Rassegna stampa 10 maggio

 

Giustizia: il "Pacchetto Berlusconi" riforma la legge Gozzini

di Francesco Grignetti

 

La Stampa, 10 maggio 2008

 

Altro che indulto. Il Pacchetto Sicurezza che Berlusconi ha sul tavolo e che presenterà il prima possibile sarà composto di due capisaldi: inasprimento della normativa sull’immigrazione e riforma radicale della legge Gozzini. Sul primo, è noto che la nuova maggioranza vuole far marciare appieno la Bossi-Fini, moltiplicando le espulsioni degli extracomunitari, e quella Direttiva europea che prevede l’allontanamento dei comunitari indesiderati.

L’escamotage, per questi ultimi, specie contro i rom, sarà di fissare la soglia del reddito legale. In mancanza di questo, niente certificato di residenza e poi, dopo novanta giorni, potrebbe scattare l’allontanamento coatto. "Per gli immigrati - conferma Roberto Calderoli - si chiedono abitazioni regolari e soprattutto che dimostrino di avere un reddito. Aggiungerei: un reddito che viene da attività lecite. Bisogna dimostrare che è una persona onesta. Altrimenti scatterà l’espulsione". "Noi - aggiunge Maurizio Gasparri, capogruppo Pdl al Senato - faremo leggi ancora più severe della Fini-Bossi per quanto riguarda l’immigrazione clandestina e solleciteremo un’azione a livello europeo che finora è mancata. Bisogna trovare un sistema per fare le espulsioni. Ma ormai questo è un tema molto sentito in Europa".

In nome della sicurezza, però, sarà la Gozzini la prima vittima. "È una legge superata", scandisce Nicolò Ghedini, deputato Pdl e avvocato, il consigliere più ascoltato da Berlusconi in tema di giustizia. È dunque nelle intenzioni del nuovo governo di trasformare radicalmente il sistema dei premi per buona condotta e delle detenzioni alternative al carcere. Per alcuni reati ad alto impatto sociale (furti, rapine, droga, stupro) i benefici non ci saranno più o comunque saranno fortemente ridimensionati. E sarà molto più complicato ottenere gli arresti domiciliari.

Ugualmente ci sarà un intervento drastico sulla sospensione condizionale della pena, ovvero quel meccanismo, abbastanza incomprensibile ai comuni mortali, che permette a chi è stato condannato (in genere fino a tre anni) di non entrare o uscire immediatamente dal carcere. Ciò significa oggi un vorticoso turn-over. Di gente arrestata dalla polizia ce n’è tanta, ma poi esce quasi subito. Uno che ha visto il problema da vicino è stato Giuliano Amato, che proprio ieri, al suo primo giorno da ex, ci ha ironizzato amaramente: "In Italia, c’è più la certezza delle detenzione preventiva che non la certezza della pena. La maggioranza di chi è dentro deve ancora subire un processo; poi, appena processati e condannati, la maggior parte esce".

Ma è appunto sulla cosiddetta "certezza della pena" che il governo vuole intervenire. Spiega ancora Ghedini: "La sospensione condizionale ormai si dà con troppa facilità. Senza condizioni, si potrebbe dire. Invece il detenuto deve dimostrare di meritarsela. In certi casi, poi, l’effetto rieducativo della pena deve consistere nello scontarla, questa benedetta pena".

Se quindi si ritoccherà la Gozzini, l’effetto sarà di ritardare le semilibertà, ridurre gli affidamenti ai servizi sociali, e anche tagliare gli sconti di pena. Se ci saranno meno automatismi nella sospensione condizionale, di nuovo gente in cella. Risultato: più detenuti resteranno dietro le sbarre, presto le carceri saranno piene come uova. Il che, però, è appunto ciò che l’esecutivo vuole. E lo farà per decreto. Insiste Ghedini: "Mica possiamo aspettare i tempi di un disegno di legge. Ci vorrebbero sei mesi tra Bicameralismo perfetto, commissioni Giustizia, ritocchi, discussioni... Così, come minimo, si arriva a Natale. Il cittadino vuole vedere subito i primi risultati".

Giustizia: il dl "anti-indulto" nel primo Consiglio dei Ministri

di Mattia Feltri

 

La Stampa, 10 maggio 2008

 

Il nuovo Pacchetto Sicurezza, dicono i collaboratori di Silvio Berlusconi, è già pronto ed è sul tavolo del premier. Come se avesse costruito i provvedimenti intanto che li annunciava, sotto forma di promesse, in campagna elettorale. Le soluzioni progettate dal ministero sono molto dure, prevedono l’espulsione degli immigrati senza reddito, un’energica riduzione dei premi ai detenuti, il blocco all’ormai automatica sospensione condizionale della pena per chi è stato condannato a meno di tre anni. Ognuno giudicherà il profilo delle scelte, ma il punto non è questo. Il punto è la rapidità dell’esecutivo e la corrispondenza con gli impegni presi prima del voto.

Per non perdere un minuto, Berlusconi e i suoi hanno deciso di ricorrere al decreto legge (con cui rendere immediatamente esecutive le norme) anche per i capitoli del pacchetto dei quali, normalmente, dovrebbe occuparsi il Parlamento; lo approveranno nel primo Consiglio dei Ministri utile, e aggireranno le trappole e le lungaggini dei lavori d’aula. In un mese, o poco più, l’Italia avrà nuovi strumenti per combattere la criminalità. Con qualche ragione i partiti di minoranza si lagneranno per lo svuotamento dell’essenza parlamentare della nostra democrazia, ma siccome il Paese ha giudicato emergenza fra le emergenze quella della sicurezza, Berlusconi risponde e se ne infischia della prassi.

La differenza con il gabinetto di Romano Prodi - rissaiolo e macchinoso per sua stessa composizione - è evidente almeno sul piano dell’agilità. Il centrosinistra valutò la questione criminale con terribile ritardo, e poi dimostrò di avere troppi partiti con troppe linee per trovarne una chiara. Nella storia del secondo governo Prodi rimarrà invece l’indulto, sollecitato da Karol Wojtyla e votato da tutti, anche da Forza Italia, tranne che da Lega, An e Idv; le ragioni umanitarie erano sacrosante, ma la politica diede prova di non comprendere che aria tirasse in Italia.

Giustizia: pene più pesanti e "stretta" sui benefici ai detenuti

di Liana Milella

 

La Repubblica, 10 maggio 2008

 

La destra ci gira intorno da più di una dozzina d’anni, come la panacea che risolve d’un colpo tutti i problemi dell’immigrazione clandestina. Da sempre è il cavallo di battaglia della Lega, il reato più agognato che, se scritto nel codice penale, manderebbe in visibilio il popolo del Carroccio. Adesso la soluzione - il nuovo delitto di immigrazione clandestina - è bella che scritta tra i 40 articoli che Niccolò Ghedini, il più ascoltato consigliere di Berlusconi sulle grane della giustizia e della sicurezza, ha preparato e fatto circolare tra i nuovi ministri, soprattutto i due dell’Interno Roberto Maroni e della Giustizia Angelino Alfano, in vista della prima riunione dell’Esecutivo subito dopo la fiducia. Sono solo poche righe, ma pesantissime: prevedono che possa essere accusato d’immigrazione clandestina, e quindi immediatamente espulso, chiunque si trovi in Italia illegalmente, violando le norme della legge Bossi-Fini.

È una svolta d’inaudita asprezza nelle politiche di accoglienza. È la via spiccia che salta qualsiasi procedura più complessa per espellere chi non ha né documenti né titoli per soggiornare in Italia, ma soprattutto per bloccare i clandestini che tentano di raggiungere le nostre coste con i barconi. È anche il punto più delicato di una manovra anticrimine molto più ampia e già definita che prevede aumenti di pena per i reati di grave allarme sociale, blocco dei benefici ai detenuti e processi per direttissima.

Se su tutto il resto non ci sono dubbi, il capitolo dell’immigrazione è il più delicato soprattutto perché il Cavaliere vuole trasformare il pacchetto sicurezza in un decreto legge che, come tale, deve avere il pieno appoggio del capo dello Stato per la firma. Ma esistono i presupposti di necessità e urgenza per introdurre su due piedi il reato d’immigrazione clandestina?

Napolitano sarà d’accordo o pretenderà invece un passaggio parlamentare molto più ampio, e quindi imporrà un disegno di legge? Ghedini sta lavorando fitto per raccogliere un pieno consenso e andare diritto verso il decreto perché, come ha spiegato a più di un interlocutore, "la gente ci chiede risposte concrete e immediate contro la criminalità". Un dibattito tra Camera e Senato irto di contestazioni non sarebbe la via più rapida per realizzare subito il pacchetto sicurezza.

Che, immigrazione a parte, si annuncia durissimo contro gli autori dei reati di strada. A cominciare dall’aumento delle pene minime che si trascineranno dietro, come inevitabile conseguenza, non solo l’impossibilità di accedere ai benefici carcerari, ma anche lo stop alla sospensione condizionale della pena.

I reati sono già stati individuati: minacce alle persone, scippi, violazione di domicilio, furti e rapine in appartamento, danneggiamenti, maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale su donne e bambini. Per le violenze sugli handicappati e sugli over 70 è prevista una circostanza aggravante. Compare nel codice anche un nuovo reato, la rapina in abitazione, che sarà punita da 4 a 20 anni. L’introduzione fraudolenta in una casa passa da una pena minima di 1 anno 2 anni, lo stesso per il furto, mentre la rapina andrà da 4 anni e mezzo a 6. Altra novità sarà l’arresto facoltativo in flagranza contro chi guida in stato di ebbrezza.

Di pari passo è ovvia la stretta sulla vita dei detenuti perché l’aumento delle pene minime impedisce di poter fruire di agevolazioni come l’affidamento in prova ai servizi sociali grazie al quale oggi non va neppure in carcere chi ha avuto una pena inferiore ai tre anni. Ma la mano pesante del Berlusconi-quater è destinata a farsi sentire non solo su chi è recidivo, ma anche su chi ha commesso reati di grave allarme sociale, quelli che fanno schizzare verso l’alto tutti gli indicatori della paura. Chi ha compiuto più volte lo stesso crimine non potrà accedere ad alcun beneficio carcerario, abbuoni parziali, permessi premio, semilibertà saranno tutti aboliti. È la formula più gettonata, già sperimentata in forma meno dura nella legge Cirielli, per garantire la certezza della pena.

E per rispondere alla lamentela tante volte messa giù dallo stesso capo della polizia Antonio Manganelli, ma più volte anche dall’ex ministro dell’Interno Giuliano Amato - "Le forze dell’ordine arrestano, ma i magistrati non danno seguito con la necessaria tempestività al processo" - ecco altre due innovazioni per arrivare rapidamente alla condanna. Il rito direttissimo non sarà più facoltativo, ma il pubblico ministero dovrà necessariamente farvi ricorso di fronte a una confessione dell’arrestato. Del pari, il pm dovrà saltare l’udienza preliminare e andare al giudizio immediato se si trova di fronte a una prova evidente di colpevolezza.

Berlusconi punta in alto. Vuole farcela proprio laddove ha fallito il governo Prodi che ha lasciato per strada il suo pacchetto sicurezza, non ha approvato la riforma della Bossi-Fini corretta con la Amato-Ferrero, e non è neppure riuscito a convertire in legge il decreto sulle espulsioni dei cittadini comunitari. Il premier vuole incassare il pacchetto sicurezza alla prima prova di governo e farne il vessillo per chi ha votato a destra sperando di garantirsi città più sicure. Ma la strada si annuncia tutta in salita perché non sarà facile convincere Napolitano che la via del decreto legge è quella più opportuna.

Giustizia: Amato; detenzione preventiva più certa della pena

 

Dire, 10 maggio 2008

 

In Italia c’è "più certezza di detenzione preventiva, che di pena". Lo ha detto l’ormai ex ministro dell’Interno Giuliano Amato, intervenendo al Quirinale alle celebrazioni per la Giornata dell’Europa. "Sono stupito- continua- del fatto che riusciamo ad avere un numero di detenuti sempre maggiore a quello dei posti che garantiscono una convivenza civile nelle carceri". La legge, poi, ricorda Amato, prevede che chi "è in regime di detenzione preventiva deve stare in luoghi separati da quelli di chi sconta la pena, ma non sempre siamo in grado di soddisfare questa condizione". E questo è "un problema di responsabilità nazionale di applicazione dei diritti previsti dalle norme".

Giustizia: Aldo Moro; 30 anni dalla morte, ancora tanti misteri

 

Asca, 10 maggio 2008

 

Trenta anni e ancora tanti misteri, dal rapimento alla morte, da via Fani a via Caetani. In 55 giorni si consuma il dramma di Aldo Moro, rapito dalle Br il 16 marzo 1978 e ritrovato cadavere nel bagagliaio di una Renault 4 in una strada del centro di Roma, tra piazza del Gesù, dove aveva sede la Dc, e Botteghe Oscure, quartier generale del Pci. Nella cronaca dell’Ansa e nella documentazione raccolta dalla Reazione Dea la ricostruzione di quei giorni, 30 anni dopo. Cronologia dei fatti principali dei 55 giorni del rapimento Moro:

16 marzo: poco dopo le 9 un commando delle Brigate Rosse entra in azione a via Fani, a Roma. In pochi minuti, dopo avere bloccato con un tamponamento le auto del presidente Dc AldoMoro, le Br uccidono i 5 uomini di scorta (due carabinieri e tre poliziotti) e portano via Moro su una Fiat 132 blu. Poco dopo rivendicano l’azione con una telefonata all’ANSA. Cgil, Cisl eUil proclamano lo sciopero generale. In serata il governo Andreotti, il primo con il voto favorevole del Pci, ottiene la fiducia alla Camera e al Senato.

18 marzo: arriva il Comunicato n. 1 delle Br, che contiene la foto di Moro e annuncia l’inizio del ‘processò. Funerali degli uomini della scorta. - 19 marzo: Papa Paolo VI lancia il suo primo appello per Moro.

20 marzo: al processo di Torino, il nucleo storico delle Br rivendica la responsabilità politica del rapimento.

21 marzo: il governo approva il decreto antiterrorismo.

23 marzo: il Pci approva la linea della fermezza.

25 marzo: le Br fanno trovare il Comunicato n. 2.

29 marzo: arriva il Comunicato n. 3 con la lettera al ministro dell’Interno Cossiga in cui Moro dice di trovarsi "sotto un dominio pieno e incontrollato" e accenna alla possibilità di uno scambio. Moro non voleva renderla pubblica, ma i brigatisti scrivono che "nulla deve essere nascosto al popolo". Recapitate anche altre lettere indirizzate alla moglie e a Nicola Rana.

30 marzo - La direzione Dc approva la linea della fermezza.

2 aprile - A Zappolino (Bologna) si svolgerebbe la seduta spiritica dalla quale esce l’indicazione "Gradoli".

4 aprile - Arriva il Comunicato n. 4, con una lettera al segretario della Dc Benigno Zaccagnini. "Moralmente - scrive Moro - sei tu ad essere al mio posto".

6 aprile - Le Br consegnano alla moglie di Moro una lettera in cui il presidente Dc la invita a fare pressioni contro la linea della fermezza. Le forze dell’ordine controllano l’intero paesino di Gradoli, nella zona di Bolsena.

7 aprile - Il Giorno pubblica una lettera di Eleonora Moro al marito. La famiglia tiene un linea autonoma, rispetto alla "fermezza" del governo.

10 aprile - Le Br recapitano il Comunicato n. 5 e una lettera di Moro a Taviani, che contiene forti critiche.

15 aprile - Il Comunicato n. 6 annuncia la fine del "processo popolare" e la condanna a morte di Aldo Moro.

17 aprile - Appello del segretario dell’Onu Waldheim.

18 aprile: Grazie a un’infiltrazione d’acqua, è scoperto il covo di via Gradoli 96. I brigatisti (Moretti e Balzerani) sono però assenti. A Roma viene trovato un sedicente Comunicato n. 7 che annuncia l’esecuzione di Moro il cui corpo sarebbe nel Lago della Duchessa. Il comunicato, falso in modo evidente, è però oggetto di verifiche. Per giorni il corpo di Moro sarà cercato, con grande schieramento di forze, in un lago di montagna, tra le province di Rieti e L’Aquila, ghiacciato da mesi.

20 aprile - Moro è vivo. Le Br lasciano il vero Comunicato n. 7 insieme a una foto di Moro con un giornale del 19 aprile. Zaccagnini riceve un’altra lettera di Moro.

21 aprile - la direzione Psi è favorevole alla trattativa.

22 aprile - messaggio di Paolo VI agli "Uomini delle Brigate rosse" perché liberino Moro "senza condizioni".

24 aprile - il Comunicato n. 8 delle Br chiede in cambio di Moro la liberazione di 13 Br detenuti, tra cui Renato Curcio. Zaccagnini riceve un’altra lettera di Moro, che chiede funerali senza uomini di Stato e politici.

29 aprile - È il giorno delle lettere. Messaggi di Moro sono recapitati a Leone, Fanfani, Ingrao, Craxi, Pennacchini, Dell’Andro, Piccoli, Andreotti, Misasi e Tullio Ancora. Moro scrive che lo scambio è la sola via di uscita.

30 aprile - Un brigatista (sembra Moretti) telefona a casa Moro e dice che solo un intervento di Zaccagnini, "immediato e chiarificatore" può salvare la vita del presidente Dc.

2 maggio - Craxi indica i nomi di due terroristi ai quali si potrebbe concedere la grazia per motivi di salute.

5 maggio - Andreotti ripete il no alle trattative. Il Comunicato n. 9 annuncia: "Concludiamo la battaglia cominciata il 16 marzo, eseguendo la sentenza". Lettera di Moro alla moglie: "Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza, giunge incomprensibilmente l’ordine di esecuzione".

9 maggio - Verso le 13.30, in via Caetani (vicino alle sedi di Dc e Pci), dopo una telefonata di Morucci avvenuta poco prima delle 13, la polizia trova il cadavere di Moro nel portabagagli di una Renault 4 rossa. Era in corso la direzione Dc, dove sembra che Fanfani stesse per fare un discorso aperto alla trattativa. Moro sarebbe stato ucciso la mattina presto nel garage di via Montalcini, il covo usato dai brigatisti come "prigione del popolo".

Giustizia: vittime terrorismo, trattate peggio degli assassini

di Stefano Zurlo

 

Il Giornale, 10 maggio 2008

 

Non è andato a Roma per il Giorno della memoria. "Hanno invitato i miei fratelli, non me - spiega Lorenzo Conti, figlio di Lando, l’ex sindaco di Firenze ucciso dalle Brigate rosse il 10 febbraio 1986 - comunque io non mi sarei mosso da casa".

 

Perché?

"Perché io esigo almeno il rispetto e il rispetto le istituzioni non me l’hanno mai dato. Invece gli uomini delle istituzioni sono prodighi di attenzioni per chi sparava. Io non mi faccio prendere in giro".

 

Due pesi e due misure nella nostra società?

"Sì, almeno sul versante dell’album di famiglia della sinistra. Basta aprire i giornali. Ogni giorno c’è un Curcio, un Franceschini, una Baraldini che pontifica a convegni, trova editori illustri per i propri libri, riceve borse di studio. Noi...".

 

Voi? Voi parenti delle vittime?

"Noi siamo stati dimenticati. Quanti parlamentari o ministri hanno perso due ore del loro tempo prezioso per andare a trovare i figli di uno dei tanti carabinieri o poliziotti uccisi dai terroristi? A casa nostra, non è mai venuto nessuno".

 

Oggi la sensibilità sta cambiando.

"Mah. Nella legislatura appena terminata ho ricevuto un doppio schiaffo: Sergio D’Elia, che fu uno dei capi della struttura toscana di Prima linea, è stato eletto parlamentare, poi, come se non bastasse, è diventato segretario d’aula alla Camera".

 

Questa volta non è stato ricandidato. Non è un segno di quel rispetto che lei e altri chiedono?

"Solo all’apparenza, perché poi fra i Radicali eletti nelle liste del Pd c’è Elisabetta Zamparutti, sua moglie".

 

Le responsabilità sono personali. Non le pare?

"Certo, ma questa signora ha elogiato pubblicamente il marito dicendo che si è sempre battuto per la vita. Ma perché ci offendono in questo modo?".

 

Ma lei cosa vorrebbe? Chi sparava dovrebbe essere emarginato per sempre dalla società?

"Ma no, ha tutto il diritto di reinserirsi, ci mancherebbe. Però la riabilitazione è un’altra cosa. Quella, e la mia non è ironia, spetterebbe a noi che portiamo sulla pelle cicatrici indelebili. E invece siamo relegati nel limbo. Poi, una volta l’anno o giù di lì, ci scongelano per la solita cerimonia. Troppo comodo".

 

Lei non vuole chiudere il passato?

"Lo Stato dovrebbe dialogare con noi, prima di seppellirlo. L’ho detto: chiedo rispetto. Lo so io cosa abbiamo passato: mio padre fu ucciso ventidue anni fa e dalla sera alla mattina la mia famiglia, benestante anzi ricca, si trovò in una situazione difficilissima. Facile dare una pacca sulla spalla e dimenticare: io e i miei fratelli avevamo vent’anni. Non sapevamo nulla dell’attività paterna. Fummo costretti a chiudere le due concessionarie di famiglia e a licenziare 150 persone. Fummo costretti a vendere la villa al mare, con tutti i nostri ricordi e tante altre cose. Quel gesto condiziona la mia vita minuto per minuto. Mi spiace, ma per me quel dramma non rappresenta il passato, ma il presente. Invece, nessuno ci ha chiesto niente".

Giustizia: Priebke invitato a presiedere concorso di bellezza…

 

La Repubblica, 10 maggio 2008

 

L’idea è venuta al titolare di un’agenzia di pubblicità di Roma. Voleva il nazista a presiedere la giuria di "Star of the Year". La sua risposta: "Vorrei andare ma non posso".

L’ex capitano delle Ss e le miss. L’artefice del bizzarro accostamento è il titolare di una agenzia di pubblicità, che ha pensato di invitare Erich Priebke, uno degli esecutori della strage nazista delle Fosse Ardeatine a presiedere un concorso di bellezza. Un’iniziativa che ha creato immediate polemiche, proprio per la scelta del giurato, uno degli autori di una delle stragi più efferate dell’ultimo conflitto mondiale, per la quale sta ancora scontando l’ergastolo agli arresti domiciliari. "È la più grande cavolata e stupidaggine che ho sentito dire", è solo uno dei commenti che vengono dal ghetto ebraico.

L’idea è venuta a Claudio Marini, 35 anni, imprenditore, titolare di un’agenzia di pubblicità e spettacolo che da nove anni organizza "Star of Year", il concorso al quale ha invitato appunto, inviandogli una lettera, Priebke. Non per intenti pubblicitari, si difende Marini, ma per "promuovere questo processo di pacificazione di cui tutti parlano". "A distanza di 63 anni - spiega Marini - , quest’uomo di 95 anni subisce ancora le conseguenze dell’ultimo conflitto mondiale. Almeno per un giorno sarebbe libero e sarebbe davvero un modo per fare la pace davvero".

E l’ex capitano delle Ss? "Mi sarebbe piaciuto andare dice - Priebke - per tornare almeno un giorno libero alla vita normale che non ho fatto ora per quasi per più di 14 anni". Un desiderio che non tradisce imbarazzi. "Non ne avrei - continua Priebke - Come sanno tutti io sono il detenuto più anziano del mondo. Non credo che andrò però mi piacerebbe molto".

Le reazioni. Non si sono fatti attendere i commenti all’iniziativa di Marini. Nel ghetto ebraico l’incredulità è mista allo sdegno: "Hanno pure il coraggio di chiamarlo - dice un anziano -. Quello ha fatto ammazzare mio padre alle fosse Ardeatine.

Giustizia: Cossiga; Alfano, attento che ti arrestano la moglie...

 

www.radiocarcere.com, 10 maggio 2008

 

"Sono molto affezionato al giovane ministro della Giustizia Angelino Alfano, figlio di un democristiano e da ragazzo democristiano lui stesso. Ha fatto bene a dichiarare che non ci sarà nessuna riforma dell’ordinamento della magistratura, perché altrimenti si sarebbe ritrovato la moglie arrestata prima ancora che giurasse al Quirinale". Lo afferma il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga.

"Alfano - spiega Cossiga - ha detto che nulla vi è nel programma, ma anche se vi fosse ci penserebbero i non pochi seguaci di Alfredo Rocco, grande Guardasigilli di Benito Mussolini, a impedire che si renda attuale in Italia la parità tra accusa e difesa e la effettiva terzietà del giudice nell’unico modo possibile e proprio di tutti gli ordinamenti occidentali, cioè con la divisione tra Pm e giudici".

"Il mio consiglio ad Alfano - dice l’ex capo dello Stato - è di introdurre subito l’unico provvedimento che la gran parte dei magistrati (per fortuna non tutti) considerano essenziale per la Giustizia: l’aumento, meglio se al doppio, degli stipendi. E poi, avendo già attuato l’avanzamento per anzianità senza demerito, quello che è il vero obiettivo dell’Anm: l’avanzamento di carriera soltanto per anzianità anche in caso di demerito, in vista del traguardo finale: l’anzianità congiunta al demerito".

"Avanti tutta - dice ancora Cossiga - che forse riusciremo a introdurre il principio proprio dei regimi autoritari e dell’inquisizione cattolica e calvinista: quello della presunzione di colpevolezza. Forza Angelino che ce la fai! E se mi dai retta, trasferisci subito la residenza di tua moglie a Roma per sottrarla alla competenza della Procura di Palermo".

Napoli: Bassolino a Maroni; più soldi per battere criminalità

di Mario Pepe

 

Il Mattino, 10 maggio 2008

 

"L’opposizione deve collaborare con la maggioranza e votare aumenti di stanziamenti nella prossima Finanziaria"- Il governatore telefona al neo-ministro dell’Interno, Maroni: "Nuovi interventi per la lotta alla criminalità".

Antonio Bassolino telefona al ministro dell’Interno, Roberto Maroni, per il rituale "in bocca al lupo" ma anche per lanciare un Sos al Governo sul tema sicurezza. A margine della riunione della Giunta a Casal di Principe, nel corso della quale sono stati approvati alcuni provvedimenti in materia di beni confiscati alla camorra, il presidente della Regione afferma che "ci sono tutte le condizioni per avere anche con il ministro Maroni un forte rapporto di collaborazione, così come lo abbiamo avuto con Amato che ringrazio per tutto quello che ha fatto per il nostro territorio".

Bassolino parla della telefonata con Maroni: "Gli ho detto "in bocca al lupo" e mi ha risposto "crepi". Ho già avuto un ottimo rapporto di collaborazione quando io ero sindaco di Napoli e lui ministro dell’Interno. Siamo pronti a confrontarci, a Napoli e a Roma, su un tema cosi importante". Bassolino si dice "fiducioso del fatto che vi saranno nuovi interventi concentrati in materia di lotta alla criminalità organizzata" ma, prosegue, "vanno mantenuti gli impegni nell’ambito delle rispettive attribuzioni di Stato, Regione ed Enti Locali.

La sicurezza è una competenza statale, già troppe volte in questi anni, stanziando soldi per i sistemi di sicurezza dei Tribunali e la sorveglianza, ci siamo sostituiti allo Stato centrale. Vogliamo fare la nostra parte, ma per quelle che possono essere le nostre prerogative". E ancora: "Il mio augurio è che lo Stato investa molto di più in giustizia e sicurezza a partire dalla prossima Finanziaria. Io non ho mai guardato al colore politico di chi è alla guida della nazione, io governo ed ho il dovere di collaborare con l’Esecutivo centrale, ci sia Prodi o ci sia Berlusconi. E credo che, in occasione del varo della prossima manovra finanziaria, il Pd debba lavorare e collaborare con la maggioranza per tagliare le spese superflue e destinare più soldi alla sicurezza".

Poi Bassolino sposta il tiro sul panorama politico e ribadisce i concetti espressi nella Direzione regionale del Pd dell’altro ieri. "Il Partito democratico non può farcela da solo, ha bisogno di nuove alleanze, che dovranno essere costruite guardando alla sua destra e alla sua sinistra: dove ci sono una parte dell’Udc che non tornerà a destra, e una sinistra critica che può dissociarsi da quella del no" afferma.

Poi spiega che "la vecchia Unione non teneva più. È impossibile immaginare una intesa con tutta la Sinistra Arcobaleno. Bisognerà, però, fare attenzione a quello che succederà in questa sinistra, cercando di interloquire con quella sinistra critica, che in Italia ha un suo spazio, e che è cosa diversa dalla sinistra del no - dice -. Ma anche al centro si aprono prospettive interessanti per il Pd. L’Udc ha ottenuto un risultato inferiore rispetto alle sue attese, e c’è certamente chi è rimasto deluso e guarderà al centrodestra, ma c’è anche un’altra parte, che invece non ci andrà".

Poi Bassolino lancia anche un avvertimento, alla luce dei risultati delle Amministrative. "Anche nel 2001 Berlusconi vinse, ma subito dopo noi vincemmo nella grandi città - afferma - stavolta abbiamo perso a Roma, e per la prima volta nella capitale viene eletto un esponente della destra. È su questo grande cambiamento che dobbiamo riflettere". Lo stesso governatore aggiunge che "a Napoli e in Campania governiamo ancora abbiamo tempo per vedere se anche qui la conclusione del ciclo politico significherà, come a Roma, la svolta a favore del centrodestra, o se si potrà ancora andare avanti, in modo diverso dal passato".

Napoli: la "ronda" dei nonni, contro gli immigrati e i teppisti…

di Marisa La Penna

 

Il Mattino, 10 maggio 2008

 

Porta Capuana, ronde al posto dei vigili. I cittadini presidiano l’isola pedonale con paletta e fischietto: stop a chi imbratta i monumenti e ai giovani in scooter. Si sono divisi il territorio in pattuglie che operano a turno: hanno più di 60 anni. Due giorni fa tensione e botte.

Al posto dei vigili. Per riaffermare il controllo del territorio e per respingere i violenti: gli immigrati che si ubriacano e i piccoli teppisti. Un po’ più dei nonni civici. E molto più vicini alle ronde venete. Il più giovane ha 62 anni, il più vecchio ha superato abbondantemente i 70. Non hanno - ovviamente - un fisico da rambo, sono armati di paletta e fischietto ma tengono ordine nella piazza. Sono i figli e i nipoti degli "arditi d’Italia", l’associazione dei reduci della guerra del 15-18.

Sotto le torri di una Porta Capuana recentemente restituita agli antichi splendori dopo un lungo e costoso maquillage, sei cittadini sorvegliano a turno l’area pedonale con un compito preciso: ostacolare sul nascere qualsiasi azione che possa arrecare degrado alla zona. Ovvero: fare in modo che i disperati dell’Est non si ubriachino nei giardinetti, evitare che maghrebini facciano i loro bisogni dietro la statua, strigliare i piccoli delinquenti napoletani che in scooter e senza casco violano l’area pedonale.

Si definiscono volontari dell’ordine e si sostituiscono ai vigili urbani. Hanno diviso la giornata in turni di un paio d’ore ognuno e presidiano la piazza. La maggior parte degli stranieri che abitualmente frequentano la zona li conoscono e li rispettano. Ma qualche volta si oppongono ai divieti e allora la tensione sale. Come l’altro pomeriggio quando un polacco ha rischialo di essere linciato dalla folla dopo essersi abbassato i pantaloni per fare i suoi bisogni nei giardinetti antistanti le due torri aragonesi, davanti a donne e bambini. Antonio Piccolo è un ex scugnizzo e a Porta Capuana giocava a pallone oltre mezzo secolo fa.

Ora ha 62 anni, è un socio del circolo "Arditi d’Italia" e due ore al giorno le dedica alla ronda. "Per carità non chiamatela così, ha un che di fascista. E noi non lo siamo. Siamo invece dei volontari che si sostituiscono alle forze dell’ordine che, come si può ben vedere, in questa piazza sono assenti", precisa subito Antonio, il più giovane.

Gennaro Garrese di anni ne ha 63. È un operaio in pensione dell’Alfa di Pomigliano. Suo nonno fu reduce della Grande Guerra. "Abito lì", dice mostrando un palazzetto che affaccia su Via Carriera Grande, oggi monopolizzata dai cinesi. Spiega: "Sto vedendo questo quartiere morire giorno dopo giorno. Sembriamo ospiti nella nostra terra. Ma non voglio essere scambiato per razzista. Finché gli immigrati si comportano civilmente e noi siamo ben contenti di vederli qui con noi, a prendere il sole sulle panchine. Il problema è che spesso cercano oasi come queste per ubriacarsi".

Filippo Miccio ha 68 anni. Ed è esile come un fuscello. Eppure è lui che meglio di tutti mette in fuga i giovanissimi centauri che, facendo impennare i loro scooter, tentano di violare l’isola. Il presidio di volontari piace nel quartiere, un’iniziativa destinata sicuramente a scatenare polemiche e forse a estendersi ad altre zone

Foggia: a San Severo convegno sul volontariato nel carcere

 

Il Grecale, 10 maggio 2008

 

La Caritas Diocesana di San Severo e l’Associazione di Volontariato Penitenziario "Nuovi Orizzonti" in collaborazione con il Centro Sociale di Volontariato (CSV) Daunia hanno organizzato un Convegno Formativo sul tema: "Un ponte tra carcere e società. Testimonianze di volontariato e solidarietà". L’incontro è previsto alle giovedì 15 maggio alle 18.30 presso "Casa Eirene" in via Daunia, 41.

Al convegno interverranno Monsignor Lucio Angelo Renna, Vescovo di San Severo e Presidente della Caritas Diocesana, Michele Santarelli, Sindaco di San Severo, Giorgio Di Munno, dirigente del commissariato locale, Davide di Florio, Direttore dell’Istituto Penale di San Severo e Padre Carmelo di Giovanni, sacerdote pallottino, Cappellano dei detenuti italiani a Londra. Le conclusioni saranno affidate a Dino d’Aloia, Responsabile dell’Associazione "Nuovi Orizzonti". La tavola rotonda sarà moderata da Raffaele Niro, volontario dell’Associazione "Nuovi Orizzonti".

"La Caritas con la sua attività di animazione alla testimonianza della carità nella comunità cristiana e nel territorio - afferma don Andrea Pupilla, Vicedirettore della Caritas sanseverese - esprime l’attenzione della Chiesa verso le persone detenute, facendosi carico dei loro bisogni, puntando al pieno reinserimento socio-lavorativo, attuando percorsi di liberazione dentro e fuori il carcere, promuovendo attività di volontariato all’interno del carcere con la speranza di costruire ponti con il territorio che talvolta sembra ignorare questa realtà". "È bene far passare a tutti anche attraverso le "sbarre" la Buona Notizia - aggiunge don Andrea - ed è con questa convinzione che ascolteremo la testimonianza di un prete pallottino, padre Carmelo, che da 35 anni si occupa degli italiani detenuti nelle carceri di Londra e della comunità degli emigrati italiani all’estero".

Rimini: polizia penitenziaria chiede rinforzi, ma non arrivano

 

www.newsrimini.it, 10 maggio 2008

 

A farlo presente è la Funzione pubblica della Cgil che, in rappresentanza della polizia Penitenziaria, ha inviato una lettera al Capo e al Provveditore Regionale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. I problemi evidenziati sono la carenza d’organico e la scarsa ricettività del carcere dei Casetti. Il sindacato ricorda come ogni estate la popolazione detenuta passi dai 120 tollerabili a 250 con un periodo di detenzione molto breve che causa un aumento del carico di lavoro.

In questo periodo poi, a causa di lavori di ristrutturazione in corso, il numero delle sezioni detentive è ridotto con un conseguente ammassamento dei detenuti. Situazione appurata ieri anche dal Responsabile Nazionale Cgil per la Polizia Penitenziaria Francesco Quinti, che si è impegnato a portare la questione al Capo del Dipartimento. A preoccupare sono anche le 15 unità, in forza all’Istituto di Rimini, ma distaccate in altre sedi. Per la Cgil è infine indispensabile anche monitorare l’ingresso dei detenuti e prevedere piani di emergenza che evitino che all’interno di celle non più grandi di 12 mq, siano ammassati 8 detenuti.

 

La nota stampa della Fp- Cgil

 

La Fp-Cgil, in rappresentanza della Polizia Penitenziaria di Rimini, ha inoltrato ieri al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), al Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria (Prap), al Sig. Prefetto della Provincia di Rimini, al Sindaco di Rimini ed a tutti i Deputati e Senatori eletti nel collegio di Rimini, una lettera relativa alla stagione estiva 2008 che sta per avere inizio con le problematiche di sempre: carenza di organico, come più volte denunciato da questa Organizzazione sindacale, e scarsa ricettività della struttura penitenziaria.

Come tutti gli anni, nella provincia di Rimini si ripresenta il problema "estate sicura" e l’attività svolta dai vari Corpi di Polizia, Statale e Municipale, si traduce puntualmente in un notevole sovraffollamento della popolazione detenuta con aumenti anche dell’ordine del 100%. Il sovraffollamento e il periodo di detenzione molto breve, che caratterizza la maggior parte dei "nuovi giunti", sono causa di un aumento del carico di lavoro nelle sezioni e negli stessi uffici.

I dati statistici confermano nuovamente che l’Istituto di Rimini risulta essere quello con il maggior numero di ingressi rispetto ad altri Istituti strutturalmente superiori e di gran lunga più ampi, nonostante in questa stagione, a causa di lavori di ristrutturazione in corso, si presenta con un numero di sezioni detentive ridotto, con un consequenziale ammassamento dei detenuti, tale situazione è stata appurata anche ieri dal Responsabile Nazionale Cgil per la Polizia Penitenziaria Francesco Quinti in visita alla struttura di Rimini.

Lo stesso si è impegnato a portare la questione dinanzi al Capo del Dipartimento, per chiedere come mai esiste un piano di emergenza estivo che interessa tutte le forze dell’ordine tranne la Polizia Penitenziaria che con una popolazione detenuta triplicata (250 detenuti presenti nel periodo estivo a fronte dei 120 tollerabili) all’interno dell’Istituto vede triplicare il proprio lavoro e i rischi. A ciò si aggiungono le numerose traduzioni per le udienze di convalida e direttissime dinanzi al Tribunale di Rimini che ogni giorno richiedono l’impegno di un grosso contingente di uomini (15 circa) e di mezzi con i relativi rischi, tutto personale che, per diminuire i rischi durante le traduzioni, deve essere sottratto dal servizio interno.

Altrettanto preoccupante è l’elevato numero di personale, 15 unità, in forza all’Istituto di Rimini che attualmente è distaccato in altre sedi. Il loro rientro in sede, per il responsabile nazionale Cgil, ha reputato essere uno tra i primi interventi urgenti da richiedere al Capo del Dap.

Allarmante, invece, in termini di sicurezza, la situazione che si presenterà fra qualche mese nell’Istituto riminese quando sarà terminata la fase della ristrutturazione e l’Istituto tornerà a pieno regime, (due sezioni attualmente sono in ristrutturazione) e con un così esiguo numero di personale difficilmente sarà possibile garantire i diritti del personale (riposi, ferie, turni di 6 ore), la loro incolumità e la sicurezza dell’Istituto stesso.

La Cgil ritiene indispensabile che Dap e Prap si facciano carico del problema ed intervengano con urgenza potenziando il contingente di Polizia penitenziaria impiegato per fronteggiare il pesante aumento dei carichi di lavoro individuali che puntualmente si determinano con la stagione estiva e che ormai si protraggono per tutto l’anno producendo turni di servizio assolutamente disagiati e un incremento di lavoro straordinario non richiesto dal personale. Un’altra priorità è l’assunzione di personale amministrativo che allo stato attuale e con il recente pensionamento di due unità, è quasi nullo tanto che il loro ruolo è ricoperto dal personale di Polizia Penitenziaria distolto dai compiti istituzionali.

È indispensabile anche monitorare l’ingresso dei detenuti e prevedere piani di emergenza che evitino che all’interno di celle, la più grande non supera i 12 mq, siano ammassati 8 detenuti che oltre a violare le più elementari regole sui diritti dell’uomo ed impedire ogni attività trattamentale (le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato "art. 27 della Costituzione"), pongono un serio problema di sicurezza.

Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria deve assumersi le proprie responsabilità ed adottare misure permanenti al fine di garantire l’ordine e la sicurezza nella Casa Circondariale di Rimini. Non vogliamo attendere, così come è capitato in altri Istituti, che gli interventi arrivino solo dopo spiacevoli episodi che hanno visto coinvolto il personale di Polizia penitenziaria.

 

Segreteria Fp-Cgil Rimini

Milano: sfilata di moda a San Vittore con cooperativa Alice

di Valentina Madella

 

Il Giorno, 10 maggio 2008

 

Il 14 maggio sfilata a San Vittore: la Cooperativa Alice esibisce la nuova collezione assieme a noti stilisti. Come si esprime la creatività di chi vive in stato di reclusione e deve trovare i propri stimoli artistici solo in sé stesso? Da 16 anni la Cooperativa Alice fornisce una risposta, sempre sorprendente, a questo interrogativo. Nata per insegnare un mestiere ai detenuti, nell’ottica di un reinserimento sociale, dal 2007 sigla i capi prodotti con un proprio marchio. Le collezioni di moda che presenta, ideate e realizzate interamente da detenuti in collaborazione con imprese esterne, si superano ogni anno per qualità e attualità.

Quest’anno la sfilata si terrà alle 15 di mercoledì 14 maggio presso la Casa Circondariale di San Vittore e i capi sfileranno assieme ai modelli dei più importanti stilisti del Made in Italy. A presentare l’evento ci sarà Barbara D’Urso. Per assistere alla sfilata basta accreditarsi entro lunedì 12 maggio, inviando copia di un documento d’identità al numero di fax 02.884 67109.

Vicenza: Csi e atletica in carcere, sfida tra studenti e detenuti

 

Giornale di Vicenza, 10 maggio 2008

 

I volontari, ammessi dentro la Casa Circondariale, già da stamattina saranno al lavoro per trasformare il campo di calcio interno al carcere di S. Pio X in Vicenza in un anello di corsa per la gara di mezzofondo, per predisporre la pedana di getto del peso e per segnare le corsie della sfida sugli 80 metri di corsa veloce.

Una decina di studenti dell’Itis Lampertico nel pomeriggio varcheranno le porte del carcere per disputare appunto una sfida sportiva tra gare di velocità, getto del peso e mezzofondo veloce (800 metri).

Non si tratta di una prima assoluta anche se l’atletica leggera nelle carceri in un contesto nazionale ha trovato spazio sino ad oggi solo a Vicenza. È iniziato tutto due stagioni fa: al S. Pio X, grazie al Csi-Centro sportivo italiano il calcio è di casa. Di qui sono passati più volte il Vicenza calcio, Pablito Rossi ed il suo Real Vicenza, tante formazioni scolastiche e del Csi, ma l’atletica ha avuto soltanto due apparizioni. Nel 2006 con il "Miglio verde" in cui ha gareggiato anche l’ex olimpionico Vittorio Fontanella e lo scorso anno quando la "nazionale" di atletica dell’Iti Rossi guidata dal responsabile prof. Gianni Peretti ha rotto il ghiaccio per il mondo della scuola.

Per l’organizzazione della manifestazione che vedrà impegnati circa 20 detenuti ed una decina di studenti/atleti saranno impegnati nell’ambito del progetto "Carcere e scuola" del Csi di Vicenza e dell’associazione "Progetto Carcere 663-Acta non verba" il presidente Csi Enrico Mastella, alcuni dirigenti, il gruppo giudici d’atletica del Csi, volontari del Csi e del gruppo sportivo La Cerniera. Le finalità dell’operazione sportiva a beneficio dei detenuti sono legate all’attività con le scuole (partite di calcio e pallavolo, corsi di educazione alla legalità) e sono finalizzate a favorire il dialogo con cittadini che, scontata la pena, usciranno dall’isolamento carcerario.

Immigrazione: piano anti-romeni, ridiscutere le regole dell’Ue

di Alberto Custodero

 

La Repubblica, 10 maggio 2008

 

Il ministro Maroni studia la possibilità di porre limiti alla libera circolazione scritta nei trattati. Intanto l’Europarlamento prepara una legge per portare a 18 mesi la detenzione nei Cpt. Misure anche per ripristinare i controlli alle frontiere.

Roberto Maroni sta studiando se e come ripristinare i controlli di frontiera nazionali per limitare l’ingresso dei nomadi, la gran parte di nazionalità romena. Ad appena 24 ore dal suo insediamento al Viminale, il nuovo ministro dell’Interno leghista ieri, al suo primo giorno di lavoro, ha voluto subito affrontare il nodo più spinoso della politica di sicurezza del centrodestra, quello che riguarda l’immigrazione.

A proposito di clandestini, le misure per rendere più efficaci le espulsioni saranno agevolate non appena il Parlamento europeo approverà una direttiva sulle espulsioni che estende fino a 18 mesi la possibilità di trattenere in un centro di permanenza temporaneo gli stranieri non identificati. Direttiva che sarà subito recepita dal governo.

Maroni, che porterà già al prossimo Consiglio dei ministri le sue prime proposte, qualche giorno fa aveva annunciato che, in caso di necessità, avrebbe "rinegoziato con la Commissione Ue le regole sulla libera circolazione, ponendo dei limiti quando in gioco c’è la sicurezza nazionale". Una risposta forte sull’immigrazione è la prova più difficile che lo attende, se si pensa che durante il governo Prodi il decreto espulsioni - fatto per allontanare dall’Italia definitivamente cittadini comunitari che delinquono, rom in testa - è caduto due volte.

Non è affatto facile, comunque, andare a dire alla Romania, il cui ingresso nell’Unione europea nel gennaio del 2007 è stato fortemente voluto dal terzo governo Berlusconi, che alcuni dei loro cittadini, in particolare i nomadi, non potranno più, come ora, entrare liberamente nel nostro Paese. E che dovrà riprendersi le decine di migliaia di Rom immigrati in Italia negli ultimi 15 mesi.

Da quando ha avuto la certezza di essere nominato ministro, trovare una soluzione a questo dilemma è stato, per Maroni, il pensiero fisso. Al punto che s’è attivato nei giorni scorsi, già prima del suo incarico, per acquisire alla Camera e al Senato, e soprattutto all’Europarlamento, una ricca documentazione per verificare ogni possibilità di sospensione di Schengen.

Questo trattato, che ha abolito i controlli alle frontiere all’interno della Ue dal ‘95, non è stato ancora esteso a Romania e Bulgaria. Ma il problema è superato dal fatto che i romeni e i bulgari possono entrare liberamente nel nostro Paese perché vi giungono da stati membri come, ad esempio, la Francia. Ebbene, la convenzione sulla libera circolazione dei cittadini comunitari prevede che, "per esigenze di ordine pubblico o di sicurezza nazionale", uno Stato possa, previa consultazione con gli altri Paesi interessati, "decidere che per un periodo limitato alle frontiere siano effettuati controlli".

In questi anni in Europa questa clausola è stata richiamata più volte, non solo per problemi di sicurezza, ma anche per avvenimenti di carattere sportivo e perfino per un matrimonio reale. La Francia ha già sospeso gli accordi sei volte. Il Belgio lo ha fatto in occasione del campionato europeo di calcio del 2000 per prevenire l’arrivo degli hooligan. E lo stesso ha fatto il Portogallo che ha ospitato la manifestazione quattro anni dopo. L’Italia ha sospeso Schengen in occasione della riunione del G8 a Genova, ed a seguito di quei controlli reintrodotti alle frontiere numerose persone furono bloccate ed espulse. La Spagna è ricorsa a questa possibilità per il matrimonio del principe ereditario Felipe.

Questa strada, al vaglio del ministro Maroni, non è affatto una linea politica nuova all’interno del Pdl. La sospensione Schengen l’aveva invocata con un ordine del giorno, durante la scorsa legislatura, l’ex vicepresidente del Senato Roberto Calderoli. Ma già in quell’occasione erano emerse difficoltà operative (il periodo di sospensione deve comunque essere limitato), giuridiche (per evitare che i controlli riguardino anche gli altri cittadini comunitari). E, infine, diplomatiche, per evitare crisi fra Italia e Romania visti gli importanti rapporti commerciali che legano i due paesi.

Immigrazione: governo parte dalla caccia ai rom e ai poveri

di Piero Sansonetti

 

Liberazione, 10 maggio 2008

 

Ieri "La Stampa", che è considerato il giornale più compassato e attendibile, in Italia, titolava a tutta pagina, in prima, in questo modo: "Immigrati, il governo si muove - Pronta l’offensiva anti-rom - Reddito minimo per chi vuole restare in Italia".

Ho provato a cambiare qualche parola a questo titolo. Mi è venuto così. "Razza, il governo si muove - Pronta l’offensiva anti-ebrei..:". Non sono riuscito a parafrasare quell’idea sul reddito minimo per chi vuole stare in Italia (capiamoci bene: non è che lo Stato gli garantisce un reddito minimo, lo Stato pretende da loro un reddito minimo...) perché, l’idea che i poveri non abbiano neanche diritto ad esistere, a "sostare" sulla nostra nobile terra, non era mai venuta a nessuno, né a Mussolini né a Caligola.

Per il resto, per fare questa faziosissima forzatura di far sembrare il titolo della "Stampa" 2008 un titolo di un giornale fascista del 1938, ho dovuto solo sostituire alla parola "immigrati" la parola "razza" e alla parola "rom" la parola "ebrei". Peraltro questa seconda sostituzione è solo rafforzativa, perché nelle legge razziali del ‘38 i rom c’erano eccome, accanto agli ebrei, e dunque tra l’offensiva anti-rom di oggi e quella di allora non c’è nessuna differenza. La scambiabilità dei termini "immigrati" e "razza" (nel senso in cui si usava la parola "razza" nel 1938) non mi sembra una gran forzatura.

Naturalmente in queste osservazioni non c’è nessuna polemica nei confronti della "Stampa". La quale si è limitata a fotografare una situazione purtroppo reale e concretissima. Il governo di centrodestra, sulla spinta delle pulsioni xenofobe della Lega, sulla spinta dell’azione reazionaria e antidemocratica di quasi tutti i sindaci di centrosinistra o di destra (indifferentemente) delle grandi città, sulla spinta della linea tenuta in campagna elettorale dallo stesso Partito democratico (cioè dagli eredi del pensiero cristiano e, di quello social democratico: povero Sturzo e povero Gramsci) sulla spinta di tutti questi avvenimenti e nuovi ideali, il governo si sta preparando a una stretta, e dice che lo farà per affrontare la prima emergenza del paese.

Io mi chiedo cosa potrà scrivere uno storico, tra - mica tanto - cinquant’anni? Scriverà che in Italia la crisi economica si era molto aggravata, i salari e gli stipendi avevano perduto gran parte del loro valore, e una parte consistente della popolazione viveva sul filo della povertà, si accrescevano invece le grandi ricchezze e le paghe dei ceti alti, dei manager, dei gran borghesi, arretrava paurosamente la cultura libertaria e liberale, si riducevano i diritti civili, perdeva posizioni la dignità della donna, l’assenza di una politica ambientale stava portando al collasso del rapporto tra società e natura.

Di fronte a questo drammatico complesso di emergenze - scriverà lo storico - il governo decise di mettere al primo posto il seguente problema: come cacciare i rom dall’Italia? Questo però - queste amare e incredule considerazioni - avverrà tra 50 anni. E adesso? Possibile che non si sollevi una protesta di massa contro la piega che stanno prendendo le cose? Davvero non siamo molto lontani dalle leggi razziali. Davvero la nuova ideologia vincente è ispirata in modo smaccato, mai visto, alla convinzione che la società - la comunità - deve essere dominata dai più forti, da chi ha denaro, da chi ce la fa, e deve essere regolata sulla base degli interessi di costoro.

Davvero il governo si sta preparando a varare un pacchetto di leggi che travolge lo Stato di diritto, manda all’aria i principi di tutte le Carte dell’Onu, straccia la dichiarazione dei diritti universali della persona. Può succedere tutto questo nel silenzio? E la sinistra, battuta alle elezioni, resterà al palo, si farà intimidire? Sabato prossimo ci sarà una giornata di lotta a Verona - nella città dove è stato ucciso Nicola, in un’incredibile esplosione di violenza gratuita e nazista - e sarà una giornata importantissima.

Vari movimenti, e poi associazioni e partiti di sinistra hanno indetto manifestazioni e cortei. Si sfilerà in città e si manifesterà in piazza Brà. Nei prossimi giorni si preciseranno meglio i modi e le forme. Pero è importante che sabato prossimo (17 maggio) a Verona ci sia una grande giornata unitaria di lotta. Perché altrimenti, diventerà difficilissimo opporsi a questa deriva di inciviltà. Le forze che si preparano a sostenere il decreto anti-rom e antipoveri, recentemente hanno rivendicato il diritto di proclamare le radici cristiane dell’Europa.

C’è un passo del Vangelo di Matteo, che riproduciamo, anche qui con delle piccolissime correzioni: abbiamo scritto "lavavetri" invece di "affamati", "rom" invece "assetati", "senza-reddito" invece di "ignudi" e "indulto" invece di "visita". Dice così quel passo del Vangelo: "Poi il Signore dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché volevo lavarvi i vetri dell’auto e non me li avete fatti lavare; perché ero rom e mi avete scacciato; ero forestiero (clandestino) e non mi avete ospitato, non avevo un reddito e mi avete espulso, ero in carcere e non volevate concedermi l’indulto... Ed essi risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto rom o clandestino, o senza reddito, o carcerato e non ti abbiamo assistito?

Ma egli risponderà: in verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli non l’avete fatto a me". Già un’altra volta, su "Liberazione" ho trascritto questo brano del Vangelo. Magari pensate che sono fissato. Semplicemente credo che quel brano del Vangelo sia la base della civiltà moderna. E certe volte mi chiedo: ma per i cristiani il Vangelo conta qualcosa?

Immigrazione: Orban (Ue); no a limitazioni per i comunitari

 

Il Sole 24 Ore, 10 maggio 2008

 

"Qui non c’entra l’immigrazione, si tratta di libera circolazione di persone nell’Unione Europea, se poi ci sono casi di criminalità vanno perseguiti con severità in base alle leggi esistenti".

Il Commissario europeo al multilinguismo, Léonard Orban, 47 anni, romeno, originario di Brasov, è a Roma per premiare, al Quirinale, i vincitori di un concorso nella giornata dedicata all’Europa e in procinto di partecipare, a Firenze, a una conferenza dell’Accademia della Crusca. Sfoglia le pagine dei giornali italiani, sa tutto della crisi italo-romena ma, ligio al suo compito di commissario Ue, continua a ripetere che "non vuole e non può esprimere commenti sui rapporti tra due Paesi europei e tantomeno formulare giudizi sulle politiche di uno Stato membro".

Quindi nessun commento sulle dichiarazioni del presidente romeno, Traian Basescu, contro ogni ipotesi di limitare il flusso in uscita di romeni e sugli inviti del premier Calin Popescu Tariceanu a essere meno tolleranti in Italia contro chi delinque. Nessuna posizione ufficiale neppure sulla richiesta di dimissioni dell’ex vicepresidente Ue, Franco Frattini da parte dei liberali romeni per la sua proposta di istituire un livello medio di reddito sotto il quale limitare i flussi di romeni.

Semmai è compito della Commissione, aggiunge Orban, "stimolare gli Stati membri ad utilizzare tutti gli strumenti messi a disposizione dalla Ue per migliorare l’integrazione tra i vari popoli d’Europa". E tra questi strumenti ci sono i fondi strutturali, in particolare il Fondo sociale europeo. "Debbo dire - sostiene sempre Orban - che l’Italia negli anni passati ha usato meno di altri Paesi i fondi per l’inclusione dei rom". Le cifre sono note. Nel periodo che va dal 2000 al 2005 l’Italia ha utilizzato 3,2 milioni di euro per progetti di inclusione, mentre la Francia ha utilizzato 4,4 milioni, la Spagna 3,3 milioni e la Polonia 7,5. Senza contare che nei progetti di pre-adesione la Romania ha utilizzato circa 10 milioni di euro per integrare circa 2 milioni di rom.

Orban conosce bene il dibattito sulla sicurezza in Italia. "C’è da dire - osserva - che i campi nomadi che si vedono arrivando a Roma sono spesso un focolaio di violenza e intolleranza; la legge va rispettata ma non si può usare il problema della sicurezza per attenuare la libertà di movimento delle persone dell’Unione europea che è uno dei principi base del funzionamento dell’Europa".

Sulle possibili modifiche della direttiva n. 38 del 2004 che consente le espulsioni di cittadini comunitari, Orban ricorda che il recepimento è un processo lungo e le eventuali modifiche "coinvolgeranno anche il Parlamento europeo" ma "va fatto salvo il principio che le espulsioni vanno decise caso per caso". Alla fine dell’anno, ricorda il commissario, si farà il punto sullo stato di attuazione della direttiva e "solo dopo la Commissione avrà il quadro più chiaro e potrà proporre delle modifiche".

Quanto ai romeni Orban si rende perfettamente conto che i livelli salariali si stanno alzando anche in Romania e c’è sempre più bisogno di forza lavoro. "Avverrà pure lì - dice Orban - quanto si è verificato per Spagna, Portogallo e Grecia per’cui dopo i flussi in uscita seguiti all’adesione all’Ue si è avuto un rientro nei Paesi di origine". Orban è dell’idea che la vicenda dei romeni sia un test importante per l’Europa. "Ma anche le autorità romene - precisa - devono capire che tra dieci anni la Romania potrebbe avere gli stessi problemi dell’Italia oggi e diventare terra di destinazione di immigrati provenienti dai Paesi più poveri; quindi devono prepararsi a convivere con altre culture e altre tradizioni".

Immigrazione: la vita dei Rom in Francia, Germania e Spagna

 

Redattore Sociale, 10 maggio 2008

 

Modelli severi si sposano con la politica dell’integrazione: campi rom solo come scelta estrema, i governi tendono a garantire alloggi. A condizione che le regole siano rispettate

Mentre l’Italia langue e affronta il problema con proclami razzisti e demagogici, nei principali stati europei le soluzioni adottate risultano di gran lunga migliori rispetto alle nostre.

 

In base al diritto alla libera circolazione i Rom possono stabilirsi in un paese Ue per tre mesi. Così in Francia se vogliono prolungare il loro soggiorno dopo quella data devono trovare un posto di lavoro. Ma naturalmente non è facile. La Francia si muove su due fronti opposti, l’accoglienza e la tolleranza zero. La legge Besson del 2000 dice che ogni comune con più di 5000 abitanti deve essere dotato di un’area di accoglienza mentre il provvedimento del 2003, dell’allora ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy, applica sanzioni pesanti per chi infrange le regole dello stazionamento nei campi. Chi non le rispetta è cacciato definitivamente e chi occupa abusivamente un’area incorre nell’arresto e nel sequestro del mezzo. In tutto il territorio francese ci sono circa 10mila campi, un terzo di quelli necessari, perché per la legge Besson, i campi sono solo una soluzione temporanea, in quanto la stessa legge prevede un programma di case da concedere in affitto ai manouche, oltre a terreni familiari su cui poter costruire abitazioni da destinare a famiglie semistanziali in condizioni precarie. Molti nomadi vivono in case popolari pagando l’affitto e le spese ordinarie. "Siamo responsabilizzati - racconta Arif, rom kosovaro - viviamo nei centri abitati, non siamo emarginati, lavoriamo e abbiamo firmato un Patto di stabilità per cui i ragazzi sono obbligati ad andare a scuola ed è vietato chiedere l’elemosina. Se siamo disoccupati per sei mesi abbiamo il sussidio fino a 950 euro al mese e percepiamo anche gli assegni familiari. Chi sbaglia, chi delinque, chi ruba, chi non manda i figli a scuola, viene cacciato dalla Francia. E su questo punto siamo noi i primi ad essere d’accordo".

 

Anche la Germania ha adottato un modello severo che si sposa con la politica dell’integrazione. I circa 130 mila Rom e Camminanti sono considerati per legge "minoranza nazionale". Hanno diritti e doveri. Dopo la disgregazione dell’ex Jugoslavia, la Germania ha accolto queste migliaia di persone con un progetto di welfare. Sono state assegnate case, singole o in palazzine popolari, hanno ricevuto un sussidio per il vitto e sono stati messi in condizione di lavorare. A patto di rispettare la legge, o fuori per sempre.

 

La Spagna, che ha un europarlamentare gitano, Juan de Dios Ramirez Heredia, rappresentante dell’Osservatorio europeo contro il razzismo e la xenofobia, dalla fine degli anni ‘80 ha messo a punto un programma di sviluppo per la popolazione rom con un budget annuale di 3,3milioni di euro a cui si aggiungono i finanziamenti delle singole regioni e delle ong. Nel Paese ogni regione ha un Ufficio centrale che coordina gli interventi e le politiche per i gitani, in cui lavorano funzionari del governo e rom che ricoprono la funzione di mediatori culturali. Il risultato di questi anni è positivo, i campi nomadi sono quasi scomparsi e moltissimi vivono in affitto nei condomini popolari o in case di proprietà, nelle periferie ma anche nelle città. Chi non lavora ha un sussidio di circa 700 euro al mese per sei mesi, ma rimane alto il tasso di criminalità. Sono zingare il venti per cento delle donne detenute nelle carceri spagnole. Negli ultimi mesi, però, a causa dell’enorme afflusso di rom dalla Romania stanno rispuntando baraccopoli nelle periferie di Barcellona, Madrid, Siviglia e Granata.

Confrontando le diverse situazioni emerge come l’Italia tenda ad aggravare il problema rom. Manca, infatti, la volontà politica di far fronte alle condizioni di disagio e di emarginazione, di queste popolazioni, che impediscono concretamente qualsiasi integrazione e sviluppo sociale.

Droghe: Radicali; il 95% della classe politica è proibizionista

 

Agenzia Radicale, 10 maggio 2008

 

Dichiarazione di Giulio Manfredi (Giunta di Segreteria Radicali Italiani): "A gestire le politiche sulle tossicodipendenze rispunta Carlo Giovanardi, che assicura di "aver due o tre idee sulla prosecuzione della lotta alla droga". A volte ritornano… il vero problema è che in loro assenza non è cambiato nulla. La legge sedicente "Fini-Giovanardi" (L. 21 febbraio 2006, n. 49) è in vigore da 801 giorni - come ci ricorda continuamente antiproibizionisti.it - di cui solo i primi 80 sono di competenza del precedente governo Berlusconi; tutti gli altri, quasi due anni, sono trascorsi sotto il governo Prodi, con la delega alle tossicodipendenze affidata a un ministro di Rifondazione Comunista, Paolo Ferrero.

Peraltro, non posso dimenticare che l’unica possibile piccolo cambiamento che poteva venire sul fronte della riduzione del danno, l’apertura di una narco sala a Torino, è stato affossato attivamente dalla compagna Livia Turco, ex ministro della Salute, che ha fatto gioco di sponda con il compagno Sergio Chiamparino, sindaco di Torino; e col ministro Ferrero alla finestra a guardare. Dunque, il vero problema non è Carlo Giovanardi, che è solamente una delle espressioni più pittoresche di un regime proibizionista che accomuna il 95% della classe politica italiana, poiché le riserve mentali, non accompagnate da atti conseguenti, in politica come nelle aule dei tribunali, non hanno alcuna rilevanza".

Droghe: nel 2008 controlli con etilometro aumentati del 300%

 

Notiziario Aduc, 10 maggio 2008

 

Carenza di organici e triplicamento dei controlli su strada. Può sembrare impossibile, eppure è il miracolo compiuto dalla Polizia stradale italiana che, nel primo quadrimestre del 2008, ha aumentato i controlli con l’etilometro del 298,6% rispetto ai primi quattro mesi del 2007, toccando quota 404.349 controlli.

Il tutto a fronte di un organico di circa 12mila agenti, ai quali spetta il controllo dei circa 400mila chilometri di strade della penisola. E, spiega l’Osservatorio Asaps, dal 3 ottobre 2007, data in cui è entrata in vigore la legge 160 sulle nuove politiche di contrasto all’alcol, all’aprile del 2008 ci sono state 171 vittime in meno nei soli fine settimana. Fra i giovani sotto i 30 anni i morti in meno sono stati 101, con un calo che sfiora il 25%. L’obiettivo di 2 milioni di soffi nel misuratore di alcool nel 2008, dunque, è meno lontano, soprattutto se si considera che ai controlli della Polstrada andranno poi aggiunti quelli dei carabinieri e delle polizie locali.

In pratica, spiegato l’Asaps, Associazione Sostenitori Amici della Polizia Stradale, se nel 2006 le probabilità di controllo per i 35 milioni di patentati italiani erano di una volta ogni 170 anni di possesso patente, nel 2007 si è passati ad una possibilità teorica di verifica ogni 44 anni. E nel 2008 si potrebbe arrivare ad una ipotesi di controllo una volta ogni 17 anni. I dati parlano chiaro e, per l’Asaps, è evidente il salto di qualità e di attenzione rispetto al contrasto all’alcol sulla strada: "Non è uno scherzo passare dai 200.000 controlli del 2006, agli 800.000 del 2007 e ai probabili 1.200.000 nel 2008.

A noi dell’Asaps rimane la soddisfazione di aver contribuito a dar voce a questa forte esigenza di sicurezza". E, secondo l’associazione, si potrebbe "fare meglio" e arrivare ai 5-6 milioni di controlli l’anno come in altri paesi Ue, produttori di alcol come L’Italia, ma più attenti di noi alla tutela della vita. "Forte potrebbe essere anche il contributo della previsione della confisca delle auto ai conducenti che superano il valore di 1,5 g/l, se approvata dal legislatore". E, infine, ai controlli devono seguire "condanne senza sconti, senza ingiustificate e inopportune restituzioni della patenti con discutibili interventi di alcuni Giudici di pace, ancor prima delle sentenze dei competenti Giudici del Tribunale", procedendo per la guida in stato di ebbrezza da alcol o sostanze, con rito immediato, in modo da evitare che le patenti, in pendenza di giudizio, possano essere restituite anche a persone sorprese alla guida con 2 g/l di alcol nel sangue.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva