Rassegna stampa 31 luglio

 

Giustizia: perché da noi la paura diventa sempre emergenza

di Luigi Manconi

 

Il Sole 24 Ore, 31 luglio 2008

 

In Italia aumenta "l’insicurezza percepita", che porta a misure eccezionali d’ordine pubblico In Inghilterra gli scontri tra bande giovanili hanno provocato 21 morti: media e opinione pubblica si interrogano, ma considerano i fatti con molto pragmatismo.

Diciamola tutta e subito: una distinzione troppo sofisticata tra insicurezza reale e insicurezza percepita risulta pressoché inservibile sul piano della vita sociale e del discorso pubblico. Quella distinzione, pure utilissima nell’ambito dell’analisi scientifica, è drammaticamente incapace di fornire risposte alle ansie collettive.

Per capirci: a poco giova ricordare tenacemente che oltre l’80% delle violenze sessuali avviene in famiglia quando una particolare deriva sociale evidenzia una successione di stupri a opera di cittadini romeni contro donne italiane. Così come il rilevante calo di omicidi negli ultimi decenni non "compensa", nel sentire comune, l’incremento dei furti in appartamento.

E allora si pensi a cosa potrebbe accadere nel nostro Paese e nel nostro sistema di relazioni sociali "se Roma fosse come Londra". Dove si registra una tragica ecatombe di morti per accoltellamento. Nei giorni scorsi il Ministero dell’Interno della Gran Bretagna ha pubblicato statistiche dettagliate sugli omicidi all’arma bianca in quel paese. La polizia d’Inghilterra e del Galles ha registrato 22.151 denunce di aggressioni con coltelli nel 2007. Nella sola Londra, le denunce sono state 7.049.

Ma c’è un dato, se possibile, ancora più allarmante: dal primo gennaio 2008, nella capitale inglese, sono stati uccisi a coltellate 21 teenager, e una parte consistente di quegli omicidi è attribuita all’azione di bande. Il Governo non cede agli allarmismi giovanili. L’opinione pubblica inglese, la classe politica, i mass media e le forze dell’ordine, evidentemente, si trovano in uno stato di grave inquietudine: ma - fatte salve le debite proporzioni demografiche - cosa mai sarebbe successo se a Roma, da gennaio 2008, fossero stati assassinati a colpi di coltello una dozzina tra adolescenti e giovani?

Minimo minimo, una parte del ceto politico avrebbe chiesto la requisizione preventiva di tutti i coltelli e i più zelanti si spingerebbero fino a pretendere la rilevazione delle impronte digitali di cuochi e macellai (in particolare, se terroncelli).

Sia chiaro: non che in Inghilterra manchino le campagne d’ordine, le mobilitazioni emotive, le richieste di capri espiatori e di misure drastiche-pur-che-sia. La competizione per l’elezione del sindaco di Londra è stata profondamente segnata dai conflitti in tema di sicurezza e Boris Johnson, appena eletto, ha dichiarato che la questione della violenza giovanile "è il primo problema di questa città".

E sarebbe difficile negarlo, considerate le cifre crudeli sopra riportate. Ma è come se, su tali temi, dominasse comunque uno sguardo assai diverso da quello prevalente nel nostro Paese. Certo, nemmeno a Londra domina un eccessivo fair-play tra i partiti finalizzato a sottrarre questioni così delicate alla faziosità delle polemiche politiche; e nessuna armoniosa strategia bipartisan in materia di ordine pubblico. Emerge, tuttavia, uno stile differente. Che è anche sostanza e, direi, cultura.

La cosiddetta "questione criminale" e quella sua particolare articolazione che è la devianza giovanile (tanto più quando si fa omicida), sembrano poter sfuggire alla polemicuccia settaria e al politicismo d’accatto per assumere una maggiore, e tragica, consapevolezza. Qui si palesa un singolare paradosso, che poi paradosso forse non è: la società inglese, in particolare quella metropolitana, più avvezza alla consuetudine (fino alla promiscuità) con la violenza "fisiologica", quotidiana e di strada, sapesse reagire con razionalità e pragmatismo agli eventi più drammatici, trattandoli come accadimenti previsti dalla vita sociale anche quando ne alterano l’ordinario svolgimento.

È stato così persino in occasione degli attentati islamisti del luglio 2005 che non hanno prodotto una particolare legislazione speciale e che, pur prevedendo nuovi istituti e misure più severe, non hanno dato luogo a mutamenti significativi negli stili di vita e nella libertà di movimento dei cittadini del regno (a differenza di quanto è accaduto negli Stati Uniti).

Indubbiamente la legislazione inglese ha già una sua collaudata attrezzatura antiterroristica, dovuta al lungo e cruento confronto con l’irredentismo armato irlandese, ma proprio questa antica consuetudine suggerisce, evidentemente, un approccio non nevrotico al periodico esplodere della violenza nella vita del paese. Anche sotto questo profilo l’Italia non è stata in grado di fare esperienza della sanguinosa stagione del terrorismo.

La mancata riflessione collettiva su quel fenomeno, la reticenza verso una seria e responsabile autocritica sulle molteplici radici di esso e, infine, l’aver affidato alla repressione da parte delle forze dell’ordine il compito di sconfiggerlo: tutto ciò ha prodotto questo ulteriore e negativo risultato. Ovvero l’incapacità di affrontare lucidamente e intelligentemente, senza censure e senza psicodrammi, gli strappi sociali e le lacerazioni violente.

Impotenti come siamo stati a comprendere la specificità, e le molte cause, del terrorismo italiano (specie quello rosso), ne abbiamo vissuto con sollievo la sua catalogazione come evento eccezionale e come "emergenza": e, conseguentemente, la sua assunzione a modello di tutti i fatti apparentemente "inspiegabili" e, a loro volta, eccezionali.

Dopo il terrorismo rosso, tutto diventava emergenza, certo in scala minore, ma con un’enfasi e una drammatizzazione non troppo dissimili. In successione serrata, una sequenza pressoché infinita e implacabile di "stati d’eccezione": stragismo, terrorismo nero, mafia, camorra e ‘ndrangheta, droga, aids, corruzione politica, immigrazione irregolare, tifo violento, pedofilia, black block, fondamentalismo islamista, attentati dell’11 settembre, "i marocchini!", "gli albanesi!", "i romeni!" "gli zingari!", ...e, infine, "l’emergenza rifiuti" (ma anche colera, terremoti e altri disastri naturali, influenza aviaria). E oggi l’estensione della "emergenza immigrazione" a tutto il territorio nazionale. Si pensi, dunque, a come sarebbe stata vissuta, catalogata, variamente definita e politicamente gestita una eventuale "emergenza accoltellati".

Insomma, è come se la società italiana stentasse sempre a far tesoro del proprio passato, anche quando (forse soprattutto quando) esso è più dolente. È come se non fossimo mai pronti: sempre presi alla sprovvista, alla lettera sprovveduti e inadeguati, inesperti della propria esperienza. Smemorati della propria memoria. Una sorta di spensieratezza senile che qualifica come immaturo e immemore il carattere nazionale.

È questo che fa la differenza, probabilmente, rispetto alla società inglese. D’altra parte l’epopea criminale di Meckie Messer, e del suo "coltello che vedere non fa", viene ambientata da Berthold Brecht nei quartieri di Londra, mica a Tor Pignattara.

Nei bassi fondi della capitale inglese Mackie Messer lascia tracce incancellabili del suo passaggio: "Jenny Towler l’han trovata / un coltel ficcato in cuor". Certo, oggi non resta più nulla del romanticismo delinquente dell’Opera da tre soldi, ma la persistenza del coltello come arma privilegiata - e feroce fino all’efferatezza e allo stridere dei denti - se non consente corrive interpretazioni sociologiche, farà sicuramente la gioia di scrittori e sceneggiatori e registi.

Giustizia: Di Pietro propone referendum contro il lodo Alfano

 

La Repubblica, 31 luglio 2008

 

Antonio Di Pietro ha depositato ieri in Cassazione la richiesta di un referendum per cancellare il lodo Alfano. Quesito semplice: volete voi cancellare la legge che sospende i processi contro le alte cariche dello Stato? La risposta al quesito, se Italia dei Valori riuscirà a raccogliere le firme necessarie (500 mila), gli italiani la potranno dare solo nella primavera del 2010. A meno che non accada un miracolo e si riesca a racimolare le firme entro il 30 settembre. Ipotesi che Silvana Mura giudica "irrealistica, perché mancano proprio i tempi tecnici". Salvo ci fosse l’adesione del Pd e del circuito delle sue feste.

Speranza che motiva l’invito dell’Idv a Veltroni: scendi in campo contro il lodo Alfano. Così, forse, si potrebbero raccogliere le firme entro settembre e votare nella primavera del 2009. Quando si andrà alle urne per il referendum elettorale di Segni e Guzzetta. E forse anche sui quesiti di Beppe Grillo: abolizione dell’Ordine dei giornalisti, dei sussidi pubblici all’editoria e della legge Gasparri. Il comico genovese ha depositato le firme l’11 luglio e adesso aspetta il vaglio della Cassazione. Ma sul buon esito pende il dubbio di un presunto errore nei tempi della raccolta. Intanto Di Pietro incassa l’appoggio di Mario Segni, della Sinistra democratica e degli ulivisti Parisi, Monaco e Lettieri. Critica invece Rosi Bindi. "Di Pietro non può dare lezioni di coraggio a nessuno e certamente non al Pd", dice. E ricorda che "il problema non sarà trovare mezzo milione di firme ma vincere il referendum". L’ex pm però non molla e ricorda al Pd che facendo leggi ad personam, espropriando il Parlamento delle sue funzioni, attaccando la magistratura è il Csm "alla fine si arriva alla dittatura senza che nessuno se ne accorga". Laconico il ministro della Giustizia Alfano: Valuterà prima la Consulta ed eventualmente il popolo italiano".

Intanto il dibattito sulla giustizia continua. Ieri il Csm ha approvato e inviato al ministro Alfano un documento in cui si documenta come le procure, soprattutto quelle del Sud siano a corto di pubblici ministeri. Manca il 13 per cento dei pm (86 su 660) previsti dalle piante organiche di Calabria, Sicilia, Puglia e Campania. In alcune realtà, come Lucera, si arriva all’80 per cento. Ma anche al centro-nord la situazione è critica. Colpa della norma che impedisce ai giovani magistrati di assumere l’incarico di pm prima di quattro anni dall’assunzione. Il Csm chiede al ministro di intervenire per eliminare questo blocco e prevedere incentivi per i magistrati disposti a trasferirsi nelle procure più sguarnite.

Il sindacato delle toghe ha invece denunciato, insieme ai colleghi della magistratura amministrativa, agli avvocati e ai confederali i pesanti tagli previsti dal governo. Il presidente dell’Anm Luca Palamara ha anche sfidato il ministro Alfano ad usare la stessa velocità usata per il lodo Alfano per approvare norme sull’informatizzazione del processo, sulla semplificazione dei riti civili e l’eliminazione dei processi contro i contumaci irreperibili. Palamara ha anche ribadito che non ci può essere incontro o dialogo su una riforma che intacchi i principi costituzionali.

Giustizia: alla Camera insediato il Comitato sui diritti umani

 

Agi, 31 luglio 2008

 

Si è riunito oggi per la prima volta il Comitato per i diritti umani della Camera dei deputati. Lo comunica una nota dell’ufficio stampa della Camera. Il Comitato, costituito nell’ambito della Commissione Affari esteri e comunitari, è presieduto da Furio Colombo (Pd) ed è composto dai deputati Manuela Repetti, Margherita Boniver, Nunzia De Girolamo, Paolo Guzzanti, Riccardo Migliori, Fiamma Nirenstein, Enrico Pianetta, Alessandro Ruben, per il gruppo Pdl; Mario Barbi, Marco Fedi, Matteo Mecacci, Fabio Porta e Gianni Vernetti, per il gruppo Pd; Gianluca Pini, Roberto Cota e Gianpaolo Dozzo, per il gruppo Lnp; Ferdinando Adornato, per il gruppo Udc; Fabio Evangelisti, per il gruppo Idv, Ricardo Antonio Merlo per il gruppo misto.

Nella sua prima riunione il Comitato ha discusso e stabilito i punti di riferimento della propria azione di indagine, denuncia, intervento, presso la Commissione esteri e il governo in materia di rispetto dei diritti umani nel mondo e ha convenuto sui seguenti punti di orientamento: proporre all’attenzione del Parlamento e dell’opinione pubblica italiana e internazionale la violazione grave e continua della moratoria della pena di morte approvata a larga maggioranza dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e segnalare fatti di estrema gravità come il rischio imminente di condanna a morte senza adeguato processo e difesa di Tariq Aziz in Iraq, riconoscendo l’importante iniziativa del partito radicale su questo grave rischio di esecuzione.

Purtroppo, ha notato il Comitato, la moratoria è ancora ampiamente violata, nel mondo, come dimostrano quasi ogni giorno la Cina e l’Iran, con molteplici esecuzioni. Il secondo punto di orientamento è richiamare tutta l’attenzione dei governi e dell’opinione pubblica dei Paesi democratici sul pronunciarsi senza notizia della prigionia del giovane caporale israeliano Gilat Shalit, ostaggio da due anni nelle mani di formazioni fondamentaliste palestinesi ostili a Israele e ad ogni progetto di pace che riconosca Israele.

Infine, il Comitato si impegna ad accertare, seguire, investigare la situazione e le condizioni di cittadini italiani detenuti a vario titolo e in situazioni più o meno legali in varie parti del mondo; si impegna, inoltre, a motivare il governo e le istituzioni internazionali a seguire senza interruzioni o pericolose dimenticanze la situazione dei cooperanti italiani rapiti in Somalia nello scorso mese di maggio.

Giustizia: caso D’Agostino; Assistenti Sociali replicano alla Uil

 

Comunicato stampa, 31 luglio 2008

 

Nello spirito di contribuire ad un confronto dialettico che si attiene ai fatti, quelli di cronaca nera compresi, occorre precisare, con riferimento all’intervento di Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil Penitenziari, che D.M. che ha ucciso a Pescara un custode di uno stabilimento balneare, era sottoposto ad una misura di sicurezza detentiva.

La misura di sicurezza prevede espressamente che nel corso della sua esecuzione, possibile attraverso brevi o prolungate licenze, la vigilanza sul rispetto delle prescrizioni sia sempre affidata alle forze dell’ordine in quanto i soggetti sono a tutti gli effetti sottoposti alla libertà vigilata.

Coinvolgere gli assistenti sociali, cui compete l’aiuto e il controllo nell’esecuzione dell’affidamento in prova al servizio sociale quando di fatto D.M. era soggetto ad altra misura è pretestuoso oltreché forzato.

Perché indurre nell’opinione pubblica allarme e discredito sugli Assistenti Sociali - professionisti qualificati ed istituzionalmente preposti a compiti specifici e definiti - attribuendo responsabilità e inefficienze immotivate e improprie quando è - o dovrebbe essere - patrimonio comune l’esigenza di un sempre maggiore raccordo e collaborazione tra tutti gli attori, pubblici e privati, che a vari titolo intervengono nell’ esecuzione penale esterna?

 

Ordine Assistenti Sociali dell’Emilia Romagna

Giustizia: Arci; ci sentiamo più sicuri con esercito in strada?

 

La Nuova Sardegna, 31 luglio 2008

 

Come nel titolo di un film di Terrence Malick, c’è una sottile linea rossa che separa la difesa dall’aggressione, il diritto alla sicurezza dalla tendenza a considerare minaccia ogni assestamento della società. "Ci sentiamo più sicuri se il governo decide di prendere le impronte ai bambini rom e manda l’esercito nelle piazze?"

A chiederlo è il responsabile nazionale della giustizia per l’Arci, Franco Uda, che domenica all’Asinara ha preso parte al dibattito "Pena, diritti e garanzie". Il confronto, moderato da Marco Ligas, era una tassello importante di "Pensieri e parole - Libri e film all’Asinara e Alghero", la tappa di "Isole del cinema" iniziata sabato proprio nell’ex supercarcere di Fornelli e in programma fino al 3 agosto. Il festival vuole sottolineare la storia del luogo che lo ospita con una riflessione che ha spaziato dai Cpt a Bolzaneto, dal ruolo dei media all’indulto.

La decisione di svuotare le carceri affollate continua a dividere. A difenderla, Stefano Anastasia, che da presidente dell’associazione Antigone si occupa di diritti e garanzie del sistema penale. "È stata una scelta coraggiosa e giusta - sostiene -, non si potevano tenere sei detenuti in celle per due persone, e in condizioni di completa illegalità. La maggior parte delle persone liberate non è rientrata in carcere. Ma subito dopo l’indulto è mancata una politica che evitasse un nuovo sovraffollamento".

Una prassi consolidata in Italia, per don Andrea La Regina, della Caritas: "In Italia facciamo belle leggi, ma ne manca sempre un pezzo. I cittadini non si sentono chiamati in causa. Non pensiamo mai di impegnarci a realizzare qualche obiettivo che lo Stato ha fissato". Un’idea condivisa da don Ettore Cannavera, che aiuta adolescenti in situazioni difficili e oggi chiede più coinvolgimento delle persone e un ripensamento generale del sistema penale, perché punti alla vera rieducazione. Oggi occorre permettere al detenuto di saldare il suo debito e ricostruire la sua esistenza.

Ma le carceri italiane sono molto indietro con i tempi, come sottolinea il rappresentante di Amnesty International, Gianni Manca: "Per la nostra associazione il capitolo italiano non si assottiglia mai, è sempre più voluminoso. Questo paese si avvia verso una fase pericolosa. La soglia dei diritti si abbassa. Qualcosa non va se si risponde a tutto con l’esercito".

Anche i fatti di Bolzaneto avrebbero avuto un esito molto probabilmente diverso in un altro paese, dato che l’Italia non consente ai cittadini di identificare le forze dell’ordine, per esempio con un codice visibile sulla divisa. Quello che si respira è clima di paura perenne, dove forse l’insicurezza nasce dall’angoscia di non potersi costruire una vita, prima ancora che dal timore del proprio vicino.

E la stampa diventa quasi un alleato del sistema che ha "piegato l’efficacia dell’informazione ai titoli urlati" come ha detto Uda, o "taciuto la provenienza di moltissimi clandestini - aggiunge Manca -, somali in fuga che scappano dai conflitti. Ma l’Italia non ha una legge vera in materia di asilo, e così li respinge, violando anche i trattati internazionali".

Giustizia: amore al tempo della galera, questo sconosciuto

di Achille Della Ragione

 

www.napoli.com, 31 luglio 2008

 

Avrei voluto intitolare questo articolo "Il sesso nelle carceri" poi sono stato attirato da questo titolo di derivazione cinematografica e ho deciso di adottarlo per discutere di quello che, a parere dei detenuti, quasi tutti molto giovani, è la privazione più grave: l’impossibilità di continuare a praticare una dignitosa affettività con le persone care, anche loro condannate, senza alcuna colpa, alla stessa pena e non vogliamo parlare solo di sesso negato, ma anche dell’impossibilità di continuare ad intrattenere un decente, anche se discontinuo rapporto, con i propri figli in tenera età, che sono sottratti per lunghi periodi da qualsiasi contatto col genitore.

Si tratta di un tema scottante, tale da suscitare imbarazzo e perplessità anche solo a parlarne, ma alcune nazioni, Svizzera, Spagna, Svezia lo hanno affrontato con coraggio ed hanno trovato delle soluzioni dalle quali prendere esempio.

L’argomento è talmente audace che si è voluto creare un termine ambiguo: affettività per aggirare la terminologia più esplicita di sesso, che potrebbe mettere subito in fuga moralisti e benpensanti.

Tutti riconosciamo che l’essere umano ha bisogno di affetto, tanto più quando viene a trovarsi in situazioni di disagio e senza dubbio la restrizione della libertà è una delle condizioni più penose da sopportare. Nella repressione degli affetti si verificano gravi deviazioni, comprese quelle sessuali. A questo proposito lapidario è il pensiero di Friedrich Nietzsche: "È noto che la fantasia sessuale viene moderata, anzi quasi repressa, dalla regolarità dei rapporti sessuali, e che al contrario diventa sfrenata e dissoluta per la continenza e il disordine dei rapporti." (Umano, troppo umano, I, n. 141).

Allora la soluzione va cercata in una politica illuminata che, nell’esecuzione della pena, privilegi sin dall’inizio, se non è possibile l’uscita dal carcere, almeno l’incontro periodico coi propri cari e non il distacco netto e la drastica separazione, causa di infiniti problemi esistenziali, di relazione e interpersonali.

Nell’interno del carcere è opportuno creare degli ambienti, che pur rispondendo a tutti i requisiti di sicurezza, offrano al recluso ed ai suoi familiari dei momenti di intimità. Se un detenuto riesce a mantenere una rete solida di rapporti affettivi, oltre a tollerare di buon grado la pena da scontare, corre molti meno rischi di tornare a commettere reati, inoltre conserva un comportamento corretto, quando queste occasioni di incontri ravvicinati… sono subordinati ad un condotta assolutamente irreprensibile.

Prima di considerare gli incontri intimi bisogna valutare tutta una gamma di possibilità intermedie, che vanno dai colloqui gastronomici, la possibilità di consumare un pasto con parenti ed amici, alla facoltà per i familiari di partecipare a giornate particolari come il Natale o la Pasqua ed infine, molto importanti, gli incontri con i propri figli in tenera età, in ambienti opportuni e, se richiesta, con l’assistenza di psicologi ed operatori sociali.

Le sorprendenti scoperte di Reich ha dimostrato in maniera inequivocabile quanto la repressione sessuale generi violenza e come le istituzioni tendano a canalizzare l’esplosione di queste pulsioni primitive per utilizzarle nei conflitti bellici.

La violenza che si produce nelle carceri, impedendo anche solo la parvenza di un’attività sessuale, non giova a nessuno, certamente non alla società che si trova a ricevere individui incattiviti, nei quali cova l’odio e la vendetta, invece che la volontà di reinserimento.

La storia del carcere è lunga quanto quella dell’uomo, ma le segregazioni nell’antichità (Roma docet) e nel medio evo ripugnano la sensibilità moderna per le atrocità ed il costante utilizzo della tortura, per cui un’analisi storica sulla nascita dei sistemi penitenziari bisogna farla risalire alla nascita della società industriale ed all’accentuazione dell’esercizio del potere dello Stato, in momenti dominati dalla cultura religiosa, che ha sempre dato al sesso una valenza particolare di demonizzazione.

Pensiamo alle Lettere di San Paolo ai Padri della Chiesa, ad Origene, a San Girolamo, a Sant’Agostino, fino ad Alberto Magno e San Tommaso d’Aquino. Di conseguenza una soluzione al problema "affettività", intesa in particolare nella sua dimensione sessuale, deve cominciare necessariamente attraverso una critica storico culturale puntuale e puntigliosa. Dobbiamo ripercorrere e rivisitare tutta la nostra tradizione culturale sull’argomento, ereditata in duemila anni di storia dell’Occidente, che ha accompagnato ed influito sul concetto del sesso e del piacere in generale, vissuto costantemente come peccato, male necessario solo per la procreazione ed a salvaguardia della specie.

La cattolicissima Spagna o la democratica Svizzera da tempo consentono i "colloqui intimi" ed hanno ottenuto ottimi risultati. In Italia per evitare che qualcuno confonda le "stanze dell’affettività" con le "celle a luci rosse" è necessaria un rivoluzione culturale. La pena è privazione della libertà, ma non deve significare anche distruzione degli affetti ed annullamento completo di una normale vita sessuale.

Giustizia: Osapp; basta con gli spot, il carcere va riformato!

 

Agi, 31 luglio 2008

 

"Mentre i politici sono intenti ad altro, con uno sguardo rivolto alle meritate vacanze, assistiamo all’ennesimo disastro di un sistema carcerario che registra una presenza effettiva di 54.945 detenuti, oltre quella presunta dei 42.950? A dichiararlo è il segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma di Polizia Penitenziaria (Osapp), Leo Beneduci, che lancia un nuovo allarme "sovraffollamento" nelle carceri italiane.

"Con un’affluenza di quasi mille reclusi ogni mese, il sistema - sottolinea Beneduci - rischia di superare presto tutti i livelli di tollerabilità consentiti. Alla luce della realtà descritta dai numeri, notiamo come certe iniziative spot, come l’utilizzo di braccialetti elettronici per il controllo dei condannati, assumano il sapore delle idee stantie, non al passo con una condizione mutata negli anni". Il proposito di "voler metter mano alla crisi - sostiene l’Osapp - non riflette che, così come la misura viene sbandierata, non sia utile per l’intero complesso penitenziario; ad oggi ci troviamo ad affrontare due realtà carcerarie ben identificate, comunque assimilate tra loro: gli stranieri e i detenuti in attesa di giudizio".

Per gli stranieri costretti in cella, spiega Beneduci, "registriamo ogni anno un flusso medio di 17 mila unità, che il meccanismo delle espulsioni non contribuisce ad alleviare se nel 2005 i provvedimenti di espulsioni erano 1.242, crollati solo nel primo semestre del 2008 a quota 256?.

Per i reclusi in attesa di giudizio, lamenta il sindacato, "il bilancio è ben più pesante se pensiamo che, su un totale di 48.963 (dati a dicembre del 2007), solo 19 mila detenuti si trovano in cella per effetto di sentenza definitiva".

A questo punto, secondo Beneduci, "è necessario ripensare all’intero sistema e, per cambiarlo, è indispensabile capirlo bene. Sosteniamo questo alla luce del fatto che le riforme della Giustizia, così come sono intervenuti i Governi in passato, non hanno prodotto altro che effetti reali se non su alcuni settori dell’intero quadro di riferimento e ci chiediamo - conclude - se non sia più rischioso ragionare ancora così, o affrontare una volta per tutte le cose da un altro punto di vista evitando inutili trovate pubblicitarie".

Giustizia: direttori carceri a Ionta; rilanciare immagine di Dap

 

Agi, 31 luglio 2008

 

Recuperare un’immagine dell’Amministrazione Penitenziaria che sia "di credibilità e di reale capacità ed efficienza", in grado di offrire al cittadino "le certezze che chiede". Lo chiede in una nota al nuovo capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, Franco Ionta, il Segretario Nazionale del Sidipe (Sindacato Direttori Penitenziari), Enrico Sbriglia.

"Il nostro sindacato", scrive Sbriglia che dirige il carcere di Trieste, "rappresenta esclusivamente il ruolo dirigenziale cui la legge attribuisce la responsabilità dell’ordine e della sicurezza delle carceri. Per tali fini impegniamo le nostre capacità professionali nonostante la vaga produzione normativa ordinaria, le scarse risorse destinate alla periferia e la non rara avversione rivoltaci da quanti non gradiscono le nostre funzioni di vigilanza, governo e garanzia".

E ancora: "Non le faremo mancare comunque la nostra più leale e concreta collaborazione, perché siamo da sempre tesi a servire le istituzioni e non a servirci delle stesse. Saremo quindi con lei nell’obiettivo di riconsegnare ai cittadini un sistema dell’organizzazione penitenziaria efficiente".

Milano: cittadella della giustizia entro 2015, a Porto di mare

 

Il Giornale, 31 luglio 2008

 

"Sulla realizzazione della cittadella della giustizia c’è l’accordo di governo, istituzioni locali, magistrati e avvocati. Entro giugno 2009 sarà firmato l’accordo di programma". Il presidente della Regione Roberto Formigoni non nasconde la propria soddisfazione, al cospetto del ministro della Giustizia Angelino Alfano, per il decisivo passo avanti verso la realizzazione di "un progetto ambizioso, con il quale Milano riunirà in una sola struttura carcere, tribunale, tribunale dei minori e alloggi per il personale".

L’obiettivo è cominciare i lavori entro il 2010 per completarli nel 2015. "Abbiamo individuato l’area idonea, che per legge deve essere compresa nel Comune di Milano - spiega il sindaco Letizia Moratti -. Si tratta di Porto di Mare, una zona che si estende per un milione e 200mila metri quadrati e che è servita da metropolitana, autostrada Milano-Bologna e aeroporto di Linate.

La cittadella della giustizia migliorerà la qualità della vita dei detenuti, aumenterà l’efficienza dell’operato di magistrati e avvocati, valorizzerà un’area che oggi non è utilizzata in modo adeguato e permetterà di riqualificare, nel rispetto dei vincoli monumentali, gli edifici che adesso ospitano il tribunale e San Vittore". Il progetto sarà quasi completamente autofinanziato, attraverso la valorizzazione degli edifici storici e l’aiuto dei privati.

Il governo, però, non farà mancare il proprio appoggio. Anche perché il costo totale delle opere potrebbe superare il miliardo di euro. "Se, come crediamo, i lavori saranno conclusi entro il 2015 Milano sarà la prima città italiana a ospitare una cittadella della giustizia - afferma il Guardasigilli Alfano -. Con questo progetto si riuscirà ad ammodernare strutture giudiziarie e carcerarie e a rivitalizzare il cuore del centro di Milano attraverso la riqualificazione di edifici storici".

"Il nostro obiettivo - continua il governatore Formigoni - è dotare la città di strutture efficienti e ovviare alla fatiscenza delle attuali sedi di tribunale e carcere di San Vittore. Il processo è cominciato due anni fa, oggi finalmente siamo in grado di prevedere un calendario dei lavori. Abbiamo già dato mandato a Infrastrutture lombarde Spa di studiare la fattibilità del progetto dal punto di vista economico e finanziario".

Pisa: in città nessun "allarme sicurezza", serve integrazione

 

Il Tirreno, 31 luglio 2008

 

La Sinistra democratica attacca il sindaco Marco Filippeschi sulla questione sicurezza. "Non esiste un problema sicurezza in questa città - ha detto l’assessore provinciale Gabriele Santoni - c’è qualche problema ma la situazione non è certo critica".

L’operato del sindaco e dell’assessore Valentina Settimelli (definita dagli ex compagni diessini "sceriffo in gonnella") è stato duramente attaccato da Carlo Scaramuzzino. Il consigliere comunale ha bollato come "irrealizzabile" la proposta di Filippeschi di attribuire ai vigili urbani compiti sostitutivi per alleggerire il lavoro a polizia e carabinieri.

"Per Filippeschi - ha sottolineato ancora Scaramuzzino - l’unico problema di Pisa è la sicurezza e si occupa solo di quella, proponendo soluzioni incoerenti". Sinistra democratica avanza proposte per cercare di attenuare la percezione di insicurezza e illegalità diffusa tra i pisani. Scaramuzzino e l’ex assessore comunale Michela Ciangherotti ritengono che si debba guardare a tutti gli aspetti dell’illegalità e insieme rilanciano l’idea di un mercato etnico in città.

La proposta era stata già avanzata dall’Associazione nazionale dei comuni toscani all’epoca della presidenza Fontanelli e non era stata realizzata perché non era stata individuata un’area, "ma ce ne sono tante in città che andrebbero bene" secondo la dottoressa Ciangherotti. "Molti extracomunitari - ha spiegato l’ex assessore - sono muniti di una regolare licenza di venditore ambulante, ma il Comune non gli fornisce uno spazio per esporre la merce, così lo fanno sui marciapiedi".

Un mercato etnico, è l’idea di Sd, destinato alla vendita di prodotti legali, non contraffatti, di provenienza certa, in cui gli ambulanti muniti di licenza possano lavorare senza arrecare danno a nessuno. La Sinistra democratica pisana alla prossima riunione del consiglio comunale proporrà le dieci idee contenute nel documento "Vivere sicuri nelle città", presentate già nel consiglio regionale dalla consigliera Alessia Petraglia (intervenuta alla conferenza di Sd insieme ad Armando Paolicchi e Alessandro Nannipieri) e inviate ai sindaci e ai prefetti della Toscana.

Tra gli ingredienti della ricetta targata Sinistra democratica per una Pisa più sicura c’è la necessità di contrastare il degrado urbano con politiche di risanamento degli spazi, togliere le forze dell’ordine dagli uffici per rimetterle in strada coordinandole anche con gli enti locali, investire nei percorsi di reinserimento sociale degli ex detenuti, costruire moderne forme di coesione e sicurezza sociale delle comunità locali basate su forti legami sociali e mutua collaborazione, fare entrare nell’area della cittadinanza le comunità straniere. Infine la consigliera regionale Alessia Petraglia ha ribadito la contrarietà di Sinistra democratica a qualunque ipotesi di realizzazione di un centro di permanenza temporanea in qualunque zona della Toscana.

Ravenna: ordinanza su degrado igienico-sanitario di carcere

 

Il Resto del Carlino, 31 luglio 2008

 

Il sindaco contro il ministero della Giustizia. Nel senso che Fabrizio Matteucci sta preparando un’ordinanza per cercare di combattere il degrado igienico-sanitario della casa circondariale di via Port’Aurea. Come dire che poiché il ministero non provvede, da tempo, a rendere un po’ più vivibile (anzi, un po’ meno "feroce") il carcere, allora il sindaco ha preso carta e penna e ha steso un’ordinanza, che sta per essere firmata e notificata alla direzione del carcere per cercare di sopperire alle omissioni romane.

Nel maggio scorso il sindaco e il senatore Vidmer Mercatali visitarono la struttura. "Questo carcere è inumano e le condizioni di vita dei reclusi sono inaccettabili" commentarono al termine della visita. Da allora nulla è cambiato. "Il provvedimento - spiega il sindaco - cercherà di raggiungere l’obiettivo di garantire il ripristino di condizioni igienico sanitarie e di vivibilità accettabili sia per i detenuti sia per il personale carcerario attraverso l’esecuzione di lavori di manutenzione e di miglioria.

Noi stiamo ancora verificando le criticità su cui intervenire: il nodo più delicato - evidenzia Matteucci - è il sovraffollamento delle celle che dovrebbero in teoria ospitare una persona mentre in realtà ne ospitano tre. Un nodo questo, ne sono consapevole, su cui l’ordinanza non potrà incidere se non indirettamente". Il sindaco sottolinea poi come il provvedimento abbia un carattere esclusivamente emergenziale: "Il nostro obiettivo finale è infatti quello di indurre il ministero della Giustizia a realizzare un nuovo carcere.

Nel frattempo però non è tollerabile che l’ambiente della casa circondariale di via Port’Aurea rimanga così degradato. La Costituzione prevede che la pena abbia come fine la rieducazione del condannato: ebbene, la struttura del carcere di Ravenna è tale per cui dubito che qualcuno possa uscire rieducato. Semmai è il contrario.

Le condizioni delle carceri non devono mai, per nessuna ragione, essere disumane e feroci. D’altronde solo tenendo presente il principio della pena come rieducazione si può, su un altro fronte, pretendere dal legislatore anche l’inasprimento di certe pene, come quella, ad esempio, per il porto abusivo di coltello. Certezza della pena, severità della condanna rapportata al fatto e alla persona e rieducazione: sono anche questi i binari su cui si muove il processo penale in uno stato di diritto".

Verona: presentazione di MicroCosmo, giornale dal carcere

 

Regione Veneto, 31 luglio 2008

 

Carcere Montorio Verona. Assessore regionale Valdegamberi domani a presentazione periodico realizzato da detenuti. L’Assessore regionale alle politiche sociali Stefano Valdegamberi interverrà domani, 1° agosto, al Carcere veronese di Montorio alla presentazione del nuovo periodico "MicroCosmo" realizzato dai detenuti della casa circondariale. L’incontro inizierà alle ore 10.30. "La trovo un’iniziativa lodevole - commenta Valdegamberi - che potrà creare un’occasione in più, e purtroppo non ce ne sono poi molte, per dare strumenti di conoscenza e di comunicazione tra il carcere e la società. Un’iniziativa educativa e auto formativa senz’altro positiva".

Lodi: per un giorno la musica "live" che fa sognare i detenuti

 

Il Cittadino, 31 luglio 2008

 

Il sole giamaicano ha scaldato per un paio d’ore i cuori all’interno del cortile della Casa circondariale di Lodi. I lodigianissimi Bujaka hanno fatto ballare i detenuti grazie al ritmo del loro reggae - ska e ad una scaletta incentrata soprattutto sul repertorio classico di Bob Marley. E i pezzi del grande artista giamaicano sono stati accolti da vere e proprie ovazioni, che "ci hanno fatto vivere un’esperienza davvero unica - racconta il cantante Cristian Vailati -. Il massimo per un musicista è suonare senza barriere, regalando a questo pubblico un momento di spensieratezza".

I ragazzi hanno apprezzato tantissimo il concerto dei Bujaka e per l’occasione hanno offerto anche delle pizzette, ovviamente preparate con le loro mani. "Più l’esterno conosce queste iniziative, più aumenta la sensibilizzazione da parte della città - dice Elena Zeni, educatrice della Casa Circondariale -. Infatti non tutti sanno che a Lodi si trova un carcere in pieno centro". La direttrice Stefania Mussio è rimasta entusiasta della buona riuscita dell’evento e ha invitato la band a tornare a suonare nei prossimi mesi. Molto toccanti le esibizioni di "No Woman No Cry" e "Redemption Song", una ventata di speranza e libertà.

I Bujaka, da sempre protagonisti di concerti in beneficienza, hanno mostrato grande solidarietà nei confronti di chi sta vivendo una situazione particolare. L’evento si è chiuso con una canzone scritta dalla band lodigiana, un’anteprima di "Per niente divertente", il loro primo album che dovrebbe uscire nella primavera del 2009.

"È da tanto che ci stiamo lavorando - dice ancora Cristian - e questo cd potrebbe darci la spinta giusta per uscire dalla dimensione provinciale". Nel frattempo però continueranno a suonare nelle tante feste lodigiane per la gioia dei fan della reggae music. La band è nata agli inizi degli anni ‘90 e le loro influenze spaziano nella recente scena reggae giamaicana, senza dimenticare i tanti gruppi attivi nello stivale. I Bujaka sono formati da Cristian Vailati (voce), Michele Puglisi, Fabio Franzoni, Roberto Forcati, Daniele Ferrari e Stefano Marini.

Immigrazione: i giornalisti antirazzisti e le parole da bandire

 

La Repubblica, 31 luglio 2008

 

La campagna "Giornalisti contro il razzismo" lancia un "glossario alternativo" per i media, un modo per superare termini ritenuti discriminatori come "clandestino", "extracomunitario", "vu cumprà", "nomade" e "zingari".

La campagna "Giornalisti contro il razzismo", che nelle scorse settimane ha lanciato l’appello "I media rispettino il popolo rom", continua la propria battaglia per un’informazione rispettosa e deontologicamente corretta.

La tappa successiva è la richiesta di adesione ad un glossario che, appunto, ridefinisce le parole più in voga e, secondo i promotori della campagna, maggiormente discriminatorie. L’adesione è chiesta a chi fa informazione nei vari media. Si chiede una responsabilizzazione personale, in modo che si possa aprire una discussione pubblica.

"Mettiamo al bando la parola clandestino (e non solo quella)", è dunque il nuovo appello. Affermano i promotori: "L’appello I media rispettino il popolo rom ha ricevuto centinaia di adesioni, moltissime provenienti da giornalisti e media-attivisti. Crediamo che sia testimonianza di un disagio diffuso nel mondo dei media. Si diffonde la consapevolezza - come scrivevamo nell’appello - che "i mezzi di informazione rischiano di svolgere un ruolo attivo nel fomentare diffidenza e xenofobia".

Resta però difficile individuare forme d’intervento efficaci per contrastare questa deriva. Durante un seminario a Settignano (Firenze) aperto ai firmatari (giornalisti e no) dell’appello, abbiamo avviato una riflessione su questo tema e abbiamo pensato di compiere un primo passo a partire dal linguaggio, dalle parole che si usano per informare in particolare su rom e migranti.

È nata così l’idea di definire un glossario minimo, a cominciare da alcune parole che ci pare necessario "mettere al bando", e di chiedere a chiunque faccia informazione due cose: impegnarsi a non usare queste parole, se e quando si presenti l’occasione di occuparsi di rom e migranti; partecipare a una discussione pubblica sulle parole utilizzate dai media e sui criteri di selezione e trattamento delle notizie".

"Siamo consapevoli - continuano - che le distorsioni dell’informazione e il ‘ruolo attivò spesso svolto dai media del fomentare diffidenza, xenofobia e razzismo non si esaurisce nell’uso inappropriato e stigmatizzante delle parole. L’enfasi attribuita a episodi di cronaca riguardanti rom, migranti e in genere l’altro; la etnicizzazione dei reati e delle notizie; la drammatizzazione e criminalizzazione dei fenomeni migratori; l’uso di metafore discriminanti: sono tutti elementi che contribuiscono a creare un’informazione distorta e xenofoba.

Sono tutti temi che vorremmo affrontare. Il primo passo che proponiamo, è la messa al bando di alcune parole: clandestino, vu cumprà, extracomunitario, nomadi, zingari. Perché crediamo che un linguaggio corretto e appropriato, quindi rispettoso di tutti, sia la premessa necessaria per fare buona informazione. Altre parole, altre considerazioni dovremo aggiungere in futuro. Chiediamo intanto a chi si occupa di informazione, di impegnarsi a non utilizzare nel proprio lavoro queste parole. È un primo atto di responsabilizzazione e il modo, crediamo, per avviare una seria discussione".

 

Le parole e le alternative

 

Clandestino. "Questo termine, molto usato dai media italiani, ha un’accezione fortemente negativa - si afferma -. Evoca segretezza, vite condotte nell’ombra, legami con la criminalità. Viene correntemente utilizzato per indicare persone straniere che per varie ragioni non sono in regola, in tutto o in parte, con le norme nazionali sui permessi di soggiorno, per quanto vivano alla luce del sole, lavorino, conducano esistenze normali (…). È possibile identificare ogni situazione con il termine più appropriato ed evitare sempre di usare una definizione altamente stigmatizzante come clandestino". La campagna propone diverse alternative: "All’estero si parla di sans papiers (Francia), non-documented migrant workers (definizione suggerita dalle Nazioni Unite) e così via.

A seconda dei casi, e avendo cura che l’utilizzo sia il più appropriato, è possibile usare parole come irregolari, rifugiati, richiedenti asilo. Sono sempre disponibili e spesso preferibili le parole più semplici e più neutre: persone, migranti, lavoratori. Altre locuzioni come senza documenti, o senza carte, o sans papiers definiscono un’infrazione amministrativa ed evitano di suscitare immagini negative e stigmatizzanti".

Extracomunitario. "Letteralmente dovrebbe indicare cittadini di paesi esterni all’Unione europea - si precisa -, ma questo termine non è mai stato usato per statunitensi, svizzeri, australiani o cittadini di stati ricchi; ha finito così per indicare e stigmatizzare persone provenienti da paesi poveri, enfatizzando l’estraneità all’Italia e all’Europa rispetto ad ogni altro elemento (il prefisso extra esprime un’esclusione). Ha assunto quindi una connotazione dequalificante, oltre ad essere poco corretto sul piano letterale". Le alternative? "È possibile usare non comunitario per tutte le nazionalità extra Ue, o fare riferimento - quando necessario (spesso la nazionalità viene specificata anche quando è superflua, specie nei titoli) - al paese di provenienza".

Vu Cumprà. "È un’espressione che storpia l’italiano "Vuoi comprare" ed è usata da anni per definire lavoratori stranieri, specialmente africani, che esercitano il commercio ambulante. È una locuzione irrispettosa delle persone alle quali si riferisce e stigmatizzante, oltre che inutile sul piano lessicale". In alternativa è possibile usare i termini ambulante e venditore.

Nomade (e Campi Nomadi). Il nomadismo, nelle popolazioni rom e sinte, è nettamente minoritario - si afferma -, eppure il termine nomade è continuamente utilizzato come sinonimo di rom e sinti. Un effetto perverso di questo uso scorretto, è la derivazione campi nomadi, che fa pensare a luoghi adatti a gruppi umani che si spostano continuamente e quindi a una forma d’insediamento tipica di quelle popolazioni e in qualche modo necessaria. Non è così. In Europa l’Italia è conosciuta come il paese dei campi per le sue politiche di segregazione territoriale; solo una piccola parte dei sinti e dei rom residenti in Italia non sono sedentari.

Parlare di nomadi e campi nomadi è quindi improprio e fuorviante, ha esiti discriminatori nella percezione comune e conferma una serie di pregiudizi diffusi in particolare nella società italiana". Per le alternative, i termini più corretti suggeriti sono rom e sinti, a seconda dei casi (sono due "popoli" diversi), e in aggiunta alla eventuale nazionalità. Al posto di "campi nomadi" è corretto utilizzare, a seconda degli specifici casi, i termini "campi", "campi rom - campi sinti".

Zingari. "È un termine antico, diffuso con alcune varianti in tutta Europa, ma ha assunto una connotazione sempre più negativa ed è ormai respinto dalle popolazioni rom, sinte, ecc... È spesso percepito come sinonimo di nomadi e conduce agli stessi effetti distorsivi e discriminatori". Le alternative? Rom, sinti. Semplicemente.

Immigrazione: Lampedusa; ieri una nuova ondata di sbarchi

 

Il Sole 24 Ore, 31 luglio 2008

 

Nuova ondata di sbarchi a Lampedusa: in poche ore sono giunti sull’isola o sono stati intercettati su quattro distinti barconi oltre 500 clandestini. L’arrivo più consistente si è registrato intorno alle 4 del mattino, quando un peschereccio è riuscito a entrare direttamente in porto con 339 extracomunitari, tra cui 47 donne e quattro bambini. Un’altra imbarcazione più piccola, con 39 immigrati, è approdata invece all’alba sulla spiaggia di Cala Croce.

Un terzo barcone, con 47 clandestini tra cui due donne, è stato intercettato a circa 50 miglia a sud di Lampedusa da una motovedetta della Guardia Costiera, che sta facendo rotta verso l’isola. L’ultimo intervento, che è ancora in corso, riguarda un quarto barcone con un centinaio di immigrati soccorso da una nave della Marina Militare a 70 miglia a Sud dall’isola. Il centro di prima accoglienza di Lampedusa, dove ieri si trovavano circa 700 clandestini, con gli ultimi arrivi rischia adesso nuovamente il collasso.

Immigrazione: i Msf preoccupati per lo "stato di emergenza"

 

Comunicato stampa, 31 luglio 2008

 

Medici Senza Frontiere (MSF) esprime profonda preoccupazione per la decisione del Governo italiano di estendere lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale per l’ "eccezionale afflusso di cittadini extracomunitari".

"Il fenomeno dell’immigrazione in Italia è sostanzialmente invariato negli ultimi anni, non capiamo quale sia l’ "eccezionale afflusso di cittadini extracomunitari" di cui parla il Governo, - dichiara Loris de Filippi, responsabile delle Operazione di MSF Italia - quando il trend degli arrivi è sostanzialmente invariato e prevedibile nella sua stagionalità, questo consentirebbe di pianificare al meglio strategie di accoglienza adeguate".

"È sorprendente parlare di stato di emergenza in un paese del G8 che ad oggi non ha attuato politiche di accoglienza appropriate per nemmeno la metà dei 14mila richiedenti asilo che hanno inoltrato la domanda nel 2007", continua De Filippi. "Si tratta per lo più di popolazioni vulnerabili in fuga da guerre, carestie e malnutrizione".

MSF è presente a Lampedusa dal 2002 e ha registrato che, solo nel primo semestre del 2008, il 40% degli immigrati sbarcati sull’isola proveniva dal Corno d’Africa e quindi soprattutto da aree in guerra. Basti ricordare che nel 2007 sono giunti 892 somali e ben 2.556 nei primi sei mesi del 2008, si tratta dunque di potenziali richiedenti asilo.

Al di là di quali saranno gli strumenti per gestire lo stato di emergenza, la sensazione è che in Italia si continui a trattare il fenomeno dell’immigrazione soprattutto in un’ottica repressiva ed emergenziale. MSF chiede, nel rispetto delle normative comunitarie, standard minimi di accoglienza per tutti gli immigrati che arrivano sul suolo italiano. Dal 1999 MSF ha avviato progetti in Italia per fornire assistenza sanitaria gratuita agli stranieri regolari e irregolari e per assistere coloro che sbarcano sulle nostre coste.

Droghe: Idv; interrogazione parlamentare sulle cyber-droghe

 

Notiziario Aduc, 31 luglio 2008

 

"Cosa hanno intenzione di fare i ministri Maroni e Sacconi in merito alle nuove cyber-droghe, alla luce di quanto riportato dal Nucleo speciale della Guardia di Finanza e, soprattutto, in seguito all’esperienza diretta del giornalista Marco Salvia, pubblicata oggi (ieri, ndr) sulle pagine dell’Unità". È quanto chiedono in due interrogazioni alla Camera e al Senato i parlamentari di Italia dei valori. "Dopo l’iniziativa intrapresa dal gruppo di Palazzo Madama, guidato dal senatore Elio Lannutti, le rivelazioni apparse ieri sull’Unità hanno reso ancora più stringente la necessità di sapere dai ministri competenti le modalità e i tempi con cui vogliono intervenire per contrastare la diffusione dei file audio incriminati di influenzare l’attività cerebrale con il medesimo effetto dell’assunzione di stupefacenti". Lo dichiara nella nota il presidente vicario dei deputati Idv Fabio Evangelisti.

"Qualora risultasse che l’uso di particolari frequenze in file audio può davvero procurare i sintomi propri dell’assunzione di droghe, l’azione del governo e delle istituzioni dovrà essere tempestiva ed efficace. Nessun tipo di traffico e di uso di stupefacenti finora conosciuto, infatti, sarebbe analogo a quello delle i-doser, così come è stata definita la nuova generazione di droghe cibernetiche. Droghe che non invasive, facili da trovare on-line, riutilizzabili e, soprattutto, di costo relativamente basso, rappresenterebbero nella sostanza un male estremamente difficile da debellare". "Per questo - conclude la nota di Evangelisti - chiediamo ai Ministri di intervenire con attenzione per evitare che si inneschi, come già risulta successo in Spagna, una nuova spirale di cyber tossicodipendenza nel Paese".

Iraq: Radicali; appello contro la pena di morte a Tareq Aziz

 

Comunicato stampa, 31 luglio 2008

 

Appello rivolto a tutti i lettori, ma in particolare ai detenuti e ai loro familiari. Intervento di Antonella Casu, Segretario di Radicali Italiani durante la puntata di Radio Carcere andata in onda martedì 29 luglio 2008.

Sono convinta che proprio dai luoghi dove sono detenuti coloro che la società definisce i peggiori, coloro che le regole le hanno violate (anche se sappiamo bene che circa il 50% dei detenuti sono ancora in attesa di giudizio e quindi, secondo i precetti costituzionali, presunti innocenti fino a sentenza definitiva), possiamo trovare ascolto e partecipazione. Proprio da lì abbiamo avuto, tante volte, la testimonianza di attenzione e sensibilità per il rispetto delle regole e per la legalità delle Istituzioni. Quelle stesse Istituzioni che invece, spesso, danno prova della flagranza di illegalità.

Sono in corso in questi giorni iniziative nonviolente su diversi fronti e con modalità diverse. Un’iniziativa nonviolenta, da parte dei parlamentari radicali, di occupazione della sede della Commissione parlamentare di Vigilanza della Rai che a tre mesi dalla costituzione del nuovo Parlamento, non eleggendo il suo Presidente, non assolve la funzione e l’obbligo costituzionale di controllare e indirizzare il servizio pubblico dell’informazione.

Così come, il Parlamento continua ormai da tempo a disattendere l’obbligo costituzionale di garantire il plenum della Corte Costituzionale. Già in occasione del mancato plenum della Camera dei deputati e del Consiglio Superiore della Magistratura, nel 2002 furono intraprese iniziative nonviolente cui in tanti aderirono, dando forza a quella straordinaria iniziativa che vide oltre 3.000 adesioni da parte dei carcerati.

Aderiste, in tanti, anche all’iniziativa di sciopero della fame del gennaio 2007 perché si conquistasse la Moratoria universale delle esecuzioni capitali, quando, Marco Pannella al 7° giorno di sciopero della sete si appellò proprio a voi e alle vostre coscienze perché crescesse la mobilitazione e l’adesione dal mondo carcerario, dei detenuti e dei loro familiari, affinché si conquistasse quell’atto storico della Moratoria della pena di morte, preannunciando che poi avremmo dovuto continuare a lottare perché fosse anche rispettato.

Direi che in qualche modo ci siamo. Dopo la straordinaria vittoria della Risoluzione sulla "Moratoria Universale della pena di morte", approvata dall’Assemblea Generale dell’Onu il 18 dicembre 2007, Marco Pannella ha iniziato lo scorso 6 luglio uno sciopero della fame per garantire la moratoria della pena di morte anche per Tareq Aziz.

In questi giorni, in Iraq, è in corso un processo farsa che, con ogni probabilità, è destinato a condannare a morte il cristiano caldeo Tareq Aziz, numero 2 del regime criminale che è stato guidato per decenni da Saddam Hussein.

A Tareq Aziz è stata negata ogni garanzia processuale. Non ha un collegio di difesa, dopo che il suo avvocato iracheno ha abbandonato il Paese per paura di essere assassinato, come accadde all’avvocato difensore di Saddam Hussein. Anche per questo e, in coerenza con l’impegno profuso per la "Moratoria Universale della pena di morte" chiediamo: "Moratoria della pena di morte anche per Tareq Aziz".

All’iniziativa nonviolenta di sciopero della fame, che come dicevo ha intrapreso Marco Pannella dallo scorso 6 luglio, hanno iniziato da domenica 20 luglio ad aggiungersi parlamentari, militanti, dirigenti radicali, cittadini, mentre centinaia di Parlamentari di tutti gli schieramenti politici, Premi Nobel e personalità di tutto il mondo stanno dando il loro sostegno firmando un appello.

Possiamo tutti dare un apporto importante, facendo crescere le adesioni sia all’appello che allo sciopero della fame. Sappiamo che, anche questa volta, potremo avere da coloro che, colpevoli o innocenti, sono privati della libertà, l’ennesimo esempio di attenzione e maturata esigenza di partecipazione sociale, di sensibilità civile, da parte di un ambito, quello carcerario che ha dimostrato di saper cogliere nelle iniziative nonviolente, con noi condotte in altre occasioni, il contributo e l’apporto per un futuro migliore, senza esecuzioni capitali e nel rispetto delle regole di civiltà e democrazia.

Per questo vi chiedo di inviare le vostre adesioni, per lettera o se vi fosse possibile per telegramma, a Radicali Italiani Via di Torre Argentina 76 00186 Roma e i vostri familiari potranno farlo anche telefonando allo 06 689791 o sul sito www.radicali.it.

 

Moratoria della pena di morte anche per Tareq Aziz - Testo Appello

 

In questi giorni, in Iraq, è in corso un processo farsa che con ogni probabilità è destinato a condannare a morte il cristiano caldeo Tareq Aziz, il numero 2 del regime criminale che è stato guidato per decenni da Saddam Hussein.

A Tareq Aziz è stata negata ogni garanzia processuale. Non ha un collegio di difesa, dopo che il suo avvocato iracheno ha abbandonato il Paese per paura di essere assassinato, come è già accaduto all’avvocato difensore di Saddam Hussein. Ad Aziz è stato impedito anche di essere assistito da avvocati stranieri che ne hanno fatto richiesta.

Dopo la straordinaria iniziativa nonviolenta, parlamentare, istituzionale e di opinione pubblica che il 18 dicembre 2007 ha portato all’approvazione della "Moratoria Universale della pena di morte" da parte dell’Assemblea Generale dell’Onu e, in coerenza con tale storico risultato, umanamente oltre che politicamente rilevante, noi sottoscritti, oggi, diciamo e chiediamo: "Moratoria della pena di morte anche per Tareq Aziz".

Non si tratta di un "mero" atto umanitario ma di un preciso, concreto e puntuale obiettivo politico: la difesa del diritto e della verità, della legalità e della giustizia in Iraq. Evitare la condanna a morte e l’esecuzione di Tareq Aziz, che - lo ripetiamo - rischiano di avvenire senza che vi sia stato un processo degno di questo nome, potrebbe segnare una evidente soluzione di continuità rispetto a metodi e pratiche in voga ai tempi di Saddam, oltre che assicurare verità e giustizia a tutte le vittime del suo regime, non solo quelle per cui Aziz è oggi sotto processo.

 

Per aderire allo sciopero della fame:

Cognome e nome ____________

Paese _____________________

Professione ________________

Indirizzo ___________________

Telefono ___________________

Cellulare ___________________

Aderisco per _______ giorni dal ______________ al _________________

Francia: da Antigone appello contro l'estradizione di Petrella

 

Ansa, 31 luglio 2008

 

Un appello al presidente francese Nicolas Sarkozy, affinché l’ex brigatista rossa Marina Petrella non venga estradata in Italia, è stato promosso dall’associazione Antigone e firmato da numerose personalità italiane, tra le quali lo scrittore Erri De Luca, il regista Davide Ferrario, il parlamentare del Pd Dario Ginefra, il Garante dei detenuti di Firenze Franco Corleone.

In una lettera aperta al capo di Stato francese, i firmatari ricordano le precarie condizioni di salute di Marina Petrella, e chiedono di non estradare l’ex terrorista "in applicazione della clausola umanitaria prevista dalla Convenzione europea sull’estradizione del 13 dicembre 1957". Ma chiedono anche di voler "predisporre una moratoria di tutte le richieste di estradizione di persone condannate per reati di lotta armata in Italia che hanno trovato ospitalità in Francia, poiché tutti quei casi sono palesemente riconducibili al caso della Petrella". L’ex terrorista, ricordano, ha vissuto 15 anni in Francia "in una condizione di legalità", avendo ricevuto un regolare permesso di soggiorno: "ci sembra - dicono - che la richiesta di estradizione italiana, quantunque perfettamente legale" dovrebbe "essere ritenuta subordinata alla condizione di diritto nella quale Petrella si è venuta a trovare per volontà delle stesse autorità francesi".

Bahrein: liberati più di 200 detenuti, incarcerati per proteste

 

Associated Press, 31 luglio 2008

 

Il Regno del Bahrein ha liberato più di 200 sciiti arrestati durante isolate proteste anti-governative da dicembre scorso. Duecentoventicinque detenuti sono stati rilasciati oggi in seguito alla grazie concessa dalla dinastia sunnita al potere nel Paese. Le dimostrazioni che hanno scosso il Regno a dicembre sono scoppiate per protestare contro le disparità economiche tra l’elite sunnita e la maggioranza sciita più povera.

Altri trenta detenuti rimangono però in carcere, secondo quanto riferito dal funzionario del ministero dell’Interno, Abdul-Latif al-Zayani. Alcuni di loro sono accusati di aver ucciso un poliziotto, danneggiato auto della polizia e bruciato dei copertoni durante le proteste. Gli sciiti del Bahrein rappresentano circa il 70 per cento della popolazione di 450mila cittadini.

Nigeria: Prisonniers Sans Frontières dà lavoro a ex detenuti

 

Agenzia Fides, 31 luglio 2008

 

Nella casa di detenzione e correzione di Maradi padre Dondeynaz, sacerdote Redentorista, è stato per anni il pioniere della pastorale per i detenuti, in particolare per quelli cristiani (soprattutto nigeriani e camerunesi). All’inizio il suo intervento si limitava alla visita e all’istruzione religiosa, ma presto una équipe di 16 volontari dell’organizzazione cristiana Prisonniers Sans Frontières ha affiancato l’opera di padre Dondeynaz. Il gruppo ha organizzato un Centro di ascolto e dato vita ad una serie di incontri e discussioni (su temi come "La responsabilità", "L’amore per il lavoro"...), cercando di dissipare timori e inquietudini. L’alfabetizzazione oggi è una delle attività principali dell’équipe e registra molta attenzione da parte dei detenuti, che spesso non hanno frequentato le scuole.

Un’indagine statistica del febbraio 2007 ha mostrato un dato allarmante. Dei 375 carcerati l’80 per cento sono recidivi, per la sola ragione che in carcere essi trovano alloggio e cibo. Davanti a questa situazione preoccupante l’organizzazione ha aperto dei laboratori di cucito e maglia e di lavorazione del vimini, per permettere alle donne di apprendere un mestiere una volta tornate in libertà. A tale scopo le donne usufruiscono di una serie di benefici e permessi di uscita per frequentare i corsi professionali.

Per quanto riguarda gli uomini, una delle iniziative di Prisonniers Sans Frontières è la cura di 2 ettari di terreno, coltivato per l’80%, i cui frutti vengono usati per integrare l’alimentazione fornita dalla casa circondariale, mentre il resto viene venduto. Attraverso quest’opera i carcerati imparano il valore del lavoro e possono sperare in un futuro più dignitoso.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Home Su Successiva