Rassegna stampa 21 luglio

 

Giustizia: isolamento totale, giro di vite sui detenuti in 41-bis

di Paolo Persichetti

 

Liberazione, 21 luglio 2008

 

Ogni annuncio ha il suo pubblico. In un sistema politico ridotto ormai a teatrino, il ministro della Giustizia Alfano ha scelto la città di Palermo, profittando della platea che gli veniva offerta dall’anniversario dell’attentato mortale contro il giudice Borsellino e la sua scorta, per rendere noto il contenuto di una circolare diramata dai suoi uffici "molto restrittiva sul 41 bis. Una stretta che impedirà qualsiasi comunicazione fra i boss arrestati".

Nel provvedimento si chiede ai direttori degli istituti di pena di disporre lo spostamento dei reclusi sottoposti al regime del carcere duro in celle distanti tra loro per impedire qualsiasi scambio verbale. Una decisione che creerà non pochi problemi al Dap, visto l’attuale sovraffollamento delle sezioni di massima sicurezza. Sanzioni disciplinari sono poi state previste per i detenuti sorpresi a comunicare tra loro.

Il guardasigilli si è voluto probabilmente ispirare alla nota osservanza del silenzio che regolava la vita monacale dei frati cistercensi. A ben vedere, il regime detentivo previsto per il 41 bis ricorda molto da vicino "l’osservanza integrale della Santa Regola, soprattutto dell’astinenza perpetua dalla carne, la fedeltà nelle leggi costituite a proposito del digiuno e del silenzio". Disposizioni più selettive sono state introdotte anche per regolare i "gruppi di socialità", ovvero il numero e i criteri di composizione dei detenuti che possono accedere nei piccoli cubicoli di cemento che fungono da passeggi per le ore d’aria. Unico spazio d’incontro concesso nell’arco di una giornata altrimenti marcata dalla monotonia dell’isolamento più assoluto.

L’annuncio del ministro ha lasciato però insoddisfatto il capo della Procura della Repubblica di Palermo, Francesco Messineo, a cui l’inasprimento del regime detentivo non basta poiché - ha sottolineato - il "problema è il mantenimento del carcere duro rispetto a certi soggetti. Serve un impegno diretto e di modifica della norma e una sua più puntuale interpretazione". Il giro di vite interviene dopo le polemiche suscitate dalle revoche decise da più tribunali di sorveglianza, in favore di 37 detenuti condannati per reati di mafia. Il solito coro trasversale dei professionisti dell’antimafia si era subito levato per denunciare le "interpretazioni eccessivamente garantiste" fornite dai magistrati.

Esempio tra i più clamorosi della giustizia d’eccezione, il 41 bis rielabora il vecchio articolo 90, ovvero la norma che sospendeva l’applicazione della riforma carceraria utilizzata nelle carceri speciali durante gli anni della detenzione politica di massa. Introdotto per la prima volta nel 1992, con il decreto Scotti-Martelli, il regime speciale di massima sicurezza è stato sistematicamente rinnovato fino ad essere stabilizzato nel 2002, quando l’eccezione si è tramutata in regola. Una lunga serie di sentenze della Cassazione e della Corte costituzionale hanno fatto sì che l’assegnazione al regime di carcere duro venisse sottoposta a verifica giurisdizionale, consentendo ai detenuti di presentare ricorso alla magistratura.

Oggi il 41 bis è vittima del suo successo. Infatti la revoca può avvenire soltanto una volta verificata l’assenza di legami con la criminalità mafiosa e l’attenuarsi della pericolosità sociale. Molte delle declassificazioni concesse sono intervenute dopo oltre un decennio di isolamento nelle sezioni di massima sicurezza. Segno che la clausura ha spezzato i legami più intensi con i contesti criminali. Chi contesta queste declassificazioni sostiene il contrario entrando così in una insanabile contraddizione: se decenni di un isolamento che s’apparenta alla tortura non servono a rompere i legami criminali, allora il 41 bis a cosa serve?

Già negli anni del governo Prodi si era registrata una crescita delle revoche che aveva spinto il Dap a incrementare la creazione di nuove sezioni a "elevato indice di vigilanza". Una nuova classificazione che sfugge a qualsiasi controllo giurisdizionale, essendo il mero risultato di due circolari interne dell’amministrazione penitenziaria.

Caratterizzate da un regime restrittivo molto vicino a quello del 41 bis, le nuove sezioni Eiv - che accolgono anche quei detenuti che per legge non possono essere sottoposti a 41 bis, tra cui i detenuti politici degli anni 70-80 - di fatto rappresentano un regime di massima sicurezza camuffato che non può nemmeno avvalersi delle prerogative riconosciute per il 41 bis ufficiale.

Il presidente della prima Commissione Affari Costituzionali del Senato, l’ex Psdi Carlo Vizzini, oggi nel Pdl, ha presentato un ddl che aumenta di un anno la durata de 41 bis, capovolge incostituzionalmente l’onere della prova dell’assenza dei legami con la criminalità, oggi a carico delle procure antimafia e sposta la competenza al solo tribunale di sorveglianza di Roma per tutti i ricorsi contro l’assegnazione al 41 bis.

Giustizia: i detenuti in regime di "41-bis" sono 570, 7 le donne

 

Ansa, 21 luglio 2008

 

I detenuti sottoposti al 41 bis, cioè al regime di carcere duro previsto dall’ordinamento penitenziario per i reati di criminalità organizzata e terrorismo, sono 570. Una cifra pressoché costante, con qualche oscillazione, almeno negli ultimi anni. Tra questi reclusi, la stragrande maggioranza (563) è rappresenta da uomini. Le donne, infatti, sono appena 7 e una sola di loro è in carcere per fatti di terrorismo: Nadia Lioce, condannata all’ergastolo per gli omicidi D’Antona e Biagi. Le altre appartengono invece a organizzazioni camorristiche o della ‘ndrangheta.

La maggior parte dei detenuti a cui viene applicato il 41 bis è legata alla mafia. Nel 2007, su un totale di 529 detenuti in regime di 41 bis, 180 erano gli appartenenti a Cosa Nostra, 163 i camorristi , 83 gli esponenti della ‘ndrangheta, 48 quelli della Sacra Corona Unita, e solo 5 i terroristi. Degli attuali 570, 22 sono solo da qualche mese sottoposti a questo regime restrittivo: tanti sono infatti i nuovi provvedimenti firmati dal Ministro della Giustizia Alfano, dal momento del suo insediamento ad oggi, a fronte di 51 conferme.

Sono 10 invece gli istituti penitenziari che ospitano i detenuti sottoposti al 41 bis, in sezioni "dedicate". Sono tutti carceri localizzati al Nord o al Centro: Cuneo, Novara, Milano Opera, Tolmezzo, Parma, L’Aquila, Ascoli Piceno, Rebibbia, Terni e Spoleto.

Giustizia: i processi per furti e truffe destinati a finire in coda

di Andrea Maria Candidi

 

Il Sole 24 Ore, 21 luglio 2008

 

Lesioni personali, falsi e minacce. Ma non solo: anche furti, truffe e contraffazioni. Sono questi alcuni dei reati che rientrano nelle maglie del "blocca processi", la norma inserita nel decreto sicurezza approvato la scorsa settimana alla Camera, che ha l’obiettivo di convogliare l’attività giudiziaria verso una serie di priorità. Perché, giovandosi dello sgravio di lavoro, gli uffici giudiziari potranno smaltire più velocemente i processi per crimini gravi.

Di sicuro è una svolta perché per la prima volta una legge, e dunque il Parlamento, fissa l’agenda dei tribunali. Una disposizione sulla quale i giudici hanno palesato più di una perplessità per la presunta violazione al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Perplessità peraltro ora mitigate dalla previsione che la sospensione dei giudizi è affidata comunque alla discrezionalità dell’autorità giudiziaria.

L’Associazione nazionale magistrati, inoltre - di fronte alla prima versione della norma - aveva stimato in 100mila i fascicoli a rischio di finire in soffitta. Oggi è presumibile che il testo definitivo abbia un impatto maggiore. Soprattutto perché ha spostato dal 30 giugno 2002 al 2 maggio 2006 il termine entro il quale la sospensione, di 18 mesi al massimo, può essere applicata. In altre parole, l’universo dei processi che potenzialmente ricadono nel blocco si arricchisce di quelli relativi ai reati commessi in ulteriori quattro anni. Per avere un’idea, il numero di illeciti denunciati ogni 12 mesi in Italia oscilla intorno ai tre milioni. Se poi aggiungiamo la velocità di smaltimento della macchina giudiziaria è facile immaginare che non si tratti di cifre irrisorie.

E se è impossibile stimare il numero dei processi che saranno sospesi, anche perché le statistiche disponibili non consentono di quantificare l’effetto di tutte le variabili indicate nella norma (priorità ai processi per reati con pena superiore a quattro anni, a carico di imputati detenuti o recidivi, da celebrare con giudizio direttissimo o immediato ecc.), i dati relativi ai reati denunciati nel corso del 2005, interamente ricadenti nelle maglie del "blocca processi", qualche appiglio lo offrono.

Grazie all’Istat siamo in grado di distinguere - tra i delitti denunciati per i quali l’autorità giudiziaria ha iniziato l’azione penale - quelli che non rientrano nell’elenco delle priorità e che dunque, potenzialmente, cadono nelle maglie della sospensione.

Su poco più di 2.750.000 crimini di vario tipo e gravità denunciati nel 2005, oltre due milioni sono quelli che possiedono, in astratto, i requisiti per rientrare nella sospensione. La maggior parte di queste denunce, però, sono contro ignoti, destinate perlopiù all’ingloriosa fine dell’archiviazione. Ne rimangono 250mila (che è la somma delle cifre evidenziate nella grafica a lato) contro persone note, per le quali l’azione penale ha invece qualche chance di approdare a una sentenza. Ed è singolare notare come tale cifra sia molto simile a quella delle condanne inflitte nel corso del 2005 per reati - ovviamente commessi in precedenza - puniti con una pena inferiore ai tre anni: 212mila su un totale di 221mila (96 su 100).

I 250mila processi avviati nel 2005, parte dei quali dovrebbe essere arrivata a conclusione, costituiscono solo un parametro di riferimento, peraltro relativo a un anno. Non va dimenticato che la velocità media di smaltimento di un processo di primo grado è di 4-5 anni. E quindi, a tutt’oggi, gli uffici hanno portato a conclusione, con buona approssimazione, le azioni penali iniziate nel 2003-2004. Mentre il "blocca processi" opera per reati commessi fino al 2 maggio 2006. Parte dei fascicoli aperti nel frattempo sembra dunque destinata allo stop.

Giustizia: con nuove norme corsia preferenziale troppo ampia

di Giuseppe Frigo

 

Il Sole 24 Ore, 21 luglio 2008

 

Con l’imminente voto da parte del Senato andrà a regime la nuova disciplina delle priorità nella trattazione dei processi penali, approvata dalla Camera per chiudere con una soluzione compromissoria il contenzioso politico sorto con la proposta di introdurre una norma - subito denominata "blocca-processi" - diretta a disporre per legge la sospensione di un anno per tutti i processi in fase di udienza preliminare o di giudizio di primo grado, relativi a fatti anteriori a 30 giugno 1992, costituenti reati di ritenuta minore gravità rispetto a quelli per i quali doveva, invece, essere comunque assicurata una corsia preferenziale.

Per contro, il primo connotato della nuova disciplina è che viene esclusa qualsiasi sospensione di processi per legge. Il Parlamento, in altre parole, ritiene di rinunciare a stabilire, in via generale e con carattere di certezza, di accantonare alcune categorie di processi, ancorché in funzione acceleratoria di alcune altre ritenute strategiche per promuovere la sicurezza con gli strumenti della giustizia (obbiettivo, per vero, condivisibile nel fine e discutibile nei mezzi). "Colpito" dalle censure secondo cui una tale specie di intervento avrebbe leso nientemeno che taluni principi costituzionali e "naturalmente" l’autonomia della magistratura, si limita, invece, da un lato e, per così dire, in positivo, a dettare un elenco di processi cui "nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione" deve essere assicurata "dai dirigenti degli uffici giudiziari" la priorità assoluta e, dall’altro, per favorire questo perentorio precetto e non farlo risultare velleitario, detta una serie di disposizioni transitorie volte a "liberare" spazi e tempi mediante rinvii "per non più di diciotto mesi" di processi per reati cui sia applicabile una pena suscettibile di estinzione con l’indulto.

Il rinvio può essere disposto caso per caso, secondo criteri e modalità che "possono" venire individuati sempre "dai dirigenti degli uffici", tenendo "conto della gravità e della concreta offensività del reato, del pregiudizio (...) per la formazione della prova e l’accertamento dei fatti, nonché dell’interesse della persona offesa".

Dunque, alla certezza e generalità della sospensione per legge (profilata in un primo tempo) viene ora sostituita una discrezionalità giudiziale, che (non ci facciamo impressionare dalla evocazione di quei parametri astratti e generici) è amplissima (sia sul "se" che sulla "misura" del rinvio), sicché, dietro la pretesa di una individualizzazione delle situazioni, nasconde a mala pena il rischio di discriminazioni e disuguaglianze sotto traccia, aggravate dalla sostanziale mancanza, in capo alle parti, di un diritto al controllo.

La previsione del comma 4 - secondo cui "i provvedimenti" (da intendere, secondo noi, ma non è ben chiaro, tanto quelli che dettano i criteri dei singoli uffici, quanto quelli che dispongono caso per caso i rinvii) sono comunicati al Csm e al ministro, che ne valutano gli effetti anche ai fini della relazione annuale al parlamento - delinea un pallido controllo politico-amministrativo, che non reca alcuna concreta tutela ai diritti delle parti.

Quanto, invece, al protocollo dei processi ai quali dovrebbe essere assicurata la priorità assoluta, è fuor di dubbio che da esso traspare l’intento di dare concretezza - sul piano di un rapido accertamento processuale - alle scelte, compiute dal decreto sul piano del diritto sostanziale, per una più rigorosa tutela penale di quei beni che concorrono alla "sicurezza" anche nella nozione propria del comune sentire. Ma, come spesso accade quando si formano elenchi, anche qui non mancano incongruenze. A esempio, sfugge, a nostro avviso, l’esigenza di una corsia preferenziale per i processi in cui l’imputato sia stato sottoposto ad arresto o fermo o a qualunque misura cautelare personale (persino all’obbligo di firma!), benché revocata o la cui efficacia sia cessata ovvero che sia detenuto per altra causa (visto che tante parole si sono spese in questi giorni per denunciare pretese irrazionalità di disciplina, ci domandiamo dove sia qui la razionalità).

Molti dubbi, sullo stesso piano, suscita la previsione di priorità assoluta per i processi relativi a reati puniti nel massimo con la reclusione di quattro anni o superiore. Questo "tetto" è tanto basso da fare credere che nessuno sia andato a controllare le statistiche. Ci si potrebbe rendere conto che si è ampliato numericamente a tale punto il novero dei processi per i quali è prevista la corsia preferenziale da rendere questa tanto frequentata quanto un’autostrada alla vigilia di ferragosto. Con l’ovvio pericolo di una norma capace di innescare essa stessa ingorghi che la potrebbero di fatto rendere inapplicabile.

Giustizia: impronte digitali saranno prese a tutti? no, grazie!

di Giovanna D’Arbitrio

 

www.napoli.com, 21 luglio 2008

 

Nessun uomo è un’isola, completa in sé. La morte di ogni uomo mi sminuisce, poiché io sono parte del genere umano.

Questi bei versi, scritti dal poeta inglese J. Donne, descrivono l’umanità come un "insieme", in cui non c’è separazione, ma interazione e coinvolgimento in tutto ciò che accade sulla Terra. Siamo ormai nel 2008 eppure questa poesia ci affascina ancora, ci sembra più degna di essere ricordata proprio quando notiamo l’attuale divisione degli esseri umani in categorie: ricchi e poveri, giovani e vecchi, malati e sani, prigionieri e uomini liberi, gente del nord e del sud, popoli dell’est e dell’ovest e così via.

Si parla molto di solidarietà, di diritti umani e civili, rispetto verso se stessi e gli altri, tutela della privacy e della dignità umana. Perché ne parliamo continuamente? Sentiamo forse che tutto ciò è in pericolo? Certamente quello che talvolta sentiamo ed osserviamo intorno a noi non ci rassicura: bambini africani di 4 mesi morti e buttati in mare, donne trattate peggio delle bestie, vecchi e malati parcheggiati in ospizi ed ospedali, detenuti per anni in attesa di giudizio, tanta gente che giorno per giorno perde un brandello della propria dignità, finché non rimane più niente di umano.

Il bel film del regista Frank Darabont, "Le ali della libertà", mostra come in un cupo ed infernale carcere, Andy,uomo intelligente e coraggioso , direttore di banca condannato ingiustamente per omicidio, riesce a portare luce e dignità con la magia della cultura, della musica, dell’arte, con la lettura di bei libri, l’interesse per un lavoro impegnativo, con l’aiuto reciproco, l’amicizia e la solidarietà. Le coscienze così s’innalzano ad una dimensione più elevata, si allontanano dall’odio, dalla violenza e dall’abbrutimento.

Come dimenticare le note immortali delle "Nozze di Figaro" di Mozart che volano verso il cielo e si diffondono in tutta la prigione, quando Andy con un colpo di mano riesce ad utilizzare i microfoni del direttore. Quante giovani vite potrebbero essere recuperate ed allontanate dal crimine mediante la bellezza dell’arte, della cultura o, almeno, con la possibilità di un lavoro onesto!

Così, tornando alla nostra realtà italiana, mentre tante persone aspettano un po’ di pietà e umana giustizia, in Tv e sui giornali infuriano polemiche e dibattiti su magistrati e politici!

Noi, cittadini civili della moderna Europa, noi, che abbiamo lottato attraverso i secoli per conquistare democrazia, giustizia e soprattutto libertà, non siamo disposti a tornare indietro perché una parte dell’Italia è ora imbarbarita e corrotta.

Soprattutto chi ha sempre lavorato, guadagnandosi il pane col sudore della fronte, si sente deluso e oltraggiato solo pensando che un giorno, per una legge imposta dall’alto,ti possano prendere le impronte digitali, che ti possano trattare come un potenziale delinquente, che i tuoi dati personali possano essere registrati in quegli enormi mostruosi contenitori, i data base, che fanno scempio della privacy!

Un’umanità controllata dalle macchine? Come mai, con le moderne e sofisticate tecnologie, proprio i delinquenti e i politici corrotti non vengono mai "incastrati"? Si parla da anni di voto di scambio e sistema clientelare, ma evidentemente fanno comodo a diversi partiti se non sono stati mai stroncati. Allora, chi vogliamo controllare? Le persone oneste?

E mi sono venuti anche degli strani pensieri, buffe domande: prenderanno le impronte anche ai neonati, ai malati gravi, ai paralitici, ai ciechi, ai moribondi, alle persone in coma da anni e così via? E i nostri cani e gatti? Vuoi vedere che saranno più rispettati, più liberi e meno "schedati" di noi?

Giustizia: Alfano; Polizia Penitenziaria è presidio della legalità

 

Apcom, 21 luglio 2008

 

"Il Corpo della Polizia Penitenziaria è uno dei più saldi presidi di legalità del nostro Paese". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, a Palermo, alla manifestazione con la quale viene intitolata la caserma del carcere di Pagliarelli alla memoria del maresciallo Calogero di Bona, scomparso nel 1979. Dopo aver detto agli agenti schierati "voi avete un ministro attento e che conosce i vostri problemi", Alfano ha sottolineato come "questi baschi blu si battono ogni giorno per presidiare la legalità".

Ricordando la figura del maresciallo Di Bona, all’epoca vicecomandante del carcere dell’Ucciardone, il ministro Alfano ha sottolineato come dopo 30 anni "non si è avuta la pietà di restituirne il corpo per darne degna e cristiana sepoltura". Alfano ha quindi detto che sarà a Palermo anche il prossimo 29 luglio, anniversario della strage in cui è morto il consigliere istruttore Rocco Chinnici "che si era occupato delle indagini sulla scomparsa del maresciallo Di Bona". "In queste occasioni non intendo fare mancare la presenza del ministro - ha detto Alfano - per ricordare chi ha dato la vita per fare il proprio dovere".

Lecce: coppia agli arresti per possesso di marijuana si suicida

 

L’Unità, 21 luglio 2008

 

Lei era sdraiata sul sedile destro reclinabile della vecchia Fiat 126, lui per terra poco lontano dalla vettura, probabilmente nel tardivo tentativo di scampare alla morte che aveva scelto per sé e la compagna. È morta avvelenata dai fumi di scarico dell’auto, convogliati nell’abitacolo con un tubo nel chiuso di un garage di un casolare ottocentesco, una coppia di conviventi agli arresti domiciliari per la detenzione di oltre tre chili di marijuana.

Giuseppe Mercuri, di 59 anni, un possidente terriero di Sannicola, e la sua convivente, la cittadina francese Sophie Chaffurin, di 43, erano stati arrestati lo scorso 13 luglio. I Carabinieri della Compagnia di Gallipoli avevano trovato nella loro tenuta, in località "La Guardia", la grossa partita di marijuana: una metà nascosta nel camino, il resto sepolto in giardino. A nulla la difesa dell’uomo: la droga, che fumava sin da giovane, serviva per uso personale, per alleviare i dolori di una malattia incurabile.

Inevitabile l’arresto e il carcere di Lecce dove la coppia è stata rinchiusa per tre giorni. La detenzione è stata successivamente tramutata dal Gip negli arresti nella propria abitazione.

Sono stati i carabinieri a trovare i cadaveri sabato sera nel corso del quotidiano giro di controllo dei detenuti ai domiciliari. Nessuna traccia di violenza, nulla che possa far pensare a qualcosa di diverso da un duplice suicidio consenziente. I primi esami del medico legale, a quanto si è appreso, farebbero risalire al pomeriggio di ieri la morte. Sarà comunque l’autopsia - disposta dal sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce Giovanni Gagliotta - a confermare il decesso per avvelenamento da monossido di carbonio, e a datare con precisione l’ora della morte.

Sulle motivazioni alla base del doppio suicidio, gli investigatori propendono per l’incapacità dei due di sopportare la vergogna dopo l’arresto. Ma non sarebbe esclusa neanche un’altra spiegazione, collegate al sequestro dell’ingente partita di marijuana alla coppia nell’ipotesi, per ora tutta da dimostrare, che i due possano aver accettato di custodirla per conto di qualche spacciatore in cambio di denaro.

Mercuri, infatti, discendente di quella che una volta era considerata un’agiata famiglia, e la compagna, stavano attraversando un periodo di ristrettezze economiche. Potrebbero aver fatto i custodi della marijuana per soldi, e dopo il sequestro della droga e l’arresto potrebbero aver deciso di uccidersi temendo la vendetta di qualcuno per il sequestro degli stupefacenti. Ma su questo non c’è alcun riscontro, rimane solo un’ipotesi di lavoro investigativa.

Napoli: forum regionale per tutela diritto a salute dei detenuti

 

Agi, 21 luglio 2008

 

Tutelare il diritto alla salute dei detenuti Campania e sostenere l’applicazione del decreto legislativo 230/99 sul passaggio delle competenze in materia di sanità penitenziaria dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario regionale. È questo l’obiettivo del Forum Regione Campania, costituito a Napoli da Cgil Funzione Pubblica, Comunità di Sant’Egidio, comunità "Il Pioppo" e varie associazioni che operano da anni nel settore carcerario.

L’iniziativa nasce dalla volontà di dare vita, dopo le analoghe esperienze in Piemonte, Lazio e Toscana, ad un organismo che sia attento alla qualità della vita e alla dignità degli individui detenuti nelle carceri, oltre 6800 persone nella sola città di Napoli.

"Siamo in cammino per sostenere la riforma e il passaggio dalla medicina penitenziaria al sistema regionale" spiega Fabio Gui, componente del Forum nazionale . Per questo occorre "mediare, dialogare e incontrare le varie realtà campane, in quanto il carcere non è solo luogo di sicurezza, ma è soprattutto luogo di salute e di integrazione con il sistema sanitario". Anche Fabrizio Rossetti, responsabile nazionale Fp Cgil settore penitenziario, sostiene che "il principio cardine attorno al quale ruota l’intera riforma è estendere il diritto alla salute anche all’interno degli istituti detentivi e affermare un diritto di universalità del principio, a prescindere dalla condizione del cittadino".

"La situazione della Campania - sottolinea - è tra le più critiche per quanto riguarda il sovraffollamento e il numero di istituti penitenziari". Presidente del Forum regionale per il diritto alla salute dei detenuti sarà il medico psichiatra Giuseppe Nese. Prevista inoltre per settembre una grande manifestazione nazionale per rilanciare il tema dell’assistenza sanitaria in carcere e l’applicazione del decreto legislativo 230/99.

Rieti: nuovo carcere è pronto, ma mancano i soldi per aprirlo

 

Dire, 21 luglio 2008

 

Il Garante dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni visita il nuovo carcere di Rieti. "Struttura con luci e ombre, ma con i tagli della Finanziaria sarà difficile aprirla in tempi brevi.

Una struttura carceraria a misura d’uomo per 250 detenuti con tante luci e qualche difetto e che, probabilmente, non sarà inaugurata tanto presto a causa dei tagli previsti in Finanziaria dal Governo. È questo il giudizio del Garante regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni sulla nuova struttura carceraria di Rieti.

Accompagnato da un comandante degli agenti di Polizia Penitenziaria, Marroni ha visitato la nuova struttura - realizzata nel tempo record di quattro anni in un’area fuori dal centro storico cittadino, nei pressi dell’ospedale - e destinata a sostituire il vecchio e fatiscente carcere, dove attualmente trovano alloggio solo una quarantina di detenuti, ritenuto da tutti ormai inadeguato.

Realizzata su tre piani la nuova struttura potrà contenere 250 detenuti (400 la tolleranza massima prevista) con cucine in ogni reparto (invece di un’unica mensa centralizzata), chiusura elettronica delle porte delle celle e spazi per la socializzazione come un campo di calcio. I difetti sono, invece, legati soprattutto alla carenza di spazi ed aree verdi dove poter far svolgere ai detenuti attività di formazione professionale legate all’agricoltura.

"Il vero punto nero è che nessuna può dire con certezza quando sarà finalmente aperta ed operativa questa struttura - ha detto il Garante Angiolo Marroni al termine della visita - Occorrerebbe, infatti, una dotazione di circa 300 agenti di polizia penitenziaria oltre ad educatori e psicologi, tutte figure professionali che attualmente non ci sono.

Inoltre, sono ancora tutto da costruire i rapporti con la Asl di zona per garantire l’assistenza sanitaria in carcere. Tutte questioni che, con i tagli previsti dalla Finanziaria, non sembrano di immediata risoluzione. In un momento in cui tutti parlano di sovraffollamento e delle difficili condizioni dei reclusi, fa rabbia vedere una struttura nuova chiusa e condannata, forse, a deperire rapidamente per la mancanza dei fondi necessari a garantire la sua apertura."

Nuoro: il Garante dei detenuti denuncia problemi del carcere

 

Ansa, 21 luglio 2008

 

Le precarie condizioni dei detenuti del carcere Badu ‘e Carros sono state denunciate dal garante e dalla Cisl. Il Garante comunale dei detenuti Carlo Murgia, condividendo l’allarme lanciato dalla Cisl, denuncia i problemi del carcere di Badu ‘e Carros parlando di "precaria e per certi aspetti grave, condizione". Oltre alla cronica carenza del personale, in un appello pubblico sottolinea quelle del settore rieducativi e in particolare dell’assistenza medica per il mancato trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale, di funzioni, rapporti di lavoro, risorse finanziarie, attrezzature e beni strumentali. "Ma il punto di massima debolezza - scrive Murgia - è la mancata nomina di un direttore stabile al fine di dare indirizzo e continuità alle riforme che in questa Casa Circondariale, mi sembra di capire, si ha in animo di fare".

Sulmona: internato 50enne tenta il suicidio, salvato da agenti

 

Prima, 21 luglio 2008

 

È accaduto questa notte nel penitenziario di Sulmona, dove si trova associato Ottaviano Del Turco. Un 50 enne, internato poiché destinatario di misura di sicurezza, dopo aver interloquito con i suoi familiari è apparso fortemente sotto stress. La sua condizione psicologica, fortunatamente, non è sfuggita agli operatori di Polizia penitenziaria, che hanno subito chiesto l’intervento di un assistente sociale per un colloquio con il soggetto, a seguito del quale è emersa una esigenza di attenzione particolare verso la persona.

Ma è bastato un momento, quello in cui si decide che ormai è meglio finirla, con un tentativo di soffocamento. Gli agenti in servizio sono riusciti a coglierlo sul fatto, tanto che non è stato necessario il ricorso alle cure mediche. Il direttore del carcere, Sergio Romice, si è recato subito in visita presso l’internato, rimanendo a colloquio con lui per oltre due ore, riuscendo a stabilizzarlo emotivamente. Per tutta la notte, in quella cella, si sono susseguiti i turni degli operatori del carcere che si sono confidati con il soggetto, il quale, alla fine, si è placato e addormentato.

"Il fatto di questa notte - dichiara il sindacalista Uil - penitenziaria, Mauro Nardella - dimostra, contrariamente a quanto ha affermato l’esponente dei Radicali, Marco Pannella, che nel penitenziario di Sulmona le vite si salvano e non ci sono casi di auto soppressione indotta, grazie alla professionalità e all’umanità di chi vi opera all’interno. Basti sapere che Ottaviano Del Turco, apprendendo del suo possibile trasferimento in altro carcere, ha chiesto di rimanere a Sulmona, non perché destinatario di trattamenti di favore, ma perché in questi giorni ha potuto rilevare che le attenzioni sono rivolte a tutti i detenuti".

Mantova: Cisl; mancano gli agenti e il carcere è sovraffollato

 

La Gazzetta di Mantova, 21 luglio 2008

 

Troppi detenuti, e per di più in aumento; pochi agenti, alcuni dei quali impiegati in altre funzioni o distaccati in penitenziari più affollati; un carcere che, nonostante qualche lavoro di manutenzione, è fatiscente. Questa, in estrema sintesi, la situazione della Casa Circondariale di Via Poma secondo Raffele Donnarumma, agente di polizia penitenziaria e rappresentante sindacale locale per la Cisl.

Un accumulo di problemi che ora, con il decreto Tremonti, secondo i dipendenti del ministero della giustizia e dei sindacati sarebbero destinati ad aggravarsi. Da tempo l’effetto indulto, che aveva svuotato le celle, è svanito. Sono 180 i detenuti attualmente reclusi nella casa circondariale, contro una capienza ottimale di 120-130.

"Il nostro istituto - spiega Donnarumma - è indubbiamente sovraffollato e nonostante questo fa da valvola di sfogo per altre carceri lombarde che scoppiano, come Busto Arsizio o Milano". A fronte dei troppi detenuti, che nel tempo tendono ad aumentare, il personale è scarso.

"Anzi, è in calo - interviene Donnarumma - in via Poma lavorano su carta un centinaio di agenti ma di fatto una quindicina sono distaccati in uffici del ministero o in altri istituti. E così siamo costretti a fare turni di otto ore contro le sei previste dal contratto di lavoro. Tra l’altro quelle due ore in più, che sono lavoro straordinario, non ci vengono pagate: il ministero è in ritardo nel pagamento degli straordinari di almeno quattro mesi". Altro capitolo dolente è la struttura della casa circondariale.

"É fatiscente - dice senza mezzi termini il rappresentante sindacale - il muro di cinta, ad esempio, cade a pezzi, ci sono distacchi di intonaco e di muratura, al punto che una parte del camminamento è inagibile. Le sentinelle sono costrette a fare il giro nell’intercinta camminando sotto le mura. Il fatto è che il corridoio sopra le mura è coperto, quello sotto no. E gli agenti di sentinella sono esposti a sole e intemperie".

E non è tutto. Ad affliggere gli agenti della penitenziaria ci sarebbe anche la perdita di altri diritti acquisiti. "Il nostro contratto di lavoro, ad esempio, prevede il rimborso dell’asilo nido - sottolinea Donnarumma - ebbene, è dal gennaio 2006 che nessuno di noi ha più visto un euro. E poi, alla fine dei sacrifici e delle difficoltà, Brunetta ci chiama anche fannulloni...". Se in Via Poma il lavoro degli operatori della penitenziaria è così complicato, non è difficile pensare cosa possa essere la vita dei detenuti, rinchiusi fino a otto-dieci in celle che potrebbero ospitarne al massimo sei.

Busto Arsizio: pochi agenti, pochi educatori e… tanti detenuti

 

Varese News, 21 luglio 2008

 

Meno ferie e riposi, più straordinari e stanchezza. È per questi motivi che lunedì scorso gli agenti di Polizia Penitenziaria hanno manifestato a Milano: fra loro anche gli agenti della Casa Circondariale di Busto Arsizio. "Non abbiamo abbastanza personale - spiegano due assistenti capo e delegati sindacali della funzione pubblica Cgil Fabrizio Vincis e Franco Montalto -. A Busto ci sono formalmente circa 230 agenti, ma 38 sono distaccati in altri istituti. C’è un problema evidente di carenza di personale con tutte le conseguenze che questo porta: saltano le ferie, aumentano gli straordinari e non si può fare una seria programmazione dei servizi". Ma il problema del sotto organico non riguarda solo la Polizia penitenziaria, ma pure il personale amministrativo. "Anche questo ha conseguenze sul nostro lavoro - continuano -: se non c’è chi si occupa dell’amministrazione e delle contabilità, dobbiamo pensarci noi".

Problemi sicuramente comuni anche a tanti altri istituti italiani, ma che a Busto hanno un’aggravante non da poco: l’aeroporto di Malpensa. "Quella di Busto è una Casa Circondariale "pura" - spiega il vicecomandante Antonio Coviello -: significa che abbiamo un ricambio di detenuti continuo. Quando qualcuno viene fermato a Malpensa, generalmente per droga, viene subito portato da noi". Tradotto in numeri significa che invece di circa 270 detenuti, Busto ne ospita in media 400 con punte di 450. Ovvero, nello spazio di uno dormono in tre e un agente deve gestire le operazioni giornaliere di 70/80 detenuti.

Una caratteristica di Busto è proprio il fatto che ospita pochi dei cosiddetti "detenuti definitivi", ovvero coloro che sono condannati con sentenza definitiva e che scontano la pena in un determinato istituto. Al contrario quello bustocco, anche per la vicinanza con Malpensa, è per tanti un "carcere di passaggio". "È difficile fare progetti a lungo termine in questo contesto - continua Coviello -. A volte non riusciamo neanche a far concludere un anno scolastico". Naturalmente turni prolungati e pochi riposi portano a un eccessivo affaticamento degli agenti e a più stress.

"Noi non siamo assolutamente contro le attività in carcere - continua Coviello -: è giusto organizzare corsi scolastici, di formazione e anche iniziative come il concerto. Ma tutto questo non deve andare ad aumentare oltre limiti accettabili il carico di lavoro delle persone. Gli agenti devono essere messi nelle condizioni di poter svolgere il loro lavoro: aggiungere, come è giusto che sia, attività ai detenuti, significa togliere a noi dei diritti che ci spettano. Un turno regolare deve essere di sei ore, invece spesso arriviamo a farne otto o dieci di seguito senza nessun preavviso: uno pensa di finire alle 12, e un’ora prima scopre che deve fare altre due ore". Finora comunque si è cercato di arrivare a una mediazione sulle singole iniziative che vengono proposte.

Troppo spesso infatti ci si dimentica che gli agenti di Polizia penitenziaria svolgono sì la funzione primaria di garantire la sicurezza in carcere, ma sono anche educatori. "Siamo le prime persone che un detenuto vede quando entra qui e il loro punto di riferimento principale. Qui ogni giorno c’è qualcuno che ha bisogno di una parola di conforto, ma non sempre è facile svolgere al meglio entrambe le nostre funzioni.

Anche per le attività, ogni volta si chiede agli agenti la loro disponibilità, ma non li si obbliga mai. Alla fine sono sacrifici che decidiamo di fare, anche perché una volta iniziato un lavoro non possiamo lasciarlo a metà perché è finito il turno". Sul futuro comunque da tutti e tre arriva un certo pessimismo. "Servirebbe un numero di agenti adeguato, ma è un’utopia. E poi c’è il problema dei fondi e delle risorse, ma anche su questo fronte c’è buio totale".

Opera: il progetto "Al Cappone" cerca fondi tramite internet

 

Dire, 21 luglio 2008

 

Fattoria Al Cappone: un nome che unisce sia il richiamo al famosissimo gangster che quello al gustosissimo gallo (…ex gallo!). Un nome evocativo scelto per un progetto davvero innovativo e stimolante. Un nome perfetto perché associato ad un allevamento di quaglie nato all’interno di un carcere. Non è la trama di un film, ma un’iniziativa vera, che si svolge nel carcere di Opera.

Il progetto "Fattoria Al Cappone" nasce da una onlus, Il Due, già attiva a San Vittore e che coinvolge dieci detenuti di Opera, 7 italiani e 3 stranieri, oltre che un docente zoonomo, Pierluigi Colombo, che si è adoperato insieme al personale dell’Amministrazione e ai detenuti per edificare un allevamento di quaglie, le cui uova saranno vendute nei negozi Coop. Il progetto è assolutamente nuovo, ma ha bisogno di finanziamenti, sostenuti in parte dalla Fondazione Cariplo. Per questo la "Fattoria Al Cappone" si affida a Lycos e al suo MyLifeblog - accessibile all’indirizzo http://blog.lycos.it/opera - per dare voce ai detenuti e raccogliere i fondi necessari per portare a termine il progetto.

MyLifeblog è partito oggi e sarà attivo fino al 31 agosto ed è scritto da mani diverse: Emilia e Roberto, volontari dell’associazione "Il Due" e Pierluigi Colombo, meglio conosciuto come Pigi, il Prof, lo zoonomo. Oltre a loro, i dieci detenuti avranno delle pagine personali nelle quali raccontare la loro esperienza. Caratteristica distintiva di MyLifeblog è l’implementazione di un bottone PayPal che permette a tutti gli utenti di poter effettuare le donazioni liberamente, con assoluta facilità e sicurezza.

La formazione dei neo-allevatori è stata curata in ogni dettaglio: il primo passo è stato un corso di "Approccio alle tecniche di allevamento avicolo, allevamenti alternativi e legislazione rurale" che ha dato loro la possibilità di imparare come si alleva e come si gestisce un allevamento o come ci si può proporre nel settore avicolo. Il prodotto finito, le uova di quaglia, non sarà fine a se stesso, ma c’è già un accordo che ne prevede la distribuzione e la vendita nei negozi Coop. Il ricavato sarà reinvestito nel progetto.

"Lo scopo dell’iniziativa è reinserire i detenuti in un contesto lavorativo, in modo che possano far tesoro dell’esperienza sia all’interno del carcere sia una volta fuori per favorirne il reinserimento. Grazie a MyLifeblog di Lycos i detenuti avranno a disposizione un metodo di comunicazione immediato e senza barriere, che consentirà loro di scambiare emozioni e sensazioni in modo facile e veloce, favorendo il contatto tra loro e il mondo esterno per renderli partecipi della loro vita", afferma Emilia.

"Lycos è lieta di dare visibilità al progetto Al Cappone tramite MyLifeblog, un’opportunità davvero unica per dimostrare che il contatto diretto e lo scambio tramite un blog può essere utile per crescere e condividere esperienze altrimenti impossibili da conoscere. Abbiamo sempre offerto tramite il portale Lycos.it servizi all’avanguardia per tuta la community, e siamo certi che anche questa iniziativa sarà molto apprezzata dai nostri utenti" afferma Luisella Giani, Product Manager di Lycos Europe.

Bologna: Annamaria Franzoni lavora nella sartoria del carcere

 

Asca, 21 luglio 2008

 

Annamaria Franzoni confeziona asciugamani e lenzuola di lusso dal carcere della Dozza di Bologna dove è detenuta dopo la sentenza per l’omicidio del figlio Samuele a Cogne. La mamma più discussa d’Italia lavora per Alta Moda, il progetto pensato per i carcerati ideato da Valeria Ferlini a San Vittore e Opera (Milano) e ora in arrivo a Bologna. Annamaria ha così deciso di reagire: non più apatia, ma la voglia di costruirsi un piccolo mondo.

Condannata a 16 anni, 13 con l’indulto, sta tentando di ritrovare una sua normalità lavorando a macchina, la sua prima attività da quando la sua condanna è diventata definitiva lo scorso 21 maggio.

Niente cucina, giardinaggio: ha scelto di creare, cucire. Tutti i manufatti verranno venduti all’esterno del carcere a bordo di un’Ape Piaggio, allestita come una bancarella e che girerà per le città d’Italia alla ricerca di acquirenti.

Per motivi burocratici, spiegano dal penitenziario bolognese, il progetto è ancora in fare sperimentale e non ancora operativo. Ma se ci sarà l’ok definitivo si potrà cercare nei mercati gli oggetti "made in carcere" cuciti da Annamaria Franzoni.

Sulmona: Ottaviano Del Turco "starò in cella ancora a lungo"

 

Prima, 21 luglio 2008

 

Ottaviano Del Turco è convinto che le porte del carcere non si apriranno tanto presto: lo ha confessato a Nicola Pisegna Orlando, suo vice in Abruzzo, al termine di una visita nel penitenziario di Sulmona. "Non ha molte aspettative rispetto alla decisione del Gip sulla richiesta di scarcerazione; non si pone il problema di quanto tempo ci vorrà per chiarire le contestazioni senza fretta e con serenità", ha riferito Pisegna Orlando.

"La magistratura fa il proprio dovere - ha detto Del Turco al suo collaboratore - e sono convinto di dimostrare la mia innocenza rispetto alle contestazioni che mi hanno fatto". Ottaviano Del Turco ha detto anche di aver letto l’ordinanza scritta di magistrati di Pescara ed "è rimasto interdetto per le cose che ha letto".

Parlando con Pisegna Orlando delle prossime elezioni regionali, Del Turco ha detto che "è giusto che siano svolte al più presto possibile, anche se tecnicamente sarà la Corte d’Appello con i presidenti di giunta a definire quali possano essere le date percorribili per questa operazione elettorale". "È un uomo navigato e sapeva il rischio che si poteva correre cambiando le cose all’interno della nostra regione. Il rischio ci poteva stare ma sicuramente non immaginava che si potesse arrivare a tanto", ha concluso il vicepresidente dell’Abruzzo.

"Del Turco sa perfettamente quali sono le solidarietà vere e quali quelle fasulle - ha detto Pisegna - Mi ha detto anche che vuole tornare a fare politica nel Pd ma da uomo libero che ha assolutamente chiarito la sua posizione. È questa la motivazione per cui ha scritto la lettera a Veltroni e non ha risentimenti verso nessuno. Ha apprezzato giustamente le lettere di solidarietà da parte degli uomini politici nazionali, uomini di governo".

Cagliari: invalido agli arresti domiciliari chiede più assistenza

 

La Nuova Sardegna, 21 luglio 2008

 

Dagli arresti domiciliari in cui si trova da qualche tempo, Evilino Loi, ha scritto al sindaco del paese, Paolo Casu, "chiedendo con la massima urgenza un piano d’aiuto". Il presidente dimissionario dell’Associazione nazionale detenuti non violenti espone il suo caso: "Sono invalido al 75% e ho necessità di comprare delle medicine escluse dalla fascia gratuita.

Mi ritrovo con le gambe messe male a causa della lunga sedentarietà carceraria. Vivo con mio fratello, invalido al 100%. Ho dovuto aiutarlo in questi due mesi in cui abbiamo vissuto insieme. Ha avuto due ricoveri urgenti e solo la tempestività del 118 e dei medici gli ha salvato la vita. E anche per questo ringrazio il giudice della Corte d’appello di Cagliari, che mi hanno concesso i domiciliari, anche se mi restano da scontare pochissimi mesi".

Loi se la prende con chi "nonostante due invalidi in casa non ha dato il ben che minimo sostegno, a parte che non ho ancora visto degli assistenti sociali; eppure tutti dovrebbero conoscere la mia condizione d’indigenza". Poi conclude, nella lettera al sindaco: "Il vostro silenzio è incredibile. Ho diritto a essere assistito e curato, così come sancito dalla Costituzione".

Droghe: ragazza di 16 anni muore dopo assunzione di ecstasy

 

Ansa, 21 luglio 2008

 

Una festa in spiaggia ieri al Lido di Venezia si è trasformata in tragedia per una sedicenne di Rovigo, morta stasera dopo una giornata di coma. La ragazza aveva assunto Mdma, quattro innocue lettere dietro le quali si nasconde il micidiale principio attivo dell’ecstasy. La giovane studentessa, Nicole Pasetto, di Rovigo, descritta come una ragazza bravissima e studiosa, l’avrebbe assunto puro, presumibilmente insieme ad alcolici, in compagnia di due coetanee, mentre assisteva dalla spiaggia dei Murazzi, agli Alberoni, ai fuochi d’artificio della Festa del Redentore. Domani la procura disporrà l’autopsia e, se l’esame confermerà che la morte della ragazza è stata determinata dall’ecstasy, sarà ipotizzato il reato di omicidio colposo.

"È una vicenda che va chiarita in tutti i suoi aspetti": ha detto il sostituto procuratore della Repubblica di Venezia, Lucia D’Alessandro. Quella che doveva essere una notte di spensieratezza - in ossequio ad un rito che da decenni in laguna prevede che il sabato notte, dopo le luci artificiali sparate nel cielo per il Redentore, si attenda sulla battigia l’arrivo dell’alba per un bagno in mare collettivo - è diventato un incubo per tre ragazze, una delle quali, Nicole, è spirata all’ospedale di Dolo.

Già al suo arrivo le sue condizioni venivano date per disperate dai sanitari. Dopo aver pianto per ore, distrutti, davanti alla camera del reparto di rianimazione del nosocomio nel quale era ricoverata la figlia, in attesa di una parola di speranza da parte dei sanitari, alla notizia della sua morte i genitori della sedicenne si sono subito allontanati dall’ospedale. Il padre, impiegato, si è limitato a dire ai giornalisti: "non ho voglia di parlare, cercate di capire, siamo distrutti".

Le due amiche della giovane, anch’esse residenti nel capoluogo polesano, ancora confuse, agli uomini della questura sono state in grado, per ora, di fornire solo un quadro frammentario e lacunoso dell’accaduto. Pochi i dati certi: i poliziotti sono stati fatti intervenire sulla spiaggia poco dopo le 4 del mattino, mentre la ragazza più grave, dopo un breve transito all’ospedale del Lido e il rifiuto ad ospitarle a Mestre per carenza di letti, era già arrivata nel nosocomio di Dolo. Quando gli agenti sono arrivati sulla spiaggia non c’era più traccia dei 1.500 ragazzi che, almeno fino alle 3, ora presumibile del malore della ragazza, affollavano quel tratto di costa, ballando e bevendo.

E neppure i tre camion, due per la musica techno sparata a tutto volume e uno per le bibite, che alcuni testimoni confermano fossero presenti alla festa. Un numero così consistente di ragazzi e la presenza della musica techno sembrano indicare che l’incontro fosse un evento a metà strada tra una festa tra amici e un rave party. Difficile pensare che solo la casualità abbia fatto confluire tanti giovani pronti a divertirsi ad ogni costo in un angolo così isolato della spiaggia del Lido, peraltro più avvezza alle sonnacchiose vacanze della Venezia-bene o, al massimo, rassegnata al breve brivido di mondanità della Mostra del Cinema.

Sulla personalità delle tre ragazze gli investigatori mantengono il più stretto riserbo: sembrano siano giovani senza particolari problemi, studentesse di istituto superiore, forse in vacanza balneare con le famiglie a Sottomarina. Di sicuro, dicono gli agenti, le due ragazze non si sono rese conto delle condizioni disperate in cui versava Nicole.

Su chi abbia fornito alle tre la droga esiste solo una indicazione sommaria: è un ragazzo che le tre non conoscevano. Dopo aver acquistato l’ecstasy e averlo mescolato ad una bibita, le giovani si sono divise, frequentando compagnie diverse. Sarebbe stato uno dei partecipanti alla festa a notare che la giovane rodigina stava male e a dare l’allarme.

 

Giovanardi: spero che sia l’ultimo caso

 

La sedicenne veneziana morta per aver assunto una pasticca di ecstasy ha fatto una "morte terribile. Le sostanze ingerite hanno avuto effetti devastanti sul suo corpo. Speriamo sia l’ultima di queste morti". È così che Carlo Giovanardi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega alla lotta alle tossicodipendenze, commenta la drammatica storia ed annuncia: "dovremo moltiplicare gli sforzi per mettere in guardia i giovani e i giovanissimi sugli effetti di queste sostanze".

Per l’intera giornata il sottosegretario è stato in contatto con la questura e la prefettura locali per avere notizie sulla vicenda e sulla sedicenne. "Dobbiamo far capire - aggiunge - che la chimera della trasgressione e dello sballo può avere effetti devastanti per la salute, che può portare alla morte. C’è da sperare che sia l’ultimo episodio di questo tipo. Una morte che ha trasformato una festa popolare in una tragedia".

Droghe: indagine a Venezia; questi ragazzi, sempre più fragili

 

Dire, 21 luglio 2008

 

Indagine della provincia di Venezia su circa 2 mila adolescenti di 18 scuole: il 23% dichiara problemi a scuola, il 16% ha un disagio relazionale. Lo psicologo Battaglini: "C’è una vera e propria emergenza educativa".

Profondo disagio con i coetanei, con l’altro sesso, difficoltà con i genitori, difficoltà di comunicazione con gli insegnanti, problemi con le droghe, bullismo: questi sono gli adolescenti di oggi, fragili. L’allarme lo lancia la relazione conclusiva del progetto dell’assessorato all’Educazione della provincia di Venezia intitolato "Contrasto del disagio e promozione del benessere 2007/2008" che ha monitorato circa duemila adolescenti di 18 istituti scolastici, e che sarà riproposto anche nel prossimo anno.

Ciò che chiaramente emerge è "che ricadono nella scuola le domande che non trovano risposta in famiglia", come riassume l’assessore provinciale all’Educazione, Andrea Ferrazzi. Nel dettaglio: il 23% degli adolescenti dichiara problemi con la scuola (abbandono, bullismo, relazioni con gli insegnanti), il 17% ha problemi con la sessualità, il 22% ammette difficoltà nell’approccio con i coetanei, mentre il 4% ha problemi con l’immagine di sé o con il proprio corpo. Ancora: dal 16% degli adolescenti ascoltati emerge un problema relazionale con i genitori, da un altro 8% eventi traumatici (dalla separazione dei genitori agli abusi).

Il 6% chiede informazioni sulla droga. E a questo proposito il dottor Federico Battaglini, psicologo responsabile del progetto, sottolinea che "dopo diversi anni emerge prepotentemente la richiesta di spiegazione sull’eroina e pensando che questi giovani hanno in media 15 anni d’età, e che se ne parlano vuol dire che già da tempo hanno subito l’interesse, è un numero più che significativo".

Il progetto (finanziato dalla Provincia per 48mila euro) è stato seguito da sette psicologi delle cooperative Coges e Ceis-Don Milani di Mestre, che per l’intero anno scolastico hanno gestito dei Punti di ascolto accessibili anonimamente e volontariamente dai ragazzi in ogni scuola. Preventivamente sono stati organizzati incontri con 98 classi delle superiori, soprattutto prime e seconde, per spiegare il senso del progetto e facilitare discussioni su temi individuati dai ragazzi. I dati a chiusura dell’anno parlano di 785 ascolti, 300 interventi in classe, 61 persone inviate ai servizi territoriali, 18 istituti della provincia coinvolti.

Dall’analisi dei dati emerge una "vera e propria emergenza educativa", nelle parole di Battaglini, che precisa: "Gli adolescenti raccontano di aver bisogno di un aiuto, in generale, e noi spesso aiutiamo loro a formulare le domande specifiche. Giungono alle superiori dopo un percorso ancora ovattato, vicino alla famiglia, agli amici, per raggiungere la scuola spesso si devono spostare, incontrano volti nuovi e diversi. L’età è delicata e loro arrivano da famiglie dove i rapporti sono spesso unipersonali. Non più nuclei numerosi, fratelli, nonni. Questi adolescenti spesso sanno dialogare con gli adulti, ma non con i coetanei. Devono procedere a una alfabetizzazione delle loro competenze relazionali".

Belgio: protesta nel centro di detenzione per i richiedenti asilo

 

Ansa, 21 luglio 2008

 

Due richiedenti asilo sono saliti ieri sera sul tetto del centro di detenzione temporanea di Merksplas minacciando di gettarsi nel vuoto. Il loro obiettivo è di denunciare le pessime condizioni di vita all’interno della struttura. Polizia e vigili del fuoco stanno tentando inutilmente di farli scendere. La situazione è diventata tesa anche all’interno del centro: gli altri detenuti, alla notizia della protesta, hanno iniziato una rivolta spaccando vetri e suppellettili. Una ventina di poliziotti sono intervenuti per riportare la calma.

Il comitato di azione per i rifugiati Vluchtelingen Actie Komitee - Vak ha manifestato la propria preoccupazione: secondo il portavoce Alex Wieme, è necessario rispondere alla domanda di attenzione dei richiedenti asilo. Già la scorsa settimana c’era stato un tentativo di suicidio nel centro. Secondo il comitato di sostegno, le condizioni di vita difficili e le frustrazioni legate all’assenza di una legge sulla regolarizzazione portano fatalmente alle estreme conseguenza i richiedenti asilo.

Mauritania: "Guantanamo d’Africa", per fermare gli immigrati

 

Vita, 21 luglio 2008

 

Un centro di detenzione per stranieri è stato chiamato "Guantanamito" dalla popolazione. Ci finiscono gli africani che vogliono arrivare illegalmente nelle Canarie. Ma anche chi non vuole.

Nell’Aprile del 2006 i soldati spagnoli ristrutturarono una vecchia scuola nella cittadina di Nouadhibou, in Mauritania, sulla costa atlantica. Lo scopo era quello di ospitare gli africani che tentavano o erano già entrati illegalmente nelle isole Canarie, ma erano stati rimandati indietro. Poi hanno lasciato la struttura nelle mani delle forze di sicurezza mauritane.

Il centro è stato spogliato di tutto e le classi sono diventate delle vere e proprie celle, sovraffollate e sporche. Oggi le condizioni di vita degli emigranti sono tali che la gente di Nouadhibou l’ha rinominato Guantamito, nome che ricorda la base americana di Guantanamo, tristemente famosa per il basso livello di rispetto dei diritti umani.

È stata Amnesty International, che nel Marzo 2008 è potuta entrare nel centro, a denunciare le vergognose condizioni in cui vivono queste persone. Non vengono forniti loro neanche i pasti e mangiano grazie agli aiuti della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa. In totale, secondo i dati del Servizio di Sicurezza Nazionale mauritano, nel 2007 sono passate dalla struttura oltre 3.250 persone, che sono rimaste per giorni, settimane o anni, in attesa di essere spediti in Mali o in Senegal.

L’organizzazione per i diritti umani ha attaccato il governo della Mauritania anche per i metodi con cui vengono fermati i sospetti futuri clandestini. La maggior parte, come dimostrano le interviste riportate nel rapporto di Amnesty, è stata arrestata mentre dormiva o camminava per strada, perché vestiva due paia di pantaloni o perché guardava la spiaggia. Durante l’arresto molti di questi sono stati derubati o è stato tolto loro il permesso di soggiorno.

Secondo AI, dietro a queste politiche repressive ci sarebbe la Spagna. Madrid ha anche stipulato un accordo con il paese africano che prevede l’obbligo per il governo di Nouakchott di accogliere i clandestini espulsi dalle Canarie, da qualsiasi stato arrivino. Poi, quando si decide, l’esercito mauritano li prende e li scarica al confine con il Mali o con il Senegal, anche se vengono da Liberia, Ghana o da qualunque altra nazione.

La Spagna risponde: Amnesty sbaglia, la responsabilità è della Mauritania. La risposta degli spagnoli non si è fatta attendere. In un articolo, il giornale El Pais punta il dito contro la polizia di Nouadhibou per aver trasformato un buon centro di accoglienza in un carcere della peggior specie, accusando Amnesty di aver incolpato ingiustamente l’esecutivo iberico.

Il ministro degli esteri di Madrid, Miguel Ángel Moratinos, ha detto che "il governo avvierà una missione per aiutare i mauritani a garantire condizioni migliori per gli immigrati clandestini". Ha però aggiunto che i media hanno ingigantito il problema e che la Spagna continuerà a "combattere all’origine l’immigrazione clandestina".

Seychelles: Federico in carcere rischierebbe violenze sessuali

 

Il Corriere della Sera, 21 luglio 2008

 

"Il capo della prigione è un omosessuale che si diverte a prendere di mira i carcerati e a molestarli. Il ragazzo deve uscire al più presto da quell’inferno altrimenti c’è il rischio che subisca traumi irreversibili". Il deputato dell’opposizione Jean François Ferrari è preciso nel descrivere la vita del carcere. Lui in quello nuovo, costruito un paio di anni fa, non è mai stato detenuto, ma in quello vecchio sì. E i secondini sono sempre gli stessi.

Dal 16 agosto dell’anno scorso in quel penitenziario delle Seychelles è detenuto il trentaduenne torinese Federico Boux. La polizia ha trovato nella sua auto 6,6 grammi di polvere bianca: eroina tagliata. E così il paradiso tropicale è diventato per lui "una trappola", secondo lo stesso Federico, intervistato dal Corriere in una pausa del processo l’11 luglio.

"Mi avevano messo quel pacchetto in auto e non sapevo cosa contenesse. Peraltro, appena arrestato, ho chiesto che mi analizzassero le urine per dimostrare che non ho mai assunto droga, ma gli agenti hanno respinto la mia richiesta". Ora rischia una condanna da otto a trent’anni di carcere.

"Qui alle Seychelles sulla droga abbiamo tolleranza zero - conferma uno degli uomini più potenti dell’arcipelago, Alain Payette, segretario di Stato nell’ufficio del presidente della repubblica -. La legge è molto restrittiva e 6,6 grammi di eroina da noi vuol dire traffico". Tolleranza zero per gli spacciatori e i consumatori, ma Federico Boux è in attesa di giudizio e lo trattano come se fosse già condannato, per esempio gli impediscono di tagliarsi i capelli e le unghie.

In una foto prima dell’arresto aveva i capelli corti, ora ha una vistosa treccia lunga almeno mezzo metro. Ha chiesto di tagliarli e gli hanno risposto che non è possibile. Payette, un uomo gentile e cordiale che mira al sodo, dal suo ufficio alla State House (il palazzo del presidente), dove il lussureggiante giardino tropicale fa restare a bocca aperta tanto è meraviglioso, alza il telefono e chiama qualcuno al Ministero degli Interni: "Capelli e unghie non si possono tagliare se non c’è una richiesta scritta, cosa che lui non ha mai fatto", è la risposta. La signora Oriella, mamma di Federico, conferma: "Più volte abbiamo insistito verbalmente; nessuno ci ha mai detto che occorreva mettere nero su bianco".

Come tutti i Paesi che vivono di turismo, con i visti agli stranieri le Seychelles sono di manica larga: si può soggiornare nel Paese fino a tre mesi. I genitori di Federico, che vogliono restare il più possibile accanto al figlio, invece, ricevono visti per una settimana al massimo dieci giorni.

Poi devono pietire un’estensione, sempre complicata da ottenere. "Ci sospettano di trafficare il droga, ma la nostra fedina penale è pulita - dicono mostrando i documenti -. L’accanimento contro di noi si spiega solo con il desiderio di portarci via ciò che abbiamo investito alle Seychelles".

I coniugi Boux sostengono di essere entrati in società con Salvatore Paolo Procopio per acquistare, attrezzare e lanciare un ristorante nell’isola di Mahè, la principale delle Seychelles, ma di essere stati truffati. Hanno versato oltre 500 mila euro senza avere in mano neanche un pezzo di carta che gli consenta di dimostrare che sono i proprietari di quel ristorante. "Ci ha portato via anche la casa", denunciano.

Paolo Procopio, italiano con passaporto delle Seychelles, reagisce negando tutto. In un’intervista al Corriere spiega: "Sono loro che mi devono dei soldi, non io. Certo, eravamo in società e loro hanno pagato parecchie fatture a nome mio ma io ho restituito tutto". Volano poi le accuse: "Mi sono sfilato dal ristorante perché i Boux trafficano in droga e io rischiavo di essere coinvolto in sporchi affari.

Comunque non c’entro nulla con l’arresto di Federico. Mi accusano di aver messo l’eroina nella sua macchina per poi farlo arrestare. Non è vero. Io ho un figlio di 29 anni. Non lo farei mai". I genitori di Federico respingono al mittente le accuse: "Sono insinuazioni lanciate per screditarci. Ci ha restituito solo un centinaio di migliaia di euro su più di 300 mila.

In realtà le voci raccolte qui sull’isola sono concordi nel sostenere che proprio in una discoteca gestita da Procopio c’era consumo e spaccio di droga. Lui ci ha portato via anche la casa". "La casa non l’avranno mai. Il giudice ha detto che è mia e se gli sarà riassegnata prima la distruggerò. Ho già bruciato i loro vestiti", è la versione di Procopio.

Al potentissimo Payette è stato chiesto come mai ai genitori di Federico, che vivono un dramma terribile con il loro figliolo in carcere, il visto viene concesso con il contagocce e invece a Paolo Procopio, nonostante il lungo certificato penale piuttosto imbarazzante, è stato concesso il passaporto delle Seychelles: "Non so chi blocchi i visti ai Boux, m’informerò. Su Procopio indagheremo.

Per ottenere il nostro il passaporto deve aver presentato una fedina pulita. Sono sorpreso nel vedere che invece ha subito tredici condanne per reati contro il patrimonio, sostituzione di persona, ricettazione, furto, fallimento, bancarotta". Sembra poi che Procopio - assieme a un suo partner commerciale - abbia fatto una bella cresta sull’appalto per la riabilitazione del palazzo della previdenza sociale, a Victoria, la capitale delle Seychelles, nell’isola di Mahè, ottenuto assieme a un partner locale, un seychellese di origine keniota, Frank Petrus.

I documenti sul tavolo di Payette sembrano chiari: materiali comprati in Italia per poco più di 313.353 euro, sono stati fatturati al governo delle Seychelles per oltre un milione e 673 mila euro: una cresta di 1.360.550. Mica male. "Petrus non c’entra - sostiene Payette - l’affare l’ha fatto tutto Procopio".

In realtà Petrus è intoccabile perché è strettamente legato all’ex presidente della Repubblica, France Albert Rene, che ha ancora un potere enorme nell’arcipelago. Qualcuno dice che ne sia addirittura il prestanome. Intanto, lunedì 21 luglio, si tiene un’altra udienza civile sulla lite Procopio/Bux mentre i giornali locali se la prendono con il governo delle Seychelles e con gli italiani. Qualche anno fa un nostro connazionale Mario Ricci, fu uno dei protagonisti di un tentativo di colpo di Stato, pochi anni prima si era scoperto che alcuni membri della loggia massonica deviata P2 avevano il passaporto delle Seychelles.

Ora questa lite tra italiani con il tragico contorno di un ragazzo di 32 anni prigioniero in una galera dove è stato picchiato. "Se i turisti si accorgeranno che questa meraviglia non è il paradiso terrestre, come invece sembra, ma potrebbe trasformarsi in un inferno, forse potrebbero decidere di cambiare meta per le loro vacanze - commenta Ralf Vorcere, giornalista del settimanale di opposizione Weekly -. Il ragazzo è in carcere da 11 mesi senza processo: una grave ingiustizia che rischia di costare cara non solo al poveraccio ora in cella, ma anche all’immagine dell’arcipelago".

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva