Rassegna stampa 1 dicembre

 

Giustizia: i reati diminuiscono del 10%, gli arresti aumentano

di Rossella Cadeo

 

Il Sole 24 Ore, 1 dicembre 2008

 

Anche i reati sembrano essere entrati in una fase di recessione: proseguendo la tendenza al calo iniziata peraltro già a metà 2007, le prime rilevazioni del ministero dell’Interno indicano una frenata del 10% nel primo semestre del 2008 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. A fronte, infatti, del milione e mezzo di delitti denunciati alle Forze dell’ordine da gennaio a giugno 2007, quest’anno le denunce, nello stesso arco di tempo, si sono mantenute intorno a quota 1.348mila.

I "patti per la sicurezza" firmati in alcune città, l’esaurimento dell’effetto indulto, le misure per la sicurezza (alcune peraltro già avviate già ai tempi del Governo Prodi) sono alcuni dei fattori che possono in parte spiegare questa flessione. Ma anche una maggiore attività di contrasto ha giocato un ruolo non indifferente: sono aumentati i soggetti denunciati (del 3,8%, raggiungendo quota 364mila) e le persone arrestate (oltre 82mila, quasi l’11% in più). Un trend che si riscontra anche tra i minori, con 12.860 denunciati (+9,4%) e 3mila arrestati (+4,6%).

 

I delitti sul territorio

 

Se è vero che la percezione nella pubblica opinione può essere ancora negativa, i dati statistici parlano comunque di un miglioramento che interessa pressoché tutto il territorio: basta guardare la tabella al centro della pagina dove solo per sei province (Trieste, Brindisi, Messina, Palermo, Cagliari ed Enna) emerge una lieve crescita dei fatti delittuosi. Rapportando invece il totale dei fenomeni alla popolazione, secondo i calcoli effettuati dal Sole 24 Ore del lunedì, risulta che nel primo semestre 2008 ogni 10mila abitanti si sono verificati 226 eventi delittuosi (considerando comunque solo quelli che sono stati denunciati).

A concentrare il maggior numero di reati in rapporto alla popolazione sono le grandi province, con Milano, Bologna, Torino, Genova, Rimini, Firenze e Roma, che evidenziano un indice fra 299,6 e 373 delitti ogni 10mila residenti. Tutte del Mezzogiorno invece - eccetto Belluno al 96° posto e Treviso al 94° - le dieci aree meno colpite dalla criminalità: il risultato migliore spetta a Matera (104), seguita da Enna e Potenza sotto l’indice di 120.

La graduatoria cambia poco se si considerano i volumi complessivi dei fatti criminosi. A spiccare sono sempre le "metropoli": Milano e Roma si collocano in testa, rispettivamente con 146mila e 122mila episodi denunciati da gennaio a giugno 2008. Se si aggiungono le altre due province oltre la soglia dei 70mila reati (Torino e Napoli), si nota che le quattro aree da sole totalizzano oltre 420mila denunce, quasi un terzo del totale rilevato in tutta Italia. Intorno a quota 2mila, invece, si trovano le "piccole" Isernia, Oristano, Enna, Matera e Rieti.

Quanto all’attività di contrasto, Brindisi, Enna e Messina evidenziano gli incrementi più significativi dei soggetti denunciati, mentre Imperia e Pescara hanno il maggior numero di denunciati ogni 10mila abitanti (rispettivamente 170 e 103). Invece Crotone, Cuneo e Como spiccano per le variazioni degli arrestati, a fronte di Rimini, Brescia e Pescara che evidenziano l’incidenza più elevata (la prima con 27, le altre due con 22 arrestati ogni 10mila abitanti).

 

Le tipologie

 

Certo il complesso degli atti contro la legge resta ancora alto (basti pensare che corrisponde a una media di 7.500 al giorno, oltre 300 all’ora, ovvero cinque al minuto), ma può consolare il fatto che tutte le principali tipologie di reati hanno evidenziato una riduzione, e alcune in misura significativa. I borseggi, ad esempio, sono arretrati del 24% a quota 64.398 e gli scippi sono scesi del 21% sotto il tetto dei 10mila episodi denunciati. L’appeal dell’auto sembra soffrire anche sul fronte delle appropriazioni illegittime: meno 19%, a quota 76mila i furti da gennaio a giugno 2008, ma si tratta di una dinamica in atto già da tempo, spiegabile anche con i più sofisticati sistemi di sicurezza e di controllo satellitare installati sui veicoli.

Meno pesante anche la piaga delle truffe (-21%, 52mila denunce) e delle rapine (-11%, sotto 24mila casi), più preoccupante l’andamento dei furti in casa, che sono scesi appena dell’8% a 72mila. Gli omicidi volontari, infine, si mantengono intorno ai 600-620 all’anno.

Giustizia: numeri sui reati in bilico tra normalità ed emergenza

di Maurizio Fiasco

 

Il Sole 24 Ore, 1 dicembre 2008

 

Il trend dei delitti è tornato ai livelli del 2006 prima del provvedimento parlamentare di clemenza. Tra le aree metropolitane, solo a Palermo i delitti sembrano aumentare, mentre nelle altre la deflazione è evidente. Con Roma, Bologna, Firenze, Venezia e Torino che fanno meglio tra i 4,5 e gli 8 punti rispetto alla media nazionale (-10,2% nel primo semestre 2008 sul primo semestre 2007). Ma quale immagine ci restituiscono queste informazioni sulla criminalità che risulta alle forze di polizia? Città meno "a rischio"? Più sicurezza per i cittadini? Giudizi troppo tranciant.

Conviene non dimenticare, infatti, che i dati - e la diminuzione di 10 punti - riportano quanti reati sono stati registrati ufficialmente dai servizi della sicurezza pubblica. Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza non sono distribuiti uniformemente nel territorio nazionale, ma presentano una concentrazione di risorse, umane e organizzative, assai differenziata. Molti uomini e mezzi nelle grandi province e, soprattutto, nelle regioni meridionali. Presìdi più contenuti verso Nord e Centro.

Senza un’organizzazione che raccolga le denunce, o che agendo di iniziativa persegua o prevenga il compimento dei reati, non si forma alcuna evidenza empirica di un fenomeno, la criminalità, che per oltre il 50% dei casi (indagine Istat) permane nel "sommerso". Basterebbe chiudere una p arte di commissariati di Ps e stazioni dei Carabinieri per ottenere un consistente calo del dato statistico. I cittadini denunciano i reati quanto più il luogo dove si raccolgono i "reclami" è prossimo, raggiungibile, accogliente, efficiente e disposto ad aprirsi all’ascolto. E quanto più (come recita la legge 121/81) l’organizzazione di polizia "sollecita la collaborazione".

Non possiamo oggi, come non era corretto ieri, sostenere una "emergenza criminalità" in Italia. Riassorbito l’effetto dell’indulto (che fu una scelta "ideologica" e non di politica della giustizia) quando tornarono al "lavoro criminale" almeno 10mila plurirecidivi, il trend dei delitti si è riassestato sui valori del 2006. Inoltre si può notare come nei periodi di recessione economica, con il calo dei consumi e la conseguente minore visibilità della ricchezza, anche la delinquenza predatoria "dilaghi" un po’ meno.

Forse va dunque colta l’occasione per un’analisi liberata dalle iper-eccitazioni polemiche. La priorità "criminalità" è costruita (e de-costruita) per una congiuntura politica e di opinione pubblica. Costruzione e decostruzione hanno un costo, per l’allocazione delle risorse finanziarie pubbliche, per i traguardi di servizio volti a soddisfare una domanda dei cittadini. Le politiche pubbliche non si orientano razionalmente su evidenze obiettive in materia di sicurezza (pubblica, della salute, stradale, sul lavoro). In misura determinante pesa il rilievo simbolico del tema e la "percezione" da parte dell’opinione pubblica. Le "paure" nella "società del rischio" sono a geometria variabile e risentono dell’organizzazione cognitiva che una società possiede delle informazioni.

Il rischio di vittimizzazione è avvertito come acuto, come priorità numero uno. Proprio per il valore contenuto (quei 600 omicidi volontari ogni anno in Italia sono il livello più basso nella Ue), la preoccupazione per vicende come quelle di Erba e di Cogne si fissa nella memoria collettiva. Che rigetta, invece, l’apprezzamento di altri dati perché iperbolici (eppure effettivi) come le 4omila morti all’anno per errori cognitivi in campo medico (Cnr, Fondazione Smith Klein, Associazione degli anestesisti); le 6.500 vittime della strada; i 1.300 morti per infortuni sul lavoro.

Si potrebbe cogliere l’occasione per sottrarre il dibattito sulla questione criminale in Italia alle impostazioni polemiche, che poi inficiano la razionalità delle scelte pubbliche e disincentivano l’efficienza degli apparati di sicurezza. I dati sul primo semestre 2008 riguardano un periodo di transizione, quando il vecchio Governo gestiva l’ordinaria amministrazione e l’attuale gabinetto ancora non aveva preso alcuna decisione in materia di sicurezza pubblica. Interpretare i valori statistici in chiave di risultato - di questa o quell’altra misura, spesso dalla dubbia razionalità - è inopportuno.

Varrebbe la pena dare inizio a una tematizzazione della questione sicurezza, più orientata a migliorare la qualità dei servizi dello Stato e a innalzare la soddisfazione dei cittadini per il sistema delle forze di polizia. Come ci spiegano le scuole manageriali, è preferibile sollecitare una "cultura d’uso" - che stimola i "clienti" a partecipare al processo produttivo e di servizio - che aprire la valvola delle promesse e dei messaggi simbolici.

Giustizia: Camera; proposta Pdl su Garante diritti dei detenuti

 

Adnkronos, 1 dicembre 2008

 

Può compiere, senza aver bisogno di alcuna autorizzazione, veri e propri blitz negli istituti penitenziari, negli ospedali psichiatrici giudiziari, negli istituti penali e nelle comunità per minori, per verificare che sia assicurata la tutela dei diritti fondamentali. È il Garante nazionale per i diritti dei detenuti, che il Pdl chiede di istituire con la proposta di legge presentata a Montecitorio dal deputato Salvatore Torrisi, avvocato e presidente dell’ordine forense di Catania.

Nella passata legislatura era stato raggiunto un accordo bipartisan per l’istituzione della "Commissione per la promozione e la tutela dei diritti umani" e della figura del Garante per i diritti dei detenuti, ma poi le elezioni anticipate hanno impedito al provvedimento di proseguire il proprio cammino. Il Garante, però, diversamente da quanto previsto dalla proposta bloccata dalla fine anticipata della legislatura, non sarà un organo collegiale, bensì monocratico (con la sola presenza di un vice). Per motivi di cassa: "nelle condizioni in cui si trova la nostra finanza pubblica - spiega Torrisi - sarebbe sbagliato pensare a strutture complesse e soprattutto costose".

Inoltre, rileva Torrisi, l’Italia è uno dei pochi Paesi europei a non aver ancora dato attuazione alla risoluzione dell’Onu che impegna gli Stati membri ad istituire organismi nazionali "autorevoli e indipendenti, per la promozione e la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali".

Il Garante, spiega Torrisi, potrebbe avere diverse finalità: l’allentamento delle tensioni, la mediazione, la raccolta di un prezioso patrimonio di informazioni; potrebbe svolgere una funzione di deterrente rispetto a tentazioni di maltrattamenti, potrebbe diventare uno "specchio pubblico" delle condizioni di detenzione e un punto di partenza per una periodica discussione parlamentare sui temi del carcere e dei diritti dei detenuti, anche tenendo conto del fatto che la proposta prevede che il Garante relazioni al Parlamento con cadenza annuale.

I compiti cui è chiamato il Garante sono molti: può abbreviare i tempi per un ricovero ospedaliero, fornire le informazioni per l’accesso al patrocinio gratuito per i non abbienti, sollecitare i lavori necessari per migliorare le condizioni igienico-sanitarie dell’istituto, verificare la compatibilità delle circolari ministeriali con le leggi che regolano la materia, monitorare i regolamenti interni e, soprattutto, garantire, attraverso visite ispettive (anche senza preavviso) il rispetto di standard minimi di trattamento.

Il Garante e il suo vice, secondo la proposta Torrisi, sono nominati dal Consiglio dei ministri su proposta del premier; restano in carica cinque anni e possono essere riconfermati per una sola volta. L’istituzione del Garante costerebbe allo Stato 10 milioni di euro l’anno, di cui 9 milioni e 600mila euro per il funzionamento dell’ufficio e 400mila euro per gli emolumenti, compresi quelli del vice.

Giustizia: oltre 27 mila celle, ma soltanto 4 mila sono in regola

di Gian Marco Chiocci e Luca Rocca

 

Il Giornale, 1 dicembre 2008

 

La spesa non vale l’impresa carceraria. Perché le somme di denaro dilapidate negli anni per la manutenzione ordinaria e straordinaria di vecchie prigioni (alcune delle quali all’avanguardia nel Medioevo,altre costruite tra il Seicento e l’Ottocento) raggiunge vette impensabili. Solo una percentuale bassissima di strutture rispettano le norme dello Stato, così come previsto dal nuovo ordinamento penitenziario che impartisce regole ferree sul trattamento dei detenuti e sui locali che li ospitano. Soldi investiti per metà delle galere italiane che essendo antiquate, fatiscenti, sovraffollate, igienicamente a rischio, non andrebbero più utilizzate.

"Il 50 per cento - ha detto il ministro Alfano - sono da chiudere. Oggi abbiamo 58mila detenuti rispetto ai 47mila di un anno fa, e i posti realmente disponibili sono 37mila". Dunque 20mila detenuti in più rispetto alla capienza massima sopportabile. Sotto i riflettori del Dap, del sindacato Sappe, e delle associazioni, sono finite le carceri meno degne di questo nome. Ecco l’elenco: Chieti, Lamezia Terme, Reggio Calabria (parte detentiva) Paola, Ariano Irpino, Eboli, Lauro, Napoli-Poggioreale, Pozzuoli, Sala Consilina, Vallo della Lucania, Forlì, Modena San Giuliano, Gorizia, Pordenone, Civitavecchia (vecchio complesso) Paliano, Roma-Regina Coeli, Imperia, Savona, Brescia Canton Mombello, Castiglione delle Stiviere, Como, Milano San Vittore, Ancona Monteacuto, Camerino, Fermo, Fossombrone, Alessandria Don Soria, Bari, Foggia e Brindisi (lavori in corso), Lucera, San Severo, Spinazzola, Turi, Cagliari. E ancora. Alghero, Sassari, Tempio Pausania, Barcellona Pozzo di Gotto, Catania Pia Lanza, Favignana (ha le celle sotto terra), Giarre, Marsala, Messina, Ristretta, Modica, Nicosia, Noto, Palermo-Ucciardone, San Cataldo, Sciacca, Arezzo, Grosseto, Montelupo Fiorentino, Pistoia, Siena, Volterra, Bolzano, Rovereto, Trento, Belluno, Rovigo, Venezia-Santa Maria Maggiore.

Nei penitenziari da chiudere, i suicidi sono in aumento (nei primi 10 mesi dell’anno ben 37), le rivolte covano, i tanti soldi impegnati tamponano da anni l’emergenza, non la risolvono. Per avere un’idea dello sfascio, occorre tenere conto delle cifre estrapolate dal network Radio Carcere. Su 28.828 celle presenti nelle nostre 205 carceri, solo 4.763 sono a norma. Il 16,5 per cento del totale.

Una violazione diffusa, da nord a sud. Su 530 sale-colloqui, poi, solo 272 rispettano gli standard prefissati per legge. Quanto al sovraffollamento, di media si arriva anche a 8-10 detenuti per celle che contengono 2, massimo 4 posti letto. In una quindicina di strutture i nuovi arrestati, causa il "tutto esaurito" dormono per terra in palestra, nella sala giochi o in infermeria.

Altrettanto incredibili sono i denari che lo Stato ha investito per la costruzione di nuove carceri o per la ristrutturazione di strutture già esistenti. Per gli impianti di Varese e Pordenone sono stati stanziati, rispettivamente,43milioni per 220 posti e 35 milioni per 200 posti, ma le prigioni non vedranno mai la luce perché la costruzione è stata annullata e i soldi saranno utilizzati per l’ampliamento delle strutture. Si stanno infatti costruendo sei nuove sezioni in diverse carceri: tre da 300 posti e altre tre da 200, per un totale di 1.500 posti euncosto complessivo di 70 milioni di euro. Carceri ampliate anche ad Avellino, Velletri, Cuneo, Catanzaro, Santa Maria Capua Vetere, Palermo, Civitavecchia. Spesa totale: 78 milioni di euro per 1400 posti. Per realizzare il carcere di Rieti si spenderanno 39.250.000 euro; 36.668.000,00 per quello di Rovigo; quello di Forlì costerà al contribuente altri 39.767.000, mentre quello di Savona 40.283.00.

Dei tre penitenziari in costruzione in Sardegna, quello di Cagliari ci costa 57.843.000, quello di Sassari 53.711.000 e quello di Tempio Pausania 33.053.000. I lavori per la realizzazione del nuovo carcere di Marsala, per una spesa prevista di oltre 36 milioni di euro,sono stati invece commissariati. A fare impressione è che i soldi investiti non hanno prodotto quasi nessun risultato, e in questo periodo di crisi Alfano è costretto ai miracoli visto che nell’ultima finanziaria sono stati tagliati 55milioni di euro per l’edilizia penitenziaria.

La maggior parte delle strutture rimane inadeguata. Se ne potrebbero costruire di nuove, più moderne, quindi più degne per i prigionieri, e molto meno costose. Secondo il parere del titolare di una delle aziende all’avanguardia nella costruzione di celle prefabbricate, interpellato dal Giornale, se lo Stato decidesse d’investire in questo tipo di strutture otterrebbe un risparmio considerevole sul costo iniziale della struttura (più o meno il 15 per cento per 250 posti), una consegna decisamente più rapida dei lavori (non sette anni, come per il tradizionale carcere in cemento, ma anche due) e un costo di manutenzione molto inferiore all’attuale.

Giustizia: quando i percorsi di riabilitazione diventano possibili

 

Adnkronos, 1 dicembre 2008

 

Dietro le sbarre per diventare stilisti, sportivi, e imparare un mestiere che una volta usciti dal carcere contribuisca alla riabilitazione e alla ricostruzione di una vita nel mondo esterno. Sono migliaia le attività, lavorative, ricreative e culturali, che scandiscono ogni giorno la vita dei detenuti italiani, e che per un attimo aiutano a sentirsi un po’ più liberi. Numeri da record, per quanto riguarda l’occupazione, si sono registrati di recente nel carcere milanese di Bollate. Qui, sui 735 reclusi dell’istituto di pena lombardo, ben 444 sono impiegati in attività professionali, di cui 63 all’esterno della struttura.

Un numero altissimo, rispetto ai 500 detenuti complessivi impiegati in attività lavorative nei penitenziari di tutta Italia. Un dato raccolto e diffuso dall’organo informativo dello stesso carcere, "Carte Bollate", che sottolinea come l’alto livello occupazionale dietro le sbarre, rappresenti non solo un vantaggio per le imprese che decidono di investire sulle risorse penitenziarie, ma anche per l’amministrazione carceraria e gli stessi detenuti.

È l’attività di manutenzione interna a impiegare la maggior parte dei reclusi, all’incirca 220, mentre sono 130 quelli che lavorano per aziende esterne. I detenuti che invece prestano la propria opera al di fuori del penitenziario, per aziende pubbliche e private, sono 63; sono infine 32 i detenuti soci di cooperative interne. Tra i settori più diffusi nel lavoro destinato alla popolazione carceraria, quelli dell’informatica, della telefonia e dei call-center.

 

Codice a sbarre, da detenute a stiliste emergenti

 

Per molte detenute ad esempio, il carcere è servito a muovere i primi passi nel mondo della moda. A partire dalle ormai affermate stiliste-recluse del carcere di Vercelli che hanno creato la linea di moda Codice a sbarre, nata nel 2002 e dato vita a sfilate per far conoscere le proprie creazioni Made in carcere. I loro capi sfileranno ancora il prossimo 3 dicembre a Milano, per la presentazione della nuova collezione autunno-inverno 2008-2009, oltre alla linea della prossima primavera estate.

Sul sito ufficiale di Codice a Sbarre si possono anche trovare tutti gli indirizzi dove comprare i nuovi modelli. Le creazioni nate dietro le sbarre piacciono anche ai vip, tanto che la cantante Gianna Nannini ne è diventata testimonial. E sulle loro orme, hanno iniziato un proprio percorso professionale le stiliste emergenti del carcere femminile Borgo san Nicola di Lecce, che terranno la loro prima sfilata nei prossimi giorni per lanciare la nuova linea di borse Shoppers-Bags.

Un’iniziativa che va a coronare un progetto, tutto al femminile, nato nel laboratorio artigianale della casa circondariale, grazie alla società Officine Creative, che da vita a prodotti eco-solidali, dando nuova vita ai tessuti e raccogliendo ciò che altri hanno deciso di buttare via. Oltre alle borse, ognuna unica nel suo genere, il pubblico potrà ammirare anche altri accessori dell’abbigliamento come sciarpe e cappelli.

 

Lo sport come possibilità di reintegrarsi

 

E se il lavoro dietro le sbarre "nobilita" i detenuti, l’attività sportiva aiuta chi è costretto alla vita carceraria a superarne i momenti più difficili e a riscoprire i valori dell’amicizia e della sana competizione. Come nel caso della corsa podistica organizzata per il prossimo 9 dicembre nel carcere di Busto Arsizio (Varese), dal titolo ironico "Fuggi!... Fuggi!".

Un’iniziativa organizzata dall’Unione italiana sport per tutti (Uisp), in collaborazione con la direzione della struttura, per preparare i detenuti che stanno pagando con la pena detentiva i loro errori, ad un ritorno in società con la possibilità di reintegrarsi.

A partecipare alla corsa saranno una cinquantina di detenuti delle sezioni "comuni" e "tossicodipendenti"; dalla corsa, cronometrata da un giudice di gara, sono esclusi gli esterni. Il percorso che gli sportivi-reclusi dovranno effettuare si snoda lungo il perimetro interno delle mura del penitenziario, per un tragitto complessivo di 550 metri, ripetuto dieci volte per un totale di cinque chilometri e mezzo di corsa.

Tutti i partecipanti verranno premiati, mentre un riconoscimento speciale andrà ai primi tre classificati. Non è la prima iniziativa organizzata dall’Uisp nelle carceri italiane, ma da ormai molti anni lo sport viene considerato un ottimo diversivo e un modo per educare chi ha commesso reati a determinati valori, validi anche per la vita di tutti i giorni.

 

Un progetto di arte-terapia a Busto Arsizio

 

Ma in carcere, al di là dei percorsi lavorativi e delle attività ricreative, possono nascere varie forme d’arte, come le poesie e le creazioni che prendono forma dalle mani, dall’estro e dall’intelletto dei reclusi. Sono molti i premi ritirati dai detenuti partecipanti ai tanti concorsi letterari indetti su e giù per l’Italia. Un’ultima creazione è contenuta in "Storie da mondi diversi", una raccolta di fiabe a cura di Carla Battelli, nata a sua volta dalla storia di un gruppo di detenuti della Casa Circondariale di Busto Arsizio.

Dieci racconti che sono il risultato del progetto di arte-terapia che ha coinvolto giovani reclusi provenienti da Paesi diversi nell’ambito del loro percorso rieducativo e di riabilitazione.

Il laboratorio creativo che ha portato alla nascita del libro è iniziato nel 2007 ed è stato condotto da due psicologhe. Un autentico viaggio attraverso tradizioni, linguaggi e vissuti emotivi che ha portato alla creazione di storie in cui confluiscono ricordi d’infanzia ed esperienze personali di ognuno. Ogni favola è raccontata e scritta in lingua madre, poi tradotta in italiano.

I proventi della vendita del libro, che verrà presentato nei prossimi giorni, verranno destinati all’Associazione ‘Fata Onlus’, che si occupa di assistenza sociale, sociosanitaria e di istruzione a minori in gravi difficoltà, all’istituzione di borse lavoro per i carcerati e a nuovi progetti. Un modo dunque per i detenuti, di sviluppare le proprie doti artistiche essendo nel contempo, utili al mondo esterno.

Giustizia: la psichiatria e la "questione" dei suicidi nel carcere

 

www.sospsiche.it, 1 dicembre 2008

 

La Fisam è una associazione di secondo livello che riunisce associazioni di volontariato che operano nel settore della malattia mentale ed è presente in 10 regioni italiane.

Il suo obiettivo è migliorare le condizioni di cura, di sostegno sociale, di diritto alla cittadinanza sia dei malati psichici che delle loro famiglie.

Stiamo portando la voce dei malati e delle famiglie ai politici di tutte le formazioni, informando la società civile delle difficoltà riscontrate da malati e famiglie, trattati come strumenti e oggetti della sanità nazionale e non, come soggetti portatori di diritti.

Denunciamo la forte diminuzione della tensione su come le persone così dette normali trattano le persone che hanno avuto la sfortuna di incontrare nel loro cammino la malattia mentale. Si sentono le trombe di chi esalta la Legge 180 e pensa che tutti i problemi siano definitivamente risolti soltanto difendendo una Legge che ha fatto bene a chiudere infamanti manicomi, ma non ha purtroppo dato dignità e cure adeguate ai malati e alle loro famiglie.

I "media" parlano della malattia con titoli cubitali solo quando il malato uccide oppure quando un familiare uccide un malato. Fatti che nell’opinione pubblica generano un sentimento di estremo disagio e di omertoso silenzio. Non ci si interroga sul perché. Non ci si chiede se dietro questo tragico avvenimento non ci fosse stato un professionista medico non all’altezza delle cure, oppure una carenza di attenzione alla situazione familiare toccata così duramente da non vedere alternative se non l’uccisione del malato.

Non ci si chiede se la cattiva assistenza sanitaria possa essere dovuta ad una mancanza di risorse adeguate dal punto di vista qualitativo o quantitativo. Si esorcizza il tutto con il silenzio e con una frase che costantemente si legge o si sente: "È stato una raptus di follia". Vano tentativo di spiegazione, ma sicura e certa deresponsabilizzazione sociale, professionale e istituzionale.

Anche quando ci troviamo di fronte a comportamenti anticonservativi la mia riflessione e la mia esperienza mi dice che il suicido non è mai o quasi mai una libera scelta. Chi attua una azione suicidaria è una persona che sta soffrendo insopportabilmente e vede nella morte l’unica soluzione possibile.

E cosa dire delle percentuali di suicidi nelle carceri (da Ristretti orizzonti) ".. il tasso di suicidi in Italia dal 1980 al 2005 è stato di 0,6 ogni 10.000 abitanti, nelle carceri il tasso dei suicidi dal 1980 al 2007 è stato di 11,1 ogni 10.000 carcerati e il tasso di suicidi nella polizia penitenziaria è stato di 1,6 ogni 10.000 operatori". Numeri che fanno pensare. Una prima riflessione importante è che bisognerebbe scoprire e capire le ragioni di questo atto, in modo da riuscire a prevenire una situazione che provochi in futuro altri casi simili.

Seconda riflessione: in carcere abbiamo un’incidenza di oltre 18 volte di atti anticonservativi nei rispetti dei cittadini italiani, mi chiedo e vi chiedo: siamo sicuri che questi soggetti siano tutti senza diagnosi psichiatrica? E se sono portatori di diagnosi psichiatrica perché sono in carcere? Si sta facendo forse un uso distorto del carcere e lo si è sostituito al manicomio? Domande senza risposta. Non esiste nessuno studio serio sull’aumento di popolazione carceraria dopo la chiusura dei manicomi e sull’incidenza della malattia mentale nei detenuti prima e dopo la chiusura dei manicomi. Un dubbio però rimane.

I quattro articoli della legge 180, recepita nella 833/78 hanno cambiato i contenitori, non più i manicomi, ma le famiglie; l’obiettivo, non più l’allontanamento, ma l’inserimento nella società; le tecniche il progetto terapeutico; i protocolli scientifici, l’azione sul territorio; ma dopo tutto queste belle parole, non hanno mantenuto le risorse finanziarie manicomiali, risorse che negli anni sono state al 35%della spesa ante Legge 180.

In Europa la spesa media per le malattie mentali si aggira dal 10% al 12% in Italia non raggiunge il 5%. (libro verde europeo). E qui mi fermo, non perché non ci sia altro da aggiungere, ma perché non si può dire tutto in una volta sola. Sicuramente molto cammino occorre fare se non si vuole rimanere al sempre vero messaggio della Rupe Tarpea, istituzionalizzando la soluzione del problema mediante la cancellazione fisica del suo portatore sia con il suicidio, sia con l’uccisione (da parte di un parente), sia con la carcerazione, sia con l’istituzionalizzazione del manicomio familiare e con l’abbandono sociale.

È inutile negare, nonostante teoricamente le conoscenze psicologiche, antropologiche, psichiatriche, psicoterapeutiche, psicofarmacologiche, riabilitative siano aumentate negli anni e la ricchezza di modelli teorici spinga a sperimentare, la realtà ci porta a constatare una estrema povertà di interventi nella operatività giornaliera dei Servizi deputati alla cura dei malati psichici. Qui si apre un’altra domanda: quali e quante sono le responsabilità politiche, amministrative, sociali, professionali, personali.

Vi porto il mio augurio di una conferenza che possa incidere sul panorama nazionale per stimolare un’attenzione maggiore verso i malati psichiatrici, le loro famiglie e tutti gli operatori del settore che credono si possa fare di più e meglio.

 

Il Presidente pro-tempore Fisam

Cosimo Lo Presti

Giustizia: Amapi; giornata mondiale sull'Aids, anche in carcere

 

Comunicato stampa, 1 dicembre 2008

 

Bisogna rifondare la costituzionalità del diritto alla salute dei detenuti. La recente riforma con il trasferimento dei Servizi Sanitari Penitenziari al Servizio Sanitario Nazionale è l’occasione opportuna e si presta per l’acquisizione di questo importante obiettivo.

il primo dicembre è la giornata mondiale dell’Aids. Occorre una considerazione preliminare. Negli ultimi anni sembra che l’interesse per l’Aids si sia in qualche modo affievolito sia a livello di mass media che di comunità scientifica che di istituzioni preposte a mantenere alto il livello di guardia. La malattia in tutta la sua complessità purtroppo esiste ancora e la sua rilevanza epidemiologica continua ad essere di assai rilevante importanza, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo dove rappresenta una vera e propria calamità.

In Italia ad oggi si contano circa 120.000 sieropositivi al virus Hiv con un’incidenza annua di circa 5.000 nuovi casi. Nelle carceri secondo gli indici di stato di salute (Iss) sono presenti 1296 sieropositivi per Hiv. Questi numeri sono molto sottostimati in quanto si riferiscono soltanto a coloro che si sottopongono previo consenso informato alla rilevazione del test e questi sono ancora pochi perché si riferiscono appena,appena al 30%. I detenuti tossicodipendenti sono circa 20.000.

Secondo una indagine epidemiologica condotta dall’Ufficio di Presidenza dell’Amapi i soggetti sieropositivi per Hiv presenti nelle carceri ammontano a circa 2.500. A questo si aggiunge il fatto che ormai appare quasi consolidato il concetto secondo il quale l’Aids è diventato una malattia curabile con il conseguente abbassamento dei livelli di sicurezza e i rapporti sessuali ed il sempre maggiore riscontro di infezioni sessualmente trasmesse come la sifilide e le infezioni da micoplasma e clamidia. Nella Regione Toscana sono presenti ufficialmente 44 detenuti affetti da Hiv.

Il numero anche in questo caso è sottostimato perché ancora pochi sono i detenuti che si sottopongono al test all’entrata in carcere. Nella Casa Circondariale Don Bosco di Pisa 16 sono i soggetti con malattia da Hiv (13 uomini e 3 donne).

Risultano presenti nella Sezione Prometeo e nel Reparto di Malattie Infettive del Centro Clinico. Questi numeri corrispondono alla realtà in quanto a Pisa il 100% dei detenuti che provengono dalla libertà si sottopone previo consenso informato al test. L’Aids nelle carceri va configurato come un’emergenza sanitaria. È un problema che riguarda da vicino ciascuno di noi,molto più di quanto possiamo immaginare. È soprattutto importante che le persone colpite dall’infezione da Hiv non si sentano emarginate e che alla sofferenza prodotta dalla malattia non si aggiunga il dolore e l’umiliazione dell’isolamento come avviene purtroppo inevitabilmente nelle strutture carcerarie.

Del resto il carcere si configura come una sorta di frontiera ultima dove si riflettono, si acuiscono e spesso si drammatizzano gli stessi problemi che sovrastano la società libera. L’infezione da Hiv nell’ambito delle strutture penitenziarie si caratterizza ormai per la sua allarmante incidenza e per il particolare, drammatico coinvolgimento che l’ambiente e i detenuti subiscono. Bisogna avvertire poi la necessità di denunciare a chiare lettere che per il detenuto malato di Aids che esce dal carcere è stato fatto veramente poco.

Non esistono le case-alloggio. Non esistono ancora i repartini ospedalieri prefigurati dalla legge 222/93. Continuano a mancare le strutture intermedie tra il carcere e la società per chi non ha la possibilità di contare almeno su una famiglia.

Noi Medici Penitenziari ci ribelliamo a questo stato di cose. Del resto siamo fermamente convinti che quando alcuni indici di laboratorio e tra questi assumono particolare rilievo i Cd4 (al di sotto di 200 confermati in 2 prelievi a distanza di 15 giorni) e la carica virale diventano specificatamente predittivi, il Medico Penitenziario è tenuto a rappresentarlo alle Autorità competenti ,esprimendo un giudizio di incompatibilità con il regime carcerario. Ulteriore elemento di particolare importanza è l’indice di Karnofsky intorno al 50% e la diagnosi di una infezione opportunista per qualificare il quadro di Aids conclamato.

Questa specifica valutazione medico-legale deriva dall’obiettiva constatazione che una lunga serie di fattori psicologici,che vanno dallo stress alle malattie di interesse psichiatrico,predispongono ad ulteriore immunodepressione i soggetti già gravemente immuno-depressi in seguito ad infezione da Hiv.

Il malato di Aids in carcere è 2 volte detenuto: dal carcere e dalla malattia. L’Aids non riguarda, non deve riguardare solo i malati ,ma è un problema di tutti. È un problema che riguarda da vicino ciascuno di noi ,molto più di quanto possiamo immaginare. Occorre tanta solidarietà. Occorre soprattutto prevenzione attraverso i canali di una corretta, seria, responsabile informazione. Occorre una forte mobilitazione. La mobilitazione di tutti. È anche questo un segno di civiltà per il nostro Paese.

 

Francesco Ceraudo, Presidente Amapi

Lettere: "ergastolani in lotta per la vita" iniziano sciopero fame

 

Ristretti Orizzonti, 1 dicembre 2008

 

Per la prima volta nella storia, 750 ergastolani, molti condannati per mafia, hanno tutti insieme inviato un ricorso alla Corte europea per l’abolizione dell’ergastolo e il primo dicembre 2008 iniziano uno sciopero della fame a staffetta. Molti ergastolani, avvocati e professori di diritto sono convinti che la questione dell’ergastolo ostativo ai benefici va ormai affrontata su scala europea.

Non è mai successo che un numero così alto di detenuti mettesse in piede una lotta così complessa e che 750 ergastolani si siano uniti pacificamente per esprimere una richiesta comune, tanto più che la protesta proviene da un area tanto marginalizzata della detenzione quale quella dell’ergastolo.

Per saperne di più leggete "Mai Dire Mai - Il risveglio dei dannati -". L’ordine di acquisto di questo libro scritto dagli ergastolani stessi - 10 euro - si esegue tramite versamento sul c.c.p. numero 10019511 intestato ad Associazione Liberarsi onlus. Per maggiori informazioni su di noi, sulla realtà dell’ergastolo e sulla lotta che attueremo dal primo di dicembre, potete visitare il sito internet www.informacarcere.it, sezione "Mai Dire Mai"; o potete scrivere una mail all’Associazione Liberarsi: assliberarsi@tiscali.it, o contattare il comitato femminile "Mai Dire Mai" all’indirizzo clareholme@yahoo.it.

 

Dal Carcere di Spoleto

 

Campobasso - Dal 2 al 9 febbraio prossimo i detenuti delle carceri molisane parteciperanno alla protesta per l’abolizione dell’ergastolo, iniziativa avviata da un anno a livello nazionale e che ripartirà domani, primo dicembre, con una staffetta di settimana in settimana. I detenuti del carcere di Larino, in particolare, propongono alla direzione del penitenziario di evitare che nei giorni dello sciopero venga preparato il cibo e, nel caso in cui sia obbligatorio farlo, propongono di offrirlo ai cittadini bisognosi, coinvolgendo nell’iniziativa il cappellano del carcere.

Milano: Bernardini (Radicali); San Vittore ora rischia di crollare

 

Ansa, 1 dicembre 2008

 

Ha intenzione di denunciare il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e il sindaco di Milano, in quanto responsabile della salute pubblica, il parlamentare del Partito Radicale, Anna Bernardini che, nel pomeriggio, con un altro esponente del suo partito, Giorgio Inzani, ha visitato il carcere milanese di San Vittore, rilevando una "situazione drammatica".

Ho visto in una cella di due metri per quattro fino a cinque detenuti - ha spiegato la Bernardini -. In alcune celle, per via di tre letti castello messi l’uno sopra l’altro, non si può nemmeno aprire la finestra per il ricambio d’aria.

La parlamentare denuncia le condizioni fatiscenti del carcere nel centro di Milano. C’è anche un pericolo per l’incolumità di detenuti e agenti - racconta - e in alcune zone il tetto assomiglia a quello della scuola di Rivoli (Torino, in cui è crollato il tetto causando la morte di un ragazzo ndr,). Il macchinario per lavare le lenzuola, recentemente, si è rotto, e queste vengono cambiate ogni 40 giorni. Secondo Rita Bernardini, nel carcere di San Vittore sono presenti 1.300 detenuti a fronte di una capienza, originariamente di 900 posti che, con la chiusura di alcuni raggi inagibili, è diventata di 400.

Nelle celle - ha aggiunto -, si deve stare con il cappotto per via del freddo e, durante il passeggio, ho visto un detenuto senegalese in maglietta e pantaloncini corti: tremava. Mi ha raccontato di aver fatto la domandina per avere abiti più pesanti, ma ancora è in attesa.

La parlamentare si sente in dover di lanciare un appello: Possibile che le famiglie milanesi non possano donare gli abiti usati?. Questo, anche considerando anche le difficoltà burocratiche per la consegna, tenuto conto che sarebbero destinati a detenuti.

Ha visto carceri in condizioni peggiori? "Catania, pochi altri", ha risposto la parlamentare che domani visiterà il carcere di Novara. Nei giorni scorsi - ha concluso la Bernardini - l’Asl ha chiuso dei reparti del carcere di Catania a causa del pericolo per la salute. Se il ministro Alfano avesse risposto a una mia interrogazione, avrebbe evitato una figuraccia.

Napoli: suicida ex assessore, era coinvolto in inchiesta su scontri

 

Corriere della Sera, 1 dicembre 2008

 

Si è tolto la vita impiccandosi nella sua abitazione Giorgio Nugnes, 46 anni, ex assessore alla Protezione civile e alla difesa del suolo del Pd del Comune di Napoli, coinvolto nell’inchiesta sugli scontri dello scorso gennaio per la discarica di Pianura. Nugnes era stato sottoposto agli arresti domiciliari il 6 ottobre scorso, misura in seguito sostituita dal divieto di dimora nel quartiere di Pianura. Il 20 ottobre si era dimesso dal suo incarico.

La moglie e il fratello hanno tentato di rianimare l’esponente politico dopo averlo trovato impiccato in un sottoscala, ma senza esito. Nugnes (ex Dc, Ppi e Margherita, poi confluito nel Pd) era stato sospeso dal Partito democratico in seguito al coinvolgimento nell’inchiesta. Il divieto di dimora a Pianura era stato ridotto con il permesso di recarsi nella sua abitazione di via Grottole tre giorni alla settimana: lunedì, mercoledì e venerdì. Negli altri giorni risiedeva in una casa a Quarto, in provincia di Napoli. Alla base del gesto vi sarebbero "motivi personali", secondo quanto spiegano persone che erano a lui vicine prima dell’avvio dell’inchiesta giudiziaria.

Nugnes era stato arrestato con altre 35 persone con le accuse di associazione a delinquere, devastazione e interruzione di pubblico servizio. Le intercettazioni telefoniche mostrano che negli scontri avvenuti fra le forze dell’ordine e manifestanti anti-discarica nella notte tra il 2 e il 3 gennaio scorso, Nugnes dava informazioni a Marco Nonno, consigliere comunale di An, anch’egli arrestato, sui movimenti delle forze dell’ordine perché i manifestanti aggirassero i posti di blocco.

 

Villari: non l’abbiamo capito e si è sentito abbandonato

 

"Una persona così forte che si piega mi fa pensare che nessuno di noi l’ha capito". Riccardo Villari, il neopresidente della Vigilanza Rai, Giorgio Nugnes lo conosceva da quindici anni: "Eravamo amici. Ridevamo, scherzavamo. Lui era un tipo goliardico". L’ultima volta lo aveva visto due settimane fa: "Un po’ più abbacchiato del solito, però sempre lui, vitale, combattivo, gioviale". E da ieri mattina alle 11, quando un amico gli ha dato la notizia, non è riuscito a trovare altra possibile motivazione al suicidio. "Giorgio deve essersi sentito isolato", accenna mentre visita il fegato ingrossato di un amico ("sono un epatologo e medico si è per sempre", rimarca).

Appena congedato il paziente riprende: "La moglie, i parenti, sono rabbiosi. Ce l’hanno con tutti. Dicono che è stato abbandonato. Che è stato lasciato solo. Certo sono momenti difficili. Ma lui se ne era lamentato". A Villari, espulso dal Pd e coperto di accuse per non aver mollato la poltrona di presidente della Vigilanza Rai, avuta con i voti del Pdl, quella chiave di lettura piace: "Forse si è sentito stritolato in un meccanismo". "Per carità, nessuno aveva avuto sentore di quello che stava per succedere. Anche se lui ieri aveva parlato con molte persone" si affretta ad aggiungere alla sua maniera: lancia un’idea, la disfa, ma qualcosa rimane. Un retrogusto di accusa. "Per me sono stati giorni concitati - aggiunge, giustificandosi e insieme rendendo più evidenti assenze altrui - Sono stato molto a Roma. Con tutto quello che mi è successo l’ho perso un po’ di vista. Si poteva fare qualcosa di più per lui? Non lo so. Io me lo chiedo. Perché lui non era uno introverso e fragile, era sempre sorridente, ben impostato, palestrato. Aveva fatto il paracadutista. Per questo quando mi hanno detto che si era ucciso, ancor prima della tristezza è arrivata l’incredulità. Lui era uno da battaglia. Un grande lavoratore. Per carità non voglio farne un santino. Aveva le sue asprezze. Un po’ spaccone. Per qualcuno arrogante. Insomma uno tosto".

Troppo per la procura. "Non voglio giudicare. Ma capisco le difficoltà di Giorgio. Quella è terra di frontiera. Con tutte le nostre contraddizioni. Opere faraoniche dove mancano le fogne, infiltrazioni criminali forti. E non è semplice essere lì mentre il territorio si rivolta perché si sente tradito. Lui me lo rivedo così: sul marciapiede che ascoltava tutti. Discuteva. Convinceva. E l’ultima immagine di lui veramente felice che ho è quella delle elezioni. Quando aveva raccolto tantissime preferenze ed esultava: "Non mi hanno tradito".

Squilla il telefonino. Amici comuni aggiungono altri frammenti delle ultime ore di Nugnes. "Ecco, fino al giorno prima era stato al convento dei Padri Vocazionisti. Ieri era il primo giorno che tornava a casa". Un crollo improvviso? "Sicuramente negli ultimi giorni lo avevano visto un po’ più abbattuto del solito. Ma aveva appena detto a un’amica della moglie se voleva fermarsi con loro a pranzo. È sconcertante. Capisco sua moglie e la sua rabbia".

Il sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino, ha appreso piangendo la notizia del suicidio di Nugnes mentre stava inaugurando due edifici scolastici. Profondamente commossa, il sindaco aveva detto di volersi recare con il suo vice, Sabatino Santangelo, nell’abitazione dove Nugnes si è tolto la vita poi ha deciso di attendere qualche ora per motivi di opportunità e per poter sentire prima la moglie dell’ex assessore. Infatti ci sono stati momenti di forte tensione sotto l’abitazione di Nugnes. Un gruppo di persone ha inveito e spintonato giornalisti e fotografi. Urla sono state rivolte anche contro le istituzioni. Per riportare la calma sono intervenuti i carabinieri, ma altre persone stanno impedendo a giornalisti e fotografi di entrare nella strada della casa di Nugnes.

Napoli: l’avvocato accusa; temeva che lo volessero incastrare

 

La Repubblica, 1 dicembre 2008

 

Due versioni totalmente contrastanti. L’avvocato Nello Palumbo, ex senatore ed ex assessore comunale della Margherita, accusa davanti a telecamere e taccuini: "Giorgio Nugnes era convinto che i magistrati lo volessero incastrare. Sapeva da un mese di una seconda indagine legata ad appalti del Comune di Napoli". Il procuratore Giovandomenico Lepore smentisce: "Una seconda indagine? Non ne sono a conoscenza. Non vi sono elementi per poter ritenere che Nugnes possa essere stato indotto al grave gesto da fatti giudiziari. Il suicidio dell’ex assessore non si può addebitare alla magistratura".

La via giudiziaria per spiegare un gesto che sabato mattina ha sconvolto un quartiere di quarantamila abitanti, il suicidio nella tavernetta della propria casa in via Grottole. Arrestato il 6 ottobre con l’accusa di essere tra i registi della rivolta anti discarica di gennaio, dimessosi dalla giunta e liberato dal Riesame con parziale divieto di dimora a Pianura, Giorgio Nugnes era tornato al suo posto di lavoro in Regione ma da alcuni giorni era tormentato.

"Giorgio - racconta l’avvocato Palumbo - era profondamente provato dalla vicenda giudiziaria. La viveva come una profonda ingiustizia perché riteneva di avere ampiamente dimostrato la sua innocenza. Come legale, dunque, faccio fatica a escludere che non vi sia una correlazione tra il suicidio e questo momento di grande preoccupazione giudiziaria che lo ha sconvolto. Era entrato da alcuni giorni in uno stato di profonda prostrazione psicologica. Era avvilito, si era convinto che esistesse un accanimento nei suoi confronti e questo lo portava a vedere tutto nero".

Palumbo rivela un particolare che affliggeva Nugnes: "Era accusato di essere tra i registi degli scontri di Pianura per alcune telefonate in cui parlava dei movimenti dei blindati delle forze dell’ordine intorno alla discarica. D’accordo. Ma lui non riusciva a capire perché, negli atti dell’inchiesta, non fosse stata trascritta la telefonata che aveva fatto in quelle stesse ore a una giornalista dicendo anche a lei che cosa stava accadendo a Pianura. Quella conversazione, secondo Nugnes, lo avrebbe scagionato perché, se fosse stato d’accordo per causare devastazioni, non avrebbe chiamato una cronista. Ho provato più volte a rincuorarlo, gli ho detto che avremmo colmato la lacuna, ma è stato tutto inutile".

La via giudiziaria per spiegare un suicidio. È ancora sconvolta Rosa Russo Iervolino che alla fine della Messa voluta dalla giunta comunale nel convento della Clarisse in piazza del Gesù si sfoga: "C’è sciacallaggio da parte della stampa nell’uso delle intercettazioni e il segreto istruttorio, ormai, è diventato il segreto di Pulcinella. Certamente, se ci fosse più rispetto del segreto istruttorio si farebbe anche meno male. Io non so se queste voci di una seconda inchiesta hanno davvero spaventato Giorgio Nugnes, come dice qualcuno, ma certo questo clima da "adesso succede chissà cosa", non aiuta. C’è un clima pesante. In ogni caso in me rimane l’impressione immediata di una troppo forte sproporzione tra le accuse che avevano portato all’arresto e il gesto di disperazione che Giorgio ha compiuto. Guardando i giornali, sia pure superficialmente, non emergono elementi così gravi. La paura di una nuova inchiesta? Ma uno la nuova inchiesta la affronta, ammesso che ci sia davvero".

L’accusa del sindaco di una violazione sistematica del segreto istruttorio spinge il procuratore Lepore, dopo aver smentito l’esistenza di una seconda inchiesta sull’ex assessore Nugnes, a intervenire nuovamente durante la giornata: "Le intercettazioni vengono sempre trascritte negli atti perché sono alla base di misure cautelari. Per legge dobbiamo produrre gli elementi di prova e dobbiamo quindi farne cenno. La fuga di notizie, invece, è sempre deprecabile perché danneggia sia le indagini sia le persone nella loro comunità. Del resto, quando ci sono state fughe di notizie a Napoli ho sempre aperto dei fascicoli in Procura".

Firenze: violenze sugli internati all’Opg; polemiche e denunce

di Lucia Aterini

 

Il Tirreno, 1 dicembre 2008

 

"Ha massacrato di botte un internato, invalido psichico al 100% tirandogli un pugno in un occhio, e lo ha buttato giù dalle scale". Il protagonista dell’episodio sarebbe una guardia carceraria. La denuncia arriva dall’Opg in una lettera scritta da un altro internato. Le lettere sono state inviate al garante dei detenuti Franco Corleone che auspica l’avvio di un’indagine interna e l’interessamento della magistratura.

Frasi in un italiano incerto ma con fatti circostanziati e alla presenza di testimoni. Che fanno rabbrividire anche perché l’episodio raccontato non sarebbe l’unico: di violenze e pestaggi ne sarebbero accaduti altri nell’ospedale psichiatrico. Fino alle spinte "sotto la doccia gelata per chi si ribella". Le lettere sono state inviate a ottobre e a novembre al garante dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone che si auspica l’avvio di un’indagine interna e l’interessamento della magistratura.

Da tempo dall’Opg arrivano segnalazioni di disagi. Il problema che va avanti da ormai molti mesi è quello del sovraffollamento. A fronte di una capienza massima sulle cento unità, il numero dei ricoverati al momento è circa del doppio, quasi 200. In cella si ritrovano a coabitare anche dieci persone, magari con patologie e storie criminali molto diverse tra loro. Come se questo non bastasse, alcune settimane fa è esplosa la protesta per l’acqua ghiaccia.

Gli internati, pur essendo già iniziata la stagione autunnale, non avevano a disposizione l’acqua calda. E qualcuno per protesta ha messo in pratica anche lo sciopero della doccia. Ora emergono i casi di violenza di cui si sarebbero resi protagonisti alcune guardie carcerarie. In una lettera scritta a ottobre si racconta di "un internato minacciato all’uscita della biblioteca con un mazzo di chiavi e poi gettato in una pozzanghera".

E poi di "urla strazianti che provengono dai ricoverati spinti sotto la doccia gelata a scopo punitivo". E poi ancora altri episodi inquietanti. Tutti episodi da verificare. Ma che secondo Franco Corleone potrebbero essere in gran parte veri. "Le stesse segnalazioni - spiega ancora il garante - ci arrivano anche da altre fonti. Ho elementi per ritenere che non si tratti di denunce frutto di fantasia. Mi augurerei che fossero false ma purtroppo temo che ci sia molta verità".

Ecco perché Corleone ha chiesto l’intervento del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Dopo la denuncia, non è stato possibile verificare i fatti con i due direttori, Franco Scarpa e Maria Grazia Grazioso, entrambi non in servizio. L’Asl, però, che è subentrata da settembre nella gestione sanitaria della struttura, smentisce che ci sia ancora un problema di acqua calda o di riscaldamento come denunciato nelle lettere in possesso di Corleone.

"L’Asl si sta interessando delle questioni sanitarie - spiega l’azienda - che verranno riorganizzate. E per questo è già stato individuato un medico referente". "Per quanto riguarda i pestaggi - spiega ancora - non sono arrivate segnalazioni dal personale sanitario impiegato nell’Opg". E, proprio all’inizio di questa settimana, è stata fatta una visita all’interno da parte del direttore generale Eugenio Porfido e di quello sanitario Enrico Roccato. Proprio in base a questo sopralluogo l’Asl 11 si detta "preoccupata per il sovraffollamento registrato nell’Opg".

 

I racconti nelle due lettere

 

Ecco alcuni passi delle due lettere che sono state indirizzate al garante dei detenuti. "Egregio signor Corleone, ho finalmente deciso di scriverle per denunciare le atrocità dell’ospedale psichiatrico giudiziario". "Ad agosto sono partiti per le ferie e ci hanno lasciato 28 giorni senza il cambio lenzuola, il sovraffollamento è cronico senza distinzione tra malati gravi e malati senza patologie alcuna, punizioni, vessazioni di tutti i tipi verso coloro i quali si ribellano, riduzione delle ore lavorative retribuite".

"C’è dell’altro. Lunedì 13 ottobre alle ore 14,30 all’uscita dalla biblioteca in presenza della educatrice Ilaria, e di altri testimoni... con un atto volontario di pura violenza una guardia prima minacciava di picchiare con il mazzo di chiavi delle celle poi buttava per terra malamente in una pozzanghera un celebroleso sordomuto dalla nascita che non poteva difendersi. Successivamente, venivo informato che lo stesso episodio era accaduto due volte in precedenza, con altri agenti in servizio".

"Purtroppo devo denunciare altri episodi vergognosi di violenza e pestaggi gratuiti ai danni di inermi internati invalidi. Lunedì 10 novembre davanti al portone della biblioteca dell’Opg, in presenza della vice-direttrice sanitaria dottoressa Stefania Matteucci, un agente picchiava un ragazzo, tirandogli un pugno, calci, e sbattendolo a terra, dopo un diverbio verbale tra i due. Domenica mattina, 16 novembre un agente in servizio nella sezione "Torre" alle ore 9 massacrava di botte un internato (invalido psichico al 100%), tirandogli un pugno dritto in un occhio, causando la tumefazione facciale, causandogli un taglio in testa di cinque centimetri, e buttandolo giù dalle scale. Questo internato non ha nessuna consapevolezza di ciò che gli è capitato, nonostante urlasse per le botte ricevute durante il pestaggio".

Cagliari: Caligaris; a Lanusei detenuto di 82 anni e ammalato

 

Adnkronos, 1 dicembre 2008

 

Non è pensabile che nonostante l’impegno degli operatori, debba essere il sistema carcerario a farsi carico di persone che hanno necessità di assistenza specialistica in ambienti idonei; l’uomo dovrebbe essere ricoverato e curato in una residenza sanitaria assistita o essere ospitato in una struttura alternativa".

"Nelle carceri dell’isola è rinchiuso anche un uomo di 82 anni, affetto da numerose patologie che, come nel caso del detenuto obeso di 260 chilogrammi ancora ristretto, con il parere contrario dei medici nel centro clinico di Buoncammino, dovrebbe essere ricoverato in una struttura sanitaria alternativa. Non è pensabile che nonostante l’impegno degli operatori, debba essere il sistema carcerario a farsi carico di persone che hanno necessità di assistenza specialistica in ambienti idonei".

Lo afferma in una nota la consigliera regionale della Sardegna, Maria Grazia Caligaris (Ps), componente della Commissione Diritti Civili, dopo aver appreso che Antonio Dessi di 82 anni sta scontando nella Casa Circondariale "San Daniele" di Lanusei la pena residuale di circa tre anni. Seguito dai servizi sociali del Comune e dal personale del carcere, l’uomo è il più anziano detenuto dell’isola.

"Non solo per l’età avanzata ma anche per le specifiche patologie - denuncia Caligaris - dovrebbe essere ricoverato e curato in una residenza sanitaria assistita o essere ospitato in una struttura alternativa". "È opportuno - sottolinea Caligaris - che i magistrati di riferimento, d’intesa con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, trovino delle soluzioni diverse per Antonio Dessi e per Armando Della Pia.

Le condizioni di salute di quest’ultimo, a causa dell’obesità, si sono ulteriormente aggravate ed è a rischio della vita. Ritengo che in Sardegna e nella penisola il Servizio Sanitario sia in grado di trovare delle sistemazioni in apposite strutture per i due cittadini che garantiscano sia le esigenze di tutela e di sicurezza richieste dalla magistratura sia il diritto alla salute previsto dalla Costituzione. In questo modo si potrebbero evitare casi limiti che certo non rappresentano primati positivi".

"La necessità di una riconsiderazione puntuale delle presenze dei detenuti negli istituti sardi - conclude la consigliera - permetterebbe di alleggerire anche il penitenziario di Cagliari dove si trovano attualmente 6 ultrasettantenni le cui condizioni di salute sono delicate".

Napoli: auto polizia penitenziaria è assalita da gruppo uomini

 

Ansa, 1 dicembre 2008

 

Una vettura della polizia penitenziaria con due agenti a bordo è stata affiancata e fermata da altre cinque vetture, nel rione Scampia alla periferia di Napoli. Dalle vetture sono scesi una decina di uomini che hanno accerchiato la vettura degli agenti, iniziando a minacciarli. È accaduto a Napoli, l’altra notte: a riferire l’episodio è il segretario generale del sindacato Osapp, Leo Beneduci.

L’auto della polizia penitenziaria, di ritorno da un servizio di controllo all’ospedale Cardarelli, stava rientrando all’istituto di Secondigliano. "Visto il pericolo - continua Beneduci - gli agenti hanno prima chiamato la sorveglianza generale dell’istituto di Secondigliano, che però non aveva mezzi e personale per intervenire, e poi la centrale operativa mobile presso il Provveditorato, con analoghi risultati. Fortunatamente dopo circa mezz’ora gli assalitori si sono allontanati e gli agenti sono potuti ripartire".

"Si è scampato il peggio - commenta il segretario generale dell’Osapp - e questo la dice lunga sul problema della sicurezza che il personale della polizia penitenziaria deve affrontare ogni giorno, sia all’interno degli istituti che fuori, nei servizi ordinari esterni".

Napoli: "Il Carcere possibile"; i comici in scena per i detenuti

 

Redattore Sociale - Dire, 1 dicembre 2008

 

"Ridere per rieducare" è il titolo dello spettacolo in programma stasera al teatro Augusteo di Napoli per sostenere la onlus "Il Carcere possibile" che organizza attività tra cui cucina e teatro.

"Ridere per rieducare": questo il titolo dello spettacolo che andrà in scena stasera (ore 21.00) al teatro Augusteo di Napoli per sostenere la onlus "Il Carcere Possibile". Per il secondo anno consecutivo, andare a teatro sarà un’occasione per divertirsi e, allo stesso tempo, contribuire al finanziamento di progetti per la rieducazione dei detenuti, in accordo con l"articolo 27 della Costituzione: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

"Si tratta di un’iniziativa - spiega Ilaria Ceci, responsabile delle attività teatrali per l’associazione - che ci servirà per raccogliere fondi per i progetti che abbiamo già in corso e per quelli che abbiamo in programma, dal momento che la rassegna teatrale che realizziamo ogni anno a giugno non percepisce nessun tipo di finanziamento".

L’associazione, infatti, nata nel 2003 da un progetto avviato dalla Camera Penale di Napoli su iniziativa dell’avvocato Riccardo Polidoro, cura diverse attività laboratoriali, tra cui quelle di teatro e di cucina, all’interno degli istituti di pena e realizza numerose iniziative per la tutela dei diritti dei detenuti. Oltre a svolgere attività di denuncia delle condizioni di vita nelle carceri, la onlus promuove da anni la rieducazione e il reinserimento sociale dei detenuti. Tra le nuove proposte degli avvocati soci della onlus c’è anche la pubblicazione, in varie lingue, di una guida in cui saranno illustrati tutti i diritti dei detenuti, ma si sta anche pensando a realizzare un cineforum all’interno degli istituti di pena.

Lo spettacolo "Ridere per rieducare", che ha un costo di 10 euro, vedrà esibirsi sul palcoscenico comici come Paolo Caiazzo, Lino D’Angiò, Rosaria De Cicco, Francesco Paolantoni, Alessandro Siani, ma anche personaggi come la cantante Maria Nazionale, il Mago Angie e Gino Rivieccio, conduttore della serata. A differenza dell’edizione dell’anno scorso, cui parteciparono anche due istituti di pena della Campania, l’istituto femminile di Pozzuoli e l’istituto Lauro di Avellino, quest’anno - fanno sapere gli organizzatori - ci sono stati non pochi problemi con i permessi, complici le restrizioni cui si è assistito negli ultimi mesi e la carenza di fondi, che avrebbero consentito anche ad alcuni detenuti di trascorrere una serata all’insegna del divertimento.

Immigrazione: ddl su "permesso a punti", tassato di 200 euro

di Marco Noci e Giovanni Parente

 

Il Sole 24 Ore, 1 dicembre 2008

 

Conti alla mano restare in Italia potrebbe significare anche una spesa di poco più di mille euro ogni due anni. E il costo della regolarità per una famiglia di quattro stranieri. Un esborso non richiesto, è bene precisarlo subito, dalle normative vigenti.

Ma che potrebbe esserlo se il Parlamento approvasse il testo del disegno di legge 733 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) così come è stato proposto dalle commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato. Nel Ddl che faceva parte del "pacchetto sicurezza" varato dal Governo a maggio (e in cui c’era anche il Dl 92/2008, convertito aluglio), è stata inserita a Palazzo Madama una norma che sottopone la richiesta di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno al pagamento di una tassa dell’importo di 200 euro. Questo vuol dire che per un nucleo di quattro persone con un permesso di durata biennale un rinnovo costa 800 euro a cui vanno sommati i 70 euro di costi fissi già attualmente sostenuti, che ovviamente vanno moltiplicati per quattro. Il tutto porta una spesa complessiva di 1.080 euro. E non è neanche il caso limite. Perché per lo più i permessi di soggiorno sono collegati a contratti di lavoro a tempo determinato o stagionale e quindi hanno durata più breve. Con la conseguenza che le spese per il rinnovo potrebbero essere necessarie anche annualmente o più volte durante i dodici mesi.

La norma, beninteso, ha una finalità sociale. I proventi della nuova tassa sono destinati per la metà al finanziamento di progetti del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione diretti alla collaborazione internazionale e alla cooperazione a Paesi terzi in materia di immigrazione. La formulazione, però, potrebbe non rimanere questa.

Un emendamento presentato dal Governo al testo in Aula lascia la fissazione dell’importo da versare a un decreto del ministro dell’Economia di concerto con l’Interno. E vincola il gettito per metà a un Fondo per finanziare le spese di rimpatrio degli stranieri verso i Paesi di origine e per l’altro 50% alla dotazione del Viminale in relazione agli oneri connessi alle attività istruttorie per rilascio e rinnovo.

La votazione dell’Assemblea di Palazzo Madama su questo e sugli altri correttivi proposti, non solo dall’Esecutivo, riprenderà dopo la sessione di bilancio. Ma non è l’unico punto del provvedimento che riguarda il capitolo immigrazione. Già il testo che il Governo aveva presentato al Senato (erano 20 gli articoli originari) conteneva misure finalizzate a un giro di vite sulla presenza irregolare e sulla criminalità straniera. La versione "partorita" dalle Commissioni riunite con 55 articoli (diventata, nel frattempo, 733-A) marca ancora di più il segno in questa direzione.

Così si punta a introdurre gli accordi di integrazione da sottoscrivere al momento della richiesta di permesso. "L’idea è ragionevole: l’immigrato nel momento in cui ottiene il permesso si impegna ad alcune "azioni" significative sul piano dell’integrazione, ad esempio seguire corsi di lingua italiana, se poi non rispetta tali impegni può vedersi negare il rinnovo del permesso. Di per sé questa logica pattizia pare apprezzabile mirando a innescare processi di integrazione.

Tutto dipende, però, da che cosa si propone all’immigrato", commenta Ennio Codini, docente di Istituzioni di diritto pubblico alla Cattolica di Milano. Ogni accordo conterrà dei crediti. In Commissione è stato previsto che la perdita integrale dei bonus determini la revoca del titolo di soggiorno e l’espulsione. Il Governo ha in parte mitigato la disposizione con un emendamento presentato all’Aula, prevedendo una serie di eccezioni a cui non si applichi il foglio di via: come, ad esempio, quanti abbiano ottenuto asilo o usufruiscano di protezione sussidiaria.

Rischierebbe, invece, un’ammenda da 5mila a 10mila euro lo straniero che entra o soggiorna illegalmente sul territorio italiano. Si è passati quindi dalla previsione iniziale di un delitto punibile con la reclusione da sei mesi a quattro anni, per il quale si stabiliva l’arresto obbligatorio dell’autore del fatto e il giudizio direttissimo, a una contravvenzione. E possibili novità anche sul fronte ricongiungimenti.

Immigrazione: Friuli; aiuti per i poveri, ma solo se comunitari

 

La Repubblica, 1 dicembre 2008

 

Aiuti ai poveri, purché non siano extracomunitari. La giunta regionale di centrodestra guidata da Renzo Tondo inaugura la nuova politica del welfare in Friuli Venezia-Giulia con un provvedimento che ha sollevato un mare di polemiche.

Tutto nasce dalla decisione di cancellare il "reddito di cittadinanza", che prevedeva un sostegno economico per i cittadini meno abbienti, compresi gli extracomunitari regolari. Il nuovo regolamento esclude infatti dagli aiuti gli immigrati provenienti da paesi extra Ue. Non solo, saranno ammessi alle graduatorie solo i cittadini comunitari residenti in Friuli Venezia-Giulia da almeno tre anni.

Mercoledì il provvedimento sarà sottoposto all’esame della conferenza socio-sanitaria che si riunirà a Codroipo, prima di tornare in giunta per l’approvazione definitiva. Ma la decisione è ormai presa e prevede anche nuove regole d’accesso al fondo di solidarietà. La Regione aumenta le risorse a disposizione, passando da 4 milioni a 6,5, ma introduce nuovi criteri, anch’essi molto criticati, in particolare dall’opposizione di centrosinistra.

I beneficiari devono avere un Isee (l’indicatore che considera reddito e patrimonio) che non superi i 7.200 euro, con deroghe fino a 8.200 riservate ad alcune categorie. Farà testo esclusivamente l’Isee, quindi, e non più la capacità economica equivalente come in passato, con un tetto di 5.000 euro l’anno. D’ora in poi l’importo dell’aiuto dipenderà esclusivamente dall’Isee, e partirà da un minimo di 100 euro al mese, con altri 100 euro per ciascun figlio a carico. Le modalità d’assegnazione saranno stabilite dai Comuni di residenza in accordo con i beneficiari. Il contributo avrà una durata massima di sei mesi con la possibilità di essere prorogato solo una volta per altri sei mesi.

Fin qui il meccanismo del provvedimento che però è contestato alla radice dal Pd. Per Bruno Zvech, segretario regionale dei democratici "è grave cancellare il reddito di cittadinanza: è inutile denunciare i problemi, e poi togliere potenti leve d’intervento ideate per contrastare gli effetti devastanti della crisi economica".

La prima conseguenza del taglio del reddito di cittadinanza rischia di ricadere sui Comuni, su cui si scaricheranno tutti i costi delle spese per gli extracomunitari. Non solo, ragiona Sergio Lupieri, consigliere regionale del centrosinistra: "Ogni azione per contrastare la povertà è positiva, ma il nuovo regolamento rappresenta oggettivamente un passo indietro. In quanto la persona non viene più inserita in un progetto che l’aiuti a uscire da una situazione di disagio. Insomma, non c’è più la sottoscrizione di un patto tra amministrazione e cittadini, ma solamente un contributo di stampo assistenziale".

Intanto a Spresiano, in provincia di Treviso, continua a tener banco la proposta del Comune leghista di mettere a bilancio 40mila euro per il bonus anti-immigrati. Vale a dire un "incoraggiamento" a tornare a casa per gli extracomunitari che vivono nel paese lungo la Pontebbana. Il sindaco del Carroccio Cristiano Belliato è deciso ad andare avanti anche se la sua proposta presenta molti aspetti di incostituzionalità: "Non me ne importa niente della legge - osserva il primo cittadino - in paese c’è un problema e io devo risolverlo".

Svizzera: sì all’eroina "medica", no depenalizzazione cannabis

 

Notiziario Aduc, 1 dicembre 2008

 

È stata respinta dalla maggioranza dei cantoni svizzeri l’iniziativa referendaria per legalizzare l’uso della marijuana. Non è quindi passato il referendum che chiedeva che il consumo, il possesso, l’acquisto e la coltivazione di cannabis per il consumo personale non fossero più punibili. Finora nessun cantone ha approvato l’iniziativa, definita dai suoi promotori "per una politica della canapa che sia ragionevole e che protegga efficacemente i giovani" e si profila una bocciatura anche sul fronte dei voti, come del resto era stato previsto dai sondaggi.

Nello stesso tempo in cui gli svizzeri hanno deciso di bocciare la misura che prevedeva la depenalizzazione dell’uso personale della marijuana, è stata invece approvata a larga maggioranza la legge che prevede l’ampliamento di un programma federale già esistente che prevede la distribuzione controllata dell’eroina ai tossicodipendenti più gravi.

La revisione della legge federale sugli stupefacenti e sulle sostanze psicotrope crea la base legale per la cosiddetta politica dei quattro pilastri: prevenzione, terapia, riduzione dei danni, repressione. Ribadisce la possibilità, già in vigore dal 1994, di distribuire eroina sotto controllo medico a persone da lungo tempo dipendenti e refrattarie ad altre terapie. Da anni questa politica poggia su decreti federali limitati nel tempo che devono quindi essere periodicamente rinnovati. L’attuale decreto scade alla fine del 2009. All’inizio dell’anno quasi 1300 persone partecipavano al programma di distribuzione controllata di eroina. In alcuni casi si riesce a sostituire il metadone all’eroina.

Gli oppositori del programma sostengono che in questo modo si rinuncia a liberare dalla dipendenza queste persone, mentre i sostenitori affermano che in questo modo si è riusciti a ridurre il numero dei crimini e dei decessi legati alla droga, rispetto ai livelli allarmanti dell’inizio degli anni ‘90.

 

Muccioli: in Svizzera rassegnazione alla droga

 

Forti critiche all’esito del referendum in Svizzera vengono espresse da Andrea Muccioli: "A me sembra che le decisioni assunte oggi (ieri, nds) a larga maggioranza nel referendum svizzero vadano lette con attenzione e in modo congiunto, come espressione di impotenza, incapacità e rassegnazione alla droga da un lato e di indifferenza e fastidio nel vedere il disagio per le strade, dall’altro".

Secondo il patron di San Patrignano, "la maggioranza dei votanti sembrano dire: evitiamo di trasformarci nell’Olanda dei coffee shop, la qual cosa danneggerebbe la nostra immagine di paese ordinato e perbenista, ma togliamoci una volta per tutte i drogati da davanti agli occhi, dandogli quello che vogliono, con un medico che ci salva la coscienza, fin quando non saranno loro a togliere il disturbo".

Questa ci pare, in sostanza, il vero obiettivo della politica dei quattro pilastri, gambe di un tavolino che non può stare in piedi - spiega - perché retto da una prevenzione che non esiste e di cui non sembra fregargliene niente a nessuno, da una terapia che non recupera ma cronicizza, e da una riduzione del danno (degli altri) che serve solo a nascondere sotto il tappeto i problemi dei più emarginati e soli. Il risultato che si ottiene è sacrificare la vita di centinaia di migliaia di persone, considerate scarti della società, spendendo tra l’altro, in modo assolutamente controproducente, miliardi di euro".

Cina: un film sulla "vita quotidiana" dei condannati a morte

di Sigmund Ginzberg

 

La Repubblica, 1 dicembre 2008

 

In anteprima a Roma il film di Kevin Feng Ke vincitore degli Incontri del cinema asiatico Non è la solita galleria degli orrori, ma un racconto delicato su chi attende la pena capitale.

"Un colpo in testa e non senti più niente". "E se non muoio subito?". "C’è rimedio anche a questo. Ti infilano una bacchetta nel buco della pallottola e ti frullano il cervello". Conversazione tra detenuti nel braccio della morte di un carcere cinese. Tanto per tirarsi su il morale. La crudeltà macabra, verbale, psicologica, nei confronti del prossimo e di se stessi, è un vecchio espediente per non uscire pazzi, se non per sopravvivere. Finché la dura. Solo che non è pura invenzione per scaramanzia. In Cina succede davvero. Usano uno strumento apposta, probabilmente per non sciupare gli organi destinati all’espianto. "No, da noi non c’è la tradizione per cui, se si spezza la corda, l’impiccato ha diritto alla grazia...", dice Kevin Feng Ke.

Eppure il suo film, Ba Bai Bang, Lettere dal braccio della morte, presentato in anteprima mondiale e premiato agli Incontri con il Cinema asiatico di Roma (il 4 verrà riproposto al Nuovo Sacher di Roma), non è affatto la galleria degli orrori che uno si potrebbe aspettare. È un film pacato, delicato, sussurrato quasi con dolcezza, poetico mi verrebbe quasi da dire se la parola si addicesse all’argomento. Racconta di una dozzina di detenuti che aspettano il loro turno stipati in un’affollata cella della morte (normalmente stanno ancora più stretti; in celle come quella rappresentata nel film se ne stipano anche una trentina e più). Giocano ad imitare, nel loro micro-mondo la gerarchia vera, persino la giustizia che li ha condannati, mimano processi, punizioni, distribuzione di incarichi. Bestemmiano, litigano, si picchiano, danno fuori di matto o fanno finta di essere matti. Della maggior parte, non si sa nemmeno perché siano stati condannati alla pena capitale. Si può immaginare che tra di loro ci siano assassini e violentatori, di uno ci viene detto che è stato condannato per traffico di droga, di un altro si capisce che è un pirata della strada, ha investito qualcuno e poi s’è dato alla fuga. C’è il prepotente, c’è l’infame, ci sono i duri, che tormentano quelli più deboli, e c’è chi ha naturalezza nel servilismo. Ma quello che li accomuna, il tratto che emerge su tutti gli altri è che sono tutti esseri umani.

C’è persino una struggente storia d’amore tra la condannata in attesa di esecuzione, costretta a fare pubblico mea culpa dagli altoparlanti del carcere, e il prigioniero incaricato di registrare la edificante testimonianza. Niente sesso: tra questi innamorati nel film parlano solo gli sguardi. Mentre la scena forse più scabrosa è invece un’altra: quella del detenuto che tenta di masturbarsi ammanettato Per il resto il carcere, affollamento a parte, non fa particolarmente vomitare; le guardie non sono particolarmente cattive; i cattivi non sono particolarmente infami. Il cinema ci ha raccontato di ben peggio sulle carceri americane. Per non parlare di quelle turche.

Una cosa quasi incredibile è che il film è stato girato in un vero carcere di massima sicurezza cinese, a pochi chilometri da Pechino, in un vero braccio della morte, con veri detenuti e vere guardie carcerarie. Ma come avete fatto?, ho chiesto al regista. "Ci siamo fatti passare per una troupe della televisione cinese, al lavoro su un documentario. Il direttore del carcere era ben contento che la sua prigione modello finisse sul teleschermo. Un incentivo finanziario ha vinto ? come è abitudine in Cina ? le residue titubanze. A parte i protagonisti principali, che sono attori professionisti, gli altri, gran parte dei detenuti, le guardie carcerarie, recitano sé stessi. Quando abbiamo cominciato a girare tutti facevano a gara a proporsi per il cast, a cominciare dai condannati". Tutto il mondo è proprio paese: a quanto pare nessuno resiste al fascino delle telecamere e della pubblicità, nemmeno nel braccio della morte. Quando Truman Capote scrisse "A sangue freddo", almeno il fascino era ancora quello della carta stampata.

La storia narrata del film si basa su un libro regolarmente pubblicato di recente in Cina, intitolato appunto "Lettere dal braccio della morte". L’autore, Huan Jingting, è un piccolo delinquente che a fine anni Novanta era stato condannato per truffa a un anno e mezzo nel carcere di Chongqing. Siccome sapeva leggere e scrivere gli avevano affidato l’incarico di registrare le ultime dichiarazioni dei condannati a morte. Servono a scopo propagandistico. Nel libro ne ha raccolte ventidue.

Ma come, la censura cinese glie le ha lasciate pubblicare così tranquillamente? "A dire il vero le autorità l’hanno convocato, ma solo per chiedergli di sorvolare su certi dettagli e, soprattutto, non dare cifre. Il numero delle condanne a morte eseguite in Cina resta un segreto di Stato. Da una cifra per un certo periodo in un certo carcere si potrebbe estrapolare il totale", risponde Kevin Feng Ke. E comunque tra i condannati cui aveva accesso non c’erano dissidenti politici, né alti dirigenti accusati di corruzione. Solo delinquenti "comuni" di quelli la cui sorte non fa molto clamore. "Si tratta del primo libro che mostra il lato umano dei condannati a morte che l’opinione pubblica è abituata a considerare criminali nati", a detta dello stesso autore.

La pena di morte in Cina è da tempo argomento di denunce e di orrore. Tra le pubblicazioni più recenti e documentate c’è un libro con illustrazioni impressionanti e allegato persino un DVD di filmati di esecuzioni con stampigliata l’avvertenza: "Visione sconsigliata ai minori e alle persone impressionabili" (Cina, Traffici di morte. Il commercio degli organi dei condannati a morte, Guerini e Associati, 2008, pp.206). Ma il film di Kevin Feng Ke si distingue da tutto il resto. Non si vedono esecuzioni, non ci sono torture, non si evidenziano brutalità, sevizie. Niente urla, niente retorica, niente comizio. Solo semplice, banale, commovente umanità, umanità delle vittime e umanità persino degli aguzzini, raccattata e raccontata nel luogo più improbabile in cui penseresti di trovarla: la cella della morte di un carcere cinese. Insomma, la pena di morte nella sua nuda e pura normalità, senza orrori aggiunti, nella sua banalità quotidiana. Chissà se lo potranno vedere i cinesi. In settimana, ci anticipa il regista, che si è formato in Occidente ma ora vive e lavora in Cina, è comunque prevista una proiezione happening a Pechino.

 

 

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