Rassegna stampa 9 luglio

 

Giustizia: Corte Conti; in Cassa Ammende fondi inutilizzati

 

Il Velino, 9 luglio 2008

 

"L’organizzazione della Cassa delle Ammende e la sua normativa risentono di una ancora non chiarita ambivalenza in ordine all’effettiva applicazione delle regole che presiedono agli organismi dotati di autonomia contabile, mancando un organismo interno di revisione contabile, cioè della piena applicazione delle regole della contabilità di Stato, mentre va considerato che le proposte di una riforma più ampia sono rimaste tuttora allo studio dei competenti organi legislativi ministeriali".

È quanto emerge dalla relazione della Corte dei Conti in merito alla gestione della Cassa delle Ammende, le cui finalità "consistono essenzialmente nel finanziamento degli interventi di assistenza economica in favore delle famiglie dei detenuti e degli internati per la realizzazione di programmi che tendono a favorire il loro reinserimento sociale, anche nella fase di esecuzione di misure alternative alla detenzione".

L’indagine della Corte ha evidenziato, tra l’altro, "la particolare natura della gestione e degli aspetti caratteristici, in primo luogo finanziari e contabili (si tratta di un’ipotesi del fenomeno delle cosiddette "entrate riassegnabili" che dai capitoli di bilancio del ministero della Giustizia vengono successivamente versate alla Cassa delle Ammende e incorporate nel proprio bilancio ) che reca con sé tutta una serie di incongruenze in ordine sia alle procedure di acquisizione delle risorse, sia alla scarsa conoscibilità a preventivo e a consuntivo della loro concreta destinazione e utilizzazione, con riguardo soprattutto alla funzione di autorizzazione della spesa e di verifica e controllo da parte del Parlamento".

Ma "la notazione conclusiva di maggior rilievo emersa dall’indagine sulla gestione delle risorse finanziarie attribuite alla Cassa delle Ammende - continua la Corte dei Conti - ha riguardato la cospicua presenza nel bilancio dell’ente di somme non utilizzate. Le entrate, infatti, sono risultate sovrabbondanti rispetto all’effettiva utilizzazione o capacità di utilizzazione ai fini istituzionali previsti dalla legge".

Tuttavia, aggiungono i magistrati contabili, "le considerazioni relative a tale situazione, sia pure condizionante gli esiti della gestione, non possono far passare in secondo piano quelle che sono altre criticità rilevate, attinenti più propriamente al parziale utilizzo delle somme a disposizione, anche a causa del ritardo con il quale si è addivenuti alla regolamentazione e all’avvio effettivo dell’attività di valutazione dei progetti da finanziare, con un intervallo temporale di circa quattro anni - da ritenersi comunque eccessivo - alla loro diffusione tuttora parziale e limitata ai soggetti pubblici istituzionali, quali gli istituti e i servizi penitenziari, pur prevedendo la legge la possibilità del finanziamento di progetti presentati da enti soggetti privati". Eppure "considerato il non elevato numero di progetti esistenti e la presenza di due nuovi organismi di controllo istituiti nel frattempo dall’ente dovrebbe, viceversa, valutarsi meno disagevole la realizzazione di un’attività di verifica dei risultati ottenuti".

"I dati di aggiornamento forniti dall’amministrazione in sede di adunanza pubblica - prosegue la Corte dei Conti - hanno sostanzialmente confermato tali conclusioni, mentre è stata dichiarata la volontà di accelerare l’attività dell’esame dei progetti giacenti, per rimediare ai ritardi riscontrati, unitamente alla riformulazione del regolamento interno e alla volontà di riproporre al ministero le modifiche legislative ritenute necessarie".

In definitiva "rimane evidente il dato del rilevante accumulo di risorse, in controtendenza rispetto alla complessiva situazione di carenza di risorse del comparto giustizia, che ha fatto avanzare anche nell’ambito degli organismi del ministero dell’Economia e delle Finanze la proposta di un utilizzo alternativo delle somme a disposizione, attuata dagli organismi decisionali della Cassa delle Ammende con l’avvio del finanziamento di progetti che hanno interessato indirettamente e in parte gli stessi istituti penitenziari e che ha portato - in via interpretativa ed eccezionale - a ritenere finanziabili anche i progetti che attengono alle persone scarcerate a seguito del recente provvedimento d’indulto". Una situazione generale che "richiede pertanto, ad avviso della Corte, la risoluzione delle incongruenze e delle disfunzioni segnalate, con l’adozione dei dovuti e opportuni interventi normativi e provvedimentali", concludono i magistrati contabili. (Vedi la relazione della Corte dei Conti - in pdf)

Giustizia: il 14 in piazza i sindacati della Polizia Penitenziaria

 

Il Velino, 9 luglio 2008

 

"Quando si decide di portare in piazza i lavoratori a luglio, in pieno periodo feriale, significa che la misura è colma e la pazienza esaurita". Con queste parole Angelo Urso, segretario nazionale della Uil Pa penitenziari, commenta la decisione di Cgil, Cisl e Uil del settore penitenziario della Lombardia di manifestare a Milano con un sit-in di protesta davanti a S. Vittore il prossimo 14 luglio dalle 10.

"La manifestazione di Milano è solo la punta di un gigantesco iceberg - continua Urso - composto dal disagio e dal malessere di tutti gli operatori penitenziari italiani. Per questo condivido e sostengo le ragioni della protesta". Protesta che ha come motivazioni di base il sovraffollamento delle strutture e la grave carenza degli organici. Secondo un rilevamento della Uil Pa penitenziari infatti, alla data odierna, il maggior sovraffollamento si registra a Bergamo, Busto Arsizio e S. Vittore (150 per cento), Brescia (120 per cento) ma anche a Monza, Pavia, Varese e Vigevano il dato è significativo (100 per cento).

"In Lombardia oggi sono presenti circa 8.300 detenuti a fronte dei circa 5.400 previsti - rivela Urso - Un sovraffollamento, quindi, che si attesta al 55 per cento a fronte di un dato nazionale del 25 per cento. Alcune strutture, inoltre, sono praticamente esaurite in ogni ordine di posto e ciò comporta oggettive difficoltà. Per quanto attiene la polizia penitenziaria in regione sono previste 5.353 unità ma ne sono presenti solo 4.792, delle quali 539 impiegate fuori dalla Lombardia.

Da ciò ne deriva che la carenza effettiva è di circa 1.100 unità. Per le altre figure professionali il gap organico arriva, in alcuni casi, anche al 70 per cento". Ma i sindacati scendono in piazza anche per denunciare le carenze di mezzi adibiti al servizio delle traduzioni. Del parco mezzi in dotazione alle varie strutture, il 18 per cento è già dichiarato fuori uso, il 6 per cento è ricoverato in officina, il 37 per cento ha oltre 10 anni e il 19 per cento ha un chilometraggio oltre i 170 mila km.

"Sono anni che denunciamo - prosegue il segretario nazionale della Uil Pa penitenziari - come i mezzi adibiti alle traduzioni siano particolarmente fatiscenti, inadeguati e privi delle condizioni minime di sicurezza. Proprio la settimana scorsa due traduzioni in partenza da Monza e S. Vittore si sono interrotte per avaria dei mezzi. Questo significa mettere a rischio la sicurezza pubblica e del personale operante".

"Significativa nella sua assurda drammaticità - sottolinea ancora Urso - la situazione delle autovetture protette (blindate) in uso per le traduzioni dei collaboratori di giustizia. In Lombardia ve ne sono solo tre che devono assicurare il servizio per tutta la regione. Per inquadrare il problema basti pensare che sono tre gli istituti che hanno sezioni per collaboratori e che ogni traduzione non può essere svolta con meno di due autovetture protette. È chiaro dunque che in questa situazione la rabbia e la frustrazione rischiano di diventare ingovernabili.

Ancor più quando parliamo di poliziotti costretti a comprarsi le divise e ad anticipare le spese per i servizi di missione". In questo quadro d’insieme quindi "le prime mosse del governo Berlusconi sono come benzina sul fuoco - conclude il segretario nazionale della Uil Pa penitenziari - Non possiamo passivamente accettare dal governo, che della sicurezza ha fatto più di uno slogan elettorale, il taglio agli organici e agli straordinari, il blocco delle risorse destinate al rinnovo dei contratti. E non voglio dimenticare i provvedimenti del ministro Brunetta che penalizzano tutti gli operatori del settore catalogandoli, di fatto, tra i fannulloni e i nullafacenti. Sicuramente non era questo il modo di affrontare un problema che pure c’è. Confidiamo allora in un’inversione di rotta che possa esaltare meriti e diritti".

Giustizia: Sappe; cambio ai vertici Dap, serve un magistrato

 

Dire, 9 luglio 2008

 

Il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria indica il nome del vice capo Dipartimento Armando d’Alterio come successore di Ettore Ferrara. "Se l’avvicendamento sarà confermato, il ministro della Giustizia comunichi presto il nome".

"Se fossero confermate le indiscrezioni che parlano di un prossimo avvicendamento ai vertici del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, auspichiamo che quanto prima il ministro della Giustizia Angelino Alfano porti in Consiglio dei Ministri il nome del nuovo Capo Dipartimento, augurandoci che sia confermata la titolarità a un magistrato in grado di garantire il principio della terzietà rispetto alle aspettative dei dirigenti provenienti dai ruoli della nostra amministrazione e che anche nella scelta dei suoi più stretti collaboratori si avvalga di esponenti della magistratura". È l’auspicio di Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe. Il Sappe indica anche il nome di chi dovrebbe prendere il posto di Ettore Ferrara. Si tratta del vice capo Dipartimento Armando d’Alterio, magistrato.

"Per altro - prosegue Capece - ringraziamo quanto ha fatto il capo Dap uscente Ettore Ferrara, che ha lavorato molto bene per il Corpo di Polizia penitenziaria e si è dimostrato interlocutore serio, affidabile e altamente qualificato.

Il nostro auspicio è che chi salirà ai vertici dell’Amministrazione penitenziaria prosegua nel compiere le importanti riforme che sono state messe in cantiere con Ettore Ferrara, importanti e strutturali riforme che riguardano il Corpo di Polizia Penitenziaria. Mi riferisco, in particolare, ai progetti che prevedono l’affidamento al Corpo dei controlli sulle misure alternative alla detenzione e sull’esecuzione penale esterna, le riforme del Gruppo Operativo Mobile e dell’Ufficio per la Sicurezza Personale e per la Vigilanza oltre a una serie di interventi mirati per quanto concerne il potenziamento degli organici del Corpo e per arrivare a istituire finalmente la Direzione generale del Corpo di Polizia Penitenziaria nell’ambito del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria".

"Nell’ambito del ministero della Giustizia - conclude Capece - è indubbio che le problematiche che riguardano il settore penitenziario debbano essere poste tra le priorità d’intervento. Il fallimento del provvedimento d’indulto ha portato le carceri del Paese a livelli allarmanti di affollamento, con conseguente aggravio della già difficoltose condizioni di lavoro delle donne e degli uomini appartenenti al corpo di Polizia penitenziaria. È palese, infatti, che la grave situazione penitenziaria che si registra oggi nei nostri Istituti di pena si ripercuote principalmente sulle donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. E su ciò servono urgenti provvedimenti da parte del Ministro Guardasigilli Alfano".

Giustizia: Manganelli (capo polizia); più attenzione in uso armi

 

La Stampa, 9 luglio 2008

 

No. Non dovrà succedere mai più. L’immagine del capo della polizia, Antonio Manganelli, costretto a confortare i familiari di un ragazzo, di una persona qualsiasi Lacrime e rabbia, quando la morte arriva da un proiettile vagante esploso, magari a scopo intimidatorio, da un qualsiasi operatore della polizia di Stato. Brucia ancora il ricordo di Arezzo. Gabriele Sandri, tifoso della Lazio in trasferta, finì la sua vita a 28 anni, in modo assurdo, la mattina del 10 novembre scorso. Era con altri supporter in un’area di servizio dell’Ai; ci fu un tafferuglio, con gli ultras della Juve. Luigi Spaccarotella, agente della Stradale, sparò due colpi "a scopo intimidatorio", disse. Ma un proiettile centrò "Gabbo".

Così Manganelli ha firmato una circolare che suona come il De Profundis per il poliziotto-sceriffo, a cui piace estrarre la pistola d’ordinanza anche quando non sarebbe necessario o semplicemente inopportuno. Due paginette e mezzo, dai toni chiari e perentori: "Recenti fatti di cronaca hanno riproposto all’attenzione di questo Dipartimento la problematica dell’uso delle armi da fuoco da parte delle forze di polizia.

Non sfugge all’attenzione la circostanza che, in genere, l’uso delle armi, specialmente in quelle ipotesi in cui venga pregiudicata l’incolumità di persone estranee o vengano colpiti gli autori di reati minori, ovvero quando gli stessi non risultano reattivi se non addirittura disarmati, ingenera nell’opinione pubblica quasi sempre considerazioni sfavorevoli e può costituire pretesti per manifestazioni di contestazione dell’operato delle forze dell’ordine, con conseguenze spesso molto gravi...".

Questa è la premessa. Manganelli prosegue con un breve excursus sulle norme di legge e chiude con questa precisazione: "...l’orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato, in virtù del quale l’arma deve essere utilizzata da chiunque ne abbia titolo con avvedutezza e prudenza e con la consapevolezza di possedere adeguata perizia nel maneggio".

Il capo della polizia di Stato cita le sentenze della Cassazione che hanno drasticamente limitato il raggio di azione delle forze dell’ordine, anche in circostanze delicate e comunque pericolose: "...Anche nei casi in cui è legittimato l’uso dalle norme vigenti, deve costituire l’extrema ratio, cui il pubblico ufficiale può ricorrere solo quando non sia possibile alcun altra misura di coazione fisica meno rischiosa e sempre con gradualità e in proporzione agli interessi in conflitto".

Poi: "L’uso delle armi sia comunque da escludere...in condizioni di scarsa visibilità, luoghi affollati, eccessiva distanza dall’obiettivo (il caso di Arezzo; ndr)...". Infine: "Una considerazione particolare per una prassi divenuta piuttosto frequente, degli spari a scopo intimidatorio. Questa procedura, di per sé non esclusa dalla legge, è tuttavia da ritenere anch’essa una soluzione estrema - per l’alto rischio di recare danni a terzi estranei, a causa dei proiettili vaganti, specialmente se lo sparo avviene in luoghi affollati, ad alta densità abitativa o di notte, oppure nel caso si perda il controllo dell’arma, con il pericolo di colpire accidentalmente innocenti passanti, anche lo stesso autore del reato". Né si può sparare "su soggetti in mero stato di fuga. Manganelli conclude con un ammonimento rivolto ai dirigenti affinché valutino "ogni episodio... per accertare eventuali responsabilità amministrative".

Infine, il progetto di avviare un programma per migliorare l’addestramento di tutto il personale. Cauto il commento del segretario generale del sindacato di Polizia, Nicola Tanzi: "Positivo il giudizio sulla circolare anche se nasce, evidentemente, sulla spinta del noto episodio di Arezzo. Bene anche il richiamo a un maggiore addestramento, come richiesto anche dal Sap. Resta un piccolo dubbio. Ma con quali risorse, dopo la politica dei tagli ai bilanci del Viminale?".

Giustizia: in prossimo Consiglio ministri il ddl anti-prostitute

di Franco Bechis

 

Italia Oggi, 9 luglio 2008

 

Silvio Berlusconi ha intenzione di iniziare una vera e propria guerra santa al sesso a pagamento. Non si tratta di una barzelletta: al prossimo Consiglio dei ministri approderà infatti un disegno di legge dal titolo "Misure contro la prostituzione" che contiene norme assai severe sia per le prostitute sia per i clienti. Sarà vietato l’esercizio della professione in strada o in luogo aperto al pubblico, con sanzioni amministrative da 200 a 3 mila euro in caso di violazione. E con l’arresto da cinque a 15 giorni in caso di reiterazione del reato.

La pena è in solido, sia per la prostituta sia per il cliente pizzicato in strada in più di un’occasione. In un certo senso si potranno riaprire le case chiuse: ma ci vorrà l’ok di tutti gli inquilini.

Secondo la previsione di uno dei quattro articoli del disegno di legge del governo Berlusconi infatti per utilizzare case chiuse in un condominio bisognerà che il regolamento non lo vieti espressamente e che la maggioranza dei condomini non insorga rifiutandosi. Restano per il mestiere più antico del mondo solo altre due soluzioni: l’acquisto (o l’affitto) della maggioranza degli appartamenti in uno stabile da parte delle prostitute, magari attraverso una cooperativa, o l’esercizio in villa privata. Nel disegno di legge ci sono altre norme particolarmente severe sullo sfruttamento della prostituzione.

Un articolo apposito appesantisce le pene già previste per lo sfruttamento di quella minorile e stabilisce anche l’immediata espulsione delle baby-prostitute con procedure accelerate rispetto alla legge sull’immigrazione. Aumentano le pene anche per l’associazione a delinquere diretta a commettere i reati di reclutamento, induzione, agevolazione e sfruttamento della prostituzione. Sanzioni perfino per i possessori di case che approfittando della situazione affittano le stesse alle signorine a canoni superiori a quelli medi di mercato, e qui l’applicazione della norma rischia di essere assai controversa.

Certo tutto ci si aspettava in questo momento dal governo meno che l’inserimento nella fitta agenda parlamentare di un tema di questo tipo, che oltretutto già in altre occasioni è stato affrontato sulla base di testi di origine parlamentare e non dell’esecutivo. Probabile che la bozza - se approvata dal consiglio dei ministri - vada ad aggiungersi al complesso dei provvedimenti di quel pacchetto sicurezza che tante difficoltà sta provocando alla maggioranza nelle aule di Camera e Senato. Di certo - fra intercettazioni reali e fantasma - il governo non farà mancare lavoro alla satira e ai vignettisti.

Giustizia: da Francia ok estradizione ex Br Marina Petrella

 

La Repubblica, 9 luglio 2008

 

La Francia ha detto sì all’estradizione in Italia dell’ex brigatista rossa Marina Petrella. Lo ha deciso la Corte d’Appello di Versailles.

Marina Petrella, 53 anni, era stata fermata il 21 agosto scorso a un controllo stradale ad Argenteuil, nel dipartimento della Val d’Oise, alla periferia settentrionale di Parigi. La donna, oggetto di una richiesta di estradizione da parte delle autorità italiane, era stata condannata all’ergastolo al processo Moro Ter per le azioni compiute dalle Brigate Rosse tra il 1977 e il 1982 a Roma. In particolare per il suo coinvolgimento nel caso Moro era stata inizialmente condannata a 14 anni di carcere e poi in appello al carcere a vita. La Petrella poco prima del termine del processo Moro-ter (nel 1988) era uscita dal carcere per decorrenza dei termini. Così quando nel 1993 la condanna all’ergastolo era diventata definitiva si era resa latitante.

Marina Petrella era nella lista dei 12 ex terroristi per i quali l’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli, aveva chiesto l’estradizione al suo collega francese. La richiesta era stata ripresentata dall’attuale Guardasigilli, Clemente Mastella. Nei giorni scorsi dopo che i giudici avevano respinto una sua richiesta di libertà provvisoria la donna, rinchiusa nel carcere di Fresnes, aveva cominciato uno sciopero della fame ad oltranza.

 

Il Quirinale: sulla grazia decidiamo noi

 

Il Quirinale risponde con fermezza alle voci, diffuse negli ultimi giorni, riguardo alla vicenda dell’ex brigatista rossa Marina Petrella, che la Francia ha deciso di estradare e per la quale il presidente Sarkozy ha auspicato la grazia. A chiarire definitivamente che l’ultima parola su un’eventuale concessione della grazia può essere pronunciata solo dal capo dello Stato è arrivata stamane una nota del Quirinale, che "a proposito di dichiarazioni rese alla stampa insieme con l’annuncio della estradizione dalla Francia di persona condannata all’ergastolo per molteplici, gravissimi delitti di terrorismo e finora latitante, negli ambienti del Quirinale si precisa che in materia di provvedimenti di grazia, qualsiasi auspicio o appello al Capo dello Stato italiano deve tener conto delle norme vigenti e della giurisprudenza costituzionale, delle condizioni che ne sono dettate per l’esercizio del potere di grazia attribuito al Presidente della Repubblica e infine delle valutazioni di ordine generale che insindacabilmente gli spettano".

 

Olga D’Antona: non si baratta l’estradizione

 

"Non si baratta l’estradizione con un provvedimento di grazia" ha dichiarato in un’intervista a la Repubblica Olga D’Antona, deputata del Pd e vedova di Massimo D’Antona, il giuslavorista ucciso dalle nuove Br il 20 maggio del ‘99, in merito all’annuncio di estradizione di Marina Petrella da parte del presidente francese Nicolas Sarkozy. "Giudico irrituale la richiesta di grazia avanzata dal Presidente francese" ha aggiunto la D’Antona. "Non si concede un’estradizione in cambio della grazia. Il presidente francese dovrebbe assumersi le responsabilità della sua scelta".

Intanto l’avvocato della Petrella ha fatto sapere di temere "un gesto fatale" da parte della sua cliente e ha "supplicato" Italia e Francia di rinunciare alla procedura di estradizione "per ragioni umanitarie". Ricoverata in un ospedale psichiatrico nei pressi di Parigi e descritta dai medici come una potenziale suicida, l’ex brigatista non sarebbe in grado di sostenere la minaccia della sua imminente estradizione, sebbene accompagnata da un’ipotetica domanda di grazia. Su questo punto la D’Antona ha precisato che "se le condizioni di salute di questa donna sono di tale gravità da renderle incompatibili con la detenzione, tramite il suo avvocato può chiedere la grazia al Presidente della Repubblica per ragioni umanitarie. Vedere morire una ex terrorista in carcere, non mi solleva dalle ferite che mi sono state inflitte".

E sulle pagine del quotidiano francese Liberation il direttore Laurent Joffrin giudica "difficile trovare contraddizione più eclatante" di quella che ha portato Sarkozy a concedere l’estradizione a Marina Petrella. "La Francia si dice pronta ad accogliere terroristi oggi in attività come quelli delle Farc e allo stesso tempo - continua Joffrin - ne estrada altri che hanno cessato ogni attività da più di vent’anni e si sono rifatti una vita nel nostro Paese. Insomma - conclude il direttore di Liberation - i rifugiati politici hanno il grande torto di non avere alcun valore elettorale. Che strana morale, e che strana inflessibilità antiterroristica".

Roma: falsi certificati ai detenuti, arrestata assistente sociale

 

Il Centro, 9 luglio 2008

 

A Roma, è stata arrestata - insieme con altre persone - Paola Di Masci, assistente sociale presso il policlinico Agostino Gemelli della capitale. La donna, 36 anni, è ai domiciliari. Sarebbe coinvolta, secondo le indagini della magistratura romana, nella vicenda dei certificati di comodo utili ai detenuti per assentarsi dalle carceri. Il succo della vicenda, ancora da dimostrare nei dettagli, sarebbe: denaro per rilasciare certificazioni false. Diverse migliaia di euro. Naturalmente sono coinvolte anche altre persone, tra le quali uno psichiatra.

Le indagini sono portate avanti dalla questura di Roma e dal pm antimafia della capitale, Diana De Martino. La notizia relativa alla Di Masci è trapelata ieri, quando l’assistente sociale è stata interrogata. Le accuse sarebbero falso e abuso d’ufficio. Le indagini hanno preso le mosse diverso tempo fa dopo una segnalazione da Civitavecchia a proposito di una certificazione medica sospetta.

Paola Di Masci è la figlia di uno dei più noti politici abruzzesi, il preside Bruno Di Masci, ex sindaco di Sulmona, ex presidente della Provincia dell’Aquila ed ex consigliere regionale. Molti in città hanno espresso solidarietà al prof. Di Masci, la cui stimabilità è naturalmente estranea ad ogni riferimento con la vicenda che riguarda la figlia, peraltro avvenuta a Roma, città in cui l’assistente sociale vive e lavora.

 

Ugl Ministeri contro riforma medicina penitenziaria

 

"Il trasferimento dei medici dalle carceri alle Aziende sanitarie ha provocato lo scandalo dei certificati falsi per evitare di finire in cella". Non usa mezzi termini l’Ugl Ministeri nel commentare l’inchiesta che ha fatto scattare le manette ai polsi di medici compiacenti che permettevano, attraverso documenti falsi, di far scontare la pena in libertà a boss della camorra o a pluripregiudicati. Dallo scorso marzo infatti nei penitenziari italiani sono stati trasferiti ben 5.000 camici bianchi, che si occupavano di curare i detenuti. Nessuno meglio di loro conosceva le loro vere patologie ed erano quindi loro che prescrivevano cure mediche o, nei casi più gravi, trasferimenti in strutture ospedaliere. Adesso, secondo quanto sottolineato dall’Ugl, non sarebbe più possibile controllare i certificati medici che vengono scritti da sanitari esterni per i detenuti, come quelli che lavorano all’interno delle Asl.

"Si tratta di un disegno voluto dal passato governo che con la sua frenesia di riformare ha trascurato aspetti fondamentali della questione e che ora - ha spiegato il segretario nazionale dell’Ugl Ministeri, Paola Saraceni - con il caso scoperto al Policlinico Gemelli di Roma fa emergere anche il rischio di emulazione di simili escamotage, che non solo gettano un’ombra pesante sul ruolo delle Asl, ma rischiano di danneggiare la maggior parte dei detenuti che hanno veri problemi sanitari". Nei penitenziari sono rimasti soltanto presidi medici in grado di affrontare solo alcune emergenze, ma non avrebbero più la possibilità di gestire determinate patologie dei detenuti. Proprio queste, che prima venivano tenute sotto controllo dai 5.000 medici dei penitenziari, adesso invece sono "monitorate" da sanitari che non hanno quotidianamente contatto con i detenuti. Così il rischio che in futuro vengano prescritti certificati medici falsificati, secondo l’Ugl, non può che aumentare.

Intanto l’Unione Generale del Lavoro ha inviato un telegramma al ministro della Giustizia, nel quale chiede di tornare indietro e di aprire un tavolo di confronto per riorganizzare la medicina penitenziaria.

Ferrara: 132euro in 3 anni per un progetto di teatro-carcere

 

Emilia Net, 9 luglio 2008

 

Teatro in carcere: recitazione e rieducazione. Un censimento sulle attività teatrali negli istituti penitenziari della regione, un forum a Ferrara sul teatro in carcere e una serie di spettacoli da presentare nel prossimo inverno. Questi i programmi di lavoro previsti dal progetto pilota sostenuto dalla Regione e assegnato dall’Amministrazione comunale alla cooperativa Teatro Nucleo. Promotrice fin dal 2005, in collaborazione con il Comune, di laboratori teatrali all’interno della casa circondariale di Ferrara, la cooperativa opera con l’intento di rafforzare l’idea di carcere come istituto rieducativo, utilizzando l’azione teatrale come mezzo di collegamento dei detenuti con la società e per la creazione di rapporti che consentano un miglioramento delle condizioni di vita in carcere a beneficio anche del personale di polizia penitenziaria.

Il progetto, di durata triennale, permetterà di conoscere, attraverso un censimento, i diversi programmi di teatro in carcere condotti nel territorio regionale e di presentare a Ferrara i risultati della ricognizione nel corso di un forum di rilievo europeo. Proseguiranno inoltre le attività di laboratorio nell’istituto penitenziario ferrarese con la presentazione di spettacoli aperti alla cittadinanza, l’organizzazione di rassegne di gruppi regionali, collaborazioni con il mondo della scuola e dell’università e occasioni di confronto con esperienze artistiche di rilievo. Il contributo destinato alla cooperativa Teatro Nucleo per il primo anno di attività (2008/2009) è di 44mila euro di cui 24mila finanziati dalla Regione.

Porto Azzurro: detenuti diventano volontari sulle ambulanze

di Roberto di Caro

 

L’Espresso, 9 luglio 2008

 

Detenuti usati sulle ambulanze. È il programma di recupero del carcere sull’isola d’Elba. Nove i diplomati soccorritori. Compresi alcuni pluriomicidi.

Era la locandina di un b-movie horror anni Settanta: un assassino guida un’ambulanza a folle velocità, nel retro una paziente legata sul lettino ha lo sguardo atterrito di chi aspetta d’essere condotta chissà dove e fatta a pezzi. Fantasmi estremi, per carità. Ma è la prima immagine che viene alla mente scoprendo che all’isola d’Elba, Casa di reclusione di Porto Azzurro, hanno appena diplomato soccorritori volontari da impiegare sulle ambulanze delle Misericordie nove detenuti i cui profili, quanto meno alcuni, sono ben poco rassicuranti.

Il più noto è Lorenzo Bozano, condannato all’ergastolo per l’omicidio della tredicenne Milena Sutter nel 1971: concessagli la semilibertà dopo tredici anni, si finse poliziotto a caccia di droga e palpeggiò una ragazza uscita col fratellino dallo zoo di Livorno, perse i benefici di legge e finì di nuovo in galera.

Oggi lo raccontano come un sessantunenne parecchio invecchiato, l’ombra del "biondino della spider rossa" che compare in tutte le storie dei delitti italiani da rotocalco. Paolo Buragina era invece insegnante di chimica in un paesino vicino a Lamezia: "Tragedia della follia" titolarono i giornali quando nel ‘94 uccise a fucilate la moglie, la suocera e la cognata incinta sotto gli occhi dei figli suoi e della cognata.

Distinto, "lo diresti piuttosto un falsario", raccontano, è uscito dal carcere ai primi di giugno, riduzione di un quarto della pena per buon comportamento e sconto di tre anni con l’indulto. David Moneypenny, "lungo, magro, uno sguardo da volpe", è l’olandese che nel 2001 per rapina freddò con un colpo di pistola l’orefice milanese Ezio Bartocci: in carcere, condannato a trent’anni, sta studiando biologia.

Fiorenzo Alfano uccise sua cugina Marisa, a Erba nel milanese, aprile 1997: storia di un invaghimento, di una moglie gelosa che ruba gli slip alla rivale per riconquistare il marito, l’altra lo scopre e vuole denunciarla, lui le taglia la gola. In casa, una raccolta di falli, un po’ comprati, un po’ fatti a bricolage.

Uno si chiede: sacrosanto il recupero, ma non bastava insegnargli il mestiere di pasticcere, come al carcere di Padova? Bene che sentano il dovere morale di risarcire la collettività, ma non era sufficiente fargli prender cura dei cuccioli abbandonati, come al carcere della Dogaia di Prato? Giusto che riscoprano i valori della vita, ma non si rischia meno limitandosi al gruppo teatrale e al corso di cucina come a Lucca o regalandogli quadri e concerti come ha fatto l’Accademia Hipponiana di musica alle carceri calabresi?

I casi sono due. O il corso per volontario sulle ambulanze è più che altro un’affermazione di principio, un afflato etico, un memento, un escamotage per ribadire quel "rapporto fra carcere e territorio" che nessuno sa bene cosa significhi, ma sta citato in tutti i testi sacri sull’umanizzazione della pena; oppure ci si è spinti un filo troppo oltre il buon senso, sullo scivoloso terreno della retorica dei buoni intendimenti. Quale delle due?

La casa di reclusione di Porto Azzurro è un pezzo di storia, non solo carceraria. È una fortezza spagnola del Cinquecento arroccata a guardia del golfo, con mura, fossato, ponte d’ingresso, orti, una pregevole chiesa interna ancorché bisognosa di recupero, un bianco campanile da spaghetti-western ma autentico. Una bellezza: e infatti tra i progetti del direttore Carlo Mazzerbo e del responsabile dell’area trattamentale Domenico Zottola c’è allestire visite guidate per turisti, ciceroni i detenuti più colti, adeguatamente preparati. "Sempre che si trovi una banca, un ente o un mecenate per finanziare il recupero almeno parziale della struttura", lancia l’appello, col direttore in ferie, il vicedirettore Pierfrancesco Petracca.

Zottola è un bel personaggio. Sessant’anni, tipo pacato e pragmatico, senza furori sessantottini. Ma è stato nel gruppo dei primissimi educatori entrati nelle carceri subito dopo la riforma penitenziaria del 1975; e racconta che un po’ è nata qui, con le visite del senatore Mario Gozzini, la successiva riforma che nell’86 aprì a permessi-premio e pene alternative. Oggi, in emergenza sicurezza, la Gozzini è sotto tiro: "Ma io ho più paura degli indulti che di provvedimenti di clemenza individuale".

Pescara: caso D’Agostino, il giudice ammette d’aver sbagliato

 

La Repubblica, 9 luglio 2008

 

È finita la latitanza di Michelangelo D’Agostino. L’ex camorrista è infatti il principale sospettato dell’omicidio di Mario Pagliaro, l’imprenditore balneare di Pescara ucciso con due colpi di pistola domenica 6 luglio. Il presunto omicida, che ora si trova in caserma, è stato catturato dai carabinieri tra Pescara e Spoltore nei pressi del ponte "Capacchietti". Al momento dell’arresto era armato, ma non ha opposto resistenza alle forze dell’ordine.

"La testa mi è partita. Ce l’ho nel Dna, il mio destino era di proseguire la vita in carcere" ha dichiarato D’Agostino che ha poi spiegato di sentirsi sfruttato da Pagliaro per la sua condizione di detenuto. L’ex camorrista ha rivelato di essersi nascosto in un sottotetto nei pressi della stazione per due giorni. In seguito aveva chiamato il fratello chiedendogli di venirlo a prendere, ma quest’ultimo era stato intercettato dalle forze dell’ordine e rimandato nel casertano, dove risiede.

D’Agostino, soprannominato "killer dei cento giorni" per il suo passato da camorrista, lavorava per la cooperativa "La Cometa" che impiega anche ex detenuti e si occupa della manutenzione dei parchi per il comune di Pescara. Incarcerato per una lunga serie di omicidi e rapine, stava usufruendo di un permesso premio.

Secondo la ricostruzione, l’omicidio sarebbe avvenuto in seguito a un litigio per motivi di lavoro. Mario Pagliaro era infatti socio della cooperativa "La Cometa". Dopo averlo pesantemente minacciato, D’Agostino avrebbe estratto la pistola e lo avrebbe colpito con due pallottole al fianco. Poi lo avrebbe finito, come in un’esecuzione, alla tempia. La polizia aveva subito sospettato di D’Agostino che però era riuscito a far perdere le sue tracce nonostante i posti di blocco installati dalle forze dell’ordine.

Il primo contatto di Michelangelo D’Agostino con le forze dell’ordine risale al 1983, quando a ventotto anni venne arrestato con l’accusa di aver ucciso quindici persone nelle faide tra i clan della camorra. Affiliato alla Nco di Raffaele Cutolo, collaborò con la giustizia subito dopo l’arresto, testimoniando contro il presentatore televisivo Enzo Tortora e il boss dei Casalesi Francesco Schiavone, detto Sandokan. Nel 1997 gli venne concesso il regime di semilibertà, revocato dopo aver compiuto due rapine in Piemonte.

 

Il Giudice: ho sbagliato a ridare la libertà a D’Agostino

 

"È colpa mia. È stata una mia decisione. Mi sento moralmente colpevole del fatto che a tre giovani sia stato portato via il padre, ucciso dalla persona della quale mi ero fidato concedendogli la libertà vigilata". Sono parole del dottor Angelo Martinelli, il giudice di sorveglianza del tribunale di Modena che lo scorso marzo ha firmato il provvedimento con il quale consentiva a Michelangelo D’Agostino di lasciare la casa di lavoro di Castelfranco, dove scontava una misura di sicurezza come internato, per raggiungere Pescara, dove aveva trovato lavoro presso una cooperativa della Caritas.

Non capita tutti i giorni di incontrare un magistrato e sentirsi rispondere "ho sbagliato, è colpa mia". Quasi superfluo riconoscere al dottor Martinelli, dal 1994 Magistrato di Sorveglianza presso il Tribunale di Modena, decine di migliaia di decisioni prese per detenuti e internati in tre istituti di pena (casa di lavoro di Castelfranco, quella di via Panni e carcere di S. Anna), una straordinaria onestà intellettuale e un grande senso di responsabilità.

Si schermisce quando glielo facciamo notare e ammette: "Non posso certo nascondere una mia decisione e disconoscere la mia firma su quel documento che permetteva a D’Agostino di raggiungere Pescara, non da libero, ma sottoposto al regime di libertà vigilata. Questo gli consentiva di andare al lavoro, ma ogni giorno doveva sottoporsi alle misure previste, come la firma in questura o dai carabinieri e il rientro a casa a un’ora stabilita. Ma ora spiegare queste cose tecniche diventa quasi superfluo di fronte a quanto è successo".

 

Quando è arrivato a Castelfranco D’Agostino?

"È arrivato all’inizio dell’anno. Aveva finito di scontare la pena di 20 anni nel carcere di Pescara ed era stato destinato alla casa di lavoro di Castelfranco dove era internato per scontare anche la misura di sicurezza che gli era stata applicata a fine pena".

 

È stato lui a chiedere di ritornare a Pescara?

"Già quando era giunto a Castelfranco aveva manifestato ai responsabili della struttura di poter rientrare a Pescara. Qui aveva allacciato contatti con la cooperativa della Caritas.

A quel punto sono iniziati i controlli del soggetto anche attraverso l’équipe composta anche da psicologi ed educatori per verificare se la persona, attraverso l’espiazione della pena, è nelle condizioni di essere reinserito nel contesto sociale. Si valuta soprattutto il fatto che possa o meno commettere altri reati".

 

Quando ha preso la decisione di firmare quel provvedimento che ha permesso a D’Agostino di tornare a Pescara, non per lavorare, ma per uccidere?

"Lo scorso marzo. Non sono decisioni che si prendono a cuor leggero. Ho avuto più colloqui con D’Agostino. Mi ha parlato oltre che della sua vita, del suo pentimento, tanto da diventare collaboratore di giustizia e del dolore per l’uccisione di suo padre ammazzato proprio per questo. Oltre al parere positivo dell’équipe che lo aveva esaminato nella casa di lavoro, devo aggiungere anche quanto si leggeva negli atti del carcere di Pescara che spiegavano di un suo percorso religioso con il cappellano del carcere attraverso il quale aveva, poi, preso contatto con la cooperativa disposta a dargli una mano per un lavoro, in modo da reinserirlo completamente nella società".

 

Insomma, dottore, un sant’uomo questo D’Agostino?

"Mi sono fidato e ho sbagliato. È vero che il magistrato non ha la sfera di cristallo, ma è altrettanto vero che non dovrebbe commettere errori o almeno sbagli tali che portino a conseguenze tanto estreme".

 

È la prima volta che sbaglia?

"Errori ne ho commessi, anche in passato. È capitato che qualcuno, al quale avevo concesso licenze o libertà vigilate, poi non si fosse comportato come doveva fino a reiterare reati. Ma mai mi era capitato che una persona arrivasse a uccidere".

 

Pentito di tutto questo?

"Più che pentito mi sento moralmente colpevole del fatto che il padre di famiglia sia stato ucciso. Questo me lo porterò dentro per sempre".

Catania: laboratori didattici per i minori detenuti a Bicocca

 

La Sicilia, 9 luglio 2008

 

Laboratori didattici per i minorenni detenuti nell’istituto penale di Bicocca a Catania. Attività 2 volte a settimana. Laboratori didattici per i giovani ospiti dell’istituto penale minorile di Bicocca, sono stati avviati nell’ambito delle attività socio-educative a partire dal 2 luglio e per l’intero mese. Gli atelier, rivolti ai giovani fino ai 21 anni, terranno conto degli interessi e delle attitudini dei partecipanti, al laboratorio di artistica si affiancheranno momenti di conoscenza e socializzazione attraverso giochi verbali ed espressivi.

L’attività, con cadenza bisettimanale, è curata dalle animatrici scolastico-culturali Luciana Parisi e Loredana Veronese. L’obiettivo è quello di creare momenti di integrazione e socializzazione, stimolando, attraverso varie tecniche artistiche, l’espressività e la creatività dei minori e dei giovani partecipanti.

Rossano C.: verso un nuovo protocollo d’intesa con il carcere

 

Quotidiano di Calabria, 9 luglio 2008

 

Incontro istituzionale tra il Sindaco e il nuovo Dirigente della Casa di Reclusione, Dott. Giuseppe Carrà. Il Municipio è stato il luogo ideale per un primo incontro fra il Sindaco della Città, Prof. Franco Filareto ed il nuovo Dirigente della Casa Circondariale di Rossano,Dottor Giuseppe Carrà, che si è recato dal Sindaco per il saluto istituzionale, accompagnato dal Comandante della Polizia Penitenziaria, Vice Comm. Dott. Francesco Minniti. Si è trattato di un breve incontro istituzionale, cordiale, durante il quale i due interlocutori hanno deciso di intensificare e migliorare la collaborazione istituzionale fra il Comune e l’Istituto di Pena, creando altre iniziative in partnership oltre al corso di pittura e quello teatrale già avviati.

Filareto e Carrà hanno discusso la creazione di un Protocollo d’intesa per la collaborazione fra la falegnameria interna della Casa di Reclusione ed il Comune di Rossano, rilevando, infatti, come il laboratorio di falegnameria, essendo all’avanguardia, possa essere un utile strumento per la creazione di lavoro alle persone recluse e, al tempo stesso, una fonte di risparmio economico per l’approvvigionamento di mobili per tutti gli uffici Istituzionali, primi tra tutti quelli del Comune, ottenendo prodotti di qualità.

A tale proposito, il Dott. Carrà ha anche precisato che a breve si concluderà il corso professionale di Falegnameria, che si sta svolgendo, con grande entusiasmo e partecipazione, all’interno della Casa di Reclusione e da cui "usciranno" detenuti formati per questo tipo di lavoro con tanto di attestato professionale.

Padova: sicurezza; da agosto soldati per pattugliare le strade

 

Corriere Veneto, 9 luglio 2008

 

Contro i delinquenti, il Veneto schiera l’esercito. Padova è una delle prime città, insieme a Milano, Roma e Napoli, scelte dai ministeri di Interno e Difesa per l’invio di un contingente di soldati che affiancherà le forze dell’ordine nei servizi di pattuglia e le svincolerà dalla sorveglianza di obiettivi sensibili.

Lo annuncia il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, confermando così l’allarme lanciato già nel 2003 dall’allora titolare del Viminale Giuseppe Pisanu, che definì la città del Santo il capoluogo più pericoloso d’Italia con Roma e Torino. Nei piani del governo ci sarebbe pure Venezia, ma il sindaco Massimo Cacciari storce il naso.

A Padova il prossimo mese ("dal primo agosto ogni giorno è buono") arriverà un centinaio di militari, da impiegare in pattuglie miste con polizia e carabinieri per la prevenzione e la repressione del crimine. "Subito dopo la conversione in legge del decreto sicurezza, prevista per il 31 luglio - spiega il ministro Ignazio La Russa - metteremo a disposizione del Viminale 3 mila soldati.

Duemila saranno dislocati su siti sensibili, per liberare agenti di polizia e rafforzare la vigilanza anche nei luoghi di vacanza. Con gli altri mille nasceranno le prime pattuglie con le forze dell’ordine in dieci città metropolitane e ad alta densità abitativa, a partire da Milano, Roma, Napoli e Padova. Quest’ultima - prosegue La Russa - è stata selezionata su specifica richiesta del ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Già in passato il capoluogo veneto aveva richiesto più forze per il controllo del territorio ed è emersa l’effettiva necessità in tal senso.

Inoltre è stata appurata la disponibilità all’impiego dei soldati, per noi segnalazione non obbligatoria ma importante". Ecco perché il ministro chiamerà Massimo Cacciari, "per sapere se ritenga opportuna una presenza di militari anche a Venezia". Sbotta il sindaco lagunare: "È una stupidaggine, a me servono vigili, non ne ho abbastanza per gestire i turisti in piazza San Marco, il traffico in piazzale Roma e gli abusivi al Tronchetto. Se svolgono questo ruolo, mi mandino anche le tigri del Bengala".

Secondo il decreto legge, i militari avranno funzioni di agenti di pubblica sicurezza per sei mesi, rinnovabili, quindi "potranno procedere all’identificazione e all’immediata perquisizione sul posto di persone e mezzi, essere impiegati per servizi di perlustrazione e pattuglia in concorso o congiuntamente alle forze di polizia". E saranno alle dipendenze delle questure. I servizi di controllo del territorio, di ordine pubblico, di prevenzione e repressione del crimine sono sotto la responsabilità politica dei prefetti, sotto il coordinamento dei Comitati per l’ordine pubblico e la sicurezza e sotto la gestione tecnica delle questure. Realtà che però non rasserena i sindacati di polizia.

Al "no" all’esercito espresso venti giorni fa dal Siulp ("I soldati hanno formazione e competenze completamente diverse dalle nostre, non siamo compatibili"), si aggiunge la contrarietà del Sap. "Non sono addestrati a certe mansioni, non sono agenti di polizia giudiziaria - osserva Michele Dressadore, segretario regionale - per svolgere controlli e perquisizioni bisogna conoscere bene il codice penale. Il loro uso è appropriato nella sorveglianza dei siti sensibili e magari del futuro Centro clandestini, ma non può risolvere il problema della carenza dei nostri organici né il nodo della mancanza della certezza della pena".

In linea l’onorevole del Pd Alessandro Naccarato: "I partiti di governo sono più preoccupati di fare propaganda che dei reali bisogni dei cittadini. I militari resteranno sei mesi e, contemporaneamente, verranno decurtati 6600 agenti di polizia. L’impressione è che il loro invio serva a mascherare i pesanti tagli effettuati dall’esecutivo di destra alla sicurezza".

Canta invece vittoria An, che da tempo caldeggiava il provvedimento. "Sono stato il primo a richiedere l’esercito, che accoglierò con l’inno di Mameli e una festa nella nostra sede di Padova - dice l’onorevole Filippo Ascierto -. Saranno impiegati soldati che hanno svolto missioni di pace, tra cui i Lagunari, nelle zone calde di Padova. Cioè stazione, quartiere Arcella, vie Manara, Pescarotto, D’Avanzo e Bixio, dove impera lo spaccio di droga".

"Proprio nei giorni scorsi avevamo raccolto 2 mila firme - aggiunge il consigliere regionale Raffaele Zanon - per chiedere al presidente del Consiglio l’impiego dei soldati in Veneto, in operazioni congiunte di pattugliamento e vigilanza nelle aree maggiormente esposte al degrado e al rischio criminalità".

Cauto l’onorevole Maurizio Saia: "Non ho mai fatto il tifo per il ricorso ai militari nella gestione dell’ordine pubblico, ma possono essere utili nell’emergenza. In questo caso serviranno anche a far sparire le inutili e rischiose ronde di privati, ma se il governo desse alla polizia mezzi e uomini di cui ha bisogno e varasse le leggi necessarie alla certezza della pena, ripulirebbe le città in tre giorni. E senza ricorrere all’esercito".

Immigrazione: in sei mesi raddoppiati gli arrivi dei "rifugiati"

di Cristiana Mangani

 

Il Messaggero, 9 luglio 2008

 

Fuggono dalla guerra, dalle violenze, nella speranza di trovare accoglienza e pace. È il nuovo fronte dell’immigrazione, quello che porta il dramma e l’orrore negli occhi. Gente figlia della guerra, in cerca di uno status da rifugiato, con l’obiettivo di ottenere asilo politico. Non più soltanto il clandestino che invade le coste dopo viaggi della speranza, ma uomini, donne e bambini, che sperano di trovare una vita migliore.

Arrivano dal Corno d’Africa, dal Centro, soprattutto dalla Somalia, dall’Eritrea, dal Sudan, dall’Etiopia. E i loro sbarchi diventano ogni giorno più numerosi. Nei primi sei mesi dell’anno sono stati 7 mila contro i 3 mila e 500 del 2007. "Da febbraio c’è stato un grosso aumento degli sbarchi - ammette il prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento libertà civili e immigrazione del Viminale.- Si tratta per la maggior parte di richiedenti asilo che hanno diritto all’assistenza, per lo più provenienti da paesi in stato di guerra.

Dobbiamo ospitarli fino a quando le commissioni (dieci, istituite dalle legge Bossi-Fini) non avranno valutato le loro domande. Si tratta di immigrati "diversi" che hanno tutto l’interesse a non delinquere, perché è una condizione fondamentale per ottenere l’asilo politico. Per questa ragione vengono accolti in centri ad hoc, i Cara (Centri accoglienza richiedenti asilo) che sono distribuiti in tutta Italia. Gli arrivi massicci degli ultimi giorni hanno messo in allarme le istituzioni.

Nel centro Sant’Anna di Crotone, il ministero dell’Interno ha aggiunto 40 tende nello spazio adibito per l’accoglienza, e questo permetterà di ospitare 320 persone in più rispetto alla capienza normale dei Centri. Pur confermando la presenza di circa cinquanta tende nei centri di Foggia e Crotone, il capo Dipartimento ha precisato che "tutti i richiedenti asilo hanno accesso ai servizi offerti dalle strutture: pasti, assistenza sanitaria, psicologo, servizi igienici". Si arriva in Italia non solo con i barconi, molti di loro scelgono la strada del visto turistico, per poi, una volta qui, richiedere lo status.

L’anno scorso le domande sono state 14 mila, di questi meno del 10% riesce a ottenere asilo politico, il 30/35 per cento, invece, riceve forme di protezione sussidiaria, di supporto per un periodo limitato. Dovranno cercare un lavoro, per integrarsi realmente, anche perché ormai la "diaria" di 300 euro al mese, prevista fino a qualche tempo fa, è stato abolita per legge.

Potrebbe succedere, quindi, di trovarsi davanti a situazioni come quelle di Tor Vergata, dove uno stabile di proprietà dell’Enasarco è stato liberato e poi rioccupato da 600 rifugiati. Vivono senza luce né acqua, in una situazione di grande degrado. Forse non è quello che avrebbero sperato come vita nuova. Intanto, continuano gli sbarchi: nella notte un centinaio di immigrati clandestini di nazionalità irachena sono giunti a Riace, nella Locride. Tra loro c’è un neonato ed alcune decine di donne.

Immigrazione: Alemanno; "no" alle impronte dei bimbi rom

 

La Repubblica, 9 luglio 2008

 

"Sono contrario a prendere le impronte digitali ai bambini Rom". A pochi giorni dal primo censimento sui nomadi della capitale, previsto "intorno al 15", anche il sindaco Gianni Alemanno esprime i suoi dubbi sulla linea dettata dal ministro degli Interni, Roberto Maroni, giudicata xenofoba dall’opposizione: "Penso sia d’accordo anche lui, qui non si vuole schedare nessuno. L’identificazione serve per controllare i doveri degli adulti e per tutelare i diritti dei bambini. Sono convinto che sia stato frainteso".

È così? Oggi a Strasburgo i parlamentari europei doneranno le impronte in segno di protesta, come hanno fatto lunedì in piazza a Roma decine di artisti e politici, e come sta avvenendo in tutta Italia. Il prefetto di Roma Carlo Mosca ha messo bene in chiaro da giorni che non autorizzerà schedature etniche di massa, né raccoglierà le impronte ai bambini. "Davanti alle polemiche di questi giorni - replica Maroni a Repubblica - tengo a precisare di non aver mai disposto alcun censimento per i Rom, una misura di cui non ho mai parlato perché sarebbe su base etnica. Ho invece disposto un censimento per i campi nomadi, dove con ogni evidenza ci sono Rom ma anche extracomunitari. Dunque la mia non è una iniziativa sui Rom ma sui campi nomadi, e le due cose non possono e non devono essere confuse. In questo modo ho corretto l’impostazione, questa sì etnica, di Amato e Minniti che avevano decretato l’emergenza per i Rom".

In serata Alemanno frena: "Ho avuto un breve incontro con Maroni in cui il ministro mi ha ribadito che tutte le iniziative del governo per identificare i minori sono finalizzate a proteggerli da ogni forma di sfruttamento e di violenza, e sono in linea con le normative Ue per evitare qualsiasi forma di discriminazione e di schedatura". Insomma, non c’è "alcun contrasto tra me e il ministro Maroni". "Penoso, con l’ennesima giravolta Alemanno paga pegno all’ortodossia padana di Maroni", lo gela Riccardo Milana del Pd.

Ma non è solo il valzer italiano a preoccupare Maroni: il ministro dell’Interno romeno, Cristian David, ha espresso ieri al commissario Ue alla giustizia, Jacques Barrot, "preoccupazione per le misure prese dal governo italiano" sulle impronte. Intanto la macchina organizzativa del censimento si prepara a partire su basi molto meno aspre di quelle annunciate dal ministro. Oggi ci sarà l’ennesima riunione tecnica al cospetto del prefetto, il quale ha affiancato una prudente consegna del silenzio a una posizione sempre più solida e condivisa.

La Croce rossa ha messo a punto i contenuti della scheda con cui raccoglierà i dati anagrafici e socio sanitari dei nomadi: sono spariti i dettagli relativi a etnia e religione, ed è stato chiarito che le schede resteranno nel loro archivio, eventualmente a disposizione dei magistrati. Per il censimento, preceduto e assistito dal lavoro dei mediatori culturali del comune, "mancano solo dettagli operativi pratici, come la stampa definitiva delle schede", spiega il presidente della Croce rossa, Massimo Barra anticipando una linea d’intervento sempre più distante dai proclami leghisti: "Siamo dalla parte dei più deboli, e abbiamo grande stima del prefetto Mosca, con cui ci intendiamo alla perfezione. Anche umanamente".

Immigrazione: al Cpt di Milano continua sciopero della fame

 

Liberazione, 9 luglio 2008

 

Primi dati sullo sciopero della fame al Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di via Corelli (l’ex cpt), iniziato sabato 5 luglio da alcuni stranieri che vi sono rinchiusi.

Secondo la Croce Rossa Italiana (Cri), che all’interno del centro assicura diversi servizi di assistenza, solo 48 immigrati sui 103 presenti hanno accettato i pasti. Ma per il Comitato antirazzista milanese, che ha tenuto un presidio davanti al Cie vedendosi però respinta dal Prefetto la richiesta di incontrare una delegazione di migranti, ci sarebbero stati diversi casi di persone colte da malore a seguito del terzo giorno di sciopero. Lo stesso Comitato antirazzista ricorda anche le ragioni dello sciopero: scarse condizioni igieniche, sovraffollamento, mancanza di medicinali adeguati per i malati di Aids, oltre alla presenza di alcuni clandestini rinchiusi anche in assenza di una convalida del trattenimento. "La pulizia dei quattro settori di cui è composto il centro avviene due volte al giorno - replica Alberto Bruno dealla Cri - . Inoltre non è assolutamente vero che ci sia una condizione di sovraffollamento. Solo in un settore si raggiunge la capienza massima di 28 posti, negli altri siamo a quota 27, 24, 25. Quanto al problema Aids, chi entra in via Corelli continua quelle che sono le cure antecedenti".

Immigrazione: Bologna; sono in corso "mondiali antirazzisti"

 

Vita, 9 luglio 2008

 

Dal 9 al 13 luglio al via la kermesse sportiva e culturale. Ben 28 le nazioni presenti. Ecco il programma del primo giorno. Dopo gli arrivi delle prime squadre, inizia ufficialmente oggi, mercoledì 9 luglio, la dodicesima edizione dei Mondiali Antirazzisti, in programma fino al 13 luglio al centro sportivo "Salvador Allende" di Casalecchio di Reno (BO). Il programma dell’edizione 2008 si preannuncia quanto mai ricco: ai tornei di calcetto, basket, pallavolo e cricket si sono iscritte ben 204 squadre, rappresentanti 28 nazioni e 50 comunità.

Progetto Ultrà, Istoreco Reggio Emilia e Uisp - le associazioni organizzatrici dei Mondiali Antirazzisti - hanno annunciato il gemellaggio con il carcere minorile bolognese del Pratello, grazie al quale una squadra mista di operatori e detenuti potrà partecipare al torneo disputando alcune partite sui campi ed alcune all’interno del carcere. Particolare rilevanza, inoltre, avranno le iniziative del bar "Fusion" - gestito dai ragazzi della web radio Asterisco.com - e della "Piazza Antirazzista", in cui si concentreranno i dibattiti sulle comunità Rom e Sinti, vittime negli ultimi anni di gravi discriminazioni.

A ribadire il carattere non solo sportivo, ma anche culturale, sociale e legato alla memoria, dei Mondiali Antirazzisti, il 9 luglio sarà la giornata in cui viene organizzata la "Passeggiata con un sopravvissuto": una visita guidata da Francesco Pirini, sopravvissuto alla strage di Marzabotto, porterà i partecipanti ai Mondiali Antirazzisti a visitare i luoghi del più terribile massacro compiuto dai militari tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale sul territorio italiano. La partenza di questo viaggio nella memoria è fissata per le 9 dalla Piazza Antirazzista, e si farà tappa al Poggiolo di Montesole e al Sacrario di Marzabotto.

L’altro appuntamento clou della giornata sarà l’incontro con Iracy Gallo, ministro all’Educazione dello Stato del Parà-Brasile) e Antonio Fattore (consulente Stato del Parà) sul tema: Social Forum Mondiale 2009 a Belem e lotta contro le discriminazioni. Si svolgerà alle 18.30 presso lo Spazio Uisp e intervengono Simone Gamberini (sindaco di Casalecchio), Vincenzo Manco (Presidente Uisp Emilia Romagna), Carlo Balestri (Responsabile Progetto Ultrà).

Ma non è tutto: alle 18 inaugura la Piazza Antirazzista, con la presentazione di ben tre mostre fotografiche. Amerigo Setti racconterà per immagini il viaggio dello scorso anno a Monte Sole, mentre Udo Koehler mostrerà l’arrivo del "Cricket" tra gli sport della manifestazione, introdotto lo scorso anno da un’associazione di Pordenone che opera con comunità asiatiche; l’esposizione "Mondiali Antirazzisti" curata da Micheael Flesch e Antonio Marcello, infine, seleziona i migliori scatti delle passate edizioni.

In programma anche, alle 19 nella Piazza Antirazzista, la proiezione del film "Oaxaca-El pueblo se levanta" seguito dal dibattito con l’autore (testimone di Appo-Messico e Amnesty International Bologna). Due ore dopo, invece, la presentazione del dvd multimediale "Auseinander Setzen", dedicato ai giovani preparato da Dgb-Jugend e dall’organizzazione Standpunkte. Molto ricco anche il programma musicale: alle 21 nell’area concerti si esibiranno i Los Fastidios, veterani della scena street punk italiana, e i Gente Strana Posse, mentre al bar "Fusion" suonerà Naby Camara, in arrivo dalla Guinea.

Droghe: tossicodipendente si butta da finestra della caserma

 

Notiziario Aduc, 9 luglio 2008

 

Un tossicodipendente di 26 anni, che era stato fermato per un controllo dai carabinieri, è stato ricoverato in ospedale per fratture in varie parti del corpo dopo essersi lanciato da una finestra della caserma di Borgoloreto a Napoli. Il giovane è caduto sul marciapiedi da un altezza di sette metri. Il 26enne era stato fermato per un controllo e trovato in possesso di alcune dosi di cocaina, eroina e crack. Nella caserma - hanno spiegato i militari - si è sentito male e i carabinieri hanno chiamato i sanitari del 118 che gli hanno somministrato medicinali contro overdose da stupefacenti. Dopo circa 30 minuti, constatato che la situazione era tornata normale, i sanitari si sono allontanati. Mentre si stava procedendo agli adempimenti - riferiscono fonti dell’Arma - il 26enne ha chiesto un bicchiere d’acqua e due militari lo hanno portato in cucina. Una volta all’interno della cucina il ragazzo, con un gesto repentino, si è lanciato dalla finestra andando a cadere sul marciapiede sottostante. È stato soccorso e portato all’ospedale Loreto Mare. Per i sanitari non è pericolo di vita.

Appello "Salviamo la Gozzini": gli interventi e le adesioni di oggi

 

Gli Assistenti Sociali dell’Uepe di Roma

 

Esprimiamo grandissima preoccupazione per le conseguenze che possono derivare dalla approvazione del disegno di legge n°623/08 "Berselli" ed aderiamo alla mobilitazione di protesta. Annullare la legge Gozzini significa far arretrare di anni luce la civiltà giuridica del nostro paese e questa non è una questione che deve preoccupare e riguardare solo i diretti interessati e/o gli addetti ai lavori, ma tutti i cittadini democratici.

Nella duplice veste di Assistenti sociali dell’Uepe (ex Cssa-Servizio sociale del Ministero della Giustizia-settore adulti) e come liberi cittadini riteniamo che il disegno di legge "Berselli" vada in primis contro l’art.27 della Costituzione ("è bene ricordare: "le pene devono essere improntate al senso di umanità...") e, a caduta libera, vada a ledere il diritto ad avere pari opportunità dei più deboli e dei maggiormente svantaggiati - o di quelli di una determinata etnia!

Perché di questo si tratta: come già detto da qualcun altro - ma è sempre bene ripetere - la maggior parte della popolazione detenuta è composta da extracomunitari (è difficile per loro fruire di misure alternative già oggi), da tossicodipendenti che delinquono per problemi legati al loro stato di tossicodipendenza, e da altre categorie di cittadini emarginati, mentre solo il 2,3% è legato a reati mafiosi e il 2,7 a reati contro la pubblica amministrazione.

La restrizione alla possibilità di fruire di misure alternative andrà quindi a ricadere "per legge" sui più deboli, agendo una ulteriore ed inesorabile pressione sulla forbice "carcere-territorio", a svantaggio di questo e a svantaggio di tutti i risultati raggiunti sul piano delle politiche per l’inclusione sociale.

 

Gli Assistenti sociali dell’Uepe di Roma (Concettina Assenza, Alberta Bernabei, Anna Alessandrì, Carla Faleriì, Sonia Baldetti, Michela Boazzelli, Luigina Cautela, Matilde Celestino, Rita Chiavaroli, Rosalba Cioffi, Franca Fontana, Paola Fuselli, Evi Giovannucci, Daniela Landolfi, Gilda Losito, Roberta Maestri, Paola Maggiori, Susanna Maggi, Marcello Marchesini, Nevia Marchetti, Antonella Masia, Giovanna Palazzi, Rita Pantani, Alessandra Palombo, Roberta Parisi, Pina Pietrosimone, Rossana Pizzuti, Marina Riga, Maria Grazia Rizzo, Antonella Sbrega, Alessandra Zielli)

 

Maria Pia Scarciglia (Avvocato)

 

Salve, scrivo in primis alla vs redazione per aderire all’appello per salvare la legge Gozzini e per denunciare come avvocato, il gravissimo rischio che si intravede all’orizzonte, nel caso di una revisione in toto del disposto della stessa Gozzini. Come molti ricordano in questa sede, le patrie galere sono nuovamente al collasso e le notizie che giungono in questi giorni di caldo torrido, sono più o meno le stesse di qualche tempo fa: disordini in molti istituti penitenziari e incidenti tra polizia e detenuti.

A Lecce, città dove opero, i detenuti del Borgo San Nicola , denunciano l’assenza di sistemi di areazione nelle celle e a causa delle proteste rimaste peraltro inascolatate, 14 poliziotti sono finiti in ospedale a seguito di scontri (vedi Il Quotidiano del 08.07.08).

Mi chiedo cosa altro debba ancora accadere in questo strano paese che è l’ Italia dopo le scie di suicidi o quello delle morti sospette nelle carceri, dei bambini detenuti accanto alle madri, dei continui disordini tra detenuti e polizia penitenziaria per aprire gli occhi al nostro legislatore ancora troppo miope dinnanzi alla questione carcere.

Quest’ultimo più che preoccuparsi di ripensare a abrogare leggi giuridicamente ineccepibili -baluardo di civiltà e legalità - dovrebbe, invece, secondo lo spirito dell’art. 27 della Costituzione italiana, favorire politiche volte al reinserimento sociale e all’inclusione di soggetti che dopo tutto chiedono un riscatto delle proprie vite dopo aver scontato parte delle proprie condanne. Ma, come bene dice un noto cantante giovanile, questo, è il paese delle mezze verità e vista l’agenda dell’attuale Governo chi lo sa cosa accadrà.

 

Altre adesioni di oggi

 

Raffaello Z. Riggio (Educatore presso la Casa Circondariale di Siena); Cassoli Roberto (Dirigente Interventi Sociali Comune di Ferrara); Anna Greco (Forum piemontese per la salute in carcere); Paola Bonatelli (Associazione Antigone; Verona); Alberto Saldi (Responsabile del Progetto-Carcere Uisp Brescia e Uisp Lombardia); Daniela Marchili (Volontaria Carcere Montacuto Ancona); Capone Letizia (Volontaria C.R. Padova); Perriello Maria (Assistente Sociale presso l’Uepe di Pavia); Anna Maria Manzini (Volontaria del Gruppo "Carcere-Città" di Modena).

 

 

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