Rassegna stampa 11 gennaio

 

Emergenza sicurezza: i media la inventano, i politici la usano

di Davide Varì

 

Liberazione, 11 gennaio 2007

 

"L’emergenza sicurezza? È un’invenzione dei media". Sembra un titolo di questo giornale - l’unico o quasi che ha cercato di contrastare, quantomeno arginare l’ondata securitaria e giustizialista contro lavavetri, romeni e rom - e invece sono le parole, testuali, dell’onorevole Luciano Violante.

Non un politico qualsiasi dunque, ma uno degli uomini di punta del piddì. Quello stesso piddì che tanto si è speso per far approvare decreti d’urgenza volti a contrastare la presunta invasione dei romeni. Proprio così, "l’invasione dei romeni". Un’uscita involontaria? Un attimo di smarrimento? Non proprio. L’ex presidente della Camera ha infatti rivelato la propria scoperta di fronte alla Commissione Affari Costituzionali della Camera che presiede, e previo invito ufficiale dei direttori e vicedirettori dei Tg Rai e Mediaset: "In Italia non c’è nessuna reale emergenza sicurezza", ha detto loro Violante.

Poi, l’affondo: "L’allarme tra i cittadini dipende anche da come i media danno le notizie di cronaca". Il tutto nel giorno, anzi nelle stesse ore in cui il santo padre rimproverava il sindaco di Roma Walter Veltroni per lo stato di insicurezza e di degrado in cui è ridotta la città eterna. Facile immaginare l’imbarazzo che questa uscita di Violante ha suscitato nei corridoi delle amministrazioni comunali guidate dai sindaci - sceriffi del piddì.

Cosa staranno pensando i vari Domenici, Cofferati e lo stesso Veltroni, naturalmente? E dire che Liberazione li aveva avvertiti. E poi sarebbe stato sufficiente andare a leggersi i dati del Viminale - facilmente reperibili online - per rendersi conto che in Italia il numero dei reati è fermo da quasi vent’anni.

E infatti, nel corso della sua audizione, Violante ha citato proprio quei dati. Ha sbirciato il famoso "rapporto sicurezza" del ministero dell’Interno ed ha scoperto che "non si riscontrano mutamenti macroscopici del numero e della gravità dei reati". L’unica cosa che è cresciuta è la paura: "D’altra parte - ha infatti sottolineato - le indagini sociali mostrano una significativa crescita della percezione di insicurezza nei cittadini".

E come è cresciuta questa paura? Per esempio trasformando ogni singolo fatto di cronaca in un’emergenza nazionale. "Bisogna sottolineare - ha infatti aggiunto Violante - le modalità con cui il sistema dell’informazione e della comunicazione sceglie e presenta le notizie: un elemento fondamentale nel formarsi e nel diffondersi di un’opinione condivisa sul grado di sicurezza di una comunità".

Insomma, se ogni telegiornale si ostina a sparare (sette giorni su sette) notizie sul migrante di turno colpevole di chissà quale efferatezza, ecco che qualcosa, nella famosa "percezione" dei cittadini, cambia e si trasforma in paura. Ed uno che conosce bene la paura anzi, la "fabbrica della paura" è il professor Stefano Rodotà.

"Sono contento della presa di posizione di Violante - ha detto a Liberazione - e sono convinto che assistiamo ad una creazione pilotata della paura i dati reali parlano di un’Italia stabile dal punto di vista del numero di reati. È dunque evidente che siamo di fronte ad una vera e propria industria dell’insicurezza su cui convergono molti interessi.

Prima di Violante anche il presidente della Repubblica Napolitano aveva messo in evidenza le paure create che determinano senso di insicurezza dei cittadini anche lì dove ci sono dati che dimostrano una situazione contraria".

Sorpreso, quasi spiazzato dalle parole di Luciano Violante, Giuliano Pisapia si lascia andare ad un liberatorio "finalmente": "Finalmente si prende atto di un fatto oggettivo". E il fatto oggettivo è sempre lo stesso: "Il numero di reati non è aumentato".

"Questi dati - continua Pisapia - erano ampiamente conosciuti anche alla vigilia dell’approvazione del famoso decreto espulsioni. Ciò dimostra senza ombra di dubbio che non c’erano quei presupposti di straordinarietà previsti dalla Costituzione per la decretazione d’urgenza. Forse - conclude Pisapia - sarebbe stato più utile concentrarsi sulle vere emergenze: la sicurezza sul lavoro e i rifiuti in Campania tanto per fare qualche esempio".

Infine Giovanni Russo Spena, capogruppo di Rifondazione al Senato: "Questa situazione emergenziale è frutto delle campagne della destra. A questo punto bisogna lavorare sulla diffusione dei dati reali, spiegare ai cittadini che l’emergenza sicurezza è un’invenzione". E per quel che riguarda il decreto espulsioni? "Mi sembra chiaro che si tratta di un provvedimento inutile. Per quel che ci riguarda noi abbiamo lavorato per riportare quel decreto entro l’alveo della Costituzione"

Chi non ha preso bene l’uscita di Violante è invece la destra. "Si vuole "normalizzare" l’informazione", ha tuonato il vice-coordinatore di Forza Italia Fabrizio Cicchitto. "Nessuno mai aveva osato tanto - ha fatto eco il senatore di An Marcello De Angelis -Violante si è inoltrato in un terreno minato. Con un maldestro tentativo di delegittimare l’informazione, è riuscito soltanto a gettare un’ombra minacciosa sulla libertà di stampa e sulla qualità professionale di centinaia di colleghi". Nessun commento, invece, da parte di Veltroni; diviso, lacerato, tra la bacchettata di Ratzinger e la rivelazione di Violante, il sindaco di Roma, almeno per questa volta, ha scelto il silenzio.

Giustizia: Mastella; 80 milioni di € per costruire nuove carceri

 

Agr, 11 gennaio 2007

 

Ottanta milioni in 3 anni per la costruzione di nuove carceri. Li ha annunciati il ministro della Giustizia Clemente Mastella, ospite del programma Radio Anch’io dedicato al sistema penitenziario. Il guardasigilli ha aggiunto che in 4 anni si prevede di "recuperare 7.500 posti per i detenuti", per far fronte alle esigenze determinate dalla fine dell’effetto dell’indulto.

Il ministro è tornato a parlare del provvedimento che un anno e mezzo fa tanto ha fatto discutere e lo pose nell’occhio del ciclone. "L’indulto - ha detto - è un provvedimento parlamentare e non del governo, votato da 880 parlamentari. Io ho concorso, ma indicarmi come l’unico responsabile è una cosa che non sta né in cielo né in terra".

Mastella ha comunque spiegato che, a suo avviso, oltre all’edilizia carceraria bisogna seguire la strada della depenalizzazione. Secondo il ministro bisogna evitare che chi deve restare in carcere pochi giorni si mescoli con chi deve scontare lunghi periodi. Tra l’altro, ha osservato, la depenalizzazione riguarderebbe piccoli reati come la droga e l’immigrazione clandestina.

Giustizia: Ferrara (Dap); a norma solo il 16% dei posti-cella

 

Ansa, 11 gennaio 2008

 

Solo il 16% dei posti a disposizione dei detenuti delle carceri italiane è conforme al regolamento penitenziario del 2000. Lo ha detto Ettore Ferrara, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria intervenendo nel programma Radio Anch’io. Ferrara ha spiegato che i detenuti hanno a disposizione pochissime celle singole, mentre in molti casi vivono in celle che ospitano da tre a cinque detenuti.

"Senza indulto oggi il sistema sarebbe esploso", ha osservato riferendosi al fatto che quando il provvedimento fu adottato, nelle carceri c’erano 62 mila detenuti mentre oggi la quota si aggira intorno ai 49 mila. Secondo Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, "la situazione è parzialmente migliorata anche grazie al contestato indulto ma il problema non è la mancanza di celle singole ma il fatto che in alcuni istituti in inverno manchi l’acqua calda". Secondo Gonnella non servono nuove carceri né l’assunzione di nuovi agenti penitenziari: "quello che manca sono gli educatori, trecento in tutta Italia, il che fa diventare un mito il principio della rieducazione del detenuto".

Giustizia: il "braccialetto elettronico" fu introdotto nel 2000...

 

E-polis, 11 gennaio 2007

 

Il provvedimento era stato varato dal governo D’Alema all’interno del Piano Sicurezza 2000 del ministro agli Interni, Enzo Bianco. L’electroning monitoring, come viene chiamato negli altri paesi, verrà sperimentato per la seconda volta a Milano la settimana prossima.

Il bracciale elettronico era stato adottato per controllare indagati o imputati agli arresti domiciliari e per ridurre il numero degli agenti destinati al controllo dei detenuti fuori dal carcere. "È con grande soddisfazione che apprezziamo che le numerose sollecitazioni del sindacato autonomo Polizia Penitenziaria Sappe per adottarlo nuovamente hanno avuto esito positivo" commenta Donato Capece, segretario generale del Sappe.

"E per noi questo vuol dire iniziare ad aprire una riflessione, più volte invocata, per una nuova politica della pena, necessaria e indifferibile, che preveda un ripensamento organico del carcere e dell’Istituzione penitenziaria - aggiunge il segretario - prevedendo proprio un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici, come il braccialetto elettronico".

Negli altri Stati è usato da tempo. Negli Stati Uniti è in uso da oltre un decennio, ne sono stati portatori Mike Tyson, il finanziere Adnan Kashoggi e il cosiddetto "dottor morte" Kevorkian fautore estremo dell’eutanasia. In Gran Bretagna dal 28 gennaio 1999 ne fruiscono i detenuti maggiorenni con condanne inferiore a 4 anni che vengono rilasciati con due mesi di anticipo, ma con l’obbligo di portare la cavigliera elettronica, simile come forma e dimensioni ad un orologio subacqueo.

In Francia è sperimentato dal 1997, il parlamento francese ha dato il via libera nel febbraio 2000, come alternativa alla detenzione preventiva ovvero custodia cautelare. In Italia il test della misura di controllo aveva avuto, però, una partenza a singhiozzo. Convenzione con il ministero all’Interno sospese, servizi non attribuiti dalle società che li fornivano, etc.

Ma per Capece questa potrebbe, invece, essere la soluzione più efficace "per deflazionare le carceri italiane, oggi tornate a livelli di sovraffollamento allarmanti terminata "l’onda lunga" dell’indulto. Per altro affidare il controllo delle misure alternative alla detenzione alla polizia penitenziaria, accelerandone quindi l’inserimento negli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna, vuole dire andare a svolgere le stesse funzioni di controllo oggi demandate a polizia di stato e carabinieri, che in questo modo possono essere restituiti ai loro compiti istituzionali, in particolare il controllo del territorio, la prevenzione e la repressione dei reati, a tutto vantaggio dell’intera popolazione. L’utilizzo di queste tecnologie eviterà di rendere evanescente la verifica del rispetto delle prescrizioni imposte dall’autorità giudiziaria".

Giustizia: Adriano Sofri in televisione, si scatena la polemica

 

Ansa, 11 gennaio 2007

 

Adriano Sofri, negli anni 70 leader di Lotta Continua, condannato a 22 anni come mandante dell’omicidio Calabresi, sarà ospite Sabato nella puntata di Che Tempo che Fa per presentare il suo libro "Chi è il mio prossimo". Sofri, attualmente agli arresti domiciliari dopo la malattia che lo colpì nel 2005, è oggi è un collaboratore de La Repubblica e de Il Foglio dopo esserlo stato, fra gli altri, di Panorama per molti anni.

Fabio Fazio, che già intervistò Adriano Sofri quando era detenuto nel carcere di Pisa nel 2003, lo farà questa volta negli studi di Milano all’interno della sua trasmissione. Gabriella Carlucci, deputata di Forza Italia, ha però sollevato il caso presentando un’interrogazione ai Ministri della Giustizia, degli Interni e delle Comunicazioni: come può un detenuto per un reato così grave, ancorché assegnato agli arresti domiciliari, partecipare a una trasmissione del servizio pubblico; chi autorizza la partecipazione al programma di Sofri, e se è davvero opportuno concedere questo permesso.

Giustizia: grazia a Bruno Contrada, lo "stop" di Napolitano

di Giovanni Bianconi

 

Il Corriere della Sera, 11 gennaio 2007

 

La decisione è stata annunciata dal consigliere per gli affari giuridici del Quirinale al difensore di Contrada.

Tanto ha insistito il difensore di Bruno Contrada a dire di non aver mai presentato una domanda di grazia per il suo assistito, che il presidente della Repubblica s’è deciso a bloccare l’istruttoria per il provvedimento di clemenza. Nessun ripensamento né marcia indietro, come sostiene il legale dell’ex poliziotto condannato a dieci anni di carcere per concorso in associazione mafiosa.

Semplicemente, preso atto delle continue e veementi precisazioni dell’avvocato Giuseppe Lipera (arrivato a minacciare di querela chiunque avesse ripetuto che la sua lettera inviata al Quirinale corrispondeva a un’istanza di grazia), Giorgio Napolitano ha preso atto della nuova situazione e s’è comportato di conseguenza. Facendo comunicare al ministero della Giustizia la decisione di fermare l’iter avviato dopo la precedente trasmissione della missiva di "implorazione-supplica" dell’avvocato Lipera.

Ad annunciare lo stop è stato ieri proprio il difensore di Contrada, che ha ricevuto una telefonata del consigliere per gli affari giuridici del Quirinale, Loris D’Ambrosio, il quale gli ha illustrato le ragioni per cui, sulla base delle stesse precisazioni di Lipera, aveva provveduto a interrompere l’istruttoria avviata (com’era d’obbligo) di fronte alla domanda di un "soggetto legittimato" a presentarla come l’avvocato difensore.

Ma se la domanda non c’è, non ci può essere l’istruttoria dal momento che Napolitano non aveva alcuna intenzione di concederla "d’ufficio". Anche perché nel frattempo Lipera ha annunciato di essere pronto a presentare l’istanza di revisione del processo nel quale Contrada è stato condannato; un "rimedio giurisdizionale" incompatibile con la procedura di grazia, secondo le ultime interpretazioni della Corte costituzionale.

"Non capisco questa "marcia indietro"", polemizza Lipera citando un’altra lettera del 24 dicembre ricevuta da D’Ambrosio, nella quale non era esplicitato che la sua richiesta di "valutare la possibilità di un intervento sua sponte" rivolta a Napolitano era stata interpretata come una domanda di grazia.

Ma così era, e D’Ambrosio l’ha spiegato all’avvocato in un colloquio prima di Capodanno, come riferito dallo stesso legale. E difficilmente avrebbe potuto essere altrimenti, visto che una delle regole segui te dal Quirinale è quella di non trasformare il provvedimento di clemenza in un ulteriore grado di giudizio che sia di sconfessione della condanna definitiva (e quindi dell’operato dei giudici).

A nemmeno un anno dall’ultima sentenza una grazia d’ufficio avrebbe invece quel sapore, che lo stesso Contrada ha quasi rivendicato in un’intervista a Panorama nella quale afferma: "Accetterei la grazia del Presidente della Repubblica solo se non fosse chiesta dai miei familiari. La grazia è un atto politico, che leggo come riparatorio dello Stato dopo quanto accaduto". Tutt’altra versione rispetto ai motivi "umanitari" e di salute invocati nella "implorazione-supplica" del difensore. Sulla domanda di sospensione pena per le condizione fisiche di Contrada che sarebbero incompatibili con la detenzione in carcere, il Tribunale di Sorveglianza di Napoli dovrebbe pronunciarsi oggi.

Giustizia: cronaca di una visita all’Opg, la "casa dei pazzi"

 

Img Press, 11 gennaio 2007

 

È passato più di un anno da quando ho varcato la soglia del grande portone di ferro che, (ma da allora non ne sono più tanto sicura…) si dice divida il mondo dei "normali" da quello dei "pazzi"; più di 365 giorni che non hanno però per nulla sbiadito nella mia mente le immagini viste e le sensazioni provate.

Supero un portone, poi un altro, poi un altro ancora, e poi… finalmente intravedo i loro curiosi, sorpresi ed enigmatici occhi. Cerco di scrutarli con la massima discrezione, ma la curiosità di carpire ogni loro più piccolo gesto non mi permette di distogliere facilmente lo sguardo. Mi sforzo il più possibile di ostentare sicurezza e tranquillità, ma solo io so cosa realmente mi stia passando per la mente.

Poi a un tratto, quasi fosse riuscito a fiutare "l’odore" della mia ansia mi si avvicina uno di "loro": si chiama Vittorio, un detenuto del 7° reparto, che con grande curiosità inizia a farmi delle domande; sono sufficiente un paio di istanti e iniziamo a chiacchierare come se ci trovassimo seduti al tavolino di un bar.

Non sempre riesco a capire al primo colpo cosa Vittorio voglia dirmi, la sue parole non sempre sono chiare, eppure, bastano i suoi "occhi parlanti" e i suoi inequivocabili gesti per trovare un’intesa. Tante le storie racchiuse fra le mura dell’Opg di Barcellona, che io e miei colleghi attraverso il nostro lavoro abbiamo cercato di testimoniare e raccontare: c’è dunque Vittorio, Michele, ragazzo dall’infanzia complicata, finito in carcere diverse volte per rapina a mano armata, cliente abituale anche degli altri Opg di Italia e sbarcato ormai da diversi anni a Barcellona, "la sua ultima spiaggia", come lui stesso la definisce.

E poi ancora il marocchino Alì, uno dei personaggi sicuramente più "insoliti": non parla con nessuno, si limita solo a masticare qualche parola di francese stentato e a chiedere delle sue sigarette: si emoziona però quando uno dei miei colleghi, cercando di poterne sapere qualcosa in più gli domanda: "Tua madre dov’è?" … ancora una volta silenzio ma la lacrima che gli scivola lungo la guancia vale più di mille parole.

E insieme a loro e come loro tanti altri, più giovani, più vecchi, un’unica grande "famiglia" che ha fatto dell’Opg Barcellonese la propria casa. A volte sembra che il loro sguardo sia perso nel vuoto, i loro occhi vuoti, la loro mente assente ma la determinazione che mostrano di avere nel non voler abbandonare la loro "strampalata" abitazione, fa ben comprendere come loro stessi siano consapevoli di essere soli al di fuori di quelle mura.

Vogliono essere indipendenti, vogliono riguadagnare identità e rispetto di sé, ma, al tempo stesso, quando cala la sera vogliono fare ritorno aldilà di quelle grigie ma accoglienti mura, dove, oltre le sbarre alla finestre, oltre le porte blindate, oltre i cancelli di ferro scorre, parallela, la vita di una vera e propria comunità: forse un po’ fuori dalle righe, ma pur sempre fatta di persone prima ancora che di pazzi!

 

Elena De Pasquale

Lucca: la presentazione del volume "Scrivere di carcere"

 

www.intoscana.it, 11 gennaio 2007

 

Il 16 gennaio, a Lucca, presso la Libreria Lucca Libri di corso Garibaldi, si terrà la presentazione del volume "Scrivere di carcere" di Bruno Bini e Giuseppe Sica, Edizioni Plus 2007. Nel libro i due scrittori, (aiutati dal Centro per i Diritti Umani, dal Centro Interdisciplinare Scienza per la Pace e dal progetto "Carcere & Comunità" di Pisa)analizzano la difficoltà di sapere, di capire, di scoprire che cosa avviene dietro le mura di una carcere, dentro le celle, dentro alle persone che in quella struttura devono trascorrere il loro tempo, più o meno lungo. Per informazioni chiamare il numero 0583.469627

Messina: i pazienti dell’Opg vanno in scena all’Università

 

www.unime.it, 11 gennaio 2007

 

L’Ateneo peloritano e l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto. Due realtà diverse, apparentemente lontane, ma unite, nel periodo natalizio, in un pomeriggio di musica, canti e allegria. Lo spettacolo "Alma mentis", curato da alcuni pazienti dell’istituto barcellonese, è stato infatti ospitato mercoledì 21 dicembre nell’aula ex-chimica dell’Università di Messina.

A fare gli "onori di casa" la prof.ssa Antonella Cocchiara, coordinatrice del corso "Donne, Politica e Istituzioni. Percorsi formativi per la promozione delle pari opportunità nei centri decisionali della politica", sostenuto dal Ministero per le Pari Opportunità e realizzato dall’Ateneo peloritano, d’intesa con la Facoltà di Scienze Politiche.

Presenti gli operatori dell’OPG siciliano e Rosa Maiorana, promotrice dell’evento e presidente dell’Associazione Arci "Macondo" di Milazzo, che da tempo lavora con i pazienti dell’istituto. "È la prima volta in 8 anni di attività, che i membri del laboratorio musicale dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario, vengono ospitati in una sede istituzionale, centro di cultura per eccellenza"- ha sottolineato il dott. Antonio Levita, che opera all’interno della struttura. Un vero e proprio spettacolo, quindi, in cui c’è stato spazio per canzoni dai risvolti sociali, dalla guerra all’emarginazione, poesie, e un’allegra conclusione natalizia. Per ricordarci che si può riflettere e costruire importanti realtà sociali anche con un sorriso.

Roma: regista Agosti dona a detenuti 650 copie di suo libro

 

Adnkronos, 11 gennaio 2007

 

Silvano Agosti entra nelle carceri romane con "Lettere dalla Kirghisia", grazie al progetto del ministero per i Beni e le Attività Culturali. Il regista, infatti, ha regalato 650 copie del suo libro ai detenuti delle carceri romane e altre 200 copie sono state acquistate dal ministero e utilizzate dagli insegnanti nei corsi scolastici e formativi a Rebibbia. Il progetto è curato dall’Istituto del libro diretto da Vitaliana Vitale e coordinato da Stefano Bossi, preside della scuola Angelo Celli di Roma e ha lo scopo di creare una corrispondenza epistolare e una raccolta di opinioni tra detenuti e studenti, da cui dovrebbe nascere il volume "Risposte alle lettere dalla Kirghisia", che si aggiungono a quella di Fabio Volo a conclusione del primo volume.

Fissato al 17 gennaio il primo incontro tra Silvano Agosti e gli alunni di terza media di alcune scuole della capitale per discutere sul libro; il secondo sarà con i detenuti, entro la fine di gennaio. Silvano Agosti dal 30 gennaio sarà a Los Angeles dove terrà un ciclo di conferenze dal titolo "Dall’impotenza alla creatività".

Genova: "Galeotto fu... il libro. Lettura, biblioteca e carcere"

 

Comunicato stampa, 11 gennaio 2007

 

La Biblioteca Universitaria di Genova è lieta di invitarvi al Convegno "Galeotto fu... il libro - Lettura, biblioteca e carcere". Al Convegno, organizzato in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria della Liguria e che si terrà il 15 gennaio 2007, parteciperanno le principali istituzioni regionali interessate all’argomento, oltre ad esperti bibliotecari internazionali e locali.

Obiettivo del convegno è mettere in rete le esperienze nel settore delle biblioteche carcerarie, provando a mettere a confronto la realtà internazionale e nazionale con quella ligure, nel tentativo di creare nuove sinergie e sostenere che in questi anni si è attivato nel settore, affinché si trovino nuovi stimoli per affrontare le numerose difficoltà, insite nel settore biblioteche carcerarie e che tante volte sembrano offuscare il molto di buono, che in effetti c’è, forse più che in altre realtà.

Altro scopo del convegno è inoltre far scoprire a chi, anche in campo bibliotecario, non conosce questi tipi di problematiche, magari dimenticando che leggere è un diritto di tutti e sostenere la lettura è un compito dei bibliotecari. La presenza delle istituzioni, in particolare di quelle penitenziarie, potrebbe servire a rendere più comprensibile il ruolo di chi entra ed esce dal carcere per svolgere quel compito, insito nella mission del bibliotecario.

Sulmona: troppi i detenuti... e gli agenti vengono trasferiti

 

Asca, 11 gennaio 2007

 

Il carcere di Sulmona scoppia: troppi detenuti, molti con gravi psicopatologie. Le guardie penitenziarie vivono in un continuo stato di tensione che sta diventando sempre più insostenibile. Poca formazione del personale per affrontare casi difficili come i detenuti "con le lamette ai polsi".

La Uil penitenziari lancia un gravissimo allarme, ecco la dettagliata denuncia del sindacato: "La Uil penitenziari Abruzzo è fortemente preoccupata e dice basta per la grave situazione che si è venuta a crearsi nella casa di reclusione di Sulmona. Malgrado gli sforzi fatti in passato dalle organizzazioni di categoria e i sacrifici profusi dal personale di polizia penitenziaria nulla è cambiato circa l’elevato numero di detenuti presenti nella struttura aventi preoccupanti e gravi psicopatologie.

La situazione va sempre più degenerando e le conseguenze sono evidenti sulle facce di molti poliziotti stressati ed oramai stanchi di dover far fronte ad una vera e propria emergenza. Le aggressioni fisiche e verbali sono all’ordine del giorno. Le auto ed eterolesioni stanno aumentando in maniera esponenziale. Le pressioni psicologiche subite dal personale stanno fortemente minando il carattere del personale sulmonese sempre più depersonalizzato, demotivato ed insoddisfatto.

Il carcere di Sulmona non è, contrariamente a quanto è dato credere ai competenti dirigenti che continuano ad inviare in modo assurdo detenuti gravemente malati a Sulmona, assolutamente omologata per assistere questa tipologia di reclusi. Il personale non è assolutamente formato così come succede negli ospedali psichiatrici o nei centri specializzati.

Uno psichiatra è assolutamente insufficiente per assistere un centinaio circa di psicopatici. Il personale medico e paramedico inoltre si trova disarmato di fronte a questa situazione poiché privi dei mezzi materiali e strutturali. Il personale è oramai esausto. Non ne può più dei numerosi tentativi di suicidio che con grata professionalità sono riusciti a sventare.

Il personale è stanco di vedere detenuti tagliarsi i polsi con le lamette quasi quotidianamente e per motivi che non hanno modo di esistere. Il personale è stanco di sentirsi minacciare da detenuti che non reggono l’alcool o che preordinano gli episodi di violenza dando la colpa a quest’ultimo il fatto che la casa di reclusione di Sulmona sia diventato il bersaglio preferito in quanto ad assegnazioni di autentici pericoli pubblici è una politica ottusa che l’amministrazione sta portando avanti non si sa per quale motivo ma che sicuramente molto male farà se non vi porrà rimedio.

La direzione dell’istituto sulmonese non può non esimersi dall’adottare urgenti provvedimenti atti a ripristinare un clima di normalità sollecitando ai superiori uffici il trasferimento immediato dei casi più gravi. Il provveditorato dell’amministrazione penitenziaria non può non prendere cognizione della situazione se non vuole che la stessa diventi irreversibile o che peggio porti a dei risvolti drammatici. La Uil in segno di protesta sin da ora indice lo stato di agitazione di tutto il personale riservandosi di far ricorso a forme di protesta più eclatanti se non si vedranno risultati nell’immediato.

 

Stato di agitazione contro i trasferimenti

 

La questione del carcere di Sulmona preoccupa la Uil penitenziari Abruzzo che da ieri ha dichiarato lo stato di agitazione di tutto il personale per dire "no" al trasferimento di 15 unità operative. "Malgrado gli sforzi fatti in passato dal sindacato - sottolinea in una nota il vice segretario regionale, Mauro Nardella - e i sacrifici profusi dal personale di polizia penitenziaria nulla è cambiato circa l’elevato numero di detenuti presenti nella struttura aventi preoccupanti e gravi patologie.

La Uil chiede alla direzione del penitenziario di adottare dei provvedimenti urgenti atti a ripristinare un clima di normalità sollecitando ai superiori uffici il trasferimento dei casi più gravi. "Il provveditorato dell’amministrazione penitenziaria - conclude Nardella - non può non prendere cognizione della situazione se non vuole che la stessa diventi irreversibile o dai risvolti drammatici". La Uil si riserva di far ricorso a proteste eclatanti se non vi saranno rapidi risultati.

Reggio Calabria: spettacolo musicale e di cabaret in carcere

 

Asca, 11 gennaio 2007

 

Appuntamento di inizio d’anno all’interno della Casa Circondariale di Reggio Calabria. Nella sala del Teatro delle carceri di via San Pietro, si è svolto uno spettacolo musicale e cabarettistico in favore della popolazione detenuta. L’iniziativa si inquadra nel programma predisposto, a suo tempo, dall’Amministrazione penitenziaria, al quale partecipa attivamente l’Amministrazione Comunale reggina per organizzare durante l’anno e, in particolare, nel periodo natalizio, esibizioni di artisti reggini per coinvolgere il più possibile i detenuti. Alla quinta edizione dello spettacolo di inizio d’anno, ha partecipato il cabarettista Gennaro Calabrese, accompagnato dal maestro Roberto Caridi.

La manifestazione è stata presentata da Mimmo Raffa. L’incontro, reso possibile grazie all’impegno e alla disponibilità della direttrice Elena Longo e di Emilio Campolo, responsabile dell’area educativa della Casa Circondariale reggina, che intendono fortemente proseguire nei progetti di crescita e di reinserimento dei detenuti, ha fatto registrare la presenza di don Giacomo d’Anna, cappellano delle carceri, e dei consiglieri comunali Monica Falcomatà, Michele Marcianò, Pasquale Morisani, Daniele Romeo, Tonino Serranò e Giuseppe Agliano, delegato dal sindaco Scopelliti per l’attuazione del programma, che è intervenuto anche a nome del Primo Cittadino e dell’assessore ai servizi sociali Tilde Minasi, ricordando come "l’Amministrazione Comunale continui a dimostrarsi sempre sensibile alle problematiche dei reclusi.

Immigrazione: Amato; nessuna discriminazione nella scuola

di Alessandro Galimberti

 

Il Sole 24 Ore, 11 gennaio 2007

 

"Un coro unanime di disapprovazione. La circolare del Comune di Milano che nega l’iscrizione a scuola ai figli di immigrati irregolari ha provocato reazioni compatte di condanna, corollario alla diffida notificata mercoledì al comune capoluogo lombardo dal ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni.

Toni molto duri ha usato il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, durante i lavori della Consulta giovanile per il pluralismo religioso. "È un delitto di estrema gravità discriminare i bambini per questioni etniche, in uno dei diritti fondamentali come quello dell’istruzione" ha dichiarato Amato davanti ai 16 delegati, di età compresa tra 25 e 36 anni, espressione delle diverse realtà culturali del Paese. E in serata una nota di Palazzo Chigi ha espresso "piena condivisione" a Fioroni per la decisione del ministro contro un provvedimento che "nega il diritto allo studio".

Il tema dell’immigrazione e dell’integrazione continua a dividere e preoccupare, soprattutto in prospettiva scolastica. In Italia, secondo l’ultimo Dossier statistico Immigrazione preparato da Caritas-Migrantes di Roma, sono 880mila i minori stranieri residenti all’inizio del 2007, dato che trova conferma anche nel report del ministero dell’Istruzione, secondo cui gli alunni stranieri sono più di 500 mila, circa il 6% della popolazione scolastica. E il superamento numerico degli scolari non originari rispetto agli italiani rimane solo questione di tempo: secondo stime il sorpasso potrebbe avvenire già prima della metà del secolo in corso.

Una prospettiva di fronte alla quale l’idea di discriminare gli studenti in base allo status di provenienza, cioè fondamentalmente familiare, suscita reazioni compatte. "I bambini extracomunitari possono iscriversi all’asilo indipendentemente dal permesso di soggiorno dei loro genitori" ha detto Fabio Sturarli, vice presidente dell’Anci (l’associazione dei comuni) con delega sull’immigrazione. Solidarietà a Fioroni per la diffida a Milano è stata espressa anche dall’assessore alle Politiche educative di Roma, Maria Coscia.

"Sono d’accordo con l’intervento del ministro, che ha considerato le scuole dell’infanzia come scuole paritarie che devono garantire gli stessi criteri e le stesse caratteristiche delle scuole statali". Sulla stessa lunghezza d’onda l’assessore bolognese Milli Virgilio: "L’intervento del ministro è giusto. Non può esistere una scuola che chiude. Il diritto all’istruzione è un diritto fondamentale, sia per la legislazione nazionale sia per quella internazionale".

Droghe: la Cassazione ci ripensa; è vietato coltivare cannabis

 

Notiziario Aduc, 11 gennaio 2007

 

Con la sentenza n° 871/2008 la Cassazione ha cambiato idea rispetto alla coltivazione delle piante di cannabis: mentre finora aveva fatto una distinzione fra coltivazione domestica di poche piantine, legittima, e imprenditoriale, vietata, ora censura qualunque tipo di coltivazione, anche se si tratta di una sola pianta. Qualche mese fa, infatti, con la sentenza numero 4362 la Suprema corte aveva confermato l’assoluzione nei confronti di un uomo che aveva coltivato cinque piantine di canapa indiana a scopo ornamentale.

In quelle motivazioni la sesta sezione penale di piazza Cavour aveva espressamente richiamato un suo precedente secondo cui "la coltivazione di piante da cui possono ricavarsi sostanze stupefacenti, che non si sostanzia nella coltivazione in senso agrario ovvero imprenditoriale, e ciò per l’assenza di alcuni presupposti, quali la disponibilità del terreno, la sua preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle piantine, la disponibilità di locali per la raccolta dei prodotti, e che, pertanto, rimane nell’ambito concettuale della cosiddetta coltivazione domestica, ricade, anche dopo la riforma del 2006, nella nozione della detenzione, sicché occorre verificare se, nella concreta vicenda, essa sia destinata ad un uso esclusivamente personale del coltivato".

Un tema caldo, questo, sul quale lo scorso 13 novembre era intervenuto il primo presidente della Suprema corte Vincenzo Carbone, in una nota, aveva affermato che "la coltivazione domestica di piante è legittima solo quando siano specificamente provate in fatto l’irrilevante quantità e l’assenza di destinazione all’uso di terzi". Ora, probabilmente, dato il contrasto di giurisprudenza esistente all’interno del Palazzaccio la questione finirà sul tavolo delle Sezioni Unite.

Droghe: Torino; audizione promotori di petizione narco-sala

 

Notiziario Aduc, 11 gennaio 2007

 

Questa mattina i promotori della petizione per l’istituzione di una narco-sala a Torino (Domenico Massano, dell’Associazione Radicale Adelaide Aglietta, Alessandro Orsi, di Malega 9 e Franco Cantù, di Forum Droghe) sono stati auditi dalla IV Commissione (Sanità e Servizi sociali), ai sensi dello Statuto Comunale. Ha introdotto l’audizione la Presidente della IV Commissione, Maria Teresa Silvestrini (Rifondazione Comunista).

Ha poi preso la parola Franco Cantù: "Sono un operatore di strada dei servizi per le tossicodipendenze dell’ASL 4 di Torino; faccio parte del Coordinamento degli operatori dei Servizi a bassa soglia del Piemonte (Cobs). Mentre parlo, potete vedere proiettate foto relative a scene di consumo di droghe in vari luoghi della città di Torino. Volevo, innanzitutto, richiamare la vostra attenzione sulla "politica dei quattro pilastri" adottata dall’Unione Europea in tema di tossicodipendenze: prevenzione; lotta al narcotraffico; cura e trattamento; riduzione del danno (RD). La somministrazione controllata di eroina rientra nel pilastro "cura e trattamento"; la narcosala rientra nel pilastro "riduzione del danno". A Torino, i primi servizi di RD risalgono al 1995.

I dati dell’Osservatorio Epidemiologico della Regione Piemonte ci dicono che fra il 2004 e il 2007 il numero dei consumatori di sostanze stupefacenti è rimasto costante ma è aumentato considerevolmente il numero delle singole iniezioni poiché è aumentato in maniera esponenziale il numero dei consumatori di cocaina per via iniettiva (l’uso compulsivo di questa sostanza può portare il consumatore a "farsi" 20 iniezioni al giorno). Le infezioni da HIV sono in diminuzione; sono in aumento le malattie trasmesse tramite rapporti sessuali.".

Alessandro Orsi ha proiettato uno spezzone del documentario sulle narco-sale "La stanza dei figli", prodotto da Malega 9, per illustrare visivamente i quattro obiettivi che una "stanza del consumo" di prefigge: vita (scongiurare overdose); salute (scongiurare sieroconversioni e infezioni); smaltimento siringhe (evitando la loro dispersione nell’ambiente); aggancio (per togliere il consumatore dalla clandestinità ed avviarlo al recupero).

"Al partito trasversale dei detrattori -ha proseguito Orsi- voglio ricordare due cose: quanto è avvenuto in Spagna, dove tutte le forze politiche hanno convenuto sull’utilità della narco-sala; la distinzione fra la narco-sala (servizio a bassa soglia, rivolto a tutti i consumatori) e la somministrazione controllata di eroina (servizio ad alta soglia, rivolto a una parte selezionata dei consumatori).

Orsi ha concluso citando il recente servizio di "Studio Aperto", a cura di Angelo Macchiavello, sulla narco-sala di Ginevra: gli abitanti del quartiere, prima contrari, ora sono i primi sostenitori della narco-sala.

Domenico Massano ha ricordato che l’iniziativa della petizione è nata dall’incontro di tre associazioni molto diverse fra loro. Ha ricordato poi le 1.000 firme raccolte, fra le quali quelle di Leopoldo Grosso (consulente del Ministero Solidarietà Sociale), Gianni Vattimo, Bianca Guidetti Serra, Don Andrea Gallo, la Lila (Lega Italiana Lotta Aids), il Cnca del Piemonte, il Cobs.

Massano ha poi precisato che l’art. 79 del DPR 309/90 persegue il favoreggiamento dello spaccio; la narco-sala è un servizio sociosanitario di riduzione del danno, che intende garantire il diritto costituzionale alla salute; cosa c’entra con l’art. 79? Anche il richiamo al rispetto delle convenzioni internazionali sulle droghe è ultroneo; nessuno degli Stati che hanno introdotto le narco-sale ha infranto tali convenzioni.

Durante i lavori della Conferenza Latina sulla Riduzione del Danno, lo scorso dicembre, a Milano, ben 350 operatori di vari Paesi si sono espressi a favore dell’iniziativa per una narco-sala a Torino. Nella stessa occasione, Francesco Maisto (procuratore generale di Milano) ha testualmente affermato: "Sono stupefatto di ascoltare divieti pregiudiziali alle narco-sale".

Il servizio della narco-sala si inserisce anche senza problemi nel quadro sanitario previsto dal recente Piano Sanitario Regionale del Piemonte. La narco-sala non è la soluzione ma è la parte della risposta ai bisogni dei cittadini tossicodipendenti più emarginati, a persone concrete che non possono essere sepolte sotto un campo da golf (quello che, pare, sarà impiantato a Parco Stura).

Massano ha così concluso il suo intervento: "chiediamo che Torino si attivi, entro sei mesi dalla discussione in commissione consigliare della presente petizione, per la sperimentazione di almeno una sala del consumo ed in questa prospettiva proponiamo di: istituire una commissione tecnica per la stesura del protocollo di sperimentazione, sotto l’egida dell’Assessorato regionale alla sanità, in collaborazione con il Comune; attivare contestualmente una commissione di informazione e comunicazione con la cittadinanza, sotto l’egida del sindaco di Torino; organizzare per i Consiglieri, gli Assessori ed il Sindaco un viaggio di studio presso la narco-sala di Ginevra e visite presso i servizi di riduzione del danno attivi a Torino, per conoscere e valutare in prima persona sia una sala del consumo sia la situazione reale con cui consumatori ed operatori si confrontano quotidianamente a Torino".

Sono poi intervenuti alcuni consiglieri comunali: Marco Grimaldi (Sinistra Democratica): "Ringrazio i promotori della petizione. Io e gli altri consiglieri firmatari della mozione da me presentata abbiamo cercato di recepire le loro proposte. Dobbiamo occuparci dei cittadini sommersi che, in mancanza di serie politiche di RD, muoiono o, comunque, continuano a non essere intercettati dai servizi sanitari. Non ci sono argomenti barattabili e non si può far confusione fra narco-sale e somministrazione controllata di eroina.

Terry Silvestrini (Rif. Comunista): "Ricordo che in Piemonte le politiche di riduzione del danno sono andate avanti, per un decennio, con governi regionali di centro-destra e con due Assessori alla Sanità espressi da Alleanza Nazionale. Tali politiche devono ora fare un salto di qualità. L’elemento che urta le sensibilità di molti è che le narco-sale includono il consumo di droghe, che finora avviene "fuori", lontano, altrove. Ma senza questa inclusione, non c’è aggancio, non c’è possibilità di recupero".

Domenica Genisio (Partito Democratico): "Ho preso atto delle dichiarazioni dei promotori; mi riserbo di approfondire". Gian Luigi Bonino (Socialisti): "Ringrazio anch’io i promotori della petizione perché hanno arricchito il dibattito. Purtroppo, la narco-sala è un tabù, soprattutto per il Partito Democratico, che deve ancora risolvere molti problemi al suo interno. Serve una politica non repressiva, che agganci i consumatori. Far mancare il numero legale in consiglio comunale è stata un’offesa all’istituzione. Mi auguro che lunedì, finalmente, si voti; comunque, noi andremo avanti". Stefano Gallo (vice-presidente Commissione, Partito Democratico) chiede se esistono dati sulla percentuale di utenti delle narco-sale che sono avviati ai servizi.

Domenico Massano ha risposto citando i seguenti dati: A Sydney, il 15% dei clienti (577 persone) in 18 mesi è stato inviato a diversi servizi, in totale 1.385 invii. Tra questi il 43% riguarda servizi per il trattamento terapeutico, buprenorfina (13%), disintossicazione (10%), metadone protratto (9%). Il 23% degli invii riguarda visite mediche e il 16% assistenza sociale. Uno studio tedesco del 2003 informava il 54% degli utenti era stato inviato a un servizio per le dipendenze. A Ginevra, in sei mesi, su 736 utenti vi sono stati 276 invii, oltre a 56 altri invii a medici specializzati. Alla Dave di Madrid, il 9% degli utenti è stato inviato o accompagnato ad altri servizi.

Per gran parte dell’audizione sono stati presenti, senza intervenire, Marco Borgione (Assessore alla Famiglia, Salute e Politiche Sociali - Partito Democratico) e i consiglieri comunali: Cristiano Bussola (Forza Italia); Antonello Angeleri (Udc); Mario Carossa (Lega Nord); Giuseppe Lonero (La Destra); Giuseppe Sbriglio e Giuliana Tedesco (Partito Democratico).

Canada: spacciatore dovrà risarcire cliente per un'overdose

 

Notiziario Aduc, 11 gennaio 2007

 

La storia, che ha dell’incredibile, giunge da una cittadina della provincia centrale del Canada, il Saskatchewan, dove una giovane donna, Sandra Bergen, ha fatto causa al suo spacciatore chiedendo i danni per l’acquisto inconsapevole di metanfetamina. E il giudice del tribunale civile le ha dato ragione.

Amici d’infanzia - Lo spacciatore e la consumatrice si conoscono dall’asilo e a tredici anni Clinton Davey, il pusher di questa storia, inizia l’amica agli stupefacenti. Non si hanno dettagli sulla vita dei due adolescenti fino a quando nel 2004, ormai ventenni, un pomeriggio fumano metanfetamina in casa della nonna di Clinton. Sandra va in overdose e successivamente entra in coma.

L’accusa di negligenza - Dopo undici giorni di sonno profondo si risveglia in pessime condizioni fisiche e ne porta ancora oggi i segni (polmoni, cuore, reni e fegato gli organi danneggiati). Ripresasi dal coma pensa così di denunciare l’amico-spacciatore. Singolari i termini della causa: l’accusa è di averle somministrato una sostanza senza adeguate spiegazioni sugli effetti della stessa, ovvero un’accusa di negligenza. E trattandosi di una droga pesante sia in termini di danni fisici che di dipendenza, di averla messa in pericolo di vita.

Silenzio sul pusher - In termini processuali - a leggere le cronache locali - la causa è stata vinta per abbandono dell’avversario. Clinton Davey non ha voluto infatti rispondere alle domande del giudice sulla provenienza della droga rivenduta all’amica. Così al giudice non è rimasto che decretare una sentenza di colpevolezza e autorizzare il risarcimento danni. La strategia difensiva si è limitata al peraltro comprensibile "sapeva quello che faceva, lo facevamo insieme, si è assunta il rischio". Ma senza collaborare al processo facendo il nome del proprio fornitore la difesa co-responsabilizzante non ha tenuto. Toccherà ora alla Bergen calcolare in dollari canadesi il valore dell’overdose. Al momento ha dichiarato alle gazzette locali che non chiederà comunque meno di 50 mila dollari.

Creato un precedente - All’uscita dal tribunale una trionfante Bergen e il suo sorridente avvocato, hanno fatto capire quale importanza può avere questo precedente: "Questa vittoria segna un precedente legale in Canada, ora le persone possono fare causa ai propri spacciatori se vorranno". Non che prima fosse impossibile, solo che nessuno finora aveva avuto l’idea di denunciarli anziché per spaccio, per negligenza. E la sentenza è di quelle che probabilmente faranno discutere.

Vietnam: una cyberdissidente detenuta è in gravi condizioni

 

http://punto-informatico.it, 11 gennaio 2007

 

Sono decine gli utenti Internet che il regime vietnamita tiene dietro le sbarre. Tra questi Le Thi Cong Nhan, avvocato e blogger che è stata condannata da un tribunale locale per aver pubblicato scritti filo democratici, definiti "propaganda ostile contro la Repubblica Socialista del Vietnam". Le Thi però sta male e le sue condizioni di salute preoccupano. Ne dà notizia Reporters Sans Frontieres, che segnala come la donna abbia dato vita ad uno sciopero della fame per sollevare l’attenzione dei media, 10 giorni di digiuno che secondo la madre, che ha potuto vederla in prigione, l’hanno prostrata definitivamente.

Condannata a settembre, Le Thi dovrà rimanere in galera per altri tre anni, e dopo per tre anni dovrà rimanere agli arresti domiciliari. "Le condizioni in cui è detenuta - scrive Reporters Sans Frontieres - sono vergognose, è mentalmente esausta e le è stata vietata la lettura della Bibbia, che è il suo unico modo per resistere a tutto ciò che deve subire. Rinnoviamo il nostro appello per un suo rilascio".

La speranza è che il regime possa dimostrare per Le Thi quella "benevolenza" che la scorsa estate portò al rilascio di un altro detenuto per simili "reati". In quel caso, però, l’interesse dei media internazionali per la vicenda umana e personale del detenuto era assai più spiccato.

Usa: Guantanamo ha 6 anni, Amnesty ne chiede la chiusura

 

Associated Press, 11 gennaio 2007

 

Amnesty International rilancia la campagna per la chiusura del centro di detenzione e la fine delle detenzioni illegali. Oggi a Roma iniziativa di fronte all’ambasciata Usa, eventi in altre città italiane.

Oggi ricorre il sesto anniversario dell’apertura di uno dei centri di detenzione più tristemente famosi del mondo, diventato il simbolo delle violazioni dei diritti umani nel contesto della "guerra al terrore": Guantanamo Bay.

L’impegno di Amnesty International, negli ultimi cinque anni, ha ottenuto risultati importanti: in primo luogo, il rilascio di circa 500 prigionieri; ma anche le prese di posizione dei principali organismi internazionali, di leader politici, di oltre 1200 parlamentari di ogni parte del mondo e di molti governi per la chiusura del centro di detenzione. All’interno della stessa amministrazione Usa e nella campagna elettorale per le presidenziali, il tema sta acquisendo grande importanza.

Tutto questo, tuttavia, non basta: Amnesty International proseguirà la sua campagna "Chiudere Guantanamo, ora!" fino a quando il centro di detenzione non verrà chiuso e i prigionieri non verranno sottoposti a un processo regolare oppure rilasciati, per porre fine a queste e a tutte le altre detenzioni illegali nel contesto della "guerra al terrore".

Con questi obiettivi, oggi Amnesty International organizza una manifestazione di fronte all’Ambasciata Usa di Roma, in via Veneto, con inizio alle ore 11. Hanno aderito Antigone e US Citizens for Peace and Justice. Altre iniziative si svolgeranno in altre città, tra cui Ancona, Bologna, Firenze, Foggia, Milano, Palermo e Sassari. Nel mondo, sono previste iniziative a Londra, Stoccolma, Washington, Dublino, Manila, Asunción e Manama.

 

Fatti e cifre su Guantanamo

 

Nei primi cinque anni di attività, a Guantanamo sono stati trasferiti 780 prigionieri, catturati in oltre 10 paesi diversi. Un’analisi condotta sui casi di circa 500 detenuti ha mostrato che soltanto il 5% di loro è stato preso direttamente dalle forze statunitensi; l’85% è stato catturato dalle forze dell’Alleanza del Nord in Pakistan e in Afghanistan e trasferito sotto custodia statunitense, spesso in cambio di qualche migliaio di dollari.

Alla fine del dicembre 2007, a fronte di circa 500 rilasci, 275 detenuti di 30 diverse nazionalità si trovavano ancora a Guantanamo senza accusa né processo.

Circa l’80% di questi prigionieri sono stati detenuti in isolamento nei Campi 5, 6 e nel Campo Echo. Il Campo 6, di più recente costruzione, è designato per ospitare 178 detenuti ed è l’area in cui le condizioni di detenzione sono più dure. I detenuti rimangono in isolamento per almeno 22 ore al giorno in celle individuali prive di finestre. Almeno quattro detenuti si sarebbero suicidati. Molti altri avrebbero tentato di togliersi la vita.

Soltanto uno dei detenuti di Guantanamo è stato condannato dalle commissioni militari. Nel marzo 2007 David Hicks, cittadino australiano, si è dichiarato colpevole di sostegno al terrorismo nell’ambito di un patteggiamento che prevedeva la fine della sua reclusione in custodia statunitense, già durata cinque anni, e il rientro in Australia, dove sta scontando altri nove mesi di detenzione. Nel novembre 2007, tre detenuti sono stati incriminati per essere processati dalle commissioni militari.

 

 

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