Rassegna stampa 16 maggio

 

Giustizia: "pacchetto Maroni" al Quirinale, Napolitano cauto

di Liana Milella

 

La Repubblica, 16 maggio 2008

 

Maroni, da ministro dell’Interno, sale per la prima volta al Quirinale per esporre le linee guida del pacchetto sicurezza. Un decreto e più disegni di legge. Dentro, nella sezione d’urgenza, c’è anche il reato d’immigrazione clandestina. Napolitano non entra nel merito, saranno semmai gli uffici tecnici a farlo, quando il Colle dovrà decidere se sono sufficienti gli estremi per controfirmarlo e valutarne i requisiti di effettiva necessità e fretta.

Ma il presidente, con un implicito valore di freno, ricorda al titolare del Viminale e al sottosegretario Mantovano che lo accompagna che quei vincoli debbono essere comunque e sempre rispettati, soprattutto per un nuovo reato di forte impatto e con delicati profili di costituzionalità che necessita di un’ampia discussione parlamentare. Il nuovo reato d’immigrazione sarebbe il meno adatto a finire nel decreto ed essere discusso quando viene già applicato e la gente può essere arrestata.

Oggi Maroni, col Guardasigilli Alfano, tornerà a palazzo Chigi da Berlusconi per chiudere la manovra anticrimine dopo averne discusso con i colleghi degli Esteri Frattini, delle Politiche comunitarie Ronchi, della Difesa La Russa. Quest’ultimo ha annunciato ieri un’altra novità: le pattuglie di quartiere al posto del solitario poliziotto di quartiere. Squadre composte da cinque persone, un vigile urbano, un agente di polizia, un carabiniere, un finanziere e anche un militare dell’Esercito tra quelli attualmente in esubero. "Semplicemente con la loro divisa faranno opera di deterrenza e prevenzione e faranno vedere che lo Stato c’è".

Prima di chiudere i testi per il consiglio dei ministri di Napoli, Maroni sta cercando il massimo consenso. Incontri con il presidente dell’Anci e sindaco di Firenze Domenici, con i rappresentanti delle Regioni, con i sindacati, ma soprattutto con il ministro degli Interni rumeno David e con l’ambasciatore libico Gaddur. Al primo Maroni conferma che i sindaci avranno i poteri per emettere ordinanze sulla sicurezza municipale che già il suo predecessore Amato aveva promesso. Con David il confronto è lungo e sortisce alla fine il ripristino della task force di 15 poliziotti rumeni che lavoreranno a gomito con gli italiani, ma anche una commissione paritetica per risolvere una volta per tutte le questioni interpretative sulla direttiva Ue che regola la circolazione dei cittadini comunitari.

L’Italia pretende una lettura restrittiva, i rumeni no. Ma Maroni, per evitare uno scontro diplomatico, ci tiene a ribadire che "nell’emergenza sicurezza non esiste in Italia una sotto emergenza Romania". E ancora: "Non ci saranno espulsioni di massa. La responsabilità penale è personale, e solo chi delinque, da qualsiasi paese venga, viene punito". Con i libici tutto fila liscio e il rappresentante di Gheddafi promette che al più presto partirà l’accordo per il pattugliamento congiunto nelle acque territoriali libiche.

Restano le altre misure anti immigrazione, a cominciare dai commissari per l’emergenza rom. Dopo quello di Milano, ce ne saranno altri anche a Roma e Napoli, Torino si è messa in lista. È certa, per gli extracomunitari, la stretta sui visti d’ingresso turistici oltre i tre mesi, sui ricongiungimenti familiari (ma senza l’esame del Dna), sui Cpt in cui la permanenza passerà dagli attuali due a sei mesi. Infine, per i comunitari, il rigido rispetto della direttiva Ue: reddito minimo, assicurazione sanitaria, prova a carico dell’interessato della permanenza in Italia da meno di tre mesi.

Giustizia: Maroni; intervenire per garantire maggiori risorse

 

Dire, 16 maggio 2008

 

Serve "un intervento deciso e immediato" per "risolvere una volta per tutte un nodo che ritorna periodicamente sul tavolo di ogni governo: la necessità di garantire maggiori risorse finanziarie a fronte delle accresciute esigenze legate all’emergenza sicurezza". Lo dice il ministro dell’Interno Roberto Maroni, nel suo intervento in occasione della Festa della Polizia. Maroni ricorda che "è noto che il bilancio del dipartimento di Pubblica sicurezza ha subito una costante riduzione negli ultimi due anni". Il che "è motivo - continua il ministro - di grande preoccupazione", per cui serve un intervento "perché è evidente che non possono essere date risposte efficaci se non sono messe a disposizione risorse adeguate".

Il governo "ha ricevuto un ampio consenso e un chiaro mandato dai cittadini elettori: garantire a tutti più sicurezza", ribadisce il ministro notando come "questo giorno di festa coincide con l’inizio della XVI Legislatura" e la formazione del governo Berlusconi. Riferendosi al discorso di Silvio Berlusconi per la fiducia al Parlamento, Maroni puntualizza che "non si tratta di cavalcare la paura, ma di liberare dalla paura i cittadini e in particolare le donne e gli anziani". Insomma, "il Paese pretende risposte immediate ed efficaci" che coinvolgono la maggioranza ma anche l’opposizione con cui Maroni intende "collaborare per la soluzione dei problemi".

Giustizia: prefetto Serra; questi strumenti non convincono

 

Dire, 16 maggio 2008

 

"È chiaro che la sicurezza è l’obiettivo di tutti gli schieramenti politici. Ma sono gli strumenti proposti dalla maggioranza che non mi convincono". L’ex Prefetto Achille Serra, ora senatore del Partito Democratico, ha esordito così questa mattina ad Omnibus, su LA7. "Dove si metterebbero gli arrestati per immigrazione clandestina? E come si potrebbe conciliare la permanenza fino a 18 mesi nei Cpt con gli altri Paesi europei?", si è chiesto l’ex prefetto. "Io salvo molto della Bossi-Fini - ha detto Serra - ma ci sono aspetti che non fanno altro che aumentare la clandestinità. Bisogna essere concreti e attuare quella politica di integrazione, con i campi della solidarietà ad esempio, che frutterebbe risultati duraturi".

Giustizia: Anci; attribuire ai Comuni le funzioni sulla sicurezza

 

Dire, 16 maggio 2008

 

La sicurezza urbana "dovrà essere una delle funzioni fondamentali da attribuire ai Comuni in virtù del Titolo V: questa sarebbe una vera svolta nel campo della sicurezza che darebbe ai Comuni una responsabilità propria su una materia molto sensibile". È quanto ha dichiarato Angelo Rughetti, segretario generale dell’Associazione dei comuni italiani (Anci) a margine dell’incontro di questa mattina con il ministro dell’Interno, Roberto Maroni. "Occorre passare da una logica emergenziale, fatta di strumenti ed atti non sempre nati per soddisfare queste esigenze - prosegue - ad una logica di sistema e di stabilità. Non si tratta di far diventare i sindaci sceriffi ma di chiarire i contenuti e la valenza delle norme e dei poteri già esistenti".

La polizia municipale, aggiunge Rughetti, "deve essere lo strumento primo che il sindaco ha a disposizione per poter esercitare le competenza in materia di sicurezza urbana. Anche qui non si tratta di creare una nuova forza dell’ordine ma di fornire strumenti, come l’accesso alle banche dati, e poteri sufficienti per essere di aiuto alle comunità".

In Anci "sono anni che discutiamo di queste cose (la prima stesura risale al 1996 con l’allora sindaco di Trento Lorenzo Dellai). È positivo che il dibattito si stia incanalando in questa direzione e che presto - conclude - si possa giungere ad una riforma organica della polizia municipale e delle funzioni dei Comuni".

Giustizia: La Russa; nel decreto una "stretta" a legge Gozzini

 

Dire, 16 maggio 2008

 

Per ciò che riguarda la sicurezza "non tutto sarà per decreto, ma le misure più urgenti e necessarie saranno assunte per decreto. Per il resto ci sarà un ddl governativo o anche più disegni che il Parlamento potrà rapidamente approvare". Così Ignazio La Russa, a Porta a porta, sintetizza le intenzioni del governo sui provvedimenti che saranno approvati dal Consiglio dei ministri a Napoli: "Il tentativo - spiega il ministro della Difesa - è di introdurre la maggior parte dei provvedimenti nel decreto". A quanto riferisce La Russa si pensa ad esempio ad alzare i minimi edittali dei reati e a modificare per i recidivi i benefici della legge Gozzini: "Se riteniamo che in questo momento la situazione produce un accresciuto allarme - insiste l’aennino - vi è necessità e urgenza di rimuovere questo allarme, tali misure sono compatibili con la forma del decreto".

Giustizia: Osapp; misure efficaci solo se le carceri funzionano

 

Il Velino, 16 maggio 2008

 

Non vogliamo un’altra "Cirielli". Così come non vogliamo un altro indulto!". È il commento lapidario di Leo Beneduci in merito alle anticipazioni dei provvedimenti che il governo si accinge a varare in materia di sicurezza. "Nessun giudizio di tipo politico il nostro - spiega Beneduci -, ma uno sguardo ad un pericolo possibile per un aggravamento della situazione detentiva che supera oggi le 53 mila unità. Conserviamo ancora vivo il ricordo di quelle che furono, in passato, le conseguenze di norme che rivedevano la recidiva, o cambiavano repentinamente le condizioni di trattamento dei tossicodipendenti in carcere.

Non facciamo alcuna previsione di tipo contabile, anche se ci vediamo concordi con chi ritiene che a fronte di questa nuova emergenza occorrerebbero 100 mila nuovi posti letto, quando il sistema carcerario ne offre solamente 43 mila. Ragionare ancora oggi in termini puramente contabili e considerare l’istituto come mero contenitore di criminalità, non risponde a quelle esigenze di sicurezza a cui le norme del pacchetto devono tendere. Ragionare così ci fa tornare indietro ai tempi dell’indulto, quando il capo del dipartimento si compiaceva di un provvedimento che, quale unica modalità, non decideva certamente i mali del carcere.

Secondo il nostro avviso - continua Beneduci -, un ministro incaricato di risolvere i problemi della Giustizia, oltre che quelli della sicurezza, a parte avvicendare Ettore Ferrara, attuale Capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, deve guardare in casa propria prima di valutare come decisive misure che non fanno altro che aumentare la promiscuità nelle sezioni, e snaturare il trattamento di quei soggetti reclusi per pena definitiva. Se poi le logiche sono altre, ci domandiamo quale governo avveduto può concepire tutto questo, e, sul presupposto di un contenimento del crimine, non considerare l’instabilità e la precarietà delle carceri italiane, o i livelli di sicurezza degli agenti di Polizia penitenziaria impegnati ogni giorno in sezione.

Un’ultima considerazione, quindi - conclude l’Osapp -, ci suggerisce di puntare il dito contro l’organizzazione delle carceri: inesistente. Se il sistema fosse rigido anche al suo interno, se le norme fossero fatte rispettare all’interno delle sezioni, non vedremmo la necessità di alzare i toni della polemica. Secondo la nostra esperienza, l’insicurezza, determinata dall’incapacità dei direttori a gestire, è causata anche dal fatto che quelle norme che si reclamano fuori non vengono assolutamente rispettate poi dentro, e il panorama che si presenta è quello di una realtà del tutto abbandonata a se stessa.

Lazio: Garante; lavoro formazione e cultura, azioni del 2008

 

Asca, 16 maggio 2008

 

Il Garante dei detenuti del Lazio: oltre al lavoro esterno, il Garante valorizzerà anche le attività produttive interne agli istituti.

"All’interno del carcere - si legge in una nota del Garante, Angiolo Marroni - occorre diffondere la consapevolezza del valore del lavoro e favorire in ogni modo l’inserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti, avvalendosi del valore aggiunto che esprimono le cooperative sociali insieme a tutti gli operatori d’impresa sensibili ai temi sociali. Il Garante, in collaborazione con il Provveditorato Amministrazione Penitenziaria del Lazio e Italia Lavoro, agenzia tecnica del ministero del Lavoro, attraverso borse lavoro e tirocini formativi, contribuirà anche nel 2008 all’inserimento nel mondo del lavoro delle persone che hanno beneficiato del provvedimento dell’indulto".

Oltre al lavoro esterno, il Garante valorizzerà anche le attività produttive interne agli istituti. Nel carcere di Velletri, sarà potenziata la produzione e la commercializzazione dei prodotti agricoli coltivati e trasformati dai detenuti, attraverso la collaborazione con una cooperativa esterna.

Nel carcere di Rebibbia Penale, è in fase di realizzazione l’impianto che, grazie a una cooperativa di detenuti, aderente al consorzio "Lavoro e Libertà", produrrà infissi in alluminio anodizzato.

Nel carcere di Civitavecchia Nuovo Complesso, si svilupperà ulteriormente l’attività di informatizzazione dei documenti della provincia di Roma. Nel carcere di Rebibbia Nuovo Complesso, si proseguirà nella positiva esperienza del telelavoro con Autostrade Spa. Per quanto riguarda il microcredito, con la nuova legge finanziaria della Regione si potranno destinare ulteriori risorse per lo start-up di nuove attività economiche: società di persone, cooperative sociali e ditte individuali di detenuti ed ex detenuti.

"Nell’ambito della formazione per il lavoro - ha ricordato il Garante - molto è stato fatto negli anni scorsi: corsi di alfabetizzazione informatica per i detenuti minori dell’Istituto Casal del Marmo, laboratori di tappezzeria e tendaggi, decorazione, agricoltura e giardinaggio. Con l’aggiudicazione del bando della regione sulla formazione mirata a detenuti di tutti gli istituti penitenziari del Lazio, il Garante svolgerà un’attività di monitoraggio e di supporto nei confronti degli enti aggiudicatari, dell’Amministrazione Penitenziaria e dei detenuti. Inoltre, la giunta regionale ha stanziato cospicui finanziamenti per la formazione in carcere anche per gli operatori penitenziari".

Per quanto riguarda l’impegno per il diritto alla salute in carcere, è allo studio la possibilità di istituzionalizzare un’intensa collaborazione tra il Garante e l’assessorato regionale alla Sanità, con lo scopo di governare il passaggio delle competenze. Inoltre, l’ufficio del Garante ospita un gruppo di lavoro della Commissione regionale per la salute in carcere. Proseguiranno, intanto, le attività già in corso, come il progetto di integrazione motoria tra minorati psichici e detenuti comuni presso Rebibbia Penale, condotto in collaborazione con la Asl RM B e il dipartimento di salute mentale.

Il servizio di odontoambulanza, già attivo nelle carceri di Rebibbia, Cassino, Velletri, Latina e Viterbo, e istituzionalizzato presso l’ospedale George Eastman (Asl RMA) con la collaborazione della "Società Italiana Maxillo Odontostomatologica", sarà esteso a tutti gli istituti penitenziari del Lazio e grazie alla partecipazione di sponsor privati saranno disponibili 200 protesi dentarie.

Per una migliore continuità terapeutica assistenziale rivolta ai detenuti ristretti negli istituti penitenziari del Lazio, si sono consolidati rapporti di collaborazione con le strutture ospedaliere "protette" di Viterbo (Ospedale Belcolle) e Roma (Ospedale Sandro Pertini). Si provvederà alla diffusione di 4 opuscoli, realizzati in 5 lingue per la prevenzione delle malattie più diffuse in carcere (HIV, epatite, TBC, malattie da contagio), grazie alla collaborazione di Ordine degli psicologi, S.I.M.S.Pe, Asl RmB, Asl di Viterbo avvalendosi per la traduzione dei mediatori interculturali dell’Istituto San Gallicano.

L’attività culturale e sportiva nel carcere assume un ruolo essenziale: in tal senso, il Garante, che ha patrocinato rappresentazioni teatrali in tutti gli Istituti che se ne sono fatti, carico proseguirà nell’impegno. "In materia di comunicazione - annuncia il Garante - la novità del 2008 è la nascita del giornale periodico L’Eco dei Diritti, da distribuire gratuitamente nel mondo penitenziario, del volontariato e istituzionale. Ulteriori energie saranno rivolte a potenziare, in qualità e quantità, il sito internet www.garantedetenutilazio.it, allo scopo di renderlo uno dei portali di riferimento per le problematiche del settore penitenziario".

 

Le carceri sono strutture patogene

 

Carceri che "si configurano sempre più come strutture patogene in sé", in cui la gestione sanitaria dei detenuti è resa difficile dalla condivisione di spazi angusti che facilitano il contagio. Questa lo spaccato degli istituti penitenziari del Lazio fornito dal responsabile Sanità del Garante regionale per i diritti dei detenuti Fabio Gui, durante il workshop "Sanità penitenziaria: passaggio delle competenze dal ministero della giustizia al Servizio sanitario nazionale" che si è tenuto all’interno del Forum PA presso la Nuova Fiera di Roma. Nel workshop è stato rimarcato come attualmente sono 5,070 le persone detenute nel Lazio e il servizio sanitario penitenziario, il più delle volte, è chiamato ad occuparsi di patologie legate alla malattia mentale e a quelle infettive, prime tra tutte la Tbc, le epatiti e l’Hiv.

"Per risalire la china - secondo Gui - bisogna continuare a lavorare sull’integrazione con le Asl presenti sul territorio, per operare un’adeguata presa in carico del detenuto. Questo passaggio di consegne dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale mi sembra giusto e sacrosanto - ha concordato la presidente della commissione regionale Sicurezza Luisa Laurelli - anche se al momento patiamo il fatto che la salute non abbia un proprio ministero, ma solo un sottosegretariato, con il quale da subito dovremo confrontarci, su questo e altri temi di scottante attualità". Laurelli, in occasione del workshop, ha annunciato entro la fine del mese un incontro congiunto con la commissione Lavoro per discutere dell’ applicazione ad oggi delle leggi regionali riguardanti le condizioni dei detenuti nelle carceri laziali.

Lazio: contro stalking e violenza sulle donne, agire in fretta

 

Asca, 16 maggio 2008

 

È ora di passare ai fatti nel contrasto alla violenza sulle donne. È questo l’appello con cui si è concluso, oggi al Forum PA di Roma, il seminario organizzato dalla Commissione Speciale Sicurezza del Consiglio Regionale del Lazio. Estensione e potenziamento della rete dei centri antiviolenza nelle province del Lazio, avvio della discussione di una legge regionale contro lo stalking e interventi nelle scuole per diffondere una cultura contro ogni forma di violenza (bullismo, molestie e abusi). Queste le indicazioni emerse nel corso del workshop "Violenza sulle donne: la situazione nel Lazio" cui erano invitati assessori, consiglieri regionali, esponenti delle Forze dell’Ordine ed esperti.

Una delle maggiori difficoltà per le vittime è proprio rappresentata dalla presentazione delle denunce. Il pericolo infatti si annida in prevalenza tra le mura domestiche e tra gli affetti. Lazio ed Emilia Romagna hanno il primato del numero di violenze fisiche e sessuali sulle donne: il 31% delle donne laziali ha subito abusi negli ultimi tre anni e sono oltre 1.400 le donne che si sono rivolte alle strutture emiliane.

"Ci siamo chiesti perché proprio queste due regioni sono al vertice di questa classifica negativa - ha detto la presidente della Commissione Sicurezza del Lazio, Luisa Laurelli (PD) - e siamo convinti che in queste regioni si denuncia di più". Un ruolo chiave è svolto a tal proposito dai centri antiviolenza: "Dovremo operare con politiche attive non solo a Roma e provincia - ha aggiunto - ma anche incrementando il numero dei centri antiviolenza nelle province di Rieti, Viterbo, Frosinone e Latina".

Proprio psicologi provenienti spesso da questi centri - ha testimoniato il vice questore aggiunto Silvia Franzè, dirigente in una sezione della Mobile di Roma - assistono le vittime nelle sezioni specializzate della Polizia alla presentazione delle querele. Un’opera a tutela delle donne che sarebbe agevolata dalla previsione del reato di stalking, una forma di molestia reiterata che non sempre è inquadrabile in ipotesi sanzionate dal codice penale. È stata annunciata dalla Laurelli, a tal proposito, una giornata di studio che si terrà a Roma a giugno, mentre è all’esame della Commissione Sicurezza una proposta di legge in materia a firma del consigliere Bucci (IDV).

Donatina Persichetti, infine, ha posto l’accento sulla formazione ricordando la recente campagna di sensibilizzazione nelle scuole promossa dalla Consulta regionale femminile di cui è presidente. È stata quindi richiamata da Antonella Paloscia, dirigente penitenziario, la neces-sità di recuperare e reinserire i detenuti macchiatisi di reati contro le donne grazie a personale specializzato nei luoghi di detenzione e con una rete sul territorio.

Bologna: nell’Ipm prima rassegna estiva, spettacoli e incontri

 

Redattore Sociale, 16 maggio 2008

 

Si chiama "San Giovanni non vuole inganni" e parte il 23 giugno. Il teatro è il cortile del carcere minorile di Bologna. Gli attori protagonisti sono i ragazzi detenuti e quelli delle comunità minorili della città.

Il teatro è il cortile del carcere minorile di Bologna. Gli attori protagonisti sono i ragazzi detenuti e quelli delle comunità minorili della città. Parte il 23 giugno "San Giovanni non vuole inganni", la prima rassegna estiva di spettacoli e incontri all’interno del carcere del Pratello e aperti a tutti i cittadini. Il programma, che prosegue per tre giorni, fino al 25 giugno, è curato dal Teatro del Pratello ed è promosso e sostenuto dal Centro giustizia minorile per l’Emilia-Romagna, con il coinvolgimento di diverse comunità: quella pubblica per minori, il Nuovo grillo, Piccolo principe, Compagni di sogni.

Si comincia il 23 alle 21, con "Lilliput Dinner", evento conclusivo del progetto "Teatro in comunità", che ha coinvolto i minori ospiti in un percorso di avvicinamento al teatro, attraverso un laboratorio di pratica teatrale. Lo spettacolo prende spunto dal viaggio di Gulliver nel paese di Lilliput e costituisce la prima tappa di una ricerca dentro la celebre opera di Jonathan Swift "I viaggi di Gulliver", che si conclude con lo spettacolo che debutterà a novembre all’interno dell’Istituto penale minorile.

Martedì 24, sempre alla stessa ora, viene invece presentato "Il Mare Dietro Il Muro", libro sulle esperienze di teatro negli istituti penali minorili di Bologna, Milano e Palermo, a cura dei fotografi Maurizio e Federico Buscarino, e con il testo di Massimo Marino, edito da Electa Mondadori. A seguire, verrà proiettato il video "Fool Bitter Fool" di Agnese Mattanò sulla realizzazione dell’omonimo spettacolo della compagnia del Pratello nel 2007, realizzato all’interno del carcere bolognese. "San Giovanni non vuole inganni" si conclude il 25 con lo spettacolo "Voi Cavalieri Vagabondi" messo in scena dalla Compagnia del Pratello con i ragazzi della comunità Compagni di Sogni e con i ragazzi che continuano l’esperienza teatrale a conclusione dell’iter penale. "Voi Cavalieri Vagabondi" è un recital concerto, che compone un centinaio di cartoline scritte ai giovani attori del Pratello dagli spettatori-studenti di istituti superiori che in questi anni hanno assistito agli spettacoli (drammaturgia e regia di Paolo Billi). L’ingresso a tutti gli spettacoli è a offerta libera.

Bologna: settimana di festa della famiglia, anche per detenuti

di Desi Bruno (Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Bologna)

 

Il Domani, 16 maggio 2008

 

Anche quest’anno l’A.Vo.C (Associazione Volontari del Carcere) ha organizzato la Festa della famiglia all’interno della Casa Circondariale di Bologna, che si svolgerà dal 12 al 17 maggio negli orari compresi dalle ore 12 e 30 alle 15 e 30.

Con tale evento ci si ripropone di creare un momento di intimità tra il detenuto e" la sua famiglia. Hanno assicurato la loro presenza personalità istituzionali (il Sindaco Sergio Gaetano Cofferati e la Vicesindaco Adriano Scaramuzzino hanno dato conferma) e della società civile il che, ancora una volta, sottolinea l’attenzione del tessuto sociale bolognese nei confronti dei temi del pianeta carcere. È un elemento fondamentale del trattamento nel percorso di rieducazione - responsabilizzazione del detenuto, nella finalità consacrata dal comma 2 dell’articolo 27 della Costituzione, proprio il mantenimento dei rapporti con la famiglia. È lo stesso Ordinamento Penitenziario che all’articolo 28 afferma che particolare cura deve essere profusa per tentare di mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti con le proprie famiglie.

Il mantenimento dei contatti familiari è garanzia per la salvaguardia della dignità e dell’integrità psicofisica di queste persone. Come ulteriore corredo normativo non possiamo non ricordare le Regole penitenziarie europee del 2006 che prevedono che le modalità di visita debbano consentire di conservare e sviluppare rapporti familiari nel modo più normale possibile. È bene porre l’attenzione sull’importanza che le visite rivestono non solo per chi è recluso, ma anche per le loro famiglie.

Il fatto che una persona sia sottoposta a custodia non deve far dimenticare il diritto, di cui questi è portatore insieme alla propria famiglia, all’affettività. Un padre dovrebbe potersi dedicare alla crescita del proprio figlio attraverso tempi e modi che ne rispettino la dignità. Nelle condizioni attuali in cui si svolgono i colloqui non ci sono adeguati spazi di comunicazione e sufficiente intimità con i congiunti. In una società come la nostra nella quale è centrale il valore della sacralità della famiglia pare quantomeno inopportuno che non si addivenga a creare le condizioni per ovviare alla marginalità con la quale viene trattato il tema famiglia nella realtà carceraria.

Per non parlare dell’aggiuntiva afflizione che può comportare il trasferimento di un detenuto in un istituto lontano dal luogo di residenza della famiglia. Sebbene l’articolo 42 dell’Ordinamento Penitenziario preveda il criterio di favorire, nella disposizione dei trasferimenti, la destinazione in istituti prossimi alla residenza delle famiglie (cd. principio di territorialità della pena), paradossalmente, in maniera quasi sistematica, tale intendimento della legge viene disatteso per esigenze di tipo organizzativo.

Nella pratica il caso di un detenuto che viene trasferito lontano dal luogo di residenza della propria famiglia può significare isolamento, viene fatto rompere, in questa maniera, ogni tipo di contatto familiare a causa dell’allontanamento perché si possono non godere (molto spesso) condizioni economiche favorevoli ad affrontare viaggi, per cui si rinuncia ai colloqui.

L’articolato e sapiente progetto di riforma dell’Ordinamento Penitenziario, presentato da Alessandro Margara nella precedente legislatura, si è dimostrato particolarmente sensibile nei confronti delle relazioni familiari e dell’affettività. Esso si esprime nel senso di un diritto dei detenuti al mantenimento delle proprie relazioni familiari e alla cura dei rapporti affettivi.

I detenuti avrebbero diritto ad una visita al mese, della durata minima di 6 ore e massima di 24, delle persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgerebbero senza controlli visivi ed auditivi. I detenuti potrebbero essere avvicinati per colloqui, almeno una volta all’anno, all’istituto più vicino al domicilio dei familiari. La spinta riformatrice del progetto tocca anche il tema dei trasferimenti prevedendo che i detenuti abbiano diritto ad essere assegnati in un istituto prossimo alla residenza della famiglia e, comunque, compreso nella regione di residenza.

Terni: educazione alla legalità, se la scuola incontra il carcere

 

Comunicato stampa, 16 maggio 2008

 

Il Carcere incontra gli studenti delle scuole superiori e dell’Università. Gli incontri tra "scuole e carcere" sono ormai una costante nella Casa Circondariale di Terni dove da tempo si promuove un percorso di educazione alla legalità. Anche l’altro ieri, 14 maggio, il carcere ternano ha ospitato gli alunni dell’ultimo anno del Liceo socio-psico-pedagogico "Gandhi" di Narni, come alcune settimane fa fanno potuto visitare l’istituto gli studenti della facoltà di Scienze dell’investigazione dell’Università dell’Aquila.

I giovani studenti alle prese con "le sbarre e con le pene". Per lo più i giovani conoscono lo stereotipo del carcerato dai film e dalla tv, ma il carcere dal vivo è più doloroso e più duro e si rivela una esperienza che lascia il segno. Il Direttore della Casa Circondariale di Terni Dr. Francesco dell’Aira e l’equipe degli operatori, ritengono fondamentale l’interscambio con tutte le componenti sociali esterne e a maggior ragione con il mondo dell’istruzione per veicolare la Legalità attraverso l’educazione, ma soprattutto attraverso la riproposizione di un’immagine in diretta senza il filtro dei media.

 

Ufficio stampa Casa Circondariale di Terni

Macerata: "Avvocato di strada" apre sportello di tutela legale

 

Comunicato stampa, 16 maggio 2008

 

Sabato 17 maggio 2008 alle 12 viene inaugurato il nuovo sportello di "Avvocato di strada" di Macerata. Lo sportello verrà istituito grazie al fondamentale contributo dell’associazione Gus - Gruppo Umana Solidarietà Onlus, che da anni si occupa dell’emarginazione sociale e di dare una risposta alle nuove forme di povertà. La presentazione dello sportello si terrà presso l’Aula Consiliare del Palazzo della Provincia, Corso della Repubblica 28, Macerata.

Interverranno alla presentazione dello sportello: Paolo Bernabucci, Presidente dell’associazione GUS Gruppo Umana Solidarietà Onlus; Gianfranco Borgani, referente dello sportello Avvocato di strada di Macerata; Antonio Mumolo, Presidente Associazione Nazionale Avvocato di strada Onlus; Alessandro Savi, Assessore Provinciale alla Politiche Sociali.

 

Avvocato di strada Onlus

 

L’Associazione Avvocato di strada Onlus è un’organizzazione di volontariato nata a Bologna nel febbraio 2007 su proposta di un gruppo di avvocati volontari che già dal 2001 tutelavano gratuitamente da un punto di vista legale le persone senza dimora di molte città italiane.

L’obiettivo dell’Associazione è la tutela delle persone senza dimora che, spesso privati dei propri diritti fondamentali, non possono fare rientro nella società da cui sono stati espulsi e subiscono continui soprusi da cui non possono difendersi.

 

Le sedi

 

Oggi gli sportelli di Avvocato di strada sono presenti a Ancona, Bari, Bologna, Bolzano, Ferrara, Foggia, Jesi, Lecce, Modena, Macerata, Napoli, Padova, Pescara, Reggio Emilia, Rovigo, Taranto, Trieste. Tutti gli sportelli sono attivi all’interno di Associazioni di volontariato che si occupano specificatamente delle persone senza dimora. Ogni sportello è organizzato come un vero e proprio studio legale, con orari e giorni di ricevimento durante tutto l’arco dell’anno.

Ogni sportello di Avvocato di strada gode di piena autonomia organizzativa e fa parte della Associazione nazionale Avvocato di strada. Ogni sportello, all’atto della sua costituzione, si impegna a collaborare con gli altri omologhi sportelli presenti nel territorio nazionale, oltre che con l’Associazione nazionale, fornendo, a scopi meramente statistici, i dati relativi all’attività svolta a vantaggio delle persone senza fissa dimora.

Ad oggi in Italia collaborano con il progetto Avvocato di strada oltre 400 avvocati, tra volontari degli sportelli già aperti e professionisti che si sono dichiarati disponibili a lavorare gratuitamente in caso di domiciliazioni nelle città in cui non è ancora aperto uno sportello.

 

Il premio Fivol

 

Il progetto Avvocato di strada è stato premiato dalla Fondazione Italiana per il Volontariato quale miglior progetto in Italia per l’anno 2001 rivolto alle persone senza dimora.

 

Il protocollo con l’Unar

 

Al fine di incrementare la rete di collaborazione con il mondo dell’associazionismo non economico, l’Unar, Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità, nel febbraio 2008 ha siglato un protocollo d’intesa con l’Associazione "Avvocato di strada".

L’Unar ha la funzione di garantire, in piena autonomia di giudizio e in condizioni di imparzialità, l’effettività del principio di parità di trattamento fra le persone, di vigilare sull’operatività degli strumenti di tutela vigenti contro le discriminazioni e di contribuire a rimuovere le discriminazioni fondate sulla razza e l’origine etnica analizzando il diverso impatto che le stesse hanno sul genere e il loro rapporto con le altre forme di razzismo di carattere culturale e religioso. L’obiettivo del protocollo è quello di gettare un ponte fra le vittime e le associazioni legittimate ad agire ed il mondo forense.

 

Le prospettive

 

Oggi fra i principali obiettivi dell’Associazione vi è quello di aprire sportelli di Avvocato di strada in tutte le città italiane dove vivono persone senza dimora. Sin dall’inizio dell’attività l’Associazione ha organizzato incontri con legali di altri Fori e associazioni di volontariato di altre città interessati a replicare questa esperienza. In tali incontri sono stati illustrati gli obiettivi del progetto e le sue caratteristiche, ed è stato offerto ogni possibile aiuto a coloro che intendevano provare a ripetere questa esperienza nel proprio territorio. Allo stato attuale è in fase avanzata l’apertura di sportelli a Caserta, Firenze, Livorno, Marsala, Milano, Palermo, Parma, Piacenza, Roma e Salerno. Più avanti, ci auguriamo, sarà la volta di altre città.

 

Jacopo Fiorentino

Associazione Avvocato di strada Onlus

Immigrazione: caccia ai rom, perché non c’è rivolta morale?

di Gad Lerner

 

La Repubblica, 16 maggio 2008

 

La caccia ai rom scatenata in tutta Italia sta cominciando a suscitare disagio, ma non ancora la necessaria rivolta morale. Difficile, soprattutto per dei politici, mettersi contro il popolo. Col rischio di passare per difensori della delinquenza, dei violentatori, dei ladri di bambini. È questa, infatti, la percezione passivamente registrata dai mass media: un popolo esasperato, l’ira dei giusti che finalmente anticipa le forze dell’ordine nel necessario repulisti.

Ma siamo sicuri che "il popolo" siano quei giovanotti in motorino che incendiano con le molotov gli effetti personali degli zingari fuggiaschi, le donne del quartiere che sputano su bambini impauriti e davanti a una telecamera concedono: "Bruciarli magari no, ma almeno cacciarli via"? Che importa se parlano a nome del popolo i fautori della "derattizzazione" e della "pulizia etnica", i politici che in campagna elettorale auspicarono "espulsioni di massa", i ministri che brandiscono perfino la tradizione cattolica per accusare di tradimento parroci e vescovi troppo caritatevoli?

La vergogna di Napoli, ma anche di Genova, Pavia e tante altre periferie urbane, non ha atteso l’incitamento dei titoloni di prima pagina, cui ci stiamo purtroppo abituando. "Obiettivo: zero campi rom" (salvo scatenarsi se qualche sindaco trova alloggi per loro). "I rom sono la nuova mafia" (contro ogni senso delle proporzioni). "Quei rom ladri di bambini" (la generalizzazione di un grave episodio da chiarire). Dal dire al fare, il passo dell’inciviltà è compiuto. Perfino l’operazione di polizia effettuata ieri con 400 arresti e decine di espulsioni sembra giungere a rimorchio. La legge preceduta in sequenza dalla furia mediatica e popolare, come se si trattasse di una riparazione tardiva.

Chi si oppone è fuori dal popolo. Più precisamente, appartiene alla casta dei privilegiati che ignorano il disagio delle periferie. Ti senti buono, superiore? Allora ospitali nel tuo attico! L’accusa, e l’irrisione, risuonano ormai fin dentro al Partito democratico. Proclama Filippo Penati, presidente di centrosinistra della Provincia di Milano: "I rom non devono essere ripartiti, bisogna farli semplicemente ripartire". E accusa Prodi di non aver capito l’andazzo, di non aver fatto lui quel che promettono i suoi successori. Nel 2006 fu Penati, insieme al sindaco Moratti, a chiedere al comune di Opera di ospitare provvisoriamente 73 rom (di cui 35 bambini). Dopo l’assedio e l’incendio di quel piccolo campo, adesso è stato eletto sindaco di Opera il leghista rinviato a giudizio per la spedizione punitiva. Mentre si è provveduto al trasferimento del parroco solidale con quegli estranei pericolosi.

La formula lapalissiana secondo cui "la sicurezza non è né di destra né di sinistra" appassisce, si rivela inadeguata nel tumulto delle emozioni che travolge la cultura della convivenza civile. Perfino la politica sembra derogare dal principio giuridico della responsabilità individuale di fronte alla legge. Perché un conto è riconoscere le alte percentuali di devianza riscontrabili all’interno delle comunità rom, che siano di recente immigrazione dalla Romania, oppure residenti da secoli in Italia, o ancora profughe dalla pulizia etnica dei Balcani. Un conto è contrastare gli abusi sull’infanzia, la piaga della misoginia e delle maternità precoci, i clan che boicottano l’inserimento scolastico e lavorativo, la pessima consuetudine degli allacciamenti abusivi alla rete elettrica e idrica.

Altra cosa è riproporre lo stereotipo della colpa collettiva di un popolo, giustificandola sulla base di una presunta indole genetica, etnica. Quando gli speaker dei telegiornali annunciano la nomina di "Commissari per i rom", sarebbe obbligatorio ricordare che simili denominazioni sono bandite nella democrazia italiana dal 1945. Il precetto biblico dell’immedesimazione - "In ogni generazione ciascuno deve considerare se stesso come se fosse uscito dall’Egitto" - dovrebbe suggerirci un esercizio: sostituire mentalmente, nei titoli di giornale, la parola "rom" con la parola "ebrei", o "italiani". Ne deriverebbe una cautela salutare, senza che ciò limiti la necessaria azione preventiva e repressiva.

La categoria "sicurezza" non è neutrale. Ne sa qualcosa il centrosinistra sconfitto alle elezioni, e solo degli ingenui possono credere che se Prodi, Amato o Veltroni avessero cavalcato l’allarme sociale con gli stessi argomenti della destra il risultato sarebbe stato diverso. Qualora il nuovo governo applichi con coerenza la politica di sicurezza annunciata, è prevedibile che nel giro di pochi anni il numero dei detenuti raddoppi, o triplichi in Italia. Scelta legittima, anche se la sua efficacia è discutibile. Quel che resta inaccettabile è il degrado civile, autorizzato o tollerato con l’alibi della volontà popolare. Insopportabili restano in una democrazia provvedimenti contrari al Codice di navigazione - l’obbligo di soccorso alle carrette del mare - o che puniscano la clandestinità sulla base di criteri aleatori di pericolosità sociale.

Da più parti si spiega l’inadeguatezza della sinistra a governare le società occidentali con la sua penitenziale vocazione "buonista". È un argomento usato di recente da Raffaele Simone nel suo "Mostro Mite" (Garzanti), salvo poi trarne una previsione imbarazzante: la cultura di sinistra col tempo sarebbe destinata a essere inclusa, digerita dalla destra. Discutere un futuro lontano può essere ozioso, ma è utile invece riscontrare l’approdo a scelte comuni là dove meno te l’aspetteresti: per esempio sulla pratica delle ronde a presidio del territorio.

Naturalmente gli assalti di matrice camorristica ai campi rom di Ponticelli non sono la stessa cosa della Guardia nazionale padana. Che a sua volta non va confusa con i volontari di quartiere proposti dai sindaci di sinistra a Bologna e a Savona. Nel capoluogo ligure, per giustificare la proposta, è stata addirittura evocata l’esperienza del 1974, quando squadre antifasciste pattugliarono la città dopo una serie di bombe "nere". Il richiamo ai servizi d’ordine sindacali o di partito è suggestivo, quasi si potesse favorire così un ritorno di partecipazione e militanza che la politica non sa più offrire. Ma è dubbio che nell’Italia del 2008 - afflitta da nuove forme di emarginazione come i lavoratori immigrati senza casa, le bidonvilles fucine di criminalità ma spesso impossibili da cancellare - le ronde possano considerarsi uno strumento di democrazia popolare. Dobbiamo sperare in una reazione civile agli avvenimenti di questi giorni, prima che i guasti diventino irrimediabili. Già si levano voci critiche ispirate a saggezza, anche nella compagine dei vincitori (Giuseppe Pisanu). Il silenzio, al contrario, confermerebbe solo l’irresponsabilità di una classe dirigente che ha già cavalcato gli stupri in chiave etnica durante la campagna elettorale.

Immigrazione: i rom organizzano ronde… "abbiamo paura"

 

La Repubblica, 16 maggio 2008

 

Stanotte è di ronda, Redzib Hamidovic. Prepara le fiaccole e si dispera: "Abbiamo paura, non viviamo più". L’assalto ai nomadi che infiamma Napoli ora fa paura anche nella Capitale, e i rom si stanno organizzando per difendersi. Nell’accampamento regolare di Castel Romano - sulla Pontina, lontano dalle case di Roma e di Pomezia - i bosniaci la notte non riposano più: "C’è una campagna contro di noi - dice Redzib - ma non siamo tutti delinquenti. Per proteggere i nostri bambini e le nostre donne, la notte a turno non dormiamo. Giriamo in tre o quattro con le fiaccole in mano, fino alle 5 del mattino. Facciamo tutto il giro del campo".

Da 3 anni, l’accampamento di Castel Romano è un paese di 800 persone, gli ex sfollati di Vicolo Savini. Uno dei successi dell’ex sindaco Veltroni: un verminaio quotidiano di microcriminalità e proteste al centro di Roma è diventato un polo universitario, e gli "zingari" sono stati accompagnati fuori città senza scontri, senza violenze. Molti ospiti del campo sono nati in Italia, altri vivono a Roma da più di 30 anni.

"Ci stanno perseguitando - racconta tra le lacrime Sabaheta Hamidovic - i miei figli sono cresciuti qui e se ci cacciano e torniamo al nostro paese dobbiamo ricominciare tutto dall’inizio. Viviamo nel terrore che la notte ci tirino le molotov, o che diano fuoco a tutto quello che abbiamo con le taniche di benzina". L’atmosfera è tesa, tra i container nascosti nel verde della campagna: "Vediamo alla televisione quello che accade - dice Meo Hamidovic - e non capiamo: perché ci dovete cacciare anche se non facciamo nulla di male? Dove sono finiti tutti i progetti di integrazione? Non ci abbandonate".

E hanno paura anche i nomadi del campo "Casilino 900", 650 persone tra macedoni, kosovari, montenegrini e bosniaci. È il primo in ordine di priorità nella scaletta di quelli da regolarizzare: non può essere attrezzato perché è in area archeologica, in piena città. Dovrà essere chiuso, e i nomadi temono di vedere arrivare le ruspe del Comune da un momento all’altro. Qualcuno è rassegnato, altri pensano di resistere con la forza: "Ma non siamo noi che dobbiamo andarcene - urla Vera, 43 anni, dalla baracca di 15 metri quadrati in cui vivono in otto - sono i nomadi romeni che devono essere espulsi dall’Italia. Sono delinquenti: se ora tutti ci odiano è colpa dei loro crimini".

Da due mesi vivono senza acqua né elettricità, dopo che il Comune ha tagliato gli allacci abusivi. Le condizioni igieniche sono disastrose: ci sono solo bagni chimici su un tappeto di rifiuti. I bambini giocano scalzi tra le baracche. Lo racconta il reportage di Repubblica Tv che sarà trasmesso oggi alle 11. Ma i residenti della zona sono esasperati: "Rubano e sporcano, appestano l’aria con il fumo dei falò che accendono per estrarre il rame dai cavi rubati".

Ieri, intanto, a Roma è scattato il primo grande blitz notturno dell’era di Alemanno sindaco: 70 uomini della polizia municipale nel campo attrezzato di via Salone, controllato dalle telecamere e da un presidio "h24" di quello stesso reparto dei vigili. Il bilancio è di una cinquantina di fermi per irregolarità nei documenti, e di qualche furgone rubato. Ma i vigili sospettano che alligni il racket della prostituzione minorile, e dicono che i rom cedono il subaffitto delle baracche a disperati di ogni etnia: "Anche italiani, a 25 euro a notte per una casa mobile". Per questo "è necessario intensificare i controlli anche nei campi legali", commenta il sindaco.

Immigrazione: Pecorella (Pdl); no al carcere, bisogna aiutarli

 

Secolo XIX, 16 maggio 2008

 

"Credo che i fenomeni migratori di massa, ce ne sono stati in diversi periodi storici, difficilmente si contrastino attraverso le carceri". Gaetano Pecorella, avvocato, deputato del Popolo della libertà, una vita in difesa del garantismo, in quest’intervista al Secolo XIX esprime le sue perplessità sul pacchetto sicurezza di cui il governo sta discutendo.

 

Cosa pensa della possibilità che venga introdotto in Italia il reato di immigrazione clandestina?

"Se in attesa di provvedimenti più organici ed organizzativi, ma non normativi, come i trattati internazionali tra l’Italia e i Paesi da cui proviene l’immigrazione, il pattugliamento delle coste attraverso accordi tra Stati, adottiamo alcune misure emergenziali bisogna dirlo e non grido alla scandalo. Si pongono però alcuni problemi. Pensiamo all’arresto in flagranza di reato di quei disperati che sbarcano sulle nostre coste. Senza contare poi che, se li processiamo per direttissima, ci saranno altre complicazioni visto che i nostri tribunali sono già intasati".

 

L’idea della repressione del fenomeno clandestini anche attraverso la restrizione della libertà personale non le piace?

"Di fronte all’emergenza, lo abbiamo fatto anche negli anni del terrorismo, si possono adottare misure contingenti. Non si tratta però della soluzione del problema. Una persona che muore di fame in Africa non so quanto possa spaventarsi davanti all’idea, una volta in Italia, di finire in galera. Non sono scandalizzato ma vorrei fosse chiaro che i grandi fenomeni migratori, penso agli immigrati che dal Messico arrivano negli Stati Uniti inseguendo un briciolo di sogno americano, non si fermano con le manette. Se si tratta di un breve periodo, per affrontare l’emergenza di questi giorni ed evitare che il Paese decida di farsi giustizia da solo, andiamo avanti ma sia il nostro punto di partenza e non di arrivo".

 

Come giudica l’allungamento della permanenza nei Cpt sino a diciotto mesi?

"La nostra Costituzione dice che la libertà personale è inviolabile e può essere limitata soltanto dall’autorità giudiziaria. Sono convinto che, anziché andare incontro ad un periodo verso cui questa libertà viene ristretta, in fondo si può fare benissimo il paragone con l’uso della carcerazione preventiva, sarebbe opportuno lavorare ad accordi con i Paesi di provenienza dei migranti per il loro rimpatrio immediato. In questo caso, bisognerà trovare forme che abbrevino la permanenza nei Cpt, senza scordare che diciotto mesi di permanenza in quei centri da parte di migliaia di immigrati comporterebbero costi sociali altissimi".

 

Qual è la soluzione al problema della sicurezza e dell’immigrazione irregolare?

"Sarò un utopista ma si tratta di intervenire con aiuti in quei Paesi che vivono condizioni disperate, senza futuro, altrimenti non ne usciremo. Credo che questo governo dovrebbe farsi carico di una grande battaglia internazionale per investire nei Paesi da dove provengono i clandestini: un impegno per consentire ai popoli che migrano migliori e condizioni di vita nelle loro terre. Nessuno è felice di lasciare la propria casa. Una moratoria per cominciare a sconfiggere la fame e la sete sarebbe davvero un enorme passo in avanti per l’Occidente".

Giustizia: Di Pietro; l’immigrazione clandestina sia un reato

 

Dire, 16 maggio 2008

 

"Che l’immigrazione clandestina divenga reato è indispensabile per il nostro Paese". Ad affermarlo è Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori. "Noi rispettiamo l’immigrato che lavora onestamente e che sia regolarmente registrato - spiega Di Pietro - ma riteniamo anche che non si possa più chiudere un occhio di fronte a chi viola la legge. Se un italiano, per esempio, si rifiuta di dare le proprie generalità, commette un reato. Non si capisce perché lo stesso non debba valere anche per l’immigrato". "L’immigrazione onesta, quella di chi viene per trovare un lavoro - aggiunge il leader dell’Idv - è un bene per l’Italia. Siamo però convinti che ci voglia intransigenza nei confronti di altri tipi di immigrazione: quella criminale, che deve essere penalmente perseguita subito e duramente, e quella clandestina, contro cui bisogna intervenire per evitare che l’Italia diventi il vespasiano d’Europa".

Immigrazione: Maroni; ma un’emergenza romena non esiste

 

Dire, 16 maggio 2008

 

"Nell’ottica di un’emergenza di sicurezza generale non esiste una sotto emergenza romena, che è una comunità ben integrata". Lo ha affermato il ministro dell’Interno Roberto Maroni, al termine dell’incontro, ieri, con il suo omologo romeno Cristian David, sottolineando "che non esiste un problema di comunità romena in Italia, ma un problema di sicurezza sentito dai cittadini e al quale il governo vuole dare risposte immediate".

Riguardo, invece, alle critiche piovute in questi giorni sui provvedimenti in materia di sicurezza ed ordine pubblico che il governo starebbe varando, il ministro spiega che le "critiche di questi giorni sono utili, alcune bizzarre, mentre altre sono infondate, come quella di voler ridurre, o addirittura eliminare la possibilità di chiedere asilo.

Quest’ultima – aggiunge - è una sciocchezza". Noi applichiamo, dichiara ancora Maroni, "le direttive Ue proprio per evitare le reazioni dei cittadini come è successo a Napoli". Il responsabile del Viminale riconosce, inoltre, "il buon lavoro fatto da Amato nel rapporto con gli enti locali e nell’attuazione rigorosa della direttiva sulla circolazione dei cittadini Ue". Questo, conclude il ministro, "è il solco su cui ci muoviamo: colpire i criminali per i fatti da loro commessi sulla base del principio che la responsabilità penale è personale".

Droghe: Giovanardi; drogarsi è reato… come l’inquinamento

 

Ansa, 16 maggio 2008

 

"Drogarsi è illecito: come non è consentito inquinare l’ambiente, non si può consentire che la gente si inquini dentro": lo ha detto il sottosegretario alla famiglia Carlo Giovanardi, spiegando ai giornalisti le sue idee in merito di politiche antidroga.

"Bisogna rifare il dipartimento smantellato due anni fa, che è davvero una plancia di comando all’interno della quale coordinare le politiche internazionali, quelle nazionali, quelle di repressione e quelle di prevenzione. Rifaremo entro l’anno la conferenza internazionale sulle tossicodipendenze, con l’invito a tutti gli operatori del settore pubblico e del sociale".

Marco Perduca, vicepresidente del Senato, esponente del Partito Radicale ed eletto nelle liste del Pd, saluta l’annuncio da parte del sottosegretario Carlo Giovanardi della convocazione, a fine 2008-inizio 2009, della Quarta Conferenza sulle tossicodipendenze, già dato dal titolare della delega alla droga due giorni fa e ribadito oggi nel corso di un convegno.

Perduca aggiunge però che "prima di rivedere l’avvio di riforma del ministro Ferrero, occorre valutare scientificamente quanto due anni di approccio socio-sanitario alle tossicodipendenze è riuscito a ridurre in termini di aggravamento dei danni provocati dalla legge Fini-Giovanardi". E a proposito del ripristino del Dipartimento antidroga, anch’esso annunciato da Giovanardi due giorni fa e ribadito oggi, secondo Perduca "riaccorpare tutto nel Dipartimento è un ritorno al passato del quale nessuno sente il bisogno".

"Accogliamo con favore la proposta di Carlo Giovanardi di riaprire il dipartimento nazionale per le politiche antidroga, chiuso dal governo Prodi nonostante gli importanti risultati raggiunti. Il ministero per le Politiche giovanili è pronto ad offrire la sua completa collaborazione, affinché la struttura di supporto possa trovare una collocazione e un dimensionamento adeguati, nonché un’operatività immediata". Lo ha dichiarato Giorgia Meloni, ministro per le Politiche giovanili.

 

 

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