Rassegna stampa 16 febbraio

 

Giustizia: e dopo le elezioni, che fare?, di Gian Carlo Caselli

 

L’Unità, 16 febbraio 2008

 

Chiunque vinca le elezioni dovrà affrontare il problema di una giustizia sempre più lenta e inefficiente. Lasciando da parte ogni ideologismo, i punti da cui obbligatoriamente partire - per tutti - sono questi:

1) Si spende in modo insufficiente rispetto alle esigenze e quel poco si spende male.

2) Ormai insostenibile è la situazione del personale ausiliario: a causa della mancanza di nuove assunzioni e del pensionamento (anticipato o meno) di un numero crescente di soggetti, la scopertura degli organici tocca oggi il 12,59% su scala nazionale, con picchi in negativo (che talora arrivano oltre il 25%) prevalentemente nel Nord Italia; una situazione che sta facendo diventare il personale amministrativo della giustizia una... specie (non protetta) condannata all’esaurimento.

3) In nessun Paese europeo vi sono sistemi processuali farraginosi e complessi come quello italiano: sia nel civile (per la stessa varietà dei riti), sia nel penale, dove la procedura è ormai diventata una prateria sterminata per eccezioni d’ogni tipo, un percorso ad ostacoli pieno di trappole e insidie, nel quale il confine fra garanzie e formalismi (quando non privilegi) è spesso sottilissimo, con la conseguenza che imputati eccellenti e meno eccellenti trovano preferibile (anziché esercitare i loro sacrosanti diritti di difesa nel processo) cercare di ritardarne la celebrazione tempestiva.

4) In tutti i Paesi europei le impugnazioni sono nettamente inferiori (sia per numero sia per durata) rispetto all’Italia e ciò ovviamente si ripercuote - in modo assai pesante - sulla durata complessiva dei processi. La giustizia non funziona, ma i problemi che essa deve affrontare sono sempre più estesi e complessi: la corruzione; il crimine organizzato e le compilata di cui gode; la malasanità, la mala-amministrazione e la mala-politica quando l’uso del potere si fa pessimo fino a configurare reati; gli infortuni sul lavoro; la sicurezza e via elencando... Se non si vuole che la Repubblica italiana si fondi sempre più sull’illegalità, è assolutamente necessario e urgente portare a livelli che siano almeno decenti il funzionamento del sistema giustizia.

Ancora una volta potrebbe invece affiorare la tendenza (anche trasversalmente, come testimoniano gli applausi bipartisan al dimissionario ministro Mastella) a programmare la riforma non della giustizia ma dei giudici. Il vizio di accusare i magistrati di politicizzazione o peggio, di giustizialismo, di invadenza, di eversione, di costituire un’emergenza democratica è un vizio duro a morire.

Ora, è noto che a forza di ripeterle anche le balle più colossali finiscono per sembrare vere, e tuttavia non si può abdicare al dovere di ragionare. Ragionando, si vedrà che l’intervento giudiziario è in espansione in tutti i sistemi democratici. Ovunque esso occupa le prime pagine e i suoi effetti creano frizioni con il potere politico od economico, fino a turbare destini di governi.

Gli esempi che si possono fare sono infiniti: sono stati i giudici a smembrare l’impero informatico di Microsoft; il presidente Clinton è stato più volte processato per certe tracce lasciate su di un abito; la prima elezione del presidente Bush è stata decisa da un giudice della Florida; vari esponenti dell’attuale amministrazione Bush sono coinvolti in una delicata inchiesta che riguarda l’innesco della guerra in Irak; a Chirac si chiede conto di certe assunzioni fatte come sindaco di Parigi; l’ex primo ministro De Villepin è coinvolto in un’inchiesta collegata ad un affare di tangenti per alcune fregate vendute a Taiwan; Bertie Ahem, primo ministro irlandese, è accusato per finanziamenti illeciti della sua campagna elettorale; in Israele quattro indagini sono state avviate contro il primo ministro Olmert per fatti di corruzione, mentre il presidente della Repubblica Katsav e il ministro della giustizia Ramon hanno dovuto dimettersi perché accusati di molestie sessuali.

L’espansione della giurisdizione è dunque un fenomeno che ha dimensioni oggettive, e ciò sembra escludere che vi siano, quantomeno in misura prevalente, forzature soggettive. Il caso italiano non fa eccezione a questo "trend", ma presenta due particolarità. Mentre ovunque nel mondo i "potenti" coinvolti in vicende giudiziarie non si sognano neanche un po’ di prendersela coi loro giudici, ma accettano "naturalmente" che la giurisdizione possa esercitarsi anche nei loro confronti, in Italia - e soltanto in Italia - il magistrato che sfiora certi interessi deve mettere in conto che potrà essere aggredito con insulti d’ogni tipo (ovviamente cosa ben diversa dalle critiche motivate, sempre legittime); - e l’aggressione si risolve in un sostanziale rifiuto della giurisdizione, con la nota tattica del difendersi non tanto "nel" quanto piuttosto "dal" processo.

Altra peculiarità del nostro Paese è che i processi di Tangentopoli, mafia, mala-politica, malasanità e mala-amministtazione pongono un problema drammatico: se la situazione che ne risulta costituisca un dato esteso ma pur sempre marginale della nostra democrazia, ovvero ne sia diventata elemento strutturale.

Una positiva risposta a questi interrogativi si avrebbe se la politica esercitasse il suo indiscutibile primato anche utilizzando gli elementi di conoscenza che scaturiscono dalle inchieste giudiziarie, intervenendo con nuove leggi o controlli più adeguati. E invece di tutto questo abbiamo avuto ben poco dal ‘90 ad oggi.

Per contro emerge una certa tendenza (trasversale) a mal concepire il primato della politica, a farne la base per pretendere una sorta di sottrazione ai controlli di legalità. Ecco allora che la giustizia nel nostro Paese non funziona, ma invece di chiedere "più" giustizia si chiede "meno" giustizia, tutte le volte che si incrociano determinati interessi. Ora si chiede di fare un passo indietro, invece di potenziarne gli strumenti, mentre si scatenano - oggi come ieri - martellanti campagne secondo cui la giustizia è ridotta a campo di battaglia dove consumare vendette e scontri politici.

Senza comprendere che l’autoreferenzialità della politica e la sua pretesa di auto-assolversi in perpetuo sono nocive prima di tutto alla credibilità della politica stessa e finiscono anzi per alimentare quell’antipolitica che non basta esorcizzarla perché non si manifesti o non si estenda. Soltanto la cattiva politica può fingere di non sapere che l’indipendenza della magistratura e l’obbligatorietà dell’azione penale servono al consolidamento della democrazia. La buona politica lo sa, ma spesso rimane afona, non si fa sentire.

Dunque, riforma della giustizia certamente sì, ma partendo dal rispetto della giurisdizione (come garante dei diritti dei cittadini e delle regole di convivenza, nonché fattore di equilibrio del sistema istituzionale) e quindi dal rispetto che in qualunque paese civile è dovuto ai magistrati. Solo così, oltretutto, si potranno concretamente avviare credibili percorsi di responsabilità dei giudici e serie valutazioni della loro professionalità e produttività. C’è un grande bisogno anche di questo, non di "normalizzazione" della magistratura. Obiettivo sempre presente in certe agende: che se fosse realizzato qualcuno brinderebbe, ma non sarebbe un bei giorno per il nostro Paese.

Giustizia: Radicali; recuperare le carceri costruite e non agibili

 

Ansa, 16 febbraio 2008

 

"Bisogna recuperare le carceri esistenti in Italia e aprire 25 edifici già costruiti e non ancora agibili": lo ha detto il deputato del Partito Radicali italiani, Bruno Mellano, al termine della sua visita alla Casa Circondariale di Marassi.

"Le carceri vecchie come quella di Savona hanno dimensioni più umane che permettono vivibilità maggiori - ha detto Mellano - Se un detenuto potesse scegliere, starebbe in un carcere piccolo, dove non diventa un numero, ma può costruire progetti e percorsi personali. Perciò meglio recuperare l’esistente e inaugurare le 25 carceri già costruite e mai aperte che potrebbero confluire nel patrimonio attuale di 205. Costruirne di nuove ha costi stratosferici".

Giustizia: pedofilia... il crimine e il dolore, di Luigi Cancrini

 

L’Unità, 16 febbraio 2008

 

Le notizie che arrivano sono secche e, in qualche modo, disorientanti. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, aumenta il numero delle persone accusate di aver frequentato dei siti pedopornografici. Più piccolo ma significativamente in aumento è, ugualmente, il numero degli arresti legati alle perquisizioni domiciliari che seguono l’identificazione degli stessi accusati: a carico, soprattutto, di quelli fra loro che sono passati dai bambini della rete a quelli che vivono accanto a loro; fotografando o filmando i loro "giochi" ed utilizzando le loro fotografie o i loro filmati per guadagnare dei soldi o per fare degli scambi.

La cosa terribile, tuttavia, è l’abitudine che tutti stiamo facendo a queste notizie. D modo in cui cominciamo a considerarle "normali": parte integrante del villaggio globale in cui viviamo. Ieri per fortuna c’è stata l’eccezione di Walter Veltroni che ha lanciato la sua proposta sulla pedofilia. Ragionare è importante dunque. Dicendo, prima di tutto che denunce e arresti in così rapido aumento sono il frutto di una attività meritoria della nostra polizia postale e dei suoi collegamenti sempre più forti con le polizie europee (Europei) e di tutto il mondo (Interpol).

I commerci legati alla pedopornografia sono naturalmente sovranazionali, contrastarli efficacemente chiede una organizzazione di questo tipo e il fatto che l’Italia si sia dotata oggi di un Centro apposito, di altissimo livello tecnologico ed organizzativo, fa pensare che denunce ed arresti continuano ad aumentare nei prossimi mesi ed anni. Aprendo scenari su cui è importante riflettere con attenzione. Il primo, importante e tutto ancora da impostare, è quello che riguarda gli accusati.

Individuarli è possibile, punirli pure. Che cosa si può fare tuttavia per curarli? Per aiutarli a liberarsi da un bisogno così innaturale, cioè per evitare che, usciti dal carcere, tornino a fare le stesse cose? Studiati dal punto di vista psicopatologico i pedofili sono persone affette da un disturbo grave della loro personalità: di tipo compulsivo (l’attrazione "fatale" di quelli che agiscono in modo irrefrenabile i loro comportamenti sessuali in associazione ad un restringimento temporaneo dello stato di coscienza) o di tipo sadico e perverso (il bambino è uno strumento fra gli altri per la soddisfazione di un bisogno intriso di rabbia e di distruttività che non riguarda solo i bambini).

Quello che è importante per capire quello che sta accadendo ora, tuttavia, è il fatto che questi personaggi sono più o meno gravi a seconda della facilità con cui i loro comportamenti sintomatici vengono evocati. L’accesso (facile) ai siti costituisce per molti di loro, dunque, l’occasione per incontrare uno stimolo capace di liberare delle partì malate che non avrebbero mai avuto modo di manifestarsi se questo incontro non ci fosse stato. Le radici del loro comportamento patologico sono collegate alle loro esperienze infantili, d’altra parte, e un progetto di cura degno di questo nome dovrebbe tenere conto di questa duplice esigenza: della necessità di contenerli con delle misure che siano insieme giuste ed indispensabili e della necessità di ascoltarli aiutandoli ad esorcizzare i fantasmi che si agitano dentro di loro.

I loro reati devono essere prima di tutto puniti, infatti, per aiutarli a rendersi conto sul serio di quello che hanno fatto: contrastando quelle distorsioni cognitive, comuni a tutti i pedofili, che si manifestano con la loro spedale capacità di negare o di minimizzare il danno arrecato alle vittime, di spostare le responsabilità a fattori situazionali diversi, di credere e di diffondere l’idea per cui quello a cui piace fare sesso con l’adulto è prima di tutto il bambino.

Quella cui bisogna anche arrivare nel corso di un lavoro terapeutico che non può fare a meno della punizione e della costrizione, tuttavia, è una relazione umana forte che li metta in grado di entrare in contatto con il dolore che tutti i pedofili si portano dentro: un dolore legato abitualmente a quello che loro stessi hanno vissuto da piccoli e da cui disperatamente tentano ancora di allontanarsi.

Anche se siamo assai lontani, oggi, dalla possibilità di fare qualcosa contro i pedofili nulla si fa abitualmente per valutare la loro psicopatologia (e la loro, conseguente, pericolosità) e perché l’intervento psicoterapeutico di cui avrebbero bisogno non è immaginato come possibile e come necessario nelle carceri in cui sono rinchiusi ne all’interno delle altre misure: punitive o cautelari, n secondo, altrettanto inquietante e ancora più angoscioso, è quello che riguarda le vittime.

Fioriscono infatti le denunce dei siti pornografia ma rarissime restano le condanne per chi sfrutta sessualmente i bambini. Come se virtuali fossero stati davvero fin dall’inizio i bambini esposti nei siti mentre i pochi di loro che riescono a farsi ascoltare denunciando vengono a trovarsi troppo spesso avviluppati all’interno di processi incredibilmente lunghi e complicati: dove il maltrattamento dei violentatori viene replicato da quello, freddo ma altrettanto violento degli avvocati difensori e dei periti di parte.

Mentre in nessun modo è riconosciuto, da uno dei sistemi sanitari più ricchi e più dispendiosi del mondo, il loro diritto ad essere curati sul serio: con una psicoterapia, voglio dire, in grado di aiutarli ad elaborare il trauma che hanno subito. A far riprendere loro una vita normale. A tenerli lontano dal rischio di trasformarsi, quando cresceranno, in adulti a loro volta maltrattati e abusati.

Eravamo arrivati all’interno di un gruppo della Commissione Bicamerale per l’Infanzia che io stesso ho coordinato e che si occupava di violenze sui minori ad elaborare proposte serie e largamente partecipate (bipartisan, come si dice oggi) per tentare di dare risposta a tutti questi problemi e che aveva visto tutti d’accordo, ma si è scontrato con l’indifferenza sostanziale di chi, dall’interno di una visione economicista dello stato sociale, ha detto che i provvedimenti da noi auspicati costano troppo.

I bambini non votano, dico io oggi con amarezza, ed è per questo che su questo tipo di problemi e di proposte nulla ancora abbiamo sentito e poco sicuramente sentiremo in una campagna elettorale in cui la voce dei più deboli non è destinata a trovare lo spazio necessario. A meno che non si riesca, questa almeno è la mia speranza, ad intendere ed a riconoscere, almeno da chi ha idee di sinistra, il legame forte che c’è fra il conflitto di classe e l’ingiustizia sodale: quella che si consuma sempre più sfacciatamente nei confronti dei bambini trasformati in oggetto di sfruttamento sessuale. Quella cui rischiamo di abituarci davvero se non faremo in fretta cose che, volendo, è possibile fare.

Bari: con il "Progetto Indulto" 130 tirocini e... 2 assunzioni

 

Adnkronos, 16 febbraio 2008

 

Oltre 130 i tirocini avviati e 2 le assunzioni in provincia di Bari grazie al progetto "Lavoro nell’inclusione sociale dei detenuti beneficiari dell’indulto", promosso dai ministeri del Lavoro e Previdenza sociale e della Giustizia, con l’assistenza tecnica dell’agenzia governativa Italia Lavoro. "Ci è sembrato importante - spiega l’assessore provinciale alla Solidarietà sociale, pari opportunità, politiche dell’accoglienza e pace, Antonello Zaza - che fosse il ministero del Lavoro a promuovere questo progetto e a lanciare l’appello ad aderire e a lavorare per un obiettivo così importante. Abbiamo deciso di raccogliere tale appello nonostante le grandi difficoltà del contesto in cui ci troviamo ad operare. I destinatari del progetto sono infatti, oltre che indultati cioè ex detenuti, disoccupati di lunga durata, giovani senza possibilità di prima occupazione".

"In provincia - ricorda - qualcuno era perciò scettico e aveva insistito, non senza ragione, su altre priorità. La questione è stata tuttavia superata, perché dare lavoro a chi esce dal carcere significa aumentare la sicurezza generale dei cittadini, visto che si riduce il rischio della ricaduta nel crimine. Vuol dire dare una chance in più a queste persone e dare loro la possibilità di elaborare un vero progetto di vita. La risposta al progetto dell’impresa cooperativa è stata, quindi, pronta e immediata. Per i soggetti coinvolti un’iniziativa del genere può essere, oltre che un’occasione di realizzare la loro mission, un volano di sviluppo e un’opportunità di allargamento delle loro relazioni. Più "tiepida" è stata invece la risposta da parte delle imprese non cooperative, nonostante le numerose convocazioni".

"Viste le difficoltà legate al tessuto imprenditoriale locale - precisa l’assessore Zaza - non c’è dubbio che per le imprese siano maggiori le difficoltà, di tipo economico ma non solo, a prendere in organico un lavoratore in situazione di svantaggio. Per un’azienda, inoltre, è anche difficile organizzare un tirocinio, perché solo avviare un’azione di tutoraggio significa organizzare risorse in termini economici, di tempo e di personale. Speriamo comunque che a lungo andare, visti i risultati confortanti del progetto, la risposta possa essere più favorevole, anche in virtù di un maggiore coinvolgimento delle associazioni di categoria".

"Proprio per questo - afferma - da parte nostra è in corso un’attività di sensibilizzazione sulle problematiche dell’inclusione lavorativa di categorie svantaggiate, perché è vero che storicamente c’è poco interesse a includere nell’organico delle imprese questo tipo di categorie. Pensiamo ai disabili: spesso l’azienda preferisce pagare la sanzione piuttosto che effettuare il collocamento obbligatorio".

E proprio per l’integrazione dei disabili la provincia di Bari sta studiando un programma di affidamento diretto a cooperative o a consorzi di tipo B che hanno tra i loro addetti ex detenuti, disoccupati di lunga durata e donne. "Su tutti questi target - conclude l’assessore Zaza - vorremmo in alcuni casi avviare, in altri proseguire, un lavoro di reinserimento vero, non assistenzialistico".

Modena: i detenuti in ospedale, interrogazione all’assessore

 

Modena 2000, 16 febbraio 2008

 

"Il Nuovo Ospedale Civile S. Agostino Estense non ha una sezione carceraria, così come ne erano sprovvisti i due vecchi nosocomi della città, S. Agostino ed Estense. Nonostante ciò, l’Azienda sanitaria locale si impegna da un lato a garantire l’universale diritto alle cure anche ai detenuti, e dall’altro a tutelare il diritto alla sicurezza ed alla privacy degli altri degenti e dei loro familiari".

Così l’assessore alla Salute Simona Arletti ha risposto in consiglio comunale all’interrogazione "Sezione carceraria negli ospedali Policlinico e Baggiovara" presentata dal consigliere Sdi Sergio Rusticali. "Mi è stato riferito che alcuni pazienti avevano nella stessa stanza un carcerato piantonato dalla polizia", ha detto Rusticali: "Nell’ospedale di Baggiovara non è prevista la sezione carceraria, il che mi pare, dal punto di vista organizzativo, una carenza".

L’assessore Arletti ha precisato che "i detenuti con problemi di salute sono obbligatoriamente accolti nei reparti ordinari dei nostri ospedali ma ospitati, di norma, in camera singola. Tuttavia, può accadere che la carenza di letti dovuta all’eccessivo afflusso renda di fatto inattuabile questa misura. È inoltre difficile garantire l’isolamento del paziente detenuto in reparti come la terapia intensiva, strutturati come open space.

Per quanto riguarda il Policlinico", ha proseguito Simona Arletti, "la sezione carceraria da tempo chiusa è stata oggetto di ristrutturazione. Tra 6 mesi sarà pronta la nuova sezione con 5 posti letto, servizi igienici e stanza di guardia per la polizia penitenziaria, svincolata dai normali flussi dell’ospedale e fornita di tutte le soluzioni atte a garantire il massimo di sicurezza". Sergio Rusticali ha ringraziato l’assessore per le precisazioni portate, sottolineando però che "mentre al Policlinico rimarrà la sezione carceraria, la struttura di Baggiovara è stata pensata in modo diverso.

Da metà febbraio fino al 30 dicembre, nessuno dei detenuti ricoverati a Baggiovara è mai stato in una camera singola. Se io avessi un familiare ricoverato in una stanza assieme a un detenuto, la cosa mi creerebbe qualche problema. La giustificazione della terapia intensiva non è sufficiente: gli stessi problemi ci sono stati in medicina vascolare, in ortopedia, e negli altri reparti dove viene ricoverata la maggioranza dei degenti carcerati. Baggiovara deve essere l’eccezione, i carcerati vanno inviati all’apposita sezione del Policlinico".

Bologna: troppe polemiche, annullato l'incontro con Antonini

di Alice Loreti

 

Liberazione, 16 febbraio 2008

 

Alla fine si è arreso. Il direttore artistico del Teatro Ridotto di Bologna, Renzo Filippetti, ha fatto marcia indietro, cancellando "Gli invincibili", serata dedicata all’incontro tra lo scrittore Erri De Luca e l’ex brigatista rosso Vittorio Antonini, invitato come rappresentante di Papillon, associazione dei detenuti di Rebibbia.

Nei giorni scorsi il mondo politico ed istituzionale si è mobilitato contro il previsto arrivo sul palcoscenico bolognese di Antonini ha mobilitato che ha suscitato una levata di scudi nazionale e locale. Invitare nella città di Marco Biagi un ex Br, mai pentito né dissociato, "è un serio errore" ha commentato seccamente il sindaco, Sergio Cofferati.

"Spero che Filippetti rifletta seriamente sul danno che l’eventuale conferma della serata provocherebbe sul suo lavoro - ha continuato Cofferati - da sempre circondato dalla simpatia dei cittadini. Simpatia che potrebbe venire meno". Dura anche la critica di Maurizio Gasparri, deputato di An. "È ora di finirla con queste conferenze in serie di terroristi condannati per gravissimi reati. Chi è stato protagonista di stagioni drammatiche dovrebbe scegliere la via del silenzio".

E Gasparri non si fa mancare un attacco al primo cittadino di Bologna: "Cofferati si dice contrario ma avrebbe dovuto vigilare prima, dimostrando maggiore coerenza ed attenzione". Nel pieno dell’"affaire Antonini", condannato all’ergastolo (è stato coinvolto nel sequestro Dozier), ora in semilibertà dopo 15 anni di carcere, si è inserito anche l’ex direttore di Rai tre, Angelo Guglielmi, assessore alla Cultura della giunta bolognese. "Non ci poniamo come ufficio censura. Il Comune finanzia il Teatro Ridotto come decine di altri teatri ma le scelte spettano al direttore artistico".

E se a lui spetta la decisione, a seguito delle pressioni Filippetti ha gettato la spugna. Non prima, però, di aver chiesto un incontro con il sindaco, subito fissato al 20 febbraio. "Gli dirò che sono disposto a cancellare la serata - spiega il patron del Teatro Ridotto - se davvero non ci sono altre possibilità. Ma non rinuncio alla speranza di farla un giorno, in futuro. Mi rendo conto che il passato di Antonini sia ingombrante.

E se questo provoca la levata di scudi, meglio soprassedere". In ogni caso "non mi faccio tirare per le orecchie da Cofferati - continua Filippetti - e ho chiesto di parlargli a tu per tu perché mi pare che la cosa sia sfuggita di mano. La mia intenzione era quella di dedicare una serata alla cultura, non alla politica.

Capirei se la protesta arrivasse da familiari di vittime del terrorismo, ma non capisco perché le istituzioni debbano parlare a nome di altri. Se lo Stato ha stabilito che lui può stare in semilibertà, non vedo perché noi dobbiamo ergerci a paladini della legalità". Antonini è già stato a Bologna, quattro anni fa, all’Istituto per la resistenza Parri, dove parlò del rapporto tra detenzione e cultura. E in quell’occasione "nessuno ha avuto nulla da obiettare".

Non solo. Filippetti, personaggio noto nel comune felsineo, con alle spalle la militanza in Lotta Continua e due mesi di braccio speciale in carcere, ricorda che "quando a Roma Antonini aprì una biblioteca in un quartiere molto difficile, a riconoscere il valore di questa iniziativa c’erano diversi assessori e l’attuale presidente della Camera, Fausto Bertinotti".

Lo stesso Antonini si è detto sorpreso per l’atteggiamento di Cofferati nei suoi confronti, considerandolo "un alfiere delle lotte della sinistra e del movimento sindacale". Per dimostrare che il Comune di Bologna non censura nessuno, alla notizia della cancellazione dello spettacolo, l’assessore Guglielmi ha reagito affermando che "se Filippetti prende questa decisione in autonomia, allora va bene".

Dello stesso segno il commento dell’assessore agli Affari Istituzionali, Libero Mancuso: "È una sua piena e responsabile scelta". Di diversa opinione il segretario provinciale del Prc, Tiziano Loreti. "Filippetti è stato quasi costretto ad annullare la serata. - dichiara il segretario - ha subito pressioni fortissime affinché l’incontro non si tenesse, soprattutto dal sindaco Cofferati.

In questo modo, si rimuovono senza pudore decenni di battaglie a favore dei diritti civili condotte dalla sinistra". Dopo anni di "cofferatismo reale", certe prese di posizione del sindaco non ci stupiscono affatto. Anzi, le riteniamo in linea con la sua visione repressiva ed autoritaria della realtà. Antonini ha già pagato la sua pena. Credo sia ora di avere il coraggio di aprire un dibattito serio sugli anni 70".

 

De Luca: "Solo chi ha abiurato il passato da Br può parlare?"

 

Il sasso, per primo, l’ha lanciato il sindaco di Bologna Sergio Cofferati che qualche giorno fa parlava di "serio errore". E il serio errore era l’aver invitato nella città delle due torri Vittorio Antonini. Un ex brigatista condannato nell’85 all’ergastolo per aver partecipato al sequestro del generale Dozier e che avrebbe dovuto partecipare ad un incontro pubblico sul sistema carceri.

Ma non finiva lì, quel sasso, lanciato dall’ex segretario della Cgil, è stato infatti raccolto e rilanciato con veemenza da Miriam Mafai che dalle pagine di Repubblica si mostrava indignata dalla possibilità di far parlare l’ex brigatista. Le ragioni? Presto dette: secondo Mafai aver passato vent’anni in galera non basta. Serve di più, "serve il pentimento, il riconoscimento cioè del’errore compiuto che può consentire, dopo avere scontato la pena, il ritorno alla vita civile".

Erri De Luca - tra gli invitati a quel dibattito pubblico che alla fine, a quanto pare, sarà annullato - interviene sulla questione in modo deciso. Evita in ogni modo la polemica diretta con Mafai - "non mi farete mai entrare in polemica personale con nessuno" - ma va giù duro lo stesso: "Non mi risulta che le leggi italiane contemplino il silenzio come pena accessoria al carcere. Se qualcuno vuole ridurre al silenzio chi è stato in galera ed ha scontato il suo debito con la giustizia, deve cambiare le regole".

 

De Luca, il caso Antonini ha sollevato un vespaio. Il sindaco Cofferati ha fatto di tutto per evitare che l’ex Br andasse a Bologna e Miriam Mafai dice che chi non si è pentito non dovrebbe partecipare ad incontri pubblici...

Io dico che una persona che ha scontato la pena che gli è stata assegnata, una persona che ha pagato interamente il suo debito, ha tutto il sacrosanto diritto di partecipare a qualsiasi iniziativa, pubblica o privata che sia. Del resto una persona che ha passato tanti anni in galera ha per forza di cose accettato la realtà in cui vive ed è a tutti gli effetti recuperato alla comunità civile. Proprio per questo ha pieno diritto di parola, come qualunque altro cittadino. Chi vuole proibire la parola a chi viene dalla prigione deve mettere una pena accessoria nelle leggi dello Stato: la pena del silenzio in pubblico. Fino a prova contraria, fino a che non c’è questa nuova disposizione che nega il diritto di parola, chiunque può parlare.

 

Mafai tira in ballo il mancato pentimento da parte di Vittorio Antonini, che peraltro non è neanche dissociato...

Iniziamo a distinguere il pentimento - che è una questione strettamente personale ed intima - con la dissociazione che riguarda la sfera giudiziaria. Ecco, su quest’ultimo aspetto bisogna essere molto chiari: la dissociazione, per come è stata utilizzata ed usufruita, è solo un risparmio di pena, un modo per sottrarsi alla galera o per ridurre gli anni di condanna.

È un’abiura, anzi lo è stata visto che oggi questa possibilità non esiste più, che consentiva benefici agli accusati e ai condannati. E starei ben attento a direi che quelle dissociazioni equivalgono ad un reale pentimento. È servito solo ad uno sconto di pena, sia chiaro. E in tutto questo, il paradosso è dato dal fatto che stanno togliendo la parola a quelli che hanno scontato più anni di galera e che oggi vivono integrati nella società italiana e non stanno certo tramando contro lo Stato.

 

E quando sono i familiari a chiedere "discrezione" a chi ha ucciso i propri cari? Qui la legge non c’entra più niente è una questione di opportunità o meno…

La discrezione non può coincidere con il divieto di diritto di parola pubblica. Altrimenti saremo in un regime. Ripeto, si facciano leggi per negare parola a questi cittadini. Ci sono dei veri e propri "serial killer" che, per il fatto di essersi dissociati e per aver fatto i nomi, sono usciti dopo poco tempo. Ecco, i familiari delle vittime di questi personaggi non contano nulla? C’erano personaggi del brigatismo che sono stati utilizzati e nessuno si è mai indignato. Ci indigniamo solo per chi non ha abiurato.

 

Dopo tanti anni il terrorismo è ancora un nervo scoperto di questo Paese, quando si riuscirà a parlarne con serenità?

Il fatto è che c’è ancora chi fa carriera sul rancore di quegli anni. E come se fossimo al primo giorno di detenzione di queste persone e non alla fine. E poi, diciamolo chiaro: Cofferati interviene pensando di guadagnare consenso pubblico. Oltre a tutto Antonini ha già parlato pubblicamente a Bologna. Al sindaco non gliene frega nulla, pensa di guadagnare un miserabile vantaggio elettorale nel negare il diritto di parola ad un ex Br. Si soffia e si alimenta rancore. Fatto sta che la decisione di partecipare o no al dibattito spetta ad Antonini, solo a lui. Quando deciderà e vorrà farla io ci sarò.

Diritti: traffico esseri umani; piaga globale, milioni le vittime

di Flaminia Bussotti

 

Ansa, 16 febbraio 2008

 

Una piovra gigantesca con un business trasversale in tutto il pianeta, milioni di vittime e profitti ingenti: il traffico di esseri umani, una piaga che ha assunto ormai dimensioni globali, è al centro di una conferenza delle Nazioni Unite apertasi oggi a Vienna, con la partecipazione di 1.200 delegati, fra rappresentanti di governi, esperti, Ong. Ai lavori, da oggi a venerdì, partecipano anche personalità politiche e dello spettacolo impegnate nella difesa dei diritti umani: dalla moglie del presidente egiziano, Suzanne Mubarak, all’attrice inglese Emma Thompson, al cantante portoricano Ricky Martin.

La conferenza, la prima del genere mai tenuta dall’Onu, é stata aperta dal responsabile dell’Ufficio Onu per la lotta alla droga e al crimine, Antonio Maria Costa. Per l’Italia partecipa il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, che interverrà venerdì. Stime delle Nazioni Unite parlano di fino a 2,7 milioni di persone in tutto il mondo vittime della tratta umana di cui l’80% donne e bambini. Il fenomeno comprende lo sfruttamento sessuale, il lavoro forzato, il traffico di organi, delle adozioni e i matrimoni forzati. Molto spesso questa forma di crimine va di pari passo con altri fenomeni di illegalità, come l’emigrazione clandestina, la pedofilia, lo sfruttamento di bambini. Accanto a quello di armi e di stupefacenti, il traffico di esseri umani è una delle fonti più lucrative di proventi della criminalità organizzata, con massimi profitti e minimi rischi. Secondo stime dell’Onu il volume di utili complessivo si aggira cui 32 miliardi di dollari l’anno. In dichiarazioni all’ANSA a margine dei lavori, Grasso ha sottolineato che la legislazione italiana al riguardo "é all’ avanguardia". Anche in tema di repressione l’Italia registra successi: solo lo scorso gennaio sono state arrestate 75 persone, per lo più originarie di Nigeria e Ghana.

L’andamento dei processi è costante, il che vuol dire che la "repressione viene fatta con molto impegno". "Abbiamo leggi che aiutano nella prevenzione e anche nell’assistenza delle vittime". Le organizzazioni che operano nel nostro Paese sono tutte straniere ma hanno addentellati locali, la cooperazione internazionale, con i paesi di origine "é difficile", ha detto. Fra i paesi in prima fila in questa rete del crimine particolarmente disumana figurano Albania, Romania, Ucraina, Moldavia, Bosnia, Nigeria, Ghana, e America Latina. In Africa si calcola che due milioni di persone siano pronte a tutto per di sfuggire alle loro condizioni di vita: tutte vittime potenziali di trafficanti senza scrupoli. "Nessun paese può risolvere da solo" il problema della tratta umana: la chiave per la soluzione sarebbe, dice, riuscire a invertire lo scenario attuale: anziché grossi profitti e pochi rischi, pochi profitti e grossi rischi. "Le parole non bastano più, dobbiamo intervenire, e subito", ha detto il ministro degli esteri austriaco Ursula Plassnik intervenendo ai lavori.

La signora Mubarak, sociologa, ha insistito sull’importanza di rafforzare l’attenzione sulle vittime: il traffico umano non è più solo una forma di criminalità ma una minaccia per la sicurezza degli stati, ha detto. Costa ha da parte sua rilevato che questa di Vienna non é una conferenza intergovernativa né un foro di discussione bensì una corsa "alla lotta al traffico di esseri umani a cui tutto il mondo corre assieme". L’attrice britannica Thompson si é invece appellata ai media a interessarsi di più dei destini delle vittime. Parallelamente alla conferenza è allestita a Vienna una mostra con sette container che illustrano il martirio esemplare di una moldava di 18 anni costretta per quattro anni a prostituirsi in Gran Bretagna, inclusa la ricostruzione di una stanza del bordello dove la ragazza doveva accontentare fino a 40 clienti al giorno per 20 euro a quarto d’ora.

Droghe: incontri su "Dipendenze, dalla cura al reinserimento"

 

Notiziario Aduc, 16 febbraio 2008

 

Cinque serate tematiche di formazione rivolte a genitori, educatori, insegnanti e operatori del settore, per informare la popolazione adulta del cesenate sulle problematiche relative all’adolescenza e al rischio di uso-abuso di sostanze stupefacenti e alcool attraverso un dialogo con gli esperti dei servizi pubblici e privati che operano sulle dipendenze.

Parte lunedì il ciclo di incontri dal titolo "Tossicodipendenza: dalla Cura al reinserimento" promosso dal Ser.T. dell’Azienda Usl di Cesena, dal Comune e dalle Associazioni Anglad e Giovanni XXIII, in collaborazione con la Banca di Cesena, che si svolgeranno nella sala conferenze della Banca fino al 12 maggio. Al centro dei cinque seminari le tematiche che riguardano più da vicino le attività di cura e reinserimento svolte dai servizi pubblici e del privato sociale, da anni uniti nella lotta contro la dipendenza da alcol e sostanze stupefacenti.

Gli incontri, che vedono la presenza di esperti del settore, prevedono anche momenti di dibattito con i partecipanti attraverso domande e interventi. Il fine generale è quello di aprire un confronto diretto con le Istituzioni locali e le forze produttive sul tema del reinserimento sociale degli ex tossicodipendenti. Tema questo particolarmente importante ai fini del definitivo allontanamento dalla droga dopo un percorso terapeutico territoriale e/o residenziale in Comunità Terapeutica. Ad inaugurare il ciclo sarà il sindaco di Cesena, Giordano Conti.

Gran Bretagna: evade ergastolano, caccia all’uomo a Londra

 

Adnkronos, 16 febbraio 2008

 

Un uomo condannato all’ergastolo per stupro è riuscito a fuggire per la seconda volta da un ospedale nel sudest di Londra e la polizia gli sta dando la caccia. A riferire la fuga del 39enne Terrence O Keefe dal King’s College Hospital è l’emittente britannica Bbc, ricordando che quando il detenuto era fuggito la prima volta, nel 2005, si era rifugiato a Liverpool. Secondo la polizia, si tratta di un individuo pericoloso che non andrebbe avvicinato.

 

 

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