Rassegna stampa 6 giugno

 

Giustizia: Ferrara (Dap); 2.500 detenuti stranieri da espellere

 

Ansa, 6 giugno 2008

 

Con la norma del decreto sicurezza che ha introdotto l’allontanamento dello straniero condannato in via definitiva a una pena superiore a due anni (contro i 10 in vigore fino a qualche giorno fa), sono circa 2.500 i detenuti stranieri nelle carceri italiane che saranno espulsi. La stima è del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che però non ha potuto fare previsioni, per mancanza di dati di riferimento, sull’aumento della popolazione carceraria se entrasse in vigore anche il reato di clandestinità. Nelle carceri ci sono attualmente 53.700 detenuti di cui 20.213 (il 38%) sono stranieri. Le 2.500 espulsioni non saranno però immediate: "servirà un procedimento del giudice dell’esecuzione", ha dichiarato il capo del Dap, Ettore Ferrara.

Ferrara aggiunge di aver manifestato da diversi mesi "forti preoccupazioni per l’aumento della popolazione carceraria" a causa dell’esaurirsi dell’effetto indulto. L’eventuale introduzione del reato di clandestinità è motivo di maggiori preoccupazioni "perché il numero dei detenuti aumenterebbe ancora. Invece - conclude il capo del Dap - valutiamo molto positivamente una forte spinta nella direzione delle espulsioni per realizzare le quali, tuttavia, servono più uomini e più mezzi".

Giustizia: dl sicurezza; prostitute come i "delinquenti abituali"

di Flavia Amabile

 

La Stampa, 6 giugno 2008

 

Presto le prostitute potrebbero non "lavorare" più in strada perché sono anche loro pericolose per la sicurezza e la pubblica moralità. Ed essere allontanate con un foglio di via se non sono residenti nella zona in cui vengono fermate dalle forze dell’ordine. Con un emendamento i relatori al decreto sicurezza danno insomma il via libera alla caccia alle lucciole, inserendo anche loro nella lista nera dei soggetti pericolosi.

La proposta di modifica presentata dai relatori del decreto - i presidenti delle Commissioni Giustizia e Affari Costituzionali del Senato, Filippo Berselli e Carlo Vizzini - prevede che nella legge del 1956 (la n. 1423) sulle "misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e la pubblica moralità" venga inserita anche la categoria delle prostitute accanto a quelle degli oziosi e vagabondi; di chi pratica traffici illeciti; dei delinquenti abituali; degli sfruttatori di prostitute e minori; degli spacciatori.

L’Italia punta quindi avvicinarsi ad altri Paesi europei piuttosto severi nel regolare il sesso a pagamento, come Svezia (dove è punito anche il cliente colto in flagrante), Olanda o Belgio. Dieci giorni fa Daniela Santanchè aveva sollevato il problema, annunciando un referendum. E da un indagine del gruppo Abele di don Ciotti erano giunte le cifre: sulle strade italiane ogni anno si prostituiscono quotidianamente circa 70 mila donne, il 65% del totale. Il restate 35% esercita in case private o locali. Il dibattito politico sul tema è proseguito per giorni fino a ieri sera, quando si è passati ad una misura concreta. Nell’emendamento si legge che deve essere considerato soggetto pericoloso per sicurezza e moralità anche chi vive "del provento della propria prostituzione e venga colto nel palese esercizio dì detta attività".

I "soggetti pericolosi", secondo la legge in vigore, possono essere diffidati dal questore e, se trovati a delinquere fuori dei luoghi di residenza, possono essere allontanati con foglio di via obbligatorio e inibiti dal ritornare per un periodo massimo di tre anni. Per i disobbedienti scatta il carcere fino a sei mesi. Nella sentenza di condanna poi dovrà essere disposto che, una volta scontata la condanna, il "contravventore" se straniero dovrà essere rimpatriato.

Se, nonostante la diffida del questore, il soggetto pericoloso non si ravvede cambiando vita, scatta la sorveglianza speciale che può essere accompagnata anche dalla misura del divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province. Fino all’obbligo di soggiorno in un determinato comune. La misura di prevenzione, che dovrà essere decisa dal giudice, non potrà essere inferiore a un anno e superiore a cinque La questione prostituzione è stata affrontata nel decreto sicurezza che introduce il reato di clandestinità sul quale si sta cercando una soluzione tra chi è più vicino alla linea dura della Lega e chi invece si allinea alle posizioni del Vaticano.

Alla fine un compromesso potrebbe essere la proposta del ministro della Difesa Ignazio La Russa: prevedere comunque il reato di clandestinità perché funziona da deterrente, ma poi, invece del carcere, agire con l’espulsione immediata. Oppure c’è quella del deputato del Pdl Niccolò Ghedini, che vorrebbe introdurre come "elemento oggettivo la pericolosità del clandestino desunta da elementi oggettivi di fatto"

Giustizia: Franco (Pd); legge contro stalking positiva e urgente

 

Dire, 6 giugno 2008

 

"È certamente positivo che il Parlamento abbia cominciato a lavorare ad una legge contro lo stalking e che la ministra abbia annunciato anche un provvedimento del governo. Diciamo solo: cerchiamo di non ricominciare da zero, visto che molto lavoro era stato fatto nella passata legislatura. Cerchiamo di fare passi avanti e non indietro". Lo auspica Vittoria Franco, ministro ombra per le pari opportunità. "Nella passata legislatura non si è riusciti ad approvare una legge contro lo stalking anche per la contrarietà di chi allora era all’opposizione e adesso governa", precisa Franco: "Noi siamo disponibili al confronto costruttivo perché si arrivi presto ad una legge necessaria". E conclude: "Speriamo che la ministra tenga conto delle nostre proposte, che si rifanno al lavoro svolto nella passata legislatura dal governo e dal parlamento e che sono state già ripresentate".

 

Bianchi (Pd): bene la Carfagna, ma si proceda in fretta

 

"L’intenzione, manifestata dal ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna, di presentare un ddl contro lo stalking che tenga conto del lavoro fatto dal Parlamento nella scorsa legislatura e delle proposte di legge già presentate alla Camera, è da apprezzare". Lo afferma la senatrice del Pd Dorina Bianchi, membro della commissione Sanità di Palazzo Madama e prima firmataria di un ddl sull’introduzione del reato di stalking. "La cosa più importante - prosegue la senatrice - è che il dibattito parlamentare si svolga col più ampio consenso possibile, per portare alla rapida approvazione un provvedimento che le sempre più numerose donne vittime di molestie fisiche e psicologiche attendono da troppo tempo". In questo senso, conclude Bianchi, "gli ultimi dati diffusi dall’Istat, indicano la diffusione dello stalking come una vera e propria emergenza sociale, di fronte alla quale manca ancora uno strumento legislativo cui le donne possano fare ricorso per tutelare la propria dignità e il proprio equilibrio".

Giustizia: Contrada; è disumano detenerlo ancora in carcere

 

Apcom, 6 giugno 2008

 

Le svariate malattie cronico-degenerative da cui è affetto Bruno Contrada, "poco e nulla rispondono alle terapie", e "l’evoluzione nefasta segue il suo corso naturale ed inesorabile ovunque". Lo scrive in una perizia di parte effettuata lo scorso 2 giugno la dottoressa Agnesina Pozzi, da anni una Ctu del Tribunale di Lagonegro (Potenza), le cui conclusioni sono allegate ad una nuova istanza al magistrato di Sorveglianza per chiedere "un differimento esecuzione pena per gravissimi motivi di salute in subordine per la detenzione domiciliare" avanzata dall’avvocato Graziella Coco che assiste l’ex numero tre del Sisde detenuto per scontare una condanna a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

"Più volte - scrive la Pozzi all’avvocato Giuseppe Lipera - difensore di Contrada - ho constatato che, in tante decisioni che ho ritenuto inopportune, per non dire francamente ingiuste la responsabilità non è certo del Giudice adito".

"Il Giudice sottolinea la Pozzi in veste di consulente di parte - non è un medico ed è costretto a fidarsi di noi. L’Autorità adita, formula ipotesi, esprime giudizi e pareri, o emette sentenze che concernono la sfera sanitaria, in base a ciò che noi, medici, porgiamo; ciò avviene in forma più o meno articolata, più o meno chiara, più o meno comprensibile a chi, invece, ribadisco, medico non è, ma ha, altresì, il diritto di ben comprendere, non solo, le summae pathologicae ma anche, e soprattutto, le ripercussioni che il suo giudizio avrà su quel particolare ed unico periziando.

Unico e particolare essere umano, qualunque crimine abbia commesso, direttamente o in concorso esterno. Non le nascondo - aggiunge - che moltissime volte mi è toccato l’ingrato compito di contestare colleghi; naturalmente li rispetto per principio, per educazione in famiglia e mia forma mentale, ma troppo spesso mi sono resa conto che parecchi di loro non permettono all’Autorità di ben comprendere, limitandosi a fare una sterile elencazione di patologie, sic et simpliciter, che poco significano, e ancor meno garantiscono al Giudice il diritto di capire; e al periziando il diritto di essere equamente giudicato".

Secondo la dottoressa Pozzi, Bruno Contrada è "affetto da alcune patologie molto gravi, che andrebbero costantemente monitorate, da risultare del tutto incompatibili con qualunque regime carcerario, non solo in base ad un principio di tutela della salute, ma anche in base a principi di umanità e di rispetto della dignità della persona, che anche la nostra Costituzione sancisce".

Secondo il consulente "un uomo gravemente malato, a quest’età, qualunque reato gravissimo abbia commesso, e anche se avesse ucciso, stuprato, derubato gli ori del mondo, trafficato tutta la droga e le armi e le prostitute del pianeta, in ogni caso, avrebbe diritto a vedere salvaguardato quel residuo di vita che gli rimane; se di vita si può parlare, per un soggetto che ha avuto lesioni cerebrali e oculari, non ha una visione completa, non respira bene, non dorme per la dermatite, è stanco di vivere e depresso, ha un cuore malandato e stanco, non può mangiare né bere quello che vuole, è pieno di artrosi; e neppure può urinare liberamente.

Quest’uomo, a questa età, è già prigioniero del suo corpo. Mi sembra troppo crudele infierire facendolo permanere in carcere. Quest’uomo ha il diritto al differimento della pena o a scontarla, per quello che gli resterà da vivere, tra le mura domestiche; luogo protetto da stress, in cui possono essere ridotti al minimo tutti quei fattori che, invece, nella normale routine carceraria, sono inemendabili. Tale stato detentivo inoltre, rende difficile o impossibile il ricorso a trattamenti sanitari per fronteggiare i danni o i pericoli che le varie patologie producono, qualora ci fosse un’emergenza, sempre in agguato".

Il consulente conclude che "le componenti patologiche che affliggono il Dr. Bruno Contrada, per la loro natura degenerativa ingravescente e, soprattutto, sinergica, non hanno alcuna possibilità di guarire in base ai trattamenti disponibili; i farmaci possono solo costituire un labilissimo, e precario, quanto inutile, compenso".

Siracusa: detenuto 55enne trovato morto, forse è un suicidio

di Tommaso Siani

 

La Città di Salerno, 6 giugno 2008

 

La Procura indaga, disposta l’autopsia Salerno. L’hanno trovato morto l’altro ieri nella sua cella del carcere di Augusta, in provincia di Siracusa. Un decesso che si tinge di giallo quello di Rolando Pagliarulo, uno dei killer del clan Frasca-Trimarco, il sicario cinquantenne di Giffoni Valle Piana che, nel novembre del 2001, con l’assassinio di Giuseppe Esposito, noto come Peppe ò ribott, aprì la sanguinosa guerra di camorra tra la Piana ed i Picentini. Pagliarulo, condannato sia per il delitto Esposito che per una serie di estorsioni a noleggiatori d videopoker, circa una settimana fa aveva tentato per l’ennesima volta di togliersi la vita.

Ma, secondo una prima ricostruzione degli inquirenti, dopo un ricovero in ospedale era tornato in carcere dove è poi deceduto. La Procura di Barcellona Pozzo di Gotto ha aperto un’inchiesta. Stamane è fissato l’esame autoptico disposto dal pm e, solo nel pomeriggio, ad accertamenti ultimati, la salma sarà restituita ai familiari per essere riportata a Giffoni Valle Piana. Una morte che si tinge di giallo, dunque, quella del killer dei Picentini che, nel febbraio dello scorso anno, era stato condannato in Assise d’Appello a 27 anni di carcere, con l’accusa, appunto, di essere stato uno dei killer che, nel novembre 2001, uccise a Campigliano il boss del clan Pecoraro, Giuseppe Esposito.

Rolando Pagliarulo, in primo grado, fu condannato all’ergastolo. Nel corso del processo di secondo grado, attraverso un’indagine medica, era stata scartata la possibilità che l’imputato fosse incapace di intendere e volere, così come aveva chiesto il difensore di fiducia di Pagliarulo, l’avvocato Alessandro Lentini. Il noto penalista salernitano aveva depositato una propria perizia medica che certificava il grave stato di prostrazione in cui si trovava il detenuto, vittima spesso di episodi di autolesionismo.

I giudici emisero comunque il loro verdetto: condanna a 27 anni di carcere con il riconoscimento dunque delle attenuanti generiche. A questa condanna si era poi aggiunta quella dei giudici del Tribunale ordinario, per una vicenda legata ad una serie di estorsioni nei confronti di noleggiatori di videopoker, per un cumulo pena complessivo intorno ai trent’anni di reclusione. Costringendolo così di fatto ad situazione di lunga detenzione che, a più riprese, Rolando Pagliarulo, aveva mostrato di non riuscire a sopportare.

Per diverse volte aveva tentato il suicidio in cella, tanto da indurre il suo legale di fiducia a presentare diverse istanze per la sua remissione in libertà od il ricovero presso una struttura penitenziaria adeguata.

Nel frattempo il detenuto era stato rinchiuso in una cella da solo, sotto stretta sorveglianza. Questo però evidentemente non è bastato tanto che, la scorsa settimana, aveva di nuovo tentato di togliersi la vita. Ricoverato in ospedale era tornato poi in carcere, ad Augusta, dove è stato trovato morto l’altro ieri. La Procura di Barcellona Pozzo di Gotto, ricevuta la nota ufficiale del decesso, ha aperto un’inchiesta.

Stamane l’esame del medico legale per tentare di dare una risposta al mistero. Il resto dovrà farlo l’inchiesta della magistratura siciliana.

Lazio: cooperative a confronto, per ex detenuti manca lavoro

 

Asca, 6 giugno 2008

 

Mancanza di lavoro per gli ex detenuti. Questo il nodo centrale affrontato ieri alla Regione Lazio dalle tre cooperative Alba, Edera e Zoe. La commissione Scuola, Diritto allo studio, Formazione professionale e Università, presieduta da Annamaria Massimi (Pd) e la commissione speciale Sicurezza, contrasto all’usura, integrazione sociale e lotta alla criminalità, presieduta da Luisa Laurelli si è riunita proprio per ascoltare la rappresentanza delle tre cooperative.

Patrizia Caprara, presidente della Coop Alba, si è fatta portavoce delle tre cooperative, che spesso lavorano in sinergia per reinserire nel mondo del lavoro gli ex detenuti. Caprara ha illustrato i progetti delle tre cooperative e le principali problematiche associate. Il problema principale è la difficoltà di reperire commesse lavorative per gli ex detenuti. Difficoltà accentuate dai bandi che Caprara definisce "al massimo ribasso" e talmente complicati che gli operatori delle cooperative sono costretti a rivolgersi ad esperti per partecipare, poiché "talvolta non si riesce a vincere perché la domanda è stata fatta male". Le cooperative hanno chiesto la creazione di uno sportello sociale, punto di riferimento delle problematiche post-carcere, nonché la possibilità di saltare il bando per piccole commesse.

Presenti all’incontro l’assessore alla Scuola, diritto allo studio e formazione professionale, Silvia Costa, e i consiglieri Luigi Canali (Lista civica Piero Marrazzo per il Pd), Fabrizio Cirilli (Gruppo Misto), Ivano Peduzzi (Prc) e Bruno Prestagiovanni (An).

L’assessore Costa ha espresso l’esigenza di arrivare a vere e proprie "dimissioni protette", dal carcere, grazie a un assistente sociale che si occupa del futuro del detenuto. Secondo Prestagiovanni occorre rivedere le modalità di assegnazione degli appalti a cominciare dalle aziende regionali. Il presidente Laurelli ha concluso ricordando ai consiglieri che "la legge regionale quadro 7/2007 (interventi a sostegno dei diritti della popolazione detenuta della Regione Lazio) prevede un apposito tavolo interassessorile per il trattamento delle persone recluse. Tale tavolo, che coinvolge sei assessorati, è preposto a dare risposte di sistema alle esigenze oggi prospettate, ma ancora non ha preso il via". L’auspicio delle due commissioni è che il tavolo interassessorile istituito dall’assessore Fichera intervenga con urgenza.

Campania: nella regione un reato di eco-mafia ogni due ore

 

Asca, 6 giugno 2008

 

Un reato di ecomafia ogni due ore: questo il non invidiabile primato detenuto dalla Campania ed emerso dall’annuale Rapporto Ecomafia 2008 di Legambiente illustrato ieri all’istituto degli Studi Filosofici di Napoli e realizzato sulla base dei dati forniti da forze dell’ordine e magistratura. La Campania si conferma maglia nera per illegalità ambientale, ciclo dei rifiuti e ciclo del cemento.

Per il 14° anno consecutivo la Regione si conferma leader a livello nazionale per il numero di reati ambientali: nel 2007 sono stati 4.695 gli illeciti accertati (+56% rispetto allo scorso anno) con una media di 13 reati al giorno, uno ogni due ore. In altre parole, in Italia, quasi un reato su sei viene commesso in Campania. Nel 2007 sono state 3289 le persone tra denunciate ed arrestate (+16% rispetto allo scorso anno) e ben 1.463 i sequestri effettuati su tutto il territorio regionale. Sono 75 i clan della camorra che gestiscono il business e hanno il monopolio sul ciclo del cemento, rifiuti e racket degli animali. La provincia di Napoli con 1.456 infrazioni accertate, 1.645 persone tra denunciate e arrestate e 864 sequestri effettuati si conferma leader a livello regionale, seguita da Salerno. Inoltre, sono 222 le discariche abusive e di ogni dimensione individuate nel 2007.

Roma: da Regina Coeli trasferimenti di massa e improvvisati

 

Dire, 6 giugno 2008

 

Il carcere di Frosinone arriva alla cifra di 405 detenuti a causa dell’arrivo di alcune decine di reclusi da Regina Coeli. La direzione del carcere ciociaro è stata costretta a riaprire una sezione rimasta chiusa dai tempi dell’indulto". È quanto afferma, in una nota, il Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni, dopo le decisioni legate all’imminente arrivo a Roma del presidente degli Stati Uniti George Bush, in virtù delle quali 230 detenuti di Regina Coeli sono già stati trasferiti (o lo saranno nelle prossime ore) negli istituti laziali e di tutta Italia per consentire al carcere romano di riservare le celle di due piani della settima sezione per far fronte agli eventuali fermi legati a possibili disordini e contestazioni.

"Per effetto dei trasferimenti il carcere di Regina Coeli è passato dagli oltre 900 detenuti abitualmente ospitati agli 800 di questa mattina - spiega Marroni -. I trasferimenti tuttavia non sono stati indolori: a Frosinone, ad esempio, è arrivato un detenuto che proprio domani dovrà tornare a Roma per il suo processo e, al termine del processo, dovrà tornare a Frosinone. Nella sua situazione ci sono decine di altri detenuti con inevitabili costose spese di trasferimento a carico dello Stato".

Inoltre, risulta essere stato trasferito da Roma a Viterbo un detenuto affetto da tubercolosi e gli agenti che lo hanno accompagnato sono stati sottoposti a profilassi. "I casi limite del detenuto trasferito a Frosinone e di quello trasferito a Viterbo - ha affermato Marroni - dimostrano che nei confronti dei reclusi di Regina Coeli è stato attuato un trasferimento di massa improvvisato che non ha tenuto in nessun conto i loro diritti e le condizioni specifiche di ognuno. Un’esperienza che, speriamo, non venga ripetuta più".

Bologna: alla Dozza due spettacoli teatrali aperti al pubblico

 

Dire, 6 giugno 2008

 

Il "Cantico degli Yahoo" diretto da Paolo Billi, è in programma il 13 giugno, mentre i ragazzi della sezione alta sicurezza salgono sul palco il 20 giugno con "6 cartoni animati per Anfitrione", per la regia di Massimiliano Cossati.

Un ponte tra i detenuti e la città, per conoscere e non dimenticare il mondo del carcere. L’occasione sono due laboratori teatrali condotti all’interno del carcere della Dozza di Bologna, giunti ora alla loro ultima tappa: due spettacoli aperti al pubblico. "Cantico degli Yahoo" diretto da Paolo Billi, è in programma il 13 giugno (sala teatro della Dozza, alle 15), mentre i ragazzi della sezione alta sicurezza salgono sul palco il 20 giugno con "6 cartoni animati per Anfitrione" per la regia di Massimiliano Cossati (sala cinema della Dozza, alle 15). "Non è stato facile portare avanti i laboratori e realizzare gli spettacoli - ha spiegato questa mattina la vicedirettrice della Dozza, Nicoletta Toscani, in occasione della presentazione dei due lavori - perché la situazione all’interno del carcere è sempre critica: ci sono 1050 detenuti quando la capienza massima è di 400 persone e manca il personale: 220 agenti penitenziari quando ne servirebbero almeno 500".

Il primo spettacolo, liberamente ispirato a "I viaggi di Gulliver" di Jonathan Swift, un oratorio per voci e pianoforte (la musica è di Daniele Furlati), vede in scena sei detenuti ed è dedicato a Salvatore, trasferito in un altro carcere a sette prove dal debutto. "È il mio primo lavoro teatrale in un carcere adulti - spiega il regista Paolo Billi, già impegnato negli anni passati con i ragazzi del carcere minorile del Pratello -.

Non ho lavorato sull’autobiografia dei detenuti o sulla loro auto rappresentazione, non ho mai chiesto loro il perché siano finiti in carcere. Ho lavorato semplicemente con le persone, proponendo loro un testo attraverso il quale hanno tirato fuori se stessi". Il secondo spettacolo, invece, è tratto da "Anfitrione" di Heinrich von Kleist e coinvolge otto detenuti della sezione alta sicurezza del carcere di Bologna. "Lavorare all’interno dell’alta sicurezza - sottolinea invece il regista Massimiliano Cossati - è molto difficile perché i detenuti, per le limitazioni che hanno, non sono abituati ad interagire tra loro. Eppure il teatro ha funzionato, anche come elemento di connessione tra le diverse attività educative (corsi professionali, scuola, disegno, lettura) poiché riesce ad elevare ogni impegno ad esperienza, progetto condiviso, rete e modello di scambio".

"L’attività teatrale ha per il carcere una doppia importanza - ha precisato Massimo Ziccone, responsabile dell’area trattamentale della Dozza -: dà la possibilità ai detenuti di esprimersi, funzionando quindi come revisione del proprio vissuto, e sensibilizza la città sull’esistenza del carcere. C’è infatti una tendenza sempre più forte di espulsione del carcere, che viene considerato pattumiera sociale da tenere fuori dalla porta. Con il teatro cerchiamo di portare la città verso il carcere, per fare capire che i detenuti sono persone e che, se la società non chiude loro le porte in faccia, possono essere recuperati". I due spettacoli rientrano nel progetto "Esperimento di teatro alla Dozza", realizzato grazie alla Regione Emilia-Romagna, alla Fondazione Carisbo, alla Provincia di Bologna e sostenuto dal Garante dei diritti delle persone provate della libertà.

Terni: impianto solare per l'acqua calda costruito dai detenuti

 

Ansa, 6 giugno 2008

 

Sarà inaugurato martedì prossimo, 10 giugno, l’impianto solare di produzione di acqua calda sanitaria nella Casa Circondariale di Terni. Il taglio del nastro avverrà alle 13, al termine del convegno su "Il carcere che costruisce", che avrà inizio alle ore 9 del 10 giugno. Il progetto, oltre al risparmio energetico, inaugura un’attività di recupero dei detenuti impegnati nella formazione seguita dall’esperienza lavorativa.

La Casa Circondariale di Terni è il primo istituto ad aver completato l’intero percorso della solarizzazione grazie alla sinergia che ha coinvolto l’amministrazione penitenziaria, la Regione dell’Umbria e L’associazione Arci-Ora d’Aria.

L’associazione Ora d’Aria di Terni, infatti, nell’ambito del progetto "Il Lampadiere: interventi integrati a favore della popolazione carceraria delle Case Circondariali e di Reclusione in Umbria" ha organizzato all’interno della casa circondariale di Terni il corso di formazione per "installatore di pannelli solari".

Il corso di qualifica professionale, finanziato dalla Regione dell’Umbria con le risorse del Programma Operativo Regionale 2000-2006, ha avuto la durata di 500 ore e si è svolto dal 3 dicembre 2007 al 7 aprile 2008. Il corso è stato suddiviso in 250 ore di teoria (160 ore di lezioni frontali e 90 ore di esercitazioni d’aula e laboratoriali) e 250 ore di stage. L’attività di stage è consistita proprio nella realizzazione dell’ impianto solare termico di 150 metri quadrati, installato sul tetto dell’edificio colloqui del carcere di Terni. Hanno completato il corso 11 allievi, che lo scorso 16 aprile hanno sostenuto l’esame finale per il rilascio della qualifica professionale "post obbligo scolastico".

Larino: premiati ieri i vincitori del concorso "Oltre le sbarre"

 

Comunicato stampa, 6 giugno 2008

 

Si è svolta ieri la premiazione dei vincitori del concorso "Oltre le sbarre", organizzato dall’associazione "La Paranza" di Termoli in collaborazione coi dirigenti scolastici dell’Itis Maiorana e del carcere di Larino. Sono stati alcuni detenuti, scelti da Padre Enzo, Presidente dell’Associazione e dalla Professoressa Martuscello, a votare i vincitori del concorso, aperto agli alunni delle scuole elementari, medie e superiori della regione.

Tema del progetto, "Tifa per la legalità", rappresentato dai ragazzi con disegni e slogan che hanno messo in evidenza la possibilità di rieducare il detenuto alla convivenza civile. Alla premiazione, erano presenti il Prefetto di Campobasso, Carmela Pagano, e il direttore del penitenziario frentano, Rosa La Ginestra, che è stato ringraziato dai detenuti per l’attività didattica che si sta sviluppando nel carcere, da qualche anno a questa parte, in collaborazione dell’Itis Maiorana di Termoli.

Roma: protesta centri sociali "non c’è sicurezza senza diritti"

 

Liberazione, 6 giugno 2008

 

Il percorso comune è avviato. Non accadeva dalla metà degli anni ‘90 che gran parte dei centri sociali romani - allora riuniti in coordinamento - si ritrovassero a discutere e progettare insieme. Dopo il "pacchetto sicurezza" del governo e le dichiarazioni del neo-sindaco su legalità e sgomberi, 23 strutture si sono viste all’Esc in via dei Reti il 15 maggio scorso.

Lì hanno stilato un documento in cui si respingono le divisioni tra buoni e cattivi, stretto un patto di mutuo soccorso e indetto una conferenza stampa allargata ad assemblea pubblica (svoltasi ieri in piazza dell’Immacolata) per lanciare una manifestazione il 14 giugno con lo slogan "non c’è sicurezza senza diritti" - a partire da tre temi principali: migranti, casa, centri sociali - e una due giorni di politica e festa a Villa Gordiani il 4 e 5 Luglio.

Si sono dati inoltre appuntamenti settimanali di confronto, oltre all’idea di iniziative preparatorie. Ad esempio, il Loa Acrobax ha redatto un dossier sul pacchetto sicurezza in più lingue, lo Strike un appello per il gay pride, il Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa ha organizzato una giornata di dibattito e cultura per domenica 8 all’Occupazione Porto Fluviale. Nell’incontro che ha anticipato l’assemblea di piazza, tutti hanno convenuto sulla necessità di un’apertura alla città, dando centralità alla questione migranti. "Va invertito - dice Andrea del Corto circuito - il concetto di sicurezza: se le città non sono sicure, è per l’assenza di diritti, non per la presenza di migranti. Per noi sicurezza significa conquista dei diritti per tutti, non repressione.

L’Istat dà un quadro reale delle difficoltà economiche della gente, mentre le derive securitarie nascondono dinamiche di sfruttamento trovando capri espiatori". "La sicurezza poliziesca - gli fa eco Marco dell’Horus occupato - aumenta in proporzione alla diminuzione di quella sociale, non sono complementari ma in contrasto. La Lega è contro la costruzione di campi Rom e strutture che diano loro stabilità e integrazione, quindi li vuole segregati e delinquenti".

Anche le risposte da dare sono di segno inverso. "La demagogia della sicurezza sui cantieri - continua Andrea - spinge a rafforzare i controlli polizieschi, prevedendo l’espulsione per i clandestini. Noi, al contrario, proponiamo per il lavoratore che denuncia chi lo costringe a lavorare al nero un permesso di soggiorno temporaneo che gli permetta di cercare una nuova attività. Anche i venditori ambulanti di dischi, rispetto alla sicurezza, sono l’ultimo dei problemi. Bisogna piuttosto colpire le mafie che controllano il mercato dei prodotti falsi.

Noi siamo per l’abolizione del copyright e l’accesso gratuito alla cultura". Secondo Emiliano, dell’Horus occupato, "la controparte è il modello di governo autoritario del dividere e controllare applicato alle diversità, che viene tradotto nelle ronde e negli attacchi ai trans. Noi vediamo un parallelo, rispetto ai migranti: un tempo le borgate con le baracche degli immigrati dal Sud erano degradate e c’era illegalità, ma hanno anche rappresentato le lotte più avanzate in questa città". Aggiunge Dario, dell’ex-Snia: "la difesa dei migranti però va fatta con metodo, perché non sono tutti santi: attraverso autogoverno di pezzi di quartiere, bilanci partecipativi, dialogo interculturale.

In tal senso, al Pigneto abbiamo messo con le spalle al muro l’amministrazione per ottenere i soldi per rivitalizzare il quartiere, permettere la partecipazione, arrivare ad una gestione dei cittadini con i migranti". Il rapporto con la città significa anche un collegamento con quanto è in movimento. "L’espulsione della sinistra dal Parlamento - sostiene Luca del Vittorio Occupato - apre un vuoto, non ci sono più cuscinetti, ora la contrapposizione è diretta.

La rabbia aumenta in segmenti sociali crescenti e va interpretata, altrimenti diventa guerra tra poveri. Bisogna allora coinvolgere chi vive situazioni di precarietà, caro-vita, mutui bancari, quartieri degradati". "All’autorganizzazione dal basso - interviene Nunzio del Corto Circuito - va dato un senso solidale. Per esempio, mi ha fatto impressione sentire un signore dire: "prima stavo in una sezione di An e mi dicevano fascista, ora lotto contro le discariche e mi chiamano camorrista". Ecco, dobbiamo intercettare ogni lotta, che può essere elemento di sovversione. Per questo siamo pronti ad alleanze assurde, anche con i preti".

Immigrazione: Maroni; dopo identificazione Cpt è immotivato

 

Apcom, 6 giugno 2008

 

Il ministro degli Interni Roberto Maroni, che oggi a Lussemburgo ha "salutato con felicità" l’approvazione della "direttiva rimpatri" sull’immigrazione illegale da parte del Consiglio Ue, sembra d’accordo almeno con una delle molte critiche rivolte dalle sinistre, dalle Ong e dalle chiese cristiane (e non solo cattoliche) al testo, che entrerà in vigore solo se sarà approvato senza emendamenti dal Parlamento europeo, il 18 giugno. La direttiva prevede la possibilità di detenere nei Cpt gli immigrati illegali fino a un massimo di 18 mesi, e questo è stato forse il singolo punto che ha sollevato l’opposizione più virulenta alla proposta.

Durante la sua conferenza stampa a margine del Consiglio Ue, il ministro italiano, dopo aver espresso la sua soddisfazione per il fatto di aver "anticipato" questa e altre norme della direttiva nel decreto sicurezza del governo, ha spiegato che una permanenza così lunga nei centri di "detenzione amministrativa" dipenderebbe, in realtà, dallo stesso clandestino detenuto, visto che la privazione della libertà sarebbe motivata dal suo rifiuto di farsi identificare.

"La detenzione, secondo la direttiva, serve per l’identificazione. Se uno il giorno dopo che è entrato nel Cpt uno dice chi è, non vi rimane detenuto per 18 mesi, ma è espulso immediatamente", ha detto il responsabile del Viminale. La direttiva, tuttavia, prevede anche che l’immigrato illegale resti in stato di detenzione fino a che non arriva il nulla osta al rimpatrio da parte del paese di provenienza. "io trovo che non sia giusto, una volta che l’identificazione ha avuto luogo, trattenere il clandestino nel centro di permanenza, e penso che il Parlamento europeo abbia fatto bene a sollevare il problema". Ha detto Maroni.

Ma ha aggiunto che comunque "in Italia il problema non si porrà, perché noi abbiamo accordi bilaterali con la grande maggioranza dei paesi di provenienza dell’immigrazione illegale. Il problema è riconoscere i clandestini, poi è solo questione di aspettare qualche giorno", prima che arrivi il nulla osta, come prevedono gli accordi. Il problema, quindi resta per i paesi Ue che non hanno questo tipo di accordi bilaterali, nei quali si potrebbero avere quindi, delle "detenzioni immotivate". La strada, ha detto il ministro, è quella di procedere a stipulare accordi con i paesi di provenienza laddove mancano, a livello bilaterale o anche a livello Ue.

Immigrazione: Alfano; su clandestini soluzione da Parlamento

 

Agi, 6 giugno 2008

 

Il ministro della giustizia, Angelino Alfano, respinge le critiche dell’Associazione nazionale magistrati sul reato di immigrazione clandestina. "Si tratta di un grande deterrente nei confronti degli stranieri che vogliono entrare illegalmente in Italia, in violazione delle regole dello Stato - ha detto il ministro nella conferenza stampa a Lussemburgo dove ha partecipato alla sua prima riunione del consiglio dei ministri dell’Ue - poi in Parlamento troveremo una soluzione equilibrata che ci consenta di giovarci di questo beneficio senza danni al sistema delle carceri e senza che vi sia ingolfamento dei processi".

Alfano non ha dubbi sulla lotta all’annosa lentezza dei processi: "entro l’estate presenteremo delle norme che hanno l’obiettivo di accelerare la conclusione dei processi". Il Ministro si dice "in contatto con il suo collega dell’economia, Giulio Tremonti", e spiega che la sua strategia è quella "di mettere al centro della nostra battaglia, l’efficienza del sistema giustizia.

Per rendere protagonisti i nostri cittadini di una risposta del sistema più corretta e leale dell’ordinamento - prosegue Alfano - saranno necessarie una serie di norme per fare in modo che i tempi della giustizia siano assolutamente più brevi di come sono attualmente". Quanto ai costi, dei quali appunto parla con Tremonti, "sono così importanti che troveremo le misure per coprirle". Secondo il Ministro tuttavia ci anche sono "misure di pura efficienza a costo zero".

Immigrazione: Anm; l’aggravante di clandestinità è sbagliata

di Sara Menafra

 

Il Manifesto, 6 giugno 2008

 

Sotto la cenere, come cantava Miguel Bosè, cova il fuoco. Sarà banale, ma è di certo vero anche per la magistratura associata che tra oggi e lunedì prossimo affronterà un congresso - dell’intera Anm - e il primo plenum del Consiglio superiore della magistratura chiamato a pronunciarsi sul comportamento del governo.

Dietro la calma apparente e i tanti (tantissimi) applausi ed elogi del neoministro Angelino Alfano, la magistratura associata affronta le prossime giornate con più di una preoccupazione.

La prima riguarda il braccio di ferro sulle norme dedicate all’immigrazione clandestina. Se la destra è spaccata sulla creazione del reato, una parte delle toghe è sul piede di guerra pure sulla "aggravante", in vigore, che sanziona più duramente chi abbia commesso un crimine senza avere in tasca un permesso di soggiorno.

Nello Rossi, ad esempio, storico dirigente di Md, parlerà pure di immigrazione, nel suo intervento davanti al congresso: "Sono convinto che non solo il reato ma anche l’aggravante siano anticostituzionali. E credo che presto qualche magistrato solleverà il problema davanti alla corte costituzionale". Gherardo D’Ambrosio, che magistrato non è più ma di giustizia si occupa eccome, da senatore del Pd, è dello stesso parere: "L’America, che combatte l’immigrazione con più durezza di noi, ci insegna che il problema non è mettere i clandestini in galera. Facendolo, oltre a violare le norme europee e la costituzione, scegliamo di tenerli nel nostro paese a spese nostre. E per di più, nel caso del reato di clandestinità, non sarebbe chiara la loro condizione una volta lasciato il carcere".

In queste stesse ore, la sesta commissione del Consiglio superiore della magistratura sta lavorando al parere sul decreto rifiuti, da portare al voto del plenum già lunedì prossimo. E il palleggio tra Movimenti, Md e Unicost sui laici di destra e su Mi, punta a far approvare all’unanimità un giudizio duro, che dica come, nonostante la grave crisi dei rifiuti, ci sono limiti che anche una legge "emergenziale" deve tutelare: quella costituzionale. La commissione si riunirà oggi e nel fine settimana, con l’obiettivo di arrivare ad un giudizio duro e condiviso.

Infine, gli occhi sono puntati sul presidente dell’Anni, Luca Palamara di Unicost. Che ha il difficile compito di considerare le pressioni di Md, parte della maggioranza che lo sostiene, ma anche di non allontanarsi troppo le giovani toghe che chiedono all’associazione di occuparsi meno di politica e più dei problemi della categoria.

Soprattutto, deve occuparsi di sanare le tensioni con la corrente "di destra", Magistratura indipendente, che a inizio settimana ha incontrato Angelino Alfano, scavalcando l’incontro che li guardasigilli aveva già calendarizzato con la giunta. Il congresso nazionale che parte oggi a Roma fornirà l’occasione di contarsi. A tutti.

Immigrazione: in maggio 112 morti "alle porte dell’Europa"

di Gabriele Del Grande

 

Redattore Sociale, 6 giugno 2008

 

Ogni volta che entro in acqua sento l’angoscia salire allo stomaco. E penso che non sia affatto normale. Avanzo con cautela, in una piccola baia di Samos. Sono scalzo. E ho paura di toccare un cadavere sottacqua. Ho in mente le fotografie che mi hanno mostrato una settimana fa a Lesvos, in Grecia, di due bambini ripescati in mare. Ho in mente i racconti dei pescatori e la cronaca dell’ultimo mese, che parla di almeno 112 morti sulle rotte per l’Europa, di cui 102 soltanto nel Canale di Sicilia.

Tra Malta e Lampedusa negli ultimi trenta giorni si è consumata una strage. Una nave è scomparsa dopo aver lanciato un allarme lo scorso 22 maggio. Dei 28 passeggeri non si sa niente. Ma nelle ultime due settimane il mare ha gettato decine di corpi sulle spiagge. Come quella della donna notato da un passante sul litorale di Maluk, a Lampedusa. L’ottavo cadavere ritrovato in tre giorni tra Lampedusa, Pozzallo, Agrigento, Trapani e Malta. Tutto fa pensare a una serie di naufragi fantasma. Di cui non avremo ulteriori notizie.

Il numero imprecisato delle vittime va così ad aggiungersi ai 50 morti ritrovati a Teboulba, in Tunisia, lo scorso 10 maggio. Così il Mediterraneo è diventato una grande fossa comune, con gli almeno 12.180 migranti e rifugiati morti sulle rotte per l’Europa negli ultimi 20 anni, secondo la rassegna stampa internazionale curata da Fortress Europe. Altri 21 uomini potrebbero essere annegati al largo dell’isola greca di Samos, lo scorso 16 maggio. Le autorità greche non ne sanno niente. Ma della loro storia è rimasta una traccia in una lettera autografata scritta da uno dei superstiti.

"Eravamo 22 persone su un gommone, siamo stati intercettati dalla guardia costiera greca. Hanno legato il nostro gommone alla motovedetta e ci hanno trainato verso la costa turca. Poi ci hanno sequestrato il carburante e ci hanno abbandonato in mezzo al mare. Il tempo è peggiorato e sono salite le onde. L’imbarcazione ha iniziato a ondeggiare. Era il 16 maggio alle due del mattino. Le persone a bordo hanno iniziato a cadere in acqua una dopo l’altra, il gommone si è rovesciato. Ho perso il mio amico. Ho iniziato a nuotare e a combattere contro le onde del mare. Alla fine un pescatore mi ha tratto in salvo e mi ha portato all’ospedale da dove mi hanno trasferito al campo"

Nessun corpo è stato ripescato negli ultimi giorni a Samos. E Yassin, l’autore della lettera, nel frattempo è partito per Atene senza che nessuno abbia i suoi contatti. Nessuno quindi è in grado di dire se i naufraghi siano stati soccorsi dalle autorità turche e se siano tutti annegati. Quel che è certo è che la storia è più che verosimile. Tawfiq ne è convinto. È un ragazzo algerino che vive sull’isola greca. È lui che mi ha tradotto la lettera, scritta in arabo. Nonostante la giovane età, 23 anni, può ben dirsi un veterano tra gli harragas, dato che ha bruciato la frontiera tra Turchia e Grecia per ben sette volte. L’ultima da solo. A bordo di un canotto, armato di remi e coraggio, lungo un tragitto di un paio di miglia.

A suo fratello, Sufien, è successo lo stesso. Lo incontro il giorno su una spiaggia dell’isola. Davanti a una birra ghiacciata mi racconta la notte del 2 maggio dello scorso anno. Nessun passeur. Avevano fatto tutto da soli. Conoscevano già la rotta. Lui, un terzo fratello, due cugini e un amico. Tutti algerini. Avevano comprato i remi e un gommone di un paio di metri. Dopo essere salpati da una spiaggia vicino Kusadasi, a metà tragitto vennero fermati dalla marina militare greca. Sufien insiste. La motovedetta era di quelle grigie. I militari si avvicinarono al gommone e tagliarono con un coltello le camere d’aria.

Per poi rimanere a guardare mentre i cinque finivano in acqua. Fortunatamente sapevano tutti nuotare e nel giro di cinque ore, stremati, raggiunsero a nuoto la costa turca. Ma cosa sarebbe successo se uno di loro non avesse saputo nuotare? O se fosse accaduto con le temperature invernali? L’affondamento dei gommoni dei migranti è una pratica abituale della guardia costiera e della marina greca, secondo il rapporto redatto da Pro Asyl nel 2007.

Come pure il mancato soccorso. Bilal e gli altri 23 passeggeri del gommone partito il 12 marzo 2008 hanno aspettato invano nove ore l’arrivo dei soccorsi greci. Il passeur turco a Izmir aveva dato loro i numeri della Guardia costiera greca, che avevano chiamato verso le quattro del mattino, quando il motore era andato in panne. Una motovedetta in realtà si era avvicinata, ma soltanto per fare delle foto. Poi si era allontanata. Quando il mare si era fatto grosso, per salvarsi la vita avevano quindi deciso di avvertire la guardia costiera turca, verso le 13.30.

Immigrazione: rom e sinti in corteo, c’è un clima da pogrom

di Alberto Custodero

 

La Repubblica, 6 giugno 2008

 

Rom e Sinti in piazza per protestare contro il razzismo degli italiani di cui si sentono vittime. La manifestazione, la prima del genere in Italia, si svolgerà domenica pomeriggio a Roma, partenza dal Colosseo, arrivo al Villaggio Globale a Testaccio. Ed è stata organizzata da Santino Spinelli, musicista - in arte Alexian, fondatore dell’associazione thèm romanò - l’unico rom al mondo ad avere una docenza universitaria e due lauree.

Fra chi ha aderito all’iniziativa di forte protesta (per dirla con il rom Spinelli), "contro un clima da pogrom nazista", centinaia di intellettuali, dallo storico Angelo del Boca allo scrittore Marco Revelli. Pochissimi politici, alcuni del centrosinistra (radicali, comunisti italiani, Verdi), nessuno del Pdl. Hanno aderito esponenti della Comunità ebraica (con la presenza dell’ex deportato ad Auschwitz Piero Terracina), don Federico Schiavon, direttore della Pastorale rom e sinti della Cei, Elena Montani, della rappresentanza italiana della Commissione Europea, e l’ex europarlamentare socialista spagnolo Juan de Dios Ramirez-Hredia.

Il professor Alberto Asor Rosa spiega così la sua adesione: "La campagna sulla delinquenza rom ha superato i livelli di guardia, nel senso che, da fatto occasionale ed episodico, s’è trasformata in una sorta di persecuzione organizzata. Cosa che mi pare che questa popolazione non meriti". Dopo le molotov alla baraccopoli di Ponticelli, nel Napoletano, e le proteste della Lega contro la costruzione di un campo nomadi a Mestre, per Meo Nedzad Hamidovic, dell’associazione Bosnia Herzegovina, "è giunto il giorno dell’orgoglio rom, per dire basta all’odio". Ma a spiegare il perché di questa clamorosa manifestazione, è il suo ideatore, Spinelli.

"Vogliamo innanzitutto stemperare la tensione - ha spiegato - e calmare gli animi, ma per farlo, occorre trovare soluzioni concrete ai problemi e far conoscere agli italiani l’arte e la cultura rom e sinti". Spinelli ha dieci suggerimenti da proporre al presidente del consiglio e al ministro dell’Interno. Fra questi, "lo smantellamento dei campi nomadi che sono pattumiere sociali degradanti, centri di segregazione razziale e emblema della discriminazione".

E "la presa d’atto del palese fallimento dell’assistenzialismo delle associazioni di volontariato che si sono arrogate il diritto di rappresentare il nostro popolo, sperperando centinaia di migliaia di euro per progetti di nessun valore per rom e sinti". Fra le iniziative politiche, Rita Bernardini, segretaria del Partito radicale, ha lanciato la proposta di un censimento per i nomadi "non per schedarli, ma per capire gli interventi da fare". E ha promosso l’"intergruppo" di deputati e senatori "per l’amicizia con il popolo rom" al quale hanno aderito molti esponenti dell’opposizione. E finora solo un deputato della maggioranza, Adriana Poli Bortone, di An.

Immigrazione: "non in nostro nome", associazioni a confronto

 

Redattore Sociale, 6 giugno 2008

 

Arci, Caritas Firenze, Cnca, Cospe e Fondazione Michelucci, firmatarie dell’appello, hanno incontrato oggi presidente e il vicepresidente della Regione Toscana, trovando conforto nelle loro preoccupazioni sul clima sviluppatosi in Italia.

Le associazioni Arci, Caritas di Firenze, Cnca Toscana, Cospe e Fondazione Michelucci, firmatarie dell’appello "Razzismo. Non in nostro nome", fortemente preoccupate per il clima che si sta sviluppando nel paese, hanno chiesto e ottenuto un incontro al presidente della Regione Toscana, Claudio Martini, e al Vice Presidente, Federico Gelli. L’incontro si è svolto oggi e ha mostrato una sostanziale condivisione col Presidente Martini e il Vice Presidente Gelli delle preoccupazioni delle associazioni.

Nel corso dell’incontro, Vincenzo Striano, presidente dell’Arci Toscana, ha esposto le motivazioni che hanno spinto questo gruppo di associazioni (altre aderiranno in seguito) a concordare una serie comune di iniziative. "Vanno sempre prese in considerazione le paure della popolazione, anche quelle più irrazionali, ma per farle scomparire - ha affermato -. È pericoloso inseguirle e alimentarle. Bisogna reagire al clima di razzismo che sta pericolosamente crescendo nel paese. Per quanto ci riguarda non solo siamo contrarissimi ad ipotesi di Cpt ma proporremo alle altre associazioni, alla Caritas in particolare, di scrivere insieme una carta dell’inclusione o della convivenza da affiggere in tutti i luoghi frequentati da molte persone come case del popolo e parrocchie."

Per la Caritas diocesana di Firenze, il direttore Alessandro Martini ha voluto ricordare che "la Toscana delle istituzioni e della società civile, nella sua tradizione storica e nella realtà diffusa, ha sempre proposto un modello sociale inclusivo. La situazione di disagio in cui per una serie di fattori versano le città (la precarietà o la mancanza del lavoro, l’impoverimento delle famiglie, la mancanza di abitazioni, la solitudine degli anziani, lo smarrimento dei giovani, una diffusa percezione di insicurezza) va affrontata con la volontà di risolvere i problemi e non di inasprirli, di produrre coesione sociale e non divisione. Una rapida approvazione della Legge regionale sull’immigrazione - ha concluso - costituirebbe un segnale concreto di contrasto e di rifiuto della xenofobia e del razzismo, che costituiscono un pericolo sempre latente nelle situazioni di crisi sociale, anche nel nostro territorio".

Da parte sua Alessandro Margara, presidente della Fondazione Michelucci, ha introdotto il tema delle nuove previsioni normative, del Governo. "Molte di queste - l’aggravante per la condizione di irregolarità del titolo di soggiorno per chi commette reati, la previsione dell’irregolarità stessa come reato, l’innalzamento del periodo di permanenza nei Centri di Permanenza Temporanea (ora denominati Cie, Centro di Identificazione ed Espulsione) - presentano non solo una dubbia efficacia e il rischio di effetti perversi sul sistema giudiziario e penitenziario, ma anche forti perplessità sotto il profilo costituzionale. In particolare - ha sottolineato - l’innalzamento tempi di trattenimento da 2 a 18 mesi nei Cie, configura queste strutture come surrogati carcerari e la permanenza al loro interno come una anticipazione di una pena detentiva, pur in assenza di reato, di gran lunga superiore a quella che nelle carceri viene mediamente scontata".

Sull’ipotesi nuovamente affacciata nelle ultime settimane, da parte governativa, di realizzare un Cie in Toscana si è soffermato don Armando Zappolini, presidente regionale del Cnca. "Le associazioni sono state contrarie negli scorsi anni ai Cpt perché questi rappresentavano una palese violazione dei diritti umani e delle garanzie personali". Nel caso che, nonostante la diffusa opposizione, un Cir venisse realizzato in Toscana "le associazioni firmatarie si impegnano a promuovere in tutto il variegato mondo dell’associazionismo e del terzo settore toscano un fermo e condiviso atteggiamento di contrarietà alla costruzione di un Cie in Toscana e, nel caso questo fosse nonostante tutto realizzato, un generalizzato diniego a qualunque forma di coinvolgimento nella sua gestione".

Infine Udo Enwereuzor, del Cospe, ha ricordato che "la forte difficoltà, dettata dalla Legge Bossi-Fini, ad entrare regolarmente in Italia costringe, più o meno temporaneamente e reversibilmente, a situazioni di irregolarità moltissimi immigrati che hanno un lavoro, una casa, e che rimangono esposti per via della loro condizione a lavoro nero e malpagato e a forme di sfruttamento. L’unica strada per limitare l’irregolarità, che non sia l’impraticabile suggestione repressiva, è una politica dei flussi che faciliti l’ingresso regolare. L’idea di espellere tutti coloro che in questo quadro normativo non sono in regola con il titolo di soggiorno contrasta con la realtà di inserimento lavorativo - e con l’interesse di imprese e famiglie italiane - che riguarda la stragrande maggioranza degli irregolari".

Immigrazione: Europa Galera... varata la "direttiva rimpatri"

 

Liberazione, 6 giugno 2008

 

Diciotto mesi di reclusione nei centri di permanenza temporanea e divieto di rientro per 5 anni. Anche l’Europa cede al vento di destra che arriva dall’Italia e alza le mura dei propri confini per difendersi dall’assalto che arriva dal Sud del mondo, dai clandestini. Chi sperava in un’Unione europea attenta ai diritti dei migranti dovrà dunque rivedere le proprie posizioni. I ministri degli interni dei 27 Stati membri hanno infatti dato l’ok alla direttiva rimpatri che, oltre ad estendere fino a 18 mesi la detenzioni dentro i centri di permanenza temporanea, prevede anche la detenzione e l’espulsione dei minori extracomunitari. Insomma, grosso modo le stesse linee guida inserite nel pacchetto sicurezza presentato ieri l’altro al Senato della Repubblica italiana. Soddisfatto il ministro dell’interno Maroni, anche lui presente al vertice dei 27, che parla di "via giusta" intrapresa dall’Italia in tema di immigrazione.

Il testo dovrà essere esaminato e votato dal Parlamento europeo che si presenta quanto mai diviso. Una parte dei deputati del Pse sono infatti tentati di votare a favore di quella direttiva ma la sinistra italiana presente a Bruxelles promette battaglia: "L’accordo raggiunto dai 27 ministri degli interni sulla direttiva rimpatri è pessimo - dichiara Giusto Catania, europarlamentare del Prc - il testo finale è una mediazione al ribasso che favorisce sistematiche violazioni dei diritti umani. Il Parlamento Europeo deve respingere la direttiva". E se c’è qualche possibilità che l’europarlamento rifiuti la direttiva questa è data dal lavoro di Rifondazione, della Sinistra democratica e dei Verdi che in queste settimane hanno presentato una mozione contro quella che Roberto Musacchio definisce "la direttiva della vergogna".

"È inaccettabile il tempo della durata della detenzione - spiega ancora Catania - diciotto mesi di trattenimento in un centro di permanenza temporanea per persone che non hanno commesso alcun reato sono una misura sproporzionata. Inoltre, tra le definizioni di rimpatrio si prevede la possibilità di mandare i migranti nei paesi di transito in questo modo, di fatto, si favorisce la deportazione in paesi come la Libia che non offrono garanzie sulla tutela dei diritti umani. Con questa direttiva si sancisce la possibilità di trattenimento e di espulsione dei minori non accompagnati e si può indubbiamente affermare che il divieto di rientro per cinque anni sia una misura eccessivamente vessatoria. Facciamo appello - conclude Catania - a tutti i gruppi del Parlamento Europeo di bocciare la direttiva. Speriamo che il Parlamento Europeo non resti insensibile alle tante sollecitazioni che vengono dalla società: associazioni, gerarchie ecclesiastiche, Ong, organizzazioni sindacali, in questi ultimi giorni, hanno mostrato avversione nei confronti della direttiva".

E la mozione presentata d Rifondazione rischia dunque di far crollare il fronte del sì. I Popolari europei non potranno certo ignorare le parole che sono arrivate dalla Conferenza degli episcopati europei riunita che si è detta "molto preoccupata" . I vescovi chiedono al Parlamento europeo che "sia limitato l’uso delle detenzione amministrativa e il divieto di riammissione in circostanze eccezionali". Suggeriscono inoltre di garantire "un periodo minimo di 30 giorni per il rimpatrio volontario. Le chiese, pur capendo le preoccupazioni dei governi e della società di preservare lo stato di diritto, chiedono che "sia rispettata la dignità di ogni essere umano".

Diviso, molto diviso, il gruppo del Pse: da una parte italiani, belgi e francesi fortemente contrari al testo; dall’altra restano possibilisti tedeschi, spagnoli e britannici. Il gruppo farà un altro tentativo di trovare una posizione comune alla vigilia del voto in plenaria sulla direttiva, previsto per il 18 giugno a Strasburgo. Parole preoccupate arrivano anche da Claudio Fava, segretario di Sinistra democratica che parla di situazione "lacerante": "Noi - spiega ancora Fava - siamo fortemente contrari a queste norme che violano i principi di legalità elementari scritti nella buona parte delle Costituzioni dei paesi europei: parliamo di carcere per persone che magari vivono nel nostro paese, che qui hanno lavoro e famiglia, e che potrebbero essere illegali perché hanno il permesso in attesa di rinnovo".

Usa: lo stratega dell’11 settembre vuole la condanna a morte

 

Il Giornale, 6 giugno 2008

 

"Credo solo nella legge islamica, non riconosco la corte e gli avvocati, voglio essere condannato a morte e diventare un martire". Khalid Sheikh Mohammed, il demiurgo dell’11 settembre, saluta così giudici e legali della Corte marziale di Guantanamo e i giornalisti arrivati a seguire la fase preliminare del processo contro di lui e i quattro complici accusati del più sanguinoso attentato della storia. Il dibattimento non entrerà nel vivo prima del prossimo autunno, ma già non delude. Khalid Sheikh, che salmodia il Corano, inneggia ad "Allah mio unico scudo" e ripudia corte ed avvocati, è il grande protagonista al suo debutto in pubblico. Nella foto scattata dopo la cattura del marzo 2003 è un villoso energumeno in canottiera con l’espressione stralunata e i capelli arruffati. Scomparso per tre anni nelle prigioni segrete della Cia, la mente dell’11 settembre è riemersa solo nel 2006 per approdare a Guantanamo dopo la firma di una confessione in cui ammetteva di essere responsabile "dalla A alla Z per gli attacchi dell’11 settembre".

Sulla testa di Khalid e dei suoi quattro complici pesano 2.973 imputazione per omicidio, uno per ciascuna vittima dell’11 settembre, ma i loro ruoli sono ben diversi. Lo yemenita Walid Bin Attash prima di addestrare i terroristi dell’11/9 perse una gamba in Afghanistan e preparò l’attentato all’incrociatore Uss Cole. Il suo connazionale Ramzi Binalshibh, l’unico in catene a causa di quelli che il consulente legale della Corte Marziale Thomas Hartmann definisce problemi mentali, è il terrorista senza visto che perse i voli da dirottare. Ali Abd al-Aziz Ali è il nipote ed il braccio destro di Khalid. Il saudita Mustafa Ahmed al-Hawsawi è il cassiere. Ma l’ideatore del piano scellerato, il numero 3 di Al Qaida in costante contatto con Osama Bin Laden, che confessa alla Cia di aver diretto tutte le principali operazioni è solo Khalid Sheikh Mohammed. Polemiche e dibattiti rischiano però di travolgere le responsabilità degli imputati. Le procedure di annegamento simulato e le lunghe fasi di deprivazione sensoriale usate per ottenere le confessioni minacciano di aprire un dibattito sulla tortura e sulla validità delle prove ottenute con il suo utilizzo.

Il primo ad accendere il fuoco delle polemiche è proprio Sheikh Mohammed che approfitta della comparsa in pubblico per rinnegare ogni precedente ammissione. "Tutto mi è stato estorto con la tortura. Hanno tradotto come volevano le mie parole e me ne hanno messe in bocca molte altre" urla l’ex numero tre di Al Qaida ai giudici. I primi a temere le procedure della Corte Marziale sono i giuristi americani. La prima e più evidente anomalia è, per molti, quella di un dibattimento dove gli imputati rischiano la pena capitale, ma che non saranno liberati nemmeno se assolti. In qualità di prigionieri di guerra verranno detenuti fino alla conclusione del conflitto. Ma la fine della guerra al terrorismo non sembra vicina.

Myanmar: tra i detenuti casi di tifo, malaria, e altre malattie

 

Asca, 6 giugno 2008

 

Dissenteria, tifo, malaria cerebrale ed altre patologie altamente contagiose. Sono questi i drammatici strascichi del passaggio del ciclone Nargis che si è abbattuto in Myanmar più di un mese fa. Nel famigerato carcere di Insein il passaggio di Nargis ha distrutto le scorte di cibo, spazzato via i tetti della struttura, allagato diversi padiglioni del carcere e diffuso in maniera preoccupante vari tipi di malattie. A renderlo noto è un’associazione thailandese per l’assistenza ai prigionieri politici.

Nel carcere Insein sono detenuti circa duemila prigionieri politici, di cui 700 arrestati solamente quest’anno, e in aggiunta alle condizioni disperate in cui versano sotto il regime dell’ex Birmania, dovranno ora affrontare l’emergenza sanitaria seguita al ciclone. Inoltre, secondo l’associazione thailandese, almeno quaranta persone sono state uccise durante una protesta all’interno della prigione più famosa del Myanmar: le forze di sicurezza avrebbero costretto un migliaio di detenuti in un corridoio della prigione proprio mentre imperversava la furia della tempesta ed hanno disperso la protesta aprendo il fuoco contro i prigionieri. Quattro, invece, sarebbero stati torturati dai carcerieri durante una serie di interrogatori.

L’associazione ha sottolineato come la Commissione Internazionale della Croce Rossa abbia stanziato generi alimentari, ma ha aggiunto che le scorte sono già terminate e che le autorità di Rangoon stiano fornendo ai prigionieri politici cibo avariato.

 

 

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