Rassegna stampa 22 febbraio

 

Giustizia: la classe politica non vuole sottoporsi al controllo

 

Ansa, 22 febbraio 2008

 

"La giustizia italiana è programmata per non funzionare, perché la nostra classe politica non intende sottoporsi al controllo di legalità. Per farlo ha creato delle leggi che la favoriscono". È un estratto dell’intervista che il Procuratore Aggiunto di Torino Bruno Tinti ha rilasciato al mensile "L’Eco di S. Gabriele", dei padri passionisti del santuario ai piedi del Gran Sasso (Teramo).

"Se si tratta di un obiettivo studiato a tavolino non lo so ha proseguito Tinti - il risultato però è che l’impunità che la classe politica ha guadagnato per se stessa adesso si estende a tutti i cittadini". Il magistrato ha parlato della legge sul falso in bilancio: "Come riesce a evitare le sbarre chi ruba miliardi e falsifica i bilanci? Attraverso una delle leggi che la classe dirigente ha fatto per se stessa. La legge è studiata in modo da consentirglielo".

Poi si è indirizzato verso il rapporto tra legge e politica: "Le vicende giudiziarie di Mastella, Berlusconi, D’Alema e Fassino: è un atteggiamento assolutamente trasversale, di tutta questa classe politica - ha premesso Tinti -.

Mastella si è messo a urlare dal primo giorno e ancora prima il giudice che si occupava di lui, vedi De Magistris, è stato allontanato. Il caso Mastella è una vergogna, è la cosa più pericolosa che sta succedendo in Italia in questo momento. Qui la sentenza equivale alla dichiarazione politica. Questa gente, invece, ha ridotto l’attività giudiziaria allo stesso livello dell’attività politica".

Le carceri? "I penitenziari sono affollati da gente di passaggio, sono pieni di poveri cristi". Il codice penale? "Se fossi ministro della Giustizia acquisterei in Svizzera un nuovo codice di procedura penale e lo sostituirei senza modifiche a quello esistente. Perché in Svizzera? Perché noi non siamo in grado di realizzarne uno efficiente".

Duro anche nei confronti dell’indulto: "È stato cavalcato da tutta la classe politica per fare uscire Previti dagli arresti domiciliari di Piazza Farnese. Che senso ha estendere l’indulto a reati per i quali non c’era nessuna persona detenuta, tranne lui?".

Giustizia: tecnici al lavoro per il Programma del Centrodestra

 

Ansa, 22 febbraio 2008

 

Una riforma costituzionale che "renda finalmente applicabile" la riforma del giusto processo prevedendo la separazione delle carriere tra giudici e Pm; e una proposta per istituire la giuria popolare anche per i reati meno gravi. Sono queste alcune delle proposte allo studio dei tecnici di Forza Italia e del Pdl per il programma sulla Giustizia.

In attesa di capire come andranno le elezioni del 13-14 aprile, infatti, gli azzurri starebbero cercando di mettere a punto una sorta di decalogo di governo: il coordinamento del progetto complessivo è stato affidato al vicepresidente del partito Giulio Tremonti. Al capitolo sulla Giustizia starebbe lavorando invece un trio di esperti composto dal responsabile Giustizia Gaetano Pecorella, dall’europarlamentare Giuseppe Gargani e dal senatore Roberto Centaro.

Molte le questioni sul tavolo, ma in particolare, sino ad ora, un iniziale via libera l’avrebbero ricevuto le proposte che riguardano la riforma costituzionale finalizzata all’applicazione concreta del giusto processo e quella che ipotizza un ricorso più ampio alla giuria popolare.

Per quanto riguarda la riforma costituzionale, l’idea sarebbe quella di riproporre la separazione delle carriere per i magistrati; di prevedere due diversi Csm: uno per la magistratura giudicante e uno per quella requirente composto non solo da magistrati, ma anche da avvocati e professori universitari; dare la possibilità ai giudici della Corte Costituzionale di depositare anche opinioni in difformità o in dissenso dalla maggioranza; stabilire che il Pm possa esercitare l’azione penale "secondo le forme stabilite dalla legge".

Per quanto riguarda invece l’introduzione della giuria popolare anche per i reati di minore entità, questo è sempre stato un ‘chiodo fissò di Pecorella che sull’argomento presentò una proposta di legge già il 5 febbraio del 2003. L’ipotesi, in sostanza, sarebbe quella di istituire una giuria popolare anche al di fuori dei processi che si celebrano in Corte d’Assise e che sia competente a decidere su delitti per i quali sono previste condanne superiori ai 5 anni.

A comporla potrebbero esserci, oltre a due magistrati, anche nove giurati "laici". L’attuale codice di procedura penale prevede la presenza delle giurie popolari solo in Corte d’Assise per reati gravissimi punibili con l’ergastolo o la reclusione non inferiore nel massimo a 24 anni.

Giustizia: il Garante del Lazio; servono più misure alternative

 

Adnkronos, 22 febbraio 2008

 

 

Angiolo Marroni al convegno "Il ruolo del Garante dei detenuti nell’ambito del sistema carcerario e la sua riforma": "Se si vuole ridurre il numero dei reati e avere più sicurezza non serve costruire più carceri". Angelo Zaccagnino: "Occorre uno snellimento nei processi e alcune leggi, come la Bossi-Fini, vanno cambiate".

L’inutilità della costruzione di nuove carceri, la necessità di incrementare misure cautelari che siano alternative alla detenzione e la depenalizzazione di alcuni reati minori, la riforma del codice penale e l’incremento delle iniziative che favoriscono il reinserimento nella società degli ex detenuti attraverso corsi di formazione e attività lavorative all’interno degli stessi istituti di pena.

Sono queste le indicazioni emerse nel corso del convegno "Il ruolo del Garante dei detenuti nell’ambito del sistema carcerario e la sua riforma", tenutosi questa mattina a Roma presso la sede del Consiglio regionale del Lazio alla presenza del garante regionale dei detenuti Angiolo Marroni, del vicepresidente del Consiglio regionale Bruno Prestagiovanni, del capo dipartimento per la giustizia minorile Donatella Caponetti, del provveditore per l’amministrazione penitenziaria Angelo Zaccagnino, del membro della Sicurezza e Criminalità Donato Robilotta, dell’assessore agli Affari istituzionali Daniele Fichera e di Gianfranco Baruchello che ha girato il documentario ‘Un altro giorno, un altro giorno, un altro giornò proiettato al termine dell’incontro.

"Nelle 14 carceri del Lazio attualmente ci sono 4.908 detenuti - ha spiegato il Garante Marroni - dei quali circa il 30% è ancora in attesa di essere sottoposto al primo grado di giudizio, un altro 30% sta per ricorrere in appello e solo il 38% è stato condannato in via definitiva. Al 31 luglio 2006 i detenuti nel Lazio erano quasi 6.000 poi con l’indulto ne sono usciti 2.636, ma adesso la situazione è di nuovo critica. Non siamo ancora ai numeri pre-indulto ma fra allarmi sociali e richieste di maggiore sicurezza e tolleranza zero credo che si tornerà presto a quei livelli. Se si vuole ridurre il numero dei reati e avere più sicurezza non serve costruire più carceri, occorre invece aumentare sensibilmente il ricorso alle misure alternative alla detenzione".

"Per quanto riguarda il sistema carcerario minorile - ha spiegato la dottoressa Caponetti - abbiamo fatto degli enormi passi avanti grazie a un processo penale innovativo introdotto nel 1989. Sono stati creati i nuovi istituti per i provvedimenti cautelari che prevedono prescrizioni, obbligo di dimora in casa e quello di soggiorno in una comunità di recupero. Inoltre, con l’introduzione del Centro di prima accoglienza, dove vengono portati i minori arrestati in attesa dell’udienza di convalida, abbiamo ridotto sensibilmente il numero di detenuti minori in attesa di giudizio. Infine, con l’istituto giuridico della sospensione del processo per messa alla prova, che permette a un ragazzo per un periodo di sei mesi di dimostrare il proprio ravvedimento, siamo riusciti a ridurre il numero di ingressi annuali nelle carceri minorili da 7.000 a 2.000 unità".

Poi ha preso la parola Angelo Zaccagnino, provveditore per l’amministrazione penitenziaria, che ha spiegato: "L’indulto ha riportato vivibilità nelle carceri e i reingressi, per quanto l’opinione pubblica abbia criticato questo provvedimento, sono stati relativamente pochi, circa il 30%. Come visto i due terzi dei detenuti nel Lazio sono in attesa di giudizio e il 44% sono stranieri. Questo perché serve uno snellimento nei processi e alcune leggi, come la Bossi-Fini, vanno cambiate".

"In un anno abbiamo fatto qualcosa per risistemare le strutture - ha proseguito Zaccagnino - ma c’è ancora molto da fare, c’è un serio problema di risorse economiche e l’unica soluzione è il ricorso a pene alternative, soprattutto nel caso dei tossicodipendenti".

"Abbiamo creato un tavolo interassessorile per coordinare i nostri interventi e stanziato dei fondi - ha spiegato l’assessore agli Affari istituzionali Daniele Fichera - ma abbiamo ancora tanto lavoro da fare". Donato Robilotta, membro della commissione Sicurezza e Criminalità, ha messo in risalto il fatto che "mantenere una persona in carcere in attesa di giudizio è un obbrobrio giuridico, una vergogna. Molti sono immigrati detenuti per reati minori che potrebbero essere puniti con delle sanzioni amministrative. Noi come Regione non abbiamo competenze specifiche in materia, ma se c’è un settore nel quale possiamo intervenire è quello della formazione e del lavoro, per spezzare quel circolo vizioso che porta gli ex detenuti a commettere nuovi reati per le difficoltà legate al reinserimento nella società".

Dello stesso avviso, infine, il commento di Bruno Prestagiovanni, vicepresidente del Consiglio regionale del Lazio. "La carcerazione preventiva deve essere modificata in maniera tale da differenziare i reati mentre attualmente è prevista per reati di qualsiasi tipo. Non servono nuove carceri - ha concluso - ma la trasformazione in carceri nuove, che è una cosa ben diversa".

Giustizia: escludere gli ex terroristi avvilisce la democrazia

di Sergio Segio (Società INFormazione)

 

Lettera alla Redazione, 22 febbraio 2008

 

Il veto posto dai vertici del Pd nei confronti della candidatura di Sergio D’Elia, oltre a negare ogni valore etico al cambiamento, costituisce uno strappo alle stesse regole di quel neonato partito e cozza contro ogni regola giuridica e principio costituzionale. Vale a dire con la legge suprema di quella democrazia che, oltre due decenni fa, per fortuna ha sconfitto la violenza armata.

Sergio D’Elia, dopo aver scontato per intero la condanna ricevuta per la militanza in Prima Linea negli anni Settanta, tempo addietro ha ottenuto la cosiddetta "riabilitazione", istituto che, ai sensi dell’art. 178 del codice penale, estingue ogni pena accessoria ed effetto penale della condanna ricevuta. Peraltro, è uno dei pochissimi a trovarsi nello stato del "riabilitato", dato che questa misura viene quasi sempre negata agli "ex terroristi", interpretando surrettiziamente uno dei commi ostativi, secondo il quale il beneficio non può essere concesso qualora l’interessato "non abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle". Una norma tesa al risarcimento economico ma, il più delle volte, nella discrezionalità del giudice, tradotta in una precondizione di "perdono" da parte dei parenti delle vittime, che raramente sussiste.

D’Elia, nonostante sia persona che ha pagato per intero i propri errori di 30 anni fa, nonostante sia appunto giuridicamente "riabilitato", nonostante sia da decenni quotidianamente impegnato per promuovere una cultura della nonviolenza, non potrà dunque candidarsi. Lui stesso, peraltro, in questi giorni è parso disponibile a un passo indietro, memore della precedente esperienza: dopo che nelle ultime consultazioni era stato eletto, divenendo deputato, è stato letteralmente e pubblicamente linciato per mesi sui media. Una campagna che non si è limitata al concreto disprezzo della Costituzione, ma finanche a quello della Bibbia, laddove ha alimentato un sito dal significativo nome "Nessuno voti Caino".

Si dirà, e si è detto, quei drammatici errori non vengono superati e azzerati semplicemente scontando la condanna; richiedono un di più di discrezione e di ritegno. L’accesso a incarichi parlamentari può ferire sentimenti ed essere percepito come immeritato privilegio.

Un argomento che meriterebbe magari non consenso (sono infatti convinto che si tratti invece di una simbolica e potente rappresentazione della supremazia della democrazia e delle sue istituzioni sulla violenza armata) ma certo considerazione. Se non fosse per un particolare: il medesimo linciaggio è toccato e tocca a chiunque altro degli "ex terroristi", dissociato o meno che sia, abbia la sventura di essere oggetto di articoli di stampa e proteste, prontamente alimentate e cavalcate da qualche esponente politico in cerca di visibilità, che si fa scudo dei sentimenti dei parenti delle vittime. Di quei sentimenti e di quelle persone occorre certo tenere debito conto, riconoscendo loro vero rispetto e reale considerazione, anziché strumentalizzarli a fini politici o allo scopo recondito di imporre il silenzio su quegli anni, ancora in parte da sviscerare.

Sono recenti i casi di Susanna Ronconi, che si vorrebbe impossibilitare a lavorare anche nel Terzo settore, di Renato Cucio cui si vorrebbe impedire ogni apparizione pubblica, del br Vittorio Antonini, ora impegnato sui temi carcerari o dell’ex ordinovista nero Pierluigi Concutelli e - mi si consenta - del sottoscritto, frequentemente oggetto di inviti alla gogna e alla costrizione al silenzio da salotti televisivi o dalle colonne di autorevoli quotidiani.

Il combinato disposto tra malafede di molti opinionisti, disinformazione della pubblica opinione sollecitata a interessate rimozioni (a partire dalle responsabilità istituzionali nella strategia della tensione) e "doppiopesismo" nella considerazione delle vittime, e una più generale cultura intollerante ormai saldamente insediata a livello politico e sociale, ha prodotto questa consolidata situazione in cui prevale - è stato scritto sulla vicenda Ronconi - una irragionevole persecuzione e una cultura della gogna.

Tanto che ci è creata una vera e propria black list, una lista di proscrizione periodicamente pubblicizzata sulle colonne dei giornali e rimbalzata da blog e siti internet in cui finisce chi non accetti la morte civile, imposta extra legem da queste campagne, non sia riuscito a farsi dimenticare o anche, semplicemente, abbia la sventura di essere preso di mira per qualsivoglia circostanza.

Alla solidarietà umana e fraterna per Sergio D’Elia, alla considerazione per Marco Pannella e per i radicali, storicamente e coraggiosamente capaci di battaglie solitarie e scomode, voglio unire un appello "politico" rivolto a quella composita sinistra (comunista, democratica, ecologista, pacifista, socialista, liberale e libertaria) che afferma di voler competere, pur senza asprezze, con il partito di Veltroni (che, sono certo, non è un monolite su questa questione, pur se regna assordante un prudente silenzio): Oltre a tanti temi economici, sociali e ambientali, è rimasto progressivamente in questi anni orfano il tema dei diritti civili, dello stato di dirittoe della democrazia "mite" e includente. La persecuzione nei confronti degli "ex terroristi" non è altro che la cartina di tornasole di un più complessivo problema: quello di una idea di società claustrofobica e intollerante che ha preso saldamente piede nella Seconda Repubblica.

Per contrastarla servono anche gesti simbolici e controcorrente, tanto più in un periodo elettorale segnato dall’equivalenza dei programmi e delle maggiori forze politiche. Si apra dunque la porta che il Pd ha chiuso, si rendano ospitali le liste a ex terroristi, ex detenuti, tossici, immigrati, operai, precari, ai tanti paria e invisibili che questa "politica dei valori" e delle apparenze, verticale e autoritaria, sta producendo. Come ha scritto oggi Gustavo Zagrebelsky: "Non si parla mai tanto di valori, quanto nei tempi di cinismo".

Puglia: sull’Intesa tra la Regione e il Ministero della Giustizia

 

Comunicato Prap Puglia, 22 febbraio 2008

 

Il 20 febbraio 2008 è stato siglato il protocollo d’intesa tra il Ministero della Giustizia, nella persona del Sottosegretario di Stato prof. Luigi Manconi, e la Regione Puglia, nella persona del Presidente On. Nicola Vendola.

Nell’intento di superare la separazione tra il sistema della Giustizia e il sistema territoriale, il protocollo prevede che le parti si attivino per disegnare e a realizzare progetti di intervento congiunti sia per gli adulti che per i minorenni coinvolti nel circuito penale, in una serie di ambiti di intervento, tra i quali in particolare:

tutela della salute dei cittadini in esecuzione penale, intesa come benessere psico-fisico, strettamente legata alle qualità delle condizioni di vita quotidiana all’interno degli Istituti penitenziari per adulti e per minorenni, dei Centri di Prima Accoglienza e delle Comunità Ministeriali e all’assistenza sanitaria ivi prestata, per assicurare ai detenuti e internati presenti negli Istituti della Regione Puglia livelli di prestazioni sanitarie analoghi a quelli garantiti a tutti gli altri cittadini.

A questo riguardo, sono previste azioni specifiche di cura ed assistenza nei riguardi di condannati per cui è necessaria un’elevata integrazione tra interventi sanitari e sociali: soggetti che abbiano fatto uso non terapeutico di sostanze stupefacenti e psicotrope e soggetti alcool dipendenti; soggetti affetti da patologie infettive, con particolare riguardo all’immunodeficienza acquisita; soggetti con disagio psichico.

organizzazione di interventi volti al supporto ed all’integrazione del trattamento delle persone ristrette adulte e minorenni, anche con il coinvolgimento delle associazioni di volontariato e del privato sociale, in tema di: istruzione, formazione professionale e politiche di reinserimento socio-educativo e lavorativo, religione, attività culturali, ricreative e sportive, rapporti con la famiglia. Sono poi previsti interventi specifici per particolari tipologie di condannati adulti, che necessitano di adeguata attenzione (condizione femminile e tutela della maternità, stranieri, autori di reati a sfondo sessuale), oltre che nei confronti dei minori, interventi rivolti all’educazione alla legalità, alla prevenzione della criminalità minorile ed al trattamento dei minorenni sottoposti a misure penali, con il coinvolgimento del Terzo settore, nonché progetti di formazione lavoro che favoriscano il loro reinserimento sociale.

edilizia penitenziaria: considerata l’importanza che riveste per l’attuazione del principio di territorializzazione dell’esecuzione della pena, per la realizzazione del trattamento dei detenuti, nonché per assicurare condizioni di vita decorose anche agli operatori penitenziari, le parti si impegnano nell’ambito di uno sviluppo equilibrato del territorio della Regione Puglia, a concordare la programmazione di nuove strutture penitenziarie ed a sensibilizzare gli Enti locali alle relative opere di urbanizzazione;

formazione congiunta degli operatori dell’Amministrazione della Giustizia per adulti e per minori, degli operatori degli enti locali e delle organizzazioni di volontariato e del Terzo settore in tutti gli ambiti di collaborazione e specifiche iniziative in materia di benessere del personale.

Un particolare punto di forza del protocollo d’intesa è rappresentato dagli interventi specificamente indirizzati al settore dell’esecuzione penale esterna, le cui dimensioni richiedono azioni mirate e la concertazione di politiche integrate in materia di interventi sociali, sanità, istituzioni scolastiche e lavoro, finalizzate a costruire percorsi credibili di inclusione sociale e lavorativa dei condannati ammessi alle pene alternative alla detenzione.

La Regione Puglia si è impegnata a dedicare attenzione al tema del trattamento e dell’inclusione sociale di persone in esecuzione penale esterna nelle proprie attività di pianificazione e programmazione (fra cui in primo luogo il Programma Operativo Regionale) delle politiche attive del lavoro, delle politiche sociali e sanitarie (Piano Regionale delle Politiche Sociali), delle politiche abitative, per dare impulso a politiche mirate a promuovere la dignità ed il benessere dei condannati in esecuzione penale esterna e delle loro famiglie, superando la settorialità e la separatezza degli interventi attraverso gli strumenti programmatori previsti dall’ordinamento nazionale e regionale, con particolare riferimento alle politiche sociali. Inoltre, nella definizione degli strumenti operativi di attuazione dei predetti programmi e piani (quali i complementi di programmazione e gli atti di indirizzo), la Regione terrà conto delle specifiche competenze demandate dall’ordinamento giuridico agli Uffici E.P.E. in ambito regionale e provinciale.

Sono previste anche attività di mediazione penale e giustizia ripartiva, per favorire la crescita di una cultura che favorisca la ricomposizione del rapporto tra società, vittima e autore del reato, anche attraverso la partecipazione del condannato alle attività non retribuite svolte degli organismi del privato sociale a beneficio della collettività, nella convinzione che tale partecipazione possa soprattutto aiutare il reo a rielaborare in senso critico la sua condotta antigiuridica e ad acquisire consapevolezza del valore sociale della stessa azione restituiva;

Sono stati, infine, programmati scambi informativi sui dati che consentano di programmare al meglio le iniziative che devono dare concreta attuazione al protocollo d’intesa, nonché disposizioni operative per l’applicazione e la verifica del protocollo, con particolare riguardo alla ricostituzione della Commissione regionale per la lotta alla devianza ed alla criminalità, alla quale affidare il coordinamento, la programmazione, l’integrazione e la verifica degli interventi attuativi degli impegni assunti con l’intesa. Parti della Commissione sono: la Regione Puglia, il Ministero della Giustizia, il Consiglio regionale delle autonomie locali, il Forum del terzo settore e la Conferenza regionale volontariato giustizia.

Lazio: sono in aumento i minori italiani che commettono reati

 

Redattore Sociale, 22 febbraio 2008

 

Nel 2007 nel centro di prima accoglienza per minori di Roma sono transitati 1.100 adolescenti: in tutta Italia sono stati 3.600. L’Istituto penale minorile di Casal del Marmo ospita 53 giovani, oltre il 90% stranieri (per lo più romeni).

Ancora dati e considerazioni emerse dal convegno "Il ruolo del Garante dei detenuti nell’ambito del sistema carcerario e la sua riforma", in corso di svolgimento a Roma.

Riguardo la giustizia minorile, lo scorso anno, nel centro di prima accoglienza per minori di Roma sono transitati 1.100 adolescenti: in tutta Italia sono stati 3.600. Attualmente l’Istituto penale minorile di Casal del Marmo ospita 53 giovani, 43 ragazzi e 10 ragazze, oltre il 90% dei quali stranieri (per lo più romeni). Nel 2006 Casal del Marmo è stato il primo Istituto minorile d’Italia per ingressi (294 giovani), con una presenza media di 53 unità. Il periodo medio di permanenza è di circa due mesi. Il tratto caratteristico del 2007 è che gli operatori del Centro di prima accoglienza di Roma notano una lieve tendenza in aumento dei giovani romani e del Lazio a commettere reati, anche se non sono molti quelli che finiscono a Casal del Marmo perché, in virtù della presenza di una famiglia alle spalle, beneficiano di misure alternative alla detenzione.

"Quella del garante dei detenuti - ha detto il Presidente del Consiglio regionale del Lazio, Guido Milana - è una figura ancora nuova, presente solo in due regioni (Lazio e Sicilia), che sconta difficoltà legate all’assenza di un supporto normativo di riferimento. Una figura, quindi, dai contorni incerti, non prevista e regolamentata dall’Ordinamento penitenziario, guardata a volte con sospetto e preoccupazione da molti magistrati o Pm. Basti pensare che i Garanti, nonostante la collaborazione che si è instaurata con gli Istituti di pena, non hanno il diritto di ispezione che la legge riconosce ai Parlamentari e ai Consiglieri regionali ed accedono al carcere usufruendo della stessa norma che regola le collaborazioni dei volontari. È per questo che ritengo fondamentale sostenere qualsiasi iniziativa consenta di ribadire le loro prerogative".

"Offrire garanzie alla parte debole della popolazione - ha aggiunto Milana - può sembrare superfluo quando questa sconta pene inflitte dalla giustizia. Al contrario, ritengo che i contemporanei devono essere sempre più convinti che riconoscere i diritti a chi non li ha rispettati è un segno di grande civiltà".

Il Garante dei detenuti del Lazio è in prima linea nel cercare di far comprendere come possa essere migliorato un sistema che prevede la detenzione come pena principale, se non unica. "Un lavoro - ha detto Marroni - che nasce dalla constatazione che gran parte della popolazione detenuta è composta da tossicodipendenti, immigrati e portatori di disagio psichico per i quali la detenzione non è la soluzione giusta".

Un nuovo sistema penitenziario deve essere modellato sulla base dei principi della Costituzione e in particolare dall’articolo 27, secondo cui le pene devono consentire il recupero e il reinserimento sociale del reo, essenziali per il successo del sistema. In tale ottica, occorre con un cambiamento di impostazione che ponga al centro il detenuto come persona, e il ricorso sempre più massiccio a forme alternative alla detenzione per consentire al di rientrare a pieno titolo nella società.

Bologna: detenuti parlano in radio del rapporto con la lettura

 

Redattore Sociale, 22 febbraio 2008

 

Si chiama "Codice a sbarre" il progetto al via a marzo nella casa circondariale "Dozza" di Bologna. L’obiettivo: raccogliere le testimonianze di chi usa il prestito interbibliotecario. Al 30 giugno 2007 erano 28 donne e 31 uomini.

Galeotto fu il libro. Dopo i volumi in arabo, alla "Dozza" entrano i microfoni. Si chiama "Codice a sbarre", ed è il documentario audio sulla lettura in carcere che la redazione di "Mompracem" (un programma in onda sulle frequenze di Radio Città del Capo), l’associazione Di Mondi (co-produttrice di Asterisco Radio, la voce dei cittadini immigrati), la piattaforma Daemon e il gruppo Libri e dintorni vogliono realizzare all’interno della casa circondariale di Bologna. "L’obiettivo del progetto, che partirà a marzo e durerà per circa un anno, è quello di raccogliere il pensiero di tutti quei detenuti che, all’interno del carcere, usufruiscono del servizio di prestito interbibliotecario", dice Giulia Gadaleta, speaker di Radio Città del Capo, servizio nato all’interno di una più ampia iniziativa sull’intercultura realizzata dalla biblioteca Sala Borsa insieme al Comune di Bologna.

La presenza di cittadini stranieri tra la popolazione carceraria della "Dozza" (462 immigrati contro 315 italiani tra gli uomini e 22 donne straniere contro 18 italiane) "permette di riflettere sul ruolo della letteratura, non solo come strumento di svago ma anche come momento di confronto, di conoscenza, di riscatto e di comprensione del mondo nelle situazioni di conflitto e di coercizione - spiega Giulia Gadaleta -. Inoltre, l’attivazione di un gruppo di lettura all’interno del carcere consentirà di dar vita a un momento di socializzazione sia tra i detenuti immigrati sia tra quelli italiani". I carcerati che hanno usufruito del servizio di prestito interbibliotecario sono stati 28 tra le donne, di cui 12 straniere, e 31 uomini, di cui 24 stranieri (dati al 30 giugno 2007). Tra i libri più prestati invece, soprattutto romanzi e poesie, la lingua maggiormente richiesta è stata l’italiano, seguita dall’arabo e dall’albanese.

"Codice a sbarre" vuole quindi raccogliere le testimonianze dei detenuti che leggono, in un’ottica interculturale, attraverso la creazione di alcuni gruppi di lettura. Ad ogni partecipante verrà regalato un libro. Ma come si realizzerà concretamente il progetto? Dopo una prima fase fatta di incontri con insegnanti ed educatori e dopo la realizzazione delle interviste audio ai detenuti utenti del servizio di prestito bibliotecario (in collaborazione con i mediatori culturali del carcere) la fase successiva sarà quella di selezionare il materiale migliore e di montarlo fino a produrre un documentario radiofonico. "Se poi ci saranno altri soldi verrà fatto anche un video", aggiunge Giulia Gadaleta. Il progetto, che ha una budget di 7.500 euro, finora ha ricevuto un finanziamento di 2.000 euro dalla Provincia, nell’ambito del Bando per la promozione delle iniziative interculturali, più altri 500 euro da Coop Adriatica. Partner dell’iniziativa sono anche la Sala Borsa, il Comune di Bologna e, naturalmente, la casa circondariale "Dozza".

Piemonte: il tasso di "vittimizzazione" è superiore alla media

 

Redattore Sociale, 22 febbraio 2008

 

Solo il 35,7% delle vittime denuncia il reato subito, con differenze a seconda del tipo di reato. Se ne parla al seminario "Offese e vittime: buone prassi di riparazione del danno". "Sicurezza è anche attenzione nei confronti delle vittime".

"Sicurezza è certo qualificazione dello spazio urbano e prevenzione della criminalità, ma anche inclusione sociale e attenzione nei confronti delle vittime. Il sostegno alle persone che hanno subito un reato è l’espressione dell’approccio integrato che si cerca di avere oggi sul territorio nell’affrontare i temi della sicurezza".

Queste alcune dichiarazioni del viceprefetto di Torino Francesco Garsia presente al seminario "Offese e vittime: buone prassi di riparazione del danno", organizzato nell’ambito del progetto Urban II; un confronto con gli attori istituzionali, del privato sociale e associazioni internazionali, per verificare i possibili progetti di accompagnamento di chi ha subito un reato, nonché momento conclusivo di una serie di azioni dell’Associazione Gruppo Abele nell’ambito del progetto "OFF- accoglienza, ascolto e orientamento alle vittime di reato o aggressione", patrocinato dal Comune di Torino e dalla circoscrizione 2 grazie al programma europeo di rigenerazione urbana Urban 2, avviato nel 2007.

L’indagine Istat 1997-2002 ha evidenziato come il tasso di vittimizzazione in Piemonte si attesti al 5,2% per i reati contro la proprietà, a fronte del 4,4% nazionale; per i reati violenti contro la persona, invece, il dato è 0,9%, pari a quello nazionale. Il tasso di reati non violenti contro la persona è del 5,9%, a fronte del 4,2% nazionale.

Nelle grandi città, come Torino, tutti i tassi di vittimizzazione sono quindi nettamente superiori rispetto a quelli regionali e nazionali. In media, solo il 35,7% delle vittime denuncia il reato subito, con differenze sostanziali a seconda del tipo di reato: 70% reati contro il patrimonio auto, moto, prima casa; 40% furti di oggetti dai veicoli, biciclette, furti senza contatto. La consistente percentuale di reati non denunciati è sconosciuto.

"La città deve essere uno spazio dove nessuno deve sentirsi solo, straniero o fragile - ha sottolineato Salvatore Rao, assessore provinciale alla Solidarietà sociale - spesso invece vi è una percezione di sfiducia, dovuta alla precarietà esistenziale. Garantire la sicurezza non è solo offrire ai cittadini politiche securitarie, ma inclusione, per ricostruire legami e relazioni". Programmi quindi non solo di riqualificazione urbana, ma di riconnessione del tessuto sociale e di accompagnamento.

"Il concetto di vittimizzazione è la mancata coscienza di essere vittime" - ha spiegato Carla Amaral, giurista della Portuguese Association for Victim Support, riprendendo le parole dell’assessore alle Pari Opportunità Marta Levi - "e può provocare danni ulteriori quando la persona non si sente protetta da chi dovrebbe sostenerla. La fase primaria è di scoramento, di paura; quella secondaria inizia quando la vittima si pone in confronto con le istituzioni per un bisogno di sostegno, ed è qui che la persona non deve sentirsi "vittimizzata" di nuovo". "Il primo problema della vittima è l’ascolto - ha concluso il viceprefetto Garsia - "le istituzioni devono collaborare per creare le condizioni che consentano a chi ha già subito un danno di non essere vittima una seconda volta e superare il disagio". Qualche esempio? Una maggiore umanità degli operatori e un approccio meno burocratico: la possibilità di denuncia a domicilio o sul web.

Genova: con Progetto Indulto, finora 27 tirocini e 0 assunzioni

 

Adnkronos, 22 febbraio 2008

 

L’assessore provinciale Bertolotto: "Alla riuscita del programma ha contribuito il lavoro di rete portato avanti sia dai centri per l’impiego, sia dagli operatori di Italia Lavoro".

Sono 15 le aziende di Genova e provincia che hanno accolto come tirocinanti 27 ex detenuti aderendo al progetto "Lavoro nell’inclusione sociale dei detenuti beneficiari dell’indulto", promosso dai ministeri del Lavoro e Previdenza sociale e della Giustizia, con l’assistenza tecnica dell’agenzia governativa Italia Lavoro. "Sembrano numeri esigui - spiega a Labitalia Milò Bertolotto, assessore provinciale all’Organizzazione e Personale con delega alle Carceri - ma il risultato è più che positivo. Pensiamo solo al particolare tipo di utenza cui è rivolto. Per l’attuazione del progetto, infatti, abbiamo dovuto superare numerose difficoltà oggettive non solo di natura giuridica, ma anche problemi relativi al trasferimento dei detenuti".

"Altri problemi - ricorda Bertolotto - sono stati creati dal fatto che quando il provvedimento è stato emanato l’indulto già c’era stato, di conseguenza è stato necessario avviare un progetto di recupero ad hoc per chi già era uscito e che, ovviamente, non era a conoscenza dell’opportunità lavorativa che gli veniva prospettata. Le stesse case circondariali hanno dovuto superare il limite dato dalle cosiddette uscite improvvise di detenuti ignari appunto del progetto".

"Alla riuscita del progetto Indulto - osserva l’assessore Bertolotto - ha contribuito il lavoro di rete portato avanti sia dai centri per l’impiego, sia dagli operatori di Italia Lavoro. In particolare, all’interno degli istituti di pena un ruolo importante è stato svolto da persone che, in modo continuativo, hanno strutturato un servizio informativo per i detenuti. Sono stati così organizzati una serie di incontri in cui il detenuto è stato aiutato a elaborare un curriculum e, soprattutto, a individuare l’ambito di competenze professionali più appropriato per le richieste delle aziende. Competenze magari acquisite anche durante il periodo di detenzione".

"Ci auguriamo - afferma Bertolotto - che il progetto venga replicato e che ci sia un governo, di qualunque colore politico sia, che presti molta attenzione verso i più deboli. Verso quelle categorie, come gli ex detenuti, che hanno poche opportunità di avere una stabilizzazione professionale. Sia come regione sia come provincia cerchiamo, infatti, di soddisfare i bisogni di quelle categorie cosiddette svantaggiate, non solo nel loro interesse ma di tutta la comunità".

In provincia di Genova, grazie al progetto "Lavoro nell’inclusione sociale dei detenuti beneficiari dell’indulto", sono stati inseriti 27 ex detenuti e sono in via di definizione altri 5 inserimenti in altrettante aziende. Un’impresa ha fatto un’assunzione a tempo determinato, senza però usufruire delle agevolazioni previste dal progetto.

I settori in cui sono stati impiegati gli ex indultati sono la manutenzione verde e pulizie, servizi cucina, tipografia, manutenzione stradale, riparazione elettrodomestici, palestra, impianti idraulici ed edilizia. I prossimi inserimenti interesseranno, invece, la cantieristica navale. Le sedi di lavoro si trovano quasi tutte a Genova città.

Verona: va sotto processo un fornitore del vitto per i detenuti

 

L’Arena di Verona, 22 febbraio 2008

 

Ieri mattina al pm Fabrizio Celenza e al giudice Isabella Cesari ha spiegato le modalità con cui vengono fatte le proposte per gli appalti in materia di derrate alimentari. È stato lo stesso Claudio Landucci, accusato di aver fornito alimenti diversi da quelli richiesti, a spiegare come gli accordi in quel particolare caso fossero stati presi verbalmente e che comunque all’epoca (nel 2003) non c’era un protocollo particolare.

Ha sostenuto che faceva fede quanto lui concordava e che comunque soddisfaceva le richieste che venivano direttamente dal carcere di Montorio. Un problema, quello relativo alle forniture, che fu segnalato da un detenuto che addetto alla mensa del carcere che presentò alcuni esposti segnalando irregolarità su alcuni aspetti della mensa.

Le lamentele riguardavano sia le forniture che gli alimenti, che non rispecchiavano quanto stabilito nell’elenco, sta di fatto che in carcere a Montorio arrivarono i carabinieri del Nucleo antisofisticazione di Padova.

Anche riguardo a questo elemento, e alle violazioni che risultavano dai verbali dei carabinieri, ieri Landucci (che è difeso dall’avvocato Barbara Casarotti) ha spiegato come nel bando di gara venissero proposti vari prezzi a seconda dei menù (e quello per Montorio era fissato a 1,40 euro) ma poi a dettare le differenze erano gli allegati al bando che definivano grana padano o formaggio grattugiato.

E come ha poi aggiunto un ispettore del carcere, a Montorio non c’era la grattugia, quindi il formaggio doveva arrivare già pronto all’uso. Piselli surgelati al posto di quelli in scatola, cozze del Cile invece che italiane e frutta di seconda categoria: è emerso che la differenza di quanto consegnato rispetto a quanto prescritto non andava a scapito della qualità, che in alcuni casi, ha riferito l’ispettore, era addirittura migliore. Il processo riprenderà a maggio, quando accusa e difesa concluderanno.

Alessandria: in carcere si producono frutta e ortaggi biologici

 

Agi, 22 febbraio 2008

 

Dal carcere al mercato del biologico. Sono i prodotti (ortaggi, frutta e fiori) che fra breve si potranno acquistare all’ingrosso, attraverso gruppi di acquisto, oppure in alcune fiere. La verdura e la frutta sono prodotti all’interno del carcere di San Michele di Alessandria. La vendita all’esterno sarà curata da due cooperative sociali alessandrine. Risale al 2003 il progetto "Cascina San Michele", sviluppato con il recupero di circa cinquemila metri quadrati di terreno incolto all’interno del carcere. I prodotti, finora utilizzati solo all’interno, sono certificati dall’Icea (Istituto per la Certificazione Etica ed Ambientale) di Bologna. L’anno scorso sono stati prodotti oltre quintali di ortaggi. Il progetto coinvolge una quindicina di detenuti; una parte sta concludendo, all’interno del carcere, il corso di operatore agricolo biologico all’interno del carcere.

Rimini: arrestato rapinatore che dopo i "colpi" regalava i soldi

 

Il Corriere della Sera, 22 febbraio 2008

 

Rubava ai ricchi per dare ai poveri, e fin qui il paragone con Robin Hood ci sta tutto. Ma a differenza del "principe dei ladri", Pasquale D’Angelo, 37 anni, di Ginosa (Taranto), si è fatto beccare al secondo colpo, mettendo subito fine alla sua bizzarra carriera criminale. I carabinieri lo hanno arrestato infatti in un bar di Rimini dove presentandosi come Robin Hood stava distribuendo ai clienti le banconote da 50 euro rapinate qualche minuto prima con una pistola giocattolo in una filiale della Bnl. I militari, avvisati del colpo da 3.500 euro, si erano precipitati a caccia del rapinatore, ma non credevano certo di trovarsi davanti un personaggio tanto innocuo quanto eccentrico.

D’Angelo, nullafacente, con un passato nell’esercito, celibe e con problemi di alcol, era tornato nel locale dove prima di svaligiare la banca si era fatto servire un Cointreau per farsi coraggio. Prima però aveva fatto in tempo a fare il giro dei commercianti della zona, presentandosi come Robin Hood, il ladro che ruba ai ricchi per dare ai poveri, regalando a tutti banconote da 50 euro. Qualcuno si è fatto poche domande e ha intascato l’inatteso regalo. Gli altri, sospettando che ci fosse qualcosa che non quadrava, hanno rifiutato la banconota. Quando i carabinieri lo hanno individuato aveva appena recuperato la giacca dimenticata nel bar e stava aspettando il taxi fatto chiamare.

Non voleva fuggire, ha poi spiegato ai carabinieri, ma fare un salto in chiesa per cercare di finire di distribuire i soldi appena rubati a qualche povero. D’Angelo è incensurato, ma qualche giorno fa, sempre a Rimini, aveva compiuto un’altra rapina, distribuendo l’intero bottino ai barboni della stazione. Subito dopo era corso dai carabinieri per confessarsi. In mancanza di flagranza di reato, i militari si erano limitati però a denunciarlo a piede libero.

Droghe: la legge Fini-Giovanardi e la Sinistra l’Arcobaleno

di Piobbichi Francesco (Responsabile Nazionale Droghe Prc)

 

Notiziario Aduc, 22 febbraio 2008

 

Caro Vincenzo Donvito, ho letto il suo articolo nel quale ricorda che oggi è il compleanno di quel mostriciattolo chiamato Fini-Giovanardi, un’entità proibizionista che purtroppo è destinata a crescere tra i falò della cristoterapia e le sirene della zero tolleranza.

Le cose che scrive sono vere, l’Unione prima delle elezioni ha promesso di abrogare la Fini Giovanardi e non l’ha fatto, come purtroppo per tante altre leggi come la Bossi Fini, la Cirielli, la stessa legge 30 che delineano un modello di società ingiusta, dove nella stessa città (Torino) se porti il cognome di qualche grande famiglia e vieni beccato sei da comprendere, ma se sei un poveraccio prendi 4 anni e 2 mesi per un grammo di fumo.

Per gente come me, che è cresciuta nelle curve degli stadi ed ha lavorato nella strada come operatore, è stato duro sostenere un governo che applicava la Fini Giovanardi sulla pelle dei consumatori, che sono continuati a morire come e più di prima per overdose nell’indifferenza generale, per non parlare dei casi specifici, dei suicidi, delle morti sospette in carcere, e tutto il resto.

Ho tenuto duro pur essendo in una posizione difficile, sperando che prima o poi, si potesse portare a casa qualcosa di quel compromesso sancito nel programma. Così non è stato, le cose scritte non sono state mantenute per responsabilità specifiche, da addebitarsi principalmente alle forze neocentriste che di fatto hanno congelato la discussione sui temi eticamente sensibili.

La nascita del Pd ha fatto il resto. Non va però dimenticato che anche in caso di approvazione della legge in Consiglio dei Ministri il Senato sarebbe stato un passaggio quasi impossibile visti i numeri e la permeabilità di molte forze politiche del centro sinistra ai proclami del Vaticano da un lato, o alla zero tolleranza dall’altro. Segnalo anche il ruolo dei media nell’alimentare una campagna demagogica (basta pensare semplicemente all’emergenza bufala spinello killer) che ha ideologizzato la discussione sulle droghe.

Se noi abbiamo sbagliato, e sicuramente lo abbiamo fatto, è stato nel non comprendere a fondo che quando si parla di droghe, si parla di rapporti di forza nella società, perché decidere se sia giusto sanzionare un comportamento o pubblicizzare una bevanda alcolica è prettamente un atto di potere, che riguarda, ma è un’opinione personale, la disciplina sociale dei consumi, il controllo della povertà attraverso il circuito penale e tanto altro ancora che non penso sia giusto riassumere adesso.

Per quanto riguarda la questione dei programmi però, vorrei semplicemente dire una cosa, in quello della Sinistra l’Arcobaleno l’abrogazione della Fini Giovanardi ci sarà, come ci sarà l’idea di costruire per il nostro paese un’ipotesi di riforma non proibizionista sulle droghe. Non siamo noi quindi che per trovare un accordo congeliamo la discussione su un tema così importante che riguarda i diritti, la salute, la vivibilità delle nostre città.

Droghe: Radicali; il Piano d’Azione e la "riduzione del danno" 

 

Notiziario Aduc, 22 febbraio 2008

 

Dichiarazione di Giulio Manfredi, della Giunta di Segreteria Radicali Italiani e Domenico Massano, della Giunta di segreteria Ass.ne Radicale Adelaide Aglietta: "Eravamo ormai rassegnati a commemorare tristemente il secondo anniversario della legge Fini-Giovanardi che il governo Prodi non è riuscito minimamente a scalfire, nonostante la sua abrogazione facesse parte, nero su bianco, del programma elettorale.

L’Accordo sul Piano d’Azione, che ha avuto il via libera dalla Conferenza Stato-Regioni lo scorso 24 gennaio, attua, in zona Cesarini, una sorta di riduzione del danno arrecato dalla Fini-Giovanardi. Niente di eclatante, ma di questi tempi non si può fare troppo gli schizzinosi.

Andando nel dettaglio, è, innanzitutto, da sottolineare che, finalmente, l’Italia adotta per la prima volta un Piano di azione sulle droghe; il primo piano d’azione dell’Unione Europea risale a dieci anni fa. Il Ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, è riuscito a mettere insieme un "Tavolo di lavoro" (composto da rappresentanti dei vari ministeri interessati, delle regioni e degli enti locali), che in soli tre mesi è riuscito a enucleare ben 66 "Obiettivi", a ciascuno dei quali corrisponde una precisa "Azione", una "Parte responsabile" della stessa e uno "Strumento di valutazione/Indicatore".

A noi qui interessa rilevare che l’Obiettivo n. 28 è il seguente: sostenere la trasformazione degli interventi di riduzione del danno da "sperimentazioni a progetto" a competenza ordinaria delle Asl. E che l’Obiettivo n. 29 si prefigge di: ridurre i rischi di salute per le persone tossicodipendenti e per la comunità nel suo insieme. Le "parti responsabili" dell’attuazione sono, in sinergia fra loro, i Ministeri della Solidarietà Sociale e della Salute assieme a regioni e province autonome.

Finalmente, la "riduzione del danno" acquista la rilevanza che merita e che l’Unione Europea le ha sempre attribuito (politica dei quattro pilastri: prevenzione, lotta al narcotraffico, cura, prevenzione del danno).

L’auspicio è che le belle parole lette sulla carta si tramutino in azioni conseguenti, magari qui in Piemonte, magari qui a Torino, per fare in modo che si realizzino servizi di riduzione del danno come le sale del consumo (o narco-sale), che rappresentano un’alternativa alla repressione pura e semplice dei cittadini tossicodipendenti e alla situazione di tensione e paura che continua a persistere a Parco Stura.

E proprio pensando a coloro che sono buttati tutti i giorni nelle braccia degli spacciatori (e, in più, sotto i bastoni dei "giustizieri di Barriera") dal proibizionismo sulle droghe, ci piace sottolineare che, nella premessa del provvedimento, è scritto che "L’attività internazionale dell’Italia si svolgerà nel quadro delle pertinenti Convenzioni della Nazioni Unite avendo, quali criteri irrinunciabili, il rispetto dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale, nonché della dignità della persona che consuma droghe".

Non vorremmo sbagliare ma ci pare che sia la prima volta in Italia che in un provvedimento che ha comunque valore normativo sia scritto l’impegno a rispettare la "dignità" dei consumatori di droghe. È poco ma - pensando al rischio di trovarci, dopo il 13 aprile, Fini e Giovanardi al governo - teniamocelo ben stretto".

 

 

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