Rassegna stampa 16 gennaio

 

Giustizia: relazione al Parlamento su politica penitenziaria

 

www.camera.it, 16 gennaio 2007

 

Dalla relazione al Parlamento sulla situazione della Giustizia In Italia: Politica Penitenziaria. "Nelle carceri italiane erano presenti, il 7 gennaio 2008, 48.788 persone detenute, quasi diecimila in più della cifra minima toccata nel settembre 2006, pari a 38.326. È un dato elevato, ma tollerabile dal nostro sistema, che non avrebbe invece potuto sopportare le oltre 72.000 presenze che oggi si registrerebbero se non si fosse adottato il provvedimento d’indulto. Al cui proposito voglio ancora rimarcare la strumentalità delle polemiche condotte a lungo, con argomenti faziosi, contro la maggioranza e contro il Ministro della Giustizia.

La situazione di oggi ci rende ancora ragione della indifferibilità di quella misura, mentre il tasso di recidivi presenti nelle carceri è pari al 42%, contro il 48% prima dell’indulto. Nel corso del 2007 l’attività di recupero edilizio e ristrutturazione condotta dal DAP ha consentito l’acquisizione di 426 nuovi posti, e nel 2008 si conta di recuperarne altri 1980. La pianificazione del triennio 2009 - 2011 mira ad ulteriori 2400 posti, e per il periodo ancora successivo a 2.579 posti, per un totale in incremento di 7.385 posti, che porteranno un aumento complessivo della capienza tollerabile di oltre 11.000 posti.

Tuttavia, una visione meramente quantitativa dei problemi penitenziari sarebbe miope, e non funzionale al bene prezioso della sicurezza. Dopo la detenzione, che comunque ha un termine, non possiamo riconsegnare alla società la stessa persona, magari ancor più esacerbata e pericolosa. È perciò che l’ampiezza delle prigioni non esaurisce l’impegno dello Stato verso il condannato, che deve allargarsi alla vigilanza e al trattamento rieducativo. D’altra parte, la prigione non è l’unico immaginabile modo di custodire e rieducare la persona, ma solo quello più dispendioso e più sofferto.

Consapevoli di ciò, stiamo attrezzando la nostra Polizia Penitenziaria per gestire in proprio le fasi dell’esecuzione penale esterna, consistente in tutte quelle forme di trattamento alternative al carcere che obbligano il condannato all’osservanza di divieti o di comportamenti prescrittivi, e che quindi presuppongono la presenza di un’autorità vigilante, e controlli stringenti sul rispetto dell’esecuzione. In materia di custodia domiciliare, sia a titolo cautelare che di espiazione di pena, sta partendo in questi giorni la sperimentazione di 400 braccialetti elettronici, che assicureranno continuativamente la localizzazione della persona interessata sul luogo di detenzione e renderanno impossibili i comportamenti elusivi.

La garanzia di efficacia derivante da questo controllo permanente consentirà alla magistratura di utilizzare con maggiore fiducia, e migliore profitto per le esigenze di tutela della collettività, le misure alternative alla detenzione in carcere. Nell’accostarci ai problemi del carcere, vediamo quanto essi siano inscindibilmente intrecciati a quelli della funzionalità dell’apparato giudiziario. La lunghezza dei processi penali articolati in tre gradi di giudizio si pone come causa di due fenomeni negativi: la presenza eccessiva di persone non condannate con sentenza definitiva, e un eccesso di ingressi in carcere con brevissimo turn-over.

Il tutto è aggravato da un diritto penale di concezione ormai datata, che considera il carcere la sanzione preferenziale di qualsiasi comportamento illecito. La prigione non reca così alcun beneficio al singolo in termini rieducativi, e non protegge la collettività, minandone la fiducia nella capacità punitiva del sistema penale. La politica penitenziaria è perciò, per larga parte, politica del diritto e del processo penale.

Giustizia: moglie arrestata, Mastella rassegna le dimissioni

 

Corriere della Sera, 16 gennaio 2007

 

"Ho resistito a molte scorribande corsare sul fronte personale ora però getto la spugna, mi dimetto, ho paura: sono percepito come un nemico da frange estremiste delle toghe che hanno preso mia moglie in ostaggio". È un Mastella profondamente amareggiato, deluso e livido di rabbia quello che interviene in Aula alla Camera. Messa da parte la relazione sullo stato della giustizia in programma, il Guardasigilli ha comunicato le sue dimissioni.

"Mi dimetto per senso dello Stato, sono un ministro della Giustizia che non riesce a difendere la moglie da un provvedimento ingiusto", "mi dimetto perché tra l’amore per la mia famiglia e il potere scelgo il primo" ha detto Mastella destando un lungo applauso bipartisan (ma gli applausi più convinti sono arrivati dal centrodestra, un segnale politico da non sottovalutare).

"Deciderò poi" - "Ringrazio il presidente Prodi per la fiducia confermatami ma in questo momento è più importante stare accanto a mia moglie" ha dichiarato Clemente Mastella, al termine del colloquio con il premier. Il Guardasigilli in sostanza si riserva di decidere successivamente sulle dimissioni, dopo che il premier le ha respinte.

Attacco alla magistratura - Alla Camera il leader dell’Udeur ha sferzato un duro attacco alla magistratura: "Mi ero illuso di poter recuperare il rapporto fra politica e magistratura" sostenuto "dalla mia coscienza ispirata dalla fede" sul valore del dialogo. "Nonostante abbia lavorato giorno e notte per dimostrare la mia credibilità e la mia buona fede di interlocutore affidabile per il mondo della giustizia, oggi mi accorgo che sono stato invece percepito da alcune frange oltranziste come un avversario da contrastare, se non addirittura un nemico da abbattere" ha affermato l’ormai ex ministro della Giustizia.

"Durante lo scontro sotterraneo e violentissimo tra i poteri in questi mesi ho avuto il triplo di avvisi di garanzia rispetto a quelli avuti nella mia una carriera trentennale", ma "sono andato avanti", "ho combattuto la mia battaglia finché si combatteva ad armi pari, e non arrivavano colpi bassi e imprevisti, perché dalla tua condotta politica nulla lasciava presagire un concertato volume di fuoco per distruggere la tua persona, la tua dignità, i tuoi valori". Ora però "per la prima volta in vita mia ho paura".

Mastella scarica la sua rabbia contro quelle "frange estremiste" della magistratura che hanno arrestato la moglie. Un’iniziativa che bolla come "una scientifica trappola, ordita mediaticamente prima e giudizialmente dopo in modo vile e ignobile. Vile e ignobile - attacca - è stato prendere in ostaggio mia moglie a cui voglio un mondo di bene".

Mastella ha sottolineato che lascia via Arenula "per essere più libero umanamente e politicamente", sapendo che "un’ingiustizia enorme è la fonte inquinata di un provvedimento perseguito con ostinazione da un procuratore che l’ordinamento manda a casa per limiti di mandato e di questo mi addebita la colpa. Colpa che invece - incalza Mastella - non ravvisa nell’esercizio domestico delle sue funzioni per altre vicende che lambiscono suoi stretti parenti e delle quali è bene che il Csm si occupi".

Intercettazioni - Mastella ha anche riaperto la questione delle intercettazioni, "a volte manipolate, a volte estrapolate ad arte, assai spesso divulgate senza alcun riguardo per la riservatezza dei cittadini. Mi dimetto perché ritengo, anche dopo la mia dolorosa esperienza, che vada recuperata la responsabilità dei magistrati, sulla scorta della giurisprudenza della cortei di giustizia del Lussemburgo". Il leader dell’Udeur, sottolineando di aver incontrato una "stragrande maggioranza di magistrati seri e imparziali" si è però chiesto "come ci si può difendere da questi il cui potere di interdizione, di delegittimazione senza confini?".

Quanto ad intercettazioni subite, l’Udeur "supera agevolmente la soglia di qualsiasi percentuale elettorale" ha denunciato l’ex ministro. Mastella ha affermato di essere stato oggetto di "un’ostinata caccia all’uomo" dopo le sue iniziative legislative prese come Guardasigilli. "Sono state utilizzate centrali di ascolto - ha proseguito - con corsie privilegiate ogni qualvolta nel computer si accendeva la spia (mai parola fu più usata a proposito) che segnalava il mio nome o quello dei miei amici".

"Siamo così diventati in quel di Potenza - ha proseguito - un partito di tale rilevanza quanto ad intercettazioni subite, da poter superare agevolmente la soglia di qualsiasi percentuale elettorale. Per far ciò è bastato che un piccolo nucleo di magistrati, per alcuni dei quali l’integrità è contestata da altri magistrati dello stesso distretto, innescasse un congegno violento, privo di obiettivi e riscontri nella realtà, confondendo ciò che è tipico della politica con una colpevole quanto inesistente violazione di norme".

 

Le reazioni

 

Prodi: no alle dimissioni

 

Romano Prodi sarebbe orientato a respingere le dimissioni di Clemente Mastella da Guardasigilli. Secondo quanto si apprende da fonti di governo, infatti, il presidente del Consiglio, anche alla luce degli orientamenti emersi dal dibattito parlamentare e le espressioni di stima e solidarietà giunte da maggioranza e opposizione, avrebbe intenzione di chiedere a Mastella di restare al suo posto.

 

Fini: fondati dubbi su provvedimento

 

Sul provvedimento di arresti domiciliari di Sandra Mastella esistono "fondati dubbi"; lo ha detto il leader di An Gianfranco Fini, che esprime "solidarietà umana" nei riguardi del ministro Clemente Mastella. "Appartiene solo alla sua coscienza - ha aggiunto - la valutazione di eventuali conseguenze politiche".

 

Veltroni: auspico ministro continui lavoro

 

Il segretario del Partito democratico Walter Veltroni, davanti alle notizie che riguardano la signora Mastella, esprime al ministro di Giustizia "la sua personale solidarietà insieme all’auspicio che il ministro continui il suo lavoro ai vertici del ministero".

 

Matteoli: apprezziamo il gesto del ministro

 

"Le dimissioni pronunciate in Parlamento dal ministro della Giustizia, Clemente Mastella, sono un gesto che apprezziamo". Lo dice il presidente dei senatori di An, Altero Matteoli, che sottolinea il fatto di aver "già espresso solidarietà umana nell’aula del Senato". "Ora - aggiunge Matteoli - sottolineiamo la sua dignità politica, il suo coraggio ed auspichiamo ancora una volta che la magistratura accerti con estrema rapidità le accuse alla moglie del ministro, presidente del Consiglio regionale della Campania".

 

Schifani: c’è una tempistica sospetta

 

"È un film che conosciamo bene. Con una tempistica più che sospetta, la magistratura scende in campo per influenzare l’attività politica e legislativa". Il capogruppo di Forza Italia al Senato Renato Schifani sottolinea la coincidenza degli arresti domiciliari della moglie del Guardasigilli nel giorno delle sue comunicazioni in Parlamento sullo stato della giustizia. "Al ministro Mastella e alla moglie Sandra Lonardo, presidente del Consiglio regionale della Campania - aggiunge Schifani - esprimo la mia personale vicinanza".

 

Cesa (Udc): solidarietà, non si dimetta

 

"L’Udc non abbandona la linea garantista: nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva, fiducia nella magistratura, chiamata ad accertare rapidamente le eventuali responsabilità. Pur comprendendo la delicatezza della situazione, riteniamo che il Ministro della giustizia, al quale esprimiamo la nostra piena solidarietà - per ragioni di diritto e di responsabilità istituzionale - non debba rimettere il proprio incarico". A dichiararlo è Lorenzo Cesa, segretario nazionale dell’Udc.

 

Pecorella: giustizia ad orologeria

 

"Ancora una volta la giustizia colpisce a orologeria. Proprio nel giorno in cui il ministro della Giustizia avrebbe dovuto illustrare al Parlamento lo stato della giustizia, così riportando in sede politica i problemi della giurisdizione, un magistrato è intervenuto con effetti traumatici sull’intero assetto del quadro politico". Lo afferma Gaetano Pecorella, capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia alla Camera.

 

Franceschini: prosegua il suo lavoro

 

Il numero due del Pd Dario Franceschini esprime "solidarietà umana e politica" al ministro della Giustizia Clemente Mastella che ha appena rassegnato le sue dimissioni nell’aula di Montecitorio. Ed esprime "vivo apprezzamento" per il lavoro svolto in qualità di Guardasigilli. Franceschini, parlando in aula alla Camera, invita quindi il leader dell’Udeur a ripensarci e a proseguire nel suo lavoro al governo.

 

Castelli: un fatto gravissimo

 

Per l’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli, l’arresto della moglie del guardasigilli, Clemente Mastella, Sandra Lonardo, è un fatto gravissimo. "Non si è mai visto in nessun altro Paese che una persona legga da un’agenzia di stampa che è stata arrestata - ha detto Castelli - questa volta i magistrati l’hanno fatta grossa. Io non entro nel merito perché le vicende italiane ci hanno più volte dimostrato che dietro un provvedimento del genere può esserci di tutto, come l’innocenza, l’estraneità o la colpevolezza". Castelli ha inoltre voluto sottolineare il ruolo delicato del ministro della Giustizia e ha ricordato il momento del suo insediamento in via Arenula: "Bossi mi disse, ricordati che finirai in galera". "I poteri in Italia sono squilibrati - ha aggiunto Castelli - io ho cercato di lottare per riequilibrarli. Forse questo caso così clamoroso potrà far capire alla gente come funziona la giustizia in Italia. I magistrati sono poco professionali, oltre che militarizzati".

 

Storace: fuori dal coro

 

"Non è mai un bel giorno, quando una persona viene arrestata, ma La Destra non si associa alla solidarietà ipocrita sul caso della signora Mastella, che vede gareggiare chi teme per le sorti del governo e chi auspica la sua caduta". È quanto dichiara il segretario nazionale de La Destra, Francesco Storace.

"Sappiamo tutti -prosegue- che Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto" rileva Storace "soprattutto quando governa l’amministrazione della giustizia. A maggior ragione deve valere per la moglie di Cesare. È evidente che se il magistrato ha sbagliato pagherà. Ma questo - conclude - non è un motivo per inquinare le decisioni della giustizia".

 

Sandra Mastella: "Sono ancora una donna libera"

 

"Sono una donna libera perché ancora non ho ricevuto alcun provvedimento". Così Sandra Lonardo risponde a decine di telefonate di solidarietà che sta ricevendo. Nella sua villa di Ceppaloni sono giunti diversi esponenti dell’Udeur. "È stato un discorso bellissimo quello del mio Clemente". È questo il commento di Sandra Lonardo Mastella, presidente del Consiglio regionale della Campania, al discorso fatto in aula dal Guadasigilli.

"Frastornata, ma tranquilla, perché in questi casi si è soli con la propria coscienza. E io sono tranquilla". Sandra Lonardo Mastella conferma all’Agi di non aver avuto notificato alcun provvedimento restrittivo che la riguardi, e di essere nella sua casa di Ceppaloni solo perché "ho ancora un po’ di influenza, brividi di freddo. Già questa mattina alle 7 avevo telefonato al vicepresidente del Consiglio regionale Mucciolo per chiedergli di presenziare alla conferenza dei capigruppo. Non vado in Consiglio, nonostante per un attimo, dopo queste notizie di stamani, avessi pensato di farlo. Ma non mi sento bene".

 

La vicenda giudiziaria

 

Il Gip di Santa Maria Capua Vetere, a quanto apprende Apcom, ha disposto gli arresti domiciliari nei confronti di Sandra Lonardo Mastella, presidente del Consiglio Regionale della Campania e moglie del ministro della Giustizia Clemente Mastella. Il Gip, secondo quanto si è appreso, avrebbe ravvisato gli estremi di una tentata concussione in contrasti che ci sarebbero stati in passato con il direttore generale dell’ospedale di Caserta.

Un conflitto, quello fra la signora Mastella e il dirigente ospedaliero, che politicamente ha radici profonde: l’uomo era molto vicino ai Popolari-Udeur al momento della designazione mentre si è poi avvicinato al presidente della Provincia Sandro De Franciscis.

Giustizia: Mauro Palma; manca un garante contro la tortura

di Massimo Franchi

 

L’Unità, 16 gennaio 2007

 

Hanno tempi lunghi i rapporti del Comitato per la Prevenzione della Tortura. L’organismo del Consiglio d’Europa, istituito nel 1989, deve attendere anni (tre questa volta) per veder reso pubblico il suo lavoro nei paesi che visita. I membri ogni quattro anni fanno incursioni nelle carceri, nelle strutture di polizia e di detenzione permanente per controllare che chi è rinchiuso non subisca violenza. L’ultima missione in Italia è del 2004.

I tre anni che sono passati sono concessi ai governi nazionali per poter rispondere alle osservazioni e concedere il nullaosta (il dicastero degli Esteri, sentiti Giustizia, Interni e Sanità) per la pubblicazione.

Il Rapporto precedente era stato pubblicato da Adriano Sofri nel 2003. La visita era stata effettuata nel 1997. Solo in caso di gravissime omissioni il Comitato può intimare la pubblicazione. Con l’Italia non è ancora successo. Ed anzi a presiedere il comitato c’è proprio un italiano: Mario Palma.

L’attualità dell’ultimo rapporto (pubblicato con il titolo "Diritti e castigo" a cura di Susanna Marietti di Antigone e di Gennaro Santoro, esperto di diritto penitenziario) sta in buona parte nel ritardo culturale e legislativo che il nostro paese sconta ancora. Il Rapporto nel 2004 denunciava la mancanza di una figura (il Garante, mutuandolo da altri ambiti e da altri paesi) che possa tutelare i diritti di chiunque sia in condizione di privazione di libertà.

"Una garanzia - precisa Palma - che non riguarda solo le carceri. Anzi, il livello di impermeabilità alla società e di trasparenza nei penitenziari italiani è, grazie alla presenza dell’associazionismo, molto meno problematico rispetto ai Centri di permanenza temporanea per immigrati o agli ospedali psichiatrici, peculiarità tutta Italia a causa della legge 180 sui manicomi".

Il nostro paese è quindi campione di "opacità" rispetto ad istituzioni come questa. Non ci piace essere giudicati, men che meno mostrare come "si lavora nel torbido" (Cpt, posti di Polizia, interrogatori di sospetti). Lo dimostrano alcuni "gustosi" aneddoti raccontati da Palma.

"Nel 2000 alcuni componenti della Commissione hanno rischiato l’arresto da parte della Polizia ferroviaria di Bologna: una visita notturna a sorpresa non era stata tollerata. Ma nel 2004 alla Stazione Termini di Roma gli stessi sono stati bloccati per ore, il tempo necessario a trasferire alcuni fermati (evidentemente in modo contrario alle norme) detenuti nelle celle che si trovano nei sotterranei della stazione".

"L’Italia comunque dovrà adeguarsi perché il nostro paese ha sottoscritto la Convenzione, ma non l’ha ancora ratificata", annuncia Palma. Al Senato è in discussione un disegno di legge che va in questa direzione, ma la strada è ancora lunga. Lo dimostra innanzitutto la deriva securitaria che avanza anche nel nostro paese: dall’omicidio di Tor di Quinto agli attacchi all’indulto. Ne sono coscienti il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi e il capogruppo di Rifondazione comunista alla Camera Gennaro Migliore, intervenuti alla presentazione del libro.

"La deriva securitaria nasce dall’impotenza della politica nel risolvere i problemi - comincia Migliore -. Siamo di fronte all’ideologia dell’espulsione dei problemi: il migrante fa paura e allora lo si mette in prigione. Quando si dice che la sicurezza non è di destra né di sinistra si fa un’affermazione pericolosa. Dobbiamo portare avanti una battaglia culturale che contrasti questa deriva".

Per Manconi la china presa è figlia di una mancata occasione. "L’Italia ha una situazione in cui il tasso di razzismo sociale è minore rispetto a Francia e Inghilterra, ma in questi paesi il livello di integrazione è assai superiore. Fino a pochi anni fa ciò si traduceva anche partiticamente, non c’erano partiti razzisti: la Lega rivendicava il federalismo, poi l’espulsione degli extracomunitari. Bene, quello era il momento giusto per portare avanti politiche di integrazione. Ora invece la situazione è peggiorata".

"Il termine "tortura" - ha continuato Manconi - provoca rigetto, ma viene usato propriamente. Negli ultimi tempi nella politica il tema del corpo umano è diventato centrale: basti pensare all’aborto o all’eutanasia. Per affermare la pienezza del garantismo questo è un bene perché dobbiamo difendere l’autodeterminazione dei soggetti deboli (come i detenuti) e la loro integrità fisica. In primis contro la tortura, perché questa è presente nel nostro tempo e nella nostra società. Lo dimostra il grande dibattito americano: sulla "tollerabilità della tortura" in caso di notizie che possano salvare altre vite".

Giustizia: Corte di Strasburgo; violata la privacy di Bagarella

 

Affari Italiani, 16 gennaio 2007

 

Non bastavano i molteplici richiami dell’Unione Europea all’Italia per i tempi biblici della giustizia o per le molteplici violazioni in tema di rifiuti (vedi caso Campania). Ieri da Bruxelles è arrivata una tirata d’orecchie per una violazione sui diritti dell’uomo. Il caso probabilmente farà discutere sia per il merito che per le modalità. Anche perché la Ue dà ragione alle proteste di Leoluca Bagarella.

La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia per le modalità con cui sono stati eseguiti i controlli sulle lettere ricevute in carcere dal boss mafioso, detenuto nel carcere dell’Aquila, dove sta scontando una pena all’ergastolo. Bagarella si è rivolto a Strasburgo il 15 aprile 2004, lamentando condizioni carcerarie "disumane e degradanti" e la violazione dei suoi diritti rispetto alla corrispondenza e alla vita familiare.

La Corte, all’unanimità, ha concluso in una sentenza resa nota ieri che è stato violato l’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed ha giudicato che il fatto di averlo constatato sia di per sé "sufficiente soddisfazione" per il danno morale subito da Bagarella al quale è stata riconosciuta l’assegnazione di 4.000 euro per le spese sostenute.

Il controllo della corrispondenza, si sottolinea nella sentenza, è stato ordinato dal giudice in base all’articolo 18 della legge sull’amministrazione penitenziaria. La Corte europea "ha constatato a più riprese che il controllo della corrispondenza fondato su questa disposizione ignora l’articolo 8 della Convenzione perché "non si regolamenta né la durata delle misure di controllo della corrispondenza dei detenuti, né i motivi che possono giustificarli e non si indica con sufficiente chiarezza l’estensione e le modalità del potere di valutazione delle autorità competenti". La Corte prende atto del fatto che la legge italiana 95/2004 "ha modificato la normativa sull’amministrazione penitenziaria", ma che le novità non hanno consentito di riparare la violazione che si è verificata "precedentemente alla sua entrata in vigore".

I giudici di Strasburgo, nella sentenza alla quale potrà essere presentato appello, hanno invece respinto la richiesta del boss mafioso di un danno materiale di pari a 136.150 euro. Quanto ai trattamenti inumani la Corte, è detto nelle conclusioni, "non saprebbe individuare alcuna violazione apparente dell’articolo 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo".

Giustizia: il legale di Contrada; c'è una disparità di trattamento

 

Ansa, 16 gennaio 2007

 

"Se fosse una normale sentenza diremmo semplicemente faremo ricorso in Cassazione, solo che la Corte Suprema di Cassazione non deciderà né domani né la prossima settimana perché, come è noto a tutti, i tempi sono lunghi e intanto il malato muore.

Per Silvia Baraldini (condannata per terrorismo) o per Adriano Sofri e Stefano Bompressi (condannati per l’omicidio del Commissario Calabresi) - persone che certamente non avevano e non hanno 77 anni - le decisioni dei Tribunale di Sorveglianza di competenza furono diverse. Quindi manifesta disparità di trattamento a seconda se sei detenuto a Pisa o a Roma anziché a Napoli". È l’accusa dell’avvocato Giuseppe Lipera, legale di Bruno Contrada, dopo il no alla scarcerazione opposto dal Tribunale di sorveglianza di Napoli.

"Perché il ministro della Giustizia Clemente Mastella, magari in sinergia col ministro della Salute Livia Turco - chiede Lipera - non dispone al suo dicastero di monitorare tutti i provvedimenti, aventi ad oggetto incompatibilità carceraria per gravi motivi di salute, emessi in questi anni dal magistrato di Sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere Daniela Della Pietra e del Tribunale di Sorveglianza di Napoli e li fa raffrontare con quelli emessi dai Tribunali di Sorveglianza degli altri distretti? Credo - conclude - che verrebbero fuori delle verità sconcertanti che tutti, i cittadini italiani, devono sapere".

Giustizia: i Giuristi Democratici contrari a sciopero 23 gennaio

 

Comunicato stampa, 16 gennaio 2007

 

L’Unione Camere Penali ha indetto un’astensione dalle udienze per il 23 gennaio 2008 in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, un’astensione che i Giuristi Democratici ritengono inutile e dannosa.

Non si può tacere di fronte alla recente iniziativa dell’Unione delle Camere Penali di indire una (ulteriore) giornata di astensione dalle udienze in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario e di proclamare la prima "Inaugurazione dell’anno giudiziario dei penalisti italiani".

Ancora una volta, sembra prevalere sull’interesse ad un buon funzionamento del sistema giustizia l’ormai annosa contrapposizione tra Unione delle Camere Penali e Magistratura, onde l’astensione dalle udienze e un’autonoma celebrazione (ovviamente del tutto legittima) dell’inaugurazione dell’anno giudiziario si appalesano come metodo autoreferenziale per arrogarsi una rappresentatività dell’avvocatura penale, in realtà inesistente, e per proseguire in una sterile contrapposizione con la Magistratura, produttiva solo di ulteriori danni per i cittadini.

Non è certo una novità che l’inaugurazione dell’anno giudiziario sia "un rito" destinato alla liturgica elencazione dei mali della giustizia, spesso evidenziati in modo unilaterale: come Giuristi Democratici abbiamo sempre ritenuto scarsamente utile ed inutilmente pomposa e sfarzosa quella cerimonia, l’Unione delle Camere Penali lo scopre oggi, dopo aver partecipato per anni, ed aver ottenuto di parlare nel corso dell’inaugurazione, per esporre la propria posizione.

Che cosa sia cambiato, oggi, al punto da far dichiarare l’ennesima giornata di astensione dalle udienze non è chiaro; né è accettabile insistere sulla spaccatura all’interno dell’Avvocatura tra penalisti e gli altri avvocati, al punto di indire un’autonoma inaugurazione.

Non è certo in discussione, da parte dei Giuristi Democratici, l’opportunità di momenti di informazione dell’opinione pubblica sui mali della giustizia e sulle ragioni degli stessi: come sovente avviene per le decisioni dell’Unione delle Camere Penali, ciò che si contesta è il metodo seguito che, ancora una volta, finisce per penalizzare i cittadini ed il servizio giustizia e sminuisce l’importanza di uno strumento delicato come quello dell’astensione, se utilizzato in situazioni di non assoluta necessità.

Per le ragioni che precedono, pertanto, l’Associazione Nazionale Giuristi Democratici esprime la propria ferma contrarietà all’astensione dalle udienze decisa dall’Unione delle Camere Penali per il giorno 23 gennaio 2008.

 

Associazione Nazionale Giuristi Democratici

Lettere: Valerio da Forlì; come se stessi scrivendo a mio figlio

 

Comunicato stampa, 16 gennaio 2007

 

Da ottobre 2006 un gruppo di detenuti e di volontari, dall’interno del carcere di Forlì, lavora per diffondere informazioni e sostenere chi è detenuto nel rielaborare la propria esperienza personale. Si tratta del Laboratorio di comunicazione "Voci di dentro" (all’interno del progetto Equal Pegaso), attraverso cui si vuole fare "uscire" il carcere nella città, dare voce alle persone recluse e libere, sollecitare il confronto e dare un contributo al "conoscere", anche con interventi di prevenzione verso i giovani. Il laboratorio è gestito in collaborazione con la direzione del carcere, l’ente di formazione Technè, l’associazione Con-tatto, il Centro Territoriale Permanente. Quella che segue è la testimonianza di Valerio, un membro del gruppo:

"Mi chiamo Valerio e vengo da un paesino di 6000 abitanti Urbino. Ho 44anni e sono in carcere per reati legati alla tossicodipendenza. Tutto ha inizio nel lontano 79’: avevo 16 anni e cominciai fin da subito ad usare droghe leggere e pesanti in contemporanea. Ma quella che ancora oggi mi lega a se è la Piovra, l’eroina, perché è così che la chiamo quella maledetta sostanza. Dopo aver percorso tante strade per venirne fuori quando meno te l’aspetti spunta sempre un tentacolo da qualche parte che ti riporta a sé. Come ho detto ho cercato di dimenticarla dopo vari periodi di carcerazione ho vissuto 7 anni in Comunità e come tanti mi sono sottoposto a vari trattamenti ai Sert ma sono ancora qui a combattere per trovare una soluzione. Ho riflettuto molto su come sono potuto cadere in questo problema.

Nel 79’ c’erano le contestazioni giovanili le lotte di classe e le droghe erano un modo per uscire dal sistema così pensavamo di distaccarci dai famigerati anni di piombo (Brigate Rosse). Penso che sia stato un modo per farsi da parte e non voler guardare. Oggi ho un figlio di 12 anni e ho paura! Sono cambiati quei tempi ma anche il concetto dello sballo è cambiato e soprattutto è cambiato l’approccio con il mondo della droga. Se vediamo oggi la tv, i giornali, il cinema ci impongono il successo a qualunque costo come stile di vita. Da tempo lo sballo è divenuto un fenomeno dilagante promette ai giovani quei momenti di protagonismo facile, in sostituzione della vita semplice più impegnativa. Durante l’effetto il senso di onnipotenza, di lucidità, di instancabilità, di attrazione è al massimo..

Tutti mandano al diavolo la scuola, i genitori, e le regole della società. In questo percorso oggi ho capito che senza regole non si vive, senza fatica non si matura, senza scelte il più delle volte dure e piene di fatica non si costruiscono identità forti per tagliare anche l’ultimo tentacolo della piovra. Io come genitore come posso spiegarlo a mio figlio? Chi sono i responsabili della consapevolezza della sottovalutazione del problema?

A quelli più giovani di me vorrei dire che i problemi sono fatti per essere affrontati certo c’è il rischio ma fa parte della vita. Sono sempre dell’avviso che una vita disseminata di errori sia in qualche modo migliore di una vita passata a far niente. Permettetemi di darvi qualche piccolo suggerimento di vita che pur nella sua brevità è sostenuta da un po’ di scienza e un po’ di esperienza. Cari ragazzi, provate a rompere il muro dell’apparenza che il desiderio di ciò che è frivolo, metta a tacere l’urlo dei vostri veri "bisogni".

Spezzate la solitudine in cui vi costringe la tecnologia mediatica e rifiutate l’anonimato spersonalizzante del virtuale;tornate a respirare l’aria pulita e il profumo di amicizie sincere. Non è vero che la sensibilità e la dolcezza, i sentimenti e le emozioni siano segni di debolezza, è vero il contrario sono segni di forza e per di più sono ciò che da intensità e sapore alla vita. Chiedete agli adulti non discorsi ma percorsi! non prediche ma esempi! non chiacchiere ma fatti!

Boicottate i furbi, i prepotenti, gli speculatori, i venditori di fumo, coloro che riducono la vita ad un mucchio di foglie secche, buone solo ad essere bruciate e scomparire; la vita è appesa al mistero e troppo importante e preziosa. non è possibile che scompaia e finisca nel nulla. Non abbiate paura del futuro anzi, fatelo arrivare voi il futuro preparandolo ora, nel presente: sarà faticoso ma inebriante. Ricordate che solo nelle fiabe appare tutto d’incanto. Sono solo alcune delle cose che vorrei dirvi. Prendetele sul serio e andiamo avanti insieme con calma tra il frastuono e la fretta e ricordando quale pace possa esserci nel silenzio e cerchiamo di essere felici."

 

Ufficio Stampa Technè

Verona: Centro d'Ascolto e Garante, le istituzioni rispondano

 

Comunicato stampa, 16 gennaio 2007

 

Realizzare un Centro d’ascolto davanti al carcere di Montorio e istituire la figura di un Garante dei detenuti anche a Verona: questi i due nodi cruciali su cui l’associazione veronese La Fraternità invita le istituzioni a prendere una decisione. Le due iniziative rientrano nel progetto Sportello Giustizia, conclusosi con il finire del 2007 e presentato alla stampa lo scorso dicembre.

Libretto e Cd Rom, che riassumono il percorso del progetto, sono stati inviati in questi giorni al sindaco Flavio Tosi, agli assessori Bertacco e Benetti e ai consiglieri dell’opposizione. La lettera di accompagnamento dichiara: "due iniziative sono ferme al limite in cui alle competenze del volontariato devono necessariamente subentrare quelle dell’Ente pubblico, cioè del Comune di Verona: si tratta della collocazione e apertura di un Centro d’ascolto davanti alla Casa circondariale di Montorio e dell’istituzione di un Garante dei diritti delle persone private della libertà. Da molti mesi non abbiamo notizie di passi compiuti in direzione degli impegni già assunti senza contrasti sostanziali tra le parti politiche".

Di recente anche i detenuti di Montorio si sono fatti sentire. In una lettera rivolta al vescovo di Verona monsignor Zenti, in loro visita durante le festività natalizie, hanno chiesto la realizzazione di una struttura utile ad accogliere i loro parenti per tutelarne la privacy e per evitare che "quando vengono a trovarci, siano costretti a rimanere fuori alle intemperie per ore". Nella stessa lettera - pubblicata integralmente sul sito della Fraternità (www.lafraternita.it) - i carcerati della terza sezione hanno anche denunciato il nuovo sovraffollamento, venutosi a creare proprio in quella parte del carcere destinata agli isolati, rilevando ancora una volta l’indifferenza delle istituzioni verso "una delle poche strutture del Triveneto ad avere una sezione protetta". Volontariato e detenuti chiedono una risposta. Ora si attende che il Comune di Verona faccia al più presto sentire la sua voce.

 

Ufficio Stampa "La Fraternità"

Firenze: detenute Sollicciano incontrano assessore De Siervo

 

www.intoscana.it, 16 gennaio 2007

 

Le detenute di Solliciano hanno incontrato stamani l’assessore all’accoglienza e integrazione Lucia De Siervo, accompagnata dal personale della struttura e da rappresentanti dell’Arci, in quello che l’assessore ha definito "un incontro che può diventare un appuntamento periodico". Tra le tematiche discusse durante l’incontro sono stati affrontati il problema del reinserimento delle carcerate una volta uscite, la questione dei transessuali in carcere e l’organizzazione di nuovi corsi ricreativi. "Questo incontro - ha affermato De Siervo - è stato organizzato per poter parlare in modo concreto dei problemi esistenti, per fare il punto sulla situazione carceraria e per lanciare nuove idee e nuovi progetti".

Immigrazione: le contrarietà del Prc sul "decreto sicurezza" 

di Romina Velchi

 

Liberazione, 16 gennaio 2007

 

Primo giorno di cammino del decreto sulla sicurezza alla Camera. La Commissione Affari Costituzionali ha iniziato l’esame del provvedimento - il secondo dopo quello approvato dal governo in seguito all’omicidio di Giovanna Reggiani a Roma - e subito i nodi sono venuti al pettina Tanto che l’articolo 1, quello che "recupera" il decreto Pisanu, è stato accantonato. Non c’è accordo, infatti, soprattutto per la forte opposizione del Prc.

La norma Pisanu è il "vero nodo politico", spiega infatti Graziella Mascia, capogruppo del Prc in commissione, perché accettarla significherebbe "dare l’idea che la norma ci piace". C’è la parte positiva, che è quella che prevede la convalida da parte del giudice monocratico; ma c’è anche la parte negativa, quella che estende ai cittadini comunitari la possibilità di essere espulsi per motivi di "prevenzione del terrorismo", cioè sulla base del sospetto e in via del tutto "preventiva ed ipotetica. "E per questo facciamo un decreto d’urgenza?", attacca la deputata del Prc Mercedes Frias.

Va da sé che questa parte del provvedimento, già indigesto per il fatto di essere un decreto, non è per nulla accettabile e Rifondazione ha chiesto che sia cancellata. Così come il Prc ha chiesto che sia trovata un’altra soluzione al ricorso ai Cpt per i cittadini comunitari colpiti da provvedimento di espulsione: per esempio, l’individuazione di ambienti appositi all’interno dei centri di accoglienza.

Tutto ciò sarà oggetto di una serrata trattativa: la commissione si prenderà tutto il tempo disponibile per arrivare ad un accordo. "Magari cambiano idea loro e accettano" si augura Mascia. Più probabile che, alla fine, la faccenda sia decisa direttamente in Aula, dove - e qui, invece, un accordo c’è già - dovrebbero trovare accoglimento alcuni emendamenti presentati dal Prc e che la Commissione ha chiesto siano riformulati: non espellere i collaboratori di giustizia utili per le indagini sul terrorismo; far valere le norme an-tidiscriminazione per motivi religiosi, etnici e razziali anche per i familiari stranieri dei cittadini europei; e, soprattutto, vietare l’espulsione coatta di stranieri per motivi economici (cioè di reddito).

L’obbligo di lasciare l’Italia, cioè, potrà essere disposto solo per "motivi di ordine pubblico e di sicurezza", se esiste "una minaccia concreta e attuale tale da pregiudicare l’ordine pubblico". Una formulazione, per altro, sulla quale la commissione ancora non ha preso decisioni, ma che per Mascia è meno vaga di quella che richiamava i diritti umani e la dignità umana. Tanto più adesso che c’è la "garanzia" della convalida del provvedimento da parte del giudice.

Resta il profondo disagio espresso da alcuni parlamentari del Prc che (come Ramon Mantovani, Elettra Deiana o Giovanni Russo Spena) giudicano il decreto del tutto "inemendabile" o comunque non votabile così com’è, al punto da chiedere che ci sia una decisione ufficiale della direzione del partito, con tanto di voto.

"Se si esprime un organismo dirigente del partito, mi adeguo, anche se non sono d’accordo" sintetizza Gino Sperandio, un altro deputato cui il decreto proprio non piace. Ma "smettiamola con questo atteggiamento emendativo di tutte le schifezze che presentano - sbotta Frias - Noi abbiamo una cultura diversa, dovremmo imporci di più. Come mai vanno con urgenza solo i provvedimenti repressivi e gli altri restano nel cassetto?".

"Sono d’accordo che del decreto discutano, insieme, i gruppi parlamentari e la direzione - tenta una mediazione Milziade Caprili, vicepresidente del Senato - ma starei bene attento a formulare giudizi frettolosi e solo negativi su un testo che, a quanto mi risulta, ha accolto tutti gli emendamenti presentati in Senato dal gruppo del Prc e che è stato votato all’unanimità, quindi anche dal nostro ministro, in consiglio dei ministri".

Il Prc, dunque, dovrà combattere la sua battaglia su due fronti, nel tempo che rimane prima che il decreto arrivi in Aula (tra fine gennaio e primi di febbraio, dopo il "mille proroghe"). Sul fronte della maggioranza e del governo, il Prc chiederà alla prossima conferenza dei capigruppo che siano calendarizzate insieme al decreto sulla sicurezza la legge sull’omofobia (approvata ieri dalla commissione giustizia e sulla quale l’Unione è già in fibrillazione per i "distinguo" dei teodem) e la Amato-Ferrero sull’immigrazione: "La contestualità tra il passaggio del decreto e quello di queste due leggi - dichiarano i capigruppo del Prc Migliore e Russo Spena - è a nostro parere imprescindibile per impedire che nel Paese si diffonda ulteriormente una cultura razzista, xenofoba e discriminatoria".

Ma incombe un altro decreto, assai spinoso: quello che, a proposito della direttiva europea, recepita un anno fa, sul diritto all’ingresso e al soggiorno di cittadini stranieri, prevede l’obbligo, entro tre mesi dall’arrivo in Italia, per il cittadino straniero di dimostrare di poter contare su "risorse economiche sufficienti". "Su questo, per forza, la nostra - avverte Mascia - sarà una battaglia di civiltà".

Droghe: Torino; respinta mozione su istituzione narco-sala

 

Notiziario Aduc, 16 gennaio 2007

 

"Ieri notte, con il far delle tenebre, il consiglio comunale di Torino ha respinto la mozione di Grimaldi che prevedeva, tra l’altro, l’istituzione di una narco-sala a Torino. In realtà, l’opposizione di centrodestra si è limitata a fare il tifo, giustamente divertita, perché il lavoro sporco l’ha fatto tutto il capogruppo del Partito Democratico".

Lo affermano Bruno Mellano (Socialisti e Radicali-Rnp") e Giulio Manfredi (Radicali Italiani). "Il capogruppo del Pd Andrea Giorgis, debitamente istruito dal sindaco Chiamparino, ha lavorato di taglio e cucito ed ha messo insieme in poche ore una mozione alternativa che utilizza la somministrazione controllata di eroina come specchietto per le allodole e scarica il barile alla ministra Livia Turco, la quale si è prestata al gioco e che, naturalmente, non farà nulla". Secondo Mellano e Manfredi, "ad essere veramente scaricati dai rappresentanti della città, sindaco Chiamparino in testa, sono stati i cittadini senza voce, senza rappresentanti, che anche oggi andranno al Parco Stura e altrove a comprare la dose quotidiana e si faranno sotto i ponti, per strada, dovunque capita".

I presentatori della petizione (Domenico Massano/Associazione Radicale Adelaide Aglietta - Alessandro Orsi/Malega 9 - Franco Cantù /Forum Droghe) hanno dichiarato: "Ieri, dopo mesi di rinvii, abbiamo assistito alla discussione e votazione che ha portato alla bocciatura della mozione Grimaldi (che tentava di affrontare in modo articolato il fenomeno della tossicodipendenza a Torino, prevedendo anche la sperimentazione di una sala del consumo) ed all’approvazione di quella Giorgis, (presentata qualche ora prima della riunione del Consiglio Comunale, frutto di un compromesso interno al PD tale da non scontentare nessuno, ma in cui di sale del consumo non si parla, bensì solo di somministrazione controllata di eroina).

Abbiamo nuovamente assistito ad un dialogo tra sordi in cui le direttive di partito e le convenienze personali hanno avuto la priorità rispetto all’assunzione di una posizione autonoma e responsabile, fondata sullo studio e sul confronto relativamente alla proposta della sperimentazione di un servizio di riduzione del danno ormai attivo da 20 anni in molti paesi europei, un servizio che tutela la vita e la salute di molti cittadini tossicodipendenti.

Ieri sera non c’è stata nuovamente la volontà politica di assumersi la responsabilità di questa fascia di popolazione sempre più marginale e a rischio di cui sembra ci si debba preoccupare solo quando un numero "straordinario" di morti la impone all’attenzione pubblica. Crediamo che 40 morti l’anno e lo scivolamento progressivo di molte persone verso situazioni di marginalità sempre più estrema, siano un prezzo "ordinario" troppo alto ed inaccettabile per persone civili e democraticamente responsabili.

La mozione Giorgis è stata presentata come una sintesi "virtuosa" della mozione Grimaldi: non è così. È una censura della stessa che ne salva alcuni contenuti tollerabili da una parte della maggioranza, seppur difficilmente realizzabili in tempi brevi, nel tentativo di salvare la faccia senza affrontare il problema.

Questa risposta non è sufficiente perché seppur riteniamo importante la sperimentazione dei trattamenti sanitari con eroina medica, sappiamo che tali trattamenti riguarderebbero un ristretto numero di tossicodipendenti, senza poter intercettare i bisogni del gran numero di persone tossicodipendenti che senza servizi adeguati e capaci di intercettarle, continueranno a vivere in condizioni di rischio ed emarginazione.

Invitiamo, quindi, i consiglieri comunali a valutare seriamente la proposta della petizione popolare da noi presentata che richiede la sperimentazione di almeno una sala del consumo a Torino poiché resta l’unica proposta percorribile rispetto ad una situazione che continua ad aggravarsi e rischia di divenire un’emergenza cittadina e ricordiamo che seguiremo attentamente il percorso della mozione Giorgis perché non si riveli un’abile mossa diplomatica e che si traduca in un nulla di fatto".

 

 

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