Rassegna stampa 26 giugno

 

 

Giustizia: Csm; norma "blocca-processi" viola la Costituzione

 

Apcom, 26 giugno 2008

 

Viola la Costituzione la norma "blocca-processi", destinata a produrre anche effetti "gravemente negativi" sulla funzionalità del servizio giustizia perché costringerà a fermare "un numero ingente di processi", secondo alcuni "più della metà di quelli in corso". Una scelta "incongrua" rispetto all’obiettivo che si pone. Dalla bozza di parere al dl sicurezza, depositato oggi in Sesta Commissione ma su cui ancora stanno lavorando i consiglieri del Csm, arriva la conferma di una sostanziale bocciatura allo stop di un anno ai processi per i reati puniti con meno di dieci anni. Materia troppo delicata per intervenire con un decreto legge e con modifiche successive sottratte "ai controlli preventivi di costituzionalità del capo dello Stato e della commissione Affari costituzionali del Senato".

I rilievi principali riguardano, appunto, la costituzionalità della norma che sospende i processi. Nel documento che solo domani dovrebbe ricevere il primo via libera per essere poi discusso la prossima settimana in plenum e trasmesso al ministro della Giustizia, si sostiene infatti che quella disposizione non solo non rispetta il principio della ragionevole durata del processo, tutelato dall’articolo 111, ma "pone delicati problemi di compatibilità" anche con l’obbligatorietà dell’azione penale sancita dall’articolo 112 della Carta. "La norma non si limita a fissare ‘criteri di priorità’" nella trattazione dei processi: "Vengono introdotte nel sistema rigidità tali da determinare, in concreto, una esclusione dell’azione penale per intere categorie di fatti, che pure la legge prevede come reati".

Ma la norma in questione - rincarano i due relatori Livio Pepino (Md) e Fabio Roia (Unicost) nella bozza distribuita oggi ai colleghi della Commissione, di poco modificata rispetto ad un testo iniziale - presenta anche "profili di irragionevolezza", uno dei parametri a cui la Corte costituzionale fa riferimento nel valutare la "legittimità" delle norme: lo "spartiacque temporale" fissato al 30 giugno 2002 per stabilire i processi che devono essere sospesi è "casuale a arbitrario". Così come "appare ugualmente non ragionevole" la scelta dei reati, tra i quali vi sono "numerosi delitti che, secondo altre previsioni dello stesso decreto, determinano particolare allarme sociale".

Lo stop obbligatorio dei processi, "oltre a ledere talora in modo assai grave gli interessi e le aspettative delle parti offese, può violare anche diritti dell’imputato", viene evidenziato ancora nella bozza del parere. Mentre "lacunosa e imprecisa" viene giudicata la disciplina della sospensione della prescrizione durante l’anno in cui i processi dovranno fermarsi.

Nella norma blocca-processi c’è anche "una sorta di amnistia occulta", si segnala ancora nella bozza di parere. Dove il riferimento è ad un aspetto particolare, quello che dà la possibilità al presidente del Tribunale di sospendere i processi per reati prossimi alla prescrizione o coperti da indulto. "La sua struttura - scrivono i due relatori - la fa apparire una sorta di amnistia occulta applicata al di fuori della procedura prevista dall’articolo 79 della Costituzione".

Non mancano rilievi sull’aggravante di clandestinità introdotta nel codice penale: "Immette nel sistema un tasso di elevata rigidità e si fonda su una presunzione di pericolosità che non può automaticamente conseguire a uno status di mera irregolarità amministrativa", sottolineano Pepino e Roia. Richiamando anche in questo caso i paletti fissati dalla Corte costituzionale in una sentenza dello scorso anno: " (...) la condizione di straniero irregolare in quanto tale non può essere associata a una presunzione di pericolosità (...)", le parole dei giudici della Consulta.

Qualche perplessità suscitano anche altre norme del provvedimento, come gli incentivi al ricorso ai riti per direttissima o l’abrogazione del patteggiamento in appello a, ancora, la confisca degli immobili affittati a clandestini: la loro ratio è "condivisibile", è la premessa, accompagnata però dal richiamo alla necessità di intervenire per precisare meglio alcuni aspetti che rischiano di creare problemi interpretativi.

Ma nel dl sicurezza ci sono anche norme positive per i consiglieri dell’organo di autogoverno della magistratura. Come quelle "significative" che riguardano la lotta alla mafia e alla criminalità organizzata. "Il complesso degli interventi adottati in tema di misure di prevenzione antimafia - scrivono Pepino e Roia - deve essere valutato positivamente, in quanto potenzia gli strumenti preesistenti e risolve alcuni complessi problemi applicativi".

Giustizia: Berlusconi; vogliono darmi 6 anni, farmi dimettere

 

Corriere della Sera, 26 giugno 2008

 

Prendendo la parola all’assemblea della Confesercenti, Berlusconi ha scelto in un primo momento l’arma dell’ironia per ribadire che ci sono "molti pm che vorrebbero vedermi legato", ovvero in galera, mimando le manette ai polsi. E spiegando che comunque un presidente del Consiglio "ha le mani legate di fronte ad un’architettura che non è quella di uno stato moderno ma è quella di uno stato antico". Poi, però, Berlusconi ha smesso di parlare di "lacci e lacciuoli" nei confronti delle imprese dei cittadini per ribadire il suo attacco ai pm.

Non appena il Cavaliere ha cominciato a parlare di "giudici ideologizzati" la platea ha iniziato a rumoreggiare. "Vi do un dato - ha spiegato il premier -: dal 1994 al 2006 ci sono stati più di 789 tra pm e magistrati che si sono interessati del "pericolo Berlusconi", per sovvertire la democrazia, non ci sono riusciti e non ci riusciranno. I cittadini hanno il diritto di vedere governare chi hanno deciso, tramite libere elezioni, di scegliere per la guida del Paese".

Dalla platea della Confesercenti, a questo punto sono arrivati i fischi. Ai quali Berlusconi ha replicato. "Mi indigna quando qualcuno si lascia trasportare dall’ala giustizialista della magistratura" ha detto il presidente del Consiglio. "Ho anche fiducia nella magistratura, ma dopo un calvario simile in me c’è indignazione" ha aggiunto. "Mi avete invitato voi..." ha anche detto Berlusconi cercando di spiegare più volte il motivo dei suoi attacchi alla magistratura politicizzata.

Dopo l’affondo sui giudici, Berlusconi ha rivolto dure accuse all’opposizione, colpevole a suo dire di aver voluto spezzare il dialogo. "L’opposizione è rimasta indietro ed è giustizialista" ha detto il premier, spiegando perché a parer suo non è più possibile un confronto con l’altro schieramento. "Quando non capisce e non si unisce a noi per cercare di combattere chi sovverte la democrazia - ha detto - significa che non c’è più possibilità di dialogo, che il dialogo si spezza". Immediata la replica del leader del Pd Walter Veltroni, che ha definito l’intervento del presidente del Consiglio un "imbarazzante comizio".

"Gli attacchi ingiustificati rischiano di creare una delegittimazione dell’intera istituzione". Così il presidente dell’Anm Luca Palamara, a proposito delle affermazioni fatte dal presidente del Consiglio sui magistrati. "Parole quali conflitti, opposizione, tregua non appartengono al lessico dell’Anm che viceversa ritiene indefettibile la coesistenza tra poteri dello Stato, nel reciproco rispetto che significa reciproca legittimazione" dice Palamara, che ribadisce che "il tema che interessa i magistrati italiani è il funzionamento del processo" e che per questo le toghe "chiedono alla politica di migliorare il sistema nell’interesse dei cittadini".

 

Vogliono darmi 6 anni e farmi dimettere

 

Forse è l’unica parola che non ha ancora pronunciato in pubblico, che non è entrata nello sfogo di ieri, o in quello della settimana scorsa a Bruxelles. Ma è una parola che illustra un incubo, che spiega lo stato d’animo del premier meglio di qualsiasi discorso sul diritto di governare o sulla sovranità popolare minacciata dalle toghe. La parola è "dimissioni", e il Cavaliere non ha dubbi: "Questi magistrati vogliono darmi 6 anni e un istante dopo sarei obbligato a dimettermi".

Non l’ha ancora detto in pubblico, ha girato intorno al concetto, ma chi chiacchiera in modo riservato con Berlusconi è proprio questo ragionamento che ascolta: "Come potrei continuare a fare il capo del governo con una condanna, con i risvolti interni e internazionali che avrebbe? Non potrei. E conterebbe poco il fatto che l’accusa dei magistrati milanesi è ridicola, che persino all’estero - compreso il liberalissimo Financial Times - si sono accorti che i magistrati italiani tengono da troppo tempo sotto ricatto la democrazia del nostro Paese".

Ieri mattina, calcolo o meno, è anche questa paura che ha fatto da molla alle parole di Berlusconi davanti alla platea di Confesercenti. Alla definizione di una parte dei giudici come "metastasi della democrazia". Al gesto mimato delle manette: "Certi giudici vorrebbero vedermi così...". Appena finito di parlare il Cavaliere ha preso sotto braccio il presidente di Confesercenti, Marco Venturi, e ha continuato lo sfogo, anche per rispondere ai fischi: "Voi non avete ancora capito nulla, non avete capito che io difendo anche voi, i vostri interessi a vivere in un Paese non soffocato da un potere che non ha più nulla di legittimo, che tiene sotto scacco il Paese dal ‘94: prima con me, poi con Mastella e Prodi, ora di nuovo con il sottoscritto". C’era Veltroni in prima fila: poteva essere un deterrente, non lo è stato. Berlusconi è entrato pienamente, o rientrato se vogliamo, in quella fase che gli è caratteristica, congeniale, naturale: dire quello che pensa. Da alcune settimane ormai è in totale disaccordo anche con il suo primo consigliere, quel Gianni Letta che lui stesso tributa di onori ad ogni possibile occasione.

In queste ore Letta dice agli alleati che "Silvio sbaglia", che "ci vorrebbe meno aggressività", che "non è questo il metodo giusto". E in queste ore Berlusconi continua a fare di testa sua, a respingere i tentativi di mediazione condotti con un occhio alle ragioni del Colle, ai possibili obiettivi da raggiungere con un approccio più soft. Si è rimesso in moto il meccanismo che due legislature fa divideva la corte del premier in falchi e colombe. La differenza con il passato è il Cavaliere, che non ha più voglia di ascoltare grandi discorsi. Ieri lo ha spiegato anche dal palco di Confesercenti, per rispondere ai fischi.

Ha reagito alle critiche con un "mi avete invitato voi...". Poi ha concluso avvertendo, assimilando il proprio disastro a quello del Paese: "Dicono che faccio leggi nel mio interesse. Ma io in politica sono sceso per difendere gli interessi degli italiani. Il mio interesse semmai sarebbe quello di lasciare il Paese e godermi i soldi meritatamente guadagnati".

E se questa è la cornice la presenza di Veltroni diventa invisibile: "Se questa opposizione non capisce, il dialogo si spezza. Lo hanno voluto spezzare loro, ma adesso non lo vogliamo più noi, sono ancora giustizialisti". L’Italia, conclude Berlusconi, è ormai "una democrazia in libertà vigilata, tenuta sotto il tacco da giudici politicizzati, ma i cittadini hanno il diritto a esser governati da chi scelgono democraticamente: non posso accettare che un ordine dello Stato voglia cambiare chi è al governo, con accuse fallaci".

Giustizia: Donadi (Idv); "pacchetto" è un indulto permanente

 

Apcom, 26 giugno 2008

 

"È un’amnistia: i processi sospesi non si faranno più e, con il dimezzamento dei termini di prescrizione, siamo davanti a un indulto permanente": Massimo Donadi dell’Italia dei Valori è intervenuto così questa mattina ad Omnibus su LA7, in merito all’approvazione del pacchetto sicurezza. "Questa norma - ha detto Donadi - ha un nome e un cognome, Silvio Berlusconi, e lo scopo è solo quello di bloccare il processo Mills".

"Bloccare i processi per le quattro più alte cariche dello Stato - ha proseguito l’esponente dell’Idv - sarebbe una discussione astratta: ragionevole in un Paese normale, non in Italia". E circa i rapporti con il Pd, Donadi ha dichiarato: "Non voglio parlare di rottura. Ne riparleremo - ha concluso - quando ci sarà un vero confronto interno che vada al di là dei pareri dichiarati".

Giustizia: giornata contro la tortura; in Italia manca il reato

 

Dire, 26 giugno 2008

 

"La tortura è una grave violazione dei diritti umani e un’orripilante aberrazione della coscienza umana". Comincia così il messaggio del Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, per la Giornata internazionale per le vittime di tortura, che si celebra oggi 26 giugno. "Nonostante il quadro giuridico internazionale proibisca la tortura, gli Stati membri devono impegnarsi maggiormente per assicurare che il divieto di tortura sia applicato in modo attento al genere (gender-sensitive manner)" - afferma Ban Ki-moon nel chiedere "una miglior protezione per le donne" e a tutti gli Stati membri di ratificare la Convezione Onu contro la tortura che include controlli internazionali sulla tortura nei luoghi di detenzione.

Nonostante la stigmatizzazione ufficiale, la tortura non é ancora stata sconfitta e continua a essere praticata infliggendo sofferenze fisiche e psichiche. Secondo i dati dell’Unione Europea sono più di 100 i paesi nel mondo che praticano la tortura. Si stima che attualmente l’Europa accolga 400mila rifugiati vittime di tortura e che ogni anno arrivino nel nostro continente 16mila richiedenti asilo sopravvissuti ad esperienze di tortura. "La prevenzione e lo sradicamento di tutte le forme di tortura e di maltrattamento rappresenta uno dei principali obiettivi della politica dell’UE per i diritti umani" - afferma il recente documento-guida del Consiglio Ue contro la tortura e per il sostegno alle vittime.

"L’Italia si presenta a questa Giornata internazionale impreparata e in ritardo rispetto all’obbligo internazionale di prevenire e reprimere la tortura" - afferma la Sessione italiana di Amnesty International in un comunicato per la Giornata internazionale contro la tortura. "Nel codice penale non c’è il reato di tortura, le autorità italiane non hanno mai espresso una condanna chiara delle rendition e risultano coinvolte nella sparizione forzata di Abu Omar" - afferma Amnesty. "L’Italia tende inoltre a erodere sempre di più, e in svariati modi, le garanzie contro la tortura per le persone espulse e ha promosso azioni miranti a screditare l’assolutezza del divieto di tortura a livello internazionale".

Per questo, la Sessione italiana di Amnesty International ha lanciato una mobilitazione e eventi, a partire da oggi, per chiedere a tutti di inviare appelli via fax al Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, perché il governo italiano ribadisca pubblicamente la natura assoluta del divieto di tortura e dia seguito ad alcune importanti raccomandazioni tra cui quella di "introdurre nel codice penale il reato di tortura e ratificare il Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura" e di "condannare pubblicamente le rendition, accertare il coinvolgimento dell’Italia in tali pratiche illegali, collaborare alle inchieste e ai procedimenti giudiziari in corso e alle indagini internazionali".

Nei giorni scorsi la Sessione italiana di Amnesty International ha evidenziato che la mancanza di uno specifico reato di tortura nel codice penale italiano fa sì che la tortura resti "senza nome" nel nostro ordinamento e che gli atti di tortura e i maltrattamenti di cui sono accusati i pubblici ufficiali vengano perseguiti come "reati ordinari" (quali "l’abuso d’ufficio e le lesioni personali"), siano puniti con pene non adeguatamente severe e restino soggetti a prescrizione. Una lacuna che è stata denunciata durante il processo in corso a Genova anche dai pubblici ministeri per quanto riguarda le violenze e i soprusi operati nella caserma della Polizia di Bolzaneto durante il G8 del 2001.

Giustizia: quattro i disegni di legge contro il reato di tortura

di Patrizio Gonnella

 

Italia Oggi, 26 giugno 2008

 

In occasione del 26 giugno, giornata delle Nazioni Unite a sostegno delle vittime di tortura, proclamata dall’Assemblea generale dell’Orni nel 1997, sono molte le iniziative organizzate in Italia sui diritti umani. Una di queste è promossa dal Consiglio italiano dei rifugiati (Cir), attualmente presieduto dall’on. Savino Pezzotta (Udc), che lancerà in quell’occasione una raccolta di firme diretta a chiedere al Governo italiano di introdurre il reato di tortura nel codice penale, nonché di ratificare il Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura.

Sono quattro i disegni di legge attualmente pendenti in Parlamento finalizzati all’introduzione del crimine di tortura nel codice penale. Alla Camera dei deputati le proposte sono due, rispettivamente di Pino Pisicchio (ex presidente della Commissione giustizia, Idv) e Roberto della Seta (Pd). In Senato i disegni di legge sono ugualmente due, uno del Partito Democratico e l’altro del Popolo delle Libertà. Il ddl del Pd è stato presentato su iniziativa dei senatori Amati, Bassoli, Casson, Donaggio, Granaiola, Passoni, Serafini e Zavoli.

Sulla scia della definizione presente all’articolo uno del Trattato delle Nazioni Unite del 1984 la tortura viene definita un crimine proprio che può essere commesso solo dal pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che infligge a una persona, con qualsiasi atto, dolore o sofferenze, fisiche o mentali, al fine di ottenere segnatamente da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o su di una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su ragioni di discriminazione. La pena carceraria sarebbe tra i quattro e i dieci anni.

Alla stessa pena potrebbe soggiacere il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che istighi altri alla commissione del fatto, o che si sottragga volontariamente all’impedimento del fatto, o che vi acconsenta tacitamente. Nel testo presentato dal Pd si prevede anche la negazione dell’immunità diplomatica per i cittadini stranieri macchiatisi del reato di tortura nonché la istituzione di un fondo di 4,5 milioni di euro per la riabilitazione delle vittime della tortura.

Il disegno di legge del Pdl ha come primo firmatario Salvo Fleres, senatore che riveste la carica di Garante dei diritti dei detenuti in Sicilia. Il testo riprende la proposta di Gaetano Pecorella, che era stata approvata dalla Camera nella scorsa legislatura. Il reato è qualificato come un crimine generico che può essere commesso non solo da pubblici ufficiali ma da qualunque cittadino. La sanzione è più severa rispetto a quella minacciata nel testo del Pd in quanto il massimo edittale sale sino a dodici anni. Le altre parti del ddl coincidono con la proposta del Partito Democratico. Unica differenza è la quantità del fondo che è pari a quindici milioni di euro nel triennio 2008-2010.

L’Italia è inadempiente rispetto agli obblighi internazionali dal lontano 1987, anno della ratifica del Trattato Onu che impone l’introduzione del reato di tortura nelle legislazioni nazionali. A questa inadempienza se ne somma una ulteriore, infatti dal 2003, anno della firma da parte del precedente governo Berlusconi del Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura, è mancata la ratifica legislativa. Il protocollo prevede l’istituzione e il funzionamento di un organismo indipendente di controllo di tutti i luoghi di detenzione.

Giustizia: Sappe; un "braccialetto" contro il sovraffollamento

 

Dire, 26 giugno 2008

 

Incentivare l’uso del braccialetto elettronico, ottimizzare il personale e ridurre i costi degli istituti: i temi del convegno del Sappe di venerdì a Bologna. "Sì all’esercito nelle città, no al reato di clandestinità".

Incentivare l’uso del braccialetto elettronico nei detenuti che possono beneficiare di pene esterne per cercare di ridurre il sovraffollamento delle carceri italiane, per tentare di ottimizzare il personale delle forze dell’ordine e per provare a ridurre le spese degli istituti penitenziari, dal momento che un detenuto costa circa 150 euro al giorno alle casse dello Stato. È la proposta che il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) vuole rilanciare a governo, parlamentari, amministratori locali, magistrati e Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

L’argomento verrà discusso da politici e "addetti ai lavori" venerdì 27 giugno all’interno del convegno nazionale "Legalità, giustizia e sicurezza" organizzato a Palazzo D’Accursio dal Sappe in collaborazione con il Gruppo consiliare misto del Comune di Bologna. "La criminalità non si può combattere solo con le persone in divisa: se esistono delle tecnologie, come ad esempio le telecamere in strada o il braccialetto elettronico, che possono essere di aiuto è bene usarle", ha detto Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, oggi in conferenza stampa.

Il segretario aggiunto, in merito al "pacchetto sicurezza", si è poi espresso a favore dell’esercito nelle città ma contro il reato di clandestinità. "Meglio avere in strada i militari che non i delinquenti. Se invece venisse introdotto il reato di immigrazione clandestina la situazione delle carceri italiane, già tornate sovraffollate dopo la fine dell’effetto indulto, peggiorerebbe notevolmente". Il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria preferisce le espulsioni e gli accordi bilaterali con i Paesi di maggior provenienza degli stranieri. A tutt’oggi dietro le sbarre "ci sono 4.500 persone già identificate e che potrebbero essere espulse dall’Italia", ha continuato il segretario del Sappe.

Il bracciale elettronico per il controllo a distanza 24 ore su 24 di chi beneficia di misure alternative è nato in Inghilterra nel 1995. "Da noi è legge dal 2001, l’ex ministro Mastella ne aveva acquistati 400, ma viene utilizzato in pochissimi casi. In Francia, Spagna, Germania, Svizzera e Stati Uniti invece ha una percentuale di successo del 90%". E se la proposta del Sappe sembrerebbe in contrasto con quella avanzata dal senatore di An Filippo Berselli - che mira a ridurre drasticamente i benefici penitenziari rendendo più difficile l’ammissione a tutte le misure alternative previste dalla legge Gozzini del 1986 -, Giovanni Battista Durante ha precisato che "il problema non è la legge in sé ma l’automatismo nella sua applicazione" quando invece "servirebbero maggiori filtri e più controlli da parte della magistratura di sorveglianza".

Il convegno di venerdì in Cappella Farnese sarà quindi "bipartisan", ha aggiunto Patrizio Gattuso, presidente del Gruppo consiliare misto del Comune di Bologna. Tra i relatori infatti, oltre a Berselli e a rappresentanti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dei sindacati di polizia, ci saranno anche il senatore Walter Vitali e il consigliere regionale Gianluca Borghi (entrambi del Pd), il deputato dell’Udc Michele Vietti e i parlamentari Fabio Garagnani, Filippo Saltamartini ed Enzo Raisi del Pdl.

Osapp: cambiare vertice dell’Amministrazione Penitenziaria

 

Il Velino, 26 giugno 2008

 

"Al ministro Alfano abbiamo ripetuto la necessità di un avvicendamento immediato del capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria". Lo afferma Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp che insieme alle altre rappresentanze sindacali ha partecipato oggi all’incontro promosso dal ministro della Giustizia per discutere dei problemi della polizia penitenziaria. "La richiesta che facciamo - si legge nella nota dell’Osapp - è il frutto dello stato in cui versano oggi gli istituti penitenziari: circostanza questa che non permette la possibilità di rimandare soluzioni concrete.

Tra l’altro, rinnovare il mandato agli attuali vertici significherebbe avvallare la disastrosa gestione del precedente governo, che ha lasciato il nostro apparato in continua e perenne instabilità. A rafforzare le nostre convinzioni, oltretutto, si richiamano gli stessi propositi di riforma del ministro Alfano, resi noti ancora ieri in sede di audizione davanti la commissione Giustizia del Senato".

Secondo Beneduci "è comunque obbligatoria un strada diversa verso la scelta di uomini che abbiano il coraggio per realizzare progetti di radicale rinnovamento, laddove si impongono misure urgenti ed estreme per l’intero assetto. E in questo - precisa l’Osapp -, la presente Amministrazione ha saputo darne solo una cattiva prova: lo dimostra il fatto di non aver saputo gestire tutta la fase del post-indulto. Apprezziamo ancora una volta lo spirito dell’iniziativa del ministro Alfano, nel convincimento, però, che non esista una singola questione attinente specificatamente la Polizia Penitenziaria, come per altro il problema del sovraffollamento.

Ma che l’intero sistema penitenziario, e ciò che lo riguarda, debba essere regolato come un unicum: dove si riescano a realizzare le politiche di edilizia che si vogliono fare, accompagnate, però, da una radicale Riforma del Corpo di polizia penitenziaria. Dove, insieme ai percorsi riabilitativi dei condannati, siano consentiti, agli agenti, regolari e frequenti percorsi di formazione professionale, etc. Sappiamo benissimo cosa vuol dire occuparsi delle carceri senza correre il rischio di ridurre la questione alla sola condizione del detenuto. E conosciamo le conseguenze che questo tipo di approccio ha prodotto negli anni passati, soprattutto a svantaggio di una categoria come la nostra. Ma questo non deve condizionare le scelte di un governo che, sul fronte della Giustizia, e delle carceri - conclude l’Osapp - ha ancora tutto da giocare".

Giustizia: il 34% dei detenuti ha figli, 70 i bimbi in carcere…

 

Apcom, 26 giugno 2008

 

Il 34,6% dei detenuti in Italia ha figli e alla fine del 2007, su tutto il territorio nazionale, distribuite nei 18 asili nido funzionanti, risultavano 68 le detenuti madri con figli presenti in istituto: 70 i bambini presenti e 23 le detenute all’epoca in stato di gravidanza. Sono i dati diffusi oggi a Roma durante il Convegno organizzato da Telefono Azzurro nel 21esimo anno della sua fondazione che ha organizzato l’evento per confrontarsi con le istituzioni e definire più incisive strategie di intervento. L’Associazione ha sottolineato come la quasi totalità dei bambini e degli adolescenti con uno o più genitori detenuti possono incontrarli solo saltuariamente a colloquio, secondo le modalità previste dall’ordinamento penitenziario: in appositi locali senza mezzi divisori o all’aperto sotto il controllo a vista del personale di custodia.

Per attenuare questa drammatica situazione Telefono Azzurro chiede che i bambini sotto i tre anni attualmente in carcere siano tolti dagli istituti, dove vivono con le loro madri, e in alternativa vengano aperte strutture di custodia attenuata dove le detenute possano stare con i propri figli e i bambini abbiano la possibilità di usufruire liberamente di tutte le risorse esterne (familiari, socio-relazionali, scolastiche); che in tutti gli istituti di pena siano previsti spazi adeguati (come ludoteche o aree verdi)dove il genitore detenuto possa incontrare i propri familiari e i figli minorenni.

Giustizia: epatite C per 3% degli italiani e 38% dei detenuti

 

Apcom, 26 giugno 2008

 

Nel mondo 350 milioni di persone hanno il virus dell’Epatite B: un numero 7 volte maggiore rispetto a quello delle persone colpite da Hiv. È questo il dato emerso nel corso del Convegno svoltosi, mercoledì 25, nel corso di Sanit 2008: "Le due facce della medaglia: lotta alla povertà e prevenzione e cura delle malattie infettive in una sfida transnazionale". Tre i gruppi nei quali si registra un aumento del virus dell’Epatite B e C: gli immigrati, i tossicodipendenti e i detenuti.

"Si tratta di tre gruppi "deboli", più esposti alla contrazione di malattie. Per quanto riguarda gli immigrati, tuttavia, i dati che abbiamo rappresentano una sottostima rispetto alla realtà dei fatti - ha spiegato il Dottor Lorenzo Nosotti dell’Inmp di Roma -. In Italia, ad oggi, ci sono 3milioni 800mila migrati regolari. A questi vanno aggiunti gli irregolari di cui non possiamo fare una stima precisa. Possiamo dire che il 4,2% degli immigrati ospedalizzati in Italia ha presentato il virus dell’Epatite C. Un dato che è superiore alla media nazionale. Il virus dell’Epatite B in Italia ha una prevalenza dell’1%. Il virus dell’Epatite C ha una prevalenza del 3%".

Una media ampiamente superata dai detenuti. "La causa è da imputare a diversi fattori: il sovraffollamento delle carceri (i detenuti allo stato attuale sono 56.000, rispetto ad una capienza massima di poco più di 43.000 posti), l’uso di strumenti non adeguatamente sterilizzati, i rapporti sessuali senza l’uso di profilattici, lo scambio di oggetti per l’igiene personale. Il 37% dei detenuti in Italia è costituito da stranieri. Nel Lazio questo numero sale al 44%. Sulla base di un’indagine condotta presso 12 Istituti Penitenziari italiani il 38% dei detenuti ha presentato una prevalenza di Epatite C. Ricordiamo sempre che la media nazionale è del 3%. Nel 6,7% si è evidenziata l’Epatite B in forma manifesta. Nel 52,6% dei casi si presentava un’infezione occulta da Hbv".

Per ovviare al problema delle carceri l’idea è di ridurre la pressione della popolazione stipata nelle carceri, di vaccinare il personale medico e paramedico che opera nei penitenziari, distribuire materiale informativo multilingue: "Un progetto quest’ultimo - ha proseguito il Dottor Nosotti - avviato a Roma presso il Sandro Pertini ed anche a Viterbo. In questi due nosocomi, inoltre, ci sono strutture ad hoc per i pazienti ex detenuti".

Altro caso limite quello dei tossicodipendenti. "Il 75% dei tossicodipendenti presenta il virus dell’Epatite C. Solo il 50% dei tossicodipendenti dei Sert è stato sottoposto ad uno screening".

Giustizia: Contrada; certezza della pena, ma anche umanità

di Amedeo Laboccetta (Deputato Pdl)

 

Il Mattino, 26 giugno 2008

 

La vicenda relativa alla condizione di recluso e di malato grave, ritenuto più volte incompatibile con il regime carcerario, continua ad appassionare e a sollecitare interventi di quanti hanno per propria umana sensibilità preso a cuore le sorti dell’ex dirigente del Sisde Bruno Contrada, condannato a 10 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.

Al punto in cui si è giunti ed a scanso di qualsiasi equivoco o strumentalizzazione e perché sia ben chiaro a tutti, non deve sfuggire che quanto il presidente della Repubblica prima, il ministro della Difesa poi ed, infine, più di cento parlamentari hanno sin qui fatto è stato ispirato dall’alto senso di umanità che deve pervadere i comportamenti di chi è chiamato alle più alte responsabilità: l’applicazione di un principio, quello della umanità della pena che, lo ricordo, ha anche rango costituzionale.

Non soltanto il chiaro dettato della Carta ma la stessa legge prevedono che il capo dello Stato possa utilizzare l’istituto della grazia per attenuare l’applicazione della legge penale quando essa confligga con l’alto sentimento di umanità. Non v’è dubbio che per Bruno Contrada ragioni di umanità impongano che egli, per il breve tempo che gli rimane, veda cessata o sospesa l’applicazione della pena detentiva che gli è stata irrogata dai Tribunali, della Repubblica.

Vero è che quello della certezza della pena è principio largamente condiviso e patrimonio non solo del centrodestra. Certo si avverte la spinta dell’opinione pubblica che vorrebbe estesamente applicato il principio della certezza della pena, per restituire, all’interno della più ampia esigenza del miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini, un diffuso senso di sicurezza. Ma non deve essere dimenticato che funzione della pena è la rieducazione del condannato che, nel caso di Contrada, e purtroppo per lui, è finalità non più raggiungibile.

Si può immaginare che Bruno Contrada non abbia sin qui voluto richiedere la grazia perché intimamente convinto della propria innocenza ma ciò non può esimerci dall’avvertire che nei suoi confronti debba essere svolto un intervento umanitario. Nessuno potrebbe criticare un provvedimento di clemenza né un intervento da parte del ministro della Difesa che disponesse il trasferimento del dottor Contrada presso l’Ospedale Militare del Celio facendolo uscire dal circuito carcerario che pure tanta nefasta influenza ha avuto, a parere dei medici, sulle sue già precarie condizioni di salute. Stupisce che in tanti non riescano a sentire il muto grido di dolore che si leva dal Carcere Militare di Santa Maria Capua Vetere.

Cagliari: risoluzione passaggio a regione sanità penitenziaria

 

Agi, 26 giugno 2008

 

Una risoluzione per chiedere alla Giunta di provvedere, con la massima urgenza, a trasferire le funzioni della Sanità Penitenziaria alla Sanità Regionale è stata approvata, stamattina, dalla commissione Sanità. L’organismo consiliare, presieduto da Nazareno Pacifico (Pd), con la risoluzione impegna l’esecutivo regionale ad accelerare le procedure per l’adozione delle norme di attuazione necessarie, essendo la Sardegna una regione a statuto speciale, a trasferire le funzioni sanitarie dal ministero della giustizia al Servizio Sanitario Nazionale.

A norma dell’articolo 56 dello Statuto della Sardegna - si legge in una nota - si dovrà costituire una Commissione paritetica formata da quattro membri che disciplinerà il passaggio delle funzioni sanitarie. Le procedure devono essere attivate al più presto perché la sanità penitenziaria nell’isola versa in uno stato di grave difficoltà. Lo hanno ribadito anche i medici che operano nelle carceri che sono stati sentiti in audizione dalla commissione.

I medici hanno ribadito che quella penitenziaria non è una medicina di serie B e che il detenuto malato deve essere considerato un paziente e non un delinquente. Gli operatori di medicina penitenziaria hanno, inoltre, segnalato la mancata apertura di un apposito reparto ospedaliero, che era già previsto presso l’ospedale Santissima Trinità di Cagliari, per curare i detenuti che necessitano di cure.

Agrigento: il Garante Fleres scrive al Ministro della Giustizia

 

La Sicilia, 26 giugno 2008

 

Il caso del carcere di Agrigento Petrusa, in sovrannumero oltre ogni limite, approda nei palazzi romani. Il senatore Salvo Fleres, nella veste di Garante in Sicilia per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e per il loro reinserimento sociale, in relazione alla difficile situazione venutasi a determinare nel penitenziario agrigentino ha preso posizione.

"Al Petrusa si sta verificando un preoccupante caso di sovraffollamento in quanto vi sono ristretti quasi 400 detenuti in un luogo che può ospitarne degnamente soltanto la metà. Addirittura in celle di appena 10 mq. vi si trovano allocati anche 4 o 5 detenuti. Per non parlare, dell’aumento delle temperature, dei disagi dovuti all’aria soffocante e alle inevitabili ripercussioni igienico - sanitarie". Da ricordare come la problematica sia stata evidenziata dal nostro quotidiano nei giorni scorsi.

"Tale situazione - continua Fleres - non consente un trattamento non degradante nei confronti di tutti i detenuti ai quali comunque deve essere assicurata una detenzione dignitosa e rispettosa delle leggi, dei regolamenti della Costituzione che qualifica la pena non in termini afflittivi, ma volta alla rieducazione del condannato. E comunque, anche ai detenuti in attesa di giudizio, non possono essere inflitti trattamenti contrari al senso di umanità. Quale Garante dei diritti dei detenuti e parlamentare - ha aggiunto Fleres - ho immediatamente segnalato il caso, con un’interrogazione parlamentare, al Ministro della Giustizia. Ho chiesto l’intervento del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per l’adozione dei necessari provvedimenti volti ad alleviare i gravi disagi che si registrano nel citato istituto di pena".

Intanto è maretta tra i sindacati della polizia penitenziaria, Cgil, Cisl, Sinappe, Fsa Cnpp e Siappe e la direzione sulle ferie estive e non solo. Organizzato per lunedì un sit in di protesta davanti il carcere, dichiarando anche lo stato di agitazione della categoria.

Perugia: azienda agricola nel carcere, per recupero detenuti

 

Asca, 26 giugno 2008

 

Passa anche attraverso la coltivazione di dodici ettari di terreno la difficile strada del reinserimento nella vita sociale e lavorativa dei detenuti. Ne sono convinti gli ideatori del progetto "Podere Capanne" che ha portato alla costituzione di una azienda agricola nelle immediate vicinanze della Casa circondariale di Perugia, dove sei detenuti dell’istituto di pena sono impegnati nella coltivazione di un uliveto di oltre quattro ettari, con varietà Dop Olio Umbria, di un frutteto di quasi tre ettari e di un orto, che dispone di oltre duemila mq. di serre fredde, coltivato secondo stagionalità, con specie che vengono seminate e trapiantate scalarmente seguendo il calendario lunare. Nel podere sono banditi diserbanti o diradamenti chimici, mentre vengono utilizzati i concimi e gli antiparassitari ammessi in agricoltura biologica.

L’azienda agricola, gestita dalla cooperativa sociale "Gulliver" e sostenuta dal Ministero della Giustizia con un finanziamento di 350mila euro, commercializza i propri prodotti avvalendosi di gruppi di acquisto solidale e fornisce settimanalmente ai ristoratoti vicini le produzioni biologiche. L’azienda "Podere Capanne" sarà visitabile sabato 28 giugno (dalle 9) nell’ambito della iniziativa "Naturalmente Capanne" che ha tra gli obiettivi di promuovere la conoscenza e la riscoperta dell’agricoltura anche tra i cittadini. "Si tratta di clienti - affermano i promotori dell’iniziativa - entusiasti della varietà e dei sapori delle nostre verdure, così diversi rispetto a quelli che si trovano nella grande distribuzione". Nella Casa circondariale di Perugia c’è poi un punto vendita dove il personale dell’istituto di pena e quanti operano nella struttura penitenziaria possono acquistare prodotti agricoli freschi.

"Da un punto di vista paesaggistico - ha detto Luca Crotti, coordinatore tecnico del progetto - abbiamo preservato gli alberi ornamentali esistenti e abbiamo utilizzato siepi e bordature tra gli appezzamenti di terreno per evitare contaminazione di parassiti. L’aspetto igienico - ha spiegato Crotti - è fondamentale nella coltivazione biologica dove le piante vengono trattate con insetticidi non di sintesi ma naturali, come rame e zolfo, e la concimazione è fatta con un composto riconvertito dalla raccolta differenziata di rifiuti".

I detenuti - ha detto Luca Verdolini, Amministratore delegato di "Gulliver" - dopo attenta selezione vengono avviati all’attività nei campi per intraprendere un percorso di crescita e sviluppo personale e professionale. Per loro sono previsti percorsi di accompagnamento al lavoro al momento delle dimissioni dall’istituto di pena". "Sono molte le iniziative per il trattamento dei detenuti che realizziamo nel carcere di Perugia - ha ricordato il direttore della Casa circondariale, Antonio Fullone, e sono fermamente convinto dell’importanza e della validità di questo progetto.

Massa: se la ludoteca del carcere vive con i giocattoli di Paolo

 

La Nazione, 26 giugno 2008

 

La ludoteca per i figli dei detenuti del carcere di Massa è stata dedicata a Paolo, il bambino malato di leucemia a cui un detenuto aveva donato il midollo osseo. Paolo non ce l’ha fatta, ma i suoi genitori non hanno dimenticato quel grande gesto di solidarietà: per questo hanno regalato tutti i giocattoli del loro bambino al nuovo spazio dedicato ai più piccoli.

Saranno i giocattoli di Paolo a far divertire i bambini dei detenuti del carcere di Massa. Ed è proprio a Paolo C. che è stata intitolata la ludoteca inaugurata ieri mattina presso la Casa circondariale di via Pellegrini. Paolo, una creatura di appena quattro anni, è stato ucciso dalla leucemia. E i genitori, negli ultimi tentativi fatti per strapparlo alla morte, fecero rimbalzare un tam tam a livello nazionale per cercare donatori di midollo osseo compatibile. Ebbene, fu un detenuto a rendersi disponibile per quell’atto di generosità.

Purtroppo Paolo non ce l’ha fatta ma i suoi genitori non hanno dimenticato il grande gesto di solidarietà cresciuto proprio tra le mura di un carcere. "Quando la mamma di Paolo (presente all’evento) ha saputo del progetto della ludoteca nel carcere di Massa - racconta Maria Giovanna Guerra, responsabile del Comitato provinciale per il Telefono Azzurro - ci ha contattati ed ha voluto donare tutti i giocattoli di Paolo".

Una targhetta, con poche righe dense d’amore dedicate al piccolo Paolo, sovrasta la porta della casetta prefabbricata trasformata in uno spazio attrezzato nel quale i bambini potranno incontrare il proprio familiare recluso. Un progetto, dunque, per il recupero dell’affettività tra le mura del carcere, per riavvicinare in un ambiente confortevole e meno traumatico possibile, il rapporto tra i figli e il genitore detenuto.

La ludoteca, per bambini fino a 12 anni, resterà aperta ogni sabato in occasione dei colloqui e saranno presenti i volontari del Comitato apuano per il Telefono Azzurro. Insomma, una giornata intensa, quella d’ieri, che ha segnato il traguardo di un importante progetto.

Progetto che è anche l’inizio di un nuovo percorso a sostegno delle famiglie in difficoltà. Dopo la benedizione del vescovo monsignor Eugenio Binini, è stato tagliato il nastro inaugurale alla presenza del direttore dell’istituto penitenziario Salvatore Iodice, gli educatori Fabiola Giannecchini, Enzo Travaglioli e Gino Paolini, il presidente del Comitato nazionale per il Telefono Azzurro Asp Onlus nonché responsabile nazionale del progetto Bambini e Carcere Paola Barbato e, ovviamente, Mariagiovanna Guerra.

In un clima di soddisfazione per il risultato ottenuto, erano presenti numerose personalità del mondo politico tra cui il presidente della Provincia Osvaldo Angeli e i suoi assessori Domenico Ceccotti, Sara Vatteroni e Raffaele Parrini, l’onorevole Elena Cordoni in rappresentanza del Comune di Massa con gli assessori Gabriella Gabrielli e Fabrizio Brizzi, il sindaco di Carrara Angelo Zubbani e l’assessore Giovanna Bernardini. Grande entusiasmo per l’arrivo di Luciano Spalletti, ex calciatore allenatore della Roma.

Gorgona: la raccolta differenziata arriva sull’isola - carcere

 

La Nazione, 26 giugno 2008

 

Dal 1° luglio, in via sperimentale per i prossimi sei mesi, i 50 detenuti della "Casa di Reclusione Gorgona", saranno impegnati a realizzare la raccolta differenziata dei rifiuti da loro stessi prodotti. I detenuti saranno formati e informati sulle tematiche ambientali, sul ciclo e la gestione dei rifiuti e anche su come effettuare correttamente la raccolta differenziata. Sono già arrivati sull’isola bio-pattumiere, sacchi per la raccolta dell’organico e guide informative, mentre nelle prossime settimane saranno recapitati in comodato d’uso anche i bio-composter per la produzione domestica del compost e altri contenitori per la raccolta della carta-cartone e del multi materiale.

Il libro: "Una questione di tortura", di Alfred W. McCoy

di Paolo Brama

 

www.dazebao.org, 26 giugno 2008

 

Un grande filosofo, Roland Barthes, sosteneva che se esiste un’epoca per cui è possibile, con assoluta certezza, segnarne la data e l’ora d’inizio, quella è l’età moderna. La data è il sette giugno del 1831, primo pomeriggio; nello studio di Jacques Daguerre - quello dei dagherrotipi - e Nicéphore Niepce, su una lastra d’argento trattata con iodio comparve l’immagine della casa dirimpetto. Si trattava della prima eliografia, che prendeva forma senza la mediazione dell’immagine formatasi nel cervello di un pittore.

Nasceva in quel momento la fotografia, e con essa un’epoca dominata dal positivismo, dal pensiero scientifico, dove si cominciò a considerare solo ciò che era impresso in bianco e nero su una lastra. Era l’inizio di un’epoca dominata dallo sguardo, in cui la vista sarebbe divenuta regina tra i cinque sensi e in cui poteva ritenersi reale soltanto ciò che era visibile. La realtà, tutta, sarebbe stata racchiusa nell’immagine, senza lasciar fuori nulla: la scienza, le arti, la storia finalmente vista e non più solo raccontata, le meraviglie naturali e, ovviamente, gli orrori. Auschwitz, i gulag, il Vietnam, i grandi genocidi; nulla sarebbe sfuggito allo sguardo dei posteri.

Per tutti coloro che non si sono ancora assuefatti al bombardamento accecante delle immagini ed hanno provato orrore e sconcerto nel vedere, di recente, le foto raccapriccianti di un ennesimo orrore, quello dei prigionieri di Guantanamo e Abu Ghraib, ecco un libro, da oggi in uscita per i tipi di Socrates editore, da leggere tutto d’un fiato. Da leggere perché è un bel libro, prima di tutto, e perché documenta in maniera certosina come i recenti orrori messi in atto dalla CIA attraverso l’esercizio della tortura non siano affatto frutto di singoli comportamenti devianti, ma il risultato di strategie studiate a tavolino e sperimentate nel corso di interi decenni.

Non orrore casuale, quindi, ma orrore sistematico; esercizio del male programmato e organizzato, teso al raggiungimento di risultati tangibili ad opera del grande paese sedicente esportatore di democrazia.

L’autore, Alfred W. McCoy, professore di Storia all’Università del Wisconsin, tra i massimi esperti della storia segreta della CIA e già autore de "La politica dell’eroina" - sul consumo di droga dei militari americani in Vietnam - (Rizzoli, 1973; tradotto in oltre 35 edizioni) in questo nuovo libro punta la torcia sui labirinti segreti della cosiddetta "scienza crudele", termina da lui coniato durante una conferenza svoltasi alcuni anni or sono nell’ex isola prigione di Nelson Mandela.

McCoy mostra come la CIA, a partire dal 1945, abbia messo in atto dei sistemi di controllo sulla mente, elaborati nelle università e nei laboratori, usando come cavie del tutto inconsapevoli detenuti, militari e guerriglieri.

A questi si sono aggiunti, assolutamente consapevoli, ricercatori e docenti universitari, principalmente canadesi e statunitensi, che profusero studi e ricerche in tema di deprivazione sensoriale, dolore inflitto e controllo sui detenuti.

Un libro prezioso, questo di McCoy; un resoconto "indispensabile e inchiodante", come lo ha definito Naomi Klein sulle pagine di "The Nation", da non lasciarsi scappare. Per riflettere sui concetti di "democrazia" e "diritti umani espressi", purtroppo non a parole, dalla più grande potenza mondiale.

 

Titolo - "Una questione di tortura"

Autore - Alfred W. McCoy

Edizioni Socrates, Giugno 2008

www.edizionisocrates.com

Immigrazione: Maroni; prendere impronte ai rom minorenni

 

La Stampa, 26 giugno 2008

 

Quello che i prefetti nominati commissari straordinari all’emergenza nomadi effettueranno nei campi di alcune grandi città "non è una schedatura etnica", ma "un censimento teso a garantire a chi ha il diritto di restarvi, di farlo in condizioni dignitose, allontanando nel contempo chi non ne ha titolo". Lo ha ribadito il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, in una audizione davanti alla commissione Affari costituzionali della Camera. "È nostra intenzione - ha ricordato Maroni - dare piena attuazione ai Patti per la sicurezza sottoscritti con numerose città, ma rimasti sino ad adesso sulla carta: in questo senso va, ad esempio, il conferimento ai prefetti di alcune grandi città di poteri di commissario straordinario all’emergenza nomadi".

Maroni ha fatto riferimento al caso della capitale, dove "soltanto all’interno del Grande raccordo anulare ci sono una cinquantina di campi, e altrettanti dovrebbero esservene fuori: campi di dimensioni diverse, da un minimo di 10 a un massimo di qualche centinaio di residenti. Il censimento prevede che siano prese le impronte digitali di tutti i residenti, minori compresi, per evitare ad esempio il proliferare di fenomeni come quello dell’accattonaggio: l’obiettivo finale, ripeto, è quello di permettere a chi resta di vivere in condizioni accettabili, degne di una società civile".

"Sono e resto contrario, per principio, a qualsiasi sanatoria generalizzata". Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, risponde così ai cronisti che gli chiedono del "piano" concordato tra i ministri Carfagna e Sacconi per "salvare" la badanti di ultrasettantenni e disabili dal giro di vite sull’immigrazione clandestina. "Lo stop alle sanatorie generalizzate è nel nostro programma di governo - premette Maroni. Ora, o si fa una norma che non possa essere considerata di questo tipo, e non è facile, o io sono contrario. O si è regolari o si è irregolari, e se si è irregolari l’unico modo per vedere "sanata" la propria condizione è l’espulsione e l’eventuale successivo reingresso con regolare contratto di lavoro".

Per il ministro dell’Interno si tratta di "una questione di principio: non c’è un modo per sanare i giusti e rimandare indietro gli ingiusti. I clandestini sono clandestini: le figure del quasi clandestino, del clandestino meritevole di sanatoria o del clandestino eticamente regolare sono figure intermedie che faccio fatica a definire. E poi, perché sanare chi fa da badante a un anziano di 70 anni e non a uno di 69? Perché sanare una badante e non un muratore che magari con il suo lavoro mantiene moglie e tre figli? L’unica distinzione possibile è tra chi rispetta le leggi e entra nel nostro Paese in modo legale e chi le aggira ed entra irregolarmente". "C’è - conclude Maroni - chi chiede allo Stato intransigenza nelle leggi e chi poi quando è in gioco il suo interesse personale chiude tutti e due gli occhi: è un tipo di doppia morale che non mi è propria".

Droghe: cannabis; nel 2007 l’hanno usata 5 milioni di italiani

 

Dire, 26 giugno 2008

 

Sono gli "occasionali". 40 mila i consumatori abituali di eroina, altrettanti di cocaina; in 546 mila consumano abitualmente cannabis. In 171 mila hanno ricevuto un trattamento ai Sert (16.433 inviati alle comunità).

I consumatori frequenti di eroina nel 2007 sono stati 40 mila, la stessa cifra indica i consumatori frequenti di cocaina, mentre le persone che hanno consumato con frequenza la cannabis sono state 546 mila. I dati sono contenuti nella Relazione annuale al Parlamento sulle tossicodipendenze che è stata presentata questa mattina a Palazzo Chigi dal sottosegretario alla presidenza, Giovanardi. I dati si riferiscono a una fascia di popolazione di 39 milioni di italiani tra i 15 e i 64 anni. In percentuale i 40 mila consumatori di eroina equivalgono allo 0,1% della popolazione, percentuale identica quella per la cocaina, mentre la percentuale dei consumatori di cannabis si attestano sull’1,4% della popolazione totale considerata.

Le percentuali ovviamente crescono se si considerano i dati e i numeri assoluti di coloro che consumano almeno una volta la sostanza nel corso dell’anno. I dati si riferiscono sempre al 2007. Per l’eroina siamo allo 0,3% con 120 mila persone che l’hanno assunta almeno una volta in un anno. Di cocaina hanno fatto uso 860 mila persone (il 2,2% della popolazione totale), mentre per la cannabis arriviamo a 5.460.000 persone, ovvero per il 14% della popolazione totale.

Nel corso del 2007, la Relazione al Parlamento stima che siano state circa 320 mila le persone che hanno fatto uso di stupefacenti e che hanno avuto bisogno di cura e trattamento. Tra questi la maggioranza è composta di persone che fanno uso di eroina (205.000). I consumatori di cocaina che hanno avuto bisogno di cura e assistenza sono stati invece 154.000. Sempre nel corso del 2007, 171.771 consumatori di droga hanno ricevuto un trattamento presso i Ser.T.. Tra queste 16.433 sono state successivamente inviate alle strutture socio riabilitative. Ci sono circa 2000 persone che sono risultate totalmente a carico delle comunità terapeutiche (1924 per la precisione).

La Relazione conferma poi le tendenze degli anni precedenti a proposito delle tipologie di persone che si rivolgono ai Ser.T. La maggior parte di loro, anche durante lo scorso anno, era costituita da consumatori di oppiacei (eroina ed altri derivati): ben il 74% dell’utenza complessiva dei Sert era costituito infatti da consumatori di oppiacei, utilizzati come sostanza primaria, spesso però affiancata anche da altre sostanze.

Droghe: nel 2007 sono aumentate segnalazioni alle prefetture

 

Dire, 26 giugno 2008

 

Relazione al Parlamento: 32.413 nel 2007. La maggior parte per la cannabis: 73% (84% nel 2002); il 16% per la cocaina (9% nel 2002). Meno di un terzo degli arrestati entra in carcere per motivi legati allo spaccio e al consumo di droghe.

Il numero dei soggetti segnalati alle Prefetture per possesso di sostanze stupefacenti risulta in aumento dal 1990. Solo lo scorso anno il numero dei segnalati registrati poi nel database centrale è stato di 32.413 casi. La maggior parte dei soggetti è risultata segnalata per possesso di cannabis (73%). La seconda tipologia in ordine di importanza numerica riguarda il possesso di cocaina (16%) mentre al terzo posto troviamo l’eroina con l"8% delle segnalazioni. Sono i dati contenuti nella Relazione annuale al parlamento sulle tossicodipendenze. Negli ultimi anni si è registrata una diminuzione della percentuale di segnalati per possesso di cannabis: si è passati infatti dall’84% del 2002 al 73% del 2007. Risulta invece in netto aumento la segnalazione per cocaina: si passa dal 9% delle segnalazioni del 2002 al 16% del 2007.

Nel corso del 2007 le forze dell’ordine hanno realizzato ben 21.898 operazioni antidroga, tutte condotte sul territorio nazionale. L’anno scorso è stato quindi confermato l’aumento degli interventi. Sempre nel corso del 2007 ci sono state 35.238 denunce per droga e 26.985 ingressi nelle strutture penitenziarie per crimini commessi in violazione delle norme sugli stupefacenti. Il numero di ingressi nelle strutture penitenziarie - come ha tenuto a sottolineare il sottosegretario Giovanardi - si mantiene stabile - . Si tratta in media del 27% sul totale degli ingressi. In altre parole meno di un terzo degli arrestati entra in carcere per motivi legati allo spaccio e al consumo di droghe.

Un altro dato che viene riportato nella Relazione annuale riguarda i costi delle sostanze: dal 2002 al 2007 si è evidenziata una progressiva diminuzione del costo unitario di cocaina, eroina nera e di eroina bianca. La media dei prezzi massimi e minimi è infatti passata da circa 96 euro a poco più di 82 euro per la cocaina, da 64 euro a poco meno di 51 per l’eroina nera e da circa 84 a 73 per quella bianca.

Droghe: Corleone; la "guerra alla droga" viola i diritti umani

 

Dire, 26 giugno 2008

 

"I dati di aprile del ministero dell’Interno registrano un boom di sequestri di sostanze stupefacenti rispetto al 2007, ma se si va a ben vedere l’aumento riguarda soprattutto la canapa, mentre diminuiscono i sequestri di eroina e cocaina". Parte da qui Franco Corleone, segretario dell’associazione Forum droghe, per denunciare "le conseguenze della tabella unica" e della "politica provinciale italiana" che punta sulla repressione. Lo fa in occasione della presentazione, per la giornata mondiale contro la droga, di una piattaforma programmatica dal titolo "Droghe e diritti umani. Verso la revisione delle strategia Onu sulla droga: la sfida di Vienna 2009".

Il documento pone "il tema dei diritti umani quale fulcro di nuove strategie sulla droga più razionali e umane" ed è sostenuto dai senatori radicali Marco Perduca e Donatella Poretti, dall’europarlamentare di Rifondazione comunista Vittorio Agnoletto e da un gruppo di associazioni. Pena di morte per reati di droga in più di trenta Paesi, distruzione delle coltivazioni illegali "a scapito di programmi di sviluppo alternativo", inadeguata difesa della salute dei consumatori: sono tutte politiche che violano i diritti umani, secondo i firmatari del documento. "L’obiettivo stabilito a New York nel 1998 di eliminare o almeno significativamente ridurre entro dieci anni la produzione delle principali sostanze illegali - dicono - non è stato raggiunto", mentre emergono "i danni di un approccio internazionale fortemente centrato sulla repressione".

"Il fallimento delle politiche repressive, anche in Italia è evidente, qualsiasi interpretazione si cerchi di dare ai dati" sostiene la senatrice Poretti. Perduca parla di "mistificazioni" per esaltare il successo delle politiche di volta in volta messe in atto e invita al "rispetto dei diritti umani di tutti coloro che per scelta libera decidono di utilizzare le droghe". Nell’incontro di presentazione del documento, interventi fortemente critici nei confronti delle politiche attuali anche di Toni Dall’Olio (Gruppo Abele), Giuseppe Bortone (Cgil nazionale) e Ingo Stockel (Parsec). "I tanti disastri in materia di droghe - è l’opinione di Vittorio Agnoletto - evidenziano stupidità e cecità derivanti da furore ideologico".

Droghe: in 30 anni San Patrignano ha ospitato 20.000 ragazzi

 

Ansa, 26 giugno 2008

 

20mila persone accolte in 30 anni a San Patrignano. La comunità di recupero è anche specchio dei cambiamenti: il 60% dei ragazzi in carico nel 2007 non ha mai usato droghe per via iniettiva.

Oltre 20.000 persone accolte in 30 anni di attività e oltre il 70% dei ragazzi che hanno seguito il percorso in comunità. In occasione della Giornata Mondiale contro la droga delle Nazioni Unite, in programma domani, la Comunità di San Patrignano, il più grande centro antidroga d’Europa ricorda i suoi 30 anni di attività con la pubblicazione del suo "bilancio sociale" 2007.

Nei dati raccolti dalla comunità è possibile leggere non solo il suo impegno nel recupero e nel reinserimento sociale di giovani emarginati e tossicodipendenti, ma anche i cambiamenti avvenuti all’interno del fenomeno tossicodipendenza. Il 60% dei 1.693 ragazzi in carico a San Patrignano nel 2007 (di cui 1.389 maschi e 304 femmine) non ha infatti mai usato eroina o altri stupefacenti per via iniettiva. Ha invece superato il numero di 20 mila quello delle persone complessivamente accolte a San Patrignano dal 1978 a oggi.

Un servizio da sempre offerto in modo completamente gratuito per i giovani ospiti e le loro famiglie e che si traduce in un risparmio per lo Stato pari a 30.600.000 euro l’anno. Infatti, la comunità non ha mai accettato le rette di mantenimento offerte dalle istituzioni. La comunità sottolinea come in base a ricerche universitarie, condotte anche attraverso analisi tossicologiche, il 72% dei ragazzi che hanno terminato il percorso in comunità, a distanza di tre, quattro, cinque anni non utilizza più alcuna droga, contro un valore medio di successo riconosciuto a livello internazionale di circa il 20%. Importante anche il lavoro svolto per fare accedere a percorsi alternativi al carcere i tossicodipendenti detenuti per reati connessi alla loro condizione di tossicodipendenti. Lo scorso anno sono state 576 le udienze penali e 533 i procedimenti prefettizi gestiti dall’ufficio legale di San Patrignano, nonché 221 ragazzi in regimi alternativi alla detenzione.

Venezuela: protesta detenuti, tengono sequestrati 200 ostaggi

 

Ansa, 26 giugno 2008

 

I prigionieri di un carcere del Venezuela hanno sequestrato oltre 200 persone, fra le quali 21 bambini, per protestare contro presunti maltrattamenti da parte dei secondini e chiedere che siano accelerati i loro processi. Gli ostaggi sono i loro stessi parenti catturati durante l'ora di visita nel centro penitenziario di Los Andes, nel sudovest del Paese. Finora vani i tentativi di trattativa con le autorità venezuelane. Gli ostaggi sono stati trattenuti all'interno del carcere venezuelano, nello stato di Merida, durante l'orario delle visite. Secondo informazioni diffuse dal canale tv privato Globovision le condizioni degli ostaggi sono buone: i bambini sono accuditi e il cibo non manca dentro al carcere. Alcuni familiari dei detenuti hanno dichiarato che alcuni degli ostaggi sono rimasti volontariamente nell'istituto penitenziario per appoggiare le rivendicazioni dei prigionieri. La situazione rimane tranquilla, anche se i rappresentanti del governo centrale di Caracas e della procura locale di Merida non sono ancora riusciti a intavolare una trattativa con i reclusi.

 

 

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