Rassegna stampa 2 dicembre

 

Giustizia: 12 dicembre tutti in piazza contro la "galera sociale"

di Franco Corleone (Garante dei diritti dei detenuti di Firenze)

 

Fuoriluogo, 2 dicembre 2008

 

La paura e l’insicurezza non sono più in cima alle preoccupazioni dei cittadini. La ragione non è dovuta alla diminuzione dei reati (già il Sole 24 Ore segnalava in agosto il decremento cominciato nel giugno del 2007 prima del governo Berlusconi), ma perché la macchina goebbelsiana della propaganda televisiva, in particolare dei Tg Mediaset e Tg1 Rai si è fermata. Parola di Ilvo Diamanti su Repubblica (23/11). Finalmente si scopre che la cosiddetta "percezione di insicurezza" dei cittadini, il convitato di pietra della politica, è un’arma caricata a comando. Così come è avvenuto con la campagna mediatica di mistificazione contro l’indulto.

Nonostante questa novità il Senato sta preparando per Natale un regalo avvelenato, l’ennesimo pacchetto sicurezza. A leggere i 55 articoli del disegno di legge si rimane sconvolti per l’insieme caotico di misure che calpestano diritti umani, Costituzione, principi elementari di ragionevolezza con l’unico risultato di distruggere la già dissestata macchina della giustizia e di far esplodere le carceri già oltre il limite di sopportabilità.

Ma quel che lascia sgomenti è l’acquiescenza con cui si accetta da parte di intellettuali, mass media e movimenti che si faccia strage del diritto e della legalità. Le campagne securitarie hanno raggiunto un risultato davvero eccezionale: l’assuefazione a ripetuti e ossessivi interventi che costruiscono un nuovo sistema che è stato efficacemente definito come populismo penale.

Il catalogo degli orrori spazia dai problemi del "decoro" urbano alla mafia. Così si prevedono sanzioni non inferiori a 500 euro per chi insozzi le pubbliche vie e l’indurimento del regime penitenziario del 41 bis e la riapertura delle carceri speciali di Pianosa e dell’Asinara (mentre Obama chiuderà Guantanamo!).

Si monetizza il rinnovo del permesso di soggiorno con una tassa di 200 euro. Si prevede la reclusione fino a tre anni per chi usa i minori per l’accattonaggio e la decadenza dall’esercizio della potestà genitoriale. L’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio dello Stato viene sanzionato con l’arresto e l’ammenda sino a 10.000 euro e la permanenza nei centri di identificazione viene estesa fino a diciotto mesi. Infine si prevede l’istituzione un registro presso il ministero dell’Interno per le persone senza fissa dimora e di ronde private per attività di presidio del territorio. Siamo di fronte alla "galera sociale": così il senatore Vito Carofiglio nel corso della discussione a Palazzo Madama ha magistralmente definito questo coacervo di norme intrise di demagogia.

Qualcuno/a penserà che queste misure non siano per lui o per lei: hanno di mira gli immigrati,i poveri, la criminalità organizzata, dunque non sono preoccupanti. In realtà, quando si stravolgono i principi fondamentali di uguaglianza, la deriva autoritaria e razzista è destinata a non fermarsi e a coinvolgere sempre più soggetti fino a colpire tutta la società.

La madre delle emergenze è sempre incinta. Dalla droga al terrorismo, dagli zingari alle prostitute, dai matti ai writers c’è sempre una guerra da combattere. Alla fine arriva anche il tempo per chi in politica la pensa diversamente. La banalità del regime è tutta qui, nell’incedere lento ma inesorabile con cui conquista le coscienze e il senso comune. Lo sciopero del 12 dicembre può essere l’occasione per rompere le catene, urlare per il rispetto dei diritti e conquistare una diversa egemonia. Chiediamo troppo?

Giustizia: abolizione dell’ergastolo, 800 in sciopero della fame

 

Redattore Sociale - Dire, 2 dicembre 2008

 

Al via in una cinquantina di penitenziari. Oggi digiuno in tutta Italia, da domani lo sciopero continua con una staffetta fra le carceri. Giuliano Capecchi (Associazione Liberarsi): "È un’iniziativa nata dall’interno dei penitenziari".

Ha preso il via oggi lo sciopero della fame organizzato dagli ergastolani in una cinquantina di penitenziari in tutta Italia per chiedere l’abolizione della pena del carcere a vita. Un’iniziativa che segna l’inizio della seconda fase della campagna "Mai dire mai" contro l’ergastolo e le carceri di massima sicurezza promossa dall’associazione Liberarsi. In Lombardia hanno aderito quasi tutti i 150 ergastolani rinchiusi nel carcere di Opera.

"Si tratta di un’iniziativa nata all’interno dei penitenziari - spiega Giuliano Capecchi, di Liberarsi - cui hanno aderito circa 800 ergastolani italiani e stranieri". Una quota importante dei 1.390 condannati al carcere a vita censiti al 30 giugno 2008.

Dopo la giornata di oggi, in cui il digiuno è stato esteso in tutta la penisola, lo sciopero procederà "a staffetta": fino al sette dicembre toccherà ai detenuti delle carceri toscane (tra cui Livorno, San Gimignano, Porto, Porto Azzurro, Pisa) portare avanti la protesta, l’8 dicembre passeranno il testimone ai detenuti dell’Umbria e delle Marche. Il 15 dicembre lo sciopero avrà inizio in Lombardia (Opera, Voghera, San Vittore, Pavia, Vigevano). La protesta si concluderà nelle carceri del Lazio a metà marzo. Il giorno 16 sarà nuovamente digiuno in tutte le carceri italiane.

Una protesta che affonda le sue radici in un altro sciopero, iniziato il 1° dicembre 2007 per iniziativa degli ergastolani di Spoleto, che si era protratto per 17 giorni. A questa prima protesta se n’era aggiunta una seconda all’inizio del novembre 2008: 739 ergastolani avevano presentato altrettanti ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo chiedendo, tra le altre cose, di pronunciarsi contro l’Italia per aver violato l’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. "Condannare una persona al carcere a vita contrasta con l’articolo 27 della Costituzione - commenta Giuliano Capecchi - in cui si afferma che la pena deve tendere alla riabilitazione del condannato e vieta pene disumane. Ed è per questo che chiediamo di abolire l’ergastolo".

Giustizia: ergastolani in sciopero della fame per avere speranza

di Davide Madeddu

 

L’Unità, 2 dicembre 2008

 

Hanno deciso di rifiutare il cibo sino alla fine dell’anno. È la protesta avviata il primo giorno di dicembre dai detenuti condannati all’ergastolo, che scontano una pena dietro le sbarre, con la campagna "Mai dire mai" contro l’ergastolo e le carceri di massima sicurezza.

"Per il momento hanno aderito allo sciopero 800 persone - spiega Patrizio Gonnella, presidente nazionale di Antigone - ma il numero di coloro che hanno deciso di aderire è destinato a crescere". I numeri, secondo quanto annunciato dai promotori, dovrebbero arrivare sino a 1300.

Lo sciopero della fame non è che la seconda fase di una campagna di sensibilizzazione avviata dai detenuti del "fine pena mai" per avere "migliori condizioni di vita dietro le sbarre". La prima fase ha riguardato la raccolta di ricorsi da inviare alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo. Nei ricorsi i detenuti chiedevano, tra le altre cose, "di pronunciarsi contro l’Italia per aver violato l’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, quello che afferma che "nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti".

In tutta Italia le persone condannate all’ergastolo sono, distribuite tra una cinquantina di istituti, circa 1300. Di questi 25 sono donne e si tratta di persone recluse in istituti di massima sicurezza. La maggior parte dei circa 200 detenuti sottoposti al carcere duro, sono condannati alla detenzione a vita. La protesta degli ergastolani va avanti ormai da un anno e mezzo, da quando circa 300 di loro chiesero al Presidente della Repubblica di trasformare la loro pena di morte indiretta in una pena di morte a tutti gli effetti. Allo sciopero della fame collettivo, quello partito il primo giorno di dicembre seguirà quello definito a "staffetta" e itinerante. Ossia una protesta che partirà dalla Toscana e che finirà nelle carceri del Lazio il 16 marzo del 2009.

Giustizia: l'Ass. Giovanni XXIII; l’ergastolo è incostituzionale

 

Redattore Sociale - Dire, 2 dicembre 2008

 

"Solo un tempo di recupero della persona con un progetto educativo fa cambiare la persona": secondo l’associazione "ogni detenuto deve avere il fine pena certo".

"L’ergastolo è incostituzionale perché l’art. 27 della nostra Costituzione recita così: le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. La rieducazione contiene in sé il principio di reinserimento sociale della persona. Senza reinserimento non c’è rieducazione". È questo il commento della Comunità Papa Giovanni XXIII. "L’ergastolo in sé non ha senso, ogni detenuto deve avere il fine pena certo", sottolinea l’associazione che attualmente ospita nelle sue strutture circa 250 detenuti in misure alternative che svolgono il programma terapeutico perché tossicodipendenti e circa 50 detenuti comuni che svolgono ugualmente un programma preciso e personalizzato all’interno di case famiglia o strutture più appropriate.

"La ventennale esperienza della nostra Comunità dimostra che solo un tempo di recupero della persona con un progetto educativo fa cambiare la persona interiormente e che il superamento dell’ergastolo è possibile - spiega -. La Comunità Papa Giovanni XXIII lotta per l’abolizione dell’ergastolo a fianco dei detenuti con un tempo di preghiera e digiuno e di sensibilizzazione delle realtà diocesane, di volontariato e dei mass-media.

Lo Stato ha il diritto e il dovere di interpellare noi come Comunità Papa Giovanni XXIII e tutto il privato sociale, di sostenerlo in ogni modo affinché dalla certezza della pena come risposta alla paura si possa giungere alla certezza del recupero come risposta adeguata ad una società sempre più violenta che si illude di vincere il male con il male". L’associazione fa sapere che sta elaborando un progetto alternativo all’attuale sistema carcerario: "comunità educative per detenuti capaci di sradicare sentimenti, atteggiamenti, azioni criminose e innestare una nuova mentalità in cui prevale la scelta alla vita".

Giustizia: Prc; la Corte Europea accolga ricorsi di ergastolani

 

Lettera alla Redazione, 2 dicembre 2008

 

Dichiarazione di Giovanni Russo Spena, responsabile Giustizia del Prc: "Rifondazione sostiene la lotta pacifica degli ergastolani che oggi hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la pena perpetua. Spero, sinceramente, che la Corte europea dei diritti dell’Uomo accolga i numerosi ricorsi presentati di recente dagli ergastolani italiani che lamentano la disumanità della pena alla quale sono condannati. La nostra Costituzione sancisce che la pena non deve essere contraria al senso di umanità e deve tendere al reinserimento sociale del detenuto. È chiara dunque l’incostituzionalità della pena dell’ergastolo. Mi appello a tutte le forze parlamentari affinché venga cancellata questa pena, ricordando che anche gli statisti cattolici Giuseppe Dossetti ed Aldo Moro si sono sempre dichiarati contrari alla pena perpetua perché nega alla radice ogni speranza per il futuro".

 

Intervista a Giovanni Russo Spena, di Susanna Marietti

 

È iniziata ieri con una giornata di sciopero della fame a livello nazionale la nuova fase della campagna Mai dire mai degli ergastolani in lotta per l'abolizione dell'ergastolo e delle carceri di massima sicurezza. Da oggi si proseguirà su base regionale fino al marzo del 2009. Rifondazione Comunista, da sempre in prima linea in questa battaglia, aderisce alla mobilitazione per voce del responsabile giustizia del partito Giovanni Russo Spena. "È una rete straordinaria, questa degli ergastolani in lotta nelle nostre carceri", afferma.

"L'ho seguita nel suo evolversi perché da vario tempo ho contatti epistolari con alcuni di loro, tra cui Carmelo Musumeci, uno degli animatori della campagna. Prendemmo contatto con loro quando presentammo, nella scorsa legislatura, il disegno di legge per l'abolizione dell'ergastolo il cui primo firmatario era Maria Luisa Boccia".

 

Mai dire mai chiede l'abolizione della pena perpetua, ritenendola incostituzionale perché contraria alle finalità rieducative espresse dall'articolo 27 della Costituzione italiana. Il classico argomento di chi è invece favorevole all'ergastolo è in realtà duplice: a livello un po' più ovvio viene sostenuto che l'ergastolo non sarebbe incostituzionale perché tanto in Italia non esiste, visto che si esce con la liberazione condizionale.

A livello un po' più cogente viene invece affermato, persino dalla Corte Costituzionale, che l'ergastolo non è incostituzionale perché potenzialmente - e non dunque di fatto, che è secondario - si può uscire con la liberazione condizionale, e quindi una previsione di reinserimento in società esiste. Lei come risponde?

Giudico la sentenza della Corte Costituzionale contraddittoria. Credo sia ben evidente che l'ergastolo è una pena contraria allo spirito dell'articolo 27 della Costituzione per due motivi: innanzitutto non guarda alla risocializzazione ma corrisponde piuttosto a una logica della pena come vendetta dello Stato; e in secondo luogo toglie alle persone la speranza del reinserimento sociale. Il "fine pena mai" incide sul vissuto, sulla psiche, sui rapporti di tempo e di spazio. Il detenuto non può utilizzare il tempo in attesa di un reinserimento futuro, mentre lo spazio carcerario, invece di costituirsi come transitorio, diviene il luogo proprio dell'espiazione.

Questo contraddice quanto afferma la Corte Costituzionale. In Italia l'ergastolo c'è sul serio, oggi gli ergastolani sono circa 1.300, ai quali vanno poi aggiunti i cosiddetti ergastoli bianchi, vissuti da coloro che vengono seppelliti in quelle vere e proprie vergogne giuridiche che sono gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

 

Perché è così difficile - e la storia parlamentare dei disegni di legge che si sono susseguiti in questi anni lo dimostra - abolire la pena dell'ergastolo?

Quando nel 1998 si fu vicini a ottenere il risultato, la seconda lettura alla Camera dei Deputati vide prevalere visioni giustizialiste. Si ritiene qualcosa di totalmente sbagliato e indimostrato, vale a dire che la pena più alta serva come deterrente rispetto alla commissione dei reati. È falso. Non corrisponde ad alcuna statistica né ad alcuna psicologia. Lo hanno capito Spagna e Portogallo che hanno scelto di fare a meno del carcere a vita. Gli studi ci dicono che il vero deterrente è la certezza della pena. Dunque ci vuole un serio lavoro di intelligence e un serio lavoro della magistratura che portino in tempi brevi alla punizione e cancellino ogni sensazione di impunità. Pena certa, processi brevi e nessuna convinzione di potersela cavare attraverso le varie forme di impunità disponibili. Noi non diciamo affatto che l'ergastolo vada abolito a favore dell'impunità, non si tratta di un "liberi tutti": noi vogliamo trasformarlo in una pena a 30 o 35 anni, dalla quale siano comunque accessibili i benefici previsti per una reale risocializzazione.

 

La novità dell'attuale protesta degli ergastolani sembra risiedere nella sua enorme capacità di organizzazione, nonché capacità e desiderio di utilizzare gli strumenti messi a disposizione dal diritto, perfino da quello sovranazionale.

È vero. Lo scorso mese sono stati presentati alla Corte europea dei Diritti dell'Uomo ben 739 ricorsi da parte degli ergastolani, con l'aiuto dell'associazione Liberarsi e anche di nostri parlamentari europei. È una rete magistralmente organizzata, che dimostra come molti di coloro che dal carcere vi prendono parte abbiano studiato diritto ben meglio di tanti avvocati. Qualche ripercussione sembra già cominciare a vedersi. Si parla ad esempio di un detenuto molto attivo nella mobilitazione trasferito improvvisamente non si sa dove e sottoposto al regime del 41 bis, il cosiddetto carcere duro.

 

L'amministrazione penitenziaria ha paura della protesta degli ergastolani?

Anche Musumeci in passato ha subito pressioni carcerarie a causa delle sue pacifiche proteste. Non credo che l'amministrazione possa avere paura in modo diretto, paura di evasioni o di rivolte penitenziarie, poiché appunto si tratta di proteste sempre pacifiche. Credo invece che gli ergastolani facciano paura perché disobbediscono all'ordine costituito. E in questi casi quando gli apparati dello Stato non hanno guide illuminate accade che vi sia un loro riflesso condizionato di tipo regressivo e repressivo.

Giustizia: gli "ergastolani in lotta" cercano avvocati "europei"

 

Lettera alla Redazione, 2 dicembre 2008

 

 

A Voghera un gruppo di ergastolani, su indicazione dell’Associazione Liberarsi, aveva fatto nascere un "Gruppo di lavoro per l’abolizione dell’ergastolo". Ora, è appena giunta la notizia che uno dei suoi componenti è stato sottoposto per la terza volta, nuovamente, al regime di tortura del 41-bis. A parole si vuole che i detenuti prendano coscienza e la stessa coscienza di fatto viene poi distrutta. Ci si vuole costruttivi e positivi ma poi ci denigrano faccendoni sentire uomini inutili, uomini persi.

Ci vogliono non violenti, ma si crea nella realtà un ambiente più violento negandoci la parola su tutte le violenze che ogni giorno siamo costretti a subir, con il ricatto di stare peggio se si protesta. Il "sistema" non vuole che il detenuto prenda coscienza, vuole solo che subisca in silenzio. In carcere, organizzarsi, discutere e attirare l’attenzione della società civile e dei massa media è una lotta quasi senza speranza, com’è dal resto la lotta di una mosca per divincolarsi dalla marmellata.

E se ci riesci, è pericoloso, molto pericoloso, perché intervengono gli uomini in nero del Ministero di Giustizia e con la scusa che sei stato condannato per reati di mafia 20 anni fa, o che sei pericoloso, ti sottopongono per la terza volta al regime di tortura del 41-bis. Con la scusa della lotta alla mafia uno stato ingiusto continua a fare come gli pare se gli pare e quando gli pare. In questo modo molti ergastolani, per paura, smetteranno di lottare per la vita e inizieranno a rassegnarsi per morire poi in silenzio.

Che fare? Difendersi con il diritto europeo e il diritto internazionale. Come ergastolano in lotta per la vita invito tutti gli ergastolani in lotta per la vita d’Italia e in Europa a sollecitare l’Associazione Liberarsi a creare un collegio di avvocati europei con requisiti sociali e morali idonei per difenderci davanti alla Corte europea per l’abolizione dell’ergastolo (non è una tortura permanente una pena che non finisce mai?) e tutelare quei detenuti che si attivano in un modo pacifico, democratico e costruttivo per l’abolizione dell’ergastolo come faceva il compagno di Voghera.

Gli ergastolani in lotta per la vita di Spoleto e di Voghera chiedono all’associazione Liberarsi di scegliere nel loro Consiglio Direttivo un responsabile che apra un numero di conto corrente postale per spese legali, per raccogliere le offerte di tutti gli ergastolani in lotta per la vita - minimo 50 euro e massimo 100 euro - per un fondo legale specifico.

 

Carmelo Musumeci, Carcere di Spoleto

Giustizia: quando anche magistrati si dimenticano delle carceri

di Fabio Lattanzi

 

www.radiocarcere.com, 2 dicembre 2008

 

Lo Russo Cotugno, casa circondariale di Torino: nessuna novità. Trentadue detenuti, causa sovraffollamento, continuano a dormire nella palestra. Un cambio di destinazione d’uso che caratterizza molte strutture carcerarie della lunga penisola.

L’assenza di celle non sembra offrire alternative: ambulatori, palestre, bugigattoli diventano, come d’incanto, dormitori. I miracoli d’altronde sono conosciuti all’amministrazione penitenziaria che con piramidali letti a castello triplica l’originaria capienza. I servizi inadeguati rimangono gli stessi e l’igiene conseguentemente diventa un sostantivo sconosciuto.

I diritti fondamentali così come le stringhe delle scarpe vengono lasciati prima delle foto segnaletiche. Inadeguatezza delle strutture e crescente sovraffollamento le cause di un male conosciuto. Un male che talvolta emerge sul video e la carta stampata. Un male che sembra suscitare indignazione, ma che si sostanzia in un semplice fuoco di paglia.

Un male dal quale la politica fugge. I sondaggi costringono ad ignorare, bollano la tematica come impopolare. Statisti. Un problema che non occupa neanche l’attenzione di magistrati e avvocati.

Anm e Unione delle camere penali, gli organi rappresentativi delle due categorie, si accapigliano sulla separazione delle carriere, su come si realizza il giusto processo, ma della pena, del carcere non sembrano essere interessati. Un illecita detenzione che paradossalmente se non è a loro direttamente addebitabile lo è, quanto meno, a titolo di concorso esterno.

Giustizia: Sappe; su sanità penitenziaria incontro con il ministro

 

Il Velino, 2 dicembre 2008

 

Ferma presa di posizione del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, in relazione alle problematiche che si stanno registrando nelle carceri del paese a seguito del passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale.

"Da tempo - spiega Donato Capece, segretario generale Sappe - stiamo rappresentando le molte criticità che si stanno verificando nei nostri penitenziari. Proprio in questi giorni abbiamo inviato l’ennesima lettera al ministro della Giustizia Angelino Alfano e al capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta con cui denunciamo che nessun riscontro sostanziale è pervenuto in merito alla copiosa corrispondenza con cui il Sappe ha insistito sull’esigenza di un confronto con le organizzazioni di categoria e con le organizzazioni del comparto Sicurezza, per analizzare i profili problematici inerenti al riordino della medicina penitenziaria, specificamente per tutto ciò che può riflettersi sulla sicurezza degli istituti penitenziari e sul personale del Corpo.

Oltre alla necessità che venga garantita senza soluzione di continuità la presenza presso le Commissioni ospedaliere, problematica esposta con separata corrispondenza, occorre, altresì, evidenziare che la questione produce conseguenze sia in materia di sicurezza sia per il Corpo di Polizia penitenziaria, atteso che l’attività dei medici negli istituti incide inevitabilmente sulle capacità di intervento operativo del personale, spesso impiegato in traduzioni e piantonamenti presso strutture esterne, pur in presenza di sintomatologie lievi".

"Si consideri - continua Capece - che il profilo delle prestazioni medico-legali nei confronti del personale del Corpo di Polizia penitenziaria è stato del tutto ignorato dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri del primo aprile 2008, con cui si dà attuazione al trasferimento del Sistema sanitario penitenziario al Servizio sanitario nazionale. A distanza di molti mesi dal trasferimento delle funzioni in esame, rimane certamente utile, se non indispensabile, un incontro con le organizzazioni sindacali rappresentative del Corpo, al fine di verificare la situazione complessiva e individuare le iniziative da intraprendere. Speriamo che ciò avvenga presto".

Giustizia: lettere dei detenuti, bloccate solo per "gravi motivi"

di Alessandro Galimberti

 

Il Sole 24 Ore, 2 dicembre 2008

 

Il blocco della corrispondenza di un detenuto può essere disposto solo per esigenze di indagine, investigative e di prevenzione dei reati, o per ragioni di sicurezza carceraria: in ogni altra ipotesi il "trattenimento" è arbitrario e priva il cittadino dei diritti costituzionali fondamentali (manifestazione del pensiero e "giusto processo", articoli 21 e 11 della Carta). A sancirlo la Quinta sezione penale della Cassazione con sentenza 44683/08, depositata ieri.

 

La Lioce può ricevere in carcere lettere e riviste

 

Il capo delle Nuove Br Nadia Desdemona Lioce può ricevere in carcere riviste di carattere politico e lettere. Lo ha deciso la Cassazione che ha annullato così l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila. Per la Suprema Corte il lasciapassare dato alla Lioce, condannata all’ergastolo in via definitiva per gli omicidi dei giuslavoristi Massimo D’Antona e Marco Biagi, nonché dell’agente della Polfer Emanuele Petri "non costituisce un’insidia per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza" all’interno del penitenziario.

Il Tribunale dell’Aquila, invece, che aveva deciso di fermare tutte le missive "in entrata e in uscita" della detenuta, riteneva che potesse essere utilizzato "un linguaggio che ben potrebbe celare significati ulteriori", con un contenuto "palese che appare tale da porre in pericolo l’ordine e la sicurezza". Il difensore della Lioce aveva rilevato che era stato rifiutato dal tribunale l’inoltro di una rivista in libera vendita nelle edicole "solo perché, dal sommario, è emerso che essa contiene un articolo su "strategie della controrivoluzione".

Ciò che "allarma i giudici del merito - rilevava il difensore nel ricorso - è l’uso di parole come "comunismo, lotta di classe, controrivoluzione" ma "non si vede per quale motivo anche un detenuto non possa avere e coltivare le sue idee politiche" e "perché lo stesso debba essere censurato quando tale condotta non ponga in alcun modo in pericolo l’ordine intramurario".

Catanzaro: detenuto morì per setticemia, due medici a giudizio

 

Ansa, 2 dicembre 2008

 

Due medici rinviati a giudizio e uno prosciolto. Si è conclusa così l’udienza preliminare a carico di tre indagati per omicidio colposo, nella loro qualità di sanitari in servizio presso il carcere di Siano-Catanzaro, a seguito del decesso del detenuto Emiliano Mosciaro, afflitto da un’appendicite acuta, degenerata in peritonite, e morto per setticemia nell’agosto del 2005.

Dopo una lunga camera di consiglio, il giudice dell’udienza preliminare di Catanzaro, Tiziana Macrì, ha mandato sul banco degli imputati i dottori Anna Mannarino ed Ennio Ciacci, per i quali il processo avrà inizio il prossimo 6 febbraio, ed ha infine scagionato il dottore Santo Gratteri "per non aver commesso il fatto".

La decisione è arrivata in serata, a seguito dell’udienza mattutina dedicata alle discussioni del rappresentante della pubblica accusa, il quale ha ribadito la richiesta di rinvio a giudizio come ha fatto anche il legale di parte civile, l’avvocato Angelo Pugliese, che rappresenta la moglie e i due figli del detenuto deceduto due anni e mezzo fa presso la Casa circondariale di Siano, dove stava scontando una condanna per associazione a delinquere.

Poi la parola è passata ai difensori dei tre medici accusati, gli avvocati Nunzio Raimondi, Bruno Napoli e Paolo Iorio, impegnati a dimostrare la totale assenza di colpe in capo ai sanitari. Furono i familiari della vittima a dare il via, con la propria denuncia, alle indagini coordinate dal sostituto procuratore della Repubblica Cristina Tettamanti la quale, ravvisando comportamenti ritenuti negligenti da parte dei medici, presentò la propria richiesta di rinvio a giudizio, ben due anni fa, portando in aula la vicenda che ha visto concludersi l’udienza preliminare solo oggi.

Locri: il penitenziario rimesso a nuovo è un segno di speranza

di Lidia Zitara

 

La Riviera, 2 dicembre 2008

 

"Scugnizzi", uomini al margine o delinquenti? Ce lo potrà dire tra qualche tempo il carcere di Locri. Che avrà il difficilissimo compito di riabilitare chi commette crimini comuni. Un penitenziario progettato su misura per reati cosiddetti "minori", per i delinquenti di strada, persone allo sbando, extracomunitari, scafisti. Manovalanza al margine del mondo, orfana di padri e di "mammasantissime", senza mestiere e collocamento. Sfruttata. Criminali per necessità.

Violenti non per Dna. Paradossalmente sono meno problematici per la polizia penitenziaria i boss della mafia e i narcotrafficanti. Per scelta di campo, padrini e capibastone, affiliati e killer mettono in preventivo galere e isolamenti. Conoscono bene il 41 bis e a memoria il 416. Associazione a delinquere da lunedì al sabato, ragù la domenica. No, i criminali comuni che vivono di crimine spicciolo, parallelo, hanno una speranza: si possono recuperare e cambiare radicalmente la loro prospettiva di vita. La struttura carceraria restaurata e aperta da poco nel centro di Locri è un edificio moderno, in controtendenza con la maggior parte dei penitenziari italiani dove il sovraffollamento è una normalità, le condizioni igieniche sono un’ ulteriore condanna, e i tanti suicidi una conseguenza.

Luoghi a mo di cassonetto, dove il detenuto è spazzatura. Il nuovo edificio di recupero locrese può ospitare dagli 83 ai 142 detenuti, in celle individuali con bagno e doccia in camera. Laddove prima la promiscuità sanitaria era assoluta - si cucinava nel bagno per esempio- e si era costretti alla mortificazione della doccia collettiva, ora c’è rispetto e dignità per l’individuo che sconta la pena. Rispetto per la sua persona, rispetto per la pena che deve scontare.

Grande attenzione è stata giustamente data alle attività trattamentali, che solitamente sono quelle a cui si presta meno interesse e che vengono erroneamente considerate superflue. Il detenuto lavora, pulisce la propria cella, effettua la manutenzione ordinaria e le riparazioni, quando se ne presenta la necessità. Per consentire ai reclusi di esprimere la loro fantasia e sensibilità, è stato implementato un laboratorio teatrale la gestione delle cui attività è affidata a del personale esterno specializzato. Il laboratorio è dotato anche di un videoproiettore per consentire la visione di film.

I detenuti hanno collaborato alla ristrutturazione del carcere e hanno interamente realizzato la strada prospiciente l’edificio e un piccolo "Parco Robinson" dove i loro figli possono giocare e socializzare in attesa delle visite. Sono stati realizzati dei laboratori ammodernati e razionali. Scontare quei quattro o cinque anni di carcere, per gli "scugnizzi" può quindi diventare l’occasione mai avuta di imparare un mestiere. Sono abbastanza inutili i discorsi e i piani strategici d’insegnamento della legalità.

Diamo un mestiere a queste persone, perché una volta usciti si troveranno davanti ad un bivio. Da un lato il ritorno alla vita delinquenziale, e dall’altro una vita civile e rispettabile. Un piccolo gioiello, quindi, una perla di funzionamento in un territorio dove tutto sembra andare alla malora, gestito con molta lungimiranza ed attenzione dal Direttore, Romolo Pani, e dal Vicecommissario Domenico Paino, aperti alle collaborazioni con enti e strutture che possano contribuire a dare un futuro a coloro ai quali sembra che debba essere tutto negato.

Il carcere di Locri offre l’insegnamento di mestieri manuali, tra l’altro ben retribuiti, come il falegname, il fabbro, l’idraulico, il riparatore elettrico. Altro che tomi di legalità. A Locri c’è una scuola molto importante, ci riferiamo all’Istituto alberghiero. Vorremmo, è un consiglio che giriamo al Direttore e a tutto lo staff del penitenziario locrese, che ci fosse un dialogo tra i due istituti. Crediamo fermamente che questo tipo di collaborazioni possono portare a risultati inaspettati. Crediamo fermamente che dal carcere di un territorio da sempre ultimo, possa partire un esempio positivo di civiltà.

Firenze: Sappe; in Opg Montelupo nessun detenuto maltrattato

 

Ansa, 2 dicembre 2008

 

"Non siamo picchiatori, nessun agente di polizia penitenziaria ha mai maltrattato un detenuto". Così Giuseppe Pagano, delegato provinciale del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe), ha replicato a quanto dichiarato dal garante dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone, che venerdì scorso, in una conferenza stampa, ha denunciato casi di pestaggi e violenze fisiche subite dalle persone internate nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino (Firenze).

"La verità - afferma Pagano - è un’altra rispetto a quanto è apparso sulla stampa dopo le dichiarazioni del garante Corleone che ha preso spunto da una lettera di un internato che conosco bene e che ho potuto leggere anch’io. Quello che è scritto su quella missiva sono solo falsità. Non abbiamo picchiato nessuno. Un detenuto è caduto e ovviamente è stato aiutato a rialzarsi". Il sindacalista ha annunciato possibili azioni legali contro chi ha scritto la lettera: "Stiamo valutando se denunciarlo legalmente per diffamazione".

Il Sappe denuncia una situazione di sovraffollamento insostenibile all’Opg di Montelupo: "Abbiamo 190 detenuti in un penitenziario che ne potrebbe ospitare al massimo 150, con punte di 200 negli scorsi mesi estivi. Ci sono celle con sette-otto detenuti ciascuna, con circa 95 agenti a disposizione. C’è una sezione dell’Opg che accoglie 50 detenuti e dove un solo operatore sociale, per otto ore consecutive, deve farsi carico di tutti i loro bisogni. Come agenti lo aiutiamo, ma garantisco che psicologicamente è una situazione davvero snervante".

San Gimignano: ministro disinteressato ai problemi del carcere

 

Il Tirreno, 2 dicembre 2008

 

"Una risposta che denota assenza di interesse e di volontà nel risolvere un problema posto da tempo. Una questione che rischia di cadere in un consapevole oblio nella speranza che gli amministratori locali sopperiscano al dovere del Governo nazionale".

Così il sindaco di San Gimignano interviene sulla risposta del ministro della giustizia, Angelino Alfano, all’interrogazione presentata nei mesi scorsi dall’onorevole Franco Ceccuzzi in merito ai problemi di cui soffre la Casa di Reclusione di Ranza. "Chi si aspettava risposte concrete da questo Governo quando si tratta di mantenere in buona efficienza servizi essenziali - prosegue Lisi -, sarà rimasto nuovamente deluso, ma noi, come ha sottolineato l’onorevole Ceccuzzi, ci aspettavamo proprio una risposta generica ed evasiva.

I problemi della Casa di Reclusione di Ranza sono noti da tempo. Sono problemi strutturali che vanno dall’approvvigionamento idrico, ai collegamenti con il Centro fino alla ormai cronica mancanza di personale. Sull’approvvigionamento idrico, in accordo con l’ATO2 Basso Valdarno, abbiamo dato da tempo la disponibilità concreta a progettare un collegamento idrico all’acquedotto comunale. Non abbiamo ricevuto risposte. Per i collegamenti con il centro manca davvero poco per rendere fattibile l’estensione del trasporto urbano.

Anche in tal caso un piccolo intervento del Ministero sarebbe risolutivo. Anche in tal caso staremo a vedere con poca fiducia ma con la speranza di essere smentiti. L’amministrazione comunale, per quanto gli compete e anche oltre se necessario - conclude il primo cittadino di San Gimignano -, è pronta a fare la sua parte, ma non c’è dubbio che il Governo deve dare un forte segnale d’attenzione e volontà concreta atta a migliorare le condizioni di vita e di lavoro degli operatori e dei detenuti".

Oristano: Cgil; direttore carcere non rispetta pari opportunità

di Michela Cuccu

 

La Nuova Sardegna, 2 dicembre 2008

 

L’atto d’accusa lo ha stilato la Cgil e suona più o meno così: "Il direttore del carcere di Oristano non applica il diritto delle pari opportunità". La vicenda è quella di un interpello, un concorso interno per la copertura di un posto all’ufficio matricola dell’istituto penitenziario oristanese. Secondo il coordinatore regionale della Polizia penitenziaria della Cgil, sindacato che della vicenda ha anche interessato in ministri della giustizia e delle pari opportunità, ma anche il Provveditorato regionale amministrativo penitenziario, il direttore avrebbe escluso una agente dalla possibilità di partecipare alla selezione.

Denuncia pesante, sottoscritta anche dal segretario provinciale della funzione pubblica della Cgil, Piero Luigi Medde: "È un atto grave: escludere da un concorso un potenziale candidato solo perché donna è inaccettabile". E la questione, destinata ad approdare a Roma, è stata anche oggetto di un intervento in Consiglio regionale. Maria Grazia Caligaris, del Ps, componente della Commissione diritti civili, tuona in un comunicato: "È inconcepibile che nella Casa circondariale di Oristano non venga rispettato il principio delle pari opportunità tra uomo e donna. Ritengo che si sia trattato di un malinteso o di una errata interpretazione di una nota del Provveditore della Sardegna".

Quindi l’invito rivolto alla direzione della Casa circondariale oristanese "a rivedere il provvedimento, anche per evitare un intervento della consigliera di pari opportunità". La replica del direttore del carcere di Oristano, Pier Luigi Farci, non si è fatta attendere: "Nessuna legge è stata violata: l’interpello si è svolto regolarmente". Il direttore dice di "esser rimasto sorpreso da una denuncia che non ha alcun fondamento in quanto è stato rispettato l’accordo, siglato con tutti i sindacati, Cgil compresa, che in pratica dispone il trasferimento delle agenti donna dagli uffici alle sezioni".

Spiega il direttore: "Purtroppo tutto è legato agli organici carenti a fronte di un numero di detenute nelle carceri sarde piuttosto alto, 70. Solo nella sezione di Oristano ce ne sono otto. A malincuore tempo fa sono stato obbligato a trasferire nella sezione femminile una agente che lavorava proprio nell’ufficio matricola. Se avessi potuto, quel posto lo avrei proprio assegnato a questa agente che ha l’esperienza necessaria per svolgere un incarico così delicato.

Purtroppo, sempre nel rispetto dell’accordo, all’interpello hanno potuto partecipare soltanto maschi. In ogni caso - conclude il direttore - sono pronto a incontrare i sindacati per spiegare meglio la cosa. Ma quell’accusa di mancato rispetto delle pari opportunità, francamente, è a dir poco ingiusta".

Milano: spazio alle cooperative sociali che lavorano in carcere

 

Redattore Sociale - Dire, 2 dicembre 2008

 

La Fiera del consumo critico di Milano (13-15 marzo 2009) dedicherà una sezione alle produzioni dei detenuti. Per chi lavora la recidiva si abbassa tra l’1 e il 5% contro il 70% del resto della popolazione carceraria.

Una sezione completamente dedicata all’economia carceraria. È una delle sfide dell’edizione 2009 di "Fa’ la cosa giusta!", la fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, in programma a Milano (Fieramilanocity) dal 13 al 15 marzo. "L’idea di questa sezione dedicata, nasce dalla volontà di dare maggior risalto all’esperienza di cooperative sociali che lavorano in carcere e che negli anni sono state presenti in fiera", spiega Sabina Eleonori, referente del progetto.

Da Siracusa a Torino, le esperienze coinvolte saranno le più diverse. Al momento si sta elaborando un’apposita mappatura che permetterà di contattare le realtà di cooperative sociali presenti sul territorio nazionale in diversi istituti di pena. Cooperative che si occupano della produzione di capi d’abbigliamento, di artigianato, di alimenti, di riuso e riciclo. Cinque realtà di questo tipo erano già presenti alla scorsa edizione di "Fa’ la cosa giusta!", ma erano divise tra le varie sezioni espositive; ora l’area dedicata renderà più visibile il peso specifico della loro presenza.

Realtà importanti per i detenuti: tra chi ha svolto attività lavorative in carcere infatti la recidiva è molto bassa (tra l’1 e il 5% contro il 70% del resto della popolazione carceraria). Ma solo un detenuto su tre è impegnato in attività lavorative.

"Crediamo possa essere una occasione davvero unica - spiega Sabina Eleonori - tanto per i visitatori, che potranno toccare con mano quello che troppo spesso è considerato un mondo a parte, quanto per le cooperative stesse, che per la natura del loro lavoro non hanno così spesso occasione di ritrovo e scambio, fuori dalle mura". Accanto allo spazio espositivo saranno proposte diverse occasioni d’incontro, laboratori e mostre. Ci sarà inoltre uno spazio dedicato alla realtà della cooperativa Estia, cui fanno capo la compagni teatrale e la falegnameria del carcere di Bollate.

Torino: film, documentari e incontri sulla vita dei minori detenuti

 

Redattore Sociale - Dire, 2 dicembre 2008

 

Film, documentari, incontri: Torino dedica due giornate, il 10 e l’11 dicembre ai minori in carcere e ai percorsi di recupero. Si chiama "Ora d’aria" la sezione speciale della rassegna Sottodiciotto Filmfestival.

Film, documenti, incontri e riflessioni: due giorni (il 10 e l’11 dicembre) dedicati al tema della carcerazione minorile e dei percorsi di recupero per i minori che delinquono. Un programma speciale dal titolo "Ora d’aria", proposto dal Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, attraverso Camera (Centro audiovisivo e mediatico sulla rappresentazione dell´infanzia e l'adolescenza). L’iniziativa - inserita all’interno della IX edizione della rassegna Sottodiciotto Filmfestival - Torino Schermi Giovani (4-13 dicembre), dedicata ai diritti dei minori e presentata ieri a Torino - vuole portare all’attenzione del pubblico una questione centrale per il futuro di ogni società.

L’educazione e l’istruzione, la cittadinanza e l’emigrazione, il rapporto tra azione punitiva e riabilitazione, il disagio giovanile, la capacità di inclusione sociale, la dimensione identitaria del singolo: l’intento della rassegna è di gettare uno sguardo oltre le sbarre per l’occasione per una verifica stringente dello stato di applicazione dei diritti dei minori e del grado di attenzione che la nostra società rivolge alle fasce più deboli della popolazione.

Le due giornate proporranno un focus di film e documentari di recente realizzazione sulla vita nelle carceri minorili e i percorsi di detenzione alternativa in Italia e in alcune realtà straniere.

La sera del 10 dicembre si terrà una tavola rotonda tra registi che hanno girato i propri film nelle carceri o organizzato attività nelle carceri minorili e alcuni ragazzi ex detenuti o in regime di detenzione alternativa che hanno partecipato alla lavorazione di film o a laboratori audiovisivi.

Presenti Davide Ferrario (il cui ultimo film, ancora in produzione, è stato girato nel carcere delle Vallette di Torino), Lara Rastelli, Enrico Pau, Piergiorgio Gay, assieme ad alcuni ragazzi che hanno partecipato a produzioni audiovisive all’interno degli istituti di pena per i minori di Nisida (Napoli) e del Ferrante Aporti (Torino).

Si discuterà delle immagini e degli immaginari di chi vive dentro e fuori gli istituti di pena, di come la presenza della videocamera possa modificare le dinamiche interne a un gruppo, del rapporto tra identità del minore carcerato e rappresentazione della sua condizione.

Ancora il 10 dicembre, gli interventi di magistrati, direttori di istituti di pena, educatori e operatori, esperti di diritti umani, un’occasione per confrontarsi sulla condizione dei minori reclusi e sulle forme di detenzione alternative, sulle politiche di prevenzione e di reinserimento sociale a vent’anni dall’istituzione del codice di procedura penale per i minorenni. L’11 invece il festival si sposterà al Ferrante Aporti, dove verrà proiettato ai ragazzi il film "Jimmy della Collina" di Enrico Pau.

"Lo sguardo della società verso i ragazzi che finiscono in carcere è condizionato da molti luoghi comuni che spesso impediscono di avvicinare la loro realtà e di comprendere le cause della devianza - si legge nella nota degli organizzatori – E il tema del reinserimento di chi delinque resta marginale nel dibattito pubblico e nelle iniziative politiche. Il cinema può dare una mano a ricondurre la percezione di questo fenomeno, spesso ignorato o deformato dai media, sui binari della riflessione condivisa".

Milano: San Vittore; i detenuti incidono un cd con dieci brani

di Zita Dazzi

 

La Repubblica, 2 dicembre 2008

 

Un cd con dieci brani pensati, cantati, suonati, prodotti, registrati e mixati nel carcere milanese di San Vittore, uno dei penitenziari più grandi e affollati d’Italia con i suoi 1.400 detenuti stipati in celle che potrebbero contenerne al massimo 900. Sono canzoni di lotta e d’amore: sfrontate, dolci, arrabbiate o malinconiche. Pezzi rap e suoni cadenzati della musica africana, melodie della canzone classica italiana e ritmi sincopati alla maniera hip hop. È il disco "Angeli di sabbia", il primo nel suo genere in Italia, interamente ideato e realizzato da detenuti dell’e norme penitenziario milanese.

Un solo ospite speciale, il musicista Roy Paci, che ha voluto dare il suo aiuto a un progetto che al lato artistico unisce lo scopo di recupero sociale dei protagonisti. I musicisti sono una quindicina - italiani e stranieri - sotto il coordinamento dell’argentino Alejandro Jaraj, che dal ‘94 coordina la scuola di musica dell’istituto pena. Il progetto nasce all’interno del Vlp Sound, il laboratorio di musica "la cura Vale La Pena" finanziato dalla Provincia di Milano. La band che ha realizzato il cd è da tempo un gruppo stabile, che suona in uno spazio concesso dalla direzione del carcere. Gli strumenti sono donati da Comune e Provincia.

La cella 17 al terzo raggio è lo studio di registrazione e la sala prove in cui si lavora per 20 ore alla settimana. Il carcere di San Vittore ospita ogni anno anche un apprezzato festival musicale, "Sing Sing", dove la band dei detenuti si era già fatta notare per l’ottimo livello raggiunto. "Il sogno sarebbe quello di realizzare uno studio di registrazione anche fuori del carcere, per permettere agli ex detenuti di continuare il percorso di riabilitazione iniziato dietro alle sbarre proprio grazie alla musica, diventata un elemento di umanizzazione dell’istituto penitenziario", spiega il produttore Jaraj. Giovedì mattina, nella sala polivalente del carcere in piazza Filangieri 2, dalle 11.30 alle 12.30, il disco sarà presentato in forma ufficiale alla presenza delle autorità e del rapper italiano Frankie H-NRG.

Roma: una città più sicura, quest’anno i reati diminuiti del 18%

di Tiziana Paolocci

 

Il Giornale, 2 dicembre 2008

 

Una ricerca del ministero dell’Interno, anticipata da Il Sole 24 ore, svela che in Italia nel primo semestre 2008 furti, scippi e rapine sono calati mediamente del 10 per cento rispetto allo stesso periodo del 2007. A Roma, invece, la frenata è stata più brusca e i reati sono scesi del 18 per cento, anche se la capitale resta al settimo posto per numero di episodi criminali rispetto alla popolazione (299,57 ogni 10mila abitanti), preceduta da Milano, Bologna Torino, Genova, Rimini e Firenze.

Nel Paese le denunce fatte alle forze dell’ordine da gennaio a giugno 2008 si sono mantenute intorno a quota 1348, con un trend in discesa ovunque, ad eccezione di Trieste, Palermo, Brindisi, Messina, Cagliari ed Enna e la notizia incoraggiante è che a Roma la diminuzione è inferiore soltanto a quella registrata a Genova, Padova, Ferrara, Pordenone, Isernia e Treviso. I reati in Italia, invece, sono stati 1.348.492 e di questi 121.672 hanno avuto come teatro la nostra città.

I provvedimenti presi dalla giunta Alemanno per rendere la città maggiormente vivibile, quelli adottati dal Governo, e la rete a maglie strettissime tesa dalle forze dell’ordine, sono riusciti a ridurre decisamente l’azione della microcriminalità di strada: furti e borseggi nel primo semestre di quest’anno sono stati novemila, con una flessione del 41,63 per cento. Si tratta di reati che solitamente avvengono durante le ore diurne e il calo testimonia l’utilità della maggior presenza delle forze dell’ordine sul territorio.

Il reato più difficile da abbattere resta, però, il furto in abitazione. I topi d’appartamento si sono dati da fare parecchio e le denunce sono state più di cinquemila, su un totale nazionale di settantaduemila. Aumentati anche i soggetti maggiorenni denunciati e arrestati che sono stati 19.307 e 8.075.

"I dati diffusi dal ministero dell’Interno e pubblicati ieri dal Sole 24 Ore rappresentano un risultato importante raggiunto dalla giunta Alemanno - spiega Fabrizio Santori, presidente della Commissione Sicurezza del Comune -. Il calo del 18 per cento è un importante segnale dal quale partire per continuare a migliorare la nostra politica di tutela della legalità e di lotta a ogni forma di degrado".

"Secondo le rilevazioni del Viminale, infatti, i soggetti denunciati e quelli arrestati sono cresciuti - prosegue - e i risultati scaturiscono da una maggiore attività di contrasto da parte di polizia, carabinieri, vigili urbani e guardia di finanza, che hanno avuto un ruolo fondamentale. Il sindaco Alemanno e la sua giunta si sono da subito impegnati per la firma del Patto per Roma Sicura finalizzato a restituire sicurezza alla capitale".

I furti d’auto, invece, hanno registrato un meno 19,33 per cento e le rapine un decremento del 16,67 per cento. "Analizzando le cifre sulle attività di contrasto alla criminalità - aggiunge Santori - possiamo rilevare inoltre come, nonostante sia calato il totale dei delitti commessi e allo stesso tempo siano aumentati dell’8,28 per cento i soggetti denunciati in libertà, a testimonianza del notevole sforzo messo in campo dal Governo nazionale, e del 14 per centro le persone arrestate".

"È un risultato importante - interviene il sindaco Gianni Alemanno -. Se si guarda al trend di riduzione dei delitti si nota come questo sia costante. Ciò dimostra che le politiche sulla sicurezza, che si sono realizzate, sono efficaci e hanno un riscontro preciso. Non bisogna abbassare la guardia, bisogna insistere su questa strada. Stiamo su quella giusta". "Rimane solo l’amarezza - dice il consigliere Samuele Piccolo - che per attuare certe restrizioni e per firmare i vari patti siano morte tante, troppe persone. I provvedimenti presi erano necessari e urgenti. È grazie al loro sacrificio, che ora i romani sono più sicuri".

Corretto è anche il percorso intrapreso sul fronte dei minori, perché sono diminuiti sia i soggetti denunciati (-14,93 per cento) sia quelli arrestati (-32,08 per cento). "In questo contesto - conclude Santori - appare importante non solo il lavoro di prevenzione e di contrasto alla criminalità minorile, ma anche gli interventi sociali e soprattutto l’accresciuta attenzione delle famiglie alle problematiche dei figli".

Impresa quasi impossibile, invece, prevenire gli omicidi, che solo da gennaio a giugno sono stati diciassette. Qualche speranza in più nel contrasto delle frodi informatiche (3.531), complicate da scoprire perché attraverso Internet i malviventi riescono a raggiungere ovunque le vittime, rimanendo troppo spesso nascosti.

Diritti: Vaticano; Onu non deve depenalizzare l’omosessualità

 

Il Sole 24 Ore, 2 dicembre 2008

 

Il Vaticano prende posizione contraria alla proposta che la Francia, a nome dei 25 Paesi della Unione europea, si appresta a fare all’Onu per la depenalizzazione dell’omosessualità nel mondo. Il rappresentante della Santa Sede alle Nazioni Unite, mons. Celestino Migliore, ha spiegato che nei confronti delle persone omosessuali la Chiesa intende evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione, "ma qui - ha avvertito - la questione è un’altra. Con una dichiarazione di valore politico, sottoscritta da un gruppo di Paesi, si chiede agli Stati ed ai meccanismi internazionali di attuazione e controllo dei diritti umani di aggiungere nuove categorie protette dalla discriminazione, senza tener conto che, se adottate, esse creeranno nuove e implacabili discriminazioni". "Per esempio - è il ragionamento di mons. Migliore - gli Stati che non riconoscono l’unione tra persone dello stesso sesso come matrimonio verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni".

Una presa di posizione, quella vaticana, che fa indignare i movimenti di gay e lesbiche, i quali accusano la Santa Sede di criminalizzare l’omosessualità. "Le argomentazioni addotte - attacca Franco Grillini, storico leader degli omosessuali italiani e presidente dell’agenzia d’informazione Gaynet - sono totalmente prive di fondamento. Si tratta dell’ennesima posizione di retroguardia espressa dal Vaticano come Stato che peraltro non aderisce all’Onu non avendo firmato la dichiarazione dei diritti umani". "La situazione grottesca - continua Grillini - è quindi quella di uno stato teocratico e autoritario che in qualità di osservatore alle Nazioni unite, lavora costantemente per negare quei diritti umani riconosciuti in tutto l’Occidente".

E dopo l’intervento di mons. Migliore, precisa la posizione del Vaticano il direttore della sala stampa padre Federico Lombardi, sottolineando che "nessuno vuole difendere la pena di morte per gli omosessuali": "I noti principi del rispetto dei diritti fondamentali della persona e del rifiuto di ogni ingiusta discriminazione - che sono sanciti a chiare lettere nello stesso Catechismo della Chiesa cattolica - escludono evidentemente non solo la pena di morte, ma tutte le legislazioni penali violente o discriminatorie nei confronti degli omosessuali".

"Ma qui - prosegue padre Lombardi - si tratta di altro, non solo di depenalizzare l’omosessualità come è stato scritto, ma di introdurre una dichiarazione di valore politico che si può riflettere in meccanismi di controllo in forza dei quali ogni norma che non ponga esattamente sullo stesso piano ogni orientamento sessuale, può venire considerata contraria al rispetto dei diritti dell’uomo. Ciò può diventare chiaramente strumento di pressione o discriminazione nei confronti di chi - solo per fare un esempio molto chiaro - considera il matrimonio fra uomo e donna la forma fondamentale e originaria della vita sociale e come tale da privilegiare. Non per nulla meno di 50 Stati membri delle Nazioni Unite hanno aderito alla proposta in questione, mentre più di 150 non vi hanno aderito".

Droghe: "punire è educare", parola del Ministero della Verità

di Sergio Segio

 

Fuoriluogo, 2 dicembre 2008

 

Basta parlare di legalizzazione della cannabis e subito si odono latrati e strepitii. La fondatezza delle acquisizioni di Ivan Pavlov in materia di riflessi condizionati questa volta si è dimostrata in quel di Como. Benedetto Scaglione, provveditore agli studi, si è azzardato a dire che di fronte al problema droga andrebbe fatto "qualcosa in più del mandare la polizia fuori dalle scuole" e a suggerire che le droghe leggere "andrebbero vendute in farmacia sotto stretta sorveglianza e con limiti ben precisi".

Apriti cielo! I primi attacchi sono venuti dal sindaco e da politici locali, seguiti a ruota da Carlo Giovanardi, sottosegretario con delega alle tossicodipendenze, già noto per aver legato il suo nome all’attuale legislazione in materia, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. L’ultimo Rapporto dell’Osservatorio europeo certifica che l’Italia è tra i paesi dove più alto è il consumo di cocaina (la usa il 3,2% dei giovani tra i 15 e i 34 anni) e, assieme alla Spagna, il primo per quello di cannabis (l’11,2% della popolazione tra i 15 e i 64 anni).

E, in effetti, basta passare in corso Como a Milano o in una qualsiasi piazza di periferia, nelle discoteche o in certi locali del Nord, del Centro o del Sud d’Italia per poter acquistare senza problemi una delle tante sostanze illegali. Una parte rilevante della florida economia mafiosa si regge su questo segmento del mercato criminale. Un segmento che si vuole preservare, a ogni costo. A prezzo di uno sconquasso del sistema giudiziario e penitenziario, di morti, malattie, infezioni, degrado sociale.

Ma questo, evidentemente, a Giovanardi non risulta. O non interessa. Lui preferisce abbaiare alla luna del luogo comune e lanciare consueti proclami sui "danni cerebrali provocati dalle droghe". Come se quelle attualmente legali, alcool in testa, non fossero provatamente quelle in assoluto più tossiche e letali. Eppure se ne continua a consentire e anzi a incentivare la vendita in ogni autogrill, con un conto di vittime infinitamente superiore. Ma chiedere coerenza e buonsenso ai paladini dell’oscurantismo è manifestamente una missione impossibile.

Proibito capire, titolava uno dei libri del nostro compianto Giancarlo Arnao. Ora è proibito non solo sperimentare strade nuove rispetto al plateale fallimento delle politiche sin qui seguite, ma anche semplicemente provare a discuterne. Che si tratti di cannabis, stanze del consumo o riduzione del danno.

Ciò non dipende solo dal fatto che oggi vanno per la maggiore (e sono al governo) le droghe nocive della propaganda e dell’ideologia. Non è solo questo. La proibizione, infatti, è anche un redditizio business. Per le mafie, anzitutto. Ma pure per quegli apparati di controllo e rieducazione forzosa che dell’illusione repressiva e di certe metodologie hanno fatto la loro bandiera. Un marchio di fabbrica che ora si cerca di fare operare in regime di monopolio politicamente assistito. Come a Milano, dove, secondo le direttive del Comune, per poter accedere ai bandi per i progetti di riabilitazione e assistenza, le associazioni e comunità dovranno lavorare "in affiancamento alle forze dell’ordine" e in adesione al "modello San Patrignano".

Viene in mente l’orwelliano Ministero della Verità, sulla cui sede si potevano leggere gli slogan programmatici: La guerra è pace, La libertà è schiavitù, L’ignoranza è forza. Allo stesso modo, il Popolo della Libertà ci ripete instancabile nella sua orrida neolingua: punire è educare, perseguitare è salvare.

 

 

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