Rassegna stampa 23 maggio

 

Giustizia: Alfano; colpiremo i criminali, ma servono più carceri

di Liana Milella

 

La Repubblica, 23 maggio 2008

 

La "sua" Sicilia, Palermo, l’anniversario della morte di Falcone. Oggi Angelino Alfano affronta una prova difficile per un Guardasigilli targato Forza Italia. I magistrati antimafia, i parenti delle vittime, la città degli onesti. Lui non ha preoccupazioni, neppure per le critiche che arrivano al governo per il pacchetto sicurezza. "Norme pienamente costituzionali", anche il reato d’immigrazione clandestina. "Fatte per rispondere alla paura della gente che la sinistra sottovaluta". "In linea con la Ue". A Repubblica Alfano annuncia che lavorerà "per rendere più netta la distinzione delle funzioni tra giudice e pm". E della Franzoni dice: "Da padre ho sperato fosse innocente".

 

È vero, come scrive Liberazione che nel pacchetto c’è "solo un cenno alla grande criminalità" a fronte di "una guerra aperta a poveri e migranti"?

"Stiamo scherzando? Dirlo è veramente incredibile. Ho appena finito d’illustrare al vice ministro della Giustizia Usa Mark Filip le nuove misure contro la mafia. Otto articoli su 30 sono dedicati a questo. Per la prima volta si completa il disegno strategico di Giovanni Falcone".

 

Citare questo magistrato è impegnativo. Di che si tratta?

"Le misure di prevenzione, fondamentali perché colpiscono i patrimoni mafiosi, rientreranno tra i poteri della Superprocura che potrà applicare i magistrati presso le singole procure antimafia per seguirne l’esito. Non basta. Passa ai prefetti la competenza di decidere sui beni confiscati per renderli subito fruibili e colmare l’insopportabile intervallo che finora c’è stato tra la confisca e l’effettivo reale riutilizzo del bene. La confisca sarà possibile dopo la morte del proprietario. Si blocca la trafila dei prestanome. Le misure di prevenzione patrimoniali si potranno applicare indipendentemente da quelle personali. Altro che niente, questo è un sistema di regole di straordinaria efficacia e d’immediato impatto nella lotta alla mafia. Per giunta operative nel giro di ore".

 

Pugno duro contro gli stranieri. È uno "scempio dello stato di diritto" come dice Giuseppe Di Lello, giusto un ex del pool di Falcone? Forza Italia dimentica il garantismo e si schiaccia sull’intransigenza leghista?

"Bisogna rispettare le regole d’ingresso nel nostro Paese e ammettere che finora il sistema ha fatto acqua. Dire che chi entra illegalmente in Italia, ripeto il-le-gal-men-te, e viola le nostre leggi commette un reato non mi pare né dissacrante, e neanche fuori di senno. Basti pensare che finora era prevista una condanna a 10 anni per l’espulsione dello straniero, che doveva aver commesso reati gravissimi. È l’esempio plastico di come il sistema ha fallito".

 

E dove mette le proteste di Pax Christi che chiede a Napolitano di non controfirmare il decreto?

"Ma infatti il reato di immigrazione è nel ddl, che approveremo contestualmente al decreto ed entrerà in vigore dopo il voto favorevole del Parlamento, che avrà modo di dibattere e pronunciarsi liberamente sull’argomento. Ho percepito una grande sottovalutazione, in molti ambienti della sinistra, del bisogno di sicurezza dei cittadini. I tanti che ci hanno accusato di cavalcare la paura dovrebbero riconoscere di aver sottovalutato l’ansia, anzi direi la paura vera e propria di tanti italiani che fino a oggi non hanno sentito lo Stato come soggetto in grado di tutelare la loro sicurezza personale".

 

Chi ha ragione sul reato d’immigrazione clandestina? D’Alema che lo definisce "incivile e giuridicamente insostenibile", le toghe di Md che gridano al "grave strappo costituzionale" o Maroni?

"Ascolterò gli argomenti a favore dell’incostituzionalità, posto che esiste un principio di sovranità di uno Stato e di adesione ai trattati e alle regole internazionali, e che gli uni e gli altri vanno rispettati. Se c’è una legge che regola gli ingressi in Italia, e viene violata, perché sarebbe contro la Costituzione qualificare come reato la violazione?".

 

Non si violano i diritto dell’uomo se si tiene in un Cpt un clandestino per 18 mesi?

"Per noi è fondamentale riconoscere il clandestino, dargli un nome e un cognome, sapere con chi abbiamo a che fare. La casistica di questi anni dimostra che lo stesso soggetto magari ha commesso svariati reati in momenti e circostanze differenti, cambiando nome e generalità. Ci sono soggetti con decine di "alias". Abbiamo il dovere di individuarli e bloccarli. Nei Cpt resterà a lungo solo chi si rifiuterà ostinatamente di farsi identificare".

 

L’aggravante fino a un terzo per i reati commessi dai clandestini viola il principio di uguaglianza?

"Le norme sono equilibrate. L’aggravante c’è solo per chi delinque e si trova in stato di clandestinità. È ovvio che l’uguaglianza non viene violata".

 

Ha già fatto due conti sulle carceri che esploderanno? Pensa a un altro indulto o a costruire più istituti penitenziari?

"Le carceri devono offrire un regime di vita tollerabile e agevolare la funzione rieducativa della pena. L’effetto post indulto si è fatto sentire e ora bisogna certamente costruire nuove carceri".

 

Tra chi si schiera con le badanti e chi è sospettoso come Maroni da che parte sta?

"È una questione di legalità. Non siamo favorevoli a sanatorie, ma non possiamo certo confondere la badante con chi delinque".

 

Tra Maroni e La Russa sull’esercito per pattugliare le città chi sceglie?

"Sono per rafforzare le figure del poliziotto e del carabiniere di quartiere, un’idea che ha funzionato e va potenziata così com’è".

 

Dov’è finita l’annunciata stretta sulla Gozzini?

"Per ora si soprassiede, dobbiamo rifletterci meglio".

 

Giustizia lenta: bastano più riti direttissimi e immediati per sveltirla?

"Di certo danno una mano d’aiuto. È un’ottima idea che chi venga arrestato in flagranza finisca subito davanti al giudice. Ma ovviamente il sistema giustizia ha bisogno di riforme ancora più organiche su cui ci stiamo già mettendo al lavoro".

 

Il recupero del patteggiamento per i processi già iniziati che poteva favorire Berlusconi, poi saltato per il niet di Maroni, era suo?

"Berlusconi non c’entra niente e si trattava di una norma presentata da Prodi nel maggio del 2007, all’articolo 20 del ddl 2664, quello che elencava misure per accelerare i processi".

 

Magistrati al ministero: è vero che li manderà via tutti?

"Non ci penso proprio".

 

Giudici e pm: è per la separazione delle carriere?

"Sono per un rafforzamento della distinzione delle funzioni nella magistratura, come avviene in tutti i paesi europei. Ma di questo, e di un’altra serie di questioni importanti, parlerò con i magistrati".

 

Martedì andrà al Csm: vuole mantenere la sezione disciplinare dentro il Consiglio o è per un’Alta corte?

"Ci vuole una riforma delle norme in tema di responsabilità penale e civile dei magistrati. E badi che questo è un virgolettato tratto dal nostro programma di governo".

 

Cos’ha provato alla notizia del carcere per la Franzoni? Una mamma con un figlio di 4 anni deve stare in galera?

"Inutile negare di aver confidato e sperato nell’innocenza. Da padre mi sono sempre augurato che l’omicidio non fosse ascrivibile a lei".

Giustizia: le Ong bocciano il "pacchetto", è contro i disperati

di Carlo Ciavoni

 

La Repubblica, 23 maggio 2008

 

Sono circa duecento le Ong italiane, oltre duemila i volontari che vi lavorano, 3.500 gli operatori umanitari impegnati a tempo pieno in circa quattromila progetti di cooperazione in ogni angolo della Terra, per uno sforzo finanziario che supera i 350 milioni di euro ogni anno. Il pacchetto sicurezza varato dal governo l’altro ieri non poteva non suscitare reazioni preoccupate tra chi quotidianamente ha a che fare con la disperazione, le speranze e il desiderio d’integrazione di gente in cerca di soluzioni per una vita decorosa e a riparo da soprusi e violenze.

I responsabili di Medici Senza Frontiere ricordano il "Rapporto sui Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza" con il quale Msf denunciava le condizioni inaccettabili di questi centri, all’interno dei quali si verificavano abusi da parte delle forze dell’ordine, utilizzo incongruo di psicofarmaci, episodi di autolesionismo e, in generale, un’assoluta incapacità di garantire standard minimi di accoglienza.

"Oggi - dice Loris De Filippi, responsabile dei progetti di Msf - si teme che queste condizioni, con l’estensione a 18 mesi del periodo massimo di permanenza all’interno dei Cpta, non possano che peggiorare". L’Ong, che lavora in oltre 65 paesi del mondo gestendo circa 380 progetti in diversi contesti, dalle catastrofi naturali, alle guerre civili, alle epidemie, ha recentemente pubblicato il rapporto "Una stagione all’inferno" sulle inaccettabili condizioni di vita e di lavoro degli stranieri impiegati come stagionali nell’agricoltura nel Sud Italia". E non solo.

Laura Boldrini, porta voce dell’Unhcr - l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati - si dice "molto preoccupata per l’ipotesi di espulsione per chi chiede lo status di rifugiato, dopo il primo diniego da parte della commissione che esamina la prima domanda. Se dovesse passare questo principio, ci sarebbe un peggioramento anche rispetto alla Bossi-Fini. In Italia - aggiunge Boldrini - nel 2007 hanno fatto richiesta d’asilo 14 mila persone, settemila delle quali arrivate via mare.

Il 10% ha ottenuto lo status di rifugiato, secondo la convenzione di Ginevra, mentre oltre il 50% ha ottenuto la protezione umanitaria. Dunque, le autorità italiane hanno accertato che più del 60% di chi chiede asilo politico dice la verità, non viene qui ad imbrogliare nessuno. Ecco dove nasce la nostra preoccupazione: nasce dal fatto che se si restringono i termini del ricorso e del riesame, si rischia di cacciare persone che, al contrario, avrebbero tutto il diritto di essere considerati profughi".

Marco De Ponte, Segretario Generale di Action Aid, commenta: "Come si può pensare che i provvedimenti previsti nel pacchetto sicurezza abbiano una qualche efficacia? Le persone che si vorrebbero tenere lontane dal nostro paese fuggono nella maggior parte dei casi dalla povertà, quando non da guerra e persecuzioni. Non sarà certo il reato di immigrazione clandestina a tenerle lontane. L’Italia deve invece mostrare lungimiranza e fare seriamente la sua parte nel combattere la povertà nel mondo.

Ad esempio adeguando le proprie quote di aiuto allo sviluppo ai livelli europei, piuttosto che spendere ancora di più in strutture dalla dubbia efficacia come i Cpt. In quanto Ong che basa la propria azione sul rispetto dei diritti umani - ha aggiunto De Ponte - siamo inoltre preoccupati per quei provvedimenti contenuti nel pacchetto sicurezza che mettono in discussione il principio di uguaglianza di fronte alla legge che dovrebbe essere riconosciuto a ogni essere umano, come la possibilità di detenere per lungo tempo uno straniero solo su base amministrativa e senza l’intervento di un giudice".

Damiano Rizzi, presidente di Soleterre: "È per lo meno controproducente affrontare l’immigrazione considerando solo la dimensione repressiva e della devianza delle persone che arrivano da altri paese. I dati oggettivi dicono che queste persone sono una risorsa per la società italiana. Ne sono un esempio le 400 mila badanti che chiedono di essere regolarizzate. Aggiungo un altro dato, tanto per fare un altro esempio: senza le rimesse della comunità salvadoregna, la povertà di quel paese sarebbe aggravata di sette volte".

Carlo Garbagnati, vice presidente di Emergency, mostra invece scetticismo sulla possibilità che il ‘pacchettò trovi applicazione così com’è. "Tutti gli interessati hanno capito - ha detto Garbagnati - che è assai improbabile l’applicazione concreta di alcuni principi espressi nelle misure del governo. Se non altro perché coinvolge le badanti, pilastri irrinunciabili dell’organizzazione quotidiana per centinaia di migliaia di famiglie, senza contare poi il problema gravissimo della capienza delle carceri italiane. Ma al di là della concreta difficoltà, c’è un ragionamento di merito che va fatto, una valutazione sul principio secondo il quale il problema della sicurezza faccia corto circuito con l’immigrazione. Con una semplificazione ulteriore, per cui i principali responsabili di questo deficit di sicurezza siano gli zingari. Insomma, ci sono sintomi preoccupanti".

Giustizia: Maroni; no a pressioni Ue e un Cpt in ogni regione

 

Asca, 23 maggio 2008

 

L’Europa resti al posto suo. Forte del consenso dei cittadini, il ministro dell’Interno, Roberto Maroni non le manda a dire ai paesi dell’Unione e considera "indebite" le critiche venute dall’Ue su alcuni aspetti del "pacchetto sicurezza".

"Non intendiamo cedere di un millimetro a queste pressioni indebite" ha detto lasciando palazzo Madama, al termine di un incontro con i gruppi della maggioranza. Il ministro dell’Interno ha ribadito la determinazione del governo ad approvare tutte le norme previste nel pacchetto, con il massimo del confronto parlamentare. Al termine di un incontro con i senatori del Pdl e della Lega, convocato per illustrare i provvedimenti approvati ieri a Napoli dal consiglio dei ministri, Maroni ha detto che al primo punto "c’è la risposta alle preoccupazioni dei cittadini. Il 90% dei miei concittadini sono d’accordo con le misure che noi prevediamo".

E allora via con le misure. A cominciare dai centri di permanenza temporanea: "Al momento i Cpt sono dieci: noi prevediamo che ce ne sia almeno uno in ogni regione", dice Maroni a Panorama del giorno, di Maurizio Belpietro su Canale 5. "Ci sono molte regioni che non hanno questi centri e ci sono delle strutture che abbiamo già individuato, come le caserme dismesse o abbandonate, che possono essere rapidamente attrezzate": per Maroni non si tratta di "carceri", ma di "centri in cui queste persone saranno tenute fino a che non ci sarà il riconoscimento e l’espulsione: ne abbiamo tante di strutture dismesse, abbandonate e non utilizzate". Sulla banca del Dna Maroni spiega che si tratta del "nuovo sistema che sostituirà le impronte digitali, un sistema più moderno che renderà più efficiente la lotta, non solo alla clandestinità, ma alla criminalità in genere".

Nessun passo indietro per quanto riguarda l’introduzione del reato di immigrazione clandestina. Per il quale "è impossibile e assurdo - ha detto Maroni - pensare di distinguere fra le varie categorie sociali di immigrati. Se uno entra per lavorare ha già un contratto di lavoro e quindi non è clandestino. Tutti gli altri, evidentemente, lo sono". A chi obietta che in questo modo si potrebbero riempire le carceri, Maroni replica senza esitazione: "La prima obiezione alla quale devo rispondere è quella dei cittadini.

E quella conta più di qualsiasi altra. Ma poi - si interroga il ministro - perché il reato di immigrazione clandestina è previsto in Francia e in Germania e la sinistra non si strappa le vesti? Se lo fa, qui, in Italia, è solo per ragioni ideologiche e per nessun’altra ragione".

Giustizia: Minniti (Pd); sarà il collasso del sistema giudiziario

 

L’ Unità, 23 maggio 2008

 

"Una parte significativa del pacchetto sicurezza è la trasposizione testuale di quanto era contenuto nel pacchetto Amato, che avevamo costruito con un lavoro durato mesi in collaborazione con sindaci e presidenti di Regione".

Ha un rimpianto Marco Minniti, ministro dell’Interno del governo ombra e vice di Giuliano Amato nei giorni del naufragio del pacchetto sicurezza proposto dal governo Prodi. "Aver bloccato quelle norme che rispondevano ad una esigenza reale del paese - spiega - ha fatto sì che toccasse alla destra affrontare quelle questioni, con l’approccio che tutti possiamo oggi valutare. La nostra incapacità ha pesato inevitabilmente anche sul risultato delle elezioni: era chiaro ed evidente che il tema della sicurezza sarebbe stato centrale in campagna elettorale".

 

Onorevole Minniti, quali sono le parti dei nuovo pacchetto sicurezza "fotocopiate" dal testo Amato?

"Tutta la partita sull’impegno contro la criminalità organizzata, ad esempio, nelle prime bozze non c’era. È stata inserita successivamente e su nostro input, sia le norme che riguardano l’abolizione del patteggiamento in appello per i reati di mafia sia quelle per lo snellimento delle pratiche di confisca dei beni mafiosi. E poi la banca dati del Dna, i nuovi poteri ai sindaci, la cooperazione con le polizie municipali, la distruzione delle merci contraffatte e le norme studiate per la tutela dei minori. Segno che avevamo fatto un buon lavoro, ma è un dato di rimpianto ulteriore. E lo dico anche ai colleghi della sinistra radicale che allora non compresero sino in fondo l’importanza di queste norme. Noi non siamo riusciti a produrre un risultato serio, pur avendo capito l’importanza della partita".

 

Nel testo licenziato mercoledì, però, c’è molto altro. E di differente. Specie in materia di immigrazione…

"La cosa che divide in maniera netta le loro scelte dalle nostre è il modo di intendere la lotta all’immigrazione clandestina e alla criminalità. Noi la riteniamo fondata su due binari paralleli: quello della integrazione di coloro che vengono per lavoro e quello dell’allontanamento di quanti invece delinquono. Il governo Berlusconi, seguendo la strada del reato di immigrazione clandestina, ha scelto di cavalcare una bandiera politica più che uno strumento davvero efficace. Si mette sullo stesso piano tanto gli immigrati irregolari che delinquono quanto quelli che invece lavorano e hanno una casa".

 

Hegel direbbe che è la notte dove tutte le vacche sono nere…

"Esattamente. Quando mi oppongo all’introduzione del reato di immigrazione clandestina non lo faccio per motivi ideologici, come dice Maroni. Anzi, io vedo molta ideologia nella loro proposta. Il mio è un no che nasce da due elementi fondamentali: quel reato, per come è proposto, è inefficiente e controproducente".

 

Andiamo per ordine. Perché inefficiente?

"Dire che la clandestinità è un reato significa passare dall’allontanamento per via amministrativa a quello per via giudiziaria, trasferendone la competenza al sistema giudiziario italiano con i suoi tempi, e soprattutto le sue regole: che prevedono tre gradi di giudizio. Per cui nessuno potrà più essere espulso prima della sentenza definitiva espressa dalla Cassazione. Pensiamo soltanto a quanto tempo ci vorrà prima che l’allontanamento diventi effettivo, se poi lo sarà mai. Tutto questo senza parlare del rischio collasso di un sistema giudiziario già gravemente in difficoltà. Un pericolo peraltro denunciato anche dall’Associazione Nazionale Magistrati".

 

E perché controproducente?

"Perché è uno strumento cieco, che mette insieme cose che insieme non possono stare. Mette insieme gli immigrati che sono già in Italia, che lavorano ed hanno una casa (come prescrive la Bossi-Fini), con coloro che compiono reati. Le badanti con i clandestini che fanno gli scippi o compiono gli stupri. Questo significa che se ospito a casa mia una badante irregolare posso essere perseguito per il reato di favoreggiamento, come se io fossi trafficante di uomini. Un rischio che riguarda i cittadini comuni, dobbiamo dirlo con chiarezza. Prendiamo la misura della confisca degli appartamenti affittati ai clandestini: per la norma sono sullo stesso piano la vecchietta che affitta una stanza alla colf extracomunitaria e senza permesso di soggiorno agli aguzzini che cedono un materasso a 200 euro al mese in una camera con altre venti persone. Gente che si arricchisce sfruttando la disperazione dei più deboli".

Giustizia: Anm; il reato di "clandestinità"? inutile e dannoso

 

Ansa, 23 maggio 2008

 

"Inutile e dannosa": così l’Associazione nazionale magistrati valuta l’introduzione del reato di clandestinità. Non solo "non ci sarà nemmeno un’espulsione in più", dice il segretario dell’Anm Giuseppe Cascini, ma questa norma avrà dei "costi enormi", visto che determinerà un "ingestibile appesantimento delle strutture giudiziarie,che sono già in condizioni difficili".

La gestione delle convalide e delle direttissime per i clandestini sarà "praticamente impossibile nei piccoli uffici del Sud Italia. Posti come Locri, Sciacca, Crotone non hanno mezzi né strutture per affrontare i maxi processi quotidiani a centinaia di immigrati".

Ma anche se gli uffici giudiziari compissero questo "sforzo immane, la norma non avrebbe alcuna efficacia deterrente nei confronti dell’immigrazione clandestina", sia perché "le procedure sull’espulsione sono affidate all’autorità amministrativa" e soprattutto perché "le ragioni che determinano i flussi migratori sono così complesse da non poter immaginare che basti la minaccia del carcere per fermare il fenomeno".

E invece così alla fine si "scaricherà sull’apparato giudiziario e di polizia un fenomeno di massa, senza peraltro fornire risorse; con il risultato che migliaia di poliziotti e centinaia di giudici si dovranno occupare inutilmente dei processi ai clandestini".

 

Pietro Grasso colpire con rigore chi delinque

 

Gli immigrati clandestini? Bisogna "non far entrare chi non deve entrare, colpire con rigore chi commette reati e regolarizzare sotto il profilo lavorativo chi vuole lavorare e integrarsi". La pensa così il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, che ha parlato durante il viaggio Civitavecchia - Palermo sulla nave della legalità. Quanto al prolungamento di permanenza nei Centri territoriali (Ctp) questo "può consentire - dice Grasso - una migliore gestione del periodo in cui l’immigrato non si sa nemmeno chi sia.

Perché c’è gente che ha avuto condanne con dodici nomi diversi". Grasso ha parlato anche del pacchetto sicurezza del governo Berlusconi definendolo "una risposta pronta alle esigenze di sicurezza che partono dal nord, sotto il profilo dei reati di criminalità aggressiva, e dal Sud, che chiede strumenti incisivi per la lotta alla criminalità organizzata". "Noi come magistratura - continua Grasso - cerchiamo di essere punto di riferimento. Ma - chiude - abbiamo bisogno di risorse per poterlo fare".

Giustizia: Gd; appello contro la "politica del capro espiatorio"

 

Comunicato stampa, 23 maggio 2008

 

Come preannunciato, uno dei primi temi che il governo Berlusconi affronta è la cosiddetta "questione sicurezza". Le misure ipotizzate destano un fortissimo allarme e vengono giustificate anche per mezzo di una campagna di stampa e televisiva alimentata ad arte. Il bisogno di sicurezza costituisce un’aspirazione di ogni cittadino a vivere in una società ospitale, accogliente, priva di paure e di fenomeni di criminalità, in un clima di solidarietà. Si tratta di un’aspirazione giusta e seria con la quale, dunque, occorre confrontarsi seriamente.

Viceversa, stiamo assistendo ad una campagna di stampa, alimentata ad arte dal nuovo Governo, che tende a rappresentare il bisogno di sicurezza, sovente confuso con la sensazione di insicurezza, come la necessità di una società più repressiva non solo e non tanto nei confronti dei soggetti che delinquono, ma anche e soprattutto nei confronti dei "diversi", siano essi nomadi (non a caso, é stato rispolverato il termine dispregiativo, per anni scomparso dall’uso quotidiano, di "zingari"), extracomunitari, omosessuali o delinquenti.

Chi cavalca questa campagna di stampa intende scaricare sul "diverso" la responsabilità per una situazione di insicurezza complessiva, che si vuole trascurare per ridurla unicamente ad una insicurezza da microcriminalità, certamente esistente e da combattere, ma non certamente l’unico male che affligge la nostra società.

Scaricando su determinati individui o categorie di individui la rabbia del cittadino comune si crea un capro espiatorio che ci consente (?) di avere la sensazione di una risposta alla violenza, ma che non consente certamente di recuperare quel patto di solidarietà di cui tutti avremmo bisogno e che ci consentirebbe una vita serena. In particolare, occorre smitizzare con forza la proposta identificazione della criminalità con l’immigrazione, quasi non esistesse la criminalità nostrana, ben forte, invece, come dimostrano, anche visivamente, alcune situazioni territoriali.

Non solo, ma il prezzo che viene pagato in termini di sacrificio dei diritti inviolabili della persona per tutti coloro che vengono individuati come capri espiatori, é assolutamente inaccettabile; già l’Unione Europea ha avuto modo di lanciare moniti all’Italia per le notizie che vengono da esponenti del nuovo Governo circa le misure che sarebbero in fase di realizzazione; mai si potrà ammettere che diritti umani fondamentali vengano sacrificati in nome di una risposta a esigenze, anche giuste, dei cittadini; un tale ragionamento rischia di portare come sua conseguenza, da un lato, alla introduzione della pena di morte per i casi di reati particolarmente efferati e all’abbandono della concezione rieducativi del carcere per coloro che abbiano più volte commesso reati, dall’altro, alla legittimazione di comportamenti privati da parte di cittadini che si facciano giustizia da sé: i recenti fatti di Napoli sono istruttivi, in questa logica, e certamente essi rischiano di non restare fatti isolati: ronde, giustizia del "fai da te" possono estendersi a macchia d’olio, anche grazie all’enfatizzazione che di questi fenomeni viene compiuta da maggioranza e mezzi di comunicazione.

In una situazione politica di asserita pacificazione, c’é il rischio concreto che manchi in Parlamento una voce forte che si alzi a contrastare quei provvedimenti annunciati, così limitativi della libertà e della dignità degli individui; apprendiamo con un qualche sollievo che il Pd ha espresso la sua contrarietà all’introduzione del reato di immigrazione clandestina; speriamo che questo sia il segnale di un atteggiamento di rigida difesa dei principi di uguaglianza e di libertà, che sono, o dovrebbero essere, patrimonio di tutta l’umanità, ma che certamente sono valori fondanti della nostra Costituzione.

Perché questi principi vengano difesi in maniera rigorosa, i Giuristi Democratici rivolgono un pressante appello a tutti i democratici italiani, a coloro che hanno sempre creduto che ogni discriminazione vada combattuta, che ritengono che il fenomeno dell’immigrazione sia determinato da squilibri nell’assetto dell’economia globale del pianeta, tali da costringere masse di persone a riversarsi nel mondo opulento per sfuggire alla miseria ed alla morte, che una scelta non é necessariamente giusta perché fatta democraticamente dalla maggioranza dei cittadini, che pensano che i "diversi" vadano tutelati in maniera ancora più rigorosa perché hanno meno difese, che ritengono che le iniziative "private" dei cittadini per una giustizia autogestita costituiscano il prodromo per una generalizzazione della violenza che fa a meno dello Stato, cui le parole degli esponenti leghisti sull’uso delle armi conferisce nuova linfa,

affinché si alzi un forte coro di allarme

contro questa deriva antidemocratica e razzista, per invitare le forze politiche della sinistra a mantenere alto il livello di difesa per la salvaguardia di quei principi insiti nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, nella nostra Costituzione e nella Carta di Nizza.

 

Associazione Nazionale Giuristi Democratici

Giustizia: reato clandestinità, competenza del giudice di pace

di Francesco Grignetti

 

La Stampa, 23 maggio 2008

 

Allo studio un meccanismo per rendere più rapide le decisioni e non ingolfare le carceri. I giudici di pace potrebbero essere chiamati a decidere sulle espulsioni.

E ora, incassato il via libera del Consiglio dei ministri, Bobo Maroni vuole fare sul serio. La prima riunione del giorno dopo è dedicata all’emergenza rom. Nel suo studio al Viminale vengono convocati i prefetti Gian Valerio Lombardi da Milano, Carlo Mosca da Roma, Alessandro Pansa da Napoli, più i sindaci Moratti, Alemanno e Iervolino (che però non è potuta andare causa impegni familiari, e ha inviato l’assessore Giulio Riccio).

Non possono mancare anche il sottosegretario Guido Bertolaso, il presidente dell’Anci Leonardo Domenici e il capo della polizia Antonio Manganelli. C’è da definire gli ambiti di competenza per i prossimi commissari straordinari e i Comuni. Ma soprattutto c’è da illustrare un piano che il ministero dell’Interno ha tirato fuori dai cassetti. E dunque: per il momento non accadrà nulla, tanto più che i tre prefetti non hanno ancora ricevuto la nomina e il decreto legislativo che fissa le nuove regole (reddito legale minimo, assicurazione sanitaria obbligatoria, abitazione secondo standard) entrerà in vigore tra almeno 30 giorni. Ma si scaldano i muscoli per gli allontanamenti che verranno nell’estate. E così la Moratti può esultare: "Siamo a una svolta".

Già, perché in cima ai "sogni proibiti" del ministro leghista, ma anche della polizia e dei sindaci, ci sono carovane di nomadi che si vedono ritirare d’improvviso la residenza e subito dopo vengono rispediti in Romania. Il meccanismo, Maroni l’ha spiegato così: "Non sarà più possibile indicare come residenza una grotta o una roulotte".

In pratica, fatto salvo il diritto di ogni cittadino comunitario di circolare, basterà una relazione dei vigili urbani perché i sindaci possano negare o anche ritirare i certificati di residenza. Poi, a quel punto, scattati i tre mesi concessi dalle direttive europee, ci saranno gli allentamenti. Dalla parte della Romania non ci dovrebbero essere problemi. "È sensato che dopo 90 giorni passati in un Paese Ue, al 91° una persona vada dalle autorità a dichiarare residenza e lavoro legale", dice il loro ministro dell’Interno, Cristian David.

C’era solo un "problema" di non poco conto a cui si è trovato un’italica soluzione: qualcuno voleva imporre ai cittadini comunitari di esibire un certificato di abitabilità della propria casa. Ma s’è scoperto che troppi italiani vivono in case abusive e senza abitabilità. Si sarebbe innescato un diabolico meccanismo che impediva a tanti il cambio di residenza. Alla fine, saranno i vigili urbani a certificare se, a loro discrezione, le abitazioni indicate come residenza rispettano gli standard abitativi.

Ha spiegato poi Maroni in un incontro con i parlamentari Pdl: i tre prefetti, quando saranno nominati commissari all’emergenza nomadi, "avranno il potere di delocalizzare i campi rom, senza poteri straordinari di polizia, ma sulla base di ordinanze della protezione civile e prenderanno le misure necessarie in deroga alle leggi vigenti".

Delocalizzare, dunque. Il che, nel gergo ministeriale, significa rinunciare agli sgomberi disordinati degli ultimi tempi e aspettare l’estate per grandi operazioni di trasferimento oltreconfine. Che cosa si prepari, Maroni l’ha fatto intuire: "Il prossimo Consiglio dei ministri assegnerà le nomine. Ma già adesso i prefetti stanno monitorando i campi rom e chi ci vive".

Altra soluzione all’italiana si sta escogitando per il futuro reato di "immigrazione clandestina" che ha fatto indignare l’opposizione, tante Ong e le associazioni cattoliche. Se il reato rimane così grave come annunciato, ovvero punibile con pene fino a 4 anni di carcere, è inevitabile l’ingolfamento dei tribunali e delle carceri. Garantito il collasso del sistema giudiziario. L’idea che circola tra i parlamentari Pdl è di abbassare invece la soglia della pena e portare così il procedimento davanti a un giudice di pace: si otterrebbe il doppio effetto di svolgere le udienze nei Cpt e si eviterebbero i ricorsi in appello (perché contro le sentenze del giudice di pace c’è solo in Cassazione). Il reato in quanto tale sarebbe di natura contravvenzionale e la pena consisterebbe nell’espulsione.

Padova: vittime e autori di reato, prove di dialogo in carcere

 

Redattore Sociale, 23 maggio 2008

 

Convegno annuale di "Ristretti Orizzonti" al Due Palazzi di Padova. Tra i presenti: la vedova D’Antona, il presidente dell’associazione familiari delle vittime di Piazza della Loggia, Giuseppe Soffiantini per "imparare a non odiare".

Vittime e autori di reato insieme, nella stessa stanza, in carcere, per confrontarsi, per raccontarsi, per dialogare. Il convegno annuale organizzato dalla redazione padovana "Ristretti orizzonti" si pone in questa edizione l’obiettivo di creare un ponte, invitando le persone a dire "Sto imparando a non odiare".

La vedova D’Antona, il presidente dell’associazione familiari delle vittime di Piazza della Loggia, il figlio di un giornalista ucciso dai terroristi, e poi Giuseppe Soffiantini, la donna che aveva tre anni quando le Br le uccisero il padre a Padova. Tutti insieme, nella palestra del carcere Due Palazzi, insieme a molti esperti del settore penitenziario, di volontari, operatori, semplici persone interessate. Insieme anche ai detenuti.

"L’idea di questo tema ci è venuta oltre un anno e mezzo fa - racconta Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti - da quando cioè abbiamo incontrato Olga D’Antona. Alle emozioni e alle riflessioni nate da questo incontro si sono poi sommate quelle emerse dalla storia di una ragazza derubata in casa, che ci ha detto di essersi sentita privata dei propri luoghi d’intimità. Abbiamo quindi deciso di guardare per una volta alle vittime.

Toccante è stata la testimonianza di Olga D’Antona, una donna che dice di non conoscere il perdono, dal momento che non conosce nemmeno l’odio. Il tempo, spiega, non rimargina le ferite ma aiuta: "Io oggi mi sento serena, ma questo lo devo al fatto di non aver mai rinnegato il dolore: l’ho vissuto, condiviso. Non ho mai avuto un’esigenza risarcitoria, ma dal giorno dell’assassinio di mio marito ho sentito dentro di me una responsabilità, ho capito di dover dare qualcosa alla società. Io sento di avere vinto quando recupero l’altro, quando lo porto alla consapevolezza dell’errore".

E aggiunge: "Per me è stato fondamentale dare un volto agli aggressori, perché capisco con chi dovevo fare i conti, perché i fantasmi fanno più male delle persone in carne e ossa". Ma la cosa che adesso la ferisce di più sono le persone che incontra nella sua quotidianità, che la considerano sempre e soltanto come "la vedova D’Antona": lo definisce uno stigma, perché "tu non sei altro che quella cosa lì, una vittima, che deve soddisfare la tendenza voyeristica che c’è in ognuno di noi. Questo è perché non siamo educati ad affrontare il dolore: non sappiamo come prenderlo e per questo feriamo le persone".

Secondo ospite d’eccezione Giuseppe Soffiantini, vittima di un lungo sequestro che lo ha portato a cercare "le ragioni dell’altro". "Nel periodo del sequestro ho avuto tempo e modo di pensare a molte cose e mi sono anche chiesto chi fosse il mio rapitore e cosa lo avesse spinto a farmi questo, se per caso un po’ di ragione non ce l’avesse anche lui". Un’esperienza dura e profonda la sua, dalla quale sono nate alcune considerazioni che riassume così: "Chi sbaglia deve pagare e la pena deve essere immediata a certa.

Poi però arriva il momento in cui si devono dare dei messaggi positivi e cercare di far capire a queste persone che hanno sbagliato e che la vera libertà l’avranno quando capiranno che non devono fare agli altri ciò che non vorrebbero fosse fatto a loro". E conclude incitando tutti a fare la propria parte, anche piccola, perché "se tutti facessimo così probabilmente le cose migliorerebbero".

Padova: figli di vittime raccontano come si fa a "non odiare"

 

Redattore Sociale, 23 maggio 2008

 

La testimonianza di Silvia Giralucci. "Non ho mai odiato i terroristi, ma spesso ho desiderato essere lasciata in pace". Andrea Casalegno: "Le vittime di reato non devono sempre dire la loro sulla pena: è lo Stato che punisce".

Storie diverse, vissute in età diverse e con differenti modi di affrontare il dolore. Parlano le vittime di reati, all’interno del carcere Due Palazzi di Padova nel corso del convegno "Sto imparando a non odiare" organizzato da Ristretti Orizzonti. Silvia Giralucci aveva tre anni quando suo padre venne ucciso dalle Br. la prima volta che entrò in carcere, proprio al Due Palazzi, fu in occasione della sentenza d’appello, quando faceva gli esami di maturità. "Papà è morto quando io avevo tre anni e non ne ho nessun ricordo diretto. Il giorno della sentenza è stato il primo contatto con ciò che gli era successo. Mia madre, infatti, per affrontare il dolore decise di non parlarne mai".

Ma anche la seconda occasione di visita al Due Palazzi, questa volta per lavoro, le segnò la vita: "Al mio secondo ingresso mi avvicinai a questa realtà con prepotenza: vedevo il carcere come il luogo dove stanno gli assassini e dove era giusto che stessero. Ma trovai una realtà ben diversa, vi scoprii molta umanità. Quell’esperienza mi ha cambiata moltissimo ed è stata fondante di quello che ho cercato di essere in seguito. Da allora, infatti, cerco sempre di comprendere le motivazioni di chi è diverso da me". Nemmeno Silvia conosce la parola odio: "Non credo di avere mai odiato i terroristi, ma ho sentito molto il desiderio di essere lasciata in pace: non ho mai avuto il tempo di ritagliarmi un momento privato per elaborare il lutto. Nelle occasioni importanti io non ero io, ma sempre la figlia di mio padre". Di recente, però, un duro colpo, "quando una degli assassini è stata nominata consulente dal ministro Ferrero. Qui ho sentito che non c’è la giusta attenzione alle vittime". E motiva: "Sono felice se ex terroristi che hanno scontato la loro pena si danno da fare. Però credo che restino sempre degli assassini e che per questo dovrebbero vivere ogni giorno della loro vita tenendo ben presente ciò che hanno fatto". E conclude: "La loro è stata una scelta, anche se compiuta nel passato, mentre io ho solo potuto subire. E di questo si deve tenere conto".

Manlio Milani è invece il presidente dell’Associazione familiari delle vittime della strage di Piazza della Loggia: "Io non posso avere un confronto con chi ha fatto quella strage, ma in generale quello che vorrei vedere da chi commette reati è l’assunzione di responsabilità, al di là della pena scontata. È un traguardo indispensabile se si vuole poi aprire un confronto". E l’apertura al dialogo da parte sua c’è tutta: "Io sono disposto a parlare con le persone che hanno prodotto così tante conseguenze, anche se non potrò dialogare con gli autori della strage che mi ha riguardato. Voglio capire come e perché qualcuno ha operato quelle determinate scelte". Andrea Casalegno, figlio di Carlo, giornalista ucciso dai terroristi, riconosce in ogni trauma, in ogni storia di vita delle caratteristiche che possono essere molto diverse e che influenzano il percorso di chi le subisce. Ma, avverte, "non ritengo che le vittime di reato debbano dire la loro su tutto ciò che riguarda la pena: è lo Stato che si incarica di punire".

Asti: detenuti carpentieri che costruiscono panchine e fioriere

di Claudia Canegallo

 

La Stampa, 23 maggio 2008

 

"Finalmente ho una prospettiva per il mio futuro, per quando sarò di nuovo libero". Lo sguardo sereno e sorridente di Luca (il nome è di fantasia) e il contesto lavorativo di cui parla, fanno dimenticare per qualche attimo che ci si trova all’interno del carcere di Quarto, ma la parola "libero" riporta alla realtà.

Insieme a Luca ci sono altri quattro detenuti, fra i 27 e i 50 anni: sono al lavoro, come ogni giorno, nel nuovo capannone dove si è insediata la cooperativa "Terre di mezzo" di Torino, che ha portato all’interno della casa circondariale il progetto "Siediti", grazie ad un contributo della Compagnia di San Paolo, che ha pagato il capannone.

"Produciamo arredi urbani in ferro e in legno - spiega Claudio Amisano, presidente della cooperativa - Il nostro progetto è stato avviato 6 anni fa nel carcere di Torino, dove al momento sono assunti 13 detenuti. In questi anni abbiamo ricollocato 35 persone".

A giudicare dalla produzione già realizzata e in attesa di essere consegnata, (panchine, fioriere, cancelletti in ferro, tutti presentati in un bel catalogo a colori), il lavoro all’officina di Quarto non manca, e si cercano nuove commesse per poter aumentare il numero di detenuti assunti: l’obiettivo finale è di avere 8 lavoratori impegnati nel progetto. Le commesse possono arrivare da enti pubblici e privati, e non sono necessari ordini di grandi dimensioni. "La novità - spiega Domenico Minervini, direttore della casa circondariale di Asti - è che per la prima volta un’azienda o cooperativa ha portato la propria attività all’interno del carcere. Ma, ancora più importante, le persone assunte hanno avuto un contratto a tempo indeterminato, diventando di fatto soci della cooperativa". Un modo per uscire dal precariato e dare certezze.

La prospettiva di cui parlava Luca si spinge dunque oltre il termine del "fine pena": la cooperativa infatti si farà carico di garantire un lavoro anche fuori dal carcere. "Questo per noi è importantissimo - spiega un altro dei lavoratori - già adesso abbiamo riacquistato la nostra dignità, anche nei confronti delle famiglie. E poi sappiamo che fuori di qui ci aspettano una vita e un lavoro: non c’è più l’angoscia di non sapere cosa sarà di noi".

L’orario è part-time (6 ore al giorno), con uno salario di 850 euro al mese in busta, per 13 mensilità. Sufficiente a coprire le spese in carcere, e ad avanzare qualcosa per le famiglie che stanno fuori.

"Questa esperienza - aggiunge il direttore Minervini, accompagnato dal capo delle guardie del carcere, Alessia Chiosso - ha un valore aggiunto rispetto ad altre già avviate dall’amministrazione carceraria. I detenuti che lavorano sono stati selezionati durante un percorso lungo e complesso. Sono impegnati in un regime di "lavoro esterno", in base all’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario, e sono quindi stati autorizzati dal Magistrato di sorveglianza". La lavorazione, infatti, si svolge fuori dal muro carcerario, pur rimanendo all’interno dell’area sorvegliata.

Il progetto, avviato nel luglio del 2007, è tutt’ora seguito da un "maestro d’opera", Nicola Chiovarelli, che ha insegnato il mestiere ai cinque detenuti. "Hanno imparato in fretta - precisa - . Si sono impegnati con entusiasmo e i risultati si vedono. In carcere ci sono professionalità dimenticate, alcuni di loro erano elettricisti o meccanici e l’abitudine al lavoro non l’hanno persa". I detenuti attualmente presenti a Quarto sono 337 (prima dell’indulto erano 350); di questi circa una settantina lavorano all’interno del carcere.

 

Ma i prodotti dell’orto biologico non arrivano più al mercatino

 

L’orto biologico al carcere di Quarto è stata una delle prime attività produttive proposte ai detenuti, che ha offerto anche un’occasione di dialogo e di scambio con la società esterna.

Gli ortaggi (zucchini, insalata, pomodori, prezzemolo, cipollotti, aglio e anche pesca limonina) sono stati infatti venduti per diverso tempo al mercatino biologico che si svolge il quarto fine settimana del mese in piazza San Secondo. "L’attività dell’orto - spiega il direttore del carcere, Domenico Minervini - prosegue da anni. Ultimamente, però, i tagli al personale ci impediscono di partecipare ai mercatini. È un peccato, perché per noi era un’occasione di visibilità importante".

La superficie coltivata supera i 25 mila metri quadrati e impegna circa una quindicina di detenuti, alcuni dei quali sono autorizzati a lavorare in regime di semilibertà, e quindi si occupano delle coltivazioni fuori dalle mura carcerarie o della vendita delle verdure. La paga mensile è di circa 450 euro, mentre i proventi delle vendite vengono versati alla cassa comune dalla quale si attinge per altri progetti destinati ai detenuti. "Gli ortaggi sono venduti al personale e a chi abitualmente frequenta il carcere per lavoro - spiega ancora il direttore -. Esiste uno spaccio, aperto tutte le mattine dalle 11 alle 13, dove si possono acquistare prodotti di stagione, coltivati con metodi rigorosamente biologici".

Con la produzione ottenuta, in passato si sono prodotti anche ortaggi e conserve in vasetti, mentre alcuni chef astigiani, un paio di anni fa, avevano dato vita ad un ricettario "Ricette sotto chiave", ispirato ai prodotti coltivati in carcere.

Reggio Calabria: un "patto penitenziario" tra le istituzioni locali

 

Ansa, 23 maggio 2008

 

Si è svolto a Palazzo San Giorgio di Reggio Calabria l’incontro per la sottoscrizione del "Patto penitenziario permanente per la città e la provincia di Reggio Calabria".

Un protocollo d’intesa tra tutte le istituzioni locali. Un’unità di intenti degli Enti, dunque, riguardo all’opportunità di organizzare ed attivare forme permanenti di programmazione interistituzionale e partecipata per interventi di interesse generale, con lo scopo di istituire ed istituzionalizzare un sistema di "governance penitenziaria" che sia capace di assicurare un tempestivo ed efficace "sostegno territoriale" ai soggetti provenienti dal circuito penale e penitenziario. Il sindaco Giuseppe Scopelliti, l’assessore alle politiche sociali Tilde Minasi, il garante dei diritti delle persone private della libertà personale Giuseppe Tuccio, il prefetto Giuseppe Musolino, il provveditore del regionale dell’amministrazione penitenziaria Paolo Maria Quattrone, l’assessore provinciale alle politiche sociali Attilio Tucci, sono i rappresentanti che hanno sottoscritto il documento.

"La condivisione e la capacità di dialogo sono fattori determinanti quando si intraprendono dei percorsi di tale rilevanza sociale - ha affermato il Primo Cittadino - in un momento in cui, in Italia, si discute molto di certezza della pena e del problema del sovraffollamento delle carceri daremo il via ad un’opera di sensibilizzazione presso il Ministro competente, al quale faremo presente che noi siamo pronti a dare il nostro contributo. Il percorso è lungo ma realizzabile, soprattutto nel momento in cui la Regione, come in questo caso, abbandona le logiche centraliste per dare spazio anche a Comune e Provincia che conoscono molto bene il territorio".

Alcuni degli obiettivi principali dell’accordo sono: la promozione dell’accesso al mercato del lavoro dei beneficiari finali e dei loro familiari, favorire gli scambi tra le imprese solidali ed il territorio, dare un sostegno alle famiglie dei soggetti provenienti da percorsi penali, affrontare i problemi abitativi, di salute e di accompagnamento sociale dei soggetti dimessi dal carcere, favorire l’inserimento sociale delle fasce svantaggiate e dei settori a rischio.

"In questi anni la qualità di vita del detenuto è molto migliorata - ha spiegato l’assessore Minasi - ma dobbiamo impegnarci tutti al massimo perché si giunga ad una rieducazione sociale completa". "Ex detenuti e famiglie hanno dato ampliamente prova di desiderare il reinserimento sociale - ha affermato il garante Giuseppe Tuccio - e l’amministrazione comunale ha avviato questo percorso".

Ha illustrato la situazione dei penitenziari il provveditore Quattrone che ha spiegato come si siano evolute le prigioni negli ultimi anni, descrivendo, anche, la condizione calabrese: "Il reinserimento inizia all’interno della casa circondariale - ha detto Quattrone - ma deve seguire l’ex detenuto anche al di fuori della struttura".

"La delinquenza costituisce una piaga sociale ed una palla al piede per lo sviluppo del territorio", sono state le parole del Prefetto Musolino che ha sottolineato l’importanza di questa azione. Soddisfatto l’assessore Tucci: "Non sempre le politiche sociali sono al centro dell’attenzione delle amministrazioni".

Il protocollo prevede l’istituzione dell’"Agenzia per l’inclusione sociale delle persone provenienti da percorsi penali", allo scopo di coordinare e rendere più efficaci e coerenti tutti gli interventi finalizzati alla promozione dell’occupazione tramite l’integrazione delle azioni svolte dai soggetti pubblici, privati e non - profit.

Milano: direttori carceri; non abbiamo posto per i clandestini

 

Il Giorno, 23 maggio 2008

 

Clandestini, invasione di romeni, carceri sovraffollate. Prevedere cosa potrà accadere a Milano nell’immediato futuro con il nuovo "pacchetto sicurezza" non è facile. Le norme discusse e approvate dal consiglio dei ministri per qualcuno potrebbero rivelarsi un boomerang, per altri l’ennesimo palliativo, per altri ancora una speranza di risolvere questioni rimaste per anni in sospeso.

A far sentire la loro voce dal "fronte Milano" sono stati per primi i direttori dei tre penitenziari Opera, Bollate e San Vittore. Se il reato di immigrazione clandestina dovesse passare "e se le stime sul numero di clandestini sono esatte, sarà una nuova emergenza che affronteremo. Avremo un aumento del sovraffollamento, che già viviamo, con un numero di ingressi in crescita quotidiana". Così ha esordito, Gloria Manzelli, direttore del carcere milanese di San Vittore che pur disponendo di 800 posti oggi ospita più di 1.200 detenuti.

Il reato di immigrazione clandestina, inoltre, aumenterà la percentuale di detenuti stranieri "che già oggi è pari al 75-78%, il doppio degli italiani - ha aggiunto - un numero destinato a crescere". Più esplicita la direttrice del penitenziario di Opera, Lucia Castellano. "Avremo più latitanti. Introdurre il reato di clandestinità si tradurrà in un aumento di gente straniera che sarà latitante... sarà tragico, e le carceri potrebbero esplodere".

I tre dirigenti, ieri mattina avevano presentato il festival di musica e cabaret che vede protagonisti proprio il carcere di Bollate, San Vittore e il Beccaria, un progetto patrocinato dalla Provincia. E la Provincia per bocca dell’assessore Francesca Corso ha manifestato ampio dissenso alle nuove norme: "Mi auguro che il reato di immigrazione clandestina non passi... le ripercussioni ricadrebbero sulla fase processuale, andando ulteriormente a intasare una situazione già deleteria in termini di tempi e sulle carceri che sono già sovraffollate. L’effetto indulto, infatti, è stato ormai azzerato".

Una presa d’atto della situazione critica in cui versano i tre istituti dove - appunto - si è già ampiamente esaurito l’effetto indulto. E dove l’emergenza del sovraffollamento è una realtà quotidiana. In un carcere - come quello di San Vittore - dove entrano 40 detenuti al giorno, è facile immaginare cosa potrebbe accadere quando questa cifra lieviterà. D’altronde, già adesso, ogni 24 ore, transita dalle celle di sicurezza una decina di clandestini che vengono arrestati da poliziotti e carabinieri "per inottemperanza all’ordine del questore di allontanarsi dal nostro paese".

In realtà la "vecchia" Bossi-Fini prevedeva il carcere per lo straniero che, ripescato per la seconda volta senza permesso, era fermato dalle forze dell’ordine. In sostanza pochissimi rimangono in galera per un tempo superiore alle 24-48 ore. Per poliziotti e carabinieri che pure "fanno rispettare la legge" si tratta di una colossale perdita di tempo, anche se nessuno ufficialmente vuole ammettere il fallimento di questa norma che appariva, già quattro anni, fa rigorosissima nella forma, ma inefficace nella sostanza. Per gli addetti ai lavori l’idea che uno straniero possa rimanere "in carcere fino a un massimo di quattro anni" per il reato di clandestinità appare francamente molto improbabile.

Milano: il centro per le detenute con figli, un progetto-pilota

 

www.mondobenessereblog.com, 23 maggio 2008

 

Il centro per le detenute con figli di Milano ha festeggiato il suo primo anno di attività. Il problema delle detenute con figli è salvaguardare il benessere dei bambini che vengono separati dalla madre, tema di grande attualità anche in riguardo al caso Cogne e alla condanna a 16 anni di carcere per Anna Maria Franzoni. La sofferenza nella separazione non riguarda solo le madri ma anche e soprattutto i figli delle detenute. A Milano, una forma di detenzione alternativa per salvaguardare il benessere dei figli delle donne in carcere è stata voluta e attuata dall’assessore provinciale ai diritti dei reclusi Francesca Corso.

In un anno di attività, l’Icam (Istituto di custodia attenuata per detenute madri) di viale Piceno ha ospitato ben 32 mamme con bambini da 0 a 3 anni che prima erano recluse nel carcere di San Vittore e che grazie alla provincia di Milano hanno potuto essere trasferite nella nuova struttura dotata di 420 metri quadrati di giardino e attrezzature per ospitare le donne e sopratutto i figli. Nel corso dell’anno sono stati 33 i bambini che hanno soggiornato nella struttura divisa in camere doppie e singole, dotata di una ludoteca, di un’infermeria, di una sala studio, di una cucina e sala da pranzo comune.

Una sorta di grande casa in cui, insieme con le detenute e i bambini, vivono le guardie della polizia penitenziaria in abiti rigorosamente borghesi, gli assistenti sociali e gli educatori. Grazie a queste condizioni si riesce a garantire il benessere ai figli piccoli delle detenute in carcere, che hanno comunque bisogno nell’età che va dagli 0 ai 3 anni della loro madre.

Un esperimento riuscito che presto potrebbe essere replicato in altre città italiane. Il centro di detenzione di Milano sta lavorando con altre realtà per fare in modo che questo modello di tutela per i figli delle donne detenute sia utilizzato. Serve però, da parte delle istituzioni locali, una spinta e un aiuto ai provveditorati alle carceri che sono i veri motori di questa iniziativa, ma che purtroppo non hanno a disposizione spazi adeguati e personale sufficiente. Ed è proprio il personale che fa la differenza nel centro di detenzione di viale Piceno: le guardie carcerarie dell’Icam di Milano sono senza divisa per non traumatizzare i bambini e svolgono una funzione di operatrici sociali che spesso si perde nei corridoi delle strutture penitenziarie. L’idea dell’Icam è finalizzata non solo al reinserimento successivo alla pena delle madri nella società e nel mondo del lavoro, ma anche e soprattutto a garantire l’istruzione ai bambini che ogni giorno vengono accompagnati nei vari asili cittadini.

Non sempre infatti le donne con figli detenute in carcere hanno alle spalle una famiglia in grado di prendersi cura dei loro bambini. La struttura penitenziaria dell’Icam è incentrata sul minore: al centro dell’attenzione c’è il bambino, non il detenuto. È in progetto anche una nuova struttura per i bambini dai 3 ai 10 anni, manca solo la legge, rimasta bloccata a causa della caduta del Governo Prodi. Oggi la legge non prevede la possibilità di una detenzione alternativa per le madri con figli dai 3 ai 10 anni.

L’Aquila: "Piccole Evasioni", s’incontrano studenti e detenuti

 

www.ilcapoluogo.it, 23 maggio 2008

 

Un folto gruppo di studenti della scuola media Mazzini hanno animato nel pomeriggio presso il carcere Le Costarelle dell’Aquila la quinta edizione di "Piccole Evasioni", manifestazione incentrata sull’incontro con la realtà carceraria, ideata nell’aprile 2004 da Antonio De Rossi, capo Area Pedagogica dell’istituto di pena.

L’evento si svilupperà in due giorni. "Protagonisti sono stati molti studenti della media Mazzini - spiega - attraverso un percorso in/formativo/preventivo, iniziato in aula. I giovani sono arrivati nel cuore del carcere per conoscere luoghi e persone della detenzione e confrontare sul campo le loro conoscenze di carattere televisivo, cinematografico e di studio del microcosmo carcerario".

Per i detenuti l’incontro con i ragazzi ha costituito un momento di riflessione sulla loro temporanea esclusione dalla società civile e, soprattutto, di rielaborazione delle esperienze devianti, con un impatto particolarmente significativo sotto il profilo emozionale sui ragazzi. "La forte adesione di studenti e famiglie a questa attività di informazione e prevenzione - spiega il dirigente scolastico della Mazzini, Anna Maria Bernardini - costituisce un motivo più che valido per continuare a sostenerla".

I giovani hanno visitato la struttura detentiva, nella sala teatro poi si è tenuta la rappresentazione dello spettacolo "Era una notte buia e tempestosa..", laboratorio teatrale curato da L’Uovo Teatro Stabile di Innovazione Onlus, in particolare da Alessandro Sevi e Maria Cristina Giambruno.

Drammaturgia e regia dello spettacolo sono della stessa Giambruno, che si è avvalsa della collaborazione di Corrado Rea per il disegno luci e il coordinamento tecnico e dell’apporto della giovane attrice Alessandra Pavoni. Nove i detenuti, di diverse etnie, impegnati nel laboratorio e nell’allestimento del lavoro, che saranno gli interpreti della vicenda scenica. Domani giornata conclusiva, con la rappresentazione dello spettacolo "Che animale sei?" realizzato, con la regia di Rosanna Narducci, dagli studenti della Mazzini.

Milano: "San Vittore Sing Sing", quest’anno il festival triplica

 

Vita, 23 maggio 2008

 

Il 12 giugno a Bollate, il 16 giugno a San Vittore e, per la prima volta, il 20 giugno nel carcere minorile Beccaria, si terrà la quarta edizione del Festival San Vittore Sing Sing, iniziativa nata nel 2005 come Festival di musica e di cabaret che vede artisti di fama nazionale e internazionale esibirsi in spettacoli di musica e intrattenimento rivolti ai detenuti e agli operatori penitenziari. Quest’anno la maratona artistica coinvolgerà anche il carcere minorile Beccaria con una iniziativa unica. L’intera popolazione del carcere, ragazzi e ragazze, si radunerà nel campo da calcio per assistere al festival e partecipare a un evento straordinario.

Il festival è stato presentato questa mattina nella sede della Provincia di Milano alla presenza dell’assessore all’Integrazione per le persone in carcere della Provincia di Milano, Francesca Corso, del direttore della casa circondariale di San Vittore Gloria Manzelli, del direttore del carcere di Bollate Lucia Castellano e del vice direttore del carcere minorile Beccaria Elvira Narducci, oltre che di alcuni artisti che saranno sul palco, come i Cluster, Dj Rido e i Francobranco.

"Attraverso la musica - ha dichiarato il presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati - lanciamo un messaggio rivolto a coloro che, nelle carceri, stanno pagando il proprio debito con la società. Chi sconta una pena deve poter vivere il carcere in condizioni di vita sostenibili. È da questa ferma convinzione che nasce il mio impegno per migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Per onorare questo impegno anche quest’anno ho voluto promuovere il Festival San Vittore Sing Sing, che per la prima volta entra anche in un carcere minorile. Con questo evento vogliamo proseguire sul cammino intrapreso tre anni fa e rompere l’isolamento del carcere".

Il 12 giugno il festival apre a Bollate, dove si svolgerà contemporaneamente su due palchi: uno allestito nel campo da calcio e uno nel reparto femminile. Il 16 giugno sarà la volta di San Vittore, con un programma che vede le performance di musicisti e comici che si susseguiranno sui quattro palchi allestiti nelle zone d’aria dei reparti femminile e maschile mentre uno spettacolo pomeridiano intratterrà i bimbi del carcere ospitati nell’Icam di Via Macedonio Melloni a Milano. Il 20 giugno il festival chiude al Beccaria con uno spettacolo nel campo da calcio dell’istituto. La selezione artistica vede la presenza dei protagonisti italiani della musica Hip Hop. Il cast dell’edizione 2008 è composto da comici, musicisti italiani e stranieri per rispondere a diversi gusti musicali dei detenuti nel rispetto delle differenze culturali e di età interne alle carceri.

Si susseguiranno: Roy Paci, Frankie Hi nrg mc, Sud Sound System, Ale e Franz, Fabri Fibra, Nureddin, la Banda del villaggio solidale, Club Dogo, Marracash, Fish, Sidh, Estrellas, Fabrizio Fontana, Stefano Chiodaroli. A presentare il festival: La Pina di Radio Deejay e Dj Rido di All Music.

Gli artisti interni, in tournee nelle case circondariali, si mischieranno a quelli esterni alle carceri. Saranno i VLP Sound, gruppo musicale di San Vittore coordinato dal maestro di musica Alejandro Jaraj, affiancati da Francobranco, gruppo musicale di Franco Carnevale musicista e agente penitenziario del carcere cittadino, ad aprire il festival a San Vittore. Mentre i Suonisonori and the Reggae Band insieme agli Aria Dura, gruppi musicali interni del carcere di Bollate saranno le mascotte del concerto.

San Vittore Sing Sing 2008 evade le mura del carcere grazie a All Music e Radio Popolare. Quest’anno infatti l’emittente televisiva girerà una puntata della trasmissione "Mono" durante le giornate evento, che verrà messa in onda il prossimo 28 giugno alle ore 21 e, in replica, il 29 giugno alle ore 18. A sostegno dell’iniziativa saranno presenti alle manifestazioni Filippo Penati, presidente della Provincia di Milano e Francesca Corso, assessore all’Integrazione sociale delle persone detenute o ristrette nelle libertà.

San Vittore Sing Sing, nato da un’idea di Piano B, agenzia di comunicazione e produzione di eventi di Milano, è un progetto che ha avuto il patrocinio e il contributo della Provincia di Milano ed è realizzato in collaborazione con Luigi Pagano, Provveditore alle carceri lombarde, Gloria Manzelli, direttrice del carcere di San Vittore, Lucia Castellano, direttrice del carcere di Bollate, Elvira Narducci, vice direttrice del Beccaria e il comitato organizzatore del Mantova Musica Festival, con il sostegno delle cooperative interne alle carceri ed il patrocinio di Unicef e Arci Ragazzi.

Immigrazione: Ue; raggiunto accordo su rimpatrio clandestini

 

Ansa, 23 maggio 2008

 

L’espulsione degli immigrati extracomunitari che vivono clandestinamente nei paesi europei sarà regolata presto da regole comuni se un’intesa raggiunta oggi a Bruxelles tra i 27 sarà approvata dai ministri degli interni e otterrà il via libera dell’Europarlamento. Mentre l’Italia ha annunciato le nuove norme che puniscono l’immigrazione clandestina come un reato penale, gli ambasciatori dei 27 presso la Ue hanno raggiunto un compromesso per regolare su basi comuni il rimpatrio dei circa 12 milioni di immigrati extracomunitari che vivono e lavorano nei paesi della Ue senza documenti e permessi regolari.

Le norme non riguardano i rumeni, cittadini europei a tutti gli effetti, ma gli immigrati originari della Cina, come dell’Africa, dell’America Latina come degli Stati Uniti. Le regole non si applicheranno ai disperati che arrivano a bordo di carrette del mare sulle coste italiane, spagnole o francesi, ai quali saranno applicate le tutele previste per i richiedenti d’asilo. Sulla base del testo di compromesso, che raccoglie le osservazioni fatte dal relatore parlamentare, il popolare tedesco Manfred Weber, ma non le contestazioni presentate soprattutto dal Pse e dalla Sinistra Unita che annunciano battaglia, le autorità nazionali sono obbligate a scegliere tra legalizzare il soggiorno dei clandestini, "sulla base di una procedura trasparenza ed equa", oppure procedere alle espulsioni che dovranno essere fatte su base volontaria, "caso per caso e con criteri obiettivi".

In caso di resistenza, gli Stati membri potranno procedere all’espulsione forzata e gli immigrati illegali potranno essere detenuti fino ad un massimo di sei mesi. Ma in certi casi il periodo potrà essere prolungato di altri dieci. Il prolungamento a 18 mesi è previsto, ad esempio, nel caso di rischio di fuga o di ritardi nell’ottenimento dei documenti necessari da parte dei paesi terzi. La detenzione dovrà avvenire "in centri di detenzione speciali" e sarà consentita - precisa il testo - solo "quando altre misure coercitive non potranno essere applicate". La detenzione dovrà d’altro lato essere soggetta a periodica revisione da parte dell’autorità giudiziaria. Ogni Stato membro potrà decidere in modo facoltativo se sostenere finanziariamente l’immigrato illegale che non più pagarsi un’assistenza giudiziaria. Con il rimpatrio forzato scatterà anche la notifica di un bando dal territorio dell’Unione europea per un periodo di cinque anni. La proposta prevede anche regole speciali "per le persone più vulnerabili, tra cui i minori non accompagnati".

Il compromesso dovrà passare ora al vaglio degli eurodeputati. Il confronto si annuncia teso. "Paesi molto repressivi si nasconderanno dietro questo testo per adottare leggi che vanno contro i diritti dell’uomo", ha commentato l’eurodeputata socialista francese Martine Roure, annunciando una lunga serie di emendamenti.

Immigrazione: Ue; valuteremo attentamente le norme italiane

 

Ansa, 23 maggio 2008

 

Nessuna replica diretta al ministro dell’interno Roberto Maroni che parla di "indebite ingerenze" della Ue, ma Bruxelles riafferma un principio stabilito dai Trattati: le misure contenute nel pacchetto di sicurezza che riguardando politiche comunitarie dovranno essere notificate alla Commissione Ue, che le valuterà "molto attentamente" per verificare la loro compatibilità con l’insieme delle leggi europee.

"Siamo sicuri che l’Italia notificherà le misure", ha detto il portavoce della Commissione Ue, Friso Roscam-Abbing, riferendo che ad oggi non è stato ricevuto nulla. "In particolare, le misure che riguardano la direttiva sulla libera circolazione ci devono essere inviate al più presto. Se l’Italia non lo farà, potrà incorrere in una procedura d’infrazione", ha precisato il portavoce rispondendo a domande dei giornalisti.

Oltre che il pacchetto di provvedimenti sull’immigrazione clandestina e la sicurezza, Bruxelles segue con molta attenzione le misure prese ieri dal Consiglio dei ministri per fare fronte alla crisi rifiuti in Campania. La portavoce del commissario Ue all’ambiente, Stavros Dimas, ha rilevato che le decisioni assunte ieri a Napoli sono "misure d’emergenza" che non risolvono "il problema strutturale" della gestione e smaltimento dei rifiuti in Campania.

"Se siano sufficienti o meno non spetta a noi dirlo, noi speriamo che possano avere un effetto positivo. I problemi strutturali però rimangono", ha detto Barbara Hellferich. "L’Italia deve adottare un piano strutturale per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti al più presto", ha ribadito la portavoce ricordando che la Commissione Ue ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia il 6 maggio scorso proprio per il mancato rispetto delle direttive comunitarie.

Anche per le misure sui rifiuti prese ieri, la Commissione si riserva una valutazione: "vedremo se sono compatibili con il diritto comunitario", ha detto la Hellferich. Per quanto riguarda le norme sulla sicurezza, Bruxelles non anticipa alcuna valutazione: "abbiamo veramente bisogno di ricevere ufficialmente i documenti, poi valuteremo", ha affermato Roscam-Abbing, ex portavoce di Franco Frattini.

"Dalle notizie di stampa abbiamo capito che il pacchetto si divide in due parti", ha riferito. "Una di immediata applicazione, con un decreto, che ricade nell’applicazione della direttiva sulla libertà di circolazione. In questo caso, il governo dovrà notificare le misure alla Commissione il più presto possibile e la Commissione ne valuterà con grande attenzione la compatibilità con le norme comunitarie".

La seconda parte del pacchetto "sembra riguardare iniziative legislative che possono avere implicazioni con la normativa comunitaria", ha aggiunto il portavoce. "Una volta che i disegni di legge saranno adottati dal Parlamento, il Governo li dovrà sottoporre alla Commissione Ue che, anche in questo caso, ne valuterà la compatibilità con le norme comunitarie". La notifica a Bruxelles non è invece richiesta per le misure che non hanno legami con la sfera di competenza comunitaria.

Immigrazione: il reato di clandestinità non sarà retroattivo

di Nicoletta Cottone

 

Il Sole 24 Ore, 23 maggio 2008

 

Il reato di immigrazione clandestina non si applicherà a chi è già in Italia, i commissari per i Rom avranno poteri in tutta la Regione. Nessuno, poi, intende processare o espellere battaglioni di badanti La raffica di precisazioni sul pacchetto sicurezza varato a Napoli dal Consiglio dei ministri è arrivata dal sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano nel corso del Match Point con il vicepresidente del Senato Emma Bonino, visibile sul sito del Sole 24 Ore. Nel pacchetto ha prevalso il realismo, dice la Bonino, ma "ora occorre rompere il messaggio di "giustizia fai da tè" e tornare a una comunicazione rigorosa, ma non di criminalizzazione delle etnie".

Nell’introduzione del reato di immigrazione clandestina, ha detto Mantovano, il Governo ha "sag-giamente consegnato" questa ipotesi di reato nelle mani del Parlamento, che sarà chiamato a valutare la congruità dello strumento con il fine da raggiungere. La disposizione, comunque, colpirà i clandestini che giungeranno nel Belpaese dopo l’entrata in vigore della norma e non chi è già qui. No, dunque, a un giro di vite sulle badanti, ma sarà perseguito chi dietro la veste di assistente agli anziani nasconde attività illecite.

Sì, invece, a una stretta sui matrimoni di comodo. Saranno, comunque fondamentali, ha sottolineato Mantovano, gli accordi bilaterali per fermare a monte le partenze e per non trovarsi a dover regolamentare l’emergenza a valle quando è troppo tardi. Saltata l’ipotesi del commissario nazionale per i rom, i commissari nelle grandi città, in tutto 3 o 4, saranno i prefetti con poteri nell’intero territorio regionale. Cureranno soprattutto, spiega Mantovano, gli aspetti di accoglienza di chi, regolarmente in Italia, aspira a una vita decorosa.

A loro sarà anche affidato un lavoro di raccordo tra i vari enti territoriali per evitare che ci siano guerre fra comuni nella localizzazione e gestione dei campi. Sui nuovi poteri ai sfaldaci, per Mantovano ora i primi cittadini possono dare risposte compiute alla cittadinanza. La polizia locale, sottolinea il sottosegretario all’Interno, potrà partecipare ai piani coordinati di controllo del territorio con pari dignità rispetto alle altre forze di polizia, compresi strumenti operativi come l’accesso ad alcune banche dati del Viminale.

Sul fronte dello status di rifugiato, attacca Emma Bonino, "ci si muove in acque grigie". La senatrice radicale del Pd chiede di rivedere con urgenza la norma sul rifugiato che dovrà impugnare il rigetto della domanda di asilo dal Paese d’origine, disposizione che viola la convenzione delle Nazioni unite sui rifugiati.

Massima apertura da parte di Mantovano per valutare la congruità della norma. Solo un ricordo lontano, registra con soddisfazione la Bonino, la sospensione di Schengen per i controlli alle frontiere agitata in campagna elettorale. "Non è in agenda - precisa Mantovano - e non si può affrontare una politica sulla base di una sospensione di Schengen". Sullo stralcio dal decreto legge della sospensione dei processi in - corso per consentire all’imputato di patteggiare, avvertita da molti come una norma ad personam, Mantovano risponde secco: "Non c’é". La Bonino aggiunge: "La speranza è che non riappaia".

Immigrazione: verso una "sanatoria" per 150 mila badanti

di Fiorenza Sarzanini

 

Corriere della Sera, 23 maggio 2008

 

Il nuovo decreto flussi potrebbe riguardare circa 150.000 stranieri. Sarà riservato esclusivamente a badanti e colf e sanerà la posizione di chi ha presentato la richiesta il 18 dicembre scorso - giorno del "click day" - ma non è riuscito a ottenere il permesso di soggiorno perché arrivato troppo tardi.

Alle 170.000 regolarizzazioni che saranno decise in base a quel provvedimento si aggiungono dunque i collaboratori domestici che dovranno però dimostrare di avere i requisiti necessari, primi fra tutti l’alloggio e il contratto di lavoro. Al ministero del Welfare si fanno i conti in base ai dati forniti dal Dipartimento per l’Immigrazione del Viminale. Le istanze pendenti sono 413.664. Il record riguarda Milano con 43.452 domande, seguita da Roma con 30.508 e poi Brescia, Napoli, Bologna.

Un primo screening effettuato dai tecnici per conto del ministro Maurizio Sacconi ha dimostrato che il 48% delle richieste è stato presentato da stranieri e il sospetto è che si tratti di ricongiungimenti familiari mascherati. m questo caso sarà esclusa la possibilità di regolarizzare la posizione. Fuori anche chi ha già subito un decreto di espulsione e chi risulta segnalato dalle questure. Il governo sceglie la linea morbida nei confronti di chi collabora con le famiglie italiane, ma accelera le procedure - per l’espulsione degli altri stranieri non in regola.

Ieri il ministro dell’Interno ha riunito al Viminale i prefetti e i sindaci di Roma, Napoli e Milano, hanno chiesto la nomina di un commissario "per affrontare l’emergenza rom". Tra un mese, quando entrerà in vigore il nuovo decreto sui cittadini comunitari, si potrà mandar via chi sta in Italia da più di tre mesi e non è in grado di dimostrare di avere una casa e un reddito lecito. Nel frattempo si stanno cercando le aree dove ricollocare i campi nomadi. Cambia anche il sistema di prima accoglienza per i clandestini.

"Ci sarà un Cpt in ogni Regione", annuncia Maroni, che giudica "indebite" le critiche venute dall’Europa sul pacchetto sicurezza; "Non intendiamo cedere di un millimetro a queste pressioni". D governo ha deciso di utilizzare le caserme e gli ospedali militari dismessi, che dovranno essere però ristrutturati. D disegno di legge che prevede l’introduzione del reato di immigrazione clandestina, prevede infatti un tempo di permanenza nei centri che può durare fino a 18 mesi. Il Parlamento deciderà sull’approvazione definitiva, ma già si valuta la possibilità di modificare là norma eliminando la reclusione in modo da spostare la competenza sui giudici di pace.

In questo modo si potrebbe disporre comunque l’espulsione immediata dello straniero irregolare, ma si eviterebbe di gravare sul carico di lavoro dei tribunali. E sempre il Parlamento - così auspica Renato Schifani - dovrà rendere "più aggressivo e incisivo" il pacchetto di misure (che il presidente del Senato definisce "molto coraggiose") per contrastare la mafia.

Usa: condannato a morte graziato a poche ore dall’esecuzione

 

Ansa, 23 maggio 2008

 

Un condannato a morte della Georgia, che avrebbe dovuto subire un’iniezione letale nella notte, è stato graziato in extremis e la pena è stata commutata in ergastolo senza la possibilità di scarcerazione anticipata. Lo ha deciso il Georgia Board of Pardons and Paroles, l’organo ufficiale che ha il potere di ridurre le pene e di pronunciare gli indulti, tre ore prima dell’esecuzione. Il condannato a morte, Samuel David Crowe, 47 anni, aveva già consumato quello che avrebbe dovuto essere il suo ultimo pasto, ed era sul punto di entrare nella camera delle esecuzioni del carcere di Jackson. Crowe, condannato a morte per avere ucciso il gestore di un negozio durante una rapina, avrebbe dovuto essere la terza persona messa a morte dopo la fine di una moratoria di fatto durata diversi mesi sulle esecuzioni capitali, recentemente interrotta dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. Dopo la sentenza della Corte Suprema del 16 aprile, secondo la quale il cocktail letale utilizzato nelle maggior parti delle esecuzioni negli Usa rispetta la Costituzione, le esecuzioni sono riprese. La prima si è svolta il 5 maggio sempre in Georgia; la seconda nella notte tra mercoledì e giovedì di questa settimana in Mississippi.

Canada: droghe; poliziotti difendono la "stanza del consumo"

 

Associated Press, 23 maggio 2008

 

"Insite", inaugurato nel 2003, è il primo "safe-injection site" del Nord America ed ha contribuito a diminuire i casi di Aids, epatite e overdose a Vancouver. Ed è per questo che numerose forze dell’ordine di Australia, Inghilterra e Canada chiedono al ministro della sanità canadese Tony Clement di andare avanti con questo progetto. Secondo la Canadian Foundation for Drug Policy, le leggi proibizioniste sono solo un fallimento, mentre "con le somministrazioni controllate, si salvano vite umane". Tra gli oppositori principali, vi è Ron Taverner, responsabile della lotta alla tossicodipendenza per la polizia di Toronto: "la legalizzazione delle narco-sale non è la risposta giusta. Ci vogliono prevenzione, rieducazione e più controlli". "Generalmente, la maggior parte dei tossicodipendenti sono le vittime di abusi o malati di mente", spiega Tom Lloyd di Cambridge, poliziotto che da oltre 30 anni sostiene la somministrazione controllata, "e una società che si ritenga civile deve nutrire comprensione e rispetto nei loro riguardi".

 

 

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