Rassegna stampa 23 febbraio

 

Giustizia: detenzione a vita per criminali "a rischio recidiva"

 

Repubblica, 23 febbraio 2008

 

I criminali più pericolosi, quelli che rischiano una recidiva, non saranno più liberati dopo aver scontato la loro pena carceraria: finiranno in centri di detenzione "socio - medico - giudiziari", dai quali potrebbero non uscire mai. Nicolas Sarkozy si appresta a firmare la legge votata poche settimane fa dal parlamento e avallata dal Consiglio Costituzionale, che ha censurato solo l’emendamento che la rendeva retroattiva. La Francia cambia linea, adotta una politica penale diversa dalla sua tradizione e introduce una "prevenzione", cioè una difesa della società dai criminali più pericolosi.

La nuova legge, secondo i suoi critici, abbandona il criterio della pena carceraria come strumento rieducativo. In qualche modo, prende atto che per certe persone la detenzione non basta. Il provvedimento può applicarsi a chi è stato condannato a più di quindici anni di carcere per reati particolarmente gravi. Nel mirino ci sono soprattutto i crimini sessuali, gli stupri, le sevizie, ma anche gli assassinii particolarmente feroci, le torture inflitte alle vittime.

Una volta scontata la pena, i criminali potranno essere rinchiusi nei centri di detenzione, quando giudici e psicologi individueranno "disturbi" psichici tali da far temere una recidiva. La detenzione potrà essere ordinata per un anno, ma potrà essere rinnovata per un numero indefinito di volte. In sostanza, una persona potrebbe anche non ritrovare più la libertà. Ed è proprio questo a sollevare le critiche più forti.

Tre paesi europei adottano questa strategia penale: Germania, Belgio, Olanda. Alla base c’è una dottrina derivata dalle tesi dei positivisti italiani dell’Ottocento e in particolare da Cesare Lombroso: non si tratta di punire, ma di difendere la società dai comportamenti devianti. Idee che naturalmente suscitano reazioni appassionate, come ha dimostrato il dibattito parlamentare: avvocati e giuristi sono contrari, le associazioni di difesa delle vittime

approvano.

E proprio a queste ultime pensa Nicolas Sarkozy, che in campagna elettorale ha sempre battuto su questo tasto ("da noi non si pensa abbastanza alle vittime"). La legge si potrà difficilmente applicare a chi sta per uscire dal carcere, a causa degli articoli soppressi per incostituzionalità: finirà nei centri di detenzione solo se non rispetterà alcuni obblighi imposti dai giudici. Da questo punto di vista, il verdetto del Consiglio costituzionale è un insuccesso per il governo. La Cancelleria, infatti, aveva già stilato la lista di trentadue criminali (fra cui una donna) considerati pericolosi e la cui liberazione è prevista entro il 2010. La lista, la cui esistenza è stata rivelata dal Parisien, contiene i nomi di altre duecento persone, che devono ancora scontare diversi anni. Per tutti, i reati sono atroci e in moltissimi casi commessi sotto l’effetto dell’alcol.

 

Vassalli: in Italia la Costituzione non lo consente

 

Per Giuliano Vassalli, ex ministro della Giustizia e presidente emerito della Consulta, quella della Francia in materia di politica penale non è una svolta isolata. "Serpeggia in tutti i paesi occidentali la tendenza a un inasprimento delle misure contro la criminalità - commenta Vassalli - ed è esemplare in questo senso quanto accade negli Stati Uniti. La Germania ha una norma sulla creazione dei centri di detenzione, in cui una volta scontata la pena vengono rinchiusi i criminali considerati più pericolosi. Questa "custodia di sicurezza" può arrivare fino a 10 anni, ma è sempre stata applicata dai giudici con grande parsimonia".

 

Il modello adottato da questi Paesi è quello della "difesa sociale": l’intento è di guardare più alla vittima che al delinquente?

"È un vecchio ritornello che in Francia si è sentito più volte e che ora un mutato clima politico ha riportato in auge. È giusto tenere in considerazione la pericolosità del delinquente, ma il fatto di non adottare il modello tedesco e ora francese non vuol dire disattenzione verso la vittima, che infatti anche in un sistema come il nostro non è dimenticata".

 

Una norma del genere potrebbe passare in Italia?

"No, perché l’Italia ha un vincolo costituzionale al principio rieducativo e per approvare una simile norma si dovrebbe cambiare la Costituzione. Ciò non significa tuttavia che da noi non si tenga conto della pericolosità del delinquente, poiché il Codice individua il delinquente abituale, e quello professionale nel caso di reati contro il patrimonio. Non bisogna dimenticare che la legge ex Cirielli ha inasprito il trattamento per i pluri-recidivi. A mio parere questo è già il massimo, non credo sia giusto negare ad alcuno la speranza di una rieducazione".

Giustizia: Osapp; una "lettera aperta" ai politici e ai giornali

 

Comunicato Osapp, 23 febbraio 2008

 

L’attuale silenzio e l’assenza di interesse nei confronti del problema penitenziario in Italia, malgrado le tante motivazioni non ultima la campagna elettorale in corso, non possono nascondere il fatto che gli eventi nelle carceri italiane si fanno ogni giorno più gravi e a farne le spese è il Personale di Polizia Penitenziaria.

Tra tensioni, minacce ed aggressioni, carichi di lavoro esorbitanti a cui sempre più spesso consegue il "blocco" dei riposi settimanali e delle ferie, l’obbligo, per assenza di cambi anche per il minimo bisogno fisiologico, di prestare servizio dalle 9 alle 12 ore continuative, i Poliziotti Penitenziari hanno raggiunto e superato da tempo qualsiasi umano limite di sopportazione.

Persino e da ultimo i Poliziotti Penitenziari subiscono il blocco dei distacchi ad altra sede per gravi motivi previsti dal vigente Contratto di Lavoro, ovvero della possibilità di ricongiungersi per un breve periodo di tempo ai propri affetti o di curare i propri interessi; ovviamente un "blocco" che avrà valore per coloro che effettivamente hanno necessità ma non per le centinaia e centinaia di unità che, senza reale motivazione, in alcuni casi da anni, non prestano più servizio nella sede dove dovrebbero.

Gli oltre 51.000 detenuti presenti nelle carceri (tenuto conto che nelle attuali stime non vengono conteggiati i detenuti i permesso o trasferiti temporaneamente) sono diventati un problema insolubile ben più di quello che erano nel periodo pre-indulto gli oltre 62.000 ristretti, perché nel frattempo in tutte le sedi penitenziarie sono saltati regole e principi interni di organizzazione e sicurezza né, stante la grave promiscuità, si attuano le necessarie differenziazioni in relazione alla pericolosità dei soggetti ed ai reati commessi, né, come si evince dal numero quotidiano dei reingressi in carcere, producono più risultati gli interventi per la risocializzazione dei reclusi, mentre gli istituti di pena sono sempre di più scuola di criminalità e luogo di affiliazione tra le varie associazioni e delinquere.

In un’Amministrazione che in pochissimo tempo ha ottenuto oltre 570 Primi Dirigenti (il 90% promosso anche di due livelli, caso pressoché unico in una pubblica amministrazione, senza alcun concorso grazie ad una legge della fine della XIV Legislatura) 21 Dirigenti Generali ed un Capo Dipartimento pressoché equiparato ai fini economici al Capo della Polizia, con quello che ne consegue in termini di stipendi, da tempo non si assumo misure o interventi concreti, mancano mezzi, uniformi, generi alimentari nelle mense, manca persino il personale per alcuni servizi vitali quale quello medico e paramedico e quel poco che prima si adottava è completamente cessato dall’uscita di scena dell’ex Ministro Mastella.

Se, quindi, per le reiterate emergenze delle strutture penitenziarie e anche per surrogare alle professionalità mancanti negli altri profili è richiesto esclusivamente alle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria di aumentare i già strenui sacrifici, quello che si appresta ad affrontare "da solo" l’imminente e definitivo crollo del sistema penitenziario italiano è un Corpo di Polizia che, già Cenerentola e bistrattato tra le altre Forze di Polizia, è del tutto privo di organizzazione, di supporti e collegamenti, per il quale manca qualsiasi riferimento istituzionale e nell’amministrazione e sulle cui gravissime condizioni di lavoro, per l’assenza di sicurezza anche degli ambienti lavoro, per i carichi di lavoro che inducono infortuni e malattie, per l’assoluta mancanza di pari opportunità, per le gravissime disparità di trattamento, nessuno più vigila o interviene.

Purtroppo, dalle voci e da quanto pubblicato dagli organi di informazione non risulta ad oggi che tra i programmi delle Forze Politiche in lizza nella prossima tornata elettorale, sia stata presa in esame la possibilità di attuare quella integrale Riforma, in termini di organizzazione, di risorse, di autonomia funzionale e gerarchica e di riconoscimento delle mille e una professionalità reali espletare nell’unico Corpo di Polizia dello Stato che oltre alle normali attribuzioni di Polizia avrebbe anche il compito di provvedere alle attività per il reinserimento sociale dei detenuti, di cui non solo le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria avrebbero estrema necessità ma dalla quale la Collettività e gli stessi detenuti otterrebbero immediato vantaggio.

Sarà, quindi cura dell’Osapp, quale Organizzazione Sindacale Nazionale della Polizia Penitenziaria invitare le Colleghe e i Colleghi, le famiglie, gli amici e coloro che possono avere a cuore le nostre sorti a non votare per chi, degli attuali partiti politici, non prenda in seria e concreata considerazione la situazione del Corpo, ovvero a non recarsi del tutto ai seggi elettorali. Sarà altresì cura dell’Osapp a tutela delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria promuovere manifestazione regionali di protesta confluenti in un’unica manifestazione nazionale del Corpo di Polizia Penitenziaria in Roma nelle adiacenze dei Palazzi del Potere e della Politica.

 

Leo Beneduci

Segretario Generale Osapp

Giustizia: Osapp; il carcere? solo una "sofferenza per gli ultimi"

 

Agi, 23 febbraio 2008

 

Gli appelli "al senso di responsabilità sono terminati, come la pazienza degli oltre 44 mila agenti di polizia penitenziaria - lamenta l’Osapp - non possiamo sottacere quello che i vertici dell’Amministrazione non hanno il coraggio di affrontare: è assurdo che il Dipartimento non solo non assuma iniziative concrete per attuare la Riforma del Corpo, e riconoscerne le mille e una professionalità reali espletate nelle sezioni - spiega Beneduci - ma poi aggravi la stessa polizia penitenziaria di maggior problemi nell’ambito della gestione quotidiana della sicurezza delle carceri".

L’attuale Amministrazione Penitenziaria, secondo il sindacato, "sta proseguendo nel suo intento di trasformare il sistema penitenziario, che da oggi in poi non chiameremo più sistema per l’espiazione delle pene, in "sistema delle sofferenze per gli ultimi: gli ultimi, i detenuti, vogliono farli diventare sempre più come i rifiuti della Campania: mondezza!" Gli altri ultimi - continua l’Osapp - cioè gli operatori e gli agenti di polizia penitenziaria invece, si vuole trasformarli in bravi spazzini. Ci vogliono ridurre alla funzione di apri-porta e mutare le nostre connotazioni in quelle di un semplice carceriere, con l’incarico di controllare i minuti concessi per la doccia e per i servizi quotidiani al detenuto".

"Gli impianti di allarme anti evasione/intrusione, in tutte le carceri italiane, per la maggior parte dei casi non funzionano, sono da rifare". Lo denuncia il segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma di Polizia Penitenziaria (Osapp), Leo Beneduci, che punta il dito "contro l’incapacità dell’attuale Amministrazione, che è ora che passi la mano", ed invita "a disertare le urne se sarà necessario".

Giustizia: i detenuti e i potenti, dis-uguali davanti alla legge

di Giancarlo Trovato

 

Rinascita, 23 febbraio 2008

 

In occasione dei precedenti innumerevoli turni elettorali, facce tristi e compassionevoli accompagnavano i candidati in carcere per ricordare ai detenuti che il voto era l’ottima occasione per far valere i loro diritti. Specie se la croce andava a porsi su un simbolo di sinistra. Al momento questa tradizione sembra essere messa da parte: non c’è tempo o è tempo sprecato. Di carcere non si parla e di giustizia se ne parla a sproposito.

Sempre per colpa dei meccanismi della famigerata legge elettorale, questa volta i manovratori delle varie compagini politiche sono impegnati a tempo pieno nel fare i conti per conquistare il potere o perlomeno per occupare una strategica posizione in Parlamento.

Quanti non se la sbrogliano bene con i conti, vanno in giro e in televisione a seminare promesse: la situazione è drammatica, ma si sistema tutto! Non mancano le ricette miracolose. Anzi, c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Nell’attesa di vedere qualcuno entrare in carcere per spargere anche lì una ventata di belle promesse, al detenuto - messa da parte la speranza che qualcuno s’interessi anche di lui - non resta che guardare all’esterno e chiedersi se non sarebbe meglio prolungare per l’arco di un’intera legislatura la propaganda elettorale, quando tutti sono sicuri di realizzare quei miracoli dati per certi. Se è così facile garantire un congruo salario a tutti e se è alla portata di mano far star tranquille le mamme con ricchi benefici economici, sorge il dubbio che Prodi sia caduto sotto il fuoco amico. È pure normale chiedersi perché nei venti mesi nessuno abbia suggerito a lui le facili soluzioni, piuttosto che attendere di renderle note agli elettori.

Da destra e da sinistra l’imperativo è cambiare il Paese. E non è una gran novità. È sempre quello dalle prime elezioni dell’Italia repubblicana. Nessuno pensa che un vero cambio del Paese porterebbe pure ad un mutamento degli italiani, spingendoli a cacciare via per sempre tutti i mestieranti della politica, interessati unicamente ai bene di se medesimi e dei loro "grandi elettori". Nessuno di questi vive in carcere e tanto meno ci vuole entrare.

Nessuno, pertanto, se ne interessa nonostante ospiti circa cinquantamila cittadini, la maggioranza dei quali nell’attesa di espiare una pena per reinserirsi a pieno titolo nella società. Sono in attesa soprattutto che si metta mano a radicali riforme affinché il carcere sia realmente rieducativo. Ma di questo nessuno ne parla, trascurando che il problema della sicurezza sociale deve essere risolto partendo da lì dentro.

Spiegando i dodici punti programmatici del suo schieramento, Walter Veltroni ha posto al decimo posto quello della sicurezza e della giustizia, limitandosi a fumose affermazioni: "Dobbiamo far sentire sicuri i cittadini aumentando la presenza di agenti per strada e anche utilizzando nuove tecnologie. La vera emergenza giustizia, quella che l’opinione pubblica avverte come tale, è quella dei tempi del processo, sia penale che civile, che vedono l’Italia agli ultimi posti in Europa e nel confronto con i Paesi avanzati il mondo".

Dato che le lungaggini dell’amministrazione della giustizia colpiscono soprattutto tanti detenuti innocenti, non ha dedicato nemmeno un accenno al tema del carcere e a quello intimamente collegato del degrado sociale. Ha promesso la certezza della pena, ma ha dimenticato quanti trascorrono anni in carcere per la mancanza di certezza della sentenza.

Gli sarebbe stato sufficiente verificare quanto lo Stato spende per errori giudiziari e per ingiuste detenzioni. Non ha, però, dimenticato di porre l’accento sul fatto "che da troppi anni c’è uno scontro nel Paese sulla giustizia e tra politica e magistratura".

Non ha perso l’occasione per ricordare che ormai la giustizia è fraintesa con il lasciare in pace i potenti. Pur scimmiottando i modelli statunitensi, Veltroni ha trascurato che in America e ovunque nel mondo i potenti coinvolti in vicende giudiziarie non si sognano neanche un po’ di prendersela con i giudici, ma accettano normalmente che la giustizia faccia il suo corso, mentre in Italia il magistrato che sfiora certi interessi deve mettere in conto che potrà essere aggredito, in virtù della consolidata tattica del difendersi non tanto dalle accuse quanto dal processo.

L’insegnamento offerto al cittadino è che, invece di chiedere più giustizia, si chiede meno giustizia tutte le volte che si incrociano determinati interessi. La giustizia, oggi vista solo come campo di battaglia dove consumare vendette e scontri politici, non riacquista il suo valore e la sua dignità" con l’aumento (...promesso!) di organico e di stipendi. Amaramente l’attuale concezione della giustizia lascia irrisolto il quesito se i peggiori nemici della società civile sono veramente quelli che stanno in carcere.

Arezzo: sindacati; questo carcere è indegno di un paese civile

 

www.arezzonotizie.it, 23 febbraio 2008

 

Cgil, Cisl e Uil scrivono al Direttore Generale dell’Amministrazione Penitenziaria. "Quanto riscontrato non è ritenuto degno di un paese civile com’è il nostro". Così inizia la lettera che Cgil, Cisl e Uil della Polizia Penitenziaria hanno inviato ad Ettore Ferrara, Direttore Generale dell’Amministrazione Penitenziaria in seguito ad una visita al carcere di Arezzo. E questa è giunta dopo numerose denuncie da parte degli stessi sindacati che non hanno ottenuto alcun riscontro da parte dell’Amministrazione Penitenziaria Regionale e locale. Moltissimi i punti "critici" individuati dai sindacalisti Giovanna Mori e Giovanni Franchi per la Cgil; Gerardo Vettese e Luigi Serio per la Cisl; Vincenzo Santangelo e Mauro Lai per la Uil.

"Una poliziotta penitenziaria viene "comandata" di servizio a vigilare armata da una postazione sopraelevata i cortili dei passeggi delle sezioni detentive maschili, dove sono ubicati i servizi igienici a cielo aperto che palesemente espongono le persone detenute ad un controllo visivo diretto anche durante l’espletamento delle proprie necessità fisiologiche".

Una situazione che i sindacati giudicano "veramente vergognosa, in quanto lesiva della dignità personale e professionale delle lavoratrici e contrastante con le normative vigenti". Nella lettera si ricorda che "non si tratta di un servizio di vigilanza armata perimetrale ma bensì della copertura di una postazione fissa di vigilanza "passeggi", ove per accedere si deve transitare obbligatoriamente con l’armamento di reparto in zone dove transitano le persone detenute". Cgil, Cisl e Uil della polizia penitenziaria scrivono poi che "è messa a rischio la stessa incolumità di tutte le persone che gravitano, vivono o lavorano in quella struttura dove non esiste alcuna cartellonistica che indichi le eventuali vie di fuga in caso di situazioni di emergenza, ed in assenza di impianti antincendio (idrici), estintori a polvere non revisionati da circa nove mesi".

Come se tutto questo non fosse sufficiente, all’interno del locale denominato "Mof", situato nell’immediatezza dei locali adibiti alla "cucina detenuti", è stata rilevata "l’esistenza di una vera e propria "discarica" di vari materiali anche infiammabili; evidenziando che si tratta di locale e postazione di lavoro privo di alcuna fonte di areazione e dove la consistente presenza di vernice ed altro rendono l’aria interna irrespirabile". Altri elementi di criticità: "escrementi di volatili ben visibili negli spazi adibiti ai passeggi delle persone detenute e sui davanzali delle finestre dei vari Uffici, Sezione e della Caserma Agenti; caserma alla quale si accede passando obbligatoriamente dalle zone detentive. Corridoio della caserma che viene utilizzato sistematicamente per la collocazione di armadi (stipetti destinati alla popolazione detenuta) che vengono utilizzati per archiviare pratiche amministrative". I sindacati sottolineano che il malessere degli agenti viene confermato anche dalle assenze con punte pari al 15% della forza lavorativa.

Ci sono poi problemi contrattuali: "il personale vive una situazione di incertezza lavorativa data dall’assenza di rispetto delle più elementari garanzie contrattuali". E salariali: "viene meno anche la garanzia della prevista e dovuta retribuzione inerente gli incentivi del Fondo 2007, relativamente alla parte economica già assegnata dall’amministrazione e già liquidata nelle altre realtà lavorative della Regione Toscana".

I sindacati chiedono che il Ministero si attivi "in tempi certi, affinché vengano ristabilite almeno le condizioni minime di sicurezza e dignità dei lavoratori. Appare più che mai necessario che l’Amministrazione che richiede sempre più professionalità e preparazione tecnica ai propri dipendenti riconosca loro, al contempo, concretamente lo status di lavoratori contrattualizzati, con diritti inalienabili e irrinunciabili, cosa che attualmente è seriamente messa in discussione nell’Istituto Penitenziario di Arezzo".

Roma: Franco, in attesa di processo, il come 30% dei detenuti

 

www.radiocarcere.com, 23 febbraio 2008

 

Nel Lazio ci cono 14 strutture penitenziarie, che ospitano 4.921 detenuti. Tra loro ben 1.497 sono in carcere perché sottoposti a misura cautelare e attendono un primo giudizio. Si tratta di 137 donne e 1.360 uomini. Detenuti in attesa di giudizio che ricoprono il 30,50% della popolazione detenuta nel Lazio. Presunti non colpevoli, che scontano il carcere con e come i condannati. Solo il 38% dei detenuti nelle carceri laziali è infatti condannato in via definitiva. Ovvero 1.888 persone, tra cui 149 sono donne e 1.739 sono uomini. Franco, 56 anni, è stato in misura cautelare nel carcere di Rebibbia. Queste le sue parole.

"Sono stato arrestato nel settembre del 2007. L’accusa: due bancarotte con l’associazione a delinquere. Mentre mi portavano in carcere, leggevo l’ordinanza di misura cautelare. Un documento di 40 pagine che parlava del fallimento di due mie società, fallimenti risalenti a qualche tempo prima. Ma una cosa non capivo. Nonostante gli errori commessi come imprenditore, perché mi mettevano in carcere prima del processo? Ero incensurato potevo spiegare, ma allora perché il carcere?

Dopo cinque giorni mi ha interrogato il Gip, e io ho cercato di spiegarli che non mi ero arricchito dal fallimento. Ma è stato inutile. Come inutile è stato anche ricorrere al Tribunale della libertà. Sono uscito il 4 febbraio. Una consulenza del Pm ha ridotto le mie responsabilità, la mia pericolosità. Morale ho passato 5 mesi in carcere e ancora aspetto la fissazione della prima udienza. Il mio avvocato mi ha detto che forse si farà alla fine del 2008. Forse".

Roma: aumento di reati tra i minori testimonia disagio famiglia

 

Asca, 23 febbraio 2008

 

"L’aumento dei reati tra i minori testimonia ancora una volta lo stato di grande disagio della famiglia. Il problema dei minori a rischio nasce fuori dalle case di reclusione e va affrontato sostenendo e aiutando le famiglie in difficoltà. Questo è il primo investimento che deve essere fatto per tutelare il futuro dei giovani".

È il commento del Mov, Movimento Volontari Don Orione in merito ai dati diffusi oggi dal garante regionale dei diritti dei detenuti durante il convegno "Il ruolo del garante dei detenuti nell’ambito del sistema carcerario e la sua riforma", che si è svolto presso la regione Lazio. "Occorre pensare - prosegue il Mov - ad un processo di recupero di questi ragazzi, ma occorre fare in modo che il percorso che li ha portati in carcere sia interrotto grazie a politiche e interventi per la famiglia più efficaci e mirati".

Immigrazione: colpevole d’innocenza e… d’essere migrante

 

Melting Pot, 23 febbraio 2008

 

"Noi accettiamo solo gli extra-comunitari che vogliono lavorare, quelli che non sono criminali. Non siamo razzisti". Una frase sentita migliaia di volte. Smentita dai fatti.

2001. Stephen è un migrante nigeriano che vive in Italia. Possiede regolarmente il permesso di soggiorno. Viene arrestato per traffico internazionale di droga e condannato l’anno dopo a 8 anni di carcere, pena che viene confermata successivamente in appello. Fin qui la cronaca, la banale cronaca nera.

Ma il finale supera i limiti dell’assurdo. In carcere Stephen si diploma in Informatica e nel maggio 2007 si laurea con lode. La tesi discussa è intitolata "Realizzazione di strumenti Web per il supporto alla cooperazione"e subito dopo si iscrive al corso di laurea specialistica biennale. Stephen vuole essere pronto per quanto uscirà (nel 2009, passati gli otto anni).

Vuole costruirsi una vita e lavorare sodo per recuperare gli anni persi. Persi sotto tutti i punti di vista. Perché il 4 febbraio 2008, con la revisione della sentenza dalla Corte d’Appello di Napoli, è stato pienamente assolto dalle accuse. La libertà arriva così con un anno di anticipo. Stephen può così realizzare il suo sogno: laurearsi, trovare un lavoro e riscattare gli anni di carcere.

"Vogliamo gli extra-comunitari che lavorano, quelli che non sono criminali". E invece tutto questo non accadrà. Denuncia Angiolo Marroni, il garante dei diritti dei detenuti del Lazio, che Stephen verrà espulso, così come previsto dalla legge Bossi-Fini. I migranti che hanno avuto problemi con la giustizia non possono rinnovare il permesso di soggiorno, devono lasciare il territorio italiano e non rientrarvi.

Non importa che l’unico appiglio della decisione sia una vicenda del 1993, non importa che Stephen si sia visto rubare 7 anni della propria vita per reati mai commessi. E viene cancellato anche tutto quello che è stato costruito in questi anni. La laurea, il diploma prima ancora, la collaborazione con alcune scuole e una società di informatica. Vige la Bossi-Fini.

Una legge dichiarata incostituzionale dalla Suprema Corte, con Calderoli (allora ministro della Repubblica e compagno di partito di uno degli estensori della legge) che chiese di metter mano ai principi fondamentali della Costituzione Italiana.

Una legge sanzionata a livello internazionale per violazione dei diritti umani sanciti dalla Dichiarazione Universale del 1948. La vita di un uomo, la vita della sua famiglia, la cultura non valgono nulla. Stephen dovrà lasciare l’Italia. Laureato in Chimica a Port Harcourt nel 1990, diplomato in Informatica. Laureato, nuovamente, all’Università di Tor Vergata nel 2007 con il massimo dei voti. Assolto da accuse infamanti e inesistenti dopo 7 anni di carcere. Tutto cancellato.

Droghe: 30% dei giovani ammette l'uso, è abituale per il 15%

 

Notiziario Aduc, 23 febbraio 2008

 

Il 30% dei giovani ammette di aver fatto uso di droghe ed oltre la metà di questi ne fanno uso abitualmente: è il dato che emerge da un’inchiesta on-line condotta dal sito internet www.studenti.it a cui hanno risposto oltre 3 mila giovani.

Dall’indagine risulta che solo il 69% dei ragazzi, in genere con meno di 18-20 anni, dichiara di non aver mai fatto uso di droghe leggere (in genere hashish e marijuana), mentre l’11% dice di averne fatto uso, ma ha smesso; l’1% ha anche ammesso di aver assunto sostanze pesanti (come cocaina, eroina e crack) ma, anche in questo caso, di essere riuscito ad uscirne.

Dei giovani che hanno partecipato all’inchiesta, attualmente assumono droghe il 16%: per il 13% si tratta di sostanze leggere, mentre per un 3% di droghe di tipo pesante. Nel sito www.studenti.it sono riportate alcune delle risposte più rappresentative della ricerca: "sono un adolescente normalissimo - spiega Okie - che va bene a scuola, ho un tot di amici e nessun problema in famiglia. Eppure mi fumo le canne (neanche le canne, 4 bong al dì) mi prendo circa una volta ogni 4 mesi in tranquillità e tiravo di coca". "E per esperienza vi dico che le cose sono troppo montate, io ho fatto tutto il 2005 a tirare di coca e fumare il crack una volta ogni due settimane, ma non ci sono rimasto sotto. Basta riuscire a farle con la testa le cose.

Comunque è da gennaio dell’anno scorso che non vedo della cocaina e non mi manca per niente". Per i realizzatori dell’inchiesta "i risultati sono in linea con quanto sottolineato dal rapporto del Viminale secondo il quale le droghe leggere - hashish e marijuana - sono le sostanze preferite dagli under 18". Nel rapporto del ministero dell’Interno, che ha studiato come sono cambiati i consumi di droga in Italia tra il 1991 ed il 2006, si era evidenziato come hashish e marijuana siano le sostanze preferite dagli under 18 e che la tossicodipendenza da eroina sia in netto calo (si è passati da un 50% nel ‘91 ad un 8% nel 2006).

Sempre per il Viminale, l’uso di cocaina in questi 15 anni è quasi triplicato, passando da un 5% del 1991 ad un 14% nel 2006. Rimane stabile negli anni l’utilizzo di anfetamine ed lsd mentre aumenta il consumo di ecstasy. Cambierebbe anche la tipologia di chi ne fa uso: non più emarginati o disoccupati bensì persone istruite, benestanti ed integrate nel tessuto sociale, che si "affidano" alle droghe per divertimento e dichiarano di assumerle contemporaneamente ad alcolici: il 98% dei segnalati alla prefettura sono italiani che hanno avuto un primo approccio alle droghe tra i 14 ed i 18 anni; vivono ancora in famiglia e di questi solo l’8% è disoccupato.

 

 

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