte a un mix di cattiveria, ignoranza e razzismo". E altre persone, i vicini, potrebbero presto finire sul registro degli indagati dato che non potevano non sapere. Le condizioni dettate dalla "padrona" erano le seguenti: nessuna visita di parenti o amici, possibilità di fare la doccia solo una volta al mese, divieto di utilizzare l’acqua calda, un solo pezzo di sapone per bucato da utilizzare anche per l’igiene personale, cibo scarso, possibilità di bere solo acqua del rubinetto, e poi tante botte, date anche con pentole. E, naturalmente, di soldi non se ne parlava neanche.

A questo si aggiungeva un controllo totale sui suoi spostamenti: alloggiata nel seminterrato, poteva accedervi da una sola porta dotata di sensore acustico. E tutta la villetta era dotata di telecamere a circuito chiuso, le cui immagini venivano controllate dalla pensionata dalla camera da letto, e tutte le porte degli ambienti utilizzati dalla badante, compreso il bagno, erano tenute aperte e legate con dello spago per non essere mai chiuse, nemmeno quando lei andava in bagno. Il tutto avveniva sotto il continuo ricatto di essere denunciata e quindi espulsa dal territorio italiano: quando i carabinieri sono entrati nell’ appartamento, infatti, lei temeva di essere arrestata. Poi, grazie a un’interprete, pian pianino ha preso fiducia, e alla fine, in caserma, davanti ai militari, è arrivato un pianto liberatorio e l’abbraccio con la figlia.

Immigrazione: Alex Zanotelli; mi vergogno di essere italiano

 

Liberazione, 24 maggio 2008

 

È agghiacciante quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi in questo nostro paese. I campi Rom di Ponticelli (Na) in fiamme, il nuovo pacchetto di sicurezza del ministro Maroni, il montante razzismo e la pervasiva xenofobia, la caccia al diverso, la fobia della sicurezza, la nascita delle ronde notturne offrono una agghiacciante fotografia dell’Italia 2008. "Mi vergogno di essere italiano e cristiano", fu la mia reazione rientrato in Italia da Korogocho, all’approvazione della legge Bossi-Fini. È agghiacciante quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi in questo nostro paese.

I campi Rom di Ponticelli (Na) in fiamme, il nuovo pacchetto di sicurezza del ministro Maroni, il montante razzismo e la pervasiva xenofobia, la caccia al diverso, la fobia della sicurezza, la nascita delle ronde notturne offrono una agghiacciante fotografia dell’Italia 2008. "Mi vergogno di essere italiano e cristiano", fu la mia reazione rientrato in Italia da Korogocho, all’approvazione della legge Bossi-Fini (2002). Questi sei anni hanno visto un notevole peggioramento del razzismo e xenofobia nella società italiana, cavalcata dalla Lega (la vera vincitrice delle elezioni 2008) e incarnata oggi nel governo Berlusconi (posso dire questo perché sono stato altrettanto duro con il governo Prodi e con i sindaci di sinistra da Cofferati a Dominici...). Oggi doppiamente mi vergogno di essere italiano e cristiano.

Mi vergogno di appartenere ad una società sempre più razzista verso l’altro, il diverso, la gente di colore e soprattutto il musulmano che è diventato oggi il nemico per eccellenza.

Mi vergogno di appartenere ad un paese il cui governo ha varato un pacchetto-sicurezza dove essere clandestino è uguale a criminale. Ritengo che non è un crimine migrare, ma che invece criminale è un sistema economico-finanziario mondiale (l’11% della popolazione mondiale consuma l’88% delle risorse) che forza la gente a fuggire dalla propria terra per sopravvivere. L’Onu prevede che entro il 2050 avremo per i cambiamenti climatici un miliardo di rifugiati climatici. I ricchi inquinano, i poveri pagano. Dove andranno? Stiamo criminalizzando i poveri? Mi vergogno di appartenere ad un paese che ha assoluto bisogno degli immigrati per funzionare, ma poi li rifiuta, li emargina, li umilia con un linguaggio leghista da far inorridire.

Mi vergogno di appartenere ad un paese che dà la caccia ai Rom come se fossero la feccia della società. Questa è la strada che ci porta dritti all’Olocausto (ricordiamoci che molti dei cremati nei lager nazisti erano Rom!). Noi abbiamo fatto dei Rom il nuovo capro espiatorio.

Mi vergogno di appartenere ad un popolo che non si ricorda che è stato fino a ieri un popolo di migranti ("quando gli albanesi eravamo noi"): si tratta di oltre sessanta milioni di italiani che vivono oggi all’estero. I nostri migranti sono stati trattati male un po’ ovunque e hanno dovuto lottare per i loro diritti. Perché ora trattiamo allo stesso modo gli immigrati in mezzo a noi?

Cos’è che ci ha fatto perdere la memoria in tempi così brevi? Il benessere? Come possiamo criminalizzare il clandestino in mezzo a noi? Come possiamo accettare che migliaia di persone muoiano nel tentativo di attraversare il Mediterraneo per arrivare nel nostro "Paradiso"? È la nuova tratta degli schiavi che lascia una lunga scia di cadaveri dal cuore dell’Africa all’Europa.

Mi vergogno di appartenere ad un paese che si dice cristiano ma che di cristiano ha ben poco. I cristiani sono i seguaci di quel povero Gesù di Nazareth crocifisso fuori le mura e che si è identificato con gli affamati, carcerati, stranieri. "Quello che avrete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli lo avrete fatto a me". Come possiamo dirci cristiani mentre dalla nostra bocca escono parole di odio e disprezzo verso gli immigrati e i Rom? Come possiamo gloriarci di fare le adozioni a distanza mentre ci rifiutiamo di fare le "adozioni da vicino"?

Come è possibile avere comunità cristiane che non si ribellano contro queste tendenze razziste e xenofobe? E quand’è che i pastori prenderanno posizione forte contro tutto questo, proprio perché tendenze necrofile?

Come missionario, che da una vita si è impegnato a fianco degli impoveriti della terra, oggi che opero su Napoli, sento che devo schierarmi dalla parte degli emarginati, degli immigrati, dei Rom contro ogni tendenza razzista della società e del nostro governo. Rimanere in silenzio oggi vuol dire essere responsabili dei disastri di domani.

Vorrei ricordare le parole del pastore Martin Niemoeller della Chiesa confessante sotto Hitler: "Quando le SS sono venute ad arrestare i sindacalisti, non ho protestato perché non ero un sindacalista. Quando sono venute ad arrestare i Rom non ho protestato perché non ero un Rom. Quando sono venute ad arrestare gli Ebrei non ho protestato perché non ero un Ebreo. Quando alla fine sono venute ad arrestare me non c’era più nessuno a protestare". Non possiamo stare zitti, dobbiamo parlare, gridare, urlare. È in ballo il futuro del nostro paese, ma soprattutto è in ballo il futuro dell’umanità anzi della vita stessa. Diamoci da fare perché vinca la vita!

Droghe: in Italia 80mila morti all’anno... causati dal tabacco

 

Notiziario Aduc, 24 maggio 2008

 

Sono 11,2 milioni i fumatori in Italia, 6,5 milioni di uomini e 4,7 milioni di donne. Un esercito in calo dell’1,5% nel 2008 rispetto all’anno precedente. A rilevarlo è un’indagine dell’istituto di ricerche statistiche Doxa che, su incarico dell’Istituto superiore di sanità e in collaborazione con l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, ha misurato la prevalenza dei fumatori sulla popolazione dai 15 anni in u..

Nel Belpaese, secondo quanto emerso dalla ricerca presentata ieri a Milano, continuano le defezioni: i tabagisti "pentiti" sono ormai più di 9 milioni e a tradire "le bionde" sono soprattutto gli over 45. La tendenza è questa da cinquant’anni e anche le donne, dopo il picco di fumatrici registrato negli anni ‘90, si stanno allineando.

Ma non basta. "I morti per malattie da fumo restano 80mila l’anno, un morto ogni sei secondi. Come se sparisse un’intera città di provincia", osserva Silvio Garattini, presidente del Mario Negri di Milano. Il farmacologo incalza: "Di fronte a una simile strage, mi chiedo come mai non si assista a una mobilitazione da parte del Governo".

La prima sigaretta, osserva Piergiorgio Zuccaro, direttore dell’Osservatorio Fumo, alcol e droga dell’Istituto superiore di sanità, "gli adolescenti italiani la accendono in media a 17,4 anni". E per questo motivo gli esperti indicano come critica la fascia d’età che va dai 15 ai 17 anni. Una fase in cui il 45% dei fumatori ed ex fumatori colloca il proprio esordio da tabagista. E c’è anche chi ha bruciato le tappe: il 17% dei fumatori che confessa di aver avuto un primo contatto con il fumo già prima dei 15 anni. In totale circa un milione e mezzo di ragazzi di età compresa fra i 15 e i 24 anni consuma ogni giorno un pacchetto da dieci bionde. "Un formato che, non a caso, chiediamo da tempo di abolire", ribadisce Zuccaro.

Oggi il maggior numero di fumatori, circa il 26,4%, ha tra i 25 e i 44 anni. Mentre i più affezionati alle "bionde" sono i meridionali (25,2% di fumatori contro il 19,1% registrato nel Nord Italia). Quasi la metà dei tabagisti, rivela ancora l’indagine, consuma meno di 15 sigarette al giorno. I forti fumatori, quelli da 25 sigarette e più, sono soprattutto uomini, il doppio rispetto a quanti se ne contano fra le donne (l’11,2% contro il 5,7%).

Non sono pochi neanche coloro che più volte hanno tentato di dire addio al fumo: nell’ultimo anno più di 560mila tabagisti (lo 0,9% in più rispetto al 2007). E fra gli italiani che non hanno ancora sconfitto il vizio c’è anche chi ci ha almeno provato: il 20,7% ha smesso solo per qualche giorno, il 24,8% addirittura per qualche mese. Ma senza successo. Anche se il pensiero di una vita senza fumo ha sfiorato il 10,7% degli irriducibili del tabacco.

Quanto alle misure per ridurre il consumo di sigarette nel Paese, gli esperti non hanno dubbi: bisogna continuare sulla strada tracciata dall’ex ministro della Salute Girolamo Sirchia. "E bisognerebbe insistere anche sulla necessità di aumentare a cinque euro il prezzo dei pacchetti di sigarette. C’è un buon 8,7% che, a fronte di un aumento di spesa, dichiara che abbandonerebbe il vizio del fumo".

Per Franca Ferrari, direttore ricerche qualitative dell’Istituto Doxa, è anche una questione di cattivi esempi. La studiosa ha curato un focus sui bambini di quarta e quinta elementare e di prima media, e ha sottolineato la necessità di una comunicazione più sofisticata nei loro confronti. A partire dalla Giornata mondiale senza tabacco che quest’anno l’Organizzazione mondiale della sanità ha voluto dedicare proprio ai giovani.

L’Oms ha deciso di lanciare un messaggio chiaro: i giovani si proteggono con iniziative governative finalizzate alla proibizione diretta e indiretta di attività promozionali da parte dell’industria del tabacco. "I ragazzi di oggi sono più preparati ma anche più recettivi. A generare confusione sono gli adulti con le loro contraddizioni".

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva