Rassegna stampa 8 luglio

 

Giustizia: Forum per salute dei detenuti sostiene la Gozzini

 

Comunicato stampa, 8 luglio 2008

 

Si sta consumando un pericoloso attacco alla legge Gozzini che ha comportato, per il carcere e la società tutta, un’altra epocale svolta di civiltà.

Una legge che ha significato speranza e maggiore assunzione di responsabilità per i detenuti, aumentata governabilità del carcere, concreta realizzazione della finalità rieducativi della pena prevista dalla Costituzione, diminuzione della recidiva, al di là del risalto mediatico dato alla percentuale fisiologica di insuccessi, incomparabilmente inferiori ai numerosi risultati positivi.

Giustamente Alessandro Margara, uno dei padri storici della riforma penitenziaria, ha evidenziato l’inaccettabile disinvoltura e leggerezza con cui si interviene in materia di diritto penale e penitenziario. Assistiamo al tentativo di svuotamento di una legge che ha concretamente operato nel senso di quella sicurezza sociale che invece si va strumentalmente evocando per riportare indietro il carcere, l’esecuzione penale, il paese stesso.

Approfitto pertanto di questa occasione per affermare l’impegno del Forum Piemontese a dare il proprio contributo alle iniziative in difesa della legge Gozzini e l’adesione all’appello in tal senso rivolto da Ristretti Orizzonti.

 

Anna Greco, Presidente del Forum piemontese per la salute in carcere

Giustizia: nessuno è "al di sopra della legge"… oppure no?

 

Asca, 8 luglio 2008

 

A caratterizzare, ancora una volta, l’agenda politica del centrodestra e l’azione politica di Parlamento e governo è il tema giustizia. Con una mossa da tempo preannunciata (addirittura dal premier Berlusconi nella sua conferenza stampa di venerdì scorso, prima della partenza per il G8 giapponese, con buona pace delle smentite successive del Guardasigilli Alfano), il governo ha deciso di accantonare temporaneamente il decreto legge sulla sicurezza, priorità della campagna elettorale sua e non solo, per approvare, nell’invidiabile primato di un esame della durata di 48 ore da parte della Camera, un provvedimento che pone al riparo presidente del Consiglio, presidente della Repubblica, presidente di Camera e Senato, dalle iniziative della magistratura durante il mandato. Al centro della vicenda, come noto, la posizione del premier, coinvolto nel cosiddetto processo Mills e la necessità di garantire un ordinato svolgimento della vita politica del Paese contro quelle che taluno ritiene inammissibili interferenze dei giudici.

L’inversione di tendenza nella iniziativa del centrodestra trova certamente radici nelle proteste delle opposizioni (più determinata quella di Di Pietro, più riflessiva quella del Pd), ma ancora di più nel fermo allarme lanciato dalla Presidenza della Repubblica e dai malesseri che si sono determinati nella maggioranza. Al Quirinale non è piaciuta la "furbata" della Pdl che, al Senato, una volta incardinato il decreto legge sulla sicurezza, lo ha usato come veicolo per introdurre una norma estranea come il "blocca processi", voluta, sottolinea la opposizione, proprio per bloccare il processo Mills di cui si è detto.

Alla Lega Nord ma anche a ciò che rimane di Alleanza Nazionale dopo il progetto del Pdl, non piace l’idea di mischiare misure che si ritengono popolari contro la microcriminalità, con l’eterna vicenda delle disavventure giudiziarie del Cavaliere imprenditore.

Dunque, sarebbe errato parlare di "scambio" tra Pd e maggioranza in materia di giustizia ed il partito di Veltroni, nella giornata in cui l’ex magistrato Di Pietro punta a fare il pieno mediatico (più che di Piazza Navona a Roma), in tema di ruolo dell’opposizione, cerca di tenere rigorosamente il punto, per evitare che una decisione della maggioranza che mette in mostra una propria fragilità, si manifesti anche come arrendevolezza dell’opposizione.

Se non è "salva-premier" è immunità in ogni caso ma la opinione pubblica, mentre sembra proseguire la luna di miele con il centrodestra, ribadendo fiducia a Berlusconi (con buona pace degli americani che, in un dossier distribuito al G8 in Giappone per i giornalisti prontamente smentito, lo hanno definito "leader controverso"), sembra in attesa di conoscere come si risolverà l’eterno duello che contrappone un sistema (quello italiano) in cui nessuno può considerarsi al di sopra della legge e forze politiche che ritengono che la legalità è mutevole anche su questioni di impianto del sistema politico e, dunque, il sottoporre gli atti della magistratura al mutevole andamento della lotta politica è assolutamente legittimo.

Giustizia: il lodo Alfano invece della norma blocca-processi

di Liana Milella

 

La Repubblica, 8 luglio 2008

 

Berlusconi da Tokio ordina, i suoi uomini eseguono. È d’accordo il Presidente della Camera Fini. Il calendario di Montecitorio viene rivoluzionato. Il lodo Alfano, lo scudo anti-processi per le alte cariche dello Stato, ruba il posto al decreto sicurezza. Di volata passerà, già stamattina, nelle Commissione Giustizia e Affari Costituzionali, poi eccolo in aula perfino in notturna pronto per essere votato giovedì. Il dl con le misure anticrimine, che contiene la sospensione dei procedimenti, slitta a venerdì per la discussione generale. Il Ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito, nella riunione dei Capigruppo e in Commissione, ne annuncia una sostanziale modifica.

Il Quirinale, che ha dato un primo lasciapassare al lodo, segnalato con fermezza l’anomalia della norma blocca-processi, chiesto al governo un deciso passo indietro, ora segue con attenzione gli sviluppi, ma non si pronuncia. Resta su una posizione guardinga, in attesa che la promessa di modificare l’articolo effettivamente si concretizzi. Però giudica positivo un passo che, se andrà in porto, può evitare lo scontro tra maggioranza e opposizione. A guardare i botta-risposta di ieri, tutto lascia intendere che alla battaglia si andrà ugualmente. Il fondatore di Idv Di Pietro grida che quella di Berlusconi "è una dittatura" e che "obbligare il Parlamento a fare una legge per salvarsi dai suoi processi è come fare un sequestro delle Camere a scopo di estorsione".

Il Pd, ed è un coro (Finocchiaro, Soro, Bindi, Franceschini, Sereni, Zanda, Minniti, Tenaglia), rifiuta ogni ipotesi di scambio, boccia il lodo, e chiede che la blocca-processi sia soppressa. L’Udc, con il leader Casini, che aveva suggerito la corsia preferenziale per il lodo Alfano, respinge "la piazza", ma riconosce nell’inversione "una scelta di Berlusconi e della sua maggioranza".

Giornata di fuoco dunque. Ma in cui si realizza quello che era già chiaro domenica. Che il ministro della Giustizia Angelino Alfano sintetizza con questa battuta: "Sul piano della razionalità politica l’unica alternativa era accelerare il lodo". E così è avvenuto. Ieri mattina, di buon ora, è stato il Ministro Vito a ufficializzare il passo del governo. "Nella riunione dei Capigruppo di stasera chiederò che si anticipi il lodo".

Allo stesso modo, a sera, è stato sempre Vito, a capigruppo già fatta e a calendario cambiato, ad annunciare alle due commissioni riunite che "il governo apporterà modifiche significative alla norma su cui, ci auguriamo, possano cadere le polemiche". Un chiaro invito all’opposizione. I cambiamenti, che l’ufficio legislativo di via Arenula sta studiando, non cancellano, ma "riformulano" (sono parole del Guardasigilli) gli emendamenti Vizzini-Berselli.

Resteranno le priorità d’indirizzo nell’azione penale, ma limitate alla fase delle indagini preliminari e nel solco della famosa circolare del Procuratore di Torino Maddalena. Varata dopo l’indulto, approvata a maggioranza dal Csm (a favore Md, Mi, Mg, laici di sinistra, contro Unicost e laici di destra), affidava ai magistrati il compito di mettere in secondo piano i processi coperti dallo sconto di pena. Via, invece, la sospensione di un anno, quella che ha fatto gridare allo scandalo Anm e Csm, sostituita con un criterio di priorità affidato ai magistrati per i reati gravi. Le commissioni hanno votato il testo così com’è e il Pd ha abbandonato l’aula.

La parola più gettonata in tutto il giorno è stata "scambio". Scambio tra lodo e sospensione dei processi. Fa orrore al Pd, a Di Pietro, all’estrema sinistra. Ma anche la presidente della commissione Giustizia Giulia Bongiorno lo respinge: "Ogni norma ha la sua ratio. Di certo quella sulla sicurezza è migliorabile, ma va valutata autonomamente".

E l’avvocato del premier Niccolò Ghedini definisce l’ipotesi "scellerata" e nega "qualsiasi rapporto tra i due provvedimenti". La Lega è soddisfatta (Calderoli: "L’avevo proposto io"), ma preoccupata per il futuro del dl sicurezza, che dovrà tornare al Senato in tempo per la conversione (entro il 24 luglio). Dice il ministro dell’Interno Roberto Maroni: "M’interessa sia approvato il più in fretta possibile, mi auguro nei prossimi giorni".

Giustizia: Veltroni; così Fini avalla l’esproprio della Camera

 

Asca, 8 luglio 2008

 

"Il governo non ritira l’emendamento blocca-processi e vuole espropriare le funzioni proprie del Parlamento. Il presidente della Camera Fini, al posto di opporvisi, avalla e favorisce. Con la decisione adottata dalla conferenza dei capigruppo, priva di qualsiasi precedente nella storia repubblicana, il presidente Fini ha imposto di far esaminare il lodo Alfano dal Parlamento con tempi assolutamente ristretti". Così il segretario del Pd Walter Veltroni critica la decisione assunta ieri sera di anticipare l’esame del lodo Alfano.

"In sole 24 ore - evidenzia Veltroni - si vuole presentare, discutere e approvare, in commissione e in aula, una normativa che incide su diversi principi costituzionali. Ciò è inaccettabile e incomprensibile alla luce di un corretto svolgimento delle funzioni di garanzia proprie del presidente della Camera". Il presidente Fini, attacca il leader dei democratici, "ha smarrito questa funzione per inseguire l’emergenza costituita dalle esigenze temporali del processo al premier". "Abbiamo chiesto - conclude Veltroni - di riconvocare la conferenza dei capigruppo; vedremo in questa sede se il presidente Fini saprà esercitare il suo ruolo istituzionale di garanzia per tutto il Parlamento".

 

Il Pd abbandona la Commissione, Di Pietro resta

 

Tensione questa mattina alla Camera sul lodo Alfano. Il Partito Democratico ha abbandonato i lavori delle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia. La decisione è stata presa in segno di protesta contro i tempi stretti decisi ieri dalla Conferenza dei Capigruppo per esaminare il disegno di legge che garantisce l’immunità alle più alte cariche dello Stato durante il periodo del loro mandato.

"Si è aperta una ferita gravissima - ha spiegato in aula il Capogruppo del Pd Antonello Soro chiamando in causa il Presidente della Camera Gianfranco Fini - è in atto una rivoluzione delle procedure parlamentari che non ha precedenti nella storia repubblicana. La decisione assunta ieri si giustifica solo se ci fosse una guerra alle porte".

Il testo della norma sarà discusso in aula domani, mentre scade oggi alle 16 il termine per la presentazione degli emendamenti. La decisione ha fatto andare su tutte le furie il responsabile Giustizia dell’Idv Federico Palomba che ha parlato di "dittatura della maggioranza" perché "non si è mai visto che una questione così importante venga affrontata in sole sette ore". Pd e Italia dei valori si sono però divisi sulla scelta di abbandonare l’aula.

Il Pd è uscito, mentre l’Idv ha deciso di non abbandonare i lavori della Commissione. "Quando c’è emergenza democratica - ha spiegato Antonio Di Pietro - si presidia il fronte".

L’ex magistrato, che oggi sarà il protagonista del "No Cav day" è tornato ad attaccare, su Radio24, il presidente del Consiglio: "Berlusconi impone uno stile mafioso in Parlamento".

Pronta la replica in Commissione di Luigi Vitali del Pdl: "Di Pietro è un guappo di periferia che, ossessionato dalla smania di diventare un capopopolo, liscia il pelo alla parte più retriva del paese e con un antiberlusconismo fuori dal tempo e un linguaggio da trivio piccona quotidianamente le istituzioni. Altro che Lodo e salva processi! Di Pietro sta diventando l’unica e vera emergenza democratica di questo paese".

Giustizia: Alfano; presto un giro di vite sul regime di 41-bis

di Caterina Pasolini

 

La Repubblica, 8 luglio 2008

 

Risponde alle accuse il Ministro di Giustizia. E promette un giro di vite sul 41-bis dopo che l’annullamento del regime speciale per 37 padrini di Cosa nostra ha provocato proteste tra i politici e la rivolta dei parenti delle vittime di mafia che hanno gridato scandalizzati: "lo Stato non vuol battere i mafiosi". Parla Alfano e promette severità e rigore, nessuna scappatoia o concessione ai detenuti al carcere duro, dopo che più volte i magistrati hanno segnalato scambi di lettere, messaggi tra capi mafia, volontari trasformati in inconsapevoli latori di missive in codice, troppe malattie "diplomatiche" dei padrini per essere portati fuori dai penitenziari.

Alfano annuncia infatti modifiche legislative al 41 bis, interventi per "assicurare con ogni mezzo la massima efficienza in modo da impedire comunicazioni con l’esterno da parte dei detenuti condannati a questo regime". Nuovi controlli, nuove disposizioni organizzative interne alle carceri. Per assicurarsi tutto ciò il ministro ha dato mandato al Dap, il dipartimento di amministrazione penitenziaria.

Il ministro punta anche a modifiche legislative. L’obiettivo è risolvere, a suo dire, le "carenze dovute alle interpretazioni, spesso contrapposte, date alla norma dai diversi tribunali di sorveglianza a proposito della capacità di collegamento del detenuto con l’esterno. Interpretazioni che hanno spesso determinato la fine dell’applicazione del 41 bis per molti detenuti".

Lui di provvedimenti ne ha firmato 73: 51 conferme e 22 nuove applicazioni. "L’ho fatto con grande rigore e riservatezza perché credo rientri tra i miei doveri di ministro della giustizia a garanzia della sicurezza del nostro paese contro le più aggressive forme di criminalità organizzata".

Ma l’opposizione non si accontenta di promesse. Conscia, come dice Marco Minniti, del Pd, che "l’art. 41 Bis è stato in questi anni uno strumento decisivo di lotta contro le mafie ed ha impedito ai boss di continuare a comandare anche dal carcere". Mentre si dice pronto ad avanzare proposte in parlamento perché la sua applicazione sia ancora più stringente.

"Bisogna intervenire in tempi rapidissimi, non solo a parole ma con atti concreti, per rafforzare la normativa prima che altri boss possano essere sottratti al regime previsto dal 41 bis", dice Franco Barbato, dell’Italia dei Valori. E aggiunge "La rapida retromarcia del centrodestra rappresentata dalle parole del ministro Alfano sul necessario inasprimento del 41 bis, dimostra che le nostre motivazioni erano pienamente fondate: il depotenziamento del regime di carcere duro è una gravissima colpa del precedente governo Berlusconi. La stabilizzazione del 41 bis, avvenuta nel 2002, ha infatti introdotto un regime di ricorsi che di fatto si è rivelato un enorme regalo ai mafiosi".

Giustizia: Forum per la salute dei detenuti su riforma sanità

 

Comunicato stampa, 8 luglio 2008

 

Forum Nazionale per il diritto alla salute dei detenuti e delle detenute e l’applicazione del d.lgs 230/99 - Nota conclusiva dei lavori dell’incontro nazionale. Roma, 20 giugno 2008.

Il giorno 20 giugno 2008, si è svolto a Roma, promosso dal Forum Nazionale d’intesa con i Forum Regionali, l’incontro nazionale delle Associazioni aderenti per discutere sull’applicazione del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm) "modalità e criteri per il trasferimento al Servizio Nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria", pubblicato in G.U. in data 30 maggio 2008.

All’incontro hanno partecipato la quasi totalità delle Associazioni che aderiscono al Forum: da Emergency alla Lila, da amministratori locali al rappresentante dell’ordine degli psicologi, dalla Comunità di Sant’Egidio al Ceis, da esponenti di singole aziende sanitarie locali a rappresentanti degli assessorati regionali alla salute, dal Seac alla Conferenza Nazionale del Volontariato Giustizia, dalla Consulta penitenziaria del Comune di Roma a operatori sanitari negli Istituti Penitenziari della giustizia, ai Garanti per i diritti dei detenuti al sindacato.

Il Decreto è entrato in vigore dal 14 giugno 2008. L’ampia e partecipata discussione ha sottolineato con forza la delicatezza e complessità della fase di avvio della riforma e come sia indispensabile il suo completamento e miglioramento nel corso dell’applicazione nei tempi previsti dal Dpcm.

Questo passaggio da un ordinamento (giustizia) all’altro (sanità) richiede la massima collaborazione tra le Istituzioni interessate, Governo, Regioni e Province autonome. L’applicazione riguarda la lettera e lo spirito della riforma della sanità penitenziaria. Il fine è il diritto alla salute dei detenuti da garantire senza interruzioni di continuità; i mezzi sono le risorse finanziarie, professionali e materiali che le Istituzioni devono assicurare sempre nei tempi stabiliti dal decreto.

Gli atti amministrativi che riguardano il trasferimento del personale, il riparto delle risorse finanziarie alle Regioni e Province autonome, la messa a disposizione della Asl, degli arredi e dei locali sono il banco di prova di un rapporto, a tutti i livelli, che deve essere improntato alla massima collaborazione nell’obiettivo comune del diritto alla salute dei detenuti e della garanzia della sicurezza delle carceri e dei cittadini.

Nello stesso tempo e con la stessa tempestività, é necessario che le Regioni e le Province autonome facciano proprio, con Atto formale, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, istituiscano un Capitolo di spesa vincolato per la salute in carcere, predispongano un Progetto obiettivo regionale e/o provinciale per un Osservatorio epidemiologico, per gli obiettivi di salute e per la traduzione pratica delle Linee guida con modelli di servizi sanitari differenziati e con standard adeguati in ogni Istituto Penitenziario e Asl corrispondenti.

Per far fronte alle novità, introdotte dalla riforma, Governo, Regioni, Province autonome e Aziende sanitarie locali devono dotarsi di Uffici permanenti, o in ogni caso di un referente preciso, per la gestione di un Servizio nuovo, da seguire e sostenere con continuità e competenza proprio per cogliere in tutta la sua valenza questa straordinaria occasione, non come un carico aggiuntivo ma come vero e proprio valore aggiunto a tutto il sistema sanitario e penitenziario.

Il Dpcm, al suo articolo 7, prevede e richiede, entro un mese dalla sua pubblicazione in G.U, la stipula di un Accordo per i rapporti di collaborazione a tutti i livelli istituzionali, nazionale, regionale e locale, tra il sistema penitenziario e il sistema sanitario, due sistemi che hanno certamente Ordinamenti diversi ma uguale dignità costituzionale, sfere proprie di autonomia ma responsabilità comuni, entrambe derivate dalla Costituzione.

Nella discussione sono emerse criticità e debolezze proprie delle Istituzioni ma anche ritardi, resistenze o incomprensioni da affrontare e superare nel percorso dell’applicazione del Decreto Legislativo e non per ultima la questione ancora non risolta degli psicologi.

La chiarezza nelle competenze e lo spirito di collaborazione sono la condizione primaria per superare le criticità esistenti ma, anche, per affrontare le questioni che saranno messe in evidenza dalla pratica attuativa, giorno dopo giorno, tanto più in un sistema così complesso (che abbraccia penitenziari per adulti e minori) che ha in se problemi come la salute mentale, la tossicodipendenza, il superamento graduale degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

Le Linee Guida sono il documento fondamentale per articolare le regole che devono essere alla base dell’agire comune nelle singole realtà. Per questo è indispensabile costituire immediatamente, a livello nazionale, regionale e locale, Organismi di confronto e di collaborazione permanente, dotati di strumenti operativi, di chiare ed esplicite competenze per la rilevazione delle informazioni e delle esigenze che maturano, per la elaborazione delle proposte utili al buon funzionamento della riforma e del sistema, per il controllo e la verifica dei risultati.

Il Forum per la salute dei detenuti, che ha sostenuto con continuità e vigore l’approvazione della riforma, fa appello alle Istituzioni perché la riforma sia accompagnata da una politica nazionale ispirata all’articolo 27 della Costituzione secondo il quale "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato"

Durante i lavori e negli interventi che si sono susseguiti, è emerso che per affrontare con serietà e completezza la salute nelle carceri occorrono altre riforme e dare risposte sociali ai problemi della povertà, dell’emarginazione e della sofferenza sociale, differenziando le pene e le forme della loro esecuzione, diminuendo i tempi della carcerazione preventiva; ciò significa, ad esempio, non svuotare le riforme che hanno sinora funzionato, come la cd, Gozzini. Legge che ha introdotto negli Istituti penitenziari, per le persone recluse, elementi di trattamento, di inserimento sociale e lavorativo, di inclusione e che è bene sottolineare ha reso le carceri più vivibili e i risultati sociali e di sicurezza più estesi e più certi. Difendere e garantire i diritti dei più deboli significa promuovere una società migliore per tutti e più sicura per tutti.

Il Forum nazionale per la salute dei detenuti continuerà la sua azione di stimolo e di proposta e si rivolge, innanzitutto, ai detenuti e a tutti gli operatori interessati affinché diventino sempre più i principali protagonisti della riforma; si rivolge alle Istituzioni, alle forze della cultura, alle Organizzazioni sindacali e alle Associazioni di cittadini per un fronte unitario a difesa e a sviluppo delle conquiste di civiltà che a fatica e con tanti sacrifici il Paese si è dato.

È necessario "pensare in grande", ma agire con determinazione in tutte le sedi dove sono in discussone e a rischio i diritti dei cittadini. Per questo il Forum, si articolerà a livello di ogni Regione per continuare a difendere meglio il diritto alla salute dei detenuti e delle detenute e per sostenere gli altri diritti di cittadinanza, con tutte le forze riformatrici per un sistema carcerario pienamente ispirato ai principi della Costituzione italiana.

 

La Presidente del Forum

On. Leda Colombini

 

In questo contesto si svolge la fase più delicata e impegnativa del lungo e travagliato percorso del decreto legislativo 230/99. Un percorso che fin dall’inizio sapevamo complesso, irto di difficoltà, per la profonda trasformazione organizzativa e culturale che avrebbe significato, trasformazione di una portata che a volte non manca di sorprendere noi stessi, convinti sostenitori e partecipi del processo riformatore.

È certo un momento delicato per l’Amministrazione Penitenziaria, che deve riorganizzare attività e servizi, e favorire le procedure di integrazione con le modalità operative del Servizio Sanitario Nazionale. È un momento impegnativo per gli Assessorati alla salute e le Aziende Sanitarie competenti, che debbono recepire gli atti di indirizzo del Dpcm e confrontarsi con la complessa questione del trasferimento degli operatori sanitari penitenziari. È anche la rottura di alcuni equilibri che, con le loro luci e con le loro ombre, finora hanno regolato la Sanità Penitenziaria.

È il momento dell’incertezza per i detenuti e i loro familiari, ed è certo paradossale che finora proprio i titolari dei diritti per cui si sta combattendo questa straordinaria battaglia siano stati così poco coinvolti nel processo di riforma.

È il momento dell’affermazione del principio di eguaglianza in materia di salute, ma è anche il momento di resistenza al cambiamenti, di confusione per coloro che sono interessati dal trasferimento, ed è per questo momento che necessita di corretta e puntuale informazione.

Informazione sul fatto che a questo salto culturale può e deve corrispondere non solo una maggiore qualità del livello di assistenza sanitaria in carcere, ma anche una maggiore qualificazione delle professionalità sanitarie coinvolte, anche per loro una riduzione della condizione di separatezza dalla società libera.

Nel processo di concertazione col territorio che caratterizza la riforma, i Forum regionali possono, a livello territoriale, radicare e intensificare la straordinaria azione di sensibilizzazione e coinvolgimento finora svolto dal Forum nazionale. Devono essere un luogo di ascolto, di confronto, di proposte, di baluardo alle spinte contro riformatrici che si stanno organizzando, di contrasto alla campagna di disinformazione che va prefigurando scenari di caos e di riduzione del livello di sicurezza negli Istituti.

Bisogna comprendere, e far comprendere, che la mancata realizzazione del principio del principio di lealtà tra le Istituzioni, e il prevalere di interessi personali e corporativi, possono, in una delicata fase di transizione, costituire una reale minaccia per la necessaria garanzia di continuità nell’erogazione delle prestazioni sanitarie in carcere.

I Forum devono su questo vigilare, richiamare al senso di responsabilità le parti coinvolte, contrastare i tentativi di attribuire ai contenuti della riforma stessa i disservizi e i danni causati da un mancato spirito di collaborazione.

La società civile che il Forum rappresenta non deve permettere che un bene comune, come la salute di persone che momentaneamente sono separate dal contesto libero, sia utilizzato per fini diversi dall’aumento di benessere della collettività tutta. I Forum devono per questo svolgere un’opera di sostegno e di supporto agli assessorati alla salute in questa delicata fase di recepimento delle funzioni, di definizione dei modelli organizzativi, di verifica dell’adeguatezza di questi alle linee di indirizzo del Dpcm e di compatibilità ai piani sociosanitari. Il tutto ovviamente nella consapevolezza e nel rispetto dei reciproci ambiti di competenza e di autonomia.

Per questo il Forum piemontese ha ritenuto di dover intervenire, a livello locale, per richiamare le parti al ripristino di un clima di fattiva e responsabile collaborazione, stigmatizzando gli attacchi pervenuti nei confronti di un Assessorato che, in merito alla riforma della sanità penitenziaria, ha fin da subito mostrato interesse ed attenzione non comuni nel panorama nazionale. Il che è già, di per sé, un dato apprezzabile.

Non di attacchi vi è bisogno in questo momento, non di interessi di parte che rallentano il processo organizzativo e prolungano la fase di transizione, ma di contributi e di supporto all’implementazione di nuovi modelli che necessariamente si dovranno definire e modificare nel corso della loro sperimentazione. Il percorso che è stato avviato in Piemonte non ha prodotto una proposta definitiva, ma ha posto le basi per un recepimento delle nuove funzioni consapevole, programmato, non lasciato all’improvvisazione o limitato alla semplice rivisitazione del precedente modello di sanità penitenziaria.

I contatti con l’Amministrazione Penitenziaria sono stati attivati in maniera tempestiva nel novembre 2007 con Deliberazione della Giunta regionale N. 4-7657 è stata formalizzata l’istituzione del Gruppo Tecnico per la tutela della salute in carcere, col compito di definire un piano di lavoro finalizzato ad assicurare il trasferimento delle competenze. Si è curato che la composizione del Gruppo fosse rappresentativa delle varie parti coinvolte nel processo, e per tale motivo oltre a componenti designati dall’Assessorato e altri designati dall’Amministrazione Penitenziaria, con determinazione dirigenziale N. 142 del 19/03/08 è stata formalizzata anche la partecipazione del Forum. Nel frattempo, con funzioni strettamente connesse a quelle del gruppo tecnico, è stato istituito con determinazione dirigenziale N. 31 del 23/01/08 il tavolo dei referenti delle Aziende Sanitarie sedi di carcere.

L’attività di ricognizione dei vari aspetti delle realtà esistenti in merito all’Assistenza Sanitaria negli Istituti Penitenziari, già suggerita dalle Linee di indirizzo allegate al Dpcm, è stata avviata per tempo, e contemporaneamente si è attivato il confronto per definire priorità e criticità da attenzionare nel percorso di riforma.

La proposta che ne è derivata, attenta a garantire un equilibrio tra il modello sanitario regionale piemontese e le specificità delle realtà penitenziarie interessate, è stata presentata come un modello sperimentale, finalizzato ad assicurare nell’immediato la gestione della sanità in carcere, una cornice progettuale idonea a recepire contributi, integrazioni e modifiche inevitabili nel corso della sua attuazione.

Il 10 giugno 2008 è stata approvata la delibera di recepimento del Dpcm, in cui la Giunta regionale ha dato mandato alla Direzione Regionale della Sanità di assumere i provvedimenti necessari per la presa in carico della funzioni sanitarie e l’individuazione dei primi interventi atti a garantire la continuità dell’assistenza. Al contempo, si è dato mandato alle aziende sanitarie sedi carcere di assicurare la realizzazione del processo di riordino della sanità penitenziaria attraverso i referenti aziendali e secondo le direttive della Direzione sanitaria regionale.

Con successiva circolare, in assenza di una struttura compiuta e normata, si è definito un modello temporaneo in cui ogni azienda sanitaria individua nell’Istituto di competenza un medico incaricato quale referente di presidio che si interfaccia con il referente aziendale in merito alle specificità delle problematiche del carcere.

Per assicurare l’omogeneità del complessivo percorso di riforma nell’abito del distretto, in ovvio rispetto dell’autonomia delle Aziende Sanitarie competenti, è stato individuato un coordinamento tecnico regionale. Nell’ambito di tale coordinamento è stato dato l’avvio ad una serie di incontri con i referenti aziendali, i referenti di presidio, le direzioni degli Istituti e le varie figure professionali coinvolte nel processo, per esplicitare le linee di indirizzo della direzione sanitaria regionale, rilevare i bisogni, rispondere alle legittime e doverose esigenze di conoscenza e di approfondimento. È la parte iniziale di un cammino che si preannuncia impegnativo, e che per questo necessita dell’attenzione e del contributo di tutti.

 

Il presidente del Forum Piemontese

Dott.ssa Anna Greco

Roma: Alemanno; per città sicura alt ai mendicanti molesti

di Mauro Evangelisti

 

Il Messaggero, 8 luglio 2008

 

Insieme all’ordinanza anti borsoni - per fermare gli ambulanti abusivi - il Comune di Roma sta studiando un provvedimento anti mendicanti molesti, per colpire chi chiede soldi in modo troppo aggressivo, parcheggiatori abusivi compresi. È uno degli annunci fatti ieri dal sindaco Gianni Alemanno, nel corso del consiglio comunale straordinario sulla sicurezza.

E su quel tema sono tornate le scintille con il suo sfidante in campagna elettorale, Francesco Rutelli, che ha accusato: "Ho sentito solo parole, nessun fatto. In piazza Navona ho contato oltre settanta ambulanti abusivi...". Ma se il dibattito di ieri pomeriggio sul nuovo patto per Roma sicura ha toccato solo di striscio il tema dei nomadi e del censimento, proprio il nodo delle impronte ha scosso la Capitale. Proprio nella città in cui il prefetto.

Cario Mosca, ha già annunciato che non avverrà la schedatura con le impronte, ci sono state diverse manifestazioni. All’Esquilino, quartiere centrale e multietnico, in tremila hanno partecipato alla "schedatura volontaria" per protesta contro la raccolta delle impronte dei Rom prospettata dal Viminale, c’erano anche numerosi esponenti della cultura e dello spettacolo: Andrea Camilleri, Dacia Maraini, Moni Ovadia, Ascanio Celestini. Con loro, parlamentari del Pd (Bindi, Turco e Franceschini) e della Sinistra (Mussi e Russo Spena).

Non solo: proprio sotto il Campidoglio c’è stata una manifestazione, con striscioni contro la "schedatura", mentre esponenti dell’Opera nomadi si sono seduti nei banchi del pubblico. Il sindaco Gianni Alemanno ieri ha ribadito: "È inevitabile il risanamento dei campi nomadi di Roma". E in Consiglio ha aggiunto: "Teniamo conto che negli accampamenti abusivi c’è una realtà più vasta, non solo rom, ma anche immigrati e a volte anche italiani. Dobbiamo capire e aiutare chi vuole inserirsi, allontanare gli altri".

Il gruppo del Pdl, nel corso del Consiglio comunale, ha presentato un documento di quattordici pagine in cui chiede un patto con i rom, ma invita Alemanno "a collaborare con il prefetto Mosca, m quanto commissario delegato, con un rigoroso e capillare censimento delle presenze dei senza fissa dimora in città per renderli identificabili e quindi eventualmente punibili" e di farsi "intermediario per chiedere "l’identificazione dei bambini nomadi specie in età prescolare per proteggerli e vaccinarli".

Opposta la posizione del Partito Democratico: il Capogruppo Umberto Marroni ha detto "no alle schedature, sì al censimento", mentre due consiglieri comunali del suo gruppo, Athos De Luca e Fabrizio Panecaldo, polemicamente hanno firmato il foglio presenze con le impronte digitali. Ultimo tassello, l’assemblea che si è svolta, sempre ieri pomeriggio, in un campo nomadi alla Magliana (quartiere periferico di Roma) indicato come punto di partenza del censimento.

I rom hanno detto no alla "schedatura" e hanno ricevuto l’appoggio di numerosi esponenti del Pd e de La Sinistra, compreso il presidente del Municipio. In questo scenario così fluido ieri Alemanno ha ricordato i dati sui crimini ("sono in diminuzione da due anni, il picco minimo c’è stato lo scorso maggio"), annunciato che nel nuovo Patto per Roma sicura il Comune investirà dieci milioni di euro. E ha quantificato i militari che chiederà al governo: 300. Replica del Capogruppo del Partito Democratico, Umberto Marroni: "Alla fine è chiaro che Roma è una città sicura".

Pescara: Uil Penitenziari; omicidio si sarebbe potuto evitare

 

Agi, 8 luglio 2008

 

Il delitto commesso a Pescara "si sarebbe potuto evitare con un reale sistema di controlli sui soggetti detenuti ammessi a misure alternative alla detenzione". È il commento di Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari, dopo i fatti di cronaca accaduti a Pescara dove un detenuto, Michelangelo D’Agostino, ex camorrista e pentito, ammesso a misure alternative, ha ucciso a sangue freddo un custode di uno stabilimento balneare.

"Quando ho saputo la notizia - spiega Sarno - ho immediatamente pensato alle sciagurate polemiche di quanti hanno voluto, di fatto riuscendoci, bloccare il progetto di Clemente Mastella di istituire nell’ambito degli Uffici dell’Esecuzione Penale Esterna (Uepe) nuclei di polizia penitenziaria per controlli su soggetti detenuti ammessi a misure alternative al carcere".

Per la Uil Penitenziari, dunque, occorre subito riprendere il confronto e garantire i necessari controlli: "se il servizio di controllo fosse stato affidato alla polizia penitenziaria - osserva il leader del sindacato - è immaginabile che la pistola detenuta da D’Agostino nello spogliatoio adibito a dormitorio sarebbe stata rinvenuta.

È bene ricordare - spiega Sarno - che la mancanza di controlli è una delle motivazioni per cui la stessa magistratura di sorveglianza ha sollecitato l’adozione di misure efficaci. D’altro canto lo stesso ministero dell’Interno ha più volte spiegato che è di fatto impossibile per la Polizia di Stato provvedere a controlli capillari per i soggetti ammessi a misure alternative come quelle dell’affidamento in prova ai servizi sociali, ovvero la misura di cui godeva Michelangelo D’Agostino". Ora "dopo le inevitabili polemiche che deriveranno da questo fatto di sangue", conclude Sarno, "voglio credere che il Governo Berlusconi, quello della pena certa e della certezza della pena, rimetta mano al progetto dotando il ministro Alfano delle risorse necessarie per la sua attuazione".

Livorno: sabato sit-in davanti al carcere per Marcello Lonzi

 

Lettera alla Redazione, 8 luglio 2008

 

Mio figlio è morto l’11 luglio nel 2003, nel carcere Le Sughere di Livorno. Faceva molto caldo come oggi, ero lì sola a combattere, o per meglio dire, cominciavo una battaglia più grande e pericolosa di me. Ricordo chiaramente che i secondini fecero di tutto per non farmi lasciare un mazzo di fiori lì, su quel piccolo spazio in un angolo vicino al cancello del carcere.

Erano in 5, una donna e 4 uomini, fu proprio lei, un’ispettrice che guardandomi negli occhi mi disse che non potevo lasciare lì i fiori. Poi, vedendo la mia insistenza, mi chiese: "Signora, ma ha pagato la tassa al comune? Perché sta occupando un suolo pubblico!" Non credevo a quelle parole, mio figlio era morto, lo avevano ucciso, ma per loro c’era solo freddezza e indifferenza.

Oggi a distanza di 5 anni, grazie a voi tutti, alle persone che ho conosciuto personalmente, ma un grazie particolare va a coloro che sono venuti da lontano per starmi vicino nella mia battaglia per la verità. Senza voi tutti non so se sarei riuscita ad andare avanti, perché la forza me l’avete trasmessa, di mio c’è che sono una che non molla.

Ci sono stati degli indagati, e siamo arrivati quasi al capolinea, una battaglia che piano piano abbiamo percorso insieme, ed insieme la dobbiamo vincere. Sabato 12 luglio, dalle ore 18, sarò ancora davanti al carcere per ricordare l’anniversario della morte di mio figlio Marcello. Spero che saremo in tanti.

 

Maria Ciuffi

Roma: Vittorio Cecchi Gori è malato, agli arresti in clinica

 

La Nazione, 8 luglio 2008

 

Seri motivi di salute hanno indotto il gip di Roma, Mulliri, ad accogliere la richiesta dei legali del produttore. Era stato arrestato il 3 giugno con l’accusa di bancarotta in relazione al fallimento della società Safin

Per Vittorio Cecchi Gori, arrestato il 3 giugno scorso con l’accusa di bancarotta in relazione al fallimento della società Safin, è stato disposto il trasferimento in clinica. Da allora si trova al carcere di Regina Coeli. Motivi di salute hanno portato il gip di Roma Guicla Mulliri ad accogliere la richiesta in tal senso avanzata dai legali del produttore, avvocati Massimo Krogh, Antonio Fiorella e Nicoletta Piromallo. Cecchi Gori sarà trasferito nella clinica Villa Margherita, nel quartiere Nomentano della Capitale.

Al produttore sono contestate varie ipotesi di bancarotta. Nella vicenda sono coinvolti anche il suo collaboratore Luigi Barone (a sua volta detenuto a Regina Coeli) e il membro del collegio sindacale della Safin Giorgio Ghini (ai domiciliari). La principale accusa contestata a Cecchi Gori ed al suo collaboratore Luigi Barone, nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita nel giugno scorso, è quella di bancarotta fraudolenta legata al fallimento della Safin spa per 25 milioni di euro. Nell’indagine è coinvolta anche una terza persona, Giorgio Ghini, componente del collegio sindacale della Safin, per il quale erano stati disposti gli arresti domiciliari.

Gli avvocati Antonio Fiorella e Massimo Krogh, avevano sollecitato ai giudici della libertà, la revoca del provvedimento restrittivo o, almeno, in subordine, gli arresti domiciliari. Il 21 giugno però il tribunale del riesame aveva rigettato l’istanza dei legali. Secondo i medici di fiducia dell’ex patron della Fiorentina le sue condizioni di salute sono incompatibili con il regime carcerario.

In forza anche di questi ripetuti pareri i difensori avevano presentato diverse istanze al gip per disporre il trasferimento presso una struttura sanitaria. Secondo quanto riferito da fonti vicine al collegio di difesa, lo stato di salute del produttore cinematografico sono precarie. "Le condizioni di salute sono gravi".

Bologna: concerto in carcere, suona un gruppo di detenuti

 

Dire, 8 giugno 2008

 

Un concerto in carcere, suonato per i detenuti da un gruppo di detenuti (5 italiani e 5 tunisini). Oggi a partire dalle 15 nella sala cinema dell’istituto penitenziario di Bologna, debutta - unica data - lo spettacolo "Musiche e suoni dal Mediterraneo". Dopo un altro anno di laboratorio musicale, condotto sempre dal Gruppo Elettrogeno all’interno della sezione penale maschile della "Dozza", la nuova band della casa circondariale si esibirà per la prima volta in pubblico. Un pubblico fatto soprattutto di altri detenuti, agenti di polizia penitenziaria e operatori carcerari. Il concerto, che sarà anticipato dalla tappa bolognese del tour Dirk Hamilton & The Bluesmen, fa parte del progetto "Parole comuni. Teatro, musica, scrittura, video e comunicazione" realizzato dall’associazione Gruppo Elettrogeno in collaborazione con il coordinamento sociale del Comune di Bologna e con l’amministrazione penitenziaria.

"Si tratta di un percorso che tenta di far emergere nuove opportunità e nuove possibilità di recupero dei detenuti - ha sottolineato la vicesindaco Adriana Scaramuzzino oggi in conferenza stampa -, per farli tornare alla vita di tutti i giorni con qualche speranza e qualche capacità in più". Un percorso che "deve proseguire perché i risultati ci sono: le persone che seguono i laboratori artistici - l’anno scorso frequentati da quattro detenuti, quest’anno da 23 - fanno un cammino di crescita personale che le porta a prendere una maggiore coscienza di se stesse", ha spiegato Massimo Ziccone, responsabile dell’area pedagogica della casa circondariale della Dozza.

Dello stesso avviso anche Desi Bruno, la Garante per i diritti delle persone private della libertà personale: "musica e teatro non rappresentano solo dei momenti di intrattenimento; i detenuti mettono in gioco il loro essere altro oltre che reclusi, dimostrando di essere ancora capaci di tessere una relazione con il mondo esterno pur in una quotidianità difficile come quella dell’istituto di pena".

Dopo "Canzoni e canzonette", lo spettacolo ospitato l’anno scorso a luglio nel parco di Monte Sole, i detenuti del carcere di Bologna tornano a esibirsi. "Ma non sono gli stessi, perché quasi tutti - ed erano bravissimi musicisti - nel frattempo sono stati trasferiti o sono usciti di prigione", ha precisato Sebastiano Scollo, che ha condotto i laboratori musicali. "Quelli di quest’anno invece sono quasi tutti principianti, persone che non si erano mai avvicinate alla musica e al canto prima d’ora", ha aggiunto Martina Palmieri del Gruppo Elettrogeno. Dirk Hamilton & The Bluesmen si esibiranno prima di loro: Hamilton ha già suonato una volta in una prigione statunitense, mentre Roberto Formigoni, voce e chitarra di The Bluesmen, in passato ha insegnato musica nel carcere di Ferrara. Vista la multiculturalità della band, il concerto di domani sarà un mix di contaminazioni sonore tra musica popolare, grandi classici della canzone italiana e musica araba.

San Gimignano (Si); agente aggredito, protesta dei sindacati

 

Ansa, 8 giugno 2008

 

Un assistente di polizia penitenziaria è stato aggredito da un detenuto ed ha subito contusioni giudicate guaribili in sette giorni. L’aggressione, denunciata dai sindacati, è avvenuta sabato scorso nel carcere di San Gimignano.

Le organizzazioni sindacali definiscono il gesto vile e sottolineano la preoccupante situazione e l’aria di tensione che si respira nel carcere, divenuta incandescente e insostenibile con gravi ripercussioni sulla sicurezza degli operatori. I sindacati contestano la gestione del nuovo dirigente che è ritenuta inadeguata. Ha portato all’ingovernabilità per l’ordine e la sicurezza e ciò si ripercuote anche sui programmi di trattamento dei reclusi. Secondo i sindacati, il carcere è al collasso gestionale anche per la gravissima carenza di personale. Per questi motivi i rappresentanti sindacali chiedono all’amministrazione penitenziaria interventi urgenti perché si evitino altri episodi di violenza all’interno della struttura.

Napoli: 6 detenuti di Secondigliano si diplomano ragionieri

 

Ansa, 8 giugno 2008

 

Diplomi di maturità nel carcere di Secondigliano a Napoli: sei detenuti hanno conseguito il diploma di ragioniere-perito commerciale che sarà loro consegnato venerdì prossimo nel corso di una manifestazione. Due dei sei studenti hanno ottenuto 100, il massimo dei voti, nessuno ha conseguito risultati inferiori ad 80/100. Elena Bracale, presidente della Commissione esaminatrice, e Nicola Caruso, responsabile dell’area educativa del carcere, esprimono "soddisfazione per i risultati e per il percorso rieducativo compiuto dagli studenti".

I detenuti, alunni della sezione distaccata dell’Itc "E. Caruso" di Napoli operante presso il carcere, hanno compiuto un corso regolare di studi, di cinque anni, che li ha sostenuti nel percorso detentivo ed aiutati ad aprirsi alla speranza in una vita diversa. La cerimonia di consegna dei diplomi sarà un’occasione per presentare il giornale "Dentro la notizia", redatto dagli stessi alunni sottoposti al regime penitenziario. Alla cerimonia sono stati invitati rappresentanti dell’amministrazione regionale, penitenziaria e scolastica, che sostengono il progetto da oltre 15 anni.

Rimini: venerdì inaugurata Casa d’accoglienza per detenuti

 

Corriere Adriatico, 8 giugno 2008

 

Venerdì a Taverna di Montecolombo sarà inaugurata la nuova sede della "Casa madre del perdono" dell’associazione Papa Giovanni XXIII, in via Chitarrara 675.

La Casa da tre anni ospita detenuti, occupandosi del loro recupero sociale. Per l’occasione si terrà una tavola rotonda dal titolo "Che fare con l’uomo che sbaglia". Dopo la presentazione del cd sul progetto "Oltre le sbarre", ci saranno gli interventi, a partire dall’assessore regionale alle Politiche Sociali Anna Maria Dapporto. Alle 18 il vescovo di Rimini, monsignor Francesco Lambiasi, celebrerà la Messa.

L’introduzione al convegno a cura della Papa Giovanni: "Di fronte alla grave sofferenza del sistema carcerario che spende oggi 8.500.000 euro al giorno con dei risultati sul piano educativo pessimi… che fare?". "Il carcere è una costosa inutilità" disse pubblicamente Vittorino Andreoli, psichiatra di fama internazionale; dei detenuti che hanno scontano la pena interamente, il 75-80 % torna in carcere per lo stesso reato… che fare?; sono necessarie idee e forme nuove di collaborazione tra pubblico e privato. Come sostiene il cardinale Carlo Maria Martini nel Libro Non è Giustizia: "È urgente esprimere in termini autenticamente biblici e Cristiani una risposta sostenibile al problema criminale, che prometta di essere feconda anche in termini civili e secolari". Don Oreste scrisse che "è necessario impegnarsi affinché dalla certezza della pena come risposta alla paura si possa giungere alla certezza del recupero come risposta adeguata ad una società sempre più violenta che si illude di vincere il male con il male".

Immigrazione: e gli stranieri servono… a scaricare la paura

di Giuliano Battiston

 

Liberazione, 8 luglio 2008

 

"Porsi le domande giuste è ciò che fa la differenza tra l’affidarsi al fato e perseguire una destinazione, tra la deriva e il viaggio". Zygmunt Bauman - autore della Modernità liquida e della Solitudine del cittadino globale - sostiene che il compito del sociologo è proprio quello di usare la cultura - un "coltello affondato nel futuro" - per dimostrare che ciò che ci sembra ovvio e necessario è invece contingente e revocabile. Per "abbattere i muri dell’ovvio e dello scontato", edificati da quanti intendono presentare come immodificabile l’attuale ordine sociale, la ricerca delle domande giuste deve però essere alimentata innanzitutto dalla volontà di costruire un’arena politica globale che sappia recuperare "la fiducia nell’efficacia del discorso pubblico e nella sua capacità di stimolare un’azione collettiva".

 

Per caratterizzare l’attuale fase della modernità sono state usate definizioni diverse: seconda modernità, modernità riflessiva, post-modernità, etc. Lei stesso, dopo aver usato per un certo periodo la categoria della post-modernità, ha deciso di adottare la metafora della "modernità liquida". Ce ne spiega le ragioni?

Ho rinunciato a descrivere l’attuale condizione come "postmoderna" in primo luogo perché si tratta di un termine negativo, che non dice nulla sulle caratteristiche della fase che è "venuta dopo" e in secondo luogo perché suggerisce erroneamente l’idea che l’era della modernità sia finita. Credo invece che la modernità sia uno stato di modernizzazione permanente, ossessiva e compulsiva, e che siamo ancora moderni, forse ora più che mai. Retrospettivamente, infatti, il primo stadio della modernità rivela pienamente le sue potenzialità "mature" solo nella fase liquida. Nella fase classica, "solida", la modernità aveva già a che fare con la fusione dei corpi solidi (le tradizioni, i vincoli, le strutture rigide, i legami durevoli, le norme tramandate), ma era mossa dall’intenzione di sostituirli con altri ancora più solidi, che non fossero più vulnerabili, che fossero perfetti. La modernità liquida prosegue quel lavoro di fusione, ma non permette che ciò che è stato fuso si indurisca e si consolidi. Strutture, norme, legami, routine sono ora permanentemente in uno stato fluido.

 

Alcuni ritengono che la "globalizzazione" sia semplicemente una costruzione ideologica, una formula retorica che, mentre descrive la fase del capitalismo post-industriale, allo stesso tempo esercita anche una funzione prescrittiva, perché tende a "naturalizzare", e dunque a legittimare, le ingiustizie generate dal neoliberismo. Qual è la sua opinione?

Esiste effettivamente un’ideologia della globalizzazione, ma anche il fin troppo reale processo della globalizzazione, che consiste nel prosciugare ogni forma di sovranità locale e nell’impedire in ogni angolo del pianeta l’autosostenibilità e l’autosufficienza, costituendo una rete sempre più densa di interdipendenze su scala planetaria.

Questa dipendenza planetaria si è compiuta nella forma capitalista, con il trionfo del mercato e il movimento di capitali su scala planetaria, il graduale ma implacabile assorbimento delle forme di vita pre-capitalistiche e la progressiva commercializzazione di tutte le forme di vita.

È un processo che non dovrebbe essere visto come una semplice costruzione ideologica. Il suo impatto sulla vita reale infatti è enorme: ridefinisce i confini tra strategie realistiche e irrealistiche, i paletti della politica e l’agenda della giustizia. Se ignorassimo il pericolo insito in questo processo perderemmo di vista il dovere di gran lunga più importante e urgente del ventunesimo secolo: ottenere di nuovo il controllo politico sulle forze economiche che alla fine del ventesimo secolo sono state "liberate" dalla supervisione democratica e dalla regolamentazione politica.

 

Secondo la sua analisi, non ci sarebbe contraddizione tra la frammentazione politica e la globalizzazione economica, perché "la proliferazione degli Stati nazionali procede di pari passo con il loro indebolimento".

Fino a quando ci si aspettava che lo Stato rivendicasse piena sovranità sul suo territorio e che la sovranità politica si reggesse sul treppiede delle autarchie (militare, economica e culturale) a molti degli attuali Stati membri dell’Onu non sarebbe venuto in mente di rivendicare l’indipendenza nazionale. Quando l’idea, e ancor di più la pratica della "sovranità" è stata progressivamente spogliata delle sue passate prerogative quella richiesta è divenuta invece invitante persino per quelle entità che prima non avevano tali ambizioni.

L’indebolimento dell’idea e della pratica dell’autorità sovrana è un prodotto della "globalizzazione negativa" e la frammentazione delle unità politicamente sovrane a sua volta fa il gioco delle forze globali. Molti "Stati" oggi sono poco più che aree di polizia, territorialmente delimitate, che garantiscono la sicurezza di permanenza e di viaggio dei poteri extraterritoriali. Le due tendenze - l’erosione della sovranità territoriale e la crescente extraterritorialità dei poteri globali - sono due aspetti dello stesso processo.

 

Uno dei metodi più comuni per evitare il difficile compito di negoziare le differenze e accettare compromessi sembra essere quello di "espellere" il diverso e tentare di separare territorialmente "Noi" da "loro". Vuole dirci qualcosa a proposito del rischio del "comunitarismo", e di come "l’estraneo viene trasformato in un alieno, e l’alieno in una minaccia"?

Poiché c’è sempre il rischio che la paura, usata per consolidare la posizione di coloro che detengono il potere, si riveli controproducente, incitando al dissenso e accendendo la ribellione, per evitare l’autocombustione il surplus di paura deve essere tenuto lontano dal sistema di potere e opportunamente indirizzato su obiettivi innocui. Allo stesso modo sono necessarie delle valvole di sicurezza, che assumono forme diverse; per esempio quella di momenti di panico causati dalla minaccia, ampiamente reclamizzata, di rapinatori, accattoni invadenti, malintenzionati o pedofili usciti di prigione. Oppure la forma di occasioni di partecipazione pubblica ai rituali di esclusione, come i reality show del tipo Big Brother. O quella di allarmi ripetuti sull’influenza degli stranieri nella diffusione delle malattie e della criminalità. In un periodo caratterizzato da nuove incertezze e insicurezze generate da misteriose, impenetrabili "forze globali", orientare il risentimento verso i migranti è poi particolarmente contagioso, poiché rappresentano tutto ciò che produce ansietà: l’esilio forzato, la degradazione sociale, l’esclusione estrema, l’essere relegati in un "non-luogo" estraneo all’universo della legge e dei diritti. In questo modo gli stranieri incarnano tutte quelle paure esistenziali che tormentano gli uomini e le donne della società liquido-moderna.

 

Ci spiega perché ritiene che ci sia una "vena fondamentalista in ogni richiesta di riconoscimento" e perché il multiculturalismo opererebbe come una "forza essenzialmente conservatrice"?

Le rivendicazioni per una forma di vita che sia riconosciuta e non solo tollerata, rispettata e non semplicemente legittimata, vengono normalmente avanzate da comunità che lottano per evitare che i propri membri "disertino i ranghi" con la speranza di raggiungere una categoria sociale più promettente. Per i membri di un gruppo che reclama il riconoscimento i risultati sono ambivalenti: se ha successo, verranno protetti dalle umiliazioni che vengono dall’esterno ma allo stesso tempo vedranno consolidarsi il controllo sotto il quale sono tenuti.

Come ha opportunamente notato Alain Touraine, la reazione della maggioranza è altrettanto ambivalente: l’accettazione della richiesta, generalmente concessa sotto l’apparenza di una politica multiculturalista (ogni forma di vita merita il rispetto e il diritto alla sopravvivenza per il solo fatto di essere differente), contiene inevitabilmente anche il riconoscimento del multicomunitarismo (la reciproca esclusività delle comunità e il loro diritto di determinare in anticipo le scelte di vita dei loro membri). La tolleranza è troppo spesso un atteggiamento conclusivo, condiscendente o sprezzante, e una manifestazione di indifferenza piuttosto che un’espressione di coinvolgimento e attenzione. La solidarietà genuina implica invece l’intenzione di discutere e di cercare insieme le migliori espressioni di un’umanità comune.

 

Ritiene che il socialismo, che non sembra più possedere quella forza di "utopia attiva" che dà il titolo a un suo libro degli anni Settanta, possa ancora costituire uno strumento per rispondere al bisogno di "riforgiare la diversità umana" in una "professione di solidarietà umana"?

Nel suo stadio iniziale, la modernità ha portato l’integrazione al livello degli Stati-nazione. Prima di finire il suo lavoro deve però compiere un passo ulteriore, sollevando l’integrazione al livello di un’umanità che sia inclusiva di tutta la popolazione del pianeta. Per un pianeta interdipendente è, letteralmente, un problema di vita (comune) o di morte (comune), e una delle condizioni principali è la creazione dell’equivalente globale dello "Stato sociale" che completò e coronò il passo precedente, quello dell’integrazione dei "localismi" e delle tribù negli Stati-nazione.

La rinascita del nucleo centrale dell’"utopia attiva" socialista - il principio di responsabilità collettiva e quello di un’assicurazione collettiva contro la miseria e le disgrazie - sarà dunque indispensabile, sebbene questa volta su una scala globale, con l’umanità intera come suo oggetto.

Immigrazione: pressing da UE sull’Italia; rispettate i diritti

 

La Repubblica, 8 luglio 2008

 

Il governo italiano si trova nuovamente nella scomoda posizione di sorvegliato speciale dell’Europa sulla questione dei diritti umani. Ieri, mentre a Strasburgo il Parlamento europeo cominciava un nuovo dibattito sulla schedatura dei rom ordinata dall’esecutivo Berlusconi, a Cannes il ministro Maroni ha avuto ben due incontri "esaustivi e franchi" con il commissario europeo alle libertà pubbliche Jacques Barrot a margine della riunione informale dei ministri degli Interni. Un incontro, in mattinata, ha affrontato il problema dei rom e l’altro, nel pomeriggio, quello della moschea di viale Jenner a Milano.

Secondo Maroni, i due colloqui hanno permesso di chiarire tutti gli equivoci "dovuti ad errate interpretazioni di stampa". In realtà, Barrot ha chiesto al ministro degli Interni di rendere conto delle misure concrete adottate dai prefetti-commissari di governo nei confronti dei nomadi in virtù dei poteri speciali che sono stati loro conferiti dopo la dichiarazione dello stato di emergenza. "È importante per me che ci sia un’inchiesta estremamente precisa e chiara - ha spiegato il commissario europeo - il mio compito è assicurare che i diritti fondamentali vengano rispettati in Europa. E lo farò in modo obiettivo".

Maroni ha spiegato di essersi spontaneamente offerto di presentare entro la fine del mese alla Commissione un rapporto dettagliato su tutte le misure concrete adottate nei confronti dei rom. In realtà, la richiesta di un rapporto è venuta direttamente da Bruxelles. La Commissione, non ritenendosi soddisfatta delle spiegazioni ricevute, ha inviato al governo italiano una lettera con la richiesta di ulteriori chiarimenti. "Abbiamo appreso con un certo scontento dai media le misure che le autorità italiane vogliono varare sulla presa delle impronte digitali nei campi nomadi. - ha dichiarato ieri al Parlamento europeo il commissario agli affari sociali Vladimir Spidla - Affinché si possa avere un quadro completo della situazione, abbiamo deciso di inviare una lettera alle autorità italiane per richiedere informazioni in merito".

Sempre sulla questione della schedatura dei rom, il ministro degli Interni italiano ha anche incontrato il presidente della Commissione libertà pubbliche del Parlamento europeo, Gerard Deprez, che pure gli ha espresso una serie di dubbi sulla invocazione dello stato di emergenza, che sospende la legislazione ordinaria, e sul conferimento dei poteri speciali ai prefetti. Per soddisfare le richieste dell’Europarlamento, il ministro ha invitato i membri della Commissione parlamentare a visitare l’Italia "per seguire l’attività di censimento dei prefetti". Questi, ha assicurato il ministro, "vengono accolti in modo caloroso" nei campi nomadi.

Il secondo incontro Maroni-Barrot sulla questione della chiusura della moschea di Milano si è avuto nel pomeriggio, dopo che il commissario aveva dichiarato che, "proprio mentre si approva la direttiva europea contro la discriminazione", non sarebbe "rimasto insensibile ad eventuali segnalazioni" sulla violazione del diritto di culto. Maroni ha spiegato al commissario che le misure del governo contro il centro islamico di viale Jenner sono "una questione urbanistica di trasferimento delle attività che non tocca la libertà di culto o la libertà religiosa". Barrot "ha preso nota delle informazioni" e ha confermato che la Commissione non ha titolo per intervenire "sull’identificazione dei luoghi adeguati all’esercizio della libertà di culto". Come dire che la competenza sul caso resta alle autorità italiane, purché le misure adottate non limitino la libertà dei musulmani a Milano.

Ma l’esame europeo sulla politica dell’Italia nei confronti delle minoranze non si ferma alla Commissione di Bruxelles, né al comitato dell’europarlamento sulle libertà pubbliche. Ieri sera c’è stato alla sessione plenaria del Parlamento a Strasburgo un dibattito pubblico sui poteri speciali affidati ai prefetti e sulla schedatura di massa dei rom.

Il dibattito, che ieri il ministro Maroni ha definito "grottesco", è stato innescato da tre interrogazioni parlamentari alla Commissione presentate dai gruppi liberale, socialista e della sinistra. Giovedì i deputati potrebbero essere chiamati a votare una risoluzione "sul censimento dei Rom su base etnica in Italia".

Nel testo che è circolato ieri a Strasburgo, ma che potrebbe essere ulteriormente corretto, si esprime preoccupazione per la dichiarazione di "dodici mesi di stato di emergenza" che consente "deroghe alla legislazione" sulla base della normativa per la protezione civile in materia "di catastrofi o disastri naturali".

Inoltre si invita il governo italiano a fermare la raccolta delle impronte digitali dei rom "che costituirebbe un atto di discriminazione basato sulla razza e sulle origini etniche". Ieri a Cannes i ministri europei hanno anche trovato un accordo di massima sul Patto per l’immigrazione fortemente voluto dalla presidenza francese. Il Patto prevede di rafforzare le misure di lotta all’immigrazione illegale e di favorire l’immigrazione legale collegata alle necessità del mercato del lavoro. Respinta invece la proposta francese di un "Contratto di integrazione" che avrebbe reso obbligatorio l’apprendimento della lingua del Paese ospitante.

Droghe: arrivano le "micro-dosi", per allargare il mercato

 

Notiziario Aduc, 8 luglio 2008

 

Un fenomeno che viene analizzato non solo da chi tutti i giorni combatte questa piaga, ma anche dagli stessi spacciatori. E lo scopo dei pusher è uno solo: vendere sempre più droga, a chiunque, anche ai giovani che non possono permettersi di spendere, ad esempio, 70-90 euro per acquistare un grammo di cocaina. La soluzione che hanno escogitato è quella di confezionare non più "bustine" da un grammo, ma da 0,20 grammi, le cosiddette micro-dosi.

Si tratta di una vera e propria operazione commerciale, già in atto negli ultimi anni soprattutto in alcune città del nord Italia e che si sta estendendo al centro-sud. Secondo le previsioni degli esperti, entro due anni gli spacciatori venderanno per le vie e le piazze delle città solo micro-dosi di cocaina a un prezzo che può variare tra i 15 e i 20 euro. L’ulteriore rischio è che l’età del consumatore potrebbe scendere ulteriormente, anche gli adolescenti avranno infatti la possibilità di comprare facilmente una micro-dose, che, con il passare del tempo, porterà il giovane, diventato ormai dipendente, ad acquistare sempre più droga.

A preoccupare forze dell’ordine e medici, è anche la massiccia richiesta di eroina, che per alcuni anni si era leggermente abbassata rispetto alla cocaina, all’hashish o agli ecstasy. La scelta dei pusher di vendere a micro-dosi comprende anche l’eroina, che oggi viene venduta tra i 45 e i 60 euro al grammo: una micro-dose, pari a 0,20, potrebbe arrivare a costare dieci euro. L’abbassamento del prezzo toccherà anche la marijuana, che oggi costa circa 7 euro al grammo. In futuro invece il prezzo potrebbe scendere a sei euro per una micro-dose.

Sono diversi i Sert (Servizio recupero Tossicodipendenti) che da tempo stanno monitorando il fenomeno delle micro-dosi e allo stesso tempo hanno previsto che in tre o quattro anni in città come Roma e Milano, il consumo di sostanze stupefacenti potrebbe aumentare addirittura del 40-50 per cento.

Un dato che si basa anche sul fatto che se il prezzo di cocaina ed eroina dovesse scendere così tanto, è molto probabile che i più giovani possano decidere di provarle almeno una volta, dicendo la tanto pericolosa frase "lo faccio una volta sola, tanto non mi fa niente, mica divento un drogato".

Un fenomeno che allarma se si considera che nel 2007 ci sono stati 589 morti per droga. Il giro d’affari si aggira intorno ai 60 miliardi di euro, circa il quattro per cento del nostro Pil e che in Italia produce circa 300.000 tossicodipendenti.

Nel solo mese di maggio, secondo quanto riferito dal Viminale, sono stati quasi quattromilacinquecento i chili di sostanze stupefacenti o psicotrope sequestrate. Tra queste, quasi 4 mila di cannabis, tra hashish e marijuana, 304 chili di cocaina, 76 chili di eroina, e 12 mila dosi di anfetaminici. E infine in un solo mese sono state 24 le vittime della droga.

Ecuador: indulto per la detenzione di droghe, fino a 2 kg...

 

Notiziario Aduc, 8 luglio 2008

 

A beneficiare dell’indulto, approvato dall’Assemblea costituente dell’Ecuador la scorsa settimana per i trafficanti di droga condannati per la detenzione di un massimo di 2 chili, saranno 1.200 persone, ovvero il 6% della popolazione carceraria. Queste le stime ufficiali per il provvedimento che verrà applicato solo a chi ha già avuto una condanna e non rischia il carcere in altri procedimenti ancora in corso. Nelle carceri dell’Ecuador ci sono oltre 17 mila detenuti; la capienza del sistema è di appena 6 mila.

 

 

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