Rassegna stampa 19 luglio

 

Giustizia: Gasparri dice "Csm è una cloaca", bufera politica

 

Corriere della Sera, 19 luglio 2008

 

"La cloaca del Csm correntizzato, partitizzato e parcellizzato è uno scandalo che offende gli italiani". Parole pesanti a Radio Radicale il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, che fanno esplodere l’ennesima bagarre sul tema già bollente della giustizia. "Reputo prioritaria una equilibrata riforma della giustizia. La separazione delle carriere è un’esigenza prioritaria per restituire maggiore trasparenza alla giustizia, la depoliticizzazione della magistratura è un’emergenza democratica. La magistratura seria e laboriosa composta dalla maggioranza dei magistrati è la prima vittima di quattro guitti che usano le toghe per un’azione di militanza politica, che occupano militarmente il Csm e che non giovano a un’immagine della magistratura fortemente incrinata come si vede dai sondaggi, una reputazione che la magistratura non merita".

"Invettiva qualunquista" - A Gasparri risponde il Presidente dell’Anm Luca Palamara secondo cui i giudici non si faranno "trascinare sul terreno dell’invettiva volgare e qualunquista", ma di fronte ai "tentativi ormai chiari di delegittimare l’intera magistratura" difenderanno strenuamente la loro indipendenza. Carlo Federico Grosso, in passato vice presidente del Csm, parla di "un colpo di sole, che non mi pare proprio meriti commenti". Poco dopo il chiarimento dello stesso Gasparri: "Non intendevo denigrare l’istituzione in quanto tale o chi ne ha la guida operativa - sottolinea in una nota -. L’espressione, che può essere apparsa indubbiamente eccessiva era collegata alle note polemiche con taluni esponenti del Csm che recentemente hanno assunto iniziative che hanno alimentato un acceso dibattito anche in riferimento ai compiti e ai limiti delle diverse istituzioni". Conclusione in serata per bocca del presidente Berlusconi: "Il senatore Gasparri ha già fatto una precisazione che credo abbia posto fine al problema".

Replica Finocchiaro - Per l’opposizione la replica alle parole di Gasparri è affidata al presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro, che denuncia come "offensive e gravissime le parole venute da Gasparri contro il Csm "presieduto, lo ricordo, dal Capo dello Stato". "Io credo che sia sotto gli occhi di tutti la necessità di una riforma complessiva della giustizia - ammette Finocchiaro -. Ma una riforma contro la magistratura, o peggio ancora, per garantire immunità o tutelare una cerchia ristretta di persone sarebbe dannosa per tutti". È quindi, "assolutamente necessario che la maggioranza abbassi i toni e smetta di attaccare quotidianamente i magistrati".

Palomba (Idv): "inqualificabile" - "Un’espressione volgare, inqualificabile, irrispettosa, dalla quale chiediamo alla maggioranza di prendere immediatamente le distanze" rincara Federico Palomba (Italia dei valori), vicepresidente della commissione Giustizia della Camera. "Al di là della volgare espressione che si commenta da sé, è evidente che Gasparri non capisce niente di Csm, dato l’assemblamento sconclusionato di cose che mette insieme. La verità è che il suo capo, Silvio Berlusconi, gli ha ordinato di partire a testa bassa e lui l’ha fatto, senza guardare verso dove".

Caso Mills, il Csm: il Presidente del Consiglio rispetti i giudici" - "Il presidente del Consiglio rispetti i magistrati. Lo chiede la Prima Commissione del Csm nella risoluzione a tutela delle toghe del processo Mills, che sarà discussa giovedì prossimo dal plenum. Nel documento si sottolinea che il premier ha usato "espressioni denigratorie" nei confronti di quei giudici e "gravi accuse manifestamente idonee a delegittimarne l’operato" e si rivendica il "dovere" del Consiglio di intervenire a loro difesa. I consiglieri di Palazzo dei Marescialli si riferiscono non solo alle espressioni usate da Berlusconi nella lettera al presidente del Senato Renato Schifani, in cui accusa pm e giudici di agire per finalità politiche.

Ma anche a quanto detto nei giorni successivi dal premier sulla magistratura nella conferenza stampa di Bruxelles e all’assemblea annuale della Confesercenti. E rivendicano come proprio "dovere istituzionale al quale non si può abdicare" la difesa dei magistrati contro attacchi del genere. "Gli atti dei magistrati possono certamente essere discussi e criticati, e chi è imputato in un processo, chiunque sia, ha il diritto di difendersi nella maniera più ampia a norma di legge ; tutt’altro, invece, è adoperare espressioni denigratorie verso il singolo magistrato o l’attività giudiziaria" - sottolinea il documento approvato con 5 voti a favore e il no del laico di An Gianfranco Anedda - ed "è purtroppo" quanto accaduto" in questo caso.

Giustizia: prelievo dna anche a chi non è detenuto o indagato

di Giovanni Negri

 

Il Sole 24 Ore, 19 luglio 2008

 

Prelievo forzato del Dna anche per chi non è detenuto e non è neppure indagato. Il Consiglio dei ministri di ieri ha approvato un disegno di legge che estende la possibilità di ottenere campioni biologici, da cui poi trarre i profili del Dna, alla fase delle indagini e nei confronti di soggetti che non si trovano in carcere.

Il provvedimento va letto in parallelo con l’altro disegno di legge approvato nel precedente Consiglio dei ministri "napoletano" che ha disciplinato l’istituzione della banca dati del Dna, stabilendo, allo stesso tempo, che il prelievo, anche forzoso, va effettuato nei confronti di tutti i detenuti e anche di chi è sottoposto agli arresti domiciliari. Con il provvedimento approvato ieri, invece, si allarga il campo di applicazione anche a tutti i soggetti che risultano coinvolti in un’indagine penale pur senza essere formalmente indagati.

In prospettiva dunque l’archivio sarà alimentato da tre flussi principali: quello dei reperti individuati sul luogo del delitto o in luoghi a questo collegati, quello relativo ai profili della popolazione carceraria e quello costituito dai profili delle persone connesse, o che l’autorità giudiziaria ritiene siano connesse, alla vicenda criminale. Il periodo di conservazione dei profili (non dei campioni che dovrebbero essere subito distrutti) dovrebbe essere di 40 anni, quanto basta ad azzerare il rischio di recidiva.

Il disegno di legge approvato ieri punta a colmare un vuoto normativo aperto da una sentenza della Corte costituzionale del 1996 e a recuperare un mezzo di prova che, nel corso del tempo e con l’affinamento delle tecnologie applicate alle inchieste penali, si è rivelato sempre più importante. La Consulta aveva a suo tempo dichiarato l’illegittimità del Codice di procedura penale nella parte relativa alle perizie e alla possibilità che il giudice potesse disporre misure che incidono sulla libertà personale dell’indagato al di fuori di quelle previste dalla legge.

A mancare era cioè una normativa in grado di disciplinare l’effettuazione del prelievo nel rispetto delle garanzie stabilite dall’ordinamento penale. Ora il disegno di legge (dopo che nella passata legislatura un provvedimento per molti versi analogo era stato approvato dalla sola Camera) ammette l’effettuazione della perizia, con la possibilità di un prelievo forzoso in caso di mancato assenso dell’interessato, su richiesta del pubblico ministero e quando l’accertamento è considerato "assolutamente indispensabile per l’accertamento dei fatti".

Altra condizione essenziale è poi che si stia procedendo per un reato non colposo, punito con la pena superiore nel massimo a 3 anni (lo stesso limite per l’arresto facoltativo in flagranza). Il prelievo dovrà prevedere misure non invasive e riguardare parti del corpo come capelli, peli o saliva, comunque utili per potere ricostruire un profilo genetico da confrontare con altri, non attribuibili a persone note, raccolti in luoghi collegati al reato.

La domanda deve essere rivolta al Gip che, a sua volta, la deve comunicare all’interessato con un’ordinanza che, a pena di nullità, deve contenere la precisazione del reato per cui si procede e la descrizione sommaria del fatto, l’indicazione delle ragioni che rendono necessario l’accertamento e l’avviso della facoltà di assistenza tecnica. Quanto alle modalità, sono escluse quelle in grado di mettere in pericolo l’integrità fisica o la salute della persona. In caso di mancata presentazione il giudice può disporre l’accompagnamento.

Viene poi introdotto anche un procedimento alternativo, giustificato dall’urgenza con cui deve procedere a volte il pubblico ministero. Può essere allora il Pm a disporre il prelievo dell’impronta genetica senza un esame preventivo da parte del Gip. Il provvedimento del Pm con cui si dispone il prelievo è poi trasmesso entro 48 ore al giudice che, entro le 72 ore successive, lo convalida oppure lo annulla. In caso di mancato rispetto dei termini è prevista la sanzione dell’inutilizzabilità dei reperti. Nel disegno di legge vengono poi ampliate le possibilità per Pm e parti di richiedere l’incidente probatorio con l’effettuazione della perizia genetica.

Giustizia: riforma sulle intercettazioni, regalo alla criminalità

di Armando Spataro (Magistrato)

 

www.radiocarcere.com, 19 luglio 2008

 

Il Ddl di riforma del sistema delle intercettazioni sarà discusso probabilmente in autunno ma la sua presentazione è già stata accompagnata da notizie e dati palesemente infondati.

Si è detto, ad esempio, che "l’Italia è il paese più ascoltato del mondo" ed a sostegno di tale asserzione molti esponenti del Governo si sono affannati a "dare i numeri" delle intercettazioni eseguite altrove. Ma nessuno ha fatto rilevare che in altri Stati - dagli Usa alla Gran Bretagna, ma non solo - le intercettazioni vengono eseguite, in numero ben maggiore, soprattutto dai servizi d’informazione, al di fuori di qualsiasi controllo giudiziario e senza adeguate garanzie per i diritti dei cittadini.

Si discute anche sui costi elevati delle intercettazioni, quando basterebbero pochi interventi del Governo per abbatterli, disciplinando il business delle aziende private operanti nel settore.

Altri luoghi comuni, invece, risultano addirittura offensivi per magistrati e pubblici ufficiali, additati come responsabili delle "fughe" di verbali che finiscono sui giornali ed incapaci, forse per dolo, di punirne i responsabili.

Di qui la "sanzione" prevista nel Ddl: basterà denunciare il pm per rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale per sottrargliene la titolarità! Ma si tace sull’attuale disciplina che prevede la segretezza delle intercettazioni solo fino al momento in cui il soggetto indagato o i suoi difensori non ne abbiano avuto conoscenza (ad es., perché riportate in un provvedimento di cattura o perché depositate), sicché, a partire da quel momento, il segreto viene meno insieme al divieto di pubblicazione del "contenuto" dei colloqui intercettati: permane il solo divieto di pubblicazione delle intercettazioni nella loro integralità, la cui violazione è però punita come mera contravvenzione (art. 684 cp) oblazionabile, priva di efficacia deterrente.

Ben vengano, dunque, alcune scelte presenti nel disegno di legge quali la creazione di un archivio riservato delle intercettazioni segrete, il divieto di pubblicazione delle conversazioni giudicate irrilevanti e persino l’aggravio delle pene per la violazione del citato art. 684 c.p., con relativa sanzione pecuniaria per l’editore, ma ci si spieghi - per favore - quale nesso esiste tra il problema della doverosa tutela del diritto alla riservatezza e la limitazione dell’uso di uno strumento investigativo così importante contro ogni tipo di criminalità.

Da un lato, infatti, non sarà più possibile, salvo poche eccezioni, autorizzare le intercettazioni o acquisire tabulati di traffico telefonico per indagini relative a gravi reati puniti con la reclusione fino a 10 anni e dall’altro si introduce un illogico limite alla durata dell’ascolto autorizzabile: massimo tre mesi, incluse le possibile proroghe. Ma poiché già esistono i termini di durata delle indagini preliminari, motivatamente prorogabili dal giudice, è come se si dicesse ad un poliziotto: "puoi indagare su Tizio per sei mesi, ma puoi pedinarlo solo per tre" .

È anche falso che, non valendo questo limite in tema di terrorismo e criminalità organizzata, le relative indagini non sarebbero penalizzate: in realtà, anche in quei settori le intercettazioni non saranno più possibili sulla base dei soli elementi desunti da precedenti conversazioni registrate e le comunicazioni tra presenti saranno intercettabili solo ove vi sia motivo di ritenere che nei luoghi ove esse avvengono si stia svolgendo l’attività criminosa (condizione oggi prevista solo per le abitazioni private).

Insomma, se due persone parlano al telefono di un omicidio non potranno essere ulteriormente intercettate se la stessa notizia non arrivi anche da altra fonte, né si potrà collocare una microspia in un’autovettura se non quando si abbia la prova che vi si stia compiendo uno specifico reato!

Infine, prescindendo da pur altri possibili rilievi, è necessario sottolineare la grave limitazione alla libertà di stampa ed al diritto di informazione che si intende introdurre con la modifica dell’art. 114, c. 2 c.p.p.: sarà vietata, infatti, fino alla conclusione delle indagini preliminari o della udienza preliminare, la pubblicazione anche per riassunto del contenuto di atti di indagine non più segreti.

Il che significa, in pratica, divieto di informare per un anno e più i cittadini sui contenuti di quelle indagini, anche se non più segrete, che coinvolgono le modalità di esercizio del potere politico e di rappresentanza delle istituzioni.

In realtà, sarebbero bastati pochi interventi per tutelare insieme le esigenze, talora opposte, della indagini, della difesa degli indagati, della privacy individuale e del diritto di cronaca.

Ma si è purtroppo scelta un’altra strada, quella di limitare la categoria dei reati ed il tempo per cui le intercettazioni sono autorizzabili, nonché di restringere le condizioni per le autorizzazioni stesse, finendo con l’indebolire, così, persino le indagini in tema di mafia e terrorismo. Si tratta all’evidenza di un grande regalo ad ogni tipo di criminalità, compresa quella dei "colletti bianchi".

Giustizia: confermati i "tagli", le forze dell’ordine in protesta

 

Comunicato stampa, 19 luglio 2008

 

Nonostante le ripetute rassicurazioni di alcuni esponenti di governo, registriamo che il maxiemendamento al decreto 112 sulla manovra finanziaria conferma, ed anzi incrementa, il volume dei tagli alla sicurezza ed alla difesa previsto dai testo originario. Quanto ai 400 milioni che erano stati promessi sulla sicurezza, ribadiamo ancora una volta che 100 sono destinati ai Comuni per le polizie locali e non alle Forze di polizia statali, 100 sono destinati a circa 2.700 assunzioni nel 2009 ma per ben sei corpi, mentre per la sola Polizia di Stato è prevista in quell’anno una riduzione di organico di 1.611 unità, quanto ai restanti presunti duecento milioni in realtà il finanziamento non è quantificabile preventivamente, perché le fonti sono costituite dalle somme sequestrate nei processi penali o ricavate dalla vendita dei beni confiscati alla mafia, cioè da elementi assolutamente variabili e non prevedibili, con i quali non si può costruire alcun intervento strutturale in materia di sicurezza.

Il Governo, dunque, sulla sicurezza e la difesa conferma la scelta dei tagli ingenti e certi, a fronte di poche risorse incerte e temporanee. Per questo i Sindacati e i Cocer stigmatizzano questa grave scelta dell’Esecutivo, e confermano lo stato di mobilitazione degli operatori del Comparto.

Giustizia: Del Turco; uscirò da questa inchiesta a testa alta…

 

La Stampa, 19 luglio 2008

 

Ottaviano Del Turco ieri mattina ha incontrato i suoi due figli nella sala parlatorio del supercarcere di Sulmona. Un’ora di colloquio a tre voci, con uno che parlava sull’altro, occhi che di colpo diventavano liquidi, "ma qui non si piange, eh", abbracci, interrogativi, "come stanno i nipoti?", chiacchiere. Il Governatore Del Turco: un uomo che riceve la visita della famiglia al quarto giorno di detenzione, ma anche un politico che sa di avere cominciato una lunga e difficile partita a scacchi. In palio, la sua vita e soprattutto il suo onore.

"Posso garantirvi una cosa. Da qui, uscirò a testa alta". Ottaviano Del Turco questa sua convinzione l’ha voluta dire subito. Ma perché non ha risposto ai magistrati e magari sarebbe già tornato a casa? "Perché l’isolamento mi aveva come rimbambito. Ora che posso leggere le carte e parlare con gli avvocati, mi renderò conto di che cosa mi si accusa e saprò rispondere punto per punto".

Tra loro, padre e figli, non avevano certo bisogno di parlare di conti correnti o di case nascoste, che Guido Del Turco giura che non ci sono e mai ci saranno, ma certo che su quel Vincenzo Angelini il discorso alla fine c’è caduto. "Vi racconto una cosa che forse non sapete. Quando sono arrivato alla Regione, ho fatto fate uno studio alla Cattolica sulla nostra sanità. S’è scoperto che in Abruzzo c’erano più ricoveri per malattie mentali d’Italia.

C’erano più pazzi allettati nelle case di cura che gente sana in circolazione fuori. E lui, Angelini, aveva una delle due case di cura di tutta la regione. Io gli ho tagliato i fondi. E così, quando abbiamo iniziato a tagliare le spese, lui ha iniziato a farmi la guerra. Tre anni dopo, ecco il risultato: lui fuori, io dentro. Il colmo".

In realtà Del Turco, ieri mattina non aveva gran voglia di parlare di accusatori e magistrati. Sul conto dei pm, se l’è cavata con una smorfia eloquente. Ma una battuta ancora su Angelini non se l’è risparmiata: "Incredibile. Ho scoperto dai giornali che si sarebbe mangiato 120 milioni di euro e che ha evitato la galera correndo a collaborare coi giudici. Da corruttore a concusso".

Il discorso è velocemente planato sulla politica e sui giornali. Le sue grandi passioni. Il figlio Guido gli ha portato i saluti di Berlusconi, giunti attraverso una persona amica. Tanti auguri di uscirne presto e bene. Ha apprezzato. "Mi dicono che sui giornali c’è scritto che io avrei attaccato Berlusconi, niente affatto. Ho solo spiegato che avevo ereditato un enorme deficit dal centrodestra".

Guido gli ha portato anche i saluti di alcuni ministri - Brunetta, Sacconi, Rotondi. Di vecchi del mestiere come Cossiga, Pannella e Giuliano Vassalli, che gli ha scritto una affettuosissima lettera per dirgli che non crede assolutamente alle accuse, e di giovani come Capezzone o Mantini. "Ma in verità i nomi di giornalisti e di politici sono tanti", spiegherà poi il figlio, giornalista del Tg5, che ormai s’è assunto il ruolo di portavoce e ambasciatore. Manca all’appello Veltroni, e in famiglia non mancano di farlo notare. E comunque: "Mi sono sospeso dal Pd... temporaneamente, mica a vita".

Dicono che ieri il Governatore fosse di buon umore, compatibilmente con il carcere. Ha apprezzato che gli abbiano portato fogli di carta e matite. Si era appena fatto la barba. "Alla cieca, senza specchietto. Non me lo danno perché hanno paura di qualche gesto inconsulto". È stato a questo punto che i figli hanno trovato il coraggio di fargli la domanda che più gli stava a cuore: ma perché ti sei messo a parlare di Gabriele Cagliari, che si suicidò in carcere? Non ci fare spaventare, dai.

E lui: "Ma no, che state a pensare. Io da qui esco con le mie gambe. Figurarsi. Ho ricordato il caso di Gabriele Cagliari perché lo arrestarono di luglio, come è capitato a me, e il giorno prima che lo scarcerassero un magistrato se ne andò in vacanza. Ecco, non vorrei che pure nel mio caso un pm o un gip se ne andassero al mare e mollassero la mia pratica sulla scrivania per vedere che succede quando tornano...".

Lettere: Favignana; 2 anni senza magistrato di sorveglianza

 

Lettera alla Redazione, 19 luglio 2008

 

Sono il Cappellano del carcere di Favignana, a Trapani: Casa di Reclusione, ma anche unica Casa di Lavoro del sud. Tra le tante problematiche che qui sono presenti, molte per fortuna tamponate con grande disponibilità dall’organico del penitenziario, una è davvero scandalosa. È oramai da due anni che siamo senza Magistrato di Sorveglianza: ci sono Magistrati che si alternano con la periodicità di quindici giorni... potete senz’altro immaginare con quale inefficienza viene portato avanti il loro lavoro.

Un piccolo esempio recentissimo: udienza con un internato il 7 luglio, rinvio dell’udienza al 29 settembre perché secondo il Magistrato mancava la documentazione, pervenuta invece il 16 giugno. L’educatore il giorno dopo chiama il Magistrato per spiegare che non mancava nulla e… trova un altro Magistrato, diverso da quello dell’udienza! Mostruoso! Non c’è continuità, non c’è conoscenza dei casi, c’è solo il disbrigo delle urgenze. Non per responsabilità del Magistrato ovviamente... ma resta comunque una situazione indecente!

 

Stefano Vesentini, Cappellano

Lettere: i detenuti da varie carceri scrivono a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 19 luglio 2008

 

Franco, da Sulmona

Caro Arena, le scrivo perché io da poco sono uscito dalla cella di isolamento del carcere di Sulmona, dove ora è detenuto il presidente Del Turco. E le racconto quale è la realtà di questa cella perché credo sia un posto poco adatto a una persona che non ha abitudini col carcere.

Deve sapere che sono tre le celle di isolamento a Sulmona. Tre celle messe al primo piano del reparto dei detenuti comuni. Tre celle una uguale all’altra. Celle che spesso vengono usate come magazzini e che all’occorrenza ci mettono un detenuto. La cella dove sta ora Del Turco, non è più grande di 3 metri quadri. Una specie di sgabuzzino. Non ci sono finestre in quella cella. O meglio la finestra c’è, ma è murata. Entrando sulla destra c’è una branda di ferro. Branda fissata a terra con dei bulloni. Una branda che non ha il materasso, ma al suo posto una semplice coperta. Sulla sinistra di questa celletta, c’è il bagno, vecchio e rovinato. Un bagno senza porta, fatto di un lavandino e di un water. Il bidè ovviamente non c’è. Se la cella è piccola si immagini il bagno! Nella cella di isolamento del carcere di Sulmona non hai nulla. Non solo non hai la luce del sole, ma non hai né Tv, né giornali. Il nulla del nulla. Si sta sempre chiusi lì dentro, tranne che per l’ora d’aria che si fa sempre da soli. Le assicuro che vivere lì dentro è veramente dura. È dura per chi è già stato in carcere e deve essere terribile per chi in carcere non c’è mai stato, come il Presidente Del Turco.

 

Jonas, dal carcere di Cagliari

Cara Radiocarcere, sono nigeriano e mi trovo detenuto nel carcere Buoncammino di Cagliari. Ma in verità io e la mia famiglia siamo giunti in Italia quindici anni fa, nella ricerca di una vita migliore. Abbiamo regolare permesso di soggiorno e paghiamo le tasse. Purtroppo il 24 novembre del 2006 hanno arrestato sia me che mia moglie, che è entrata in carcere con nostra figlia di un anno di età. L’accusa è terribile. Traffico di stupefacenti. Ma sia io che mia moglie siamo innocenti. Ci hanno fatto diverse perquisizioni, senza trovare nulla.

L’unica prova contro di noi sono delle intercettazioni telefoniche che però sono state tradotte in dialetto Ibu, quando noi parliamo il dialetto Igbo, che è assai diverso. È come prendere una conversazione fatta tra sardi e tradurla in calabrese. È ovvio che ne esce un’altra cosa. Le scrivo solo perché chiedo giustizia. Giustizia sia per me che per mia moglie che ora è in un carcere lontano con la nostra bambina. Una bambina che è stata portata in carcere ha 16 mesi, e che ad oggi ha trascorso più della metà della sua piccola vita dentro una cella. Le sono grato se potrà divulgare la nostra storia.

 

Massimo, dal carcere di Favignana

Caro Arena, sono uno di quelli che è sottoposto a una misura di sicurezza. Sono un internato. Ovvero una persona che, anche senza condanna, sta in carcere sul presupposto della sua presunta pericolosità. Io le scrivo dalla Casa Lavoro (si fa per dire) del carcere dell’isola di Favignana. Un posto folle. Le dico solo che la mia cella è messa a dieci metri sotto il livello del mare. Una caverna! Oltre a questo, volevo descriverle la situazione che viviamo noi internati, ovvero chi è sottoposto a misura di sicurezza.

Le porto il mio caso. Io sono stato dichiarato delinquente abituale nel 1996. Nel 2000, il Magistrato di Sorveglianza di Palermo mi inflisse due anni di misura di sicurezza. Finita questa, il Tribunale di Trapani mi ha inflitto un anno di libertà vigilata. Purtroppo dovendo mantenere la mia famiglia e lavorando, non ho rispettato alcuni obblighi e il magistrato mi ha applicato un altro ano di misura di sicurezza. Nel frattempo sono stato denunciato per ricettazione e può immaginare le conseguenze. Morale non sono più uscito dalla misura di sicurezza. Ma la cosa più incredibile è che mi continuano l’internamento in carcere anche se per la ricettazione sono stato prosciolto. La misura di sicurezza, infatti, prescinde dal reato. Così dicono. Ma così di distruggono delle vite. La mia storia di internato è simile a tante altre, troppo simili per essere un caso. Se già in carcere sei un emarginato, beh noi internati siamo gli emarginati degli emarginati. Spero che pubblicherà questa mia lettera, non tanto per me, ma per chi come me subisce misure di sicurezza in carcere in modo ingiusto e senza fare le opportune distinzioni sulla pericolosità.

 

Carmelo, dal carcere Ucciardone di Palermo

Caro Riccardo, ti volevo raccontare come siamo costretti a vivere qui nel vecchio carcere dell’Ucciardone di Palermo.Ti scrivo dalla mia cella, una cella vecchia puzzolente e sovraffollata. Siamo in sei detenuti dentro questa cella. Sei persone chiuse. Qui dentro la vita è resa ancora più difficile dal fetore che esce dal bagno e dall’umidità che trasuda dai muri. Infatti, soprattutto il muro adiacente al bagno è pieno di muffa ed è bagnato dall’umidità. Come se non bastasse lo scarico del bagno funziona male e la cella è inondata dai cattivi odori. Cosa comprensibile, visto che è un bagno usato da sei detenuti! Nei giorni scorsi ho fatto presente il problema all’ispettore, ma purtroppo né è nata una divergenza di opinioni e io sono stato punito. Mi hanno tolto il lavoro in carcere e rischio di perdere la liberazione anticipata. Inoltre l’amministrazione del carcere non ci fornisce detersivi idonei a pulire sia la cella che il bagno. E la sporcizia si accumula nel carcere dell’Ucciardone. Un carcere dove, da quando ci sono io, non è mai stata fatta mai una disinfestazione né nelle celle, né nei cortili dove facciamo l’ora d’aria. Per il resto, ti lascio immaginare come dobbiamo scontare la nostra detenzione. Non abbiamo nessun dialogo con gli educatori, e il lavoro in carcere è poco e non formativo. Neanche una partita a calcetto ci è concessa, figurati il resto. Spero che questa mia lettera arrivi, attraverso Radiocarcere, ai detenuti italiani perché insieme possiamo trovare il modo per migliorare le nostre condizioni di vita.

Veneto: a due anni dall’indulto carceri affollate come prima

 

Redattore Sociale, 19 luglio 2008

 

2.814 detenuti alla fine di giugno, numero aumentato di oltre cento unità in 60 giorni. Ornella Favero (Ristretti Orizzonti): "Colpa delle nuove leggi, delle strette del governo e della ex Cirielli in materia di recidiva".

Nella primavera del 2006 nelle carceri venete erano detenute fino a 2.860 persone. Quasi due anni e mezzo dopo la situazione è praticamente la medesima: a fine giugno 2008 il dato contava 2.814 persone. Soltanto due mesi prima erano 2.709, il che significa un aumento di oltre cento unità in 60 giorni. Ma non è la recidiva a dover andare sul banco degli imputati, quanto piuttosto, a detta della direttrice di Ristretti Orizzonti Ornella Favero, "le nuove leggi, le strette del Governo e la ex Cirielli in materia di recidiva".

Le rilevazioni parlano di 305 presenze nella casa circondariale vicentina a giugno (erano 264 nel 2006) a fronte di una capienza di 136. A Belluno i detenuti prima dell’estate erano 139, 12 in più di due anni prima, con una capienza effettiva di 84 posti. Padova: nella casa circondariale, con una capienza di 98 posti, si contano ora 185 detenuti, contro i 233 di due anni fa. Nella casa di reclusione invece sono 698 i detenuti (erano 730 prima dell’indulto), mentre la struttura ne potrebbe accogliere 446.

Non va meglio a Rovigo, con 100 persone ristrette (111 in passato) e 66 posti, così come a Treviso dove, con 252 detenuti, si è in pari con il dato del 2006. Ancora: a Venezia le stime parlano di 285 presenze, di una capienza massima di 111 posti e di un dato pre-indulto che si attestava a 246. A Verona, infine, 773 detenuti a giugno 2008, 739 nello stesso mese del 2006, 564 posti previsti. La situazione per le donne a Venezia: la casa circondariale della Giudecca risulta vuota dal marzo di quest’anno, mentre nella casa di reclusione si contano 77 detenute, contro le 97 di due anni fa e per una capienza di 111 posti.

I dati, pubblicati dal Centro Francescano d’Ascolto, non stupiscono chi nel carcere opera quotidianamente, a contatto con il personale, con la direzione, con i detenuti. E il giudizio è unanime: si è tornati al punto di partenza, con carceri strapiene e condizioni invivibili. È duro il commento di Livio Ferrari, direttore del Centro Francescano d’Ascolto, che accusa l’immobilismo e le scelte della politica: "Non hanno capito niente di cosa vuol dire stare in un carcere, non hanno l’interesse a cambiare nulla della situazione attuale.

Anzi, non fanno altro che parlare di nuove carcerazioni. Se si andrà avanti così sarà sempre peggio". La paura per il futuro è condivisa da Favero, che segnala la riduzione delle uscite attraverso lo strumento della misura alternativa: "Vista la situazione attuale, il pensiero va a quello che potrà accadere tra pochi mesi, con l’approvazione del Pacchetto sicurezza. Non so come potrà essere gestibile la situazione".

Un altro affondo Ferrari lo lancia in due direzioni: "Innanzitutto mi preme sottolineare il mancato passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale, perché le Regioni non si decidono a legiferare. In secondo luogo, contesto una circolare assurda che ha imposto la rimozione dal ruolo di direttore per hanno assunto tale ruolo gradualmente per coprire i posti lasciati vacanti in assenza di un concorso atteso da anni. Ora persone competenti come la direttrice di Vicenza hanno dovuto fare un passo indietro e capita di avere un direttore per quattro istituti".

Palermo: assolti 7 agenti Gom accusati di violenze a detenuti

 

Agi, 19 luglio 2008

 

Sette agenti di Polizia Penitenziaria sono stati assolti dalle accuse di violenza privata, maltrattamenti e abuso d’ufficio: gli imputati, già in servizio nel carcere palermitano di Pagliarelli, facevano parte del Gom, il Gruppo Operativo Mobile che si occupa della sorveglianza dei collaboratori di giustizia e delle sezioni ad alto rischio.

Proprio i pentiti, siciliani e pugliesi, detenuti al Pagliarelli, secondo i Pm Fabrizio Vanorio e Nino Di Matteo, sarebbero stati vittime di violenze, fisiche e morali, ripetute. La sentenza è della prima sezione del Tribunale di Palermo, presieduta da Cesare Vincenti.

L’assoluzione è stata pronunciata con la formula che un tempo era dubitativa e che oggi è stata cancellata dal codice, nei confronti di Stefano Danzè, Salvatore Luigi De Blasi, Matteo Longobucco, Alfonso Muscariello, Gavino Pintore, Domenico Restivo e Bernardo Salvato. Determinanti per le assoluzioni le notevoli contraddizioni emerse nelle versioni rese dai collaboranti.

Napoli: convegno dell’Osservatorio Giuridico sul ddl sicurezza

 

Caserta Sette, 19 luglio 2008

 

Si è tenuto l’altro giorno, presso le aule del Consiglio dell’Ordine di S. Maria C.V., un interessante convegno, organizzato dall’Osservatorio Giuridico Italiano, sui ddl in approvazione in questi giorni da parte del Parlamento. Giuristi, operatori del diritto, magistrati, docenti universitari e avvocati si sono confrontati su questi argomenti di scottante attualità, quali sono appunto la sicurezza del cittadino e l’emergenza legislativa. Le approfondite riflessioni sono state seguite da moltissimi praticanti perché il convegno prevedeva 3 crediti formativi.

In apertura, il Dr. Nicola Graziano, Magistrato presso il Tribunale di Vallo della Lucania, componente del Comitato Scientifico Strumentario Avvocati Diritto e Procedura Civile, che ha moderato, con molto garbo e anche replicando puntigliosamente ad ogni intervento, ha segnalato l’assenza del Presidente dell’Ordine degli Avvocati Elio Sticco e del Presidente del Tribunale Dr. Andrea Della Selva, deputati nella locandina a porgere i saluti di rito, perché costretti a raggiungere il magistrato Lucio Di Nosse, presidente della Sezione Fallimentare del Tribunale di S. Maria C.V., per il grave lutto che lo ha colpito con la perdita della adorata madre.

Il primo a prendere la parola - nella sala gremita - è stato l’avvocato Giulio Amandola, presidente della sezione sammaritana dell’Osservatorio Giuridico Italiano, che ha porto il saluto ai convegnisti e che ha tra l’altro detto:" Il pacchetto "sicurezza" varato dal Governo, mette in atto riforme al codice penale e di procedura, inasprendo le pene e dando facoltà ai sindaci viene a modificare il codice e instaura una serie di dubbi sulla sua attuazione". È stata poi la volta dell’avvocato Costantino Grasso, responsabile della sezione napoletana, dell’Osservatorio Giuridico Italiano.

Con la proiezione di una serie di diapositive, l’oratore, con una appropriata dialettica e una carica emotiva ha pronunciato una vera e propria "requisitoria" contro il cosiddetto "pacchetto" sicurezza" mettendo in luce varie contraddizioni. Ha tra l’altro detto che "Quelle del Governo sono modifiche gravi che sono state attuate sull’onda emozionale ma che poi restano nell’applicazione della legge".

E poi passato ad illustrare la differenza delle pene edittali che sono state inasprite, dichiarando che a suo giudizio alcune norme sono in contrasto con la normativa comunitaria. Secondo l’avvocato Grasso è esagerata la sanzione dell’aggravante, per chi trasgredisce all’ordine di espulsione e questa norma sarebbe addirittura in contrasto con quanto sancito nella carta per i diritti dell’uomo. Gli avvocati, insomma non sono d’accordo per le pene pesanti.

Grasso ha anche molto criticato la norma che prevede 6 anni di carcere a chi altera il proprio viso (plastica facciale) e si è addirittura appreso che molti extracomunitari, si sottopongono a trattamenti con acidi per modificare le loro impronte digitali. L’avvocato Costantino Grasso si è molto soffermato sull’aspetto delle aggravanti ed ha criticato in particolare quelle sulla guida in stato di ebbrezza o di chi ha assunto droga, (da 3 a 10 anni), quelle sulla incensuratezza (non saranno concesse le attenuanti generiche e sarà invece applicata l’aggravante della clandestinità), quelle sulla uccisione di un pubblico ufficiale che comporteranno l’ergastolo, quelle sull’applicazione del 416 bis anche alle organizzazioni (non solo mafiose) straniere.

"Questa - ha concluso l’avvocato Grasso - è la legislatura dell’emergenza, con nuove fattispecie delittuose, legate all’umore popolare che sembra - non una modifica per la sicurezza - ma un diritto contro lo straniero". È stata poi la volta del Sostituto Procuratore dr. Donato Ceglie, (magistrato con vecchia militanza nella lotta all’inquinamento e alla distruzione del territorio. Famose le sue inchieste sul villaggio Coppola, il fiume Volturno, la scoperta di centinaia di discariche e di siti tossici, ed era proprio da pochi minuti reduce di una conferenza stampa, per l’arresto degli ennesimi avvelenatori del nostro territorio) al quale è stato affidato il gravoso compito di discutere sulla istituzione del cosiddetto " Il Tribunale della monnezza".

Il dr. Ceglie è stato molto duro ed ha sfoderato la sua forbita dialettica, la sua esperienza e la sua competenza in una settore, che lo ha visto dalla prima ora, uno dei protagonisti della lotta all’inquinamento. L’oratore ha prospettato, tra l’altro, la istituzione di "un protocollo condiviso", un tavolo di confronto - perché il sapere giuridico - ha detto Ceglie - porta ad un confronto tra operatori del diritto in un clima di collaborazione per essere più efficienti; protocolli che stanno dando i loro frutti in altre parti d’Italia".

Ceglie ha dunque auspicato una "giustizia celere e giusta". È passato poi ad esaminare la cosiddetta circolare Maddalena (una vecchia circolare che suggerisce ai Presidenti dei Tribunali di dare una precedenza allo svolgimento dei processi di allarme sociale), proponendo un tavolo di incontri a corsie preferenziali per i processi sugli infortuni sul lavoro. "Più efficienza" - ha auspicato l’illustre oratore - con i cosiddetti "protocolli condivisi" che stanno giovando in alcuni tribunali d’Italia. Meno protagonismo e meno antagonismo tra avvocati e magistrati".

Come pure bisogna disciplinare - ha proseguito Ceglie - l’uso e le citazioni dei testi- specialmente per i rappresentati delle forze dell’ordine - precisando gli orari delle udienze, onde evitare di far vagare per l’Italia con spese esorbitanti della giustizia migliaia di funzionari distraendoli quasi sempre da servizi istituzionali più urgenti".

Il dr. Ceglie ha auspicato una giustizia più umana, più civile, più normale… in un paese normale. È passato poi a trattare le problematiche del cosiddetto "Tribunale Regionale dei Rifiuti". "A giudicare, però, dagli atteggiamenti nel campo della gestione dei rifiuti, con il traffico illegale di quelli tossici, al relativo disastro ambientale, provocato in Campania - ha precisato Ceglie - mi viene da pensare, che il nostro non è un Paese normale.

È una guerra, dove gli atteggiamenti schizofrenici del legislatore imbarstadiscono l’opinione pubblica - mentre da un lato assistiamo all’inasprimento delle pene per alcuni reati e dove manca solo la pena di morte - dall’altro la drastica diminuzione delle intercettazioni telefoniche. È un clima schizofrenico! Se si pensi solo al fatto proprio che le intercettazioni hanno fatto scoprire molti traffici illeciti dei rifiuti, centinaia di discariche abusive, migliaia di fusti tossici, come quello di aggi. Erano stati arrestati proprio su richiesta del piemme, in quello stesso giorno, vari personaggi, che falsificavano certificazioni per smaltire fanghi tossici.

Ceglie è infatti noto per essere una paladino della lotta alle ecomafie. Il sostituto Procuratore dr. Donato Ceglie è passato poi ad esaminare le contraddizioni che sono state evidenziate con la istituzione del tribunale della mondezza. "Vi sono logiche che vanno oltre lo strumento generale e che hanno creato un diritto regionale violando il quadro istituzionale e la stranezza - ha detto - sta nel fatto che quello che è tossico altrove in Campania diventa un rifiuto da poter regolarmente depositare in una discarica normale.

È un aspetto offensivo, è una lesione al principio costituzionale (art. 32 sulla salute) specialmente in un territorio come il nostro già abbondantemente martoriato, vilipeso e violentato per i traffici illeciti". Ceglie ha poi criticato il fatto che si è istituito un "tribunale a tempo" nel senso che avrà la durata di un anno e ha poi puntualizzato il fatto che molti casi di traffici e smaltimenti ipotizzati dalla Procura sammaritana e rimessi - come per legge - al Tribunale Regionale dei Rifiuti - sono stati rimandati indietro ritenendo la competenza del Tribunale di S. Maria C.V. Si è poi complimentato con il Noe dei carabinieri di Caserta e ha detto che questo nucleo si è specializzato nella ricerca dei traffici velenosi tanto da esserci invidiato da tutte le Procure d’Italia. A questo punto vi è da registrare l’intervento del coordinatore dr. Graziano il quale - così come ha fatto con gli altri interventi - ha spesso rettificato il tiro su alcune affermazioni dissociandosi - ed in particolare - per quanto attiene all’inasprimento delle pene per le cosiddette barricate - ha precisato che " Comunque qualcosa andava fatto". Ha preso la parola - con notevole ritardo sulla tabella di marcia con un uditorio stanco e accaldato data l’ora - l’avvocato Patrizia Cianni, componente del Comitato Scientifico Strumentario Avvocati rivista di Diritto e Procedura Civile la quale nonostante l’ora è riuscita con la sua verve e con le sue argomentazioni a interessare gli operatori del diritti presenti in aula. L’avv. Cianni ha trattato, con dovizia di particolari, la "Tutela giurisdizionale" ed in particolare la legittimità costituzionale dell’attribuzione di tutte le controversie in materia di gestione dei rifiuti presso il Tar del Lazio.

"Tutto ciò - ha detto l’avvocatessa Cianni - andrebbe ad alterare l’amministrazione della giustizia amministrativa specialmente per quanto attiene il diritto alla salute del cittadino che andrebbe invece coordinato in modo diverso. Con il decreto 90 (in corso di definitiva approvazione) e con la scusa dell’emergenza dei rifiuti, si sono introdotti strumenti che non sono accettabili (come l’esclusiva del Tar ) e la cosa più grave appare il fatto che coloro i quali hanno gestito l’emergenza vogliano anche gestire la cura".

Patrizia Cianni è poi passata a leggere una ordinanza del Tar del Lazio che riguarda appunto il caso emblematico della discarica di Serre ed ha criticato i due decreti legge dichiarando che: "Oggi si lavora ad uno Stato di antidiritto e che ciò rappresenta una sospensione della garanzia costituzionale cosa che è trasversalmente voluta da tutti".

Su specifica domanda, poi, di un partecipante rivolta a Ceglie, vi è stata una breve replica dello stesso il quale ha detto che: "la schedatura del Rom è una norma fascista! Gli stati Europei debbono sapere che in Italia si stanno riesumando norme fasciste". Ha preso poi la parola l’avvocato Mario Covelli, coordinatore dell’Ufficio del Giudice di Pace di Marano, il quale si è soffermato - nel corso della sua interessantissima "arringa" sull’aspetto e sulle responsabilità dei media dichiarando testualmente che: "La colpa è dei giornali se oggi si può parlare di emergenze e di norme emergenziali.

La spinta mediatica ha fatto partorire provvedimenti in contrasto con la costituzione. C’è un divario tra la costituzione scritta e che quella che si applica e per ciò siamo tutti correi della costituzione dell’emergenza. Oggi non si pensa altro che al carcere mentre si dovrebbero studiare - almeno per certi tipi di reati - le alternative al carcere. È stato vietato perfino il patteggiamento in appello i diritti della difesa sono mortificati specialmente per quanto attiene ai processi per direttissima. Con i decreti legge 90 e 92 è stata modificata mezza parte del codice di procedura penale. Hanno istituito nei tribunali l’ufficio del processo, la notifica elettronica con certificato Internet, le informazioni per il decreto di irreperibilità le fornirà l’ufficiale giudiziario, modificata la recidiva della legge Cirielli, modificata la prescrizione (4 anni contravvenzioni, 6 anni delitti, 30 anni altri), abbreviato anche in Corte di Assise, aumentati i giorni di proroga per le indagini, la cosiddetta udienza di programmazione (cioè si deve sapere in quante udienze si potrebbe definire il processo).

È un pacchetto - ha detto l’avvocato Covelli - di schizofrenia e repressione antigarantista. Si è detto poi contrario alla soppressione dei Pretori ed ha espresso le proprie preoccupazioni per la abrogazione della Legge Gozzini (così come ha ipotizzato l’ avv. Alfonso Quarto, in un suo interessante articolo apparso nei giorni scorsi su "Il Denaro" - N.d.R). Ha preso poi la parola l’avvocato Antonio Mirra, del Foro di S. Maria C.V. il quale si è soffermato sulle modifiche legislative al codice della strada (artt. 589 - 590 c.p.).

"Le norme ha detto l’avvocato Mirra facevano già parte di un disegno di legge del precedente governo. Sono effetti rimpastati - ha continuato i noto penalista - e l’attuazione non è altro che una decisone forte di questo governo. Le novità più evidenti sono il rifiuto di sottoporsi all’ alcoltest, la competenza del tribunale (anziché del giudice di Pace) se l’automobilista è drogato o ubriaco". A questo punto è intervenuto, ancora una volta, il moderatore Nicola Graziano, il quale ha aggiunto che: "Una lettura tecnica e un giudizio sereno sarà opportuno esprimerlo dopo l’approvazione definitiva e tuttavia sarà molto utile agli operatori del diritto".

Nella seconda sessione del convegno ha preso la parola il dr. Luigi Levita, magistrato, direttore scientifico Strumentario Avvocati rivista di diritto e procedura penale, che ha parlato sulle modifiche legislative in tema di immigrazione ed espulsione. In apertura il dottor Levita ha dato una sua interpretazione sul decreto 90 e 92 concludendo che in effetti non vi è il blocco dei concorsi in magistratura (bloccati con un decreto e liberati con un altro).

Dopo aver illustrato le varie fasi delle modifiche apportate ha poi intrattenuto l’oratorio stigmatizzando le modifiche ai due decreti affermando che è fallita l’esperienza delle commissioni le quali lavorano per anni alle modifiche del codice e poi il governo non ne tiene affatto conto. Il giudice Levita ha poi detto è manifestamente incostituzionale l’ipotesi della aggravante per il clandestino che trovandosi in Italia non ha i regolari documenti.

Si andrebbe verso una aggravante dell’aggravante. Tutto questo guazzabuglio è stato definito dall’oratore una sorta di rito Vesuviano. Poi, avviandosi alla conclusione, ha detto: "Con la speranza che la pratica del sospetto non prenda piede e che i giuristi lavorino per migliorare i predetti decreti". Il penultimo oratore è il stato l’avvocato Alfonso Quarto, consigliere dell’Ordine degli avvocati di S. Maria C.V., Presidente dell’ Associazione Italiana Giovani avvocati e assistente di procedura penale all’ Università samaritana il quale ha trattato gli aspetti degli interventi in materia di misure di prevenzione e criminalità organizzata.

Il prof. Quarto ha detto di aver sollevato egli stessi innanzi al Tribunale una questione di illegittimità costituzionale sull’abolizione del patteggiamento in appello. Ha poi criticato l’uso del decreto legge invece delle vie ordinarie. "Anche i procuratori antimafia potranno chiedere la misura di prevenzione e la conseguente confisca dei beni in disponibilità dei presunti mafiosi. Come pure l’attacco ai patrimoni mafiosi sono - secondo l’avvocato Quarto - lo strumento più importante contro le consorterie camorristiche e mafiose anche se queste sono delle scorciatoie per le Procure. Il guaio, però, ha detto Quarto, che spesso si confiscano beni anche a persone che poi in definitiva non risultano appartenenti ad organizzazioni camorristiche.

Oggi ci troviamo di fronte alla cultura del sospetto e il sospetto non assurge a prova. Tutto ciò - ha concluso Quarto - si ritorce contro il cittadino onesto e le esigenza della tutela della collettività vengono a mancare". Infine ha auspicato un razionale utilizzo dei patrimoni confiscati e una più ampia tutela per le persone che si sono travate coinvolte in queste vicende".

Il moderato ha citato in proposito il fatto che l’Agenzia delle Entrate di Caserta non fornisce neppure l’elenco dei beni confiscati. In chiusura si è detto soddisfatto del convegno definendolo "un incontro tra la tecnica e la pratica". Ha concluso l’avv. Tiziana Barrella, responsabile scientifico dell’O.G.I. di S. Maria C.V. affermando tra l’altro che più carcere, più ergastolo, più pena, non significa più sicurezza, citando esempi nei paesi ad alto indice criminale, dove pure è in vigore la pena di morte. Ha auspicato più dialogo all’interno delle famiglie, della società civile, con nuove e innovative proposte. Del comitato organizzatore facevano parte Giulio Amandola, Tiziana Barrella, Antonio Battaglioni, Patrizia Cianni, Massimo Cammina, Ciro Torella, Gianluca Tretola e Annamaria Vozza. Perfetta, come sempre l’egida occulta di Elio Sticco.

Aversa: teatro all’Opg, intervista con la "psicologa di scena"

 

www.teatro.org, 19 luglio 2008

 

Dopo aver applaudito gli attori dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa che, nel’ambito della rassegna "Il carcere possibile", hanno presentato il loro ultimo lavoro "L’eccezione è la regola", libero adattamento della pièce brechtiana, abbiamo incontrato Alessia Pagliaro, dinamica ed appassionata psicologa che segue, all’interno dell’Opg, l’esperienza di teatro terapia avviata già da qualche anno.

 

Allora Alessia, spiegaci come è nato questo meraviglioso progetto teatrale all’interno dell’Opg…

L’esperienza è stata avviata grazie all’impegno dei due registi, cioè Anna Gesualdi e Giovanni Trono, che hanno felicemente pensato di veicolare le infinite potenzialità catartico-terapeutiche della drammatizzazione all’interno dell’Opg.

Il loro è nato come un progetto dalle grandi ambizioni, un progetto che mira non solo a creare un circolo virtuoso tra teatro e terapia, ma che intende istituire una vera e propria compagnia stabile all’interno dell’Opg e bisogna sottolineare che questa è davvero un’idea molto stimolante perché vuole riconoscere all’esperienza teatrale non soltanto potenzialità terapeutiche ma anche la forza di riqualificare umanamente e professionalmente l’individuo: i ragazzi che vanno in scena, infatti, non sono ricoverati dell’Opg che si misurano con un progetto teatrale ma veri e propri attori che vivono, nel loro privato, il dramma personale della detenzione e del disagio psichico.

 

Che tipo di lavoro affrontano i ragazzi dell’Opg coinvolti nell’esperienza teatrale?

Anna Gesualdi e Giovanni Trono propongono percorsi di training e studio che sono al tempo stesso estremamente rigorosi ma anche molto aperti alla soggettività ed al vissuto di ogni singolo membro del gruppo. Il loro lavoro, che naturalmente passa anche attraverso l’improvvisazione, è lavoro di squadra, nella misura in cui è finalizzato a creare una positiva e costruttiva dinamica relazionale, ma è anche lavoro centrato sulla singola persona, sulla memoria e sull’urgenza comunicativa di ciascun detenuto.

 

All’interno di un simile percorso, che ruolo ricopre la figura dello psicologo?

La presenza dello psicologo è legata all’istanza più marcatamente terapeutica dell’operazione, per esempio dopo aver messo in scena "Aspettando Godot" di Beckett, ogni attore ha avuto reazioni differenti ed allora è stata importante la presenza di uno specialista in grado di leggere e decodificare le reazioni emerse alla luce di un iter terapeutico più lungo e complesso.

 

Quanto incide, secondo te, l’esperienza teatrale sulla condizione psicofisica generale del ricoverato-detenuto?

Io credo abbia una forza d’impatto notevole. Chi conosce la realtà dell’Opg, sa bene che parliamo di una sorta di buco nero, all’interno del quale l’individuo entra senza sapere più se, come e quando ne potrà uscire. Infatti entrano in Opg tutti coloro che, giudicati colpevoli, vengono ritenuti incapaci di intendere e di volere e la loro detenzione non cessa, come per tutti gli altri detenuti, al temine della pena, bensì quando non sono più reputati pericolosi per la società. Ma occorre riflettere sull’ardua definibilità del concetto di pericolosità sociale, circostanza da cui deriva che, per molti ricoverati, l’Opg si trasforma in una sorta di trappola che li sospende in un limbo sinistro e senza speranza in cui possono restare reclusi, tragicamente, ben oltre il tempo previsto dalla relativa pena. Insomma in Opg tutte le certezze, benché tristi, di un carcere normale si sbriciolano e vengono meno, rimane solo la paura, la solitudine e l’esclusione dal mondo esterno.

 

Su quale aspetto dell’esperienza teatrale ti capita di lavorare più frequentemente?

Dopo ciascuna messinscena, il lavoro terapeutico continua e si focalizza essenzialmente sul fatto di essere usciti fuori, sull’opportunità di aver visto ed aver interagito con la società dopo tanto tempo; analizziamo, infatti, la conseguente e immaginabile sensazione di disorientamento e spiazzamento che ne deriva. Lavoriamo molto sull’uscire, su cosa rappresenti per loro raccontare e raccontarsi, su che valore attribuiscano alla possibilità di portare all’esterno dell’O.P.G. la propria voce e la propria testimonianza.

 

In che senso gli attori dell’Opg di Aversa, attraverso il teatro, pensano di portare all’esterno una propria testimonianza?

Durante lo studio del copione e durante gli esercizi di training ed improvvisazione, i ragazzi della compagnia, partendo dal plot del testo selezionato, nella fattispecie "L’eccezione e la regola" di Brecht, hanno portato a termine una sorta di ristrutturazione corale del testo e, seguendo ciascuno la propria naturale inclinazione, il testo è diventato il canale perfetto per comunicare a chi è fuori qualcosa che ci riguarda tutti indistintamente e, nello specifico, di come la loro condizione, ritenuta asistematica rispetto alla regola, li ponga in una situazione di scacco senza rimedio. Ma in realtà, come ci è chiaro già dal titolo della performance dei ragazzi dell’Opg, l’eccezione è la regola, perché noi, per fortuna, siamo tutti delle eccezioni, tutti caratterizzati da una cifra umana ed esistenziale che, per natura, non può definirsi conforme né ad alcuna regola né ad alcuna legge di omologazione.

A tale proposito, ritengo significative alcune dichiarazioni che ho raccolto dagli attori subito dopo lo spettacolo: Fabio, che interpreta con grande personalità il ruolo del Portatore, mi ha detto che questa esperienza, secondo lui, è fondamentale perché, grazie allo spettacolo, i ragazzi della Compagnia dell’Opg hanno la possibilità di esprimersi liberamente in quanto l’intento di tutto il gruppo è quello di comunicare un messaggio, di dire qualcosa che appartiene alla quotidianità della loro vita ma che può essere utile anche agli spettatori. Fabio, inoltre, ha giustamente messo in evidenza che la forza di questo messaggio sta anche nel modo inconsueto con cui si è scelto di comunicarlo e crede che, proprio per questo, il pubblico è stato più disponibile a recepirlo.

Così anche Ezio, che in Opg è entrato da poco e che interpreta con straordinaria vivacità il ruolo della guida, ci ha tenuto a sottolineare che, quando va in scena con "L’eccezione è la regola", si sente interprete di qualcosa che lo riguarda davvero da vicino, insomma Ezio più che recitare ci parla di sé. Tutto ciò, come è facile intuire, rappresenta un risultato incredibile sia in termini artistici che terapeutici.

 

Infine, mi spieghi come viene accolta questo tipo di iniziativa dalla Direzione Sanitaria dell’Opg e dall’Amministrazione penitenziaria?

Nel complesso il progetto è accolto con grande collaborazione; la Direzione Sanitaria dell’Opg si è sempre dimostrata molto partecipe e sostiene il progetto con grande impegno ed entusiasmo. Talora qualche piccola difficoltà riguarda il rapporto con l’Amministrazione penitenziaria che però, sebbene forse relativizzi la portata dell’operazione, manifesta costantemente una grandissima disponibilità nel facilitarci l’attività e consentirci di operare quanto meglio possibile.

Napoli: uno spettacolo teatrale itinerante per carceri cittadine

 

Il Mattino, 19 luglio 2008

 

Uno spettacolo teatrale itinerante: il 18 luglio a Poggioreale, il 21 a Secondigliano, il 28 luglio nel carcere minorile di Nitida. L’idea è dell’assessorato alle Politiche sociali del comune di Napoli, che ha sposato un’iniziativa già sperimentata nel carcere romano di Rebibbia. Una serie di rappresentazioni teatrali per consentire anche a chi è soggetto a restrizioni della libertà personale a partecipare attivamente a iniziative a sfondo sociale. Gli spettacoli rientrano nell’ambito del programma Estate serena, promosso dall’amministrazione di palazzo san Giacomo a favore delle fasce deboli della popolazione. Le rappresentazioni sono realizzate dalla compagnia Stabile assai di Rebibbia, prima compagnia teatrale composta solo da detenuti. Nel corso del dibattito, l’assessore Riccio si è detto convinto che le istituzioni debbano impegnarsi molto di più per offrire una vita più dignitosa alle popolazioni carcerarie

Immigrazione: gli esperti Onu contro le nuove regole dell’Ue

 

Reuters, 19 luglio 2008

 

Un gruppo di esperti indipendenti che lavora per il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha espresso oggi preoccupazione per la nuova normativa adottata dall’Unione Europea in materia di immigrati clandestini, affermando che i migranti illegali non sono criminali e non vanno incarcerati.

In una dichiarazione congiunta, i 10 esperti hanno reso noto di aver scritto alla Francia, cui spetta la presidenza di turno dell’Unione e a tutti i 27 stati membri in vista di un vertice dei ministri dell’Interno e della Giustizia della Ue fissato per giovedì prossimo.

Secondo le norme approvate a giugno dall’Europarlamento, gli immigrati clandestini possono essere detenuti per un periodo di 18 mesi e vedersi poi imporre un foglio di via che ne impedisce il ritorno sul territorio Ue per 5 anni. Gli Stati hanno già approvato la normativa a maggio.

"La nostra preoccupazione principale riguarda il regime di detenzione... la direttiva prevede un periodo che può arrivare fino a 18 mesi, che sembra eccessivo", dice la nota degli esperti Onu. La normativa Ue consentirà agli Stati di porre in detenzione anche i minori non accompagnati, vittime del traffico di esseri umani e altre persone vulnerabili, secondo gli esperti.

"Gli immigrati clandestini non sono criminali. Di norma, non dovrebbero essere affatto sottoposti alla detenzione", dice la dichiarazione. "Gli stati membri sono obbligati a esplorare la disponibilità di alternative alla detenzione e la detenzione deve essere applicata per il periodo più breve possibile".

La Commissione europea ritiene che siano circa 8 milioni gli immigrati clandestini presenti sul territorio dell’Unione. Nella prima metà del 2007 ne sono stati arrestati oltre 200mila. Meno di 90mila sono stati espulsi. L’adozione della nuova normativa ha provocato l’accusa di xenofobia da parte di stati africani e altri paesi, e sono il risultato dello sforzo della Francia per varare una politica europea comune contro l’immigrazione clandestina, promuovendo al tempo stesso quella legale e una comune politica di asilo della Ue entro il 2010. Gli esperti Onu invitato la Ue a rafforzare le procedure di revisione giudiziaria della legalità della detenzione.

"Occorre mantenere tempi limite stabiliti per la revisione giudiziaria anche in situazioni di emergenza, quando un numero eccezionalmente vasto di immigrati senza documenti entrano nel territorio di uno stato membro". Se gli immigrati presentano appello contro le decisioni, le ordinanze di rimpatrio devono essere sospese in attesa della decisione sul ricorso, dicono gli esperti.

Immigrazione: Prefetto Roma; censimento su base volontaria

 

Dire, 19 luglio 2008

 

L’annuncio del Prefetto di Roma: "Chi non vuole dare i suoi dati non li darà e quelli raccolti rimarranno anonimi e non saranno trasmessi alle forze di polizia". Le impronte? "Solo in caso di segnalazioni di reato".

"Non sarà un’operazione di polizia il censimento dei Rom e dei Sinti della capitale, sarà su base volontaria. Chi non vuole dare i suoi dati non li darà e quelli raccolti rimarranno anonimi e non saranno trasmessi alle forze di polizia se non in casi particolari. Anche il metodo della rilevazione delle impronte non sarà utilizzato a meno che non ci siano segnalazioni di reato da parte dei magistrati così come avviene per tutte le persone sospettate o criminali. Anche per quanto riguarda allontanamento e espulsioni si procederà secondo la legislazione nazionale e europea e saranno espulse solo le persone delinquenti. Questa è una grande operazione sociale e non è una schedatura di polizia". Queste sono state le risposte che il prefetto di Roma Carlo Mosca ha dato oggi pomeriggio ai giornalisti in occasione della presentazione ufficiale del censimento socio- sanitario affidato alla Croce Rossa. Il prefetto Mosca - a chi gli chiedeva se le sue decisioni si possono considerare in alternativa o perfino in contrasto alle ordinanze del ministro dell’Interno Roberto Maroni - ha spiegato che "sarà proprio il ministero a fornire a giorni le linee guida generali di tutto l’intervento a livello nazionale sui rom".

"Le linee guida - ha precisato Mosca - non saranno troppo difformi dall’impostazione che è stata data a Roma della questione. Sarà l’occasione per rendere omogenei tutti gli interventi mentre il presidente della Croce Rossa Massimo Barra ha annunciato la possibilità di estendere questo esperimento romano anche a livello europeo. "Ci sono campi e insediamenti - hanno spiegato sia Mosca che Barra - dove nessuno è mai andato e queste popolazioni rom sono state tenute ai margini della nostra società". Il prefetto Mosca ha detto di essere un uomo "di solidarietà e rigore", sottolineando quindi la necessità di dare priorità all’intervento sociale piuttosto che a quello repressivo di polizia. Nella conferenza stampa di oggi è stato anche spiegato che l’obiettivo principale della rilevazione dei dati tra i rom è la possibilità di avvicinarsi alla garanzia dei diritti fondamentali come la scuola, la salute e il lavoro.

Il prefetto Mosca ha commentato anche con preoccupazione i dati sulla dispersione scolastica dei Rom che vengono iscritti nella scuola dell’infanzia e in quelle elementari ma poi in pochi arrivano alle superiori. Sarà centrale anche la questione dei documenti, soprattutto per quei gruppi che non hanno più una patria come i Rom della ex Jugoslavia. Il predetto ha spiegato anche che i dati raccolti nei campi saranno affidati all’Istituto di ricerca Gugliemo Tagliacarne e all’università di Roma dipartimento di Sociologia e comunicazione per uno studio più analitico e completo della realtà rom in Italia.

Tutti i dati e studi serviranno come base per proposte di intervento del Legislatore. La data di conclusione della rilevazione a Roma sarà il 15 ottobre. Il prefetto, rispondendo ai giornalisti ha anche spiegato che incontrerà tutte le associazioni perché "oltre all’Opera Nomadi" ce ne sono moltissime che hanno accumulato una grande esperienza in questo tempo come tra gli altri l’Arci, la comunità di Capodarco e la Comunità di Sant’Egidio. Ma Mosca ha anche detto che ha ricevuto richieste di incontri direttamente dalle comunità rom. "Io - ha dichiarato - non poterò vedere 10 mila persone, ma almeno 100 ne ascolterò".

Droghe: Giovanardi s'incontra con le Comunità Terapeutiche

 

Dire, 19 luglio 2008

 

Il Sottosegretario ha incontrato le Comunità Terapeutiche a Palazzo Marini. "Un clima di costruttiva e virtuosa collaborazione". Presenti 220 organizzazioni: primo problema, l’inadeguatezza delle risorse.

"Un clima di grande, costruttiva e virtuosa collaborazione tra pubblico e privato": è quanto emerge, secondo il sottosegretario Carlo Giovanardi, dall’incontro con le comunità terapeutiche che si è svolto stamattina a palazzo Marini. 220 le organizzazioni partecipanti, oltre 30 quelle che hanno preso la parola per illustrare, come richiesto dal sottosegretario stesso, le condizioni e le criticità del loro lavoro. Giovanardi, aprendo l’incontro, ha ribadito le due condizioni imprescindibili poste dal governo nell’approccio alle tossicodipendenze: l’illiceità del consumo e la finalizzazione del trattamento al pieno recupero della persona.

"I punti di approfondimento fondamentali - ha ricordato a Redattore Sociale il sottosegretario - sono la collaborazione tra pubblico e privato sui territori e il rapporto Stato-Regioni. Ciò che emerge dall’incontro di stamattina è "innanzitutto una grande condivisione delle linee di indirizzo e la volontà comune di partecipare alla quinta conferenza nazionale, in programma per il prossimo anno. Sono poi emersi molti spunti di riflessione sulla cocaina, sulle nuove droghe, sull’immigrazione e su molte altre questioni importanti".

Per quanto riguarda le criticità, "si è rivelata innanzitutto una grande differenziazione da regione a regione: ce ne sono alcune che non rispettano le normative sull’accreditamento, altre che con i loro inaccettabili ritardi nei pagamenti rischiano di far morire le comunità. C’è poi il problema del nuovo regime fiscale stabilito da Padoa Schioppa, in base al quale se le comunità non sono in regola con il pagamento dei contributi non possono incassare i crediti dello Stato".

Ed è proprio l’inadeguatezza delle risorse economiche il problema che maggiormente affligge le comunità, con le inevitabili differenze tra regione e regione. Per questo Giovanardi, nella fase conclusiva dell’incontro, ha lanciato una proposta che ha destato l’interesse dei presenti: "le famiglie potrebbero contribuire economicamente al trattamento dei loro familiari tossicodipendenti presso i Sert e le comunità. Qualche tempo fa una donna, madre di un ragazzo disabile, mi ha chiesto la ragione per cui lei doveva provvedere interamente al mantenimento di suo figlio, mentre i ragazzi tossicodipendenti sono a carico dello stato. Non ho saputo cosa rispondere. Rilancio a voi questa domanda, insieme alla mia proposta".

 

Contributi familiari per il trattamento: il Cnca non ci sta

 

"La proposta del sottosegretario Giovanardi ci scandalizza, ci spiazza e ci fa arrabbiare, ma aspetteremo la Consulta o la Conferenza nazionale per indagare meglio sulle sue intenzioni e manifestare la nostra contrarietà": non piace a Riccardo De Facci, responsabile nazionale per le tossicodipendenze del Cnca, la proposta lanciata oggi informalmente dal sottosegretario Giovanardi in occasione dell’incontro con i rappresentanti delle comunità terapeutiche: una proposta che prevede la compartecipazione economica delle famiglie nelle spese per il trattamento delle tossicodipendenze, all’interno dei Sert o delle comunità.

"Sappiamo che per alcune regioni c’è una tendenza alla privatizzazione: la Lombardia per esempio ha accreditato 3 Sert privati e altri 3 o 4 ne accrediterà forse entro quest’anno - ci spiega De Facci - Crediamo che così si rischi la competizione anziché l’integrazione tra i servizi. Ora ci sembra scandaloso che, in nome di risorse inadeguate che non possono aumentare, su una tipologia di bisogni così delicata si immagini la compartecipazione delle famiglie: è un segnale di allontanamento degli utenti dai servizi".

C’è il rischio, secondo il Cnca, che i numero degli utenti che si rivolgono ai servizi possa ulteriormente abbassarsi: "Nel 2007 - spiega ancora De Facci - si sono registrati oltre 3,4 milioni di consumatori di coca. Di questi, solo 30.000 si sono rivolti ai servizi. Crediamo che la compartecipazione possa incrementare questo sommerso già tanto preoccupante, possa portare alla privatizzazione delle cure e possa gravare su famiglie già tanto provate e spesso fragili economicamente, anche a causa dei debiti che lo stesso consumo di droga in molti casi produce".

Sul perché non ci sia stata oggi una immediata replica alla proposta da parte dei numerosi partecipanti, De Facci ha un paio di ipotesi: "Innanzitutto, ci sono alcune realtà del privato sociale che, volendo sfuggire al sistema dell’accreditamento, guardano con interesse alla privatizzazione. E poi c’è l’illusione che questa specie di ticket possa rappresentare n’integrazione di rette oggi così basse e dunque essere un’opportunità di sopravvivenza per le comunità. Noi temiamo - ha concluso De Facci - che eventualmente il ticket servirebbe a giustificare un’ulteriore riduzione delle risorse. Ma aspettiamo occasioni istituzionali come la Consulta o la Conferenza per approfondire la questione".

"La proposta della compartecipazione delle famiglie non viene da me ma dal privato sociale": così Carlo Giovanardi precisa quanto riferito oggi da Redattore Sociale in seguito all’incontro con i rappresentanti delle comunità terapeutiche. "È uno dei tanti spunti emersi dalla riunione di oggi e che ha destato particolare interesse e sviluppato un dibattito - aggiunge - Ci sono comunità che hanno riferito di esperienze già avviate, in cui le famiglie contribuiscono alle spese che i Sert e le comunità devono sostenere per il trattamento delle tossicodipendenze. È una proposta interessante, che va nella direzione dell’equità, e di cui prendiamo atto".

Droghe: Poretti (Pd); test antidroga per patente, un’idiozia

 

Notiziario Aduc, 19 luglio 2008

 

"Il sottosegretario Carlo Giovanardi ha annunciato l’avvio di una sperimentazione per sottoporre a test tossicologici e alcolemici tutti coloro che fanno richiesta di patentino e patente di guida. È una vera e propria idiozia di dubbia legalità": lo sostiene la senatrice radicale Donatella Poretti (Pd).

"Un esame fatto prima del conseguimento della patente è inutile", afferma Poretti in un comunicato. In secondo luogo, "l’Italia risulta ultimo Paese europeo nel periodo 2003-2006 per controlli stradali con il solo 3% della popolazione sottoposta ai test alcolemici presso check-points della polizia stradale almeno una volta, e solo l’1% sottoposto ai test più di una volta", mentre "il Governo ha tagliato i fondi per le Forze dell’Ordine con il Decreto fiscale, riducendo quindi i fondi che dovrebbero essere destinati ad un maggiore controllo delle strade".

Secondo Poretti, poi, "a seconda dell’esame impiegato, si rischia di negare la patente ad una persona che ha fumato un solo spinello un mese prima, dandola invece all’alcolizzato che cessa di bere qualche ora prima dell’esame". Infine, "questo provvedimento è illegittimo", afferma la senatrice radicale. "La legge europea ed italiana sancisce il divieto di rilascio della patente di guida a chi è dipendente o chi fa uso continuato ed abituale di sostanze psicotrope, e non certo al consumatore occasionale". "Per questo col senatore Marco Perduca, ho rivolto un’interrogazione alla Presidenza del Consiglio per avere chiarimenti sulla base legislativa di questa iniziativa.

Soprattutto, chiedo al Governo cosa intenda fare per raggiungere i livelli europei per quanto riguarda i controlli stradali con etilometro e test tossicologici, l’unico vero strumento di prevenzione e riduzione degli incidenti stradali".

Droghe: non serve essere rasta per poter consumare hashish

di Fulvio Conti

 

www.radiocarcere.com, 19 luglio 2008

 

Il giornale su una mano e sull’altra un ottimo cornetto. Pagina sette, A.G. legge: "se si è pizzicati con un etto circa di hashish la si può fare franca senza incorrere nelle maglie della giustizia. Basta dire che si è adepti rasta. In questo caso, infatti, anche questa quantità può non avere "finalità di spaccio", ma essere semplicemente "erba meditativa".

L’articolo spiega che le affermazioni sono contenute in una importante sentenza della Cassazione, che ha annullato una doppia condanna a un anno e quattro mesi di reclusione, oltre a una multa di 4.000 euro, nei confronti di un 44enne di Terni, Giuseppe G., sorpreso dai carabinieri con una busta contenente circa un etto di hashish.

La notizia è affiancata da commenti di politici e giuristi, che si schierano su fronti contrapposti.

Cagliari, 24 luglio 2007, A.G. lascia il traghetto e messi i piedi a terra trova due splendidi pastori tedeschi che improvvisamente le aggrediscono lo zaino. Due ufficiali delle forze dell’ordine suggeriscono di consegnare lo stupefacente. Ovviamente il suggerimento è a malincuore raccolto.

Verbale e trasmissione degli atti alla procura. Qualche mese dopo viene comunicato ad A.G. che è stato avviato nei suoi confronti un procedimento penale e che gli si contesta di essere stata trovata con circa 30 grammi di hashish.

La sentenza della Cassazione, l’escamotage per non essere condannata. Sufficiente dire che è un’adepta della religione rastafariana e che l’erba sacra era necessaria per meditare. Il weekend dedicato ad acquisire notizie su una religione fino a ieri sconosciuta. La rete l’ha aiuta, i siti dedicati a questo argomento sono centinaia. Il lunedì forte della propria cultura A.G. chiama l’avvocato, un amico sventurato. Lo inonda di nozioni sul rastafarianesimo. Lo sproloquio è impossibile da arrestare. A.G. premette di avere letto i giornali e di avere appreso dell’importante sentenza. L’amico dopo vari tentativi riesce ad interrompere il flusso di parole.

La sentenza, spiega, ha contenuto diverso da quello riportato dagli organi di stampa. Non afferma che se si è rasta si può consumare dell’erba. Il consumo dell’erba non costituisce più reato dopo il famoso referendum. La legge punisce la detenzione finalizzata alla cessione.

Tutti e non solo i rasta possono pertanto consumare erba. Non afferma neanche che se si è rasta si può detenere dell’erba perché questa è necessariamente detenuta per uso personale. La Cassazione si è limitata ad affermare che la motivazione non risultava sufficientemente argomentata relativamente alla prova che l’erba trovata al musicista rasta fosse finalizzata a fini di spaccio.

L’irragionevolezza della motivazione che secondo la Suprema Corte emerge dai dati riportati nel testo, i quali, come il fatto che l’erba non fosse contenuta in bustine preconfezionate, sembrano dimostrare che la detenzione fosse finalizzata più al consumo personale, che allo spaccio.

A.G. dispiaciuta per avere perso tempo ad istruirsi sul rastafarianesimo replica all’avvocato: se la legge è uguale per tutti per me allora non ci sono problemi. Sono stata trovata con 30 grammi di hashish che erano evidentemente destinati all’uso personale. L’avvocato: la legge è uguale per tutti, non la giustizia.

Cina: aiutò i terremotati, arrestato attivista per i diritti umani

 

Ansa, 19 luglio 2008

 

È segregato in regime di isolamento uno tra i più noti attivisti cinesi per i diritti umani, Huang Qi, residente nella provincia sud-occidentale del Sichuan, la più colpita dal disastroso terremoto del 12 maggio scorso: lo ha riferito il gruppo umanitario Chinese Human Rights Defenders attraverso un comunicato, secondo cui Huang è accusato di "detenzione illegale di segreti di stato".

In realtà la sua colpa consisterebbe nell’aver cercato di prestare aiuto ai parenti degli innumerevoli minorenni che persero la vita sotto alle macerie delle loro scuole, dove si trovavano per seguire le lezioni quando il sisma improvvisamente colpì e rase al suolo intere città. La strage di alunni e studenti scatenò un’ondata di proteste popolari, soffocate dalla censura e talora stroncate con la forza, giacché la maggior parte degli istituti crollati sarebbero stati costruiti con materiali scadenti e senza osservare le norme di sicurezza edilizie, ennesimo scempio dovuto alla corruzione dilagante tra i ranghi del potere.

L’opera assistenziale di Huang a favore di quelli che il governo centrale di Pechino considerava potenziali critici del regime gli attirò le attenzioni della polizia che, stando sempre a Chinese Human Rights Defenders, lo arrestò il 10 giugno scorso a Chengdu, capoluogo provinciale. Soltanto ieri, però, la sua detenzione è stata notificata alla famiglia, mentre gli avvocati del dissidente sono ancora in attesa di comunicazioni formali; non è pertanto stato loro consentito d’incontrarlo né tanto meno di difenderlo.

La notizia dell’arresto è stata confermata dalla moglie e dalla suocera del detenuto; non ha peraltro finora trovato riscontri di fonte indipendente. Le autorità si sono limitate a dichiarare di non essere a conoscenza del caso. Huang, fondatore del Centro per i Diritti Umani Tianwang, è sempre stato un acceso oppositore della politica del Partito Comunista cinese, del quale ha più volte denunciato le violazioni delle libertà civili e politiche; finì in carcere già nel 2003 con l’imputazione di "incitamento a sovvertire i poteri statali", addebito comunemente mosso in Cina ai dissidenti: rimase in cella per due anni. Il militante umanitario ha anche un proprio sito su Internet, consultabile all’indirizzo www.64tianwang.com. Il cataclisma di due mesi fa, la cui intensità raggiunse gli 8,0 gradi sulla scala aperta Richter, uccise dalle settantamila alle 87.000 persone; ma svariate migliaia di altre restano tuttora disperse.

Australia: la Giornata Mondiale della Gioventù con i detenuti

di Anthony Barich

 

www.zenit.org, 19 luglio 2008

 

Un monaco benedettino britannico, padre Laurence Freeman, ha portato la Giornata Mondiale della Gioventù in una prigione femminile di Sydney, guidando le detenute in un’antica forma di meditazione cristiana, la lectio divina. La Croce della GMG ha visitato in precedenza il Silverwater Women’s Correctional Center, dove le donne usano questo stile di preghiera da sei anni.

"Le guardie e le autorità carcerarie, dice il cappellano che insegna la meditazione, sottolineano che le donne che meditano mostrano un reale miglioramento nel loro comportamento e nello stato generale", ha detto padre Freeman.

"Spesso ci vuole un po’ di incoraggiamento, perché molte detenute sono traumatizzate o hanno subito abusi, ma dopo qualche sessione di meditazione si producono quelli che San Paolo chiama i frutti dello Spirito - amore, pace, pazienza, autocontrollo. Diventano tutte esperienze interiori, più che qualcosa che si può vedere solo esternamente". Padre Freeman ha affermato che le detenute stanno "ricevendo vera assistenza e attenzione, così come guida spirituale, ed è in quel contesto che la meditazione acquista un significato per loro".

Il benedettino ha suggerito che, visto che la Giornata Mondiale della Gioventù ha avvolto tutta Sydney, anche le detenute dovrebbero avere la possibilità di sperimentare la stessa opera dello Spirito. "Volevamo essere sicuri che fossero in contatto con la Giornata", ha detto. "Mentre sedevamo qui in meditazione con loro, abbiamo sentito di essere nel cuore della Chiesa, che non è per forza dove sono il Papa e i Cardinali - è anche dove sono i poveri, i sofferenti, le persone dimenticate".

Le sessioni di lectio divina sulla base della spiritualità benedettina sono disponibili anche per i giovani pellegrini. "La comprensione cristiana della meditazione è che lo Spirito Santo è vivo al centro del nostro essere, del nostro cuore, ed essere rafforzati da questo non è qualcosa che avviene solo al di fuori, ma risveglia la nostra parte interiore", ha detto padre Freeman. "Spero che sia i pellegrini [della Giornata Mondiale della Gioventù] che le detenute possano sperimentarlo".

La comunità di meditazione cristiana ha ospitato sessioni alla Paddington Uniting Church a Oxford Street. Seguendo l’invito di Benedetto XVI a trovare del tempo per la riflessione nell’euforia dell’evento dei giovani, il Cardinale George Pell di Sydney ha affermato che il centro di meditazione cristiano potrebbe essere proprio ciò di cui hanno bisogno i pellegrini.

"Molte grazie toccheranno la vostra vita in questi giorni", ha detto il porporato ai pellegrini in una dichiarazione al gruppo di meditazione. "Prego che le grazie della preghiera contemplativa tocchino anche il vostro cuore e vi arricchiscano per il resto della vostra vita". "Il tempo trascorso nel silenzio nel centro di meditazione cristiana può essere il momento in cui farvi raggiungere da questa grazia". Padre Freeman ha affermato che la meditazione cristiana sta vivendo un revival e si sta reclamando questa pratica contro la percezione comune che si tratti di una tradizione buddista.

 

 

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