Rassegna stampa 23 luglio

 

Giustizia: voto finale al Senato, il "decreto sicurezza" è legge

 

La Repubblica, 23 luglio 3008

 

Il Senato ha approvato con 161 voti a favore, 120 contrari e otto astenuti la conversione definitiva in legge del decreto sulla sicurezza, accogliendo le modifiche apportare dalla Camera il 16 luglio sulla contestata norma blocca processi, che scompare. La terza lettura del provvedimento ha ottenuto il voto favorevole della maggioranza, il voto contrario del Pd e dell’Idv e l’astensione dell’Udc.

La soddisfazione della maggioranza è stata espressa dal Presidente dei Senatori del Pdl Maurizio Gasparri: "Finalmente una svolta storica per la tutela e la sicurezza dei cittadini dopo l’impotenza della sinistra. Abbiamo approvato un decreto che inasprisce le norme contro i clandestini, contro la mafia, contro chi guida in stato d’ebbrezza o sotto l’effetto di droghe e che rende più rapidi i processi per i reati di più grave allarme sociale, mentre include per gli immigrati l’aggravante di clandestinità".

Anna Finocchiaro, Presidente del Gruppo Pd a Palazzo Madama, parla di norme contrarie al principio di uguaglianza. "Cito per esempio una questione fondamentale, quella che riguarda l’aggravante per il cosiddetto reato di immigrazione clandestina. Questa questione è secondo noi incostituzionale perché non si capisce quale sarebbe questa particolare pericolosità che nasce esclusivamente dal fatto che non hai il permesso di soggiorno".

Anche il Capogruppo del Pd in Commissione Giustizia Felice Casson ha contestato il decreto: "Il provvedimento va in controtendenza con l’obiettivo dichiarato dal governo che collocherebbe la sicurezza e la difesa in cima alle priorità dell’esecutivo. Siamo di fronte all’ennesima operazione di facciata che in realtà è una vera e propria bugia".

"Votiamo contro il disegno di legge in conversione perché il testo da votare è addirittura peggiorato rispetto al testo già in precedenza esaminato. Con questo decreto aumenteranno i reati", ha detto Luigi Li Gotti, capogruppo dell’Italia dei valori in commissione Giustizia.

Mentre il capogruppo dell’Udc-Svp, Giampiero D’Alia, ha annunciato l’astensione dei senatori centristi e delle minoranze linguistiche spiegando che il decreto sicurezza "è solo un provvedimento-manifesto" perché le vere misure che si dovranno esaminare per garantire la sicurezza in Italia sono contenute in realtà "solo nel disegno di legge". E fino a quando questo testo non verrà studiato in tutta la sua complessità l’Udc non potrà prendere una posizione definitiva.

Giustizia: il "decreto sicurezza"; militari, clandestini e processi

 

La Repubblica, 23 luglio 3008

 

Militari nelle metropoli, e poi la stretta contro i clandestini che, se delinquono, avranno pene aggravate. Ma non solo: ergastolo a chi uccide un poliziotto e nessuno sconto a violentatori, pirati della strada ubriachi, trafficanti di droga. E misure dure di lotta alla mafia. Sparisce la contestata norma blocca-processi, introdotta in prima lettura al Senato e sostituita dal governo con la più "leggera" facoltà di rinvio affidata alla discrezionalità dei magistrati. Ecco, nel dettaglio, i contenuti del decreto sicurezza approvato in via definitiva dal Senato senza modifiche rispetto al testo della Camera.

Priorità a processi per reati gravi. Niente più automatica sospensione, ma la semplice facoltà affidata ai magistrati di rinviare (fino a un massimo di 18 mesi) i processi per reati commessi fino al 2 maggio 2006 per i quali ricorrono le condizioni per l’indulto. Così si garantisce una corsia preferenziale ai procedimenti per i reati più gravi. In pratica, avranno priorità assolutà terrorismo, mafia, morti bianche, pirateria stradale e tutti quei processi per delitti puniti con almeno quattro anni di carcere e quelli a carico di detenuti o recidivi. Nei reati indultati si allarga il patteggiamento oltre i termini previsti dal codice. Saranno i capi degli uffici giudiziari, in base alle priorità indicate dalla legge, a stilare un elenco proprio sul quale riferire al consiglio superiore della magistratura e che passerà al vaglio del ministro dell giustizia.

Esercito nelle grandi città. Per un massimo di sei mesi (rinnovabili una tantum) tremila militari potranno essere usati nelle grandi città nella vigilanza di obiettivi sensibili e nel pattugliamento (insieme alla polizia).

Certezza della pena. Niente sospensione del carcere per chi commette atti osceni, violenza sessuale, furto, e per tutti i delitti aggravati dalla clandestinità. A favore dell’incensurato non scatteranno più in maniera automatica le attenuanti generiche (il giudice valuterà caso per caso). Chi uccide un agente in servizio sarà condannato all’ergastolo.

Processi più rapidi. Per accelerare i processi, il pm avrà l’obbligo (non più la facoltà) di richiedere il rito direttissimo o il giudizio immediato per i reati per i quali sono previsti i riti speciali. In pratica, il rito direttissimo diverrà la regola in relazione a tutte le indagini che non richiedono attività ulteriori. In appello è fatto divieto di patteggiamento.

Aggravante clandestinità. Se chi delinque è un clandestino le pene sono aumentate di un terzo. La nuova aggravante di clandestinità vale per gli extracomunitari ma anche per i cittadini europei entrati irregolarmente.

Giro di vite sulle espulsioni. Ampliati i casi di espulsione su ordine del giudice, mentre i cittadini comunitari potranno essere allontanati se senza reddito o trovati a delinquere. Cala a due anni il limite di pena per l’espulsione (prima era di dieci). A chi viola l’ordine di rimpatrio carcere da uno a quattro anni.

Addio Cpt, arrivano i Cie. I centri di permanenza temporanea (Cpt) e i centri di permanenza temporanea e assistenza (Cpta) cambiano nome e diventano centri di identificazione ed espulsione (Cie). Infine, se si dichiara falsa identità si rischia dai tre a sei anni di pena.

Carcere a chi lucra su affitti a irregolari. Carcere da sei mesi a tre anni per chi lucra, affittandogli casa o altro immobile, sullo straniero senza permesso di soggiorno. Con la condanna scatta anche la confisca del bene. Da questa norma dovrebbero essere esclusi coloro che ospitano badanti o colf.

Stretta su pirati strada. Chi guida ubriaco o drogato e causa incidenti mortali o feriti gravi rischia il carcere da tre a dieci anni, la confisca del veicolo e il ritiro della patente. Ulteriori inasprimenti sono previsti per chi non si ferma a prestare soccorso e per non si sottopone ai test di controllo.

Più poteri a sindaci e prefetti. Sul fronte dell’ordine pubblico sindaci e prefetti avranno maggiori poteri e ci sarà più cooperazione tra polizia locale e statale. Tra l’altro, il sindaco segnalerà gli stranieri irregolari da espellere.

Lotta alla mafia (anche straniera). Due anni di carcere in più ai mafiosi, e il reato di associazione mafiosa sarà contestato anche alle organizzazioni criminali straniere. Si contrasteranno in maniera più efficace i traffici illegali, con la confisca dei patrimoni anche post mortem. I mafiosi condannati non potranno più avvalersi del gratuito patrocinio. Infine, più poteri al procuratore nazionale antimafia, che potrà decidere le misure di prevenzione da adottare.

Distruzione merce contraffatta. Una volta sequestrata, il giudice potrà ordinare la distruzione della merce contraffatta e di quella di cui sia vietata la fabbricazione e la vendita.

Giustizia: il "lodo Alfano" è legge, dal Senato il "sì" definitivo

 

Il Corriere della Sera, 23 luglio 2008

 

Il "lodo Alfano" è legge. Il Senato dà il via libera (171 sì, 128 no, 6 astenuti) definitivo allo "scudo a tempo" per le quattro più alte cariche dello Stato. A favore tutti i gruppi di maggioranza, contrarie le opposizioni, mentre l’Udc sceglie l’astensione, che a Palazzo Madama equivale al voto contrario. E ora la battaglia si sposta nelle piazze. Antonio Di Pietro (Italia dei Valori) annuncia: "Raccoglieremo subito le firme per il referendum abrogativo".

La legge dispiegherà i suoi effetti dal giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, dopo cioè la promulgazione da parte del capo dello Stato, Giorgio Napolitano. E si applica ai presidenti della Repubblica, del Senato della Camera e del Consiglio. Il provvedimento dispone che per tutta durata del mandato, e per una sola legislatura, (non è cioè ripetibile) siano sospesi tutti i procedimenti giudiziari, anche per fatti antecedenti l’assunzione della carica. Lo "scudo" non è obbligatorio, è previsto che ognuno dei quattro presidenti possa rinunciarvi "in ogni momento".

A questa tutela a tempo si associa anche il congelamento della prescrizione del reato. In altre parole: i termini di decorrenza della prescrizione ricominciano quando viene meno la sospensione. Le parti non coinvolte nei procedimenti possono in ogni caso trasferire l’azione in sede civile.

Il Guardasigilli illustra all’Aula il testo, rispondendo implicitamente ai rilievi dell’opposizione che ha contestato l’accelerazione impressa dalla maggioranza. "Vorrei essere molto chiaro - osserva - questa nostra ipotesi legislativa non è né molto urgente né poco urgente. Questo disegno di legge a nostro avviso è giusto". Non solo. Alfano rimarca infatti che "è un testo sobrio ben calibrato rispetto ai principi e valori costituzionali che risultano coinvolti, nonché in linea con numerose normative di altri ordinamenti occidentali".

Il ministro dà "appuntamento in autunno per la riforma della giustizia" e invita "i settori ragionevoli dell’opposizione: coloro che si candidano a essere riformisti e coloro che dicono, in ragione del riformismo ambito e preteso, che la riforma della giustizia deve essere fatta con urgenza", a cambiare atteggiamento perché "viceversa avrete coccolato ancora una volta l’anti berlusconismo ma avrete definitivamente abbandonato l’ambizione riformista".

Insomma per Alfano "oggi, la linea di confine tra conservatori e riformatori, tra coloro i quali vogliono conservare lo status quo e coloro che vogliono cambiarlo migliorarlo, facciamocene una ragione, è la giustizia". Il Guardasigilli insiste nell’appello ai ragionevoli del centrosinistra: "Noi confidiamo nella loro buona volontà, si rendano protagonisti di tale cambiamento. Pensiamo che i settori riformisti dell’opposizione debbano darsi una linea ripensata su questo argomento, perché facile distinguersi in materia di giustizia quando vi sono gli insulti al capo dello Stato o al Papa, ben più difficile è dire cose diverse dagli estremisti in Parlamento".

Ma nell’aula di Palazzo le opposizioni sono contrarie ad accogliere l’invito di Alfano. Anna Finocchiaro (Pd) lo dice con chiarezza: "È davvero difficile il dialogo con una maggioranza se l’intenzione è quella di creare un sovrano senza limiti. È chiaro che in un clima così è ben difficile che si possa trovare un filo comune di ragionamento".

Ancora più duro Antonio Di Pietro (Italia dei Valori): "Sarebbe mettersi la corda al collo. È come dire al lupo "mettiamoci a tavola assieme", sapete che fine fa l’agnello?".

Giustizia: processi lenti, la Cedu condanna di nuovo l’Italia

 

Asca, 23 luglio 2008

 

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato oggi l’Italia per quindici volte per non aver rispettato i tempi di un giusto processo. Tredici dei casi sono procedimenti su cui si è pronunciato il Tribunale di Benevento, i restanti due erano casi discussi davanti al Tribunale di Cassino. I giudizi davanti ai Tribunali italiani sono durati da un minimo di cinque anni e mezzo a un massimo di ventuno anni per un solo grado di giudizio. Tutti i ricorrenti prima di rivolgersi alla Corte di Strasburgo avevano tentato il rimedio interno attraverso la legge Pinto, entrata in vigore nel 2001, per assicurare un giusto risarcimento a chi ha subito un torto dalla giustizia italiana a causa delle lungaggini processuali.

Nelle sentenze odierne dei giudici della Corte di Strasburgo l’Italia viene tuttavia condannata anche perché non rispetta i tempi di risarcimento, sei mesi, prescritti dalla Legge Pinto.

Nessuno dei richiedenti ha ottenuto il risarcimento prima di 13 mesi, ma in genere il tempo medio di attesa è di 29 mesi. L’Italia è stata richiamata più volte dal Consiglio d’Europa a porre un rimedio alle lungaggini processuali. Tra il 1999 e il 2007 la Corte ha condannato l’Italia 948 volte per non aver rispettato i tempi di un giusto processo.

Giustizia: un "sistema giudiziario" lento, inefficiente ed iniquo

 

La Stampa, 23 luglio 2008

 

Il dibattito sulla riforma della giustizia è purtroppo offuscato dalla situazione processuale del Presidente del Consiglio. Si discute poco della crisi del sistema giudiziario nel suo complesso. Sommando la spesa per Tribunali e Pubblici Ministeri, l’Italia nel 2004 spende 47 euro per abitante, contro i 36 euro della Francia. Ciononostante, la giustizia in Italia è molto più lenta. A fronte di un numero simile di procedimenti civili, in Italia il numero di casi pendenti è superiore ai 4 milioni, mentre in Francia è di circa 1 milione e mezzo.

La situazione è simile per quanto riguarda i casi penali. Alcune delle cause della crisi della giustizia sono immediatamente identificabili. Prima fra esse è l’organizzazione burocratica inefficiente degli uffici. L’enorme differenza di produttività tra distretti (una causa civile di merito in primo grado richiede circa 500 giorni a Torino e 1.400 a Messina nel 2005), ma soprattutto le esperienze virtuose di ristrutturazione burocratica come quelle di Bolzano e Torino, dimostrano quanto sia rilevante l’efficienza manageriale nella gestione degli uffici giudiziari.

La procedura penale stessa è causa di inefficienza della giustizia penale. L’obbligatorietà dell’azione penale e la rapida prescrizione dei reati costringono il giudice alla inutile istruzione di processi destinati ad essere prescritti. Gli incentivi previsti per il rito abbreviato non risultano sufficienti, e troppo spesso si ricorre al dibattimento. Infine, un forse eccessivo garantismo è manifestato nei troppi gradi di giudizio.

È però un errore addurre solo a questi fattori il mancato funzionamento della giustizia, come sembra fare l’Associazione Nazionale Magistrati (si veda il rapporto del XXIX Congresso, 2008). Vari tentativi di intervento sulla giustizia sono falliti proprio perché mirati alla procedura, senza modificare gli incentivi di chi ha responsabilità di amministrare la giustizia. La Legge Pinto, ad esempio, permette una "equa riparazione" nel caso di "non ragionevole durata del processo". Ma senza penalizzare gli uffici e i magistrati responsabili della durata dei processi si ha solo la creazione di nuove istanze (con annessi ricorsi in Cassazione) il cui effetto è quello di rallentare ulteriormente la durata dei processi.

La riforma della giustizia non può quindi prescindere dalla governance del sistema giudiziario: come sono pagati i magistrati, sulla base di quali valutazioni fanno carriera, e così via. Il nuovo ordinamento prevede in verità una valutazione quadriennale del magistrato cui è vincolata la sua progressione salariale. Ma senza incentivi alla selezione dei migliori magistrati a livello di ufficio si avranno valutazioni sempre e comunque positive.

La resistenza dell’Anm all’uso degli incentivi di carriera per motivare i magistrati ha una valida giustificazione teorica nella garanzia dell’indipendenza del magistrato stesso. Ma nel sistema corrente il magistrato non è affatto isolato da incentivi di carriera. La sua vera carriera, in termini di prestigio personale e/o di gestione di potere, consiste infatti nel ricoprire posti direttivi (al Csm, ad esempio, o "fuori ruolo" all’interno dei ministeri o all’estero). Questi meccanismi di carriera informali sono gestiti in pratica attraverso le correnti interne alla magistratura e generano incentivi perversi. Da qui la necessità di disegnare meccanismi formali di incentivi per la carriera dei magistrati. Tali meccanismi richiedono la valutazione dell’attività e della produttività dei singoli magistrati, ma anche e soprattutto un sistema per cui il capo dell’ufficio giudiziario benefici dalla correttezza dei suoi giudizi, attraverso forme di competizione di carriera tra capi ufficio e forme di concorrenza per le risorse tra uffici.

Giustizia: la Costituzione ai tempi della democrazia autoritaria

di Gustavo Zagrebelsky (Presidente emerito della Corte Costituzionale)

 

La Repubblica, 23 luglio 2008

 

La Costituzione fatica nel compito di creare concordia. Quando una Costituzione genera discordia, è segno di qualcosa di nuovo e profondo che ha creato uno scarto. È il momento in cui le strade della legittimità e della legalità (la prima, adeguatezza ad aspettative concrete; la seconda, conformità a norme astratte) si divaricano. Di legalità si vive, quando corrisponde alla legittimità. Ma, altrimenti, si può anche morire. Alla fine è pur sempre la legittimità a prevalere su una legalità ridotta a fantasma senz’anima.

La difesa della Costituzione non può perciò limitarsi alla pur necessaria denuncia delle violazioni e dei tentativi di modificarla stravolgendola. Una cosa è l’incostituzionalità, contrastabile richiamandosi alla legalità costituzionale. Ma, cosa diversa è l’anticostituzionalità, cioè il tentativo di passare da una Costituzione a un’altra. Contro l’anticostituzionalità, il richiamo alla legalità è uno strumento spuntato, perché proprio la legalità è messa in questione. Che cos’è, dunque, la controversia sulla Costituzione: una questione di legalità o di legittimità? Dobbiamo poter rispondere, per metterci sul giusto terreno ed evitare vacue parole. Per farlo, occorre guardare alla psicologia sociale e alle sue aspettative costituzionali. Questa è un’epoca in cui, manifestamente, le relazioni tra le persone si fanno incerte e il primo moto è di diffidenza, difesa, chiusura. Questo è un dato. Alla politica, che pur si disprezza, si chiede attenzione ai propri interessi, alla propria identità, alla propria sicurezza, alla propria privata libertà. L’ossessione per "il proprio" ha, come corrispettivo, l’indifferenza e, dove occorre, l’ostilità per "l’altrui".

In termini morali, quest’atteggiamento implica una pretesa di plusvalenza. In termini politici, comporta la semplificazione dei problemi, che si guardano da un lato solo, il nostro. In termini costituzionali, si traduce in privilegi e discriminazioni.

Esempi? "A casa nostra" vogliamo comandare noi: espressione pregnante, che sottintende un titolo di proprietà tutt’altro che ovvio. Detto diversamente: ci sono persone che, pur vivendo accanto a noi, sono come "in casa altrui", nella diaspora, senza diritti ma solo con concessioni, revocabili secondo convenienza. Gli immigrati pongono problemi? Li risolviamo con quote d’ingresso determinate dalle nostre esigenze sociali ed economiche e, per quanto eccede, ne facciamo dei "clandestini", trattandoli da delinquenti. Non pensiamo che anche noi, gli "aventi diritto", portiamo una responsabilità delle persone che muoiono in mare o nascoste nelle stive, indotte da questa nostra legislazione ad agire, per l’appunto, da clandestini. La criminalità si annida nelle comunità che vivono ai margini della nostra società (oggi, i rom e i sinti; domani, chissà). Allora, spianiamo per intanto i campi dove vivono e pigiamone i pollici, grandi e piccoli, perché lascino un’impronta. Basta non guardare la loro sofferenza e la loro dignità. Certo, i mendicanti seduti o sdraiati sui marciapiedi ostacolano il passaggio. Noi, che non abbiamo bisogno di elemosinare, vietiamo loro di farsi vedere in giro. Basta non pensare alla vergogna che aggiungiamo al bisogno. L’indigenza si diffonde? Istituiamo l’elemosina di Stato. Si crea così una frattura sociale, tipo Ancien Régime? Basta non accorgersene. I diritti si rovesciano in strumenti di esclusione quando, per garantire i nostri, non guardiamo il lato che riguarda gli altri. In una società di uguali, il lato sarebbe uno solo: il mio è anche il tuo. Ma in una società di disuguali, l’unilateralità è la premessa dell’ingiustizia, della discriminazione, dell’altrui disumanizzazione. Quando si prende questa china, non si sa dove si finisce. Perfino a teorizzare la tortura, in nome della sicurezza.

Ma questa è anche un’epoca di restrizione delle cerchie della socievolezza. Il nostro benessere è insidiato dagli altri: dunque rifugiamoci tra di noi, amici nella condivisione dei medesimi interessi. Al riparo dalle insidie del mondo, pensiamo di trovare la nostra sicurezza. L’esistenza in grande appare insensata, anzi insidiosa: la parola umanità suona vuota, le unità politiche create dalla storia dei popoli si disgregano in piccole comunità sospettose l’una verso l’altra; l’Europa segna il passo. Le riduzioni di scala della socievolezza riguardano ogni ambito della vita di relazione e, a mano a mano che procedono, creano nuove inimicizie in una spirale che distrugge l’interesse generale e i suoi postulati di legalità, imparzialità, disinteresse personale. La legge uguale per tutti è sostituita dalla ricerca di immunità e impunità. Ciò che denominiamo "familismo" crea cricche politiche e partitiche, economiche e finanziarie, culturali e accademiche, spesso intrecciate tra loro, dove si organizzano e si chiudono relazioni sociali e di potere protette, per trasmetterle da padri a figli e nipoti, da boss a boss, da amico ad amico e ad amico dell’amico, secondo la legge dell’affiliazione. Sul piano morale, quest’atteggiamento valorizza come virtù l’appartenenza e l’affidabilità, a scapito della libertà. Sul piano politico, si traduce in distruzione dello spirito pubblico e nella sostituzione degli interessi generali con accordi opachi tra "famiglie". Sul piano costituzionale, si risolve nella distruzione della repubblica di cui parla l’art. 1 della Costituzione, da intendersi nel senso ciceroniano di una comunione basata sul legittimo consenso circa l’utilità comune.

Della diffidenza e della chiusura, conseguenza naturale è la perdita di futuro, come bene collettivo. Si procede alla cieca e, non sapendoci dare una meta che meriti sacrifici, cresciamo in particolarismi e aggressività. Le visioni del futuro, che una volta assumevano le vesti di ideologie, sono state distrutte e, con esse, sono andati perduti anche gli ideali che contenevano. Sono stati sostituiti da mere forze divenute fini a se stesse, come la tecnica alleata all’economia di mercato, mossa dai bilanci delle imprese: forze paragonate al carro di Dschagannath che, secondo una tradizione hindu, trasporta la figura del dio Krishna e, muovendosi da sé senza meta, travolge la gente che, in preda a terrore, cerca inutilmente di guidarlo, rallentarlo, arrestarlo. In termini morali, la perdita di futuro contiene un’autorizzazione in bianco alla consumazione nell’immediato di tutte le possibilità, senza accantonamenti per l’avvenire. In termini politici, comporta una concezione dell’azione pubblica come sequenza di misure emergenziali. In termini costituzionali, distrugge ciò che, propriamente, è politica e la sostituisce con una gestione d’affari a rendita immediata.

Tutto ciò, invero, è un insieme di constatazioni piuttosto banali che, oltretutto, non rispecchiano l’intera realtà costituzionale, per nostra fortuna fatta anche d’altro. Ma, per quanto in queste constatazioni c’è di vero, non sarà altrettanto banale collegarlo con la Costituzione e le sue difficoltà. Quelle tre nevrosi da insicurezza - visione parziale delle cose; disgregazione degli ambiti di vita comune; assenza di futuro - hanno un unico significato: la corrosione del legame sociale. Non siamo solo noi a trovarci alle prese con questa difficoltà, ma noi specialmente. Una domanda classica nella sociologia politica è: che cosa tiene insieme la società? Oggi la domanda si è spostata, e ci si chiede addirittura se di società, cioè di relazioni primarie spontanee, non imposte forzosamente, si possa ancora parlare. In effetti, poiché convivere pur bisogna, vale una relazione inversa: a legame sociale calante, costrizione crescente.

Non è forse questa la nostra china costituzionale? Una china su cui troviamo, da un lato, per esempio, indifferenza per l’universalità dei diritti, per la separazione dei poteri, per il rispetto delle procedure e dei tempi delle decisioni, per i controlli, per la dialettica parlamentare, per la legalità, per l’indipendenza della funzione giudiziaria: indifferenza, in breve, per ciò qualifica come "liberale" una democrazia; sostegno, dall’altro, alle misure energiche, alla concentrazione e alla personalizzazione del potere, alla democrazia d’investitura, all’antiparlamentarismo, al fare per il fare, al decidere per il decidere: in breve, a ciò che qualifica invece come "autoritaria" la democrazia.

La sintesi potrebbe essere la frase pronunciata da un deputato socialista, all’epoca delle nazionalizzazioni decise dal governo Mitterand e osteggiate dall’opposizione di destra, che aveva promosso un ricorso al Conseil Constitutionnel (più o meno, la nostra Corte costituzionale): "Voi avete giuridicamente torto, perché noi abbiamo politicamente ragione". In altri termini, il vostro richiamo alla Costituzione vale nulla, perché noi abbiamo i voti. Quella frase fece grande scandalo, chi l’aveva pronunciata dovette rimangiarsela. Ma si esprime lo stesso concetto dicendo: la gente ha votato, ben sapendo chi votava, e questo basta; la forza del consenso rende nulla la forza del diritto; chi obbietta in nome della Costituzione è un patetico azzeccagarbugli che con codici e codicilli crede di fermare la marcia della nuova legittimità costituzionale.

La Costituzione non ammette questo modo di ragionare. Non c’è consenso che possa giustificare la violazione delle "forme" e dei "limiti" ch’essa stabilisce (art. 1). Ma questa è legalità costituzionale. Pensare di sostenere una legalità traballante nella sua legittimità, invocando soltanto la legalità, è come volersi trarre dalle sabbie mobili aggrappandosi ai propri capelli. Chi vuol difendere la Costituzione deve accettare la sfida della legittimità e saper mostrare, anche attraverso i propri comportamenti, che la Costituzione non è un involucro ormai privo di valida sostanza, non è l’espressione o la copertura di un mondo senza futuro. Occorre far breccia in convinzioni collettive, là dove domina indifferenza, sfiducia, rassegnazione: i sentimenti qualunquistici, naturalmente orientati a esiti autoritari, di cui s’è detto. Se la crisi costituzionale è innanzitutto crisi di disfacimento sociale, è da qui che occorre ripartire. Si difende la Costituzione anche, e soprattutto, con politiche rivolte a promuovere solidarietà e sicurezza, legalità e trasparenza, istruzione e cultura, fiducia e progetto: in una parola, legame sociale. Se non andiamo alla radice, per colmarlo, dello scarto tra legalità e legittimità, ci possiamo attendere uno svolgimento tragico del conflitto tra una legalità illegittima e una legittimità illegale: tragico nel senso più proprio e classico della parola. Ci si dovrà ritornare.

Giustizia: Confcommercio; furti e rapine sono il nostro incubo

 

Ansa, 23 luglio 2008

 

Presentato a Roma, alla presenza del Ministro dell’Interno Roberto Maroni e del Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, il secondo Rapporto Confcommercio - Eurisko su sicurezza e criminalità.

Sono i furti e le rapine i reati che mettono più in allarme il mondo del commercio mentre la situazione della sicurezza, nel suo complesso, viene percepita come "stazionaria", con solo un 31% degli esercenti che si sente più insicuro rispetto ad un 4% che intravede, addirittura, segnali di miglioramento. La maggioranza, invece, (il 62%) dichiara che i livelli di sicurezza in generale per la propria impresa, tra il 2006 ed il 2007, sono rimasti uguali.

L’indagine, che si è proposta essenzialmente di verificare i cambiamenti nei livelli di sicurezza percepiti tra il 2006 ed il 2007, è stata svolta nei mesi marzo e aprile di quest’anno attraverso un questionario inviato ad oltre 50 mila imprese associate a Confcommercio. Per quel che riguarda i dati territoriali, c’è un ottimismo più diffuso tra i commercianti del Nord Ovest e del Sud rispetto a quelli del Centro Italia.

Secondo l’indagine sono le grandi città ad essere le più esposte per i commercianti al rischio dell’azione della malavita con una incidenza di furti o rapine che raggiunge il 21% in quelle del Nord Italia ed addirittura il 26% in quelle del Centro-Sud. In particolare, il 6% dichiara di aver subito furti, rapine od estorsioni con danni alle persone addette all’impresa.

Il 54% degli intervistati che ha subito un atto di violenza criminale (50 mila imprese associate a Confcommercio) ha dichiarato, poi, di aver impiegato molto tempo per risolvere pratiche o attività varie legate ad episodi criminosi, con una media di 7 giorni lavorativi persi per questo tipo di incombenze. In linea con quanto già rilevato nell’indagine dello scorso anno, l’usura risulta nel corso dello scorso anno aver coinvolto il 2% dei commercianti con punte dell’8% per le imprese commerciali del Centro-Sud.

Commentando i dati della ricerca, il presidente Sangalli ha sottolineato che "a distanza di un anno scopriamo che l’atteggiamento degli imprenditori del terziario sul questo tema non è sostanzialmente cambiato, ma è cambiato sicuramente il contesto nell’ambito del quale vanno interpretati i dati". "Perché - ha sottolineato Sangalli - in un contesto economico in cui si parla ormai di crescita zero, con una crisi dei consumi a livelli da codice rosso, un’inflazione in piena corsa, lo stato di salute delle imprese è tale da non poter sopportare ulteriori costanti, e crescenti attacchi al normale svolgimento dell’attività d’impresa".

Giustizia: Sangalli (Confcommercio); bene la tolleranza zero

 

Il Messaggero, 23 luglio 2008

 

Il Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli è intervenuto alla presentazione del secondo rapporto Confcommercio - Eurisko su "Sicurezza e criminalità".

"Desidero ringraziare il ministro Maroni per la sua partecipazione a questa iniziativa - ha detto Sangalli - che vuole essere innanzitutto un momento di confronto con le istituzioni su un tema, quello della criminalità e della sicurezza, diventato cruciale per il paese, ma ancor più per le imprese che Confcommercio rappresenta".

"Perché è con lo Stato e con le istituzioni - ha osservato il Presidente - che Confcommercio intende continuare a lavorare, fianco a fianco, per il comune obiettivo di garantire legalità e sicurezza, nell’interesse delle imprese e dell’intera collettività. Come ha fatto fin’ora, a livello nazionale e locale, attraverso un dialogo serrato e iniziative mirate, e non ultimo, attraverso l’attività della Commissione Consiliare per le politiche per la sicurezza, presieduta da Luca Squeri, che ringrazio per l’attenzione che dedica a questo tema".

"Confcommercio ha presentato, esattamente un anno fa, la prima indagine sul campo mirata a capire quale fosse la percezione dei fenomeni criminali da parte delle imprese e quali le esigenze che ne scaturivano. A distanza di un anno scopriamo che l’atteggiamento degli imprenditori del terziario sul questo tema non è sostanzialmente cambiato, ma è cambiato sicuramente il contesto nell’ambito del quale vanno interpretati i dati".

"Perché in un contesto economico in cui si parla ormai di crescita zero, con una crisi dei consumi a livelli da codice rosso, un’inflazione in piena corsa, lo stato di salute delle imprese è tale da non poter sopportare ulteriori costanti, e crescenti attacchi al normale svolgimento dell’attività d’impresa. Perché le imprese sono già gravate da un eccessivo carico fiscale, che non accenna a diminuire, e da una burocrazia ancora, spero per poco, costosa e farraginosa, da costi di gestione costantemente in crescita. Se a questo si devono aggiungere anche i costi della criminalità, si rischia veramente di ridurre la libertà di impresa, con il risultato di spingere molti imprenditori a chiudere o trasferire la loro attività".

Sangalli ha quindi precisato che "le imprese si aspettano una risposta forte. E a fronte di questa risposta forte, sono pronte a fare la loro parte, fino in fondo. Lo stanno dimostrando, lo stiamo dimostrando". "In un territorio come quello Siciliano, martoriato dalla piaga della mafia e delle estorsioni, si è inaugurata una nuova stagione, che vede impegnati tanti imprenditori a collaborare con le forze dell’ordine e la magistratura nella denuncia degli estorsori durante i processi a loro carico, forti della "protezione" , passatemi il termine, della nostra associazione, che oltre a fornire supporto legale e a costituirsi parte civile nei processi di mafia, con la decisione di sospendere quegli associati che coinvolti in tali procedimenti si rifiutino di collaborare con la giustizia, ha dimostrato di volersi far garante di quella cultura della legalità che è il presupposto di una compiuta democrazia economica.

Certo, alle denunce devono seguire indagini rapide e condanne severe. E pene che devono essere scontate, tutte e sino in fondo. Solo così si può diffondere una cultura della legalità, basata su diritti e sui doveri - e non su favori ed acquiescenze - bilanciati in una simmetria assolutamente inderogabile. Una simmetria, quella fra diritti e doveri che deve essere applicata in ogni ambito".

"A cominciare dall’immigrazione. Gli immigrati sono una risorsa, preziosa ed essenziale per il Paese - un Paese che invecchia e che ha bisogno di giovani - per l’intera economia, e per le imprese. Ma è una risorsa che deve essere gestita e non subita, garantendo integrazione, accoglienza e rispetto della regole. Nell’interesse degli stessi immigrati e dei cittadini italiani". Perché solo attraverso il rispetto da parte di tutti dei reciproci diritti e doveri è possibile garantire la legalità e la sicurezza, ma anche e soprattutto combattere la piaga del lavoro nero e delle attività sommerse che innescano una spirale di degrado, povertà e disperazione che spingono al crimine.

È la clandestinità la piaga da combattere, e in tal senso sono sicuramente apprezzabili gli interventi individuati dal Governo per incidere sulle dinamiche che ne consentono la proliferazione, punendo chi sfrutta illegalmente la disperata ricerca di un lavoro o di un abitazione da parte di chi non ha possibilità di scelta".

Sangalli ha poi ribadito l’importanza del controllo del territorio: "bisogna creare una stretta collaborazione fra forze di polizia ed enti locali per integrare il controllo del territorio da parte delle stesse forze di polizia con il "governo del territorio" da parte delle autorità locali. Bene quindi i poliziotti o i carabinieri di quartiere, ma tale presenza deve essere accompagnata da investimenti sistematici e progetti mirati di riqualificazione, specialmente nelle aree periferiche o più degradate".

"La gravità della situazione è evidente e comunque devo riconoscere al nuovo Governo che non ha indugiato nell’affrontare la questione, con provvedimenti che aspettavamo da tempo. Cioè quella "tolleranza zero" che più volte abbiamo chiesto in passato. Prima di concludere non posso tuttavia non affrontare un problema oggettivo, che è quello delle risorse da destinare alla sicurezza, perché senza risorse non si risolvono i problemi. Le forze dell’ordine sono cronicamente in carenza di organico e le risorse finanziarie destinate agli investimenti e ai consumi intermedi - ossia ai mezzi e agli strumenti necessari per contrastare la criminalità - sono spesso insufficienti.

Non voglio entrare nel merito del dibattito sul reperimento e sulla quantità delle risorse da destinare alla sicurezza ma credo che in termini di ottimizzazione e razionalizzazione qualcosa possa essere fatto. E anche le nuove norme "antimafia" contenute nel decreto e nel disegno di legge "sicurezza", oltre a colpire direttamente il cuore delle organizzazioni criminali possono contribuire a riconvertire beni e patrimoni da destinare al ripristino di legalità e sicurezza proprio laddove queste sono maggiormente minacciate.

"Insomma - ha concluso Sangalli -credo che oggi ci siano le condizioni per restituire ai cittadini la fiducia di poter vivere - e lavorare -serenamente in un Paese in cui alla parole sicurezza e legalità non debba più essere associato il termine "emergenza". "Perché oggi le imprese - e i nostri imprenditori in particolare, che tutti i giorni alzano la saracinesca e lavorano sulla strada - non possono più continuare a stare in trincea".

Giustizia: madri detenute e bambini, mai più dietro le sbarre!

 

Dire, 23 luglio 2008

 

Riformare la normativa sulle madri detenute con bambini fino a 3 anni all’insegna del "superiore interesse del fanciullo". Lo chiedono le Associazioni in una proposta di legge presenta oggi a Roma.

Introdurre il "superiore interesse del fanciullo" come elemento di valutazione per nuove forme di detenzione per donne con bambini fino a tre anni, dando ai neonati la possibilità di crescere fuori dei penitenziari e alle madri straniere irregolari l’opportunità di rimanere in Italia anche dopo aver scontato la pena. È questa la richiesta contenuta nella proposta di legge presentata oggi a Roma, presso la Camera dei deputati, dall’associazione "A Roma, Insieme", dalla comunità di Sant’Egidio e dalla consulta Penitenziaria. La proposta di legge prevede inoltre la possibilità per le madri di poter passare il periodo di detenzione in casa propria, o qualora le condizioni non lo permettessero, di far crescere il proprio bambino in case famiglia protette.

In Italia, gli asili nido funzionanti negli istituti penitenziari sono 18, sparsi sul territorio. 68 le madri detenute con figli conviventi in istituto e 70 i bambini. Ma il numero dei piccoli detenuti potrebbe aumentare ancora. Le detenute in stato di gravidanza, secondo i dati di dicembre 2007, sarebbero, infatti, 23. Gli istituti maggiormente interessati sono quelli di Roma e Milano, portando rispettivamente le proprie regioni in cima alla classifica di un fenomeno che negli anni si è dimostrato più o meno costante, ma che ancora non trova una soluzione efficace.

Un segno d’interesse è arrivato nel 2001, quando con la legge Finocchiaro si è intervenuti a favore delle madri detenute italiane, ma oggi il problema riguarda sempre più donne straniere o Rom. "Sono numeri esigui che non fanno notizia - afferma Stefania Tallei, della comunità di Sant’Egidio -. Conoscendo il problema ci si accorge cosa vuol dire quando i bambini sono in carcere. I piccoli non hanno un rapporto normale con il mondo circostante, subiscono una pena come innocenti che è anche ipoteca sulla loro vita. Lo sviluppo psico-fisico è rallentato. Parlano tardi e poco rispetto agli altri coetanei. Piangono molto e sorridono poco. Sono sintomi di danni che appaiono poi nella vita. Di questo non si parla mai".

"Non c’è due senza tre - ha commentato Leda Colombini, presidente dell’Associazione "A Roma, Insieme" -, ma stavolta speriamo di farcela". Nonostante non si tratti di numeri a cui è complesso trovare soluzioni, l’iter di questa proposta non ha avuto vita facile. Nel 2005 le associazioni avevano consegnato circa 7 mila firme al presidente Casini per sensibilizzare il governo sul problema. In un secondo momento, grazie al gruppo La rosa nel pugno, avevano ripresentato la proposta, ma la caduta del governo ha mandato in fumo anche quest’altra occasione.

Oggi la proposta, affinata da tre anni di lavoro, focalizza l’attenzione su quattro punti principali: eliminare gli ostacoli che non permettono alle madri con bambini di scontare la pena al di fuori degli istituti penitenziari, consentire alle madri di seguire i propri bambini in ospedale e al pronto soccorso, preferire la detenzione domiciliare speciale in caso di reati non particolarmente gravi.

Per ultimo, una novità rispetto alle proposte precedenti, consentire alle madri straniere irregolari con bambini piccoli di poter ricevere un permesso di soggiorno speciale, contro l’espulsione automatica a fine pena. "Questa proposta di legge - spiega Stefania Boccale, Commissione peri opportunità Consulta Penitenziaria - si pone come nucleo centrale unico che il bambino esca dal carcere. Non si può pensare che un bambino debba vivere privato della libertà, se noi comprendiamo questo obiettivo finale arriveremo a capire qual è lo spirito della proposta e le finalità".

La proposta di legge nasce dalla lunga esperienza maturata da alcune associazioni che lavorano con le madri detenute che oggi denunciano una situazione intollerabile per le vere piccole vittime. "È il frutto di un’osservazione attenta fatta direttamente sul campo - spiega Leda Colombini -. Da 14 anni portiamo fuori ogni sabato i bambini che vivono a Rebibbia con le proprie madri. Abbiamo cominciato per ridurre i danni che la detenzione provoca ai bambini, ma anche per sensibilizzare il mondo politico". Risolvere il problema, continua Leda Colombini, "è un obiettivo che a parole è condiviso da tutti, ma allora perché i bambini sono ancora in carcere?"

Giustizia: madri detenute; i problemi sono sicurezza e risorse

 

Dire, 23 luglio 2008

 

Sicurezza e disponibilità di fondi: questi gli ostacoli che dovrà affrontare proposta di legge sui bambini in carcere secondo Luisa Capitanio Santolini, della Commissione per l’Infanzia e Cinzia Capano, della Commissione Giustizia.

L’obiettivo è auspicabile, ma la fattibilità bisognerà misurarla sui grandi temi dibattuti dal Parlamento in questi giorni e futuri: sicurezza e finanziaria. Pur riguardando un fenomeno dai numeri esigui - 70 bambini in tutti i penitenziari italiani e 68 madri detenute - la proposta di legge sulla possibilità di far crescere i bambini fuori dal carcere suscita i dubbi del mondo politico. Perplessità non trascurabili, ma, sicuramente risolvibili secondo quanto assicurano i deputati Luisa Capitanio Santolini, Udc, della Commissione per l’infanzia e Cinzia Capano, del Pd, per la Commissione giustizia. La proposta ha suscitato interesse e la promessa di lavorarci a settembre nelle proprie commissioni è stata lanciata con una novità rispetto ai tentativi passati: le commissioni potrebbero prevedere le audizioni delle associazioni e degli enti che hanno lavorato insieme alle madri detenute e con i bambini. Sull’obiettivo finale, tutti d’accordo: i bambini devono crescere lontani dal carcere.

Uno dei problemi affrontati dalla proposta di legge che ha creato maggiore scalpore è quello dell’impossibilità delle madri detenute di seguire i propri bambini in ospedale o in pronto soccorso. La proposta, infatti, prevede l’accompagnamento del bambino e la possibilità per la madre di stargli affianco durante tutta la permanenza in ospedale per ricovero. "Il problema del pronto soccorso è giusto e doveroso risolverlo - spiega Luisa Capitanio Santolini -. Questa questione va assolutamente affrontata di petto, perché un bambino già è in difficoltà se si trova in un luogo che non è gradevole per di più senza la mamma. Immagino se ciò accadesse ai nostri bambini, è una condizione assolutamente disumana e va risolta". Dubbi sono stati espressi in merito alla detenzione nel proprio domicilio. "C’è una forte presenza di donne straniere e soprattutto di rom - continua Capitanio Santolini -. Queste donne vivono in campi nomadi dove ci sono situazioni di povertà estrema. Credo che sia opportuno che queste persone vadano in case famiglia e non in un ambiente che non le aiuta ad uscire da una situazione di difficoltà". L’opzione della casa famiglia, secondo il deputato, è utile anche per ribadire il concetto di sanzione e certezza della pera. "Bisognerà anche lanciare il messaggio che esiste una forma di pena. Certo bisognerà aiutare il bambino, per questo credo che la soluzione di una casa famiglia sia una soluzione a misura d’uomo".

"L’interesse per questa proposta di legge è ovviamente del tutto condivisibile - afferma Cinzia Capano -. Io ritengo però che dobbiamo fare uno sforzo di approfondimento maggiore su alcune questioni". La possibilità di ‘evaderè dagli stretti controlli del carcere resta sempre un problema da affrontare. "Temo che quando interveniamo su questi temi - continua Cinzia Capano - abbiamo bisogno di tutelare il bambino ed evitare la permanenza in carcere, ma allo stesso tempo trovare il modo per non far diventare questa situazione un espediente gestito poi dai soggetti criminali. È giusto per un detenuto assistere il bimbo lungo un ricovero, quando si prevede però che la madre non ci sia, o perché deceduta o impossibilitata, ed estende questo beneficio al padre, questo potrebbe diventare un espediente". Altro spinoso problema quello dei fondi e della gestione delle case famiglia che riceveranno le detenute e i bambini. Secondo l’On. Capano non è da trascurare la questione delle spese. "Se noi vogliamo che queste case famiglia protette ci siano, dobbiamo sapere che gli enti locali sono in una condizione difficile dal punto di vista delle spese. Se noi miriamo ad un investimento degli enti locali molto probabilmente questi non avranno risorse. Questo perché non solo dal 2003 il problema del rispetto del patto di stabilità degli enti locali costringe ad una riduzione di spese, ma anche perché siamo alle porte di una nuova finanziaria che riduce ulteriormente questi ambiti. Se consideriamo questa tematica un diritto costituzionalmente garantito dei bambini, dovremmo chiedere una competenza esclusiva dello Stato, altrimenti potremmo avere una situazione a macchia di leopardo".

Per quel che riguarda la possibilità di estendere il diritto di permanenza in Italia per le detenute madri a fine pena, la proposta ha raccolto pareri positivi. "Eliminare l’espulsione automatica è condivisibile - spiega Luisa Capitanio Santolini -, il minore va sempre tutelato", ma in un periodo in cui il tema della sicurezza e dell’immigrazione irregolare ha percorso sensi unici dobbiamo attenderci, afferma Capano, un iter articolato.

Giustizia: Uil; le parole di Alfano sono buon viatico per la riforma

 

Il Velino, 23 luglio 2008

 

"Le parole pronunciate dal ministro Alfano, ieri a Palermo sulla Polizia Penitenziaria e oggi al Senato sulle carceri, sono un buon viatico affinché alla ripresa dei lavori si possa mettere mano ad una reale riorganizzazione del sistema penitenziario".

Lo dichiara il segretario generale della Uil Pa - Penitenziari, Eugenio Sarno, a margine di una riunione dell’ufficio di segreteria della Uil Penitenziari svoltasi oggi a Roma. "Se il ministro - continua Sarno - ha deciso di interrompere il suo silenzio sul fronte penitenziario evidentemente ha preso coscienza di un problema non più rinviabile. Ne prendiamo atto e attendiamo che concretizzi gli impegni assunti con le organizzazioni sindacali nell’incontro del 25 giugno scorso.

La Uil Pa - Penitenziari ha da tempo lanciato l’allarme sul crescente sovrappopolamento degli istituti e sui tanti problemi che affliggono il pianeta carcere. L’annunciata intenzione del ministro di chiedere convocazioni specifiche alle commissioni Giustizia di Camera e Senato era stata da noi salutata con estremo favore. Analogamente avevamo espresso giudizi più che positivi sulle posizioni assunte, mediaticamente, sul 41-bis.

Ora leggiamo di una vicinanza e di una attenzione al Corpo di Polizia penitenziaria e di una volontà di avviare una riforma del sistema penitenziario nell’ambito della più ampia riforma della giustizia". "Siamo, per ora - sottolinea Sarno -, ad una mera dichiarazione di intenti che, pur apprezzati , rimangono tali. La situazione delle carceri, invece, ha bisogno di interventi urgenti e fatti concreti, non di annunci ad effetto.

Al ministro Alfano chiediamo di rendere nota la circolare sul 41-bis, che nessuno pare aver ancora visto. Siamo oramai alle soglia dei 55mila detenuti per strutture che ne possono contenere al massimo 49mila. Condizioni di inciviltà e l’igiene a rischio sono fattori che alimentano le tensioni interne che rischiano di essere ingovernabili se non affrontate in tempo e con competenza". La massiccia presenza di detenuti stranieri, le deficienze organiche del personale, l’edilizia penitenziaria e la situazione logistica del Dap sono le questioni che la Uil Pa - Penitenziari chiede al ministro della Giustizia di calendarizzare.

"Il ricorso - spiega Sarno - a strumenti elettronici di controllo; l’affidamento alla polizia penitenziaria del controllo delle persone ammesse alle misure alternative; l’espulsione con restituzione dei detenuti stranieri ai loro paesi d’origine; la revisione degli organici della polizia penitenziaria e delle professionalità del comparto ministeri; l’effettiva perequazione dei funzionari del Corpo agli omologhi della Polizia di Stato; una riorganizzazione della Polizia penitenziaria con l’istituzione della Direzione Generale del Corpo; un monitoraggio sulle condizioni strutturali degli edifici e un nuovo piano di edilizia penitenziaria sono tra le questioni che noi riteniamo debbano essere affrontate nell’immediatezza".

"Il sistema - osserva Sarno - si avvia precipitosamente al collasso. Intervenire per prevenire, quindi, non è una opportunità ma un dovere. Noi abbiamo già preparato ed inviato alle varie competenze un pacchetto di proposte e modifiche legislative sulle quali attendiamo risposte e pareri per il necessario confronto di merito".

Riguardo l’avvicendamento da domani al Dap, dove Ettore Ferrara lascia il testimone a Franco Ionta, Sarno dichiara: "Continuo a pensare che, vista l’attuale situazione complessiva, l’avvicendamento del Capo del Dap sia stato un azzardo. Ciò, voglio chiarire, a prescindere dalle persone. Ho motivo di ritenere che Ionta non tarderà a mostrare la sue qualità umane e manageriali. Sono certo che è pienamente consapevole delle responsabilità e dell’impegno che lo attendono.

La Uil non mancherà, come sempre, di proporsi quale interlocutore serio ed affidabile. A Ferrara testimoniamo tutta la nostra gratitudine per lo straordinario impegno profuso, per la costante presenza e la disponibilità all’ascolto dimostrata. In momenti difficili e drammatici per il Corpo è stato un vero punto di riferimento. Esprimiamo vivo rammarico per il suo avvicendamento. Ancor più nell’apprendere che il ministro Brunetta intende fare della meritocrazia la stella polare per le nomine nella Pa. La mancata conferma di Ferrara - conclude Sarno - è stata, da questo punto di vista, un’occasione mancata".

Giustizia: Capece (Sappe) eletto presidente Consulta Sicurezza

 

Il Velino, 23 luglio 2008

 

"È Donato Capece il nuovo presidente della Consulta Sicurezza, la più grande organizzazione del comparto formata da Sappe (Sindacato autonomo Polizia penitenziaria), Sap (Sindacato autonomo di Polizia) e Sapaf (Sindacato autonomo Polizia ambientale forestale)". Lo rende noto un comunicato del Sappe. "Capece è stato nominato nei giorni scorsi a Roma dopo una riunione congiunta tra i direttivi delle tre organizzazioni sindacali autonome, finalizzata proprio ad individuare il nuovo presidente dell’organismo interforze che prevede l’alternanza annuale tra i sindacati aderenti.

Capece, che manterrà l’incarico di segretario generale del Sappe e che in questi giorni si trova in Sicilia per alcune programmate riunioni con il personale di Polizia penitenziaria e per visitare i posti di servizio dei poliziotti nelle carceri siciliane, ha confermato che, dopo la grande mobilitazione del 17 luglio scorso davanti alle prefetture del paese e, a Roma, a Palazzo Chigi ed alle sedi del Parlamento, di decine di migliaia di poliziotti, penitenziari, forestali e militari contro i tagli alla sicurezza, è confermato lo stato di agitazione dell’interi comparti Sicurezza e Difesa".

"Si tratta di una scelta obbligata - dichiara Capece - perché, nonostante le ripetute rassicurazioni di alcuni esponenti di governo, registriamo che il maxiemendamento governativo al decreto legge 112/2008 sulla manovra finanziaria, decreto ancora in discussione in Parlamento e che si appresta a essere convertito in Legge, conferma il volume dei tagli alla sicurezza ed alla difesa previsto dal testo originario.

Senza queste risorse, l’impegno e il sacrificio, spesso a costo della propria vita, delle donne e degli uomini delle Forze dell’ordine rischia di essere vanificato, anche perché la carenza di auto, mezzi e strutture adeguate è diventata ormai cronica. Questo decreto non prevede il sacrosanto diritto alla specificità del servizio di Polizia rispetto alle altre categorie del Pubblico impiego. Un diritto per il quale manifestammo in decine di migliaia contro il governo Prodi che lo ignorò, registrando allora la presenza tra le nostre file anche chi allora era all’opposizione parlamentare e oggi invece è al governo ma nonostante ciò non riconosce la specificità del comparto Sicurezza e Difesa. E ciò lo trovo semplicemente inaccettabile!".

Giustizia: caso Contrada; il PG è favorevole alla scarcerazione

 

La Repubblica, 23 luglio 2008

 

Il sostituto procuratore generale di Napoli Ugo Ricciardi ha espresso parere favorevole all’istanza di scarcerazione per l’ex funzionario del Sisde Bruno Contrada avanzata dalla difesa e in discussione davanti al tribunale di sorveglianza partenopeo. Lo ha comunicato il legale di Contrada, Giuseppe Lipera. I giudici sono in Camera di Consiglio per decidere. L’istanza di differimento pena - Contrada deve scontare 10 anni per concorso esterno ad associazione di stampo mafioso - è stata avanzata dopo l’acquisizione di nuove perizie mediche sullo stato di salute del detenuto 77enne.

Bologna: carcere Dozza nel degrado igienico e mancano fondi

 

Il Domani, 23 luglio 2008

 

La direzione del carcere di Bologna ha chiesto una proroga di un anno dell’ordinanza del sindaco Cofferati sulle condizioni igieniche insufficienti della Dozza emanata lo scorso 5 dicembre. La richiesta risale al 3 giugno e, in particolare, riguarda cinque punti dell’ordinanza che prevedeva la loro messa a norma entro 180 giorni.

All’appello, però, mancano dal ministero fondi per almeno 300.000 euro per portare a termine i lavori richiesti. Ne ha dato notizia durante una commissione consiliare in Comune la Garante per i diritti dei detenuti Desi Bruno.

Se ad oggi sono stati ultimati alcuni lavori come il ripristino della cucina e la ritinteggiatura di alcuni locali, "l’ordinanza resta inattuata nelle parti più significative", ha spiegato Bruno, auspicando "il ripristino delle condizioni di normalità per i detenuti". I punti inattuati sono il mancato adeguamento delle barriere architettoniche, l’acquisto di e-strattori elettrici d’aria e vapore a servizio dei vani doccia anti umidità, una spesa di 70.000 euro, il restauro dell’intonaco nelle dispense, 75.000 euro, e l’installazione delle reti metalliche alle finestre, circa 48.000 euro. Inoltre, ha aggiunto Bruno, i problemi riguardano anche altri punti dell’ordinanza per i quali non è stata richiesta una proroga, a-vendo una scadenza biennale.

 

La denuncia del Garante: ancora degrado in bagni e docce

 

Sono davvero disastrose le condizioni in cui versa il carcere cittadino della Dozza. Ieri la garante per i diritti delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, ha fatto il punto della situazione con i consiglieri comunali. Presente anche la vicesindaco Adriana Scaramuzzino. L’ordinanza emessa recentemente dal sindaco Sergio Cofferati, "per degrado igienico sanitario" presso la Dozza, è stata ottemperata solo in pochissimi punti. La scadenza dei 180 giorni, entro cui eseguire determinati lavori di manutenzione, non è stata rispettata e anzi, l’ex direttore Silvio Di Gregorio, che da una settimana ha passato le consegne a Roberto Festa, ha chiesto a giugno una proroga di un anno "per mancati fondi", come spiega Desi Bruno.

Mancherebbero, infatti, 300.000 euro per ottemperare ad alcuni punti dell’ordinanza. In particolare: il superamento delle barriere architettoniche, la sostituzione dei motori d’aspirazione nei bagni, la manutenzione dei locali docce e il ripristino di condizioni igieniche idonee nel deposito della cucina. Ora sta al sindaco decidere se concedere la proroga o rifiutarla. Essendo un provvedimento che riguarda l’igiene, Cofferati potrebbe anche respingere la richiesta e denunciare la direzione del carcere per inadempienza. "Finora -spiega Bruno - è stata solo un po’ sistemata la cucina ed è stato imbiancato.

L’ordinanza è rimasta disattesa nelle sue parti più significative. Non sono stati messi a posto, quasi per niente, i bagni, i locali delle docce e gli spazi per le ore d’aria, inoltre rimane la presenza enorme di rifiuti sotto le finestre delle celle". Tutto questo in condizioni di sovraffollamento del carcere bolognese tali da collocarlo al terzo posto in Italia per questa problematica, dopo Monza e Poggioreale.

Il numero dei detenuti, ormai, sta eguagliando quello delle presenze pre-indulto. Si arriva a punte di 1.100 persone, con una capienza della metà e un sotto organico del personale penitenziario "di 250 unità". Il 70% dei reclusi è di nazionalità straniera, la percentuale maggiore in Italia. E così i detenuti sono costretti a stare anche in 3 in celle di 10 metri quadrati: "una violazione dei diritti umani" commenta Desi Bruno nella sua relazione annuale sull’attività del garante, presentata ieri ai consiglieri. Come se non bastasse, in seguito al registrarsi di alcune infrazioni del regolamento disciplinare, il carcere ha deciso di operare una forte restrizione della poca vita sociale dei reclusi.

Così, ora, in quelle celle soffocanti, devono restare dalle 18 alle 9 del mattino dopo, rientrando 2 ore prima e rinunciando ad una serie di attività sociali organizzate dalle associazioni di volontariato che lamentano un quasi annullamento del rapporto con i detenuti. "Una situazione - ha commentato la Scaramuzzino - che speriamo torni alla normalità con la nuova dirigenza".

Gorgona: impianti fotovoltaici, l’isola-carcere investe nel sole

 

Galileo, 23 luglio 2008

 

Trecentoquattro moduli installati direttamente dai detenuti e connessi nella zona degli uffici della direzione forniranno almeno 65.000 kwh l’anno.

La combinazione energia solare ed istituti penitenziari in Italia aveva già dato notizia con il progetto di modernizzazione degli istituti di pena di numerose località italiane, dal punto di vista dell’autonomia energetica, nato dalla collaborazione tra i ministeri della Giustizia e dell’Ambiente. Ora il connubio si ripropone ma in veste diversa.

Se, infatti, in quel caso il programma riguardava la tecnologia del solare termico stavolta tocca al fotovoltaico. Mitsubishi Electric, nel suo impegno per la promozione di un uso intelligente delle risorse del nostro pianeta, ha fornito i propri moduli fotovoltaici al carcere situato sull’isola di Gorgona, la più piccola e la più settentrionale delle isole del Parco Nazionale dell’arcipelago toscano.

L’impianto, installato direttamente dai detenuti, è costituito da 304 moduli in silicio policristallino di Mitsubishi Electric, ognuno con una potenza nominale pari a 165Wp, per una totale di 50kW. L’energia prodotta dall’impianto è immessa nella rete elettrica dell’isola e usata in primis dalle utenze locali, mentre l’eccesso viene distribuito sul resto dell’isola dove ci sono molteplici attività ittiche, agricole e di allevamento. Gorgona, infatti, non è connessa alla rete elettrica nazionale e la produzione primaria è affidata a due gruppi elettrogeni da 300kW, collegati in parallelo e alimentati a gasolio.

La produzione stimata dell’impianto è di almeno 65.000 kwh/anno con una riduzione del fabbisogno elettrico del 10% e una riduzione di emissioni di CO2 di circa 63 tonnellate l’anno. "Il progetto, dichiara il Dott. Carlo Mazzerbo - direttore del carcere di Gorgona - si caratterizza per la sua valenza ambientale confermando il nostro impegno per lo sviluppo delle energie rinnovabili e sociale offrendo ai detenuti un patrimonio di competenze spendibili in termini di occupabilità". "La ragione della nostra collaborazione, sottolinea l’Ing. Gualtiero Seva - Division Manager di Mitsubishi Electric - può essere sintetizzata nella volontà di diffondere una maggiore conoscenza di queste tecnologie innovative e di una politica energetica con rilevanti aspetti etici".

Catanzaro: Progetto Cicas, detenuti dell'Ipm diventano pizzaioli

 

Asca, 23 luglio 2008

 

Organizzato dalla C.I.C.A.S. il corso di formazione professionale per i minorenni dell’Istituto Penale "Silvio Paternostro" di Catanzaro. Il corso, finanziato dalla Camera di Commercio di Catanzaro e giunto alla seconda edizione, ha permesso a cinque giovani detenuti di apprendere le tecniche del mestiere di pizzaiolo, da spendere al momento dell’agognata fuoriuscita.

Le attività sono state coordinate da Nicola Albano della C.I.C.A.S. e messe in opera dal maestro pizzaiolo Salvatore Megna. La seconda annualità ha viaggiato sul filone della continuità rispetto alla precedente, svolta sempre all’interno dell’Ipm. Il Presidente della Camera di Commercio, Paolo Abramo, e il Direttore dell’Istituto, Francesco Pellegrino, di concerto, hanno lavorato a questo progetto con la finalità di potenziare la qualificazione professionale dei giovani detenuti, propedeutica per il loro reinserimento socio-lavorativo. Il corso si è svolto nell’apposito laboratorio, inaugurato all’interno del "Paternostro" nel marzo 2007, e si è concluso con la consegna degli attestati ai ragazzi da parte del Presidente Abramo

Savona: il progetto "Detenuti al lavoro"… per il secondo anno

 

Savona News, 23 luglio 2008

 

Si realizza nuovamente, dopo la felice esperienza del 2006, il progetto "Detenuti al lavoro". L’iniziativa, che ha preso il via lo scorso 8 luglio e proseguirà fino al 13 settembre 2008, e mirata a favorire il percorso di rieducazione, integrazione e recupero dei soggetti in esecuzione di pena attraverso lo svolgimento di attività di pubblica utilità volte a fornire supporto nel processo di conservazione e valorizzazione del territorio.

È stato infatti redatto dall’Assessorato ai Quartieri del Comune di Savona e firmato dall’Assessorato stesso, dalla Direttrice della Casa Circondariale di Savona Maria Isabella De Gennaro, dal Presidente della Fondazione Carisa Luciano Pasquale e dal presidente di Ata Spa Giovanni Ferro il "Protocollo d’intesa per l’utilizzo in lavori di pubblica utilità di soggetti in esecuzione di pena", che definisce le modalità di svolgimento delle attività.

Anche quest’anno, come avvenuto nel 2006, i detenuti, nel numero di 2, raggiungono in totale autonomia i luoghi prescelti per svolgere, nelle ore mattutine, la pulizia delle spiagge cittadine. Nella loro attività, i detenuti sono seguiti dagli operatori di Ata, che mette loro a disposizione anche gli strumenti di lavoro e sotto la completa responsabilità dell’autorità carceraria. Il progetto è reso possibile grazie al contributo finanziario della Fondazione Carisa e dell’Assessorato comunale ai Quartieri, che forniscono ai detenuti una retribuzione e la necessaria copertura assicurativa.

"È la seconda volta - dichiara l’Assessore ai Quartieri Francesco Lirosi - che mi adopero per dare ai detenuti la possibilità di lavorare fuori dalla Casa Circondariale. La prima fu nella Primavera del 2006. L’iniziativa presenta molte ricadute positive: per l’Amministrazione Comunale, che si dimostra ancora una volta al servizio di tutti i cittadini, anche quelli più deboli; per l’Amministrazione Carceraria, che opererà con vero spirito di recupero dei detenuti; per la Fondazione Carisa, che utilizza i propri fondi per uno scopo così nobile; per la città di Savona, oggi volta al turismo, che ha così la possibilità di avvalersi di ulteriori operatori impiegati nella pulizia delle spiagge; infine, cosa di gran lunga più importante, per i detenuti, che godranno di un parziale reinserimento - retribuito e garantito da copertura assicurativa - nella società civile, a contatto con gli altri cittadini.

Dopo la prima esperienza - prosegue l’Assessore Lirosi - avevo incontrato in carcere gli operatori interessati, raccomandando ogni possibile correttezza nel loro comportamento, al fine di poter dare seguito all’iniziativa; la risposta è stata del tutto positiva e mi ha dato la consapevolezza di quanto gradita e importante fosse per loro questa esperienza. Credo sia stato, sino ad oggi, il momento più intenso della mia esperienza di pubblico amministratore. Ho così provveduto ad integrare il contributo della Fondazione con una somma dei capitoli dell’Assessorato ai Quartieri".

Viterbo: dal Garante dei detenuti 4 protesi dentarie gratuite

 

Asca, 23 luglio 2008

 

Nei giorni scorsi quattro reclusi del carcere Mammagialla di Viterbo, hanno ricevuto gratuitamente nuove protesi dentarie nel corso di una cerimonia cui hanno partecipato, fra gli altri, il direttore della struttura e il Garante Regionale del Lazio dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni.

La consegna delle protesi è il culmine di un progetto unico del suo genere in Italia denominato "Ridare il Sorriso", attivo in tutte le carceri della regione Lazio, frutto di un Protocollo d’Intesa firmato nel 2006 dal Garante dei Detenuti, dal Dipartimento Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria ed all’Asp. "Ridare il Sorriso" prevede la fornitura gratuita di oltre 200 protesi dentarie ai detenuti.

"La consegna delle protesi - ha detto il Garante regionale dei detenuti Angiolo Marroni - è il punto di arrivo di un progetto che ha visto in prima linea il mio ufficio. Le malattie del cavo orale, spesso associate alla scarsa igiene e ad una alimentazione non corretta, sono al terzo posto fra le più diffuse tra i detenuti, al punto da influenzare pesantemente la qualità della loro vita".

Droghe: rave party, tra proibizionismo e riduzione del danno

 

Notiziario Aduc, 23 luglio 2008

 

"Controlli specifici sui rave party considerando che sono molto difficili da prevenire perché organizzati attraverso siti Internet clandestini e con il sistema del passaparola. Istituire quindi una unità investigativa specializzata per porre fine a rave party non autorizzati".

È la richiesta del parlamentare del Pdl Giampiero Catone, in relazione alla morte di Nicole Passetti, uccisa dall’ecstasy durante un rave party a Lido di Venezia. "Più vigilanza quindi - ha continua Catone - per evitare che adunanze di centinaia di ragazzi immersi tra i fumi dell’alcol e mix di droghe portino a conseguenze tragiche che troppo spesso si verificano con queste manifestazioni illegali come avvenuto lo scorso giorno a Venezia con la morte di una minorenne".

"Per numero, diffusione e morti ormai i rave party sono un pericolo grave per i giovani italiani. È assurdo che nei meandri dei tanti decreti non si sia trovato il modo di vietarli, come accade in molti Paesi europei". Lo ha dichiarato, in una nota, Luca Volonté dell’Unione di Centro. "Il Governo emani un decreto - ha continuato Volonté - in questo caso giustificatissimo e urgentissimo, per evitare lo spaccio incontrollato di mix di droghe e la somministrazione senza ritegno di alcool durante le feste macabre estive. Una norma semplice e chiara: sul territorio italiano sono vietati cosiddetti rave party. Le pene siano esemplari. Basta giocare con le parole o inviare mazzi di fiori, bisogna agire".

"Inutile stracciarsi le vesti e piangere sul latte versato", ha invece dichiarato la senatrice Donatella Poretti (Pd). "Per evitare i morti l’unica strada è la prevenzione e la riduzione del danno. Accanto all’informazione sull’uso e l’abuso di alcol e di sostanze psicotrope, sarebbe bene che le amministrazioni locali e in particolare le Asl, ogni qualvolta sanno di eventi del genere predispongano le unità di strada per analizzare le sostanze in circolazione, prima della loro assunzione. Il pill test infatti, praticato da decenni in Olanda, è un’analisi chimica delle pasticche per permettere ai consumatori di sapere cosa stanno assumendo. Consiste in una postazione fissa di medici all’ingresso dei rave che analizzano su richiesta le pasticche e intervengono in caso di emergenze. Così si salvano le vite e non si piangono le lacrime di coccodrillo".

Droghe: vietare i "rave" alimenta consumo pericoloso droghe

di Vincenzo Donvito (Presidente Associazione Diritti Utenti e Consumatori)

 

Notiziario Aduc, 23 luglio 2008

 

Dopo la morte di una giovane ragazza per l’abuso di ecstasy e alcool durante un rave party a Venezia, sono diverse le voci che si sono sollevate chiedendo che questo tipo di raduni musicali siano vietati.

Per eccellenza, si distinguono quegli onorevoli che non sono mai stati giovani e, deputati fin dalla nascita con la casacca di chi sa il fatto proprio e quello di tutti gli altri, fanno di tutto per cercare di affermare i loro principi di morale, eticità, ubbidienza, sottomissione che -a loro avviso- forgerebbero la gioventù in tempra, spirito, cultura e dovere. Oltre al sottosegretario Carlo Giovanardi, si distingue l’on. Luca Volonté: "Il Governo emani un decreto ...per evitare lo spaccio incontrollato di mix di droghe e la somministrazione senza ritegno di alcool durante le feste macabre estive...".

Feste macabre? La libertà di linguaggio è fondamentale, soprattutto per coloro che non conoscono il significato delle parole: sembra quasi che il nostro onorevole non sia mai stato agli abituali riti che le diverse varianti del cattolicesimo celebrano in occasione della dipartita di un loro congiunto. Con un minimo di elasticità cerebrale, valorizzerebbe "come da vocabolario della lingua italiana" il concetto e la pratica di macabro, scoprendo che ai rave party accade proprio il contrario... ma forse per comprenderlo bisognerebbe, per l’appunto, essere stati giovani e - magari - concepire lo sballo non necessariamente come qualcosa che ti ammazza, ma per divertirti.

Anche noi siamo preoccupati per la morte della ragazza a Venezia, così siamo preoccupati per tutti coloro che muoiono durante la transumanza automobilistica estiva dalle città alle vacanze. Non ci viene però per niente l’idea di vietare quest’ultima, ma solo di cercare di regolamentarla con consigli, norme e maggiore vigilanza da parte delle autorità.

Nel caso delle droghe, invece, il consiglio, da parte delle autorità, è sempre e solo uno: non consumatela e se lo fate, se "ti cucco" (o meglio "se voglio cuccarti") più o meno ti rovino la vita... dipende solo se in quel momento il Giovanardi o il Volonté di turno ha bisogno di stimolare il consenso di pancia di chi l’ascolta distrattamente.

È evidente che se sulle droghe ci fosse quell’informazione che serenamente potrebbe essere data quando si ha a che fare con sostanze legali, il fenomeno abuso sarebbe più controllato e meno dannoso. Ma questa è un’evidenza che per essere compresa abbisogna di serenità, razionalità, buon senso, cioè tutto ciò che sembra assente in chi non è mai stato giovane.

Gran Bretagna: carceri affollate, i detenuti dormono nei bagni

 

Adnkronos, 23 luglio 2008

 

Per il sovraffollamento delle carceri nel Regno Unito molti detenuti dormono nei bagni. È quanto emerge dal rapporto stilato da Anne Owers, direttrice dell’Ispettorato penitenziario, che definisce "inaccettabile" la situazione, chiedendo provvedimenti immediati. La Owers prende ad esempio l’istituto penitenziario di Doncaster, con mille detenuti, ovvero circa 200 persone più della capienza.

Nel carcere amministrato da una società privata, la Serco, ci sono celle a due posti; per far spazio a un terzo detenuto, la sua branda è stata messa in bagno. L’anno scorso il ministro britannico della Giustizia, Jack Straw, aveva annunciato la costruzione di nuove carceri per un totale di altri 10.500 detenuti, visto che la capacità di 82mila persone è stata superata da tempo. Straw era stato anche criticato da polizia, inquirenti e giudici per aver suggerito l’ipotesi di pene meno severe e di scarcerazioni prima della scadenza dei termini per ovviare all’emergenza.

Congo: Onu; 26 i detenuti morti di fame in una sola prigione

 

Ansa, 23 luglio 2008

 

Almeno 26 detenuti sono morti di fame da febbraio - quattro nell’ultima settimana - in una sola prigione della Repubblica Democratica del Congo. Lo denuncia la Monuc, la missione militare dell’Onu in Congo, e ne riferisce oggi la Bbc. La tragedia si è consumata nel carcere di Mbuji Nayi, nella provincia del Kasai dell’Est. Una prigione - sempre stando alla Monuc - destinata a contenere non più di 200 persone e che ne contiene invece oltre 450. La maggioranza dei prigionieri morti per malnutrizione non era stata ancora formalmente incriminata per alcun reato. L’organizzazione Onu ha proposto di istituire al più presto un fondo specifico per aiutare dal punto di vista sanitario e alimentare le persone imprigionate in Congo.

Siria: richiesta di indagine sulla rivolta e sui morti nel carcere

 

Ansa, 23 luglio 2008

 

Il governo siriano deve avviare un’inchiesta indipendente sulle violenze avvenute all’inizio di luglio nella prigione di Saydnaya nelle quali almeno una decina di detenuti sarebbero rimasti uccisi. È quanto chiede oggi Human Rights Watch (Hrw), un’organizzazione internazionale per i diritti umani.

In un comunicato diffuso oggi, la responsabile per il Medio Oriente di Hrw, Sarah Leah Wilson, ha anche chiesto alle autorità siriane di divulgare le generalità delle vittime dei disordini, scoppiati lo scorso 5 luglio all’interno del carcere di Saydnaya, 30 km a nord di Damasco, tra agenti della polizia militare e detenuti.

Alcuni di questi - secondo le ricostruzioni fornite da organizzazioni umanitarie siriane - erano riusciti a prendere in ostaggio alcune guardie carcerarie e il direttore del penitenziario, confiscando loro i telefoni cellulari, poi utilizzati dagli stessi detenuti per denunciare gli abusi subiti dagli agenti della polizia militare.

Le violenze, secondo Hrw, erano proseguite per quattro giorni fino all’intervento massiccio delle forze di sicurezza di Damasco. Secondo l’organizzazione per i diritti umani in Siria (Ondus) almeno 25 detenuti erano rimasti uccisi.

La prigione di Saydnaya, una delle più grandi della Siria, è stata costruita nel 1987 per accogliere 5.000 detenuti. La stragrande maggioranza di essi sono presunti fondamentalisti islamici.

Guyana: italiana scarcerata grazie all'intervento diplomatico

di Ricky Filosa

 

www.italiachiamaitalia.net, 23 luglio 2008

 

Il Console Pontesilli, da Caracas: "Stiamo seguendo da tempo, e con la massima cura, il caso di Elena, sia io che l’Ambasciatore". In questo momento Elena è in libertà e in attesa di giudizio, con obbligo di dimora nel Paese.

Proprio per capirne di più, e avere notizie da fonte certa, abbiamo deciso di contattare il Console italiano a Caracas, il dott. Stefano Pontesilli, che - come in altre occasioni - fin da subito si è dimostrato molto disponibile a fornirci chiarimenti e ulteriori notizie, e noi lo ringraziamo per la sua preziosa collaborazione.

"Stiamo seguendo da tempo, e con la massima cura, il caso di Elena, sia io che l’Ambasciatore", dichiara Pontesilli a Italia chiama Italia. "L’Ambasciatore è intervenuto formalmente presso il Permanent Secretary del Ministero degli Esteri per segnalare il caso e sensibilizzare formalmente le locali autorità - spiega il console - raccomandando altresì la concessione di un visto di soggiorno, nelle more della conclusione del processo. Io ho fatto la stessa cosa con il Permanent Secretary del Ministero degli Interni. Il risultato di tali azioni, come lei correttamente riporta, è stata la liberazione di Elena, la quale attualmente attende in libertà il processo".

Il console italiano a Caracas ci spiega che segue personalmente il caso della nostra giovane connazionale, e anzi è in diretto contatto con lei, attraverso soprattutto la posta elettronica, e anche molto attento alle sue condizioni di vita e i suoi bisogni. "Dal Consolato - ci racconta - le abbiamo già erogato direttamente il massimo del contributo finanziario annuale previsto dalla Legge. Grazie alla cortese autorizzazione ricevuta dalla DGIT del Ministero degli Affari Esteri, che segue da vicino il caso, le abbiamo altresì inviato anche i fondi necessari per pagare la parcella del suo (nuovo) Avvocato". Bene. Le nostre istituzioni ci pare si siano date da fare. E anche la notizia che Elena abbia finalmente un nuovo avvocato, ci rincuora non poco.

"Abbiamo fatto e continueremo a fare tutto il possibile per Elena in Guyana - aggiunge ancora Pontesilli - così come ci occupiamo costantemente e con cura delle decine di detenuti italiani in Venezuela".

In questo momento, quindi, grazie all’intervento di Ambasciata e Consolato, Elena è in libertà e in attesa di giudizio, con obbligo di dimora nel Paese. Avendo dato al giudice l’indirizzo dell’hotel dove risiede quella è la sua dimora. Il console ci conferma che la giovane è "libera di entrare e uscire", e che in questi giorni ha manifestato "il desiderio di iniziare presto a lavorare per guadagnare qualcosa in attesa del giudizio". "L’unico obbligo che ha è quello di presentarsi all’udienza del 15 settembre, nella quale dovrebbe ricevere il verdetto (la Giudice del suo caso rientrerà dal congedo per maternità già in agosto)", conclude Stefano Pontesilli, console italiano a Caracas.

Siamo contenti che Elena abbia recuperato la sua libertà. A questo punto l’appuntamento è a settembre, quando ci sarà l’udienza in tribunale. Se nel frattempo ci saranno ulteriori sviluppi, ve lo faremo sapere.

Francia: Ministro Giustizia; la Petrella non è in pericolo di vita

 

Ansa, 23 luglio 2008

 

"Marina Petrella sta male ma non é in pericolo di vita": è quanto ha affermato stamattina, rispondendo ad alcune domande dell’emittente francese France Info, il ministro della Giustizia francese, Rachida Dati. "Ricordo che un paese sovrano come l’Italia, che ha un sistema giudiziario simile al nostro - ha sottolineato la Dati - ha condannato Marina Petrella all’ergastolo per reati gravi come il tentato omicidio".

La guardasigilli non ha dato l’impressione che ci siano novità imminenti sulla sorte dell’ex brigatista italiana, che a detta di numerosi testimoni è attualmente colpita da un grave stato di depressione ed è arrivata a pesare 40 chili: "secondo le perizie non è in pericolo di vita", ha ribattuto la Dati, sottolineando che tutte le procedure e i diritti della detenuta verranno rispettati.

 

 

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